tuttoquiedintorni zero3

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& dintorni dicembre 2012 • marzo 2013 per passione zero3 PerIoDICo DI CoNTAMINAzIoNe LoCALe concept & impaginazione: Print Studio Grafico snc via Martiri di Belfiore, 19 . 46026 Quistello (MN) tel. 0376 618 382 . www.printstudiografico.it contenuti: TuttoQui&dintorni associazione di volontariato ShIT hAPPeNS di Valeria Dalcore Che volete farci, una camminata distratta, un po’ di incontinenza, un cucciolo di cane che ancora non conosce le regole domestiche, un piccione che plana. E tac. Shit happens. Che detto in inglese ha il suo perchè, dà un tocco di colore al sottile umorismo anglosassone, e incornicia una teoria filosofica un po’ ottimista e un po’ pessimista insieme. Come dire, “può capitare di tutto, rilassati” ma anche “allo schifo non c’è mai fine”. “Merda!” imprecò Pier Paolo Pasolini dopo averne pestata una. Poi incontri gli inguaribili diplomatici che non hanno dubbi, “porta fortuna”, almeno finchè non sono loro ad affondarci dentro. E da lì, mentre cerchi un angolo d’erba o un marciapiede smussato per pulirti la scarpa puzzolente, speri che tutta ‘sta fortuna arrivi sul serio, vista la fatica causata dall’imprevedibilità. Ma voi che leggete, non fate i puritani, i puliti, gli scandalizzati, gli schifati, i sorpresi. La cacca, in tutte le sue variabili varianti variopinte espressioni, è qualcosa che ci accomuna tutti, ma davvero tutti. Iniziamo la nostra esistenza con gli effetti inesorabili del latte materno sul nostro corpo in crescita, proseguiamo con la magica scoperta della produzione propria, da gestire cercando un bagno o un cespuglio, a seconda dell’emergenza. Poi iniziamo a chiamarlo “momento sacro”, adorando il wc di casa come fosse un altarino, circondando il momento di leggeri passatempi, dalla rivista di gossip al catalogo Ikea, ma anche applicazioni sul cellulare sufficientemente frivole per non distoglierci dalla seduta. Per chi non lo sapesse, poi, la “merda” gode di citazioni auliche altissime, dall’Inno del Corpo Sciolto di Roberto Benigni, alla “Merde d’artiste” di Pietro Manzoni, passando per l’Inferno di Dante Alighieri “E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco/vidi un col capo sì di merda lordo/che non parëa s’era laico o cherco”. Vi sembrerà strano, eppure in questo numero di Tutto Qui & Dintorni –senza aspirare a raggiungere la grandezza delle firme qui sopra citate, per carità– noi usiamo questa espressione umana insieme un po’ grezza e un po’ nobile per fare pulizia. Pulizia da scaramanzie, da inutili finzioni, abbattendo un muro d’imbarazzo storico e culturale, proprio adesso che di fortuna e di semplicità abbiamo tutti bisogno. Ecco. Quando finirete di leggere questo numero di Tutto Qui & Dintorni, speriamo che vi sentiate più puliti che mai: liberatevi dagli schemi, chiudete in un cassetto le paure (tanto potete tirarle fuori più avanti), comprate i regali di Natale e mangiate le lenticchie a capodanno, che se i Maya non fossero così famosi nessuno avrebbe fatto tanta pubblicità ad una teoria che fa acqua da tutte le parti. Insomma, tirate lo sciacquone, perchè tanto, che lo vogliate o no, shit happens. Buona lettura! Tutto Qui e dintorni tuttoquiedintorni Channel TuttoQuie20 ph. Cristiano Martelli | www.cristianomartelli.com | www.fotostudio5.it | facebook: fotostudio5 Grazie! :) Merda! I Maya?! www.tuttoqui.info | [email protected]

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magazine di contaminazione locale del basso mantovano e dintorni

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dicembre 2012 • marzo 2013

per passione

zero3PerIoDICo DI CoNTAMINAzIoNe LoCALe concept & impaginazione: Print Studio Grafico snc via Martiri di Belfiore, 19 . 46026 Quistello (MN)

tel. 0376 618 382 . www.printstudiografico.itcontenuti: TuttoQui&dintorni associazione di volontariato

ShIT hAPPeNSdi Valeria Dalcore

Che volete farci, una camminata distratta, un po’ di

incontinenza, un cucciolo di cane che ancora non conosce le

regole domestiche, un piccione che plana. E tac. Shit happens.

Che detto in inglese ha il suo perchè, dà un tocco di colore

al sottile umorismo anglosassone, e incornicia una teoria

filosofica un po’ ottimista e un po’ pessimista insieme. Come

dire, “può capitare di tutto, rilassati” ma anche “allo schifo non

c’è mai fine”.

“Merda!” imprecò Pier Paolo Pasolini dopo averne pestata

una. Poi incontri gli inguaribili diplomatici che non hanno

dubbi, “porta fortuna”, almeno finchè non sono loro ad

affondarci dentro. E da lì, mentre cerchi un angolo d’erba o un

marciapiede smussato per pulirti la scarpa puzzolente, speri

che tutta ‘sta fortuna arrivi sul serio, vista la fatica causata

dall’imprevedibilità. Ma voi che leggete, non fate i puritani, i

puliti, gli scandalizzati, gli schifati, i sorpresi.

La cacca, in tutte le sue variabili varianti variopinte espressioni,

è qualcosa che ci accomuna tutti, ma davvero tutti. Iniziamo la

nostra esistenza con gli effetti inesorabili del latte materno sul

nostro corpo in crescita, proseguiamo con la magica scoperta

della produzione propria, da gestire cercando un bagno o un

cespuglio, a seconda dell’emergenza. Poi iniziamo a chiamarlo

“momento sacro”, adorando il wc di casa come fosse un altarino,

circondando il momento di leggeri passatempi, dalla rivista di

gossip al catalogo Ikea, ma anche applicazioni sul cellulare

sufficientemente frivole per non distoglierci dalla seduta. Per

chi non lo sapesse, poi, la “merda” gode di citazioni auliche

altissime, dall’Inno del Corpo Sciolto di Roberto Benigni, alla

“Merde d’artiste” di Pietro Manzoni, passando per l’Inferno di

Dante Alighieri “E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco/vidi un

col capo sì di merda lordo/che non parëa s’era laico o cherco”.

Vi sembrerà strano, eppure in questo numero di Tutto Qui &

Dintorni –senza aspirare a raggiungere la grandezza delle firme

qui sopra citate, per carità– noi usiamo questa espressione

umana insieme un po’ grezza e un po’ nobile per fare pulizia.

Pulizia da scaramanzie, da inutili finzioni, abbattendo un muro

d’imbarazzo storico e culturale, proprio adesso che di fortuna e

di semplicità abbiamo tutti bisogno. Ecco.

Quando finirete di leggere questo numero di Tutto Qui &

Dintorni, speriamo che vi sentiate più puliti che mai: liberatevi

dagli schemi, chiudete in un cassetto le paure (tanto potete

tirarle fuori più avanti), comprate i regali di Natale e mangiate

le lenticchie a capodanno, che se i Maya non fossero così

famosi nessuno avrebbe fatto tanta pubblicità ad una teoria

che fa acqua da tutte le parti. Insomma, tirate lo sciacquone,

perchè tanto, che lo vogliate o no, shit happens.

Buona lettura!

Tutto Qui e dintorni

tutt

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torn

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ChannelTuttoQuie20

ph. Cristiano Martelli | www.cristianomartelli.com | www.fotostudio5.it | facebook: fotostudio5Grazie! :)

Merda!

I Maya?!

PERIODICO DI CONTAMINAZIONE LOCALE

a cura di print studio grafico sncvia martiri di belfiore, 19 _ quistello (mn) italy tel +39 0376 618382 _ [email protected]

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Prendi un digestore, cioè un vascone ermeticamente chiuso,

mettici la cacca… pardon del refluo zootecnico e voilà il

gioco è fatto. Di cosa stiamo parlando? Di un impianto a

biogas naturalmente (notate l’avverbio). Tra le varie forme

di produzione di energia rinnovabile oggi conosciute ed

affermate certamente quella legata alla produzione di biogas

è, sotto il profilo tecnologico, tra le più significative. Ma di cosa

si tratta esattamente? Un impianto a biogas potrebbe essere

definito una sorta di “allevamento di batteri”, cioè un sistema

nel quale si sviluppano specifiche popolazioni batteriche

(detti metanigeni) in grado di demolire materiale organico

facilmente decomponibile (come appunto reflui zootecnici,

sfalci, frazione organica della raccolta differenziata, trinciati

di mais o di sorgo, residui dell’agrindustria, mercatali….). Detto

processo avviene in condizioni anaerobiche; parolona per dire

semplicemente in assenza d’aria, e a temperatura controllata

(mediamente 35-40°C). In queste condizioni i succitati

batteri ci sguazzano alla grande e come risultato si sviluppa

un composto gassoso denominato appunto “biogas” la cui

componente principale è il metano (50-60% della miscela).

