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Sommario
EEddiittoorriiaallee ppaagg.. 11
CC’’eerraa uunnaa vvoollttaa ppaagg.. 33
II MMeeddeeggoozz ppaagg.. 66
PPeerrcchhéé ssii ddiiccee?? ppaagg 77
LLaa ppooeessiiaa ppaagg.. 88
PPrroovveerrbbii ee ffiillaassttrroocccchhee ppaagg.. 1100
IIll nnoossttrroo ddiiaalleettttoo ppaagg.. 1122
GGiioocchhii ddii uunnaa vvoollttaa ppaagg.. 1133
RRiiccoorrddiiaammoo ii SSaannttii ppiiùù nnoottii ppaagg.. 1144
UUll ccuuggiiaaaa ddee lleeggnn ppaagg.. 1177
UUnn aauugguurriioo ssiinncceerroo ppaagg.. 2200
Ul Murum Inverno 2015
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Editoriale
Negli ultimi due nostri editoriali si è data voce al Presidente uscente, alla fine del suo mandato, e al nuovo Presidente. In questo numero possiamo riprendere il lavoro iniziato con l’editoriale della Primavera 2014 in cui venivano elencati tutti i ruoli che il personale ricopre durante il lavoro svolto nella nostra struttura. Buongiorno a tutti siamo Anna e Francesco,
centralinisti di Residenza Amica, centralinisti da sempre… ossia da più di 24
anni.
Amiamo il nostro lavoro!
Cerchiamo di svolgerlo con impegno e serietà, la nostra presenza permette un
contatto continuo e diretto tra tutti gli operatori presenti in struttura.
La vicinanza quotidiana agli ospiti residenti in RSA ci permette di supportarli e
confortarli con parole garbate e gentili e nello stesso tempo cercare di risolvere
piccoli problemi per allietare le loro giornate.
Ospiti, parenti, colleghi… ci siamo per tutti!
Oltre ad essere presenti al centralino nelle fasce della giornata richieste,
svolgiamo anche altre mansioni come accogliere i parenti, i fornitori e/o
chiunque abbia bisogno di qualsiasi tipo di informazione e/o indicazioni il più
precise possibile.
Come già detto in precedenza i nostri compiti sono svariati: dalla consegna delle
fatture ai parenti, al ritiro della biancheria che deve essere timbrata, alla
creazione di un archivio per registrare le domande di inserimento in struttura
ormai vecchie.
Ci preme far sapere anche a tutti i lettori de “Ul Murum” che ci siamo e siamo
sempre disponibili!
Cogliamo l’occasione per augurare Buone Feste a tutti.
I centralinisti
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I mestieri di una volta
Arriva l’inverno: il freddo, il gelo, le nebbie e anche tanta nostalgia di una vita
passata forse povera ma piena di serenità ed armonia. Riaffiorano alla mente
tanti ricordi…
El lattée
Col carr pien de bidon, da la cassina, el vegneva in città ogni matina; poeu con duu sidej a balansa suj spall da ona cort a l’altra l’andava a portall reciamand de vos come in tucc i mestée, con monoton ritornell: “Lattée…lattée” ‘Rivaven j donn coi caldar, caldarin…tradizion durada per tanti matin.
IL LATTAIO. Col carro pieno di bidoni, dalla
cascina, veniva in città ogni mattina; poi con due
secchi a bilancia sulle spalle da un cortile all’altro
andava a portarlo richiamando con la voce come in
tutti i mestieri, con monotono ritornello:
“Lattaio…lattaio…”. Arrivavano le donne con le
pentole, lattiere… tradizione durata per tante
mattine.
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Evoluzione del servizio distributivo, norme igienico-sanitarie, leggi e disposizioni
hanno messo al bando questo mestiere ambulante; ma nell’immediato dopoguerra,
con le restrizioni che ancora vigevano e per il protrarsi del tesseramento,
venivano i contadini nei suburbi portandosi dietro le caprette e mungendole
addirittura in loco, vendendo direttamente il latte ottenuto!
(da “MESTIERI MENEGHINI d’altri tempi”
Il Carrobbio)
Mi ricordo …
Quando il lattaio arrivava nei cortili richiamava le persone suonando una
trombetta! Antonia
Non abbiamo quasi mai comprato il latte dal lattée perché avevamo una mucca
nostra che mia mamma mungeva tutte le sere. Il latte appena munto era tiepido
e molto buono! Maria Z.
