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Newsletter periodica d’informazione (aggiornata alla data del 28 febbraio 2012) Permessi di soggiorno: ecco le modifiche approvate dal Consiglio dei Ministri Sommario o Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti pag. 2 o Comunicato stampa UIL su autocertificazione e stranieri pag. 2 o Società – Permessi di soggiorno, approvate modifiche dal CdM pag. 2 o Respingimenti – La corte europea condanna l’Italia pag. 3 o Discriminazioni – Roma, milioni sprecati per gli sgomberi pag. 5

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Newsletter periodica d’informazione

(aggiornata alla data del 28 febbraio 2012)

Permessi di soggiorno: ecco le modifiche approvate dal Consiglio dei Ministri

 

Sommario

· Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti

pag. 2

· Comunicato stampa UIL su autocertificazione e stranieri

pag. 2

· Società – Permessi di soggiorno, approvate modifiche dal CdM

pag. 2

· Respingimenti – La corte europea condanna l’Italia

pag. 3

· Discriminazioni – Roma, milioni sprecati per gli sgomberi

pag. 5

· Rosarno – La Coca Cola abbandona, dopo le denunce sugli immigrati sfruttati pag. 6

· Giurisprudenza – Revoca del permesso di soggiorno, che fare?

pag. 7

· Servizio civile – Il parere del Ministro Riccardi sull’ammissione degli stranieri

pag. 8

· Foreign Press - Coca Cola, “exploitation and squalor”

pag. 9

· Foreign Press – The Economist: “shop an immigrant”

pag.12

A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil

Dipartimento Politiche Migratorie

Rassegna ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL

Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751

E-Mail [email protected]

Anno X - n. 8

Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti

Martedì 6 marzo 2012, ore 11.00, sede UIL nazionale

Incontro con Madisson Godoy, delegato del sindaco di Roma per l’integrazione delle comunità straniere

(Giuseppe Casucci, Angela Scalzo, Rosella Giangrazi, Pilar Saravia))

Roma, 08 marzo 2012, ore 16.00, via del Velabro

Comitato Direttivo del CIR

(Giuseppe Casucci)

Roma, 14 marzo 2012, ore 14.00 e ore 17.00, Largo Chigi, 19

Incontro del Tavolo Immigrazione (ore 14.00) in preparazione dell’incontro con Andrea Riccardi, Ministro per la Cooperazione e l’Integrazione (ore 17.00)

(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)

Bruxelles, 19 marzo 2012, ore 16.00

Commissione Europea – Comitato Consultivo sulla libera circolazione dei lavoratori UE

(Giuseppe Casucci)

Società

Permessi soggiorno: ecco le modifiche approvate dal Consiglio dei Ministri

Raddoppio della durata dei permessi di soggiorno per lavoro (fino a due anni). Il permesso per ricerca di occupazione passa da sei a 12 mesi. Considerati gli ammortizzatori sociali. Il Governo mantiene la nuova tassa sui permessi. Cgil,Cisl, Uil hanno chiesto al Governo di ritirarla e di recuperare le risorse dalla ratifica della direttiva 52 che sanziona i datori di lavoro che utilizzano lavoro nero etnico.

Parere positivo della UIL sul testo dell’emendamento. >> Scarica il testo del decreto sulle semplificazioni

Roma, 28 febbraio 2012 - Il Governo ha approvato, venerdì scorso, un testo che produce alcuni positivi cambiamenti in materia di permessi di soggiorno. Le proposte sono state presentate sotto forma di emendamento al decreto semplificazione. Il testo delle modifiche è ancora provvisorio in quanto verrà avviato alla discussione, probabilmente alla Commissione Lavoro del Parlamento. Siamo in grado di anticipare a grandi linee i contenuti dell’emendamento in materia di immigrazione. Nella sostanza, i due cambiamenti più rilevanti riguardano l’art. 5 comma 3 bis della legge 286/98 (modificata poi dalla Bossi – Fini e dal pacchetto sicurezza), che conferma la durata complessiva massima di 9 mesi per il lavoro stagionale (comma a) ed unifica i commi b e c stabilendo una durata massima di due anni per i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato ed indeterminato (prima quello a tempo determinato non poteva superare i 12 mesi di durata). All’art. 5 comma 4, viene aggiunta una postilla che aumenta la durata massima a tre anni, nei casi di ricongiungimento familiare (3-quater) e lavoro autonomo (3- sexies). Un secondo aspetto importante riguarda l’articolo 22, comma 11 della legge sull’immigrazione, che concerne il permesso per ricerca di occupazione, in caso di perdita del posto di lavoro. Nel secondo periodo del comma 11, le parole: “per un periodo non inferiore a sei mesi”, sono sostituite dalle seguenti: “per un periodo non inferiore ad un anno, ovvero per tutto il periodo di durata della prestazione di sostegno al reddito qualora superiore al periodo indicato, nel caso in cui il lavoratore straniero ne sia percettore”. Questo significa che il lavoratore messo in mobilità, potrà godere di un permesso di durata superiore ad un anno e pari alla lunghezza del periodo per cui percepisce quella forma di sostegno al reddito, in caso di perdita del posto di lavoro. Il nulla osta è rifiutato (articolo 22, comma 5 bis), nei casi di sentenza (anche non definitiva) per reati che riguardino il favoreggiamento all’immigrazione clandestina, l’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603 bis del codice penale), a chi occupa lavoratori stranieri privi di permessi di soggiorno o permesso scaduto. Questo ultimo aspetto probabilmente tiene conto della prossima ratifica della direttiva 2009/52/CE. All’art. 24 (comma 2 bis) viene trattato il tema dei lavoratori stagionali la cui richiesta di permesso di soggiorno per lavoro si intenderà accolta (decorsi 20 giorni, senza diniego da parte dello sportello unico per l’immigrazione), in tre casi: a) nel caso in cui la richiesta riguardi uno stagionale che abbia lavorato l’anno precedente per lo stesso datore di lavoro; b) nel caso in cui il lavoratore l’anno prima abbia rispettato le condizioni indicate nel permesso; c) nel caso in cui il datore di lavoro non sia stato condannato nei casi previsti dall’art. 22, comma 5 bis.