Quel medesimo metano che in buona parte importiamo, per

esempio, dalla Russia o dall’Algeria per i nostri fabbisogni

energetici. Insomma, un metano made in Italy.

Detto biogas, dopo un processo di eliminazione di alcune

componenti indesiderate (in particolare vapore acqueo

e acido solfidrico), viene quindi avviato ad alimentare un

cogeneratore (leggi motore endotermico collegato ad un

generatore di corrente) per produrre energia elettrica (che

viene immessa nella rete nazionale) e calore. Una quota di

quest’ultimo viene utilizzata per mantenere il digestore in

condizioni di temperatura ottimale (i batteri non possono

prendere freddo!), mentre la rimanente parte potrebbe essere

destinata alla fornitura di energia termica per piccole reti di

teleriscaldamento, serre, sistemi di essicazione foraggi, ecc…

Tra cacche e... batteri.di Francesco Dugoni | Ag. AGIRE

Gli impianti a biogas, grazie ai progressi tecnologici raggiunti,

sono in grado di funzionare circa 8.000 ore all’anno: un valore

altissimo se si pensa che in un anno si contano 8.760 ore.

Tra gli altri benefici legati alla produzione di biogas v’è

la deodorizzazione della cacca, pardon della biomassa

utilizzata, cosicché il digestato (cioè quel che rimane dopo

che i batteri se la sono spassata) presenta un’emissione

di odori particolarmente ridotta, in virtù della demolizione

di quelle molecole che per l’appunto causano le diffusioni

maleodoranti. Ciò risulta particolarmente utile laddove

insistono allevamenti zootecnici in prossimità di abitazioni

o centri abitati. La realizzazione di un impianto a biogas,

presso queste aziende, potrebbe infatti ridurre drasticamente

quei fenomeni di impatto olfattivo, specie durante le fasi di

spandimento dei reflui.

In questi ultimi tempi gli impianti a biogas hanno incontrato

svariate forme di contestazione locale. Le motivazioni sono

tra le più diverse ed in questa sede non è certo possibile

affrontarle e discuterle. Ciò che si può evidenziare è che, da un

lato, la prossima normativa a sostegno delle fonti rinnovabili,

che entrerà in vigore dal primo gennaio 2013, anche a

parziale recepimento delle contestazioni espresse, premierà

gli impianti di piccola taglia (fino a 300 kW) alimentati con

materiali di scarto (tra cui la cacc…), anziché con materie prime

(es., mais), e riconoscerà una premialità aggiuntiva in caso di

uso efficiente dell’energia termica prodotta.

Dall’altro lato, a fronte di certi allarmismi, è opportuno

prendere atto che la pluridecennale tecnologia del biogas ha

raggiunto in altri Paesi europei (nella sola Germania si contano

oltre 7.000 impianti) risultati ragguardevoli senza aver

provocato alcun danno di tipo ambientale, quanto piuttosto

occupazione, produzione di energia svincolata dalle fonti

tradizionali, riduzione delle emissioni di gas climalteranti e

grande soddisfazione da parte dei batteri… NATuRALMENTE.

VegeTArIANI VS CArNIVorI 1 | 0 di Filippo Gavioli

Negli ultimi decenni si è parlato spesso di sviluppo sostenibile,

ovvero di un modo per coniugare la crescita mondiale con

il mantenimento dell’equilibrio degli ecosistemi. In questo

settore l’umanità non sembra però essersi resa conto degli

allarmanti danni ambientali provocati da una squilibrata

produzione di beni alimentari. Questo da parte specialmente

dei paesi sviluppati e in via di sviluppo, noti per la produzione

intensiva di carne.

Secondo le ultime ricerche effettuate di alcuni studiosi delle

Nazioni Unite la dieta verde è la via giusta per mantenere

l’armonia del pianeta. Già attorno agli anni ‘20 il Nobel Albert

Einstein, abbandonata la carne, dichiarò che niente avrebbe

aumentato le possibilità di sopravvivenza della vita sulla

Terra quanto l’evoluzione verso l’alimentazione vegetariana. Il

professor Umberto Veronesi, oncologo di grandissima fama,

espone nel suo libro “Verso la scelta vegetariana“ le ragioni

legate all’etica, alla sostenibiltà e alla salute per cui dovremmo

diventare vegetariani. In particolare la diffusione di una dieta

verde a livello mondiale aiuterebbe concretamente a risolvere il

problema della fame e della malnutrizione. Al consumo di carne

si può attribuire la responsabilità dell’ingiustizia alimentare e il

fatto che metà del mondo si ammala e muore per troppo cibo

(malattie legate alla sovralimentazione come obesità, malattie

cardiovascolari, tumori) e l’altra metà per sua scarsità.

A livello mondiale siamo ormai nell’assurda situazione per cui

buona parte delle risorse agricole va ad alimentare animali

destinati al consumo del miliardo di persone sovralimentate del

pianeta. Questo quadro già critico è aggravato dalla crescita

economica dei paesi emergenti. Ma se tutti i cinesi, i brasiliani

e gli indiani si mettessero a mangiare carne come noi, in poco

tempo avremmo sulla terra più animali da allevamento che

uomini e infrangeremmo ogni tipo di equilibrio dell’ecosistema

terrestre. Non solo: gli Stati Uniti, paese maggior consumatore di

carne al mondo, provoca ogni anno la distruzione di una parte

della foresta amazzonica grande come l’Austria per far posto

ai pascoli. Inoltre c’è il problema dell’acqua: la produzione di

carne è responsabile della crisi idrica. L’intera catena produttiva

necessaria a ottenere un chilo di carne richiede 15.000 litri d’acqua,

mentre produrre un chilo di pane ne richiede meno di 1.000 litri.

Il miglioramento a lungo termine della diffusione di una dieta

vegetariana riguarderebbe anche gli equilibri ecologici: riduzione

dell’inquinamento dovuto allo smaltimento delle carcasse e

all’uso di agrofarmaci e fertilizzanti nonchè meno gas serra

immessi nell’atmosfera. La produzione di carne è responsabile

del 18% delle emissioni globali di anidride carbonica e ciacun capo

del miliardo e 400 milioni di bovini allevati nei cinque continenti

produce 500 litri di metano. Ormai non ci sono dubbi: rinunciare

a consumare carne sarebbe una forma di rispetto per noi stessi e

per il nostro pianeta. Oltre che, naturalmente, per gli animali, che

nell’armonia dell’ambiente sono parte integrante!

fonte: “Verso la scelta vegetariana“Umberto Veronesi . Mario Pappagallo

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ph

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Bu

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è buio: il nero parte dagli angoli e si riveste di giallo opaco un

po’ sbiadito in modo radiale man mano che sposto lo sguardo

verso il centro della stanza; non ci sono finestre. L’atmosfera è

rilassante: c’è della calma nell’aria, credo sia mattina presto o

qualcosa del genere. C’è un letto in mezzo alla stanza, che tra

l’altro è l’unica cosa che ricordo, e con tutta probabilità l’unica

cosa presente nella stanza. Il buio era davvero il confine del

conosciuto: neri e solenni sono i limiti oltre ai quali gli occhi

non si spingono. Ecco perché rimango cosi, coricato su questo

letto, a metà fra l’oscurità ed il “se non ti vedo vuol dire che

non esisti”.

E li, in piedi, davanti al letto, Giulia se ne stava. Sorridente

ma senza sorriso: era più una cosa che le si leggeva nello

sguardo. Questo è quello che di te adoro, Giulia: sei innocente,

ma hai così tanti mostri dentro; e cerchi di trovarli, di tirarli

fuori, di combatterli, ma rimani lì -incantata, persa, lo sguardo

fisso nel vuoto- perché quando cerchi quei mostri, dentro di

te, trovi anche un mondo infinito: fantasia ed immaginazione

sopra a tutti i ricordi, giusto? E cosi preferisci rimanere li, a

fluttuare dentro qualcosa che va oltre la realtà. Credo di essere

innamorato di te, Giulia. Voglio entrare anch’io in quel mondo,

voglio che tu mi ci porti.