Quando si lasciava a riposare il latte appena munto (con la schiuma) per un po’ di
tempo, sopra si formava uno strato di panna, che usavamo per fare il burro.
Mentre con il latte cagliato si facevano i formaggini che poi cospargevamo con
un po’ di pepe. Elisa
Spesso, anzi quasi sempre, la sera si cenava con latte e polenta gialla oppure solo
polenta calda con lo zucchero. Alcuni ospiti
Quando ero ragazzo, dopo l’oratorio tornavo a casa e andavo nella stalla di mio
nonno a mungere le mucche, il latte poi lo vendevamo anche ai nostri vicini di
casa. Anche noi con la panna facevamo il burro! Renato
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Spesso, quando faceva freddo, come merenda mangiavo una tazza di latte con le
castagne, in precedenza ammorbidite nell’acqua. Ornella
Quando ero ragazzino “ul lattée” non veniva a casa mia per vendere il latte ma
per comprarlo; si presentava con grossi bidoni, faceva il giro di tutte le cascine
della zona per acquistare il latte fresco da tutti i contadini, poi a fine mese “si tirava su il conto!” e ci pagava il dovuto! Quando però in cascina nasceva un
vitellino, il latte veniva usato per nutrirlo e quindi non lo potevamo vendere…
dopo però si vendeva il vitello. Renzo
Quando andavo all’asilo le suore ci davano un bicchiere di latte come merenda.
Ornella
Mi ricordo che quando mio papà non aveva soldi usava il latte come denaro per
comprare il frumento. Luigi M.
Quando ero piccola il mio nonno ha regalato a noi bambini una capretta, al
mattino facevamo colazione con il suo latte, era veramente fresco e delizioso.
Mentre ne parlo mi sembra di ricordare il suo sapore… Per Pasqua la capretta in
genere faceva due capretti che i miei genitori vendevano al macellaio del paese
“ghe diseven ul camagn!” Irma
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II MMEEDDEEGGOOZZ
Ovvero i rimedi della nonna!
IL ROSMARINO Il rosmarino è un arbusto sempreverde originario
delle regioni mediterranee; in Italia è presente in tutto il territorio, spontaneo
o coltivato. Arbusto aromatico sempreverde, compatto, con fusti prostrati o
ascendenti, ramificati. I fiori compaiono in primavera, sono azzurro-violacei,
ricchi di polline e riuniti in brevi racemi ascellari.
Si raccolgono le foglie e le sommità fiorite tagliando la parte apicale dei
rametti. Da utilizzare subito o fare essiccare in luogo ombroso e ventilato.
L’olio essenziale di rosmarino si estrae dalle foglie e dalle sommità raccolte in
piena estate e fatte essiccare al sole per 8 giorni.
Chi per qualsiasi ragione ha bisogno di uno stimolante trova nel rosmarino il suo
rimedio ideale. Esercita infatti tale azione su tutti gli apparati e in particolare
sul sistema nervoso, facendo recuperare in fretta la salute ai convalescenti,
l’energia alle persone stanche o indebolite, la capacità di concentrazione e di
memoria a chi fa lavoro intellettuale. Nell’igiene e nella cosmesi è indicato come
tonico astringente e detergente per la pelle (acqua aromatica) e per combattere
la perdita dei capelli e la forfora.
TRATTAMENTI: bagni, pediluvi e maniluvi, spruzzature, fumigazioni; assunzione
di 3 gocce con miele il mattino a digiuno.
USO IN CUCINA:
Il rosmarino viene usato per insaporire carni, pesci,
minestre, focacce, oli ed aceti aromatici.
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Perché si dice?
ACQUA IN BOCCA
Tacere accuratamente su qualcosa, conservare bene un segreto. Si racconta che all’origine di questo detto ci sia una geniale trovata di un
confessore. Una donna molto devota, ma afflitta da un ostinato vizio di
maldicenza, gli si rivolse chiedendo un aiuto drastico. Le preghiere non
servivano, i buoni propositi al momento sfumavano. E il fantasioso guaritore
d’anime offrì alla donna il suo rimedio empirico: le diede infatti una boccetta
d’acqua di pozzo e le suggerì di metterne due gocce sulla lingua ogni volta che si
fosse sentita la voglia di dir peste di qualcuno. E poi tenere solo la bocca ben
chiusa, finché la tentazione non fosse passata. Funzionò, probabilmente.
ANDARE A MONTE
Veder fallire un progetto, concludere un’operazione con un nulla di fatto, non risolvere una situazione.