Non c’è traccia nel documento del Governo del preannunciato permesso senza scadenza per chi può dimostrare di avere un reddito stabile e di essere pienamente inserito nel contesto sociale. Va fatto notare che questo tipo di permesso contrasterebbe con la normativa comunitaria che stabilisce 5 anni di residenza prima di poter chiedere questo tipo di permesso.

Nessun riferimento, infine, alla nuova tassa sui permessi che si intende tacitamente confermata.

Il giudizio della UIL - Come Dipartimento Politiche Migratorie consideriamo positivamente questo il testo dell’emendamento presentato dall’Esecutivo, anche se non esaustivo degli interventi migliorativi possibili. In particolare, la UIL aveva chiesto che il godimento degli ammortizzatori sociali venisse considerato aggiuntivo all’anno concesso per ricerca di nuova occupazione. Inoltre, la dicitura – nel nuovo testo - dei permessi fino a due anni, non esclude i casi in cui il contratto di lavoro sia di durata inferiore anche ad un anno, il che comporta una durata del permesso comunque non differente dallo stesso contratto di lavoro. In questo caso la tassa sarà dovuta per ogni ripetizione di contratto (80 € + 72,5 a persona), con grave aggravio sul bilancio familiare degli stranieri. Va considerato, comunque, che il raddoppio della durata dei permessi, comporterà inevitabilmente una minore burocrazia ed una minore pressione su questure e sportelli unici, con beneficio speriamo nei tempi di rilascio del documento. Inoltre il maggior tempo concesso per cercare lavoro, in caso di licenziamento, dovrebbe ridurre il rischio per i cittadini stranieri di scivolare in una condizione di clandestinità e negazione dei diritti.

Sono tutte richieste che la UIL ha avanzato da anni all’Esecutivo, per questo motivo esprimiamo un giudizio di profonda soddisfazione. Chiediamo dunque al Parlamento di approvare al più presto il testo dell’emendamento, senza modifiche peggiorative.

Comunicato Stampa

L’esclusione dei cittadini stranieri dalla semplificazione amministrativa sta portando alla paralisi dei rinnovi di permessi di soggiorno.

Dichiarazione di Guglielmo Loy, Segretario confederale UIL

I sindacati e i loro patronati hanno redatto una lettera aperta ai Ministri dell’Interno e della Pubblica Amministrazione. Lo rende noto il Segretario Confederale della UIL, Guglielmo Loy.

“L’esclusione dei cittadini stranieri dalla semplificazione dei procedimenti amministrativi (autocertificazione) e l’assenza di dialogo informatico tra le banche dati delle varie Amministrazioni – ha rimarcato Loy -  sta dando luogo ad un conflitto procedurale e ad un allungamento dei tempi d’attesa per chi richiede il rinnovo di permesso di soggiorno, il ricongiungimento familiare o la cittadinanza italiana”. I sindacati confederali e i rispettivi patronati puntano il dito contro la confusione imperante ed il mancato coordinamento tra le Amministrazioni dopo l’entrata in vigore della Legge 183/2011, denunciando che per questa situazione, ancora una volta, ne stanno pagando le spese i cittadini stranieri che devono rinnovare il loro titolo di soggiorno.

In effetti, il conflitto procedurale ed il mancato dialogo informatico tra le banche dati pubbliche rischia di produrre la paralisi per gli iter riguardanti gli stranieri.

Nella lettera - ha concluso Loy – richiamiamo il Governo al buon senso e a soluzioni immediate volte ad eliminare questa incongruenza, che sta creando disagi – come abbiamo specificato tutti insieme - “proprio su questa parte di cittadini, già chiamati negli ultimi giorni a pagare per queste pratiche un contributo economico aggiuntivo, da noi giudicato non equo ed ingiustificato”.

Roma, 24 febbraio 2012

Respingimenti

LA SENTENZA

Strasburgo, Italia condannata per i respingimenti verso la Libia

Sentenza storica della Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo che condanna l'Italia all'unanimità.