Senza preavviso, Giulia si china piano piano, si stende di

fianco a me e scivola per metà sopra il mio corpo, il viso a

una decina di centimetri dal mio. Come faccio a restare calmo

in questo momento? Dove la trovo questa sicurezza che

d’un tratto mi fa apparire cosi: il campo di convergenza dei

tuoi occhi, del tuo profumo, dei pensieri che si astraggono

e ti escono dalla testa come fumo denso e colorato, che poi

si scaglia aggressivo sulle pareti e le dipinge? Ho voglia di

abbracciarla, ma non so se è la cosa giusta da fare, e non so

come reagirebbe lei, e forse sto pensando troppo. Giulia ha

uno sguardo che mi uccide, che mi prende e mi fa dimenticare

di colpo le facce di tutte le altre persone che ho incontrato

nella vita. è come se lei fosse cosi.... troppo per coesistere

con altri pensieri, con l’idea di altra gente. Diventano tutti di

pezza -gli occhi grigio profondo- e poi cadono e si accasciano

contro le pareti del mondo. Si, quando c’è Giulia, il mondo è

popolato da pupazzetti neri e cuciti male che sembrano gettati

alla rinfusa sui marciapiedi, sulle panchine, nelle vetrine. Ed il

tempo stesso diventa color piombo, ma non per noi: siamo i

soli sul livello ad essere mascherati dal filtro grigiastro.

reDeMPTIoNOra Giulia è praticamente sopra di me. Le nostre facce stanno

per sfiorarsi: mi proietto con il pensiero una decina di secondi

più avanti, e lo sento, sento la sua pelle morbida contro la mia,

in un tempo tirato per i lati, instabile, insicuro. Ritorno indietro

e mi pietrifico quando nei suoi occhi vedo le mie labbra. Mi

da un bacio a stampo di colore rosa intenso, e poi posa la

sua testa sulla mia spalla. Io le avvolgo la schiena con un

braccio e la accarezzo. Quando è bello vivere? Quando è bello

svegliarsi dopo un’intera esistenza fatta di sedativi, vissuta

costantemente dietro ad un filtro freddo e pesante.

E non penso a quello che è appena successo, perché è di gran

lunga meglio continuare a vivere quello che sta succedendo.

Quello che rende cosi belli i sogni, è che sono reali fin tanto

che ci sei dentro. Ecco perché immagino di rimanere solo in

quella stanza con Giulia, congelato in una sorta di limbo, dove

i ricordi non sono più reali delle illusioni. Riapro gli occhi ed

eccomi, disteso su quel letto, solo con la bella Giulia. Soli,

io e lei. Siamo uno di fianco all’altro in questo momento, ed

insieme ci voltiamo e ci guardiamo negli occhi. Ed ecco che

ritorna quella sensazione, è come se partisse della vernice

colorata dalla mia testa, ma è vernice strana, non soggetta a

gravità: rimane fluttuante nell’aria come fa l’olio quando lo si

versa di colpo in un bicchiere d’acqua. Schizzi verde acido, poi

rossi, ed infine blu, che volano lentamente intorno a noi ed

illuminano la stanza. E lei mi guarda, e sembra riesca a vedere

quello che vedo io. Per quanto mi piaccia trovare un senso

logico alle cose, lo giuro: per me, qui, ora, non esiste altro.

Niente passato, niente futuro, la morale sta a zero, ed i pensieri

tutti sfumano nel buio divoratore d’esistenze. Giulia mi prende

la felpa in corrispondenza delle spalle e mi tira a sé, e lo stesso

faccio io. Le poso poi le mani sulle guancie calde, e ci baciamo

nuovamente. è un bacio intenso questa volta, passionale. Nel

frattempo sorridevamo, questo è quello che adoro ricordare:

sorridevamo baciandoci.

Sembra che all’improvviso questa stanza sia diventata

pesantissima, cosi da piegare lo spazio-tempo, proprio come

la palla da bowling dei libri di fisica piega il tappeto elastico.

IL DOVE E IL QUANDO SI SCAMbIANO DI POSTO,

ECCO PERCHé IL TEMPO CI GIRA ATTORNO, CI SfIORA

E CONTINUA A TORCERSI IN MODO INDEfINITO E

IMPREVEDIbILE. NON ESISTE UN PRIMA COME NON ESISTE

UN DOPO; SOLO QUEST’ETERNO ISTANTE SbIANCATO SUI

bORDI.

di Pietro Buzzi

I lutti in amore sono molto frequenti. Intendo

lutti d’amore comuni dopo una rottura o una fine.

L’innamorato lasciato pensa di morire dentro… gli

viene a mancare l’altra parte di se.

è una morte simbolica perché vengono a mancare

abitudini e certezze: sapere cosa fare nel week-end,

a Natale, in vacanza eccetera.

Perdere un sogno che ha fatto parte della storia della

vita è veramente difficile se l’investimento affettivo

e progettuale è stato grande. Se ci pensiamo con

la perdita d’amore, intesa come l’altra metà del se,

dovremo ricostruirci un grosso pezzo mancante.

Io preferisco in amore essere una persona intera

che incontra un’altra persona intera e tutti e due

INSIEME provano a unirsi e a costruire L’AMORE.

Ognuno è se stesso e non un pezzo mancante.

L’UNO AGGIUNGE ALL’ALTRO, OGNUNO è

ARRICCHITO E NON IMPOVERITO.

Così non è la fine del mondo quando si scopre che

l’amore è finito. Ognuno resta se stesso e non un

pezzo mancante dell’altro.

“Non importa quanto dura la tempesta, il

sole splende sempre di nuovo tra le nuvole”Kahlid Gilblan

PA

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Y c

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con

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Se poi ti lascianon è la fine...

L’an

goLo

di g

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POET

A IN

ERB

A

Il mondo non finirà!

fragore d’arme e tempesta

tosto se ne andranno disgrazie

ed ostilità scompariranno con la peste

Terremoti ed uragani, mai in quest’anno?

tutti i giorni una disavventura o falsità

ed i popoli di magi impareranno

Che questo mondo è una beltà

proprio così, anche se non ci crederanno

ed il mondo non finirà.

di Guido Peroncini

BarTavola calda

Tabacchi

Andiamo da Saradi Sara Schiavi

via U.Ruberti, 6 46026 Quistello (MN)

tel 0376 625632 mobile 347 0802433

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Sport

liberotempo

…you’re gonna rise, rise up singing,You’re gonna spread your wings,Child, and take, take to the sky……ti alzerai, ti alzerai cantando,

stenderai le tue ali,

piccola, e toccherai, toccherai il cielo…

Summertime

Fummo presi attorno ai ventisette. Cominciò con Robert Jones, si dice che sia stato lui a fare il patto. Con chi lo fece non importa, non ci ho mai tenuto alle apparenze.Passò del tempo prima di trovarne altri disposti a rimpinguare le fila.

Ventisette e dintorni

“Merda!”. Quante volte capita di dirlo nell’arco di una

giornata! Di solito ci si riferisce a qualcosa di sgradevole,

che eviteremmo molto volentieri. Secondo il dizionario il

termine in sé significa innanzitutto “sterco, escremento”

e già questo fa storcere il naso a molti. In senso figurato

indica “qualcosa che disgusta, una persona spregevole, una

situazione ripugnante”. Così sentenzia il Garzanti.

in teatrodi Miriam Cobellini

Eppure proprio questo sostantivo può diventare un augurio.

Succede anche questo… in teatro!

Per molti artisti del palcoscenico, infatti, questa parola può

essere di conforto, anzi, direi che sprigiona energia e carica.

Chi scrive l’ha provato sulla propria pelle... ed è proprio così!

Mancano pochi minuti e poi via, in scena, davanti ad un

pubblico di semisconosciuti (parenti ed amici benevoli

non mancano mai). Per quanto l’attore si sia preparato,

l’ansia è una compagna fedele che non lo abbandona

mai, specialmente in questi momenti. L’impressione è di

non sapere assolutamente nulla, la mente è un ammasso

confuso. Poi il timore è che il pubblico in sala resti deluso

da quello che vede e sente, niente pomodori o uova alla

fine ma magari il terrificante silenzio, poltrone che vengono

abbandonate .

In questi casi serve un esorcismo. Oltre al divieto assoluto di

indossare indumenti o accessori che abbiano anche un sia

pur vago accenno di viola, a teatro c’è un rituale: pronunciare

la parola merda, proprio come augurio. Momento topico

soprattutto se tutti gli attori della compagnia lo compiono

insieme in modo sincronico. Quella parola, quando esce dalla

bocca poco prima dello spettacolo in quel grido che risuona

in ogni cellula del corpo, porta con sé tutte ansie, le diffonde

nell’ambiente esterno, sdrammatizzando la situazione e, a

parere di chi scrive, ricordando a chi andrà sul palco che IL

TEATRO è INNANzITuTTO uN DIVERTIMENTO.

reSIDeNT eVIL

Più di 15 anni fa, per playstation one uscì

un gioco chiamato RESIDENT EVIL.

Con il titolo CAPCOM diede vita ad un nuovo genere il

SURVIVAL HORROR: una tipologia di gioco in cui si è portati

all’esplorazione di tetri scenari, alla risoluzione di svariati

enigmi ma, soprattutto, ad un infinità di salti sulla sedia

provocati da zombie, mostri o altre creature di turno.

Dopo circa una decina di anni su playstation 2 esce Resident

Evil 4 che stravolge le caratteristiche della saga, dando al

titolo un’impronta prevalentemente action creando le basi per

il quinto ed il sesto capitolo.

In questo ultimo capitolo della serie la storia si compone di

tre campagne, ciascuna delle quali ha come protagonista una

copia (si puo giocare in cooperativa on-line oppure a schermo

condiviso) di agenti speciali tra i quali troviamo vecchie

conoscenze come Leon S. Kennedy, Chris Redfield, Sherry

birkin e Ada Wong, e nuovi personaggi, tra i quali Jake Muller il

figlio del famoso Albert Wesker, impegnati a salvare il mondo

dall’apocalisse generata dalla Neo Umbrella.

