TYCHE E IL CONTROLLO DEL DESTINO NEI PERSONAGGI DI MENANDRO · Menandro sono presumibilmente lo...

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1 TYCHE E IL CONTROLLO DEL DESTINO NEI PERSONAGGI DI MENANDRO Prof. Anna Rosa Termini Lezioni di civiltΰ e cultura classica” Liceo Classico J. Stellini Udine 7 marzo 2008 La mia conversazione di oggi verterΰ su Menandro e in particolare sulla presenza, sull'importanza ed eventualmente sul senso di Tyche nelle sue commedie. Partirei senz'altro da un breve cenno a Tyche. Personificazione dell'influenza capricciosa e mobile, talora funesta, piω spesso favorevole, che si manifesta nella vita degli individui e delle nazioni e che, senza apparente regola logica nι morale, dispensa successi o infligge rovesci” 1 .Tyche θ una delle tante forme che l'idea di destino assume nel mondo greco. Si tratta di una divinitΰ del tutto speciale. Rispetto ad altre (per esempio le Moire) θ piω recente. Un culto vero e proprio di Tyche si diffonde solo in etΰ ellenistica, come protettrice di cittΰ o incarnazione della fortuna di un sovrano 2 . La sua diffusione θ collegata alla presenza di personalitΰ straordinarie, che compiono imprese senza precedenti. Alessandro θ il caso piω evidente, ma non dimentichiamo Timoleonte di Corinto, l'uomo che nel giro di pochi anni, baciato da una fortuna incredibile, libera quasi tutta la Sicilia dai tiranni (Plutarco gli dedica una Vita, Alfieri una tragedia). Timoleonte, dopo aver rifondato la cittΰ di Siracusa, dedica un sacello alla dea della fortuna. 3 Tyche θ onnipresente in tutta l'etΰ ellenistica; a lei s'ispirano architetti e scultori, organizzatori di feste, romanzieri e uomini di teatro. Anche l'iconografia ellenistica θ piena di Tyche (statue, rilievi, monete e monili). Moneta con Tyche sul verso 1 E' la limpida definizione di Daremberg-Saglio. La traduzione θ mia. Cfr. J.A. HILD, s.v. “Fortuna Tuch” in Daremberg-Saglio, Dictionnaire des Antiquitιs Grecques et Romaines, vol. F-G, 2 tomo, Paris, 1896, pp. 1264- 1277. 2 Tyche θ presente giΰ nell'Inno a Demetra e nella Teogonia di Esiodo e in genere in tutta la letteratura greca, in Pindaro e nelle tragedie di Euripide in particolare, ma si tratta di una figura letteraria e poetica piuttosto che di una divinitΰ con un culto popolare. 3 Per altri dettagli su Timoleontencfr. ZANETTO 1998, p. 529.

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TYCHE E IL CONTROLLO DEL DESTINO NEI PERSONAGGI DI MENANDRO

Prof. Anna Rosa Termini “Lezioni di civiltΰ e cultura classica” Liceo Classico J. Stellini Udine 7 marzo 2008

La mia conversazione di oggi verterΰ su Menandro e in particolare sulla presenza, sull'importanza ed eventualmente sul senso di Tyche nelle sue commedie. Partirei senz'altro da un breve cenno a Tyche. “Personificazione dell'influenza capricciosa e mobile, talora funesta, piω spesso

favorevole, che si manifesta nella vita degli individui e delle nazioni e che, senza apparente regola logica nι morale, dispensa successi o infligge rovesci”1.Tyche θ una delle tante forme che l'idea di destino assume nel mondo greco. Si tratta di una divinitΰ del tutto speciale. Rispetto ad altre (per esempio le Moire) θ piω recente. Un culto vero e proprio di Tyche si diffonde solo in etΰ ellenistica, come protettrice di cittΰ o incarnazione della fortuna di un sovrano2.

La sua diffusione θ collegata alla presenza di personalitΰ straordinarie, che compiono

imprese senza precedenti. Alessandro θ il caso piω evidente, ma non dimentichiamo Timoleonte di Corinto, l'uomo che nel giro di pochi anni, baciato da una fortuna incredibile, libera quasi tutta la Sicilia dai tiranni (Plutarco gli dedica una Vita, Alfieri una tragedia). Timoleonte, dopo aver rifondato la cittΰ di Siracusa, dedica un sacello alla dea della fortuna.3 Tyche θ onnipresente in tutta l'etΰ ellenistica; a lei s'ispirano architetti e scultori, organizzatori di feste, romanzieri e uomini di teatro. Anche

l'iconografia ellenistica θ piena di Tyche (statue, rilievi, monete e monili). Moneta con Tyche sul verso

1 E' la limpida definizione di Daremberg-Saglio. La traduzione θ mia. Cfr. J.A. HILD, s.v. “Fortuna Tuch” in

Daremberg-Saglio, Dictionnaire des Antiquitιs Grecques et Romaines, vol. F-G, 2 tomo, Paris, 1896, pp. 1264-1277.

2 Tyche θ presente giΰ nell'Inno a Demetra e nella Teogonia di Esiodo e in genere in tutta la letteratura greca, in Pindaro e nelle tragedie di Euripide in particolare, ma si tratta di una figura letteraria e poetica piuttosto che di una divinitΰ con un culto popolare.