di VLADIMIRO POLCHI

Disegno: fonte www.meltingpot.org

Roma, 23 febbraio 2012 - Stop ai respingimenti in mare. Bocciate le espulsioni collettive. La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato all'unanimità l'Italia per i respingimenti verso la Libia. Nel cosiddetto caso Hirsi, che riguardava 24 persone nel 2009, è stato violato l'articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura. Strasburgo ha così posto un freno ai respingimenti indiscriminati in mare e ha stabilito che l'Italia ha violato il divieto alle espulsioni collettive, oltre al diritto effettivo per le vittime di fare ricorso presso i tribunali italiani.  L'Italia è stata condannata a versare un risarcimento di 15mila euro più le spese a 22 delle 24 vittime, in quanto due ricorsi non sono stati giudicati ammissibili.La Farnesina. "Il trattamento riservato a migranti e profughi messi in salvo è stato sempre conforme agli obblighi internazionali ed informato ai fondamentali principi di salvaguardia dei diritti umani". Così fonti della Farnesina commentano la sentenza di Strasburgo aggiungendo che l'Italia "rispetta" e "analizzerà " il verdetto.Il ministro dell'Interno. "La sentenza - ha detto in un comunicato stampa Annamaria Cancellieri - in quanto proveniente da un alto organo giurisdizionale europeo, va rispettata e non commentata. Il Governo si confronta con i mutati scenari in Libia e sono in corso contatti con la nuova dirigenza per riavviare la collaborazione operativa fra i due Paesi. Ogni iniziativa sarà improntata all'assoluto rispetto dei diritti umani, ma con altrettanta fermezza sarà contrastata l'immigrazione illegale".Riccardi. La sentenza della Corte di giustizia di Strasburgo che ha condannato l'Italia per i respingimento in Libia di alcuni immigrati "sarà ricevuta e valutata con grande attenzione" dal governo italiano "e ci farà pensare e ripensare alla nostra politica per l'immigrazione". Così il ministro per la Cooperazione Andrea Riccardi, a margine della due giorni Ifad sull'agricoltura sostenibile. Il ministro ha spiegato che come governo "ne prenderemo insieme visione e capiremo che fare. Io l'accetto con molto rispetto per le istituzioni europee", ha aggiunto Riccardi, sottolineando che il fine del governo è quello di "fare una politica chiara, trasparente e corretta sull'immigrazione".Maroni. Di "incomprensibile picconata del buonismo peloso" parla invece l'ex ministro dell'Interno, Roberto Maroni, principare sponsor della politica di respingimenti inaugurata dal governo Berlusconi. "È una sentenza politica di una corte politicizzata", dice Maroni. "Rifarei esattamente quello che ho fatto: impedire ai barconi di clandestini di partire dalla Libia, salvare molte vite umane e garantire maggiore sicurezza ai cittadini".I precedenti. La politica migratoria del vecchio governo Berlusconi continua a perdere pezzi. A picconare i pacchetti sicurezza e la Bossi-Fini 1 sono tribunali ordinari, Consiglio di Stato, Corte di Cassazione, Consulta e Corte di giustizia dell'Unione europea. Sotto le loro sentenze cadono: l'aggravante di clandestinità, il divieto di matrimonio con irregolari, il reato di clandestinità (nella parte che punisce con il carcere gli immigrati irregolari). Ora a crollare è il muro dei respingimenti in mare dei migranti, sotto i colpi della Corte europea dei diritti dell'uomo 2Il respingimento del 6 maggio 2009. La sentenza della Corte di Strasburgo colpisce i respingimenti attuati dall'Italia verso la Libia, a seguito degli accordi bilaterali e del trattato di amicizia italo-libico siglato dal governo Berlusconi. "Il 6 maggio 2009, a 35 miglia a sud di Lampedusa  -  spiega il Consiglio italiano per i rifugiati 3 (Cir)  -  in acque internazionali, le autorità italiane hanno intercettato una nave con a bordo circa 200 persone di nazionalità somala ed eritrea (tra cui bambini e donne in stato di gravidanza). I migranti  -  stando al ricorso  -  sono stati trasbordati su imbarcazioni italiane e riaccompagnati a Tripoli contro la loro volontà, senza essere prima identificati, ascoltati né preventivamente informati sulla loro effettiva destinazione. I migranti non hanno avuto alcuna possibilità di presentare richiesta di protezione internazionale in Italia. Di queste 200 persone, 24 (11 somali e 13 eritrei) sono state rintracciate e assistite in Libia dal Cir e hanno incaricato gli avvocati Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci dell'Unione forense per la tutela dei diritti umani di presentare ricorso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo".Le condizioni di detenzione in Libia. "Le successive condizioni di vita in Libia dei migranti respinti il 6 maggio 2009 sono state drammatiche  -  sostengono dal Cir  -  La maggior parte è stata reclusa per molti mesi nei centri di detenzione libici, dove ha subito violenze e abusi di ogni genere. Due ricorrenti sono deceduti nel tentativo di raggiungere nuovamente l'Italia a bordo di un'imbarcazione di fortuna. Altri sono riusciti a ottenere protezione in Europa, un ricorrente proprio in Italia. Prima respinti e poi protetti, a dimostrazione della contraddittorietà e insensatezza della politica dei respingimenti". Al riguardo va ricordato che, secondo le stime dell'Unhcr, circa 1.500 migranti hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l'Italia via mare nel 2011.Le reazioni alla sentenza. "Viene condannato il governo italiano ma vince lo spirito della nostra Costituzione, nonché la tradizione del popolo italiano  -  sostiene Andrea Olivero, presidente nazionale Acli - quella di un paese accogliente che non respinge i disperati in mare consegnandoli ad un tragico destino. Un monito durissimo per il governo che ha commesso quell'errore e per le forze politiche che non solo difesero, ma si fecero vanto di quell'azione, mentre tutte le organizzazioni della società civile per il rispetto dei diritti umani ne denunciavano l'illegalità e la disumanità".Unhcr. La sentenza è "un'importante indicazione per gli stati europei circa la regolamentazione delle misure di controllo e intercettazione alla frontiera". Lo ha affermato Laurens Jolles, il Rappresentante dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati 4(Unhcr) per il sud Europa: "ci auguriamo che rappresenti un punto di svolta per ciò che riguarda le responsabilità degli Stati e la gestione dei flussi migratori". L'Unchr comprende le "sfide che le migrazioni irregolari pongono all'Italia e agli altri paesi dell'Unione Europea e riconosce i significativi sforzi compiuti dall'Italia e dagli altri stati per salvare vite umane nell'ambito delle loro operazioni di ricerca e soccorso in mare". Ma, sottolinea l'Alto Commissariato, "Le misure di controllo alla frontiera non esonerano gli stati dai loro obblighi internazionali; l'accesso al territorio alle persone bisognose di protezione dovrebbe pertanto essere sempre garantito". Amnesty International. 6 Ha definito "una pietra miliare" la sentenza emessa oggi dalla Corte europea dei diritti umani nel caso Hirsi Jamaa e altri contro l'Italia. L'Organizzazione era intervenuta come parte terza durante la procedura scritta dinanzi alla Corte, ricordando che l'azione delle autorità italiane aveva costituito l'avvio di una politica di respingimenti che aveva attirato numerose condanne e aveva rischiato di compromettere i principi fondamentali del diritto internazionale dei diritti umani. Il verdetto di oggi resta dunque un punto fermo "perché - si legge in una nota di Amnesty - rafforza e favorisce il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali in Europa e pone fine alle misure extraterritoriali di controllo delle migrazioni che non contemplano l'identificazione delle persone che gli stati sono invece obbligati a proteggere.