Si può giocare sia in singolo sia in cooperativa per due

giocatori a schermo condiviso o, in cooperativa on line fino ad

un massimo di 4 giocatori quando le campagne si incrociano,

e ciò si verifica nei momenti più concitati di alcuni capitoli

come lo scontro con i boss.

Se guardiamo il comparto tecnico del gioco un elogio va fatto

alla grafica ed alle musiche, nonché ad un ottimo doppiaggio

in italiano (per la prima volta nella storia della serie!).

I controlli sono stati incrementati con nuovi movimenti, come,

per esempio, sparare in movimento, fermarsi per mirare con

piu precisione, lanciarsi in scivolate o schivare i colpi avversari.

Novità del gioco sono le abilità, 40 in totale (al massimo se

ne possono equipaggiare tre) con relativi punti esperienza,

da raccogliere durante le varie campagne, che servono per

sbloccare ogni abilità e potenziarla.

La longevità è buona ma non varia molto rispetto alle versioni

precedenti: emblemi da raccogliere, la modalità mercenari,

una campagnia extra giocabile a storia completata ed una

nuova modalità, quantomeno scarna, denominata “caccia

all’uomo” nella quale impersonare un nemico e ostacolare gli

agenti speciali.

Anche se RESIDENT EVIL 6 ha tutti i requisiti per essere un

ottimo action game secondo me resta comunque un titolo di...

merda! La trama non esiste, se non per contagio di massa,

manipolo di eroi contro una multinazionale e poi…. basta,

perche la trama finisce proprio qui.

Le campagne sono identiche tra di loro, l’ IA dei nemici e dei

propri compagni di squadra è inesistente; giocando da solo

durante lo scontro con il boss finale, il mio compagno pur

avendo a disposizione lanciagranate, mitra, fucili di precisione

e chi più ne ha più ne metta, ha ben pensato di aiutarmi con

una misera pistola…

Ogni campagna cerca di omaggiare i punti di forza della saga:

Leon è più presente sui primi due capitoli della saga, a Chris

spettano i momenti più ardui e action, mentre Jake dovrà

vedersela con un nemico inarrestabile com’era il vecchio

Nemesis di RESIDENT EVIL3.

Detto questo però, ahimè, NON è un ritorno al survival horror

classico. piuttosto è la sua fine.

bASTA chiamarlo RESIDENT EVIL, quel titolo si è spento

ormai dopo RESIDENT EVIL CODE VERONICA…

Edo Simonini The Salamandra Sisters

Tacco 12, c’è. fluente chioma finta ma come fosse vera, c’è. Reggiseno imbottito, c’è. Solo che non mi ero preparata anche i fazzoletti per asciugare le lacrime che nascono da certe risate. Perchè sedute allo stesso tavolo siamo io (quella che firma), una tale Milly Lociucci, Lorella Celo bella e Donna Etta. In due parole, le Salamandra Sisters, nate in seno, è proprio il caso di dirlo, all’ArciGay La Salamandra a Mantova, per animare serate e divertire, divertire parecchio. Lo fanno già con un’intervista, figuratevi dimenan-dosi con boa di struzzo, caschetti alla Carrà e mo-venze ammiccanti. Manca il testosterone dell’altro componente ferd Da Stir, ma pazienza. Procediamo.

- Chi sono le Salamandra Sisters? - Che domanda! SIAMO LA fINE DEL MONDO! - Ecco appunto...- A proposito di questo... ci credete a questi Maya? - Ma no. Le Salamandra hanno un altro credo, sono politeiste: credono nel dio Gucci, nella dea Dolce e in quella Gabbana. Prima di esibirci chiediamo aiuto al dio Tacco e alla dea Rimmel. Ma anche Hao Mai va bene. Se non ci fosse Hao Mai... - Fantasiose, esuberanti, pazze. - Ovvio, ma anche creative e abbondanti. - Sicure di voi, anche: ma non avete paura di nulla? Niente gesti scaramantici? - beh, uno ce l’abbiamo: non diciamo mai “merda” prima dell’esibizione. - Ah... allora siete sul numero sbagliato di TuttoQui! E perchè? - Perchè ci ha portato sfiga: nella prima performance Milly ha detto due volte merda e nello spettacolo abbiamo rotto un tacco, perso una parrucca e rotto il ventaglio.

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I Curiosity Killed the Cat sono stati un gruppo musicale pop

inglese il cui esordio risale al lontano 1984.

Il gruppo era formato da ben Volpeliere-Pierrot alla voce, Julian

Godfrey brookhouse alla chitarra, Nick Thorp al basso, e Migi

Drummond alla batteria, e proponeva uno stile che variava tra

acid jazz, soul, funky e pop. è rimasto attivo fino al 1993, pub-

blicando tre album di studio, di cui uno postumo nel 1994. Nel

maggio 1987 pubblicano un primo album, Keep Your Distance,

che raggiunge il primo posto della classifica inglese. L’album

viene lanciato dal singolo Misfit, nel cui video compare l’artista

pop Andy Warhol, evento che porrà il gruppo all’attenzione del

pubblico e della critica. Warhol in seguito collaborerà occasio-

nalmente col gruppo, portandolo a suonare anche nei locali di

New York e comparendo in altri video ed esibizioni dal vivo.

Nel 1989 esce il secondo album per la Polygram Records, Get

Ahead, lanciato dal singolo Name and Number, il cui ritornello

«Hey, how you doin’?», diverrà molto popolare due anni dopo

grazie al gruppo rap De La Soul con la loro versione Ring Ring

Ring (Ha Ha Hey). L’album non riesce a replicare il successo

del precedente, e la Polygram cessa il contratto col gruppo. Tre

anni dopo, col nome abbreviato in “Curiosity”, tornano con una

cover di Johnny Bristol, Hang On In There Baby, seguita un

anno dopo da altre cover quali I Need Your Lovin’ and Gimme

the Sunshine, che però non riescono a ottenere successo. Per

tale motivo, nel 1994, il gruppo ormai sciolto pubblicherà il ter-

zo e ultimo album, Back to Front, solamente in Giappone.

heI CAT, Che SUCCeDerA'

IL 21 DICeMBre?SeI CUrIoSo?

eh? SeI

CUrIoSo?

Ventisette e dintorni

CUrIoSITY KILLeD The CAT

di Anna Giraldo

Lewis Brian Hopkins Jones si fece avanti, aveva fondato una band, tali Stones. Era il 3 luglio del 1969. Poi vennero James Marshall Hendrix, detto Jimi e James Douglas Morrison, nell’arco di otto mesi subito dopo l’ultimo Festival dell’Isola di Wight. Probabile che Jim e Jimi si fossero accordati proprio laggiù. E quando seppi che non ero stata invitata, beh.. Janis Lyn Joplin, presente! Glielo rinfaccio ancora. Tutti pronti, tutti giovani, tutti all’apice della carriera. Servivano persone di successo, questo è certo. Arrivarono in tanti dopo di noi, finì per non importare nemmeno la J nel nome. Belvin, Köllen, Baquiat, Cobain, Winehouse…E si cominciarono a fare eccezioni anche sull’età: così vennero la Spungen e Vicious, Presley, Lennon, Slovak, Wright, Jackson… uN ESERCITO SENzA uNIFORME, VESTITO DI LuSTRINI, GIuBBOTTI IN PELLE, CAPELLI TINTI E TRuCCO DI SCENA. uN ESERCITO DI VOCI, DI SuONI, DI GRIDA. DI POESIA.Per quale motivo siamo stati riuniti? Chi lo sa, non sono tipo da farmi domande, io.Facciamo solo quello che sappiamo fare, giorno dopo giorno. Al primo pazzo cui fu promessa l’immortalità non fu spiegato che in cambio avrebbe dovuto dare la vita.

MA IN FONDO NON IMPORTA. IN FONDO, PER OGNuNO DI NOI, L’uNICA COSA CHE CONTI è CHE QuALCuNO, ASCOLTANDOCI, TROVI uN MOTIVO IN PIù PER VIVERE.

The Salamandra Sisters

- E dei giudizi, avete paura? - Per nulla: siamo la dimostrazione che chiunque può interpretare un personaggio ed essere insieme se stesso. Siamo libere, e liberiamo dagli stereotipi. E non vale solo per una drag queen. Abbiamo molti punti deboli, ma sappiamo essere orgogliose di tutto ciò che facciamo. - Punti deboli? Ad esempio? - L’ansia e la tachicardia, Donna Etta ne soffre parecchio. Ah, e poi facciamo un appello ai lettori, si può? - Certo! - Ecco abbiamo un problema: ci servono scarpe col tacco numero 42 e 43... introvabili anche all’Hao Mai. L’alternativa sarebbe farle fare su misura da Dolce&Gabbana...

- Parliamo di musica: quale scegliete per ballare? - è perfetto fred buscaglione, ma sappiamo essere anche molto moderne. Tanto decide Milly, che sente una musica e già immagina le mosse. E’ una dittatrice, insomma. Salamandra Sisters, oltre le gambe insomma c’è di più... - Beh ma ovvio! E aggiungerei rosso di sera...- L’importante è che sia glitterato!