3 Per altri dettagli su Timoleontencfr. ZANETTO 1998, p. 529.

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Tre Tychai Museo del Louvre Tra le varie tipologie due risultano di grande successo: quella che vede la dea in piedi

(ricco panneggio, atteggiamento matronale, cornucopia o timone come attributi, talora tiene in braccio il dio della ricchezza, Pluto) e quella che vede la dea seduta.4

Tyche in piedi

Tyche in piedi

Tyche di Antiochia

Tyche di Antiochia

4 Sull'iconografia cfr. ZANETTO 1998, pp. 530-531.

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A questo secondo tipo appartiene la famosa statua di Tyche di Antiochia sull'Oronte5. In questi casi si tratta sempre di divinitΰ benefica, che apporta ricchezza e fortuna ai cittadini. Naturalmente anche prima c'erano divinitΰ che proteggevano i cittadini (Demetra, Dioniso, Zeus e Atena) ma queste divinitΰ implicavano un ricco simbolismo mitologico. Invece Tyche non ha un mito , θ un ungφttlicher Gott, secondo la definizione di Wilamowitz. E' stato osservato che “essa sostituisce i vecchi Dei togliendo tutto ciς in cui l'uomo antico esprimeva il senso della trascendenza.” 6Questo farebbe del culto ellenistico di Tyche un culto di carattere profano se non addirittura ateo. Inoltre Tyche non θ sempre benevola. Nella letteratura ellenistica θ anche un demone cieco, che non indirizza gli uomini alla felicitΰ ma li travolge senza ragione con le vicende della vita; contro la sua potenza θ inutile lottare frontalmente. In questo senso θ avvenuta una sua potente metamorfosi: in Pindaro Tyche arride ai migliori, ai piω forti, ai vincenti, in Menandro la Tyche ellenistica θ talvolta la consolazione dei deboli. “L'uomo ellenistico (...) si sente impotente di fronte alle tychai che lo travolgono senza posa, senza rientrare in nessun ordine del mondo, anzi proprio perchι un ordine manca” 7E' noto come questo atteggiamento di rassegnazione porti a ciς che chiamiamo fatalismo, un atteggiamento che θ assai facile rintracciare nella letteratura ellenistica e che, a livello culturale piω generale, decretς in quell'epoca come ai giorni nostri il successo di numerose pratiche consolatorie quale, per esempio, il ricorso all'astrologia.

Tyche in bilico sulla cornucopia

Tyche di Antiochia, francobollo Italia 1953

Quando ero liceale Menandro si leggeva in genere assai poco. Forse non piaceva ai nostri insegnanti o forse in quel periodo il clima suggeriva altre letture, o forse semplicemente Menandro era caduto in un contingente oblio. Niente di strano, visto che il commediagrafo 5 Sulla Tyche di Antiochia vedi, per esempio, MORENO 1994, pp. 158 ss. e figg. 207-209. 6 MAGRIS1985 p. 490 7 MAGRIS 1985, p.491

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ha patito ben altri momenti di oscuritΰ. Risalendo ancora piω in lΰ, ai tempi di mia nonna, sospetto che Menandro non si leggesse per niente, e questo per forza, dato che Menandro, come ben sapete, ci θ stato in gran parte restituito dalle scoperte papiracee, sempre piω numerose a partire dagli inizi del secolo scorso nι sembrano ancora esaurite: pochi anni or sono (2003) l' italiano Francesco D'Aiuto8 ha scoperto quattrocento versi di Menandro in un palinsesto siriaco del IX secolo.9

Frammento del Sicionio in un cartonnage di mummia

CONTESTO STORICO Sapete bene che sullo sfondo di Menandro c'ι quel mondo, che da due secoli chiamiamo ellenistico10, il cui inizio θ fissato al 323 a. C. (morte di Alessandro Magno) e la cui fine coincide con la conquista romana dell'Egitto nel 31 a. C. e con lo smantellamento del sistema formatosi alla morte del macedone. Oggi non θ nemmeno il caso di tentare una descrizione degli elementi che caratterizzano questo periodo, perciς confido che questo vi sia noto e comunque so che lo studierete a fondo tra breve. Vorrei tuttavia richiamare la vostra attenzione su alcuni fatti che riguardano piω da vicino Menandro. Egli θ nato ad Atene nel 342 ed θ morto nel 293.

L'ATENE DI MENANDRO Questa cittΰ dal 317 al 307 θ una sorta di principato, uso questa parola per quanto imprecisa, sotto il governo del peripatetico Demetrio Falereo11. Questi, discepolo di Teofrasto, governa la cittΰ per conto di Cassandro, con un regime moderato e oligarchico (ecco un'altra definizione di non facile comprensione), ispirato alla filosofia peripatetica,

8 Professore di Bizantinistica all'universitΰ di Roma “Tor Vergata” 9 I versi appartengono per metΰ al Dyskolos e per l'altra metΰ presentano un testo comico, attribuito anch'esso a M.,

nel quale compaiono i seguenti personaggi: una ragazza, un neonato, una donna anziana. 10 Sulla formazione dell'idea di Ellenismo θ ancora di grande interesse CANFORA 1987. 11 Demetrio Falereo, uomo colto, oratore e letterato, durante il suo governo oligarchico e forse illuminato di Atene (317-307) cancella in buona parte il precedente sistema fiscale democratico e taglia, tra l'altro, il theorikon, quella tassa che aveva assicurato in altri tempi la fruizione di massa del teatro. All'epoca di Demetrio il pubblico a teatro θ composto dunque in prevalenza da artigiani e piccoli proprietari e questo θ un aspetto che c'interssa molto da vicino, per capire Menandro. Demetrio inoltre era stato alunno di Teofrasto e questa circostanza ci porta molto vicino a Menandro, anch'egli alunno di Teofrasto secondo una notizia di Diogene Laerzio che nulla sembra contraddire. Ora, tra le notizie che ci sono pervenute sul Falereo, scopriamo una cosa interessante e cioθ che avrebbe scritto un trattato sulla Tyche. Cominciamo quindi a intravvedere un entourage culturale e politico in cui possiamo immaginare la figura di Menandro. Come vedremo in seguito θ verisimile che Menandro e il Falereo condividessero una dimensione filosofica piω ampia.