>> Scarica il testo integrale della sentenza

Discriminazioni

Roma, gli sgomberi nei campi Rom. Milioni spesi e diritti violati

di ANNA MARIA DE LUCA

Roma, 27/02/2012 - Diciotto milioni di euro in ventiquattro mesi: sono i costi altissimi, a carico della collettività, del piano di sgomberi forzati del Comune di Roma. Una cifra che si riferisce solo agli ultimi due anni.  E' l'Associazione 21 luglio 1 a fare i conti nelle tasche del Campidoglio: "Sei milioni e mezzo - spiega il presidente, Carlo Stasolla  - sono stati spesi per gli ultimi 420 sgomberi, cinque e mezzo per i due trasferimenti forzati dei campi storici di La Martora e Casilino 900, più tre milioni di euro ogni anno per i centri di accoglienza di via Salaria e di via Smarilli: strutture che, in situazioni di illegalità, prive dei requisiti igienici e sanitari, accolgono 440 persone. Abbiamo calcolato che con la stessa cifra, diciotto milioni di euro, si sarebbero potute costruire case di edilizia pubblica per mille persone". "Anime smarrite". Se le conseguenze economiche degli sgomberi sono pesanti, ancor di più lo sono quelle psicofisiche sui bambini, le donne e gli uomini coinvolti. Per indagarle, un'équipe della 21 Luglio e dell'Osservatorio sul razzismo e le diversità "M. G. Favara", hanno realizzato uno studio etnografico presentato  presso il Dipartimento di Scienze dell'Educazione dell'Università Roma Tre 2: "Anime smarrite, storie quotidiane di segregazione abitativa e di malessere". In sintesi, le conclusioni dimostrano come trasferire famiglie rom dagli insediamenti informali ai cosiddetti "villaggi attrezzati" non sia affatto  una garanzia del miglioramento della qualità della vita. Cosi come non lo è il nuovo "villaggio attrezzato" a La Barbuta, che il Comune di Roma sta per inaugurare. Il report, realizzato nell'anniversario dello sgombero del Casilino 900, rileva, tra le   persone sgomberate, forti emicranie, sintomi depressivi, allucinazioni, stati di ansia, attacchi di panico, insonnia, disturbi nell'apprendimento.Nuovi ghetti. La logica è sempre la stessa: "proteggere" simbolicamente il resto del territorio dal rischio di una presunta "contaminazione".  I "villaggi attrezzati" di Roma Capitale  -  si legge nella conclusione del rapporto -  illustrano in maniera esemplare cosa sia un ghetto: collocato ai margini della periferia urbana, assomma segregazione spaziale, abitativa, sociale, culturale, simbolica e giuridica". "Roma  -  denuncia Stasolla - è l'unica grande città italiana che sta ancora continuando sulla via degli sgomberi: un cinico gioco dell'oca che sposta i rom da un punto all'altro della città, senza condizioni adeguate e con gravi violazioni dei diritti umani e dell'infanzia". La violazione dei diritti. Varie convenzioni internazionali stabiliscono i criteri legali degli sgomberi. Ad esempio, è necessaria la notifica 24 ore prima, non possono essere realizzati in avverse condizioni  atmosferiche, devono esserci soluzioni alternative adeguate. "Abbiamo invece  appurato - dichiara il presidente della 21 Luglio - che nessuna di questa condizioni è stata rispettata negli ultimi due anni: ragione per cui si può affermare che gli sgomberi della giunta Alemanno non rispettano i diritti umani e dell'infanzia" Un'azione legale senza precedenti a Roma. Quattrocentomila euro è la cifra che la "21 Luglio" e l'Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione 3 (ASGI) chiedono in tribunale, al Comune di Roma, per aver danneggiato un minore nel suo diritto all'istruzione. La vicenda riguarda un bambino che, dopo il trasferimento forzato dal campo Casilino 900 al "villaggio attrezzato" di via di Salone, perde dure ore di scuola all'entrata e due prima dell'uscita. "E' la prima volta - commenta la 21 Luglio - che nella capitale viene fatta  un'azione civile di questa portata contro la discriminazione". Il ricorso chiede di "accertare e dichiarare il carattere discriminatorio del comportamento del Comune di Roma", di "rimuovere gli effetti" e di "condannare il Comune a risarcire il danno determinato suggerendo la somma di mille euro al giorno a decorrere dalla prima settimana di febbraio 2010, data del trasferimento nel "villaggio attrezzato" di via di Salone".Serie conseguenze per le politiche future. Sono decine i bambini che in seguito agli sgomberi forzati hanno dovuto lasciare le lezioni. Se il tribunale accoglierà la causa, la 21 Luglio procederà anche per tutti gli altri casi simili. Mille euro a bambino per ogni giorno di scuola perso sarebbero davvero una cifra non da poco per il Comune di Roma.  La scuola è fattore fondamentale per l'integrazione dei minori nel tessuto sociale italiano ma, nonostante questo sia ormai una realtà fuori discussione, la scarsa organizzazione del servizio e le difficoltà logistiche legate alla distanza dalle scuole continuano a complicare il necessario rapporto tra i minori e l'istruzione. Il ricorso rappresenta dunque un'importante azione legale-pilota che potrebbe avere serie conseguenze per le future politiche che verranno intraprese dall'amministrazione comunale nei confronti delle comunità rom e sinte di Roma. Petizione il 4 marzo. Che il diritto all'alloggio e all'istruzione debbano essere pretese con azioni legali di questo carattere, "è un triste indice  -  commenta il presidente della 21 Luglio - dello stato di attenzione del nostro Paese". Per aumentarla, il 4 marzo ci sarà una grande campagna nazionale di raccolta firme. Obiettivo: la sospensione degli sgomberi nella città di Roma. 

DON PINO DE MASI, LIBERA: BOICOTTARE CHI SFRUTTA LE SITUAZIONI DI EMARGINAZIONE

Raccolta arance: immigrati sfruttati. E la Coca-Cola abbandona Rosarno

La multinazionale di Atlanta ha disdetto un contratto con una società del reggino che trasforma gli agrumi, dopo le denunce sullo sfruttamento dei lavoratori extracomunitari nella raccolta delle arance.http://www.grr.rai.it/