Valeria Dalcore

“Un ringraziamento di vero cuore a Diego, Valeria e

Antonio per la simpatia autentica e contagiosa. Siete

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Fuori tema

letteraLMente

NUOVO NEGOZIOIN VIA SANGUINETTO A qUISTEllO

DI FIANCO All’OFFICINA TAVERNARI

Leggiamo insieme un brano tratto dal primo canto dell’Iliade,

opera che Simone Weil, circa un secolo fa, con geniale

intuizione definì “il poema della forza”, accanto all’Odissea,

poema della ragione e dell’Aufklärung:

Gli rispose Agamennone, signore di popoli: “Vattene se lo desideri, non sarò io a pregarti di rimanere; altri ho con me che mi faranno onore, e soprattutto Zues, saggio e prudente. fra i re di stirpe divina tu, Achille, mi sei il più odioso: ami la rissa, lo scontro, la guerra; sei molto forte è vero, ma è dono divino. Torna in patria con le tue navi e con i tuoi uomini, regna sui tuoi Mirmidoni, di te non m’importa, la tua ira non mi turba. Anzi ti dirò questo: poiché febo Apollo mi toglie Criseide, la rimanderò indietro sulla mia nave, con i miei uomini. Ma verrò io stesso alla tua tenda e mi prenderò la bella briseide, il tuo dono, perché tu sappia che sono più forte di te e anche gli altri abbiano paura di tenermi testa e di parlarmi alla pari”.

è una pagina famosissima, che mette in scena la lite

astiosa e furibonda per il possesso delle schiave sessuali

tra il re Agamennone, comandante supremo degli Achei che

stringono d’assedio Troia, e Achille, il più feroce dei suoi

principi, l’eroe inesorabile e invincibile. La scuola junghiana

di psicoanalisi ci ha insegnato a leggere questi testi come

altrettanti SCENARI ARCHETIPICI. è noto infatti che le antiche

teogonie, i miti, i poemi omerici e le tragedie greche non

esprimono le passioni, le esperienze o la visione del mondo

dei loro rispettivi autori, ma danno voce all’anima di un intero

popolo, di un intero mondo; di più, intonano un canto perenne,

collettivo e universale, che, attraverso i millenni, esprime

i contenuti profondi, le immagini originarie e immutabili

(spesso latenti o rimosse) su cui si fonda e di cui si alimenta

la nostra civiltà. In queste figure, in queste scene primarie la

carica libidica del maschio e il carisma virile del guerriero si

manifestano plasticamente nel gesto della conquista violenta

e dello stupro; lo splendore e la gloria dell’eroe fanno tutt’uno

con l’invasione, con la penetrazione violenta, col possesso e

la riduzione in schiavitù delle donne del nemico. Achille e i

suoi Mirmidoni, le formiche guerriere tramutate in uomini per

volere di Zeus, costituiscono una milizia unanime e invincibile,

una schiera di conquistatori, rapitori di vergini e stupratori.

E lo scenario non muta, anzi si ripete sempre uguale nelle

guerre di ogni tempo.

Vorrei ora seguire con voi una suggestione potente: proviamo

per un momento a immaginare il capovolgimento di questo

scenario, proiettando insieme sullo schermo della nostra

mente la prevalenza del popolo delle Amazzoni su quello

dei Mirmidoni. “A-mastos”, senza mammella, è l’etimologia

dubbia ma probabile di “amazzone”. La mutilazione della

mammella destra mediante l’applicazione di un disco di

rame incandescente doveva irrobustire il braccio che tendeva

IL PoeMA DeLLA ForzAContro la violenza sulle donne I Patrizio Guandalini

l’arco ed esaltare le abilità guerresche; significava in realtà la

negazione rituale della identità di genere, l’occultamento del

femminile.

Oggi voi, donne guerriere del quotidiano, vi state faticosamente

appropriando di stili di comportamento, ruoli, competenze e

funzioni un tempo riservate ai maschi; state conquistando

la vostra indipendenza, che talora diventa orgoglio e in certi

ambiti primato, e ciò acutizza il risentimento, il disagio e le

reazioni ostili del maschio. Ma la competizione tra i generi

non fa che perpetuare e assolutizzare il paradigma agonistico

della forza e del dominio nei rapporti sociali.

Viceversa noi maschi non possiamo o non vogliamo accedere

alle modalità “femminili” di interazione con l’altro: empatia,

ascolto, cura, protezione e promozione della vita; capacità di

sentire e rispettare la presenza dell’altro, di leggerne i vissuti,

di comprenderne il dolore; inclinazione a soccorrere l’altro nel

momento della sua esposizione al male, quando la solitudine

e la fatica di vivere diventano insostenibili.

Questo sì, produrrebbe un vero cambiamento nella vita

di ognuno di noi, una vera conversione dal paradigma

antagonistico a quello solidaristico.

Ma l’attitudine alla cura e alla promozione della vita, a ben

guardare, non sono propriamente riconducibili al “femminile”

(o lo sono soltanto in parte), appartengono piuttosto ad

un’altra sorgente viva e perenne della nostra cultura e della

nostra civiltà: risalgono infatti alla rivoluzione epocale che

il cristianesimo introdusse nella storia, una rivoluzione

perfezionata e corroborata in età moderna dal mito laico e

illuministico della pari dignità e dell’ uguaglianza naturale dei

diritti umani, di ogni essere umano, piccolo o grande, forte o

debole, uomo o donna che sia.

Fuori tema

di Margherita Faroni

Se fosse il tema di un mio studente probabilmente non raggiungerebbe la sufficienza. “fuori traccia, fuori tema” sarebbe il commento scritto in rosso di un’austera insegnante. Loro forse non si rendono conto di scrivere sulle righe del foglio protocollo qual-cosa di assai lontano da quanto gli si sta chiedendo.Io invece ne sono ben conscia e consapevole: sono pronta a ricevere la mia insufficienza.Di fronte alla richiesta di provare ad essere una re-dazione vivace, colorata e urlante ho sentito un pro-fondo dispiacere, un sentimento di tristezza misto a sconforto, (una sconfitta?). Possibile che non si ca-pisca? Possibile che si ricerchi sempre l’eccesso e il frastuono? No, o almeno non per me. Non mi voglio arrendere alla facile critica, al veloce lamento e alla fin troppo comoda espressione “così fan tutti”.è un po’ come la nostra educazione alimentare. Og-gigiorno, ahimè siamo ormai disabituati a percepire i reali gusti delle pietanze, le vere sfumature di un frut-to o gli odori di una verdura. Tutto è sommerso dal sapore, da quel pesante telo che copre e nasconde e ci fa blaterare con bicchieri e bicchieri di acqua in mano dicendo confusamente: “…mmmmm, buono: saporito!”. Saporito. Ma cosa significa? Salato? Dol-ce? Amaro? Asprigno? Agrodolce? fruttato? Spe-ziato? E chi lo sa. Anche i nostri palati sono quasi addormentati sull’unica e monotona corda del sapo-rito, incapaci di percepire variazioni e ormai inadatti a riconoscere tratti autentici, ma al contrario subito pronti a urlare contro l’insipido, contro ciò che non si conosce. E così in questo numero, dal quale qual-cuno attende finalmente l’eccesso e il fuori misura, sono completamente lontana e sorda all’appello di chi cerca suoni forti, parole sordide e gusti violenti. Scelgo di allontanarmi da chi predilige la polemica, il puntiglio, l’acidità, la prepotenza e la volgarità. Non dico, non parlo, non ho un’opinione su qualcosa tan-to per averne una; non faccio prendere aria alla mia cavità orale mostrando con grinta le mie tonsille. In questo numero scelgo la bellezza, la riservatezza e la pacatezza: il lusso del non facile compromesso, il lusso che allontana e preserva dalle fin troppo facili regole di un mercato che non permette un pensiero autonomo e solitario.Scelgo il silenzio. Quel silenzio che potrebbe farsi noia e banalità, cedevolezza e codardia, quando in realtà è semplicemente vita quotidiana, piccoli gesti, parole sussurrate e buon gusto. In questo numero scelgo il cosiddetto lato insipido della vita, anche e felicemente andando fuori tema.

via C.Battisti, 21 • Quistello

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Io mi ricordo.

Ricordo benissimo dov’ero e cosa stavo facendo la

mattina di un caldo, caldissimo sabato di agosto del

millenovecentottanta.

Sabato 2 agosto.

E chissà quanti se lo ricordano, dov’erano.

Succede così quando capita qualcosa di imponderabile

e grande e memorabile, di sottile ed amaro, di lugubre e

impossibile. Si associa, si collega, si imprime.

Ero davanti ad un piccolo televisore di plastica

arancione, che mandava immagini brutte, in bianco e

nero, nella casa di campagna di un mio confratello di

liceo, sulle colline moreniche, a torso nudo a sudare la

calura bestia.