Le ipotesi circa le origini di questa locuzione sono parecchie. La più probabile si
rifà al gioco delle carte, in cui il mazzo da cui si pesca, come nella briscola,
tressette, scopa, eccetera, viene definito “monte”, per cui, in caso di errore o di
disaccordo, si rimescolano le carte e si costituisce un nuovo monte. Un’altra
versione vuole che la frase risalga all’epoca in cui con il nome di monte si
indicava l’insieme di debiti che una pubblica istituzione assumeva nei confronti
dei risparmiatori che le affidavano i propri capitali, in cambio di una rendita
vitalizia. Chi si assumeva questi debiti fruttiferi, in genere, era lo Stato o il
Comune, e allora andare a monte significava essere descritto per creditore nei Libri del Monte. Una versione più recente, piuttosto cattivella, si riferisce alla
situazione di chi, avendo bisogno di un prestito, si rivolge al Monte di Pietà o a
una banca, e si sente dire che non può ottenere prestiti se non offre solide
garanzie, il che equivale a dire “non ne facciamo niente”.
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LLaa ppooeessiiaa
PENSER DE NATAL
Quand che Dicember al me porta per regall,
insèmm al giàzz, la nev e la scighera,
anmò un Natal de caregà sui spall,
de taccà là, per slungà la filera
di alter Natal che, chissà cumè mai,
diventen tanti, che se rièss pù a cuntai.
Natal d’un temp, Natal del temp andàa,
pussèe luntan e semper pussèe bèll,
cul sciòcch che brasa pian, pian, sul feguràa
e i donn in trusci, ciappàa, inturnu al furnèll;
Natal alegher, de quand serum bagai,
cun la nuvèna e la smania di regai.
Natal de guèra, Natal cun el magun,
cul pan di tèsser e cun pòcch de mangià,
cul coeur suspès, la ment in uraziun
per i suldàa luntan de la sua cà.
I gent sfulàa che rivaven cul tram,
oeucc de pagura, i laber brutt de famm.
Natal de adèss, mì, il ricunussi pù,
cambia i usanz, la tradiziun, la vita,
inveci de rivà giò ‘l bun Gesù,
riva dal nord un vècc sura ‘na slita;
e mì me ruerzi a sugutà a pensà:
se’l par mè nonu, perché ‘l ciamen papà?
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Una voeulta se riuniva inturnu al tavul,
insèma per giugà ‘na tumbulada;
adèss via tucc, luntan, a cà del diavul,
a restà a cà, se perd la maridada.
Sì che un pruverbi al dìss: Natal cui toeu,
e i alter fest, insèmm cun chi te voeu.
In fund però, resta anmò la speranza,
quand de la vita se riva in fund al vial,
de sentìss slargà’l coeur per l’esultanza
perché gh’è lì a speciamm el nost Natal.
Un Natal senza temp, né estàa, né invernu,
un Natal pien de lus, Natal eternu.
Autore sconosciuto milanese
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DICEMBRE
“Ogni ufelè fa ’l so mestè.”
Ogni pasticcere fa il suo
mestiere.
GENNAIO
“Chi laura ul prèm de
l’ann, el laura tout
l’ann.”
Chi lavora il primo dell’anno, lavora tutto l’anno.
FEBBRAIO
“I oeucc nègher fann vardà, i
oeucc ciàr fann inamurà.”
Gli occhi neri fanno guardare, gli occhi chiari fanno innamorare.
Proverbi e
filastrocche
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Oh! Gesù bambin soave
del mio cuor ti do la chiave
apri e chiudi a tuo piacer
fa di me il tuo santo voler!
ELISA
Oggi è festa, tutti i signori cambiano i vestiti e io che sono un povero figlio non cambio neanche la camicia! ELISA
Caro Bambin Gesù,
vieni in me, non tardar più,
vieni a nascere nel mio cuore
caro amabil Bambin d’amor!
Ave o Giuseppe
Padre d’amore
oggi il mio cuore
consacro a Te,
fa che il lavoro
noi tutti abbiamo
e lavoriamo pensando a Te,
di pane e riso in fondo ai cuori
e dal paradiso venga su me
Padre d’amore…
MARGHERITA
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Il nostro dialetto
Bidon del lacc e tulèta…
La tulèta era un pentolino di piccolo diametro e alto circa 20
centimetri, con coperchio e manico che si utilizzava per andare
ad acquistare il latte dal lattaio.