Rosarno, 27 febbraio 2012 - Rosarno non solo deve affrontare il problema delle migliaia di immigrati che annualmente si presentano per partecipare alla raccolta delle arance e la crisi dei produttori che, sottopagati, spesso preferiscono lasciare marcire il prodotto sul terreno. Adesso c'è anche il rischio che le multinazionali delle bibite in bottiglia taglino i rapporti con le aziende di lavorazione degli agrumi per la cattiva pubblicità che deriva loro dallo sfruttamento degli immigrati. A lanciare l'allarme è il sindaco di Rosarno Elisabetta Tripodi. ''Il proprietario di un'azienda di trasformazione delle arance - racconta - mi ha telefonato per comunicarmi che la Coca Cola ha disdetto il contratto per tutelare la sua immagine. Se la notizia verrà confermata la nostra economia subirà un danno devastante''.Il tutto perché la Coca Cola è finita anche sulle pagine del quotidiano inglese Independent che, riprendendo  un'indagine condotta dal periodico The Ecologist, ha parlato delle condizioni di vita da schiavi dei migranti che raccolgono le arance destinate a finire nelle lattine di Fanta, marchio di proprietà della Coca-Cola. Sino ad oggi, infatti, l'impegno principale del sindaco era dare una sistemazione dignitosa ai migranti, pagati pochi  centesimi al chilo di agrumi raccolti e costretti a vivere in veri e propri ghetti, al gelo ed in condizioni igieniche al di sotto del tollerabile. Una situazione che due anni fa deflagrò nella rivolta dei lavoratori extracomunitari e nella reazione degli abitanti di Rosarno, con scontri e decine di feriti. A spiegare qual è la situazione è lo stesso sindaco. ''Il vero problema - spiega - è che gli agricoltori non raccolgono il prodotto perché il prezzo e' troppo basso. Questa situazione ha quindi provocato un impoverimento di tutto il settore ed è ovvio che a risentirne sono anche i lavoratori''. A determinare i prezzi bassi, però, secondo la Coldiretti sono proprio le multinazionali. L'associazione è da oltre un anno che sta conducendo una battaglia su questo tema che portò, nel gennaio del 2011, allo 'sciopero delle aranciate', con l'invito ai consumatori a non acquistare le bevande a base di succo. Ed è proprio questo l'oggetto del contendere. Secondo la Coldiretti, infatti, nelle bibite di succo d'arancia ce n'è troppo poco, appena il 12%. Questo fa si' che un chilo di arance sia pagato dalle industrie di spremitura ai produttori appena 0,08 centesimi, mentre il costo della manodopera per i produttori è stimato in 0,06 centesimi per un chilo. Ecco perché da Rosarno giunge anche un invito al boicottaggio ''di tutte le multinazionali che sfruttano le situazioni di emarginazione''. A lanciarlo è il responsabile di Libera nella Piana di Gioia Tauro, don Pino Demasi. ''Non mi meraviglio - dice - che una multinazionale come la Coca Cola utilizzi le arance raccolte da lavoratori sfruttati per produrre i suoi prodotti. Queste grandi aziende pensano che tutto sia in perfetta regola ma in realtà dovrebbero sapere quanto accade nei nostri territori e le situazioni in cui lavorano queste persone''.

Giurisprudenza

Immigrati, revoca del permesso di soggiorno. Conseguenze. Che fare

Per lo straniero titolare di permesso di soggiorno CE di lungo periodo, il rendersi colpevole di un reato per il quale e’ previsto l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza (artt. 380 e 381 c.p.p.), significa mettere a grave rischio le proprie possibilita’ di permanenza in Italia.La condanna (anche non definitiva) per uno di tali reati comporta infatti la perdita immediata del permesso di soggiorno CE di lungo periodo, che potra’ essere sostituito da un diverso permesso di soggiorno soltanto qualora l’amministrazione non valuti, nella sua discrezionalita’, di espellere dal territorio dello Stato lo straniero censurato . Invero, l’espulsione amministrativa consegue alla revoca del permesso CE di lungo periodo ogni qualvolta  l’amministrazione italiana si convinca della pericolosita’ dello straniero per l'ordine pubblico, in considerazione delle sue vicende giudiziarie. E cio’ purtroppo avviene spesso, anche se la legge prevede espressamente che l’opportunita’ dell’allontanamento debba essere attentamente contemperata con le conseguenze negative dello stesso, per lo straniero direttamente interessato e per i suoi familiari che lo abbiano eventualmente raggiunto in Italia.Qualora, infatti, la sentenza di condanna intervenga nei confronti di uno straniero che col proprio reddito mantiene uno o piu’ familiari a carico, per i quali aveva chiesto ed ottenuto il ricongiungimento, le conseguenze negative si estenderanno di riflesso anche a questi ultimi, i quali:- potranno restare in Italia soltanto ove venga concessa al familiare, con cui si erano ricongiunti, la conversione del permesso CE di lungo periodo in un diverso tipo di permesso che consenta il ricongiungimento familiare;- in caso di sua espulsione, saranno invece costretti anch’essi a lasciare il Paese, ove non dispongano in proprio dei requisiti necessari per ottenere un autonomo titolo di soggiorno. Il trattamento sanzionatorio riservato agli stranieri si discosta illegittimamente, a nostro avviso, da quello subito dai cittadini italiani che si rendono colpevoli degli stessi identici reati per i quali e' previsto l'arresto, alcuni dei quali potrebbero essere considerati assolutamente bagatellari se commessi da un italiano.Nessun italiano rischia, ad esempio, di essere espulso dal Paese per un taccheggio al supermercato (furto aggravato), per una spinta ad un poliziotto (violenza a pubblico ufficiale) o, ancora, per aver prodotto documenti falsi per ottenere un finanziamento pubblico (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche). Egli scontera' la pena inflittagli, dopodiche' potra' riprendere la sua vita di prima.Se invece condotte come quelle appena descritte sono poste in essere da uno straniero, sia lui che la sua famiglia rischiano di perdere la possibilita' di continuare la vita costruita in Italia. Si consideri che neppure l’eventuale sospensione condizionale della pena (la quale, in presenza di determinate circostanze, consente di non scontare in le pene di reclusione comminate per un periodo inferiore ai 2 anni) impedisce il verificarsi delle ulteriori conseguenze negative previste per i soli stranieri in termini di possibilita’ di restare sul territorio. L'elevato numero di ricorsi, decisi dai Tar in favore di cittadini stranieri che avevano perso il loro titolo di soggiorno per questo motivo, ci dimostrano, purtroppo, che spesso l’amministrazione conclude in questi casi per la pericolosita’ del soggetto (e quindi per l'espulsione dello stesso) in via quasi automatica, senza valutare gli altri elementi che invece la legge impone di tenere in considerazione, ossia:- l'eta' dell'interessato;- la durata del soggiorno sul territorio nazionale;- le conseguenze dell'espulsione per l'interessato e i suoi familiari;- l'esistenza di legami familiari e sociali nel territorio nazionale e l'assenza di tali vincoli con il Paese di origine. Lo straniero che voglia evitare tali conseguenze sara’ quindi costretto a procurarsi un legale e ricorrere al Tar contro il decreto del Questore di revoca del permesso di soggiorno, ed eventualmente al Giudice di Pace contro il provvedimento di espulsione, il tutto per difendersi da atti che costituiscono il chiaro indice di una ingiusta discriminazione.