Sua madre stava sapientemente stemperando, sul

tavolone di legno brunito, una sfoglia immensa di dodici

uova dodici, per le tagliatelle del pranzo del sabato e della

domenica. La fatica le colava dalle braccia. Davano in

quel mentre le previsioni del tempo, di un tempo che non

cambiava mai, cazzo, un caldo molle che ti inchiodava

alla sedia, come quando mangi quel boccone in più

che, intuisci immediatamente, non digerirai e starai col

fiato corto, a bestemmiare l’indigestione e a sperare di

vomitare l’anima, per star subito meglio.

Previsioni del tempo inutili, tanto, checcazzo vuoi

che cambi in questa pianura sbiancata dal sole?

Poi la comunicazione s’interrompe per un’edizione

straordinaria del telegiornale. Eravamo abbastanza

abituati alle edizioni straordinarie, avevamo trascorso

più di un decennio di edizioni straordinarie. Gli scontri

di piazza, i terroristi, le fiat 127 piene di tritolo, i treni

che scantonano, gli aerei che cadono come stelle di

mezz’agosto. Questa volta era saltata una bombola del

gas alla stazione di bologna, un botto da ridere.

fumo, casino e morti, tanti morti. Cazzo, ma è venuta

giù un’ala della stazione, alla faccia della bombola del

gas. E poi cosa stavano facendo nell’ala della stazione

di bologna? Riscaldando la pasta del giorno prima?!

Stamattina è partito Marco con la famiglia, andavano a

Cervia in treno. Porca troia, non è che son passati di lì?

Prova a chiamare. Una bombola. Quando non sapevano

cosa dire, era stata una bombola del gas.

Piazza fontana, uguale.

Una bombola, che sfiga! Ma è così, bisogna chiuderle

bene le bombole sennò...basta una scintilla. Uno si

accende un’emmeesse e bUM, TUTTI GIù PER TERRA.

Pensa se fosse stato un attentato. Ma va a cagare, un

attentato, chi si sogna di fare una cosa del genere in una

stazione? Chicazzo gliene frega dei turisti? è sfiga, una

maledetta sfiga.

Attentato... adesso, fin che si spara è un conto ma far

saltare una stazione, il due di agosto, dai! Non rompere

i coglioni come al solito, te e i tuoi attentati.

Ho detto pensa se fosse stato. Ma dai, ma è una cosa

impossibile, vabbè che siamo un popolo di merda ma

così di merda?! Dai, è una bombola, quelle bombole

che stan lì, lì sotto, che servono a..., sai, quelle bombole,

quelle che si mettono prima, è così, uno non le controlla

e...

Un attentato, ma dai!

Il fumo si dirada e spuntano i morti, lividi come il

mattino. E sono davvero tanti, ottantacinque. Parte

della famiglia Mader preferisce l’Italia per venire in

vacanza. Vuoi mettere l’Adriatico, il sole, le spiagge, i

bagni, le piadine? Otto, quattordici e trentanove anni.

bUM, TUTTI GIù PER TERRA.

Io mi ricordo.

Ma chissà se ci ricorderemo di dov’eravamo e

cosa stavamo facendo il ventuno dicembre del

duemilaedodici.

Cioè, chissà se avremo la possibilità di viverlo quel

giorno o se saremo saltati per aria come hanno

predetto i Maya.

A proposito, a me i precolombiani mi son sempre

stati un po’ qui. Non riesci a fare qualcosa che loro

l’avevano già vaticinata. E mai - che so - la nascita di

una nuova cultura, l’avvento di un nuovo messia, un

nuovo clima, la pace nel mondo, la bontà tra i popoli,

no, solo sfighe inumane.

Ma non c’è niente da fare, loro il senso di catastrofe

ce l’hanno dentro. Ce l’hanno quando ti guardano,

apparentemente senza capire, come fanno i labrador

o quando, vestiti da torte di compleanno, ti spettinano

agli angoli di strada, con il repertorio che va da Tozzi a

Michael Jackson, rigorosamente suonato a tutto fiato

con riverbero liturgico, col flauto di pan e una chitarra

che ci potresti tagliare il salame ungherese sottile

sottile da tanto è impiccata sui toni acuti.

Ce l’hanno quando in silenzio si vestono di

fatiche inenarrabili, facendo mestieri inaccettabili,

accovacciati nei loro respiri duri, a quattromila metri

sopra il mare. Quando, nascosti e confusi tra la polvere

dei furgoni, stretti come denti in bocca, ridiscendono

gli altopiani senza parlare, verso la speranza di un

giorno diverso. Quando, inchiodati come le statue

dell’isola di Pasqua, ti guardano severi con l’aria di chi

pensa ed è convinto che “te non hai mai capito niente

di questa vita”.

E come sarà? Un asteroide fuori rotta, una crepa secca

sotto le suole, un nucleo che s’affloscia come l’otto

nero in buca? Bum, tutti giù per terra.

Oddio, un po’ di repulisti non è che darebbe fastidio ma

dovrebbe essere mirato e chirurgico e mietere senza

pietà solo quelli che intendo io. Questa sì sarebbe una

bella profezia, di quelle piene e lascive che lasciano

un buon sapore di sazietà sotto il palato.

E invece stop, fine corsa, capolinea. Per tutti.

‘Sti cazzo di Maya.

Ad un certo punto, avevano raggiunto un così alto

livello di divinazione che avevano profetizzato anche

la loro, di fine, senza nemmeno confessarselo.

Così, dalla sera alla mattina, nessuno sa bene come e

perchè, puf, si sono estinti.

Qualche effervescente pensatore sostiene che sia

stato lo spostamento dell’asse terrestre, qualche altro

una siccità o i colpi precisi di qualche conquistador.

Secondo me, più banalmente, con tutto questo non

farsi i cazzi loro, hanno rotto i coglioni.

E li hanno estinti.

TUTTI gIÙ Per TerrAdi Grego Ricorso

di Davide Longfils

Lo svuotamento dell’essere e lo svuotamento della parola

Dissento, nel senso che sento differentemente.

L’essere si oppone, stride, si difende e obietta.

Obietto al tema di questo numero, poi affiancato

dall’irrinunciabile tormentone nazional popolare della

fine del mondo, del “mille non più mille” che si ripropone

in un’esperienza neo medievale di paure, esorcismi,

scaramanzie e superstizioni, purificazioni e preghiere.

Dissento, dicevo, dallo svuotamento della parola che

troppo spesso coincide con lo svuotamento dell’essere...

con tutte le delicatezze di cui ha bisogno questo mondo,

con tutte le pieghe e le irregolarità che l’universo offre

da esplorare...vivo come fosse un’occasione persa

dedicarsi alla finta provocazione che, inevitabilmente

offre il fianco al volgare...

Dissento ma la fortuna vuole che, fra i maestri

della parola, fra i ricercatori delle pieghe del cuore e

dell’universo ci sia chi mi è venuto a soccorrere:

All’AperTo di Umberto Bellintani

L’uomo che sta accucciato nella vecchia latrina,

guarda il muro avanti a sé e vede

i piccoli grani di sabbia, sotto la mano di colore.

E dice l’uomo a se stesso che è ben vivo

poiché sa di guardar da uomo vivo quelle cose.

Così esce all’aperto, cosciente di sé e felice

entro una luce che poteva essere ben grigia un momento fa,

quand’egli ancora entrato non era

in quella vecchia latrina. Ben vivo

egli si sente, e nulla gli è più signore:

nessun uomo, nessuna cosa, nemmeno Dio.

Perciò cammina ed è padrone di tutto ciò che vede

e sente attorno a sé e lontano:

sia la distesa di campi, sia il bosco del barone

proprietario di pianure e di montagne;

sia la tana del topo, sia il gorgo impetuoso

del fiume che agguanta e annega un temerario

o sfortunato nuotatore;

e sia la nube del cielo e il sole e lo spazio

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“è la terra, c’è qualcosa che non va, non riesco più a riabituarmici”

I. Asimov

Non sperateci. Sorvolando il fatto che non è mai capitato a

nessuno di vedere una persona dondolarsi per davvero su un

alloro, non pensate ugualmente di poterlo fare aspettando

beati. La fine non arriverà, ma questo è scontato, e non perchè

quei burloni dei Maya abbiano sbagliato i conti come chi

calcola le nostre pensioni.

“Tu ci credi che a ognuno che muore gli servono due monete

per pagare il traghettatore?” “No” - lo rassicurò deciso -

“Crepare è l’unica cosa che non ci paghi niente a nessuno”

S. de Mari

La fine è un premio e le due monete sugli

occhi le potremo spendere come vincita

nel mondo che verrà, ma che non si pensi

che la fine arrivi ora; di punto in bianco. C’è

una cosa, potremmo chiamarla brulichio,

ma sarebbe un riassunto essenziale; ci

sono tante vite che stanno scorrendo e nodi tra queste che si

formano. Una marea di debiti e peccati aspettano assoluzione

così come tanti sogni e speranze attendono scalpitanti.