Poteva avere una capienza da un quarto o mezzo litro o anche
un litro.
Di latta o di alluminio in quanto serviva in genere per il solo
trasporto.
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Giochi di una
volta
Parlando con i nostri nonni spesso tra i vari racconti tornano i ricordi del
passato, tra questi i più frequenti sono i semplici giochi che facevano nel loro
tempo libero quando erano bambini. Nella maggior parte dei casi i giochi erano
costruiti con materiali molto poveri che i bambini trovavano nelle loro case e nei
cortili.
Qui di seguito vi proponiamo un elenco di questi:
belle statuine, quattro cantoni, macchina fotografica, campana (sasset o ciapel),
carriola o careta, rialzo, tiro al barattolo, ruba bandiera, nascondino, corda,
lippa, pulci, figurine, paradiso, elastici/fionda, telefono senza fili, aquilone (per
costruirlo si usava la farina bianca mescolata all’acqua, perché la colla non c’era
mai, costava troppo!), yo-yo (la cantilena che si cantava mentre si giocava era
“yo-yo ti martur e mi no”), cerchio, frullino (“firlù foch”), gioco dell’oca e
tombola.
Questi sono solo alcuni dei vari giochi indicati dai nonni e da loro descritti nei
minimi particolari… un vero piacere sentirli raccontare!
Irma in particolare racconta cosa facevano “i maschiacci”: prendevano una latta,
la foravano nella parte superiore, la riempivano di carburo, accendevano il fuoco
e si divertivano a stare a guardare l’esplosione. Di solito lanciavano la latta
lontano ed aspettavano che facesse un grosso scoppio. Si divertivano veramente con poco, mentre noi bambine ne eravamo un po’ spaventate!
Edoardo descrive lo “Sputnik”, un gioco che lui ricorda di aver fatto spesso: si
prendevano tre cerini, si avvolgevano nella carta stagnola, si aprivano
leggermente i tre bastoncini e con un altro cerino acceso si dava fuoco, come
prendevano fuoco i tre cerini saltavano in aria proprio come un vero missile!
Che meraviglia, era bellissimo!
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Santo Stefano
Primo martire
26 dicembre
Primo martire cristiano, e proprio
per questo viene celebrato subito
dopo la nascita di Gesù. Fu
arrestato nel periodo dopo la
Pentecoste, e morì lapidato. In lui
si realizza in modo esemplare la
figura del martire come imitatore
di Cristo; egli contempla la gloria
del Risorto, ne proclama la divinità,
gli affida il suo spirito, perdona ai
suoi uccisori. Saulo testimone della
sua lapidazione ne raccoglierà
l'eredità spirituale diventando
Apostolo delle genti.
Patronato: Diaconi, Fornaciai, Mal di testa
Etimologia: Stefano = corona, incoronato, dal greco
Emblema: Palma, Pietre
La celebrazione liturgica di S. Stefano è stata da sempre fissata al 26 dicembre,
subito dopo il Natale, perché nei giorni seguenti alla manifestazione del Figlio di Dio,
furono posti i “comites Christi”, cioè i più vicini nel suo percorso terreno e primi a
renderne testimonianza con il martirio.
Così al 26 dicembre c’è S. Stefano primo martire della cristianità. Del grande e
veneratissimo martire S. Stefano, si ignora la provenienza, si suppone che fosse greco,
in quel tempo Gerusalemme era un crocevia di tante popolazioni, con lingue, costumi e
religioni diverse; il nome Stefano in greco ha il significato di “coronato”.
Si è pensato anche che fosse un ebreo educato nella cultura ellenistica; certamente fu
uno dei primi giudei a diventare cristiani e che prese a seguire gli Apostoli e visto la
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sua cultura, saggezza e fede genuina, divenne anche il primo dei diaconi di
Gerusalemme. Gli Atti degli Apostoli, ai capitoli 6 e 7 narrano gli ultimi suoi giorni;
qualche tempo dopo la Pentecoste, il numero dei discepoli andò sempre più aumentando
e sorsero anche dei dissidi fra gli ebrei di lingua greca e quelli di lingua ebraica,
perché secondo i primi, nell’assistenza quotidiana, le loro vedove venivano trascurate.
Allora i dodici Apostoli, riunirono i discepoli dicendo loro che non era giusto che essi
disperdessero il loro tempo nel “servizio delle mense”, trascurando così la
predicazione della Parola di Dio e la preghiera, pertanto questo compito doveva essere
affidato ad un gruppo di sette di loro, così gli Apostoli potevano dedicarsi di più alla
preghiera e al ministero.