Servizio Civile

Servizio civile: per Riccardi “l’ammissione degli stranieri stravolgerebbe la finalità di difesa della patria”

(Red.) Roma, 27 febbraio 2012 - Né italiani né stranieri, il servizio civile nel 2013 sarà fermo per mancanza di fondi. È quanto ha annunciato il ministro per la Cooperazione e l’Integrazione, Andrea Riccardi, rispondendo a due interrogazioni urgenti che chiedevano, tra le altre cose, anche di estendere il servizio civile ai giovani stranieri dopo la sentenza del Tribunale di Milano.“Non sarà possibile garantire la presentazione dei progetti di servizio civile da parte degli enti – ha detto Riccardi – e, di conseguenza, non potrà essere avviato alcun volontario nel corso del 2013”. Il ministro ha però sottolineato che il Governo è al lavoro per reperire risorse: “Sono consapevole della grande rilevanza del servizio civile per la formazione dei giovani e per il sostegno che essi danno in settori di vitale importanza per il Paese – ha detto – per questo mi sto battendo per reperire le necessarie risorse finanziarie”.Più delicata invece la questione dell’apertura del servizio civile ai giovani stranieri. “L’ammissione degli stranieri al servizio civile nazionale – spiega Riccardi – avrebbe l’inevitabile conseguenza di stravolgere la finalità di difesa della patria”. E ha ricordato un altro ricorso, presentato a Brescia sullo stesso tema, rispetto al quale il giudice del lavoro si è dichiarato incompetente, in quanto “la struttura del servizio civile prescinde da ogni presupposto di corrispettività e dunque non è riconducibile a forme di collaborazione coordinate e continuative di carattere personale”. Tuttavia in alcune regioni il servizio civile è stato già aperto agli ragazzi stranieri, un “doppio binario” che per Riccardi “trova fondamento nell’ambito del principio di solidarietà, sancito dalla Costituzione”.

Foreign Press

Coca Cola challenge over orange harvest linked to “exploitation and squalor”

(www.theecologist.org) Andrew Wasley reports from Rosarno

It is perhaps the worst address in Western Europe. A ramshackle slum with a noisy road on one side, a railway on another, and a stagnant-looking river flowing close-by. The camp itself consists of little more than a collection of shoddily-erected canvas tents and some abandoned buildings and sheds. Behind the wire fence, fires burn amid piles of rubbish – discarded wholesale-sized tins of olive oil, plastic bottles, newspapers, food scraps and other unidentifiable filth. Woodsmoke stings your eyes. As the winter sun falls, the scene is almost apocalyptic; dozens of migrants swarm around us – cooking, chopping firewood, calling out, trying to keep warm – their figures silhouetted against the flames. They are from Africa – Ghana, Burkina Faso, Ivory Coast – and this squalid camp, where doctors say conditions are as bad, or worse, than in refugee camps in war zones, is currently home to at least two hundred itinerants. The migrants are here in Rosarno, in Calabria, southern Italy, to harvest the region's extensive orange crop. Each winter, as many as 2000 migrants travel to this small agricultural town to scratch a living picking oranges that will end up on sale in markets and supermarkets, or as juices or concentrates used in the manufacture of soft drinks. But these fruit products could be linked to a life of squalor and exploitation for some of those working at the bottom of the supply chain, an investigation by The Ecologist has revealed. Campaigners are now calling on multinational food and drink firms purchasing orange ingredients from the region to help address the problem. Italy's largest farmers association says it has written to several companies – including Coca Cola, manufacturer of the Fanta orange drink – complaining that prices paid for orange concentrates are unfair, and fostering unpleasant conditions. Coca Cola denies any wrongdoing and says its direct Calabrian supplier was given a clean bill of health by an independent auditor as recently as last May, but admits the nature of the supply chain means it is unable to audit every farm or consortium whose juice may be bought by its supplier. Many of the African migrants are in Italy illegally, having crossed the Mediterranean in often treacherous conditions in order to seek out a better life, or secure employment to send money back to their families. Most move between the major agricultural regions – Puglia, Campania, Sicily, Calabria and Basilicata – seeking piece work during the seasonal harvests of oranges, lemons, kiwis, olives, tomatoes and melons. There's thought to be around 50,000 migrants, mainly Africans, a few Eastern Europeans, currently existing like this across Italy.

Squalor and slums - They typically earn 25 Euros (£21) for a day’s work in the Calabrian orange groves. They are often recruited by gangmasters acting on behalf of farm owners cashing in on the ready supply of cheap labour. The gangmasters, both Africans and Italians, can charge workers for transport to and from the orange farms – typically between 2.5 to 5 Euros – and sometimes make other deductions from wages paid by farmers. Many of the migrants in Rosarno and the surrounding countryside live in appalling conditions, in run down buildings or in makeshift slums on the edge of town. There's no electricity or running water. In many cases there's no functioning roof. In the town's largest slum some workers 'are forced to sleep outside, even in winter', according to Solomon, a migrant from Ghana who has been here for two months. 'Conditions are not good, as you can see,' he tells The Ecologist, gesturing to the chaotic camp around us when we visit at night. Solomon says has been in Italy itself for three years, in Naples before Rosarno, and came 'for economic, for financial reasons.' Another migrant, who doesn't give his name, says he came from Ghana because there was work here, and money to be earned. He had 'no idea' this would be where he would live. Food parcels from local activists arrive whilst we are there - hot pasta from a local restaurant, some tinned food and other staples. One migrant agrees to distribute the provisions – not enough to go round for sure, but something. When we return the following day some of the migrants become unhappy at our presence – they say they are tired of journalists photographing them in this condition. One throws a stone. An angry confrontation begins, people gather around, there's shouting, in Italian, in French, in English. The situation is diffused only by the intervention of our guide, and we agree to leave. Some of the migrants are drunk. One, outside the camp's entrance, pulls up his trouser leg to show an injury he says prevents him from getting any work. 'I have two children back at home [in Africa], no papers, now this [the injury]... what can I do?' Many want to return home but are trapped – with no money, no documents and no means of escape. At a nearby slum, Mambure is one of twenty workers living in a disused farm house. From Burkina Faso, he has spent nine years in Italy. 'Every day we go into [Rosarno] to wait for work harvesting oranges,' he says. 'But at the moment there is no work, it is difficult to earn money... all of us here have no work,' he says. Mambure says he's managed to do 'less than a month' of paid work in this year's orange harvest.  'I only have one statement,' he says, 'I want to go home.' The workers don't want The Ecologist to see the conditions they are forced to endure inside the farm building. A few miles miles up the road, however, at another crumbling house – until recently home to a group of migrants – pots and pans, empty cereal packets and food wrappers litter the stone floor. There's a fireplace in what served as a makeshift kitchen. It's filthy. Upstairs, clothing, bedding and rubbish is strewn across a room that had clearly been used for sleeping. Outside a mattress has been thrown in a ditch. About half of Rosarno's seasonal workers – including most of the Eastern European migrants who also come to region seeking employment – live in paid-for accommodation, organised by gangmasters or through private landlords. Even here conditions can be poor, say welfare groups, with many migrants living in overcrowded flats or apartments.