è una parabola che non solo non è arrivata alla fine della

discesa, ma sta ancora crescendo prima di toccare il suo

culmine. La vita insegna che la possibilità che una speranza

venga stroncata è direttamente proporzionale alla dimensione

di quest’ultima; ironico invece è che tanto più un problema

ingigatisca la sua portata tanto meno ci sia da fare per

rimediare. La fine sarebbe troppo semplice. Tutto finisce e

nessuno pulisce.

La fine come mondo nuovo verrà se ci sarà l’occasione,

quando i frutti saranno maturi, se fossi il Creatore mi offenderei

sentendo i miei figlioli dir tali sciocchezze, dopo tutta la fatica

spesa per mostrar loro la luce. è un po’ come quando si vuole

la bicicletta e poi si è costretti a pedalare, in poche parole non

possiamo lasciare questo gran casino e andarcene.

Abbiamo combinato proprio un bel casino durante gli anni

e ora prima di goderci il riposo eterno ci sarà da rimettere in

ordine e pulire i cocci, mi sento di scommettere sull’umanità

per una sua redenzione; come un Maya punto millenni, però ne

vedo ancora diversi prima d’esser pronti per il mondo nuovo.

Anno più anno meno, come chi prende impegni a Kyoto,

protocolliamo di controllare la nostra situazione al 10.000,

vedremo se avremo rispettato i patti e la Terra tornerà a girare

diritta. Allora andremo a spendere le due monete in qualcosa

di delizioso per l’eternità a venire.

due moneteper l’eternità

di Andrea Mambrini

shit, SCheIße, rahat, insomma...

di Federico AprileADreM

eS

Cr

eM

eN

T

Agl’occhi balza innocuaretta, semplice

corpo in vita

essenza di fiorirecisi,

prigionieri [unico carnefice

infierisci calmae vellutata.

Il tuo nome dà odio [e dimora non riceve

ma i nostri brividi [forti ed infervorati

vivono a lungo.

Le care contrazioni,i cigolii dell’attesa,

e sguardi.Occhi così irrequieti.

Tal frangente mi ha in nota,a lui son caro.

In tal luogo di grida,di gemiti

periodi densi mutano nei mesi.

Seduto [pensiero

rifletto storie d’altri tempilontane?

Direi frequenti.

Da capo a piede,da noi a noi stessirilassiamo arti tesi.

Il corpo più curioso godrà,di una sana

dolce prospettiva.

Giulia Casoni I TAVOLESTRETTE

Sto dedicando a un momento delicato, uno spazio della mia vita.

è singolare quando si rinuncia a un pò della propria vita, per scrivere riguardo alla nostra, di vita.

A volte si trascurano eventi presenti, quindi già immediatamente passati, perchè appaiono innocui;

a volte “mascherati” da quotidianità e talvolta in vesti di puri bisogni fisiologici.

Ho bisogno di funzionare bene, per stare bene: “ Mens sana in corpore sano”.

Nei momenti in cui funziono bene, posso sentire una positività, questa è nient’altro che

il compiacimento di essere riuscito a creare qualcosa: e che cosa!

Ma si, pensiamo... ogni santo giorno -almeno per i più fortunati-, è un evento creativo;

concentriamo tutte le nostre forze per dar vita ad una forma. Cosa più straordinaria è che

la creazione, quindi l’oggetto finito, spesso e volentieri corrisponde al progetto

che in precedenza ci ha spinto a correre per arrivare in tempo, là, in quel luogo magico,

il nostro laboratorio-atelier.Si capisce quanto è importante la creazione; non so, vogliamo passare ore, magari giorni

a pensare, riflettere, trattenendo così una spontanea volontà di esprimerci? In tal caso il nostro pensiero elabora,

associa immagini inconsce con odori presenti, getta molta carne al fuoco e tutto brucerà.

21/11/2011 | 21/12/2012

gli associati e i collaboratori di TuttoQui&dintorni ne danno il triste annuncio

il Cinicoal termine di un lungo travaglio ci ha lasciati

Qualora fossimo posizionati nel modo più sentito, lasciarsi andare a questi momenti di solitudine,

ricchi d’intuizioni che nascono come frutti di ragionamenti aulici e spinte divine, è rigenerante.

Trascorro di media sessanta ore all’anno con questa intima solitudine e ben quasi tremila ore

in una vita; è gran parte del mio tempo, se mai ne esiste uno.

“Quindi, me lo godo.”

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Siviaggiare?

Parlare di merda è piuttosto strano e difficile nonostante

ce ne sia in abbondanza: non mi spiego proprio come mai.

forse perchè non si trova mai il momento della giornata

giusto? No perchè se stai mangiando non va bene, se sei

rilassato tanta merda stressa, a lavorare non se ne parla..

quando se ne parla??? forse perchè parlarne significa

ammettere che ce n’è e ce n’è dappertutto. Da viaggiatrice

quale sono dico che davvero ce n’è ovunque, ognuno ha

la sua, c’è chi ne è più o meno sommerso, chi ne scorge

maggiormente la presenza fisica e chi sa che c’è ma non

la vede..in ogni caso tutti ne sentono l’odore, questa è

una certezza! L’importante non è non avere merda ma

essere consapevoli di averla per ripartire da lì. Parlo di

Italia come stato ma anche di persone. Le persone spesso

non riescono ad andare avanti. fanno un errore ma non

migliorano perchè non ammettono di averla pestata la

merda. E si continuano a riempire di merda sotto forma di

scuse e giustificazioni che li sommergono sempre di più

fino a farle cadere in un mare di merda paludosa da cui non

ne usciranno se non devastati mentalmente e fisicamente.

Questa è la vera merda! E finchè la gente nel suo piccolo

non va avanti lasciandosi la merda alle spalle ma ci si

sommerge sempre di più non ci si può lamentare che in

Italia siamo nella merda (scrivere merda in continuazione

è liberatorio!).

A proposito di italiani e merda mi è capitato di fare una

riflessione viaggiando e ascoltando lingue diverse.

è una cazzata ma può essere spunto di riflessione:

alcuni stranieri mi hanno fatto riflettere come noi in Italia

prediligiamo il nome in gergo del pene piuttosto che dire

merda quando dobbiamo imprecare.

Dai se ci pensate cazzo è proprio la nostra preferita.

Invece in molti paesi la merda è la più gettonata delle

imprecazioni. I più conosciuti sono gli inglesi con la loro

SHIT e le varie versioni oltreoceano di Americani, Canadesi,

Australiani e tutti i paesi anglofoni vari. La merda per i

tedeschi è SCHEISSE (sciaisè!), che pronunciano sempre

con freddezza e quel loro tono crucco e perentorio.

Poi c’è la francese MERDE che però detta da loro suona

comunque fine. E gli hispanohablantes, gli ispanici,

che dicono MIERDA con molta spinta passionale e

convinzione. Effettivamente ha più senso. Che senso ha

imprecare invocando il pene? Avrà più senso mandare

a quel paese qualcosa o qualcuno scaramanticamente

invocando la merda per cui ti trovi in quella situazione.

Si vede proprio che qui da noi di questa merda non se ne

vuol parlare!

una parolaper liberarci!

di Chiara Salmin

Premessa: ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale.Viviamo in un paese in cui essere disoccupati è ormai più comune che essere mancini. In questo polverone di nomi, curricula e facce, riuscire ad essere ricordati è veramente un’impresa. Essere assunti è invece un miracolo che però si verifica a cadenze regolari tipo Madonnina piangente, rendendo ancora più difficile tenere i piedi ben saldi a terra (mannaggia i sogni!).è in questo miasma di rassegnazione e ingenuità che prosperano i soggetti più biechi. Questa nuova razza di datori di lavoro ha ben presto compreso come sfruttare a pieno ogni vantaggio derivante dalla disoccupazione, primo tra tutti la concorrenza spietata. Si perché questi alieni sono anche allo stesso tempo abilissimi maghi (della truffa) e riescono a tramutare punti di forza e capacità dei candidati in debolezze e quindi svantaggi.Una parola su tutte rende l’idea: neolaureato. Oltre ad essere choosy (chissà come mai si pensa che un insulto in inglese possa perdere il suo significato), viziatelli e bamboccioni, noi poveri giovani abbiamo infatti commesso l’incommensurabile errore di voler accrescere la nostra cultura e di voler ottenere un titolo di studio che oggi può servire al massimo come tovaglietta per la prima colazione (e se hai laurea triennale e specialistica puoi perfino creare un bellissimo set in tinta e rivenderlo su Ebay!).Quasi fosse una lettera scarlatta incollata al petto, la “N” fa si che automaticamente tu venga inserito in una categoria lavorativa, quella appunto dei neolaureati. Il problema di questa categoria è ciò a cui ti dà (o meglio non) diritto: di solito stage a 6 mesi con 200 euro di contributo spese e calcio nel didietro a parte. Questo periodo di “formazione” o detto con altre parole “volontariato” molto raramente si traduce in un’assunzione. Niente però vieta di prolungare l’inebriante esperienza

CoLLoQUI rAVVICINATI DeL Terzo TIPo di Serena Martignoni

masochistica, magari per altri 6 mesi per la felicità del datore di lavoro che, sfregandosi le mani come Mr. burns, progetta già di riportare in auge lo schiavismo perché comunque “ne trovo altri 100 come te”.A tal proposito dobbiamo assolutamente citare l’arma segreta dell’alieno datore di lavoro, che egli ama spesso estrarre con più velocità di quanto farebbe un guerriero Jedi con la sua spada laser. L’arma prende il nome di “esperienza” e la sua forza si misura in “anni”. Ecco che quindi per un simpatico gioco del destino tutti gli anni passati a studiare vomitando libri diventano anni di esperienza che noi non abbiamo! Per non parlare di tutto il tempo perso prima! Rimpiango davvero gli anni trascorsi tra barbie e peluches….Dovevo immaginarlo che avrebbero portato solo a colloqui ravvicinati del terzo tipo.