La proposta fu accettata e uno degli eletti fu Stefano uomo pieno di fede e Spirito
Santo.
Nell’espletamento di questo compito, Stefano pieno di grazie e di fortezza, compiva
grandi prodigi tra il popolo, non limitandosi al lavoro amministrativo ma attivo anche
nella predicazione, soprattutto fra gli ebrei della diaspora, che passavano per la città
santa di Gerusalemme e che egli convertiva alla fede in Gesù crocifisso e risorto.
Nel 33 o 34 ca., gli ebrei ellenistici vedendo il gran numero di convertiti, sobillarono il
popolo e accusarono Stefano di “pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e
contro Dio”.
Gli anziani e gli scribi lo catturarono trascinandolo davanti al Sinedrio e con falsi
testimoni fu accusato: “Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro
e contro la legge. Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno, distruggerà
questo luogo e cambierà le usanze che Mosè ci ha tramandato”.
E alla domanda del Sommo Sacerdote “Le cose stanno proprio così?”, il diacono
Stefano pronunziò un lungo discorso, il più lungo degli ‘Atti degli Apostoli’, in cui
ripercorse la Sacra Scrittura dove si testimoniava che il Signore aveva preparato per
mezzo dei patriarchi e profeti, l’avvento del Giusto, ma gli Ebrei avevano risposto
sempre con durezza di cuore.
Rivolto direttamente ai sacerdoti del Sinedrio concluse: “O gente testarda e pagana
nel cuore e negli orecchi, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i
vostri padri, così anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato?
Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete
divenuti traditori e uccisori; voi che avete ricevuto la Legge per mano degli angeli e
non l’avete osservata”.
Mentre l’odio e il rancore dei presenti aumentava contro di lui, Stefano ispirato dallo
Spirito, alzò gli occhi al cielo e disse: “Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio
dell’uomo, che sta alla destra di Dio”.
Fu il colmo, elevando grida altissime e turandosi gli orecchi, i presenti si scagliarono su
di lui e a strattoni lo trascinarono fuori dalle mura della città e presero a lapidarlo con
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pietre, i loro mantelli furono deposti ai piedi di un giovane di nome Saul, che assisteva
all’esecuzione. In realtà non fu un’esecuzione, in quanto il Sinedrio non aveva la facoltà
di emettere condanne a morte, ma non fu in grado nemmeno di emettere una sentenza
in quanto Stefano fu trascinato fuori dal furore del popolo, quindi si trattò di un
linciaggio incontrollato.
Mentre il giovane diacono protomartire crollava insanguinato sotto i colpi degli
sfrenati aguzzini, pregava e diceva: “Signore Gesù, accogli il mio spirito”, “Signore non
imputare loro questo peccato”.
Dopo la morte di Stefano, la storia delle sue reliquie entrò nella leggenda; il 3
dicembre 415 un sacerdote di nome Luciano di Kefar-Gamba, ebbe in sogno
l’apparizione di un venerabile vecchio in abiti liturgici, con una lunga barba bianca e con
in mano una bacchetta d’oro con la quale lo toccò chiamandolo tre volte per nome.
Gli svelò che lui e i suoi compagni erano dispiaciuti perché sepolti senza onore, che
volevano essere sistemati in un luogo più decoroso e dato un culto alle loro reliquie e
certamente Dio avrebbe salvato il mondo destinato alla distruzione per i troppi
peccati commessi dagli uomini.
Chiese, basiliche e cappelle in suo onore sorsero dappertutto, solo a Roma se ne
contavano una trentina, delle quali la più celebre è quella di S. Stefano Rotondo al
Celio, costruita nel V secolo da papa Simplicio.
Ancora oggi in Italia vi sono ben 14 Comuni che portano il suo nome; nell’arte è stato
sempre raffigurato indossando la ‘dalmatica’ la veste liturgica dei diaconi; suo
attributo sono le pietre della lapidazione, per questo è invocato contro il mal di pietra,
cioè i calcoli ed è il patrono dei tagliapietre e muratori.
Autore: Antonio Borrelli
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Ul cugiaa de
legn
PANETTONE (dolce tradizionale milanese)
In questo numero invece di annoiarvi con
una ricetta molto complicata e forse, al
giorno d’oggi inutile, in quanto tutti
acquistano questo dolce dalle case
fabbricanti della grande industria e/o
dagli artigiani pasticceri, abbiamo
deciso di raccontarvi le sue origini.