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coltivando largamente il culto della sua persona, se θ vero che si fa erigere un numero impressionante di statue. Tuttavia Demetrio Falereo assicura ad Atene un periodo di pace e di relativo benessere, come forse la cittΰ non aveva piω conosciuto da lungo tempo. Ma nel 307 Antigono, uno dei principali successori di Alessandro, animato da mire espansionistiche, insieme al figlio Demetrio Poliorcete, si presenta con una flotta al Pireo e costringe Demetrio Falereo a fuggire12. Secondo una notizia di Diogene Laerzio “quando in Atene si misero in moto azioni miranti a colpire Demetrio sul piano giudiziario (...) poco mancς che fosse trascinato in giudizio anche Menandro, il commediografo, per la sola ragione che era suo amico”13.Atene, sotto la tirannide di Lacare, sembra toccare il fondo, avvilita e schiacciata. Antigono e Demetrio Poliorcete sono accolti come liberatori e insigniti di onori straordinari. La cittΰ θ investita poco dopo, nel 304, da una sanguinosa guerra tra Demetrio Poliorcete e Cassandro e piω tardi, nel 301, la battaglia di Ipso (Frigia) con la morte di Antigono segna l'inizio di una nuova spartizione delle province, mentre Demetrio Poliorcete esce per il momento di scena, ritirandosi a Cipro. Nel 294 Demetrio Poliorcete torna alla conquista della cittΰ che, affamata da un lungo assedio, cede. Segue un copione consueto: il Poliorcete perdona gli ateniesi, “restituisce” loro la libertΰ, figura come il salvatore della capitale delle lettere e delle arti. Questo breve riassunto evoca l'atmosfera di una cittΰ in balia di uomini che si stanno battendo all'ultimo sangue per ridisegnare i confini dell'impero ereditato da Alessandro. In questa Atene la vita culturale sembra ridursi a due soli settori: la filosofia e la commedia.

MENANDRO Per forza di cose devo limitare le notizie sulla vita di Menandro a pochissimi cenni, i soli che potrebbero risultare utili per noi oggi. Conosciamo circa un centinaio di titoli di sue commedie. Da vivo ottiene solo otto vittorie ma la sua fama cresce dopo la morte14. Tuttavia le sue commedie dovevano essere conosciute e diffuse, se θ vero che, come ho ricordato poco fa, alla caduta del Falereo Menandro fu invitato alla corte egiziana. Non va dimenticato che nello stesso anno di Menandro nasce anche il grande Epicuro e che i due furono efebi nello stesso periodo (323/2). Per altro sappiamo anche che Menandro sarebbe stato discepolo di Teofrasto e quindi verisimilmente vicino al Peripato.

Epicuro

Efebo

12 Demetrio Falereo fugge nel 307 in Beozia, poi in Egitto presso Tolomeo Soter, di cui diventa anche consigliere. In

seguito θ esiliato da Tolomeo Filadelfo. 13 Diog. Laert., 5, 79 14 Esordisce nel 325/4 e ottiene la sua prima vittoria nel 322/321 alle Lenee con l'Orgι. Il Marmor Parium fissa la sua

prima vittoria in Atene al 316/5 ma forse si riferisce alle Dionisie.

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Menandro θ il piω importante esponente della cosidetta Commedia Nuova15. E il pubblico di Menandro? Si tratta di artigiani e piccoli proprietari acculturati, una sorta di classe media (Rostovcev parlava di “borghesia” , anche se oggi nessuno userebbe questo termine) che sembra essere l'ossatura di una cittΰ che ha perso la libertΰ ma sopravvive meglio di tante altre, in un modesto equilibrio di retroguardia, soprattutto nel periodo del governo di Demetrio Falereo (θ bene ricordare che il Falereo abolμ il theorikon, la tassa che aveva assicurato in altri tempi la fruizione di massa del teatro). Le commedie di Menandro sono presumibilmente lo specchio di questa nuova societΰ angusta e impoverita.

PRESENZA DI TYCHE NELLE TRAME DELLE COMMEDIE SUPERSTITI

Vorrei illustrare la trama delle commedie superstiti, per vedere quale sia il rapporto dei personaggi con Tyche, da una parte, e con il senso di responsabilitΰ e di padronanza del proprio destino. Avevo pensato di dare per scontate le trame ma forse vale la pena di ripercorrerle. L'ordine θ alfabetico, visto che l'unica databile θ il Dyskolos (317/6)16. Vi avverto: le trame17 sono assai complicate, dopo i primi grovigli di parentela forse non capirete piω nulla. Come sapete la stessa ricchezza di situazioni e di colpi di scena: rapimenti, pirati, fanciulle ingravidate, neonati esposti, amori contrastati e difficili, ereditΰ si trova anche nel Romanzo di etΰ ellenistica18. I personaggi sono vecchi spilorci e misantropi, giovani innamorati, entusiasti e immaturi, soldati impulsivi, etere sentimentali, donne provate dalla vita, servi intraprendenti.

15 Giΰ in antico fu elaborata in ambiente alessandrino una distinzione della Commedia in tre fasi: Antica, di mezzo e Nuova. La commedia Antica θ naturalmente quella politica di Aristofane; quella di mezzo θ di controversa definizione, anche perchι nessuna delle commedie di questa fase ci θ giunta per intero e c'ι anche chi ritiene questa classificazione artificiosa sin dall'origine della sua formulazione: cfr. CANFORA 1986, p. 497. 16 E forse anche la Pericheiromene, che contiene un riferimento al 314 a. C.. 17 A proposito della struttura delle commedie menandree vedi, p. es., LANZA 1995: per quanto ne sappiamo

Menandro θ stato il primo a inaugurare la commedia a intreccio, fondata su di un meccanismo ingarbugliato di equivoci. Anche lo scioglimento finale, la lysis, che in Aristotele θ principalmente la liberazione, in Menandro θ solo il districarsi ultimo dell'intreccio. Quanto al finale, tutte le commedie di Menandro prevedono un lieto fine, una riconciliazione generale, fatta eccezione forse per l'Aspis (di cui perς manca il V atto). Secondo Lanza questa del lieto fine θ una novitΰ; noi ci saremmo abituati per via del teatro goldoniano (con l'eccezione de La bottega del caffι di Goldoni) ma, se si pensa al teatro romano, questa non θ affatto la regola: c'ι sempre qualcuno che resta beffato ed escluso. In Menandro inoltre la riconciliazione finale prevede quasi sempre anche il matrimonio, “potenziale ponte tra le classi sociali”.

18 Segnalo l'interessante argomento sviluppato da ZANETTO 1998, pp. 538 ss., secondo il quale rispetto alla Commedia Nuova, la percezione di Tyche nel romanzo ellenistica sarebbe di segno diametralmente opposto.