Hard labour - For those that find work during the annual harvest, conditions can be tough and the pay low. Migrants typically earn around 25 Euros for a day's work. It can be less or more depending on the individual farmer, the market rate for oranges, and whether a gangmaster makes deductions for transport or other 'services'. At one farm visited by The Ecologist, half a dozen migrants are working in the orange groves, picking the fruit – some standing on the ground, some having climbed into the trees themselves – before loading them into crates and stacking ready for collection. Sogo talks while he harvests. He's 28, and from Mali, and says that although the work is hard he has managed to save some money to help build a house back home. 'I've been in Italy for ten years. If production is good then we manage to get paid,' he says. The migrant says he spent his first year in Italy in the 'ghetto' – the slums in Rosarno – although he know lives in an apartment in the town. He never planned to stay in Italy for so long. 'I have 30 people in my family and originally, 10 years ago, my plan was to return home,' he says. 'Now it is difficult to earn [enough] money to send home [to support them].' The workers at this farm won't confirm how much they are paid or whether gangmasters are involved. The farmer who employs them, Alberto Callello, who mainly produces oranges for eating and also some industrial-grade fruit destined for processing, maintains workers get a reasonable deal. '25 Euros is the minimum wage, it is a poor wage but it is a poor economy. Poor but not exploitation,' he says. Callello, who is part of a co-operative representing 8 or 9 farmers, and who is currently trying to convert to organic production, blames the economics of orange farming and the wider supply chain for the conditions. He says the market price has fallen below the cost of production: 'I get 7 cents per kilo for industrial oranges (used for concentrates) but need 8 cents per kilo to pay workers, so there is a paradox.' 'At the end of the chain is a clash with poor people,' he says. The farmer sells his oranges to a local processing plant which in turn sells to larger processing companies which then process the fruit for large food and drink firms.

Medical aid - Back in Rosarno, the medical charity Emergency is operating its twice-weekly mobile clinic – a specially converted coach with consultation and treatment rooms, and facilities for carrying out basic medical procedures. Staff say they expect to see 40 patients tonight: 'They come in with muscle and skeletal conditions, respiratory problems, and may need specialist doctors such as a dentist,' says Dr Luca Corso. 'We have started to see, particularly since the beginning of January, some cases that can be linked to working activities; mainly the improper use of pesticides and fungicides used during this season', the doctor says. 'Mostly cases of irritating phenomena, for example contact dermatitus in exposed areas such as hands and face, or conjuctivitus because the eyes are exposed.' Angelo Moccia, operations manager of the clinic, says that conditions here are worse than those he'd previously encountered in Congo. Andrea Freda, the clinic's nurse, adds: 'Conditions are not so different in Afghanistan to here.' Although officially Italian hospitals are supposed to offer treatment to migrants – even those in the country illegally – there have been cases of workers being refused treatment, according to medical officials, with some migrants afraid to seek help because they fear being sent to interment camps. Medicine Sans Frontiers previously responded to the crisis by distributing emergency hygiene kits consisting of sleeping bags, soap, toothbrushes and toothpaste. In a report the group described conditions in southern Italy quite simply as 'hell.' The situation briefly improved in early 2010 after the authorities intervened following the shooting of two migrants in Rosarno: the incident led to widespread rioting, and revenge attacks by local vigilantes. Shocked by the ferocity of the violence, and with pictures of the disturbances broadcast around the world, the authorities bussed many migrants out of town for their own safety. Several of the larger slums were demolished.  Workers quickly flocked back however and conditions deteriorated. In response, the authorities have recently moved to house some migrants in temporary refugee camps. The Ecologist was given a tour of a brand new 'tent city' constructed next to an industrial estate just outside the town. The camp, although basic, will see six migrants housed per tent, each equipped with proper beds, light and heating. Flush toilets stand ready outside. You'd expect to find a camp such as this on the edge of a conflict zone, or after a major natural disaster. In a nearby compound, local government officials show us a more permanent camp recently constructed. Eighteen portacabins house up to 108 migrants. There's an infirmary where a doctor visits once a week, a laundry, and each cabin has two rooms, a bathroom and a kitchen. The migrants acknowledge that life in the camp is better than in the 'ghetto', but they still see no easy way out. 'It is a big question', says Daniel, 28, 'How do you go home?' Having been held in a detention camp in Libya after leaving Ghana, once released he quickly joined a boat heading towards Europe. But it hit rocks off Sicily, he says, 'Three migrants drowned... after we landed the police rescued us.' Elisabetta Tripodi, the mayor of Rosarno – who is forced to live under 24-hour protection; this is Mafia country – later tells us that there are plans to expand the number of beds in camps by 150. Tripodi acknowledges the migrant issue is a scandal – bad for the town and for those involved: 'The biggest problem concerns inclusion – they stay only for a few months, they arrive and go, arrive and go.'