Il panettone è il dolce natalizio nato a Milano ma immancabile sulle tavole delle
feste di tutta Italia ed oseremo dire in tutto il mondo. Oltre al suo impasto
soffice e ricco, la particolarità del panettone è la sua forma a cupola che lo
rende inconfondibile.
Gli ingredienti per preparare il panettone sono molto semplici, l'impasto è
formato da farina, uova, latte, zucchero insaporiti da uvetta e canditi.
Preparare il panettone in casa non è complicato, è però necessario avere
pazienza e prendersi un intero giorno per la preparazione perché il panettone
richiede tempi di lievitazione abbastanza lunghi. Le origini del panettone
(letteralmente Pan del Toni) sono controverse, alcune leggende narrano che
questo pane saporito sia nato per amore. A inventare per caso la ricetta fu
Messer Ughetto degli Atellani che per conquistare la figlia del fornaio si fece
assumere come garzone di bottega, e per risollevare la bottega provò ad
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impastare questo pane dolce che ebbe un grande successo. Un'altra leggenda
vuole che durante un pranzo di Natale alla corte di Ludovico il Moro, il cuoco
fece bruciare il dolce. Vista la disperazione del cuoco, uno sguattero della
cucina, di nome Toni, propose di servire in tavola il pane dolce preparato da lui
quella stessa mattina, il dolce fu portato in tavola e riscosse l'entusiasmo di
tutti i commensali.
Commento
Se comunque qualcuno di voi decidesse di impegnarsi nel realizzare una ricetta
così laboriosa, saremo felici di poter gustare un assaggio del dolce fatto.
Precisiamo che l’assaggio dovrà essere gratuito ed abbondante e certo non
mancheremo di ringraziarvi con un nostro giudizio… sicuramente positivo!!!
oCa al forno Questa è decisamente una preparazione da riservare alle grandi occasioni,
magari per una cena speciale. L'oca ripiena al forno, nonostante non sia un
piatto diffuso in tutta Italia, rappresenta una pietanza unica nel sapore e nella
presentazione. Un piatto decisamente unico anche se caratterizzato da una
preparazione non proprio semplicissima e da una cottura abbastanza prolungata.
Ingredienti:
un’oca
carne trita mista
uovo
due fettine di bologna
sale qb
mollica di pane
grana e pane grattugiato
1 bicchiere di vino bianco
latte qb
burro
aglio
salvia e rosmarino
dado
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Preparazione:
Prendere l’oca ed insaporirne l’interno con un po’ di sale e spezie. Prima di
preparare il ripieno accendere il forno ad una temperatura di 150° circa (in base
al tipo di forno e alla grandezza dell’oca).
Per il ripieno unire la carne trita, l’uovo, le fettine di bologna tagliate finemente,
il grana grattugiato, la mollica di pane precedentemente ammorbidita nel latte.
Prendere il ripieno e passarlo in un po’ di pane grattugiato per renderlo
compatto, in seguito inserirlo nella pancia dell’oca, cucire l’apertura per non far
fuoriuscire il ripieno e con lo spago legare l’oca.
Prendere una pentola ovale, aggiungere un po’ di condimento, mettere l’oca, un
rametto di rosmarino, un ciuffo di erba salvia, due testine d’aglio in camicia e un
po’ di vino bianco.
Mettere in forno per circa un paio di ore.
Durante la cottura bucherellare l’oca con una forchetta per farne fuoriuscire il
grasso, bagnare con un po’ di vino bianco e a metà cottura girare l’oca per
evitare che bruci.
Commento
Ochetta ocona quanto sei buona quando arrivi nel mio pancione!
BUON APPETITO
A TUTTI !!!
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AAnncchhee qquueesstt’’aannnnoo èè
ggiiuunnttoo aall tteerrmmiinnee,,
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BBUUOONN NNAATTAALLEE ee
UUNN GGEENNEERROOSSOO 22001166
LLaa rreeddaazziioonnee ddeell ggiioorrnnaalliinnoo
((AAnnggeelloo,, AAnnttoonniiaa,, EEddooaarrddoo,, EElliissaa,, IIddaa,, IIrrmmaa,,
IIvvoo,, LLuuiiggii MM..,, MMaarriiaa ZZ..,, NNaattaallee,, OOrrnneellllaa,, RReennaattoo,,
RReennzzoo,, SSiillvviiaa ee ccoonnssuulleennttii))