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Vecchi spilorci e misantropi

Donne di carattere e sentimento

Sono tentata di pensare che le commedie menandree ricordano tanto certe fictions odierne.

Beautiful

ASPIS, (Lo scudo).LA TRAMA. Un vecchio avaro (Smicrine) viene a sapere una

notizia falsa: il nipote (Cleostrato) θ morto in guerra, lasciando un ricco bottino. L'avaro ha un fratello (Cherestrato), una persona per bene. Presso di lui vive la sorella di Cleostrato, che θ giΰ promessa in sposa al figliastro di Cherestrato, Cherea. La ragazza, diventata di colpo un'ereditiera, fa gola all'avido Smicrine, che si fa avanti, suscitando lo sconcerto generale. Interviene allora il servo Davo ed escogita un piano: bisognerΰ fingere che Cherestrato sia morto: a quel punto la figlia di quello diventerΰ un'ereditiera ben piω appetibile per il vecchio sporcaccione e la sorella di Cleostrato sarΰ libera di sposare Cherea. Qui s'interrompe il testo della commedia ...da quel che sappiamo la situazione si risolve con il ritorno di Cleostrato, che era stato creduto morto per un equivoco relativo al suo scudo (di qui il titolo).

L'azione θ appena avviata quando compare in scena Tyche, si rivolge agli spettatori, fornendo a chiare lettere la spiegazione stessa dell'equivoco (la supposta morte di Cleostrato) che darΰ materia alla trama. Esordisce dicendo:

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“Se queste persone avessero davvero avuto una disgrazia, io, che sono una dea, non

terrei loro dietro19. Ma non sanno e vagano nell'errore”20 Quindi sciorina tutto il retroscena e addirittura anticipa il finale, e conclude: “Ora devo dirvi il mio nome: sono la dea che arbitra e amministra tutte queste vicende,

la Fortuna”. 21

A proposito dell'inizio di questa commedia θ stato osservato che “porre un'azione drammatica sotto l'egida della Tyche non comporta(va) una caratterizzazione propriamente religiosa della vicenda, quanto piω genericamente una visione del mondo incerta tra caso e determinazione”22 e le parole di Tyche mi sembra che proprio a questo facciano pensare.

Se dunque il pubblico sa giΰ come stanno le cose e anche come andranno a finire, mi sembra si possa dire che l'interesse dello spettacolo non sta certo nel mistero dell'evoluzione della vicenda, quanto nell'interesse per il modo in cui i personaggi metteranno in campo i propri sentimenti e desideri, affronteranno i loro conflitti, le delusioni e le soddisfazioni. Si puς osservare che la presenza di Tyche θ senz'altro dominante e sovrasta gli uomini, se non altro perchι conosce ciς che loro sono ben lontanti dal sospettare; tuttavia se θ vero che essi corrono su una pista che θ giΰ scritta, resta loro la facoltΰ di scegliere il modo. Possono farlo come il vecchio avaro e spudorato Smicrine, oppure come quel galantuomo di suo fratello, o ancora come l'intelligente servo Davo.23

Menandro mosaico tunisino

DYSKOLOS . (Diskolos θ parola poco traducibile: ci hanno provato con Il

misantropo, Lo scorbutico, Il bisbetico)24 LA TRAMA. Cnemone θ un vecchio dyskolos che vive isolato in campagnia insieme alla giovane figlia. Il dio Pan, impietosito dalla situazione della ragazza, fa in modo che di lei s'innamori

19 Perchι, se no, ne risulterebbe contaminata. 20 Aspis, vv. 96-99. La traduzione dei brani θ di G. Paduano cfr. PADUANO 1980. 21 Aspis, vv. 147-149. 22 PADUANO 1980, p. 346. 23 Di Davo colpisce l'acume psicologico e una certa patina culturale variamente esibita. Mentre sta macchinando il

tranello per bloccare le mire di Smicrine, θ sua l'idea di fingere che Cleostrato finga di morire: “(...) Del resto la maggior parte delle malattie hanno origine in un dolore; e tu per tua natura sei incline a tristezze e depressioni. Faremo venire un grande medico, che diagnosticherΰ pleurite o frenite, o qualche altra malattia fulminante” (Aspis, vv. 336-343)

24 Sulla difficoltΰ di tradurre in italiano il titolo vedi, p. es., PADUANO 1980, p. XII.

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fulmineamente Sostrato, un giovanotto cittadino e benestante. Sostrato vorrebbe sposarla subito ma comunicare con il dyskolos θ arduo: costui rifiuta qualsiasi rapporto umano e caccia in malo modo chiunque osi avventurarsi nella sua proprietΰ. Sostrato θ disposto a tutto, persino a travestirsi da contadino, per risultare meno sgradito al vecchio. Accade un incidente risolutivo: il vecchio Cnemone cade in un pozzo, sta per affogare, viene salvato da Sostrato. Esce da questa esperienza se non trasformato, almeno in parte riscattato dalla sua inguaribile selvatichezza. In una celebre scena ammette di non amare il genere umano, promette che cambierΰ un poco ma θ consapevole che non potrΰ forzare oltre un certo limite la sua natura solitaria e diffidente. Gran finale con doppio matrimonio.