Unfair prices - Italy is a major producer of citrus fruits – around 3.6 million tonnes are cultivated from approximately 170,000 hectares of land. Calabria is the second biggest orange growing area, producing more than 870,000 tons in 2009. The majority of the oranges grown around Rosarno are cheap, industrial grade fruits favoured for processing into concentrates. Italy's orange sector faces increasing competition from other producing countries including Brazil, China, the US, Mexico and Spain. According to Pietro Molinaro from Coldiretti Calabria, the regional branch of Italy's largest farmers association, overseas competition combined with the low prices paid by large companies has resulted in orange growing becoming unviable for many farmers. They are – literally, he says – 'being squeezed.'  'This area is facing a big problem: the price big companies pay for this juice is not fair,' he says. 'All in all they force the small processing plants in the area – those that squeeze oranges and produce concentrate – to underpay for [the] raw materials.' Farmers themselves say this is why they are reliant on cheap, migrant labour: 'Young Italians are not likely to want to work in the fields... the only way is to use migrant workers because of the low wages connected to the harvest,' says Alberto Callello. Molinaro believes it was this situation that ultimately led to the violence in 2010. 'This twisted mechanism is the cause of the riots in Rosarno two years ago. International media showed only racism, social tensions, not the real reason...,' he says. Campaigners say the nature of the current orange supply chain – with processors sourcing from multiple co-operatives and farmers – and the widespread use of migrant workers, make it virtually impossible for companies sourcing from the region to avoid procuring 'tainted oranges'. Coldiretti Calabria last year wrote to all the firms it says purchase orange ingredients from Calabria, including Coca Cola, highlighting what it believes are unfair prices paid for raw materials – a situation it says is partly fostering unpleasant conditions for workers. The group claims it never received a response. Coca Cola said that to the best of its knowledge the letter shown to it by The Ecologisthad not been seen by its office. The company said it was incorrectly addressed and related to another company's product.    Coca Cola promotes its Fanta drink in Italy as being '100 per cent' made from Italian oranges. The company confirmed it sources from the Calabrian region, but said its supplier was given a clean bill of health by an independent auditor as recently as last May. It admitted however that the nature of the supply chain means it is unable to audit every farm or consortium whose juice may be bought by its supplier. There is no suggestion the company or its direct suppliers are involved in bad practice or wrongdoing. In a detailed statement the company said: 'We have reviewed our audit records and found that our most recent audit of our juice supplier in the Reggio Calabria area was in May 2011. We have confirmed that none of the concerns you have raised was found during that independent, third-party audit. The majority of the juice we procure from this area is used in products for our Italian market. 'Our supplier is a juice processor that gets most of its raw materials from consortiums or collectives that buy from many farmers. While we cannot audit every consortium and independent farmer, our supplier does have declarations from a wide number of the consortiums stating that they comply with Italian labour laws. While we certainly encourage respect for human rights and good workplace practices throughout the entire supply chain, we are limited to auditing only our direct suppliers,' the statement continued. The company added that it is a 'is a firm supporter of workplace and human rights', and pointed to several examples, including the convening of workshops on child labour and human trafficking. In Rosarno, as word spreads about the establishment of the tent camps, many migrants are trying to find out how – and when – they could be moved. But despite this, there's continued anger and resentment at the treatment they receive, and the intolerable conditions they endure. Diallo, from Guinea, who's been prominent in trying to raise the plight of the orange workers with politicians and in the media, is blunt: 'I tell them, we are not criminals, I am working, they are exploiting us. We don't have nobody to help... [this is] apartheid, colonisation, silent colonisation, silent slavery. There's no future.' Note: some names have been changed. Additional research & reporting: Gianluca Martelliano

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“DEAFENING SILENCE” was the phrase chosen by Joseph Daul, chairman of the European Parliament’s biggest party. He was describing the Dutch government’s response to acontroversial website set up by Geert Wilders's far-right Freedom Party that solicits complaints about east and central Europeans living and working in the Netherlands. Mr Daul invited Mark Rutte, the Dutch prime minister, to break his silence and explain his government’s position in front of the parliament. Actually, “dismissive laughter” may have been a panfairer description of Mr Rutte’s reaction to the website. Less than a week after it was set up he was asked to distance himself from it. He refused, saying that his government could not react to every stunt pulled off by political parties. But there is something that sets this particular party aside: it keeps Mr Rutte’s fragile government afloat in parliament, giving it a majority of a single vote. The Freedom Party's backbench support for the minority coalition is detailed in a document accompanying the coalition agreement formed after 2010's parliamentary election. The finer details of this complicated construction have been lost on the ten ex-communist countries inside the European Union. This week ambassadors from the ten in The Hague asked Mr Rutte and other Dutch party leaders to distance themselves from what they called a “deplorable” and “clearly discriminatory” initiative. The website in question gives visitors an opportunity to report various types of nuisance, from noise to drunkeness, by migrants from these countries, as well as “loss of employment” suffered at their hands. As a carrier of a Polish passport resident in the Netherlands, I duly reported myself as having stolen a job, and can confirm that the site sends an efficient confirmation of receipt. The Freedom Party promises to present the results of its efforts to the Dutch social welfare minister, and to ask for an adequate response from the government. Once known exclusively for his fiery anti-Muslim rhetoric, Mr Wilders has started to diversify his populist repertoire. In recent months he has been foraying into various forms of Euroscepticism, including criticism of Greek bail-outs and a recent pandering to growing anti-Polish sentiment. As he has previously done with immigrants from Turkey and Morocco, with his latest effort Mr Wilders builds on a number of justified grievances against a limited number of social ills brought by immigration. Such tactics, combined with his antiestablishment rhetoric, have previously proven a potent political recipe. In 2010's election the Freedom Party took 15% of the vote, giving it a kingmaker position in parliament. Mr Wilders's message has begun to permeate mainstream politics. Even the usually moderate Christian Democrats have, since the last election, proclaimed the “failure of a multicultural experiment" and the “right of the Dutch people to feel at home in their own country.” More importantly, it has also permeated Dutch policymaking. In exchange for Mr Wilders’s support for its harsh budget cuts, the government has agreed to stricter immigration policies and a number of symbolic anti-Muslim measures, such as a ban on wearing the niqab. But Mr Wilders has also been losing support in the polls. A fall of about 2.6% may not seem much, but a for a movement that had grown used to steady growth it has become a cause for nervousness. (This may help explain the decision to create the controversial website.) But this droop in the polls may have more to do with personality than policy. Mr Wilders's views remain popular, as shown by the steady rise in support for the left-wing Socialist Party, whose leader, Emile Roemer, insisted this week that he fully “understood the sentiment” behind the Freedom Party's website. The two parties look set to join battle to win the populist vote. Some 49% of Dutch voters say they would in principle be ready to vote for one of the two parties. For a long while members of the Dutch political establishment have tolerated Mr Wilders’s wayward populism, wanting to show that they are listening to voters who feel like they are on the losing side of the globalisation debate, or that they have been left to their own devices in neglected immigrant neighbourhoods. But there is a thin line between the desire to demonstrate openness to all voices and the tacit endorsement of unabashed hate-mongering and discrimination. No matter Mr Rutte's personal feelings about the website, if he fails to speak out the broader European public will make up its mind on which side he stands.

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