La commedia si apre con un monologo di Pan. La presenza di questo dio θ stata interpretata nei modi piω diversi. Sembra tuttavia ragionevole pensare che qui Pan svolga l'identica funzione di Tyche nell'Aspis: “una Tyche (...) che fornisce le regole del gioco; lo spazio chiuso entro cui operano sentimenti volontΰ e ragione”25

Nel Diskolos troviamo anche un interessante discorso sul destino in bocca a Gorgia, figliastro del dyskolos. Gorgia, che vive con la madre (entrambi non reggono il diskolos), affronta Sostrato (il giovane cittadino ricco che si θ innamorato della figlia del misantropo), perchι teme che il giovanotto sia un malintenzionato e vorrebbe difendere la sorella:

“Io credo che per tutti gli uomini esista, sia nella sfortuna che nella fortuna, un limite, una possibilitΰ di mutamento. La vita dell'uomo fortunato resterΰ costante e florida fino a quando la godrΰ senza commettere ingiustizie. Ma quando arriva a questo punto, come sobillato dalla sua ricchezza, allora subisce un mutamento in peggio. Chi θ sfortunato, al contrario, se non fa nulla di male nonostante la stretta del bisogno e sopporta nobilmente le disgrazie, puς acquistare fiducia col tempo e aspettare una sorte migliore. Che voglio dire con ciς? Ricco come sei, non avere troppa fiducia nella tua condizione, non disprezzarci, noi che siamo poveri. Cerca anzi di mostrarti a tutti degno della tua fortuna.”26

Questo passo, al di lΰ della apparente banalitΰ del tema, mi sembra importante per chiarire il ruolo di Tyche : soprattutto quando Gorgia dice “Io credo che per tutti gli uomini esista, sia nella sfortuna che nella fortuna, un limite, una possibilitΰ di mutamento”; la parola chiave sembra essere metallaghι, la “possibilitΰ di cambiamento” che gli uomini possono e forse devono riservare a se stessi e agli altri, qualunque cosa Tyche abbia stabilito per loro.

Poco dopo Gorgia racconta al giovanotto di cittΰ tutta la sua orgogliosa povertΰ. Sostrato lo rassicura e poi gli chiede se lui, Gorgia, sia mai stato innamorato: la

25 PADUANO 1980, p. 347. 26 Dyskolos, vv.271-287.

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risposta di Gorgia θ tristissima:

Sostrato: “Ma, per gli dei, non sei mai stato innamorato, tu?” Gorgia: “Non me lo posso permettere”27

Piω tardi Sostrato si mostra perfettamente d'accordo con Gorgia e torna sugli stessi temi quando dice:

“(...) la ricchezza θ una cosa labile. Se sei convinto che i tuoi beni ti resteranno per tutto il tempo, allora guardati bene dal farne parte a qualcuno. Se invece non ne sei veramente padrone, se quello che hai non appartiene a te, ma alla fortuna, non devi esserne geloso. Forse giΰ la fortuna sta per toglierteli e darli a un altro, forse indegno. E per questo direi che tu devi, finchι li possiedi, usarli con generositΰ, aiutare gli altri, agevolare quante piω persone tu puoi28. Queste son cose che non muoiono e se tu ti trovi in difficoltΰ, otterrai in cambio lo stesso trattamento. Un amico aperto vale molto piω dei tesori nascosti sottoterra.”29

C'θ un altro intervento di Sostrato che mi sembra notevole. La vicenda θ avviata ormai al lieto fine quando egli osserva:

“ Bene. Finchι si possiede la ragione, non bisogna mai disperare di nulla; a tutto si arriva con la buona volontΰ e la costanza. Il mio caso ne θ un esempio; in un solo giorno ho concluso un matrimonio a cui nessuno avrebbe creduto.”30

Tyche aveva previsto o meno che Sostrato sarebbe riuscito nel suo intento? Sostrato sembra convinto che il buonsenso, la moderazione, la ragione e la volontΰ consentano all'uomo una riuscita e questo θ un motivo che si ricava in genere da tutte le storie raccontate da Menandro. Va detto infine che nel Diskolos il lieto fine θ particolarmente verisimile perchι Cnemone, il misantropo, com'θ noto, resta parzialmente escluso dalla riconciliazione generale. Ammette solo di aver esagerato nella sua misantropia, ma resta convinto che il suo modo di vivere sia il migliore: celebri le sue ultime parole:

“Se tutti fossero come me, non ci sarebbero tribunali, nι prigioni, nι guerra, e tutti si accontenterebbero di poco. Ma a voi piace piω questo modo di vivere. E allora comportatevi come vi pare, e il vecchio bisbetico se ne va fuori dai piedi”.31

27 Dyskolos, vv.341-342. 28 L'idea che col denaro si possano e si debbano aiutare gli amici (che si trova anche in Samia, 15) θ senz'altro troppo

poco per pensare a un riferimento epicureo, tuttavia, se la si legge alla luce dei tanti appelli alla solidarietΰ presenti in Menandro, l'ipotesi assume una consistenza meno irrilevante.

29 Dyskolos, vv.797-812. 30 Dyskolos, vv. 860-865. 31 Dyskolos, vv.743-747.

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Menandro mosaico tunisino

EPITREPONTES. (L'arbitrato). LA TRAMA. Un neonato θ stato “esposto”. Un

servo lo raccoglie e poi lo cede a un altro servo, che θ senza figli. Tuttavia non gli consegna anche gli oggetti di riconoscimento che si trovavano vicino al neonato. Tra i due si accende una lite e si rimettono al giudizio di un arbitro imparziale, il vecchio Smicrine. Retroscena e fatalitΰ: ancora nessuno lo sa ma il bambino in realtΰ θ figlio della figlia di Smicrine (Panfile) e del legittimo marito di lei, Carisio. Lo hanno concepito durante la solita festa trasgressiva l'una all'insaputa dell'altro. Una vera e propria violenza carnale. Panfile, che ignora di essere stata violentata proprio dal suo legittimo consorte, piena di vergogna, si θ liberata del bambino subito dopo il parto. Carisio, per parte sua, non sa e non ricorda ma θ offeso con la moglie per l'inopinata gravidanza e se ne va di casa presso una ragazza, l'etera Abrotono, con cui finge di stare, mentre sotto sotto θ ancora innamorato di Panfile. Sarΰ proprio Abrotono a scoprire la veritΰ e a rivelarla accortamente, facendo in modo che gli sposi possano ricongiungersi.

Trovo negli Epitrepontes un piccolo ma significativo momento che riguarda il rapporto tra Tyche e responsabilitΰ degli uomini. I due servi stanno litigando per il possesso degli oggetti che il neonato esposto aveva con sι. Il servo che si θ fatto carico del bambino, Sirisco, pretende la consegna degli oggetti. Tra i due si accende un aspro confronto dai marcati connotati retorici, per certi versi anche molto divertente e comico. La contesa θ al massimo quando Sirisco sfodera il seguente argomento:

“Ora tu devi decidere [rivolto all'arbitro] se gli oggetti d'oro o di quel che siano, si devono tenere per il bambino, come glieli ha dati sua madre, chiunque fosse, finchι sia

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cresciuto, o se li deve tenere chi li ha rubati, solo perchι ha trovato per primo la roba altrui. (...) Fortuna comune? Qui non θ stato “trovato” niente, c'θ invece una persona lesa nei suoi diritti (...)”32

Anche se bisogna dire che qui nel testo greco θ Ermes tirato in ballo e non Tyche, tuttavia il senso mi pare chiaro: inutile invocare il caso, il bambino, che giΰ ha perso tutto, abbandonato nel mondo, ha diritto ad avere almeno i suoi oggetti, questa θ la realtΰ, sembra dire Sirisco, appellarsi ad altro criterio sarebbe solo una prepotenza, significherebbe dimenticare i doveri dell'adulto nei confronti di un essere indifeso.

Ma c'θ un altro passo, molto noto, in cui un personaggio menandreo fa i conti con il proprio senso di responsabilitΰ ed θ quando Carisio scopre con una certa amarezza la veritΰ su se stesso, scopre cioι di essere stato proprio lui a ingravidare la moglie:

“Eccomi qua, l'uomo senza peccato, attento alla reputazione, attento a giudicare cos'θ bello e cos'θ brutto, integro e irreprensibile nella sua vita. Gli dei mi hanno giocato un bello scherzo, mi hanno detto: “Disgraziato, sei solo un uomo, e fai la voce grossa, ti dai arie? Non sei capace di sopportare una disgrazia capitata involontariamente a tua moglie? Ti faccio vedere che anche tu sei incappato in una eguale. Ma lei θ buona con te e tu invece la offendi. E' fin troppo evidente che sei non solo disgraziato, ma anche sciocco e crudele” (...)”33

Anche se qui Carisio si rivolge genericamente al daimon, θ come se parlasse a Tyche: certo, lei ha ingarbugliato le cose in maniera incredibile, forse lui θ scusabile (era ubriaco, come sempre a queste feste), forse non sapeva cosa stava facendo, perς adesso, andandosene di casa e rimproverando alla moglie la gravidanza, mettendosi addirittura con un'altra donna, si θ reso sμ responsabile di un'ingiustiza. La moglie invece ha sopportato un destino avverso con dignitΰ. A me pare che anche qui il senso sia chiaro: una cosa θ Tyche, con i suoi tiri mancini, altra cosa θ il comportamento degli uomini; a loro θ comunque dato di guardare in se stessi e di rintracciare, se non un senso in ciς che succede, almeno una linea di condotta.

PERIKEIROMENE.(La donna tosata). LA TRAMA. Polemone, credendo che la

sua convivente Glicera lo tradisca col giovane Moschione, pensa bene di tagliarle i capelli in un momento di rabbia. Glicera θ un'orfana che θ stata esposta alla nascita insieme al fratello Moschione. I due fratelli sono stati adottati da due famiglie diverse. Quella di Moschione θ ricca. In realtΰ dei due fratelli solo Glicera θ al corrente della propria origine e della parentela con Moschione. Quest'ultimo θ invaghito di Glicera ma lei non lo ha mai incoraggiato, senza perς rivelargli la veritΰ, per timore che il ragazzo, scoprendo le proprie origini, possa dispiacersi per la perdita di status, per cosμ dire. Dopo una serie di

32 Epitrepontes, vv. 131-142. 33 Epitrepontes, vv. 588-598.

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prevedibili equivoci la veritΰ viene a galla, la coppia Polemone-Glicera puς ricomporsi e anche Moschione si sistema.

In questa commedia compare sulla scena una dea, la dea Ignoranza, che θ un'entitΰ assai affine a Tyche. La dea ha qui il compito di svelare agli spettatori (da notare, sempre all'inizio o quasi34 dell'azione) il retroscena dei due bambini esposti, Glicera e Moschione, ormai adulti e di cui il maschio θ a rischio d'innamorarsi della sorella, per colpa dell'Ignoranza, appunto. In chiusura della sua lunga spiegazione Ignoranza ammonisce gli spettatori:

“Se quindi qualcuno di voi si θ dispiaciuto per questi fatti che gli paiono indegni, deve cambiare idea; per opera del dio anche il male puς diventare bene.”35

Credo che questa battuta vada letta come se a pronunciarla fosse Tyche, perchι qui si ribadisce ancora una volta l'inconoscibilitΰ del destino umano, solo che questa ignoranza si applica al futuro quanto al passato. Gli uomini che talora osano prevedere il futuro, dimenticano che spesso non sono padroni nemmeno del loro passato, perchι non lo conoscono, o lo conoscono male, ne ricordano una porzione limitata e deformata dallo stesso ricordo.

Menandro

SAMIA . Dalla Samia, che pure θ una delle commedie piω importanti e studiate di Menandro, non ho estratto alcun passo, in parte perchι si ripetono meccanismi giΰ noti, in parte perchι gli accenni a Tyche, che sono numerosi, non mi sembrano aggiungere nulla a quanto giΰ detto.

FRAMMENTO DI COMMEDIA NON IDENTIFICATA36 Mi sembra interessante ricordare anche un frammento (fr. 500) di Menandro:

“Ogni uomo θ accompagnato fin dalla nascita da un buon demone che lo inizia al mistero della vita. Non θ invece da credere, visto che gli dei sono tutti buoni, che esista un demone maligno che angustia la vita mortale. Ma coloro che hanno indole perversa e si sono complicati terribilmente la vita o hanno sciupato tutto con la propria stoltezza, puntano il dito contro un demone e dicono, i malvagi, che il malvagio θ lui.”

Anche qui θ evidente il richiamo alla responsabilitΰ individuale.

34 La prima parte della commedia θ infatti perduta. 35 Perikeiromene, vv. 46-48. 36 Per questi frammenti vedi l'edizione di FERRARI 2001.

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Dalla sia pur sommaria ricognizione delle trame di Menandro appare evidente la distanza che separa questo teatro da quello di Aristofane. La politica37, l'attualitΰ, la satira e io dico anche la fantasia sono completamente svanite. 38 E probabilmente nel pubblico prevalgono gli stessi umori che Menandro mette in

scena: piccoli contadini che devono condurre con accortezza il loro podere, completamente calati nella campagna e distanti sotto ogni profilo dal mondo urbano, talora quasi patologicamente alieni dai contatti umani (θ ovviamente il caso del Dyskolos), famiglie in genere con pochi figli, ragazze modeste, talora costrette alla prostituzione, neonati esposti in abbondanza, soldati, servi domestici.39

La dimensione di cui si occupa Menandro θ dunque quella privata della famiglia, dei turbamenti che si creano, sarei tentata di dire, nel tinello, anche se questa parola risulterΰ evocativa solo per alcuni ... In queste famiglie “normali” ci sono i problemi di tutti i giorni, le scelte, le incomprensioni e i dolori grandi e piccoli. Le crisi sono tutte intime e soggettive; i problemi sono perlopiω conseguenti a incomprensioni, bugie e segreti, mancanza di dialogo, atteggiamenti rigidi. Le donne e gli uomini di Menandro non chiedono la luna, non s'interessano di politica nι di guerra, tutte cose che restano sullo sfondo. Essi tendono piuttosto alla risoluzione della propria vita, a scansare il peggio, a ritrovare un'armonia perduta o a crearsene una.

In questa dimensione cosμ casalinga mi sembra si possa concludere che Tyche θ importante ma non “tale da soffocare completamente l'iniziativa umana”.40 E in definitiva il popolo di Menandro, che sembra aspirare soprattutto alla felicitΰ (e in questo θ secondo me sociologicamente moderno), quasi sempre riesce nel proprio intento, come a dire che “vale pur sempre la pena di vivere, e di vivere

37 E' stato osservato come in M. pur mancando il motivo politico siano tuttavia presenti frequenti attacchi al

malcostume, invettive contro i parassiti, gli adulatori, i calunniatori, i corruttori ecc. ma θ evidente che si tratta di un elemento moralistico piω che politico in senso stretto, cfr. BARIGAZZI 1965, p. 22. L'unico attacco sicuro a un uomo politico contemporaneo θ quello contro Callimedonte nel fr. 224, 14; su questo punto vedi FERRARI 2001, p. XV, n. 1.

38 Anche i personaggi sono ovviamente diversi. A proposito dell'abisso che separa Aristofane da Menandro, anche sotto il profilo dei personaggi, θ' stato osservato che mentre in Aristofane “l'eroe comico (...) afferma la propria unicitΰ irripetibile (...) in una gestione tirannica dello spazio teatrale (...) nella sua mania, ossessivitΰ e stravaganza, l'eroe θ modello esclusivo di identificazione per lo spettatore, cui propone una fantasia di potenza universale realizzata attraverso il soddisfacimento della libido (...)” in Menandro invece l'eroe comico θ un uomo come tanti, un uomo normale; i personaggi menandrei “sono per lo piω depositari e portavoci di un raziocinio equilibrato che trova conferma e garanzia nel mutuo consenso.”: PADUANO 1980, p. XVII e seg. 39 A proposito di questa societΰ angusta sia economicamente che culturalmente CANFORA 1986, (pp. 498-499)

ricorda che Polibio, sia pure in un periodo successivo, dΰ un quadro molto pessimistico della decadenza delle cittΰ greche, rilevando la diffusa tendenza a limitare il numero delle nascite e il notevole calo demografico che svuota le cittΰ (Polyb. 36,17). La pagina di Polibio avrebbe suggerito al Rostovcev la formula del “suicidio di razza” del mondo greco prodottosi dall'etΰ che va da Menandro alla conquista romana.

40 ZANETTO 1998, p. 535.

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con intensitΰ e pienezza(...)”41

MENANDRO E LE FILOSOFIE ELLENISTICHE

Teofrasto

Epicuro

Puς valer la pena toccare in chiusura un tema che θ stato variamente dibattuto e cioι se Menandro sia stato o meno influenzato dalla filosofia.

Abbiamo visto che Menandro nasce nello stesso anno di Epicuro e che i due furono efebi insieme. D'altro canto sappiamo che Menandro fu amico di Demetrio Falereo, peripatetico, alunno di Teofrasto. A proposito dei personaggi menandrei e della circostanza che Menandro sia stato allievo di Teofrasto θ consueto ricordare che ben quattro dei “caratteri” di Teofrasto (Agroikos, Apistos, Deisidaίmon, Kolax) sono altrettanti titoli di commedie di Menandro. .E' lecito chiedersi se Menandro sia stato influenzato e in quale misura rispettivamente da Epicuro e dal Peripato. Questo argomento θ stato indagato a fondo negli anni '60 del secolo scorso dallo studioso italiano Adelmo Barigazzi 42 In estrema sintesi: a suo parere non vi sarebbe alcuna prova che tra Menandro ed Epicuro via stata una vera amicizia; attraverso un copioso esame delle fonti e degli argomenti lo studioso conclude che Menandro θ epicureo solo nella misura in cui vi θ dell'epicureismo anche nel Peripato. Menandro sarebbe invece in tutto e per tutto un seguace del Peripato, come dimostrerebbe compiutamente, in particolare, il prologo della Pericheiromene, in cui si coglierebbero gli echi della dottrina peripatetica della responsabilitΰ. Ma, in generale, tutta l'opera di Menandro sarebbe influenzata dalla dottrina peripatetica. Barigazzi porta a sostegno della sua tesi una mole di elementi: Menandro era stato alunno di Teofrasto43 , una notizia che sarebbe accettata da tutti Demetrio Falereo, peripatetico, fu grande amico di Menandro44 Il Falereo nel periodo in cui fu al governo di Atene si sarebbe ispirato francamente a

un 'ideale politico peripatetico, attuando in particolare alcune scelte che si specchierebbero nella societΰ dipinta da Menandro (come, per esempio, i provvedimenti suntuari contro l'invidia sociale, la promozione del censimento della popolazione, l'attenzione nei confronti di una “classe media”)

41 ZANETTO 1998, p. 536. 42 BARIGAZZI 1965. Vedi soprattutto il capitolo 7. 43 Diog. Laert., V, 36. 44 Interessante la notizia di Polibio, secondo cui il Falereo avrebbe scritto, tra l'altro, un'opera su Tyche: Polyb.,

29,21.

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E cosμ, argomenta lo studioso italiano, sarebbe quanto meno strano se Menandro non fosse stato toccato da questo clima. La parte piω convincente di questo ragionamento mi sembra quella in cui si ribadisce che secondo l'etica del Peripato la felicitΰ non dipende solo dalla fortuna, perchι per raggiungere la felicitΰ gli uomini devono poter contare su risorse materiali e per opporsi ai rovesci della fortuna devono impegnarsi con la loro responsabilitΰ individuale. E questo θ quanto anch'io vedo nelle commedie di Menandro.

Tuttavia secondo altri, senza mettere in discussione il legame di Menandro con il Peripato, non ci sarebbe motivo di escludere un rapporto con Epicuro45. Anche questa ipotesi non mi sembra infondata, sia per l'aspirazione alla felicitΰ che θ prepotente nei personaggi di Menandro, sia alla luce dei numerosi passi (qualcuno lo abbiamo anche visto oggi) in cui si esalta il valore dell'amicizia e la necessitΰ della solidarietΰ.

FORTUNA DI MENANDRO

Il prestigio di Menandro resta ininterrotto fino al V/VI sec. d. C. Le sue commedie erano state catalogate e studiate ad Alessandria e dal III secolo venivano rappresentate a Roma e in altri centri del mondo ellenistico (ad Atene furono rappresentate almeno sino al I a. C.). Fino al III-IV secolo un privato, come il celebre notaio Dioscoro (dal cui archivio θ spuntato il Papiro del Cairo), poteva leggere Menandro nel comodo di casa sua. Poi vi furono epoche buie (VII e VIII secolo) durante le quali l'Egitto venne definitivamente separato dall'impero con la conquista araba di Alessandria (640 d. C.). Il disastro della tradizione di Menandro fu forse determinato dalla mancata inclusione delle sue opere nelle letture scolastiche dopo i secoli “bui” di Bisanzio, mentre continuς a circolare la piω fortunata raccolta delle sue “Sentenze”. Michele Psello (XI secolo) mostra di conoscerlo solo indirettamente. All'epoca di un erudito interessato alla commedia, Giovanni Tzetzes (XII secolo), Menandro non θ piω letto.

Ci sono dunque tanti motivi plausibili per la scomparsa di Menandro (e del resto non dimentichiamo mai la scomparsa del teatro latino dalla scena, sostituito dagli spettacoli gladiatori!). Tuttavia, se θ vero che Menandro θ scomparso anche perchι non θ stato piω letto a scuola, penso che questa prospettiva offra oggi materia di riflessione a studenti e insegnanti.

45 Vedi CANFORA 1986, p.501.

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LE SCOPERTE PAPIRACEE Fino alla metΰ dell'800 di M. si conoscevano in tutto meno di mille frammenti (tradizione indiretta). A questi si aggiungevano le rielaborazioni latine di Plauto e Terenzio. Ma poi iniziς il periodo delle scoperte papiracee46. “Papiro del Cairo”47 Ai primi del Novecento risale la scoperta del celeberrimo “papiro del Cairo” (J 43227), il piω ricco codice menandreo, rinvenuto ad Afroditopoli, localitΰ nei pressi del Cairo. Questo papiro faceva parte di un ricco bottino di papiri, in gran parte saccheggiato per essere rivenduto. I francesi Maspιro e Lefebvre, scavando una domus romana, rinvennero un'enorme giara, contenente papiri di ogni genere, tra cui anche il codice menandreo, che fu pubblicato una prima volta nel 1907 e nel 1911 in via definitiva. Scoprirono inoltre che la giara altro non era se non l'archivio, per cosμ dire, del notaio Flavio Dioscoro, poeta dilettante lui stesso, vissuto al tempo dell'imperatore Giustino II (565-578 d.C.). Un'importante edizione di questa silloge, riveduta e corretta, risale alla fine degli anni '70 del secolo scorso48. “Papiro Bodmer”49 Altra silloge menandrea capitale θ quella del c.d. “Papiro Bodmer”50. Il papiro contiene quasi intero il Dyskolos. Piω antica rispetto alla precedente (risale infatti al III d. C.), fu pubblicata a pezzi tra il 1959 e il 1969. Nel 1964 Bataille e Blanchard pubblicarono piω di 400 versi menandrei (del Sicionio), scoperti in un volumen della Sorbona del III a.C., che era stato usato per il cartonnage di una mummia.51 Grazie a questa impressionante serie di scoperte oggi siamo in grado di conoscere un buon numero delle commedie di Menandro.

46 Nel 1844 Konstantin Tischendorf scopre alcuni frustuli di Menandro in un codice membranaceo del monastero di Santa Caterina sul Sinai (ora a Pietroburgo). Nel 1876 Cobet pubblica alcuni fogli del Phasma e degli Epitrepontes. Nel 1898 Jules Nicole pubblica a Ginevra un centinaio di versi, mentre altri 120 versi vengono alla luce tra il 1903 e il 1914. 47 Contiene ampie parti di cinque commedie: Heros, Epitrepontes, Perikeiromene, Samia e una quinta non

identificata. 48 Institute of Classical Studies, Londra, 1978. 49 Contiene, integro, il Dyskolos, l'unica commedia “nuova” che ci sia giunta per intero, vincitrice alle Lenee del

317/6. Contiene inoltre (pubblicate dopo un decennio dalla prima) ampie parti dell'Aspis e della Samia. 50 Dal nome del collezionista, l'industriale ginevrino Martin Bodmer. 51 Nel Papiro della Sorbona sono conservati versi appartenenti al Sicionio e l'inizio del Misumenos, edito da Turner

nel 1977.

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