Francesco De Biagi

Che apporto può dare un umile linguista all’analisi

scientifico-sociale della merda? Alla coprolalia non sono

avvezzo, né alla coprofagia (anche se dicono che qualche

personaggio importante lo faccia… mantiene giovani,

dicono… sicuramente non dà un buon alito). Ultimamente

ho pensato spesso “che gente di merda” quando

l’ennesimo coinquilino mi ha fatto impazzire e costretto a

andarmene dalla mia cameretta adorata. Merda, eh, ogni tanto la

mia dolcissima nipotina di due anni mi delizia della compagnia

del suo intestino vivace, e come diceva una mia maestra di vita

“la cacca per i bambini è un regalo al mondo, è dimostrazione

del loro donarsi”, e allora io sorrido perché non posso non ridere

quando lei con candore e gioia mi indica il pannolino e scandisce

“cacca!”. Ti capisco gnometta mia, sapessi con quanta gioia lo

dico anche io quando mi riesce! Sei ancora troppo piccola per

capire il significato di “stitichezza”…Perché invece noi allora

consideriamo la cacca una cosa brutta? L’etimologia risalente

a smard- si è realizzata in varie parole simili in parole slave,

che significano “puzza”, o nel greco smerdaleos che addirittura

significa “orrore”. E quante declinazioni simili, quante occasioni

negative in cui la cacca salta fuori, o dalla voce o dalle azioni di

qualcuno. E se pure Gesù “mangiava, beveva ma non defecava”,

dev’esserci davvero qualcosa di buio e orribile nei nostri scarti

organici. Eppure se ci penso ci sono due eventi nella mia vita

che sono strettamente legati alla merda e mi danno ancora gioia

a ripensarci. E quanti di noi conoscono la caghetta pre-esame?

Alzate la mano… fastidiosa ma alla fine non ci ridiamo sempre

su? Specie quando l’esame era una “cagata”? Ribaltiamo un

paio di luoghi comuni: e se “va a cagare” fosse un buon augurio?

Un’occasione di rinnovo (anche spirituale)? Se la merda rosa (la

cacca di Arale!!) fosse simpatica? E perché “pestare una merda”

è nella realtà di buon augurio e invece in metafora dovrebbe

significare “fare un grosso errore”…magari da quel grosso errore

potrebbe nascere una nuova opportunità. Infine, un grande

stronzo (o una grande stronza) [da “stronzolo”: pezzo di sterco

sodo e rotondo] non diventa spesso l’occasione di guardarsi

dentro, di riscoprirci, di ripartire con più rispetto per noi stessi e

più coscienza dei limiti segnati intorno al nostro amor proprio?

In fondo “il corpo è lieto, lo sguardo è puro, NOI siamo quelli

che han cacato di sicuro!”. E tutti quelli che son stati su un palco

sanno quanto è fondamentale e portafortuna il grido “MERDA

MERDA MERDA”. Allora andate tutti a cagare!

Cesare Tonolli | on shit

PANTONE4625 U

PANTONE478 U

PANTONE4975 U

Page 10: tuttoquiedintorni zero3

Clara zaniwww.lapavona.it | facebook: la pavona sul sofà

Se quella del 20 dicembre fosse la nostra ultima cena, cosa

mai vorremmo mangiare? Con che cosa vorremmo saziarci?

Cosa potrebbe deliziarci e consolarci per quanto sta per

succederci?

L’uomo che c’è in noi, probabilmente, vorrebbe affondare

i denti nei sette classici centimetri di costata fiorentina al

sangue, rigorosamente afferrata con le mani e annaffiata con

il Chianti del contadino servito in ampi calici da insozzare di

unto, perché, naturalmente, nessun tovagliolo presenzierebbe

al nostro desco.

La donna che c’è in noi sorseggerebbe

una minestra di passatelli in brodo

di cappone con legatura all’uovo e

fegatini, da abbinare ad una bollicina di

Chardonnay nel suo inimitabile abbraccio

di frutti bianchi appena maturi.

La nostra vena bucolica vorrebbe sfamarsi

con una suprema zuppa di cipolle

campagnole dove affogare i crostini di

pane di Altamura arrosticciati sul fuoco

vivo del camino e accompagnata dal

Sangiovese che ha fatto grande la vigna

di Romagna.

I nostri pensieri di città, invece, troverebbero giusta

soddisfazione in una crema inglese all’arancia da sbrodolare

su una soffice fetta di torta lievitata scarabocchiata di

cioccolato fondente dove troverebbe legittima sistemazione

un Recioto di Soave morbido e dorato.

Il nostro desiderio di rampare, poi, andrebbe a nozze gustando

una pastosa mattonella di paté de foie gras appena tiepido

appoggiato su una glassatura di petali di rosa Tea e da

abbinare ad un vino Sauternes a temperatura di cantina.

Il bambino nascosto dentro di noi si scioglierebbe davanti ad

un piatto fumante di lasagne alla bolognese, appena strinate

sugli angoli, dove per la prima volta ha conosciuto la semplice

bontà della besciamella e l’impagabile libertà di lasciare la

tavola prima del dessert perché tanto nel primo c’è dentro

anche il secondo, con tutto quel ragout.

La voglia di rompere la routine della nostra vita, invece,

sceglierebbe di sconvolgere semplicemente i classici schemi

di assunzione dei pasti, sbafando una croccante fetta di pizza

a colazione, un biscotto pucciato nel caffè un po’ più là, frutta

secca ancora dopo, e ancora dopo una banana col miele e poi

una tisana che profuma di bosco e poi giusto quel pezzetto di

pizza rimasto dal mattino, e gelato a cucchiaiate direttamente

dal barattolone da dimenticare sul cuscino e da scolare

l’indomani, al risveglio, perché tanto se non ammazza rinforza

e anche oggi farò come mi pare.

… Fermati. Raddrizza la schiena. Posiziona i piedi uno parallelo

all’altro. Avvicina la punta del mento alla base della gola.

Ascolta il tuo stomaco, che senz’altro, a questo punto della

lettura, si fa sentire con chiari

ed inequivocabili messaggi.

Ricordati di questa primitiva

atavica sensazione di debolezza

e fa che la magia dell’ultimo

giorno ci regali la felicità di

ascoltarci un po’ di più ogni

giorno della nostra vita.

Se fosse l’ultima

Lino Alberini | www.misterlino.com

Kopi Luwak!Ad ognuno la sua tazza. Ovvero, non tutta la cacca viene per

nuocere.

Kopi Luwak, per i tecnologici sono sufficienti un pc ed una

connessione internet, per il resto ci pensa Wikipedia. Ma

nessuno sa se è veramente unico questo caffè che viene

raccolto da terra dopo essere stato ingerito, digerito ed

espulso dallo Zibetto (un simpatico animaletto) nelle foreste

indonesiane. Il suo prezzo è fuori mercato, 600 euro al Kg

nei pochi gourmand che possono permetterselo, ma come

tutte le cose rare, il prezzo lo fanno i migliori acquirenti.

Generalmente una volta che si è deciso di spendere 10 euro

Cucinatollerante | www.cucinatollerante.it

CUCINA MeSSICANA:un menù da fine del mondo!

per una tazza si passa oltre al fatto che viene raccolto a mano

e ripulito dagli escrementi secchi, viene spolpata la bacca e i

chicchi riposti in piccoli sacchetti pronti per il mercato estero.

Quando durante la visita di una piantagione in Guatemala ho

conosciuto Patrizio bruson, importatore per l’Italia di questa

“chicca” (che può far rima con “cacca”), ho capito che stavamo

andando alla ricerca dell’inesistente, ma che alla fine di che

cosa dovevamo scandalizzarci? Da dove escono le uova?

Tecnicamente la polpa protegge il chicco, il chicco viene

tostato a 220°C e il caffè macinato deve subire il passaggio

dell’acqua ad una temperatura di 93°C. Non è facilmente

riconoscibile in tazza se uno non ha un magazzino sensoriale

di riferimento e deve andare in estrema fiducia con chi lo sta

proponendo (il tuo barista). Ma tutto questo a chi giova? Al

palato non ha raggiunto i livelli del Jamaica blue Mountain

anche se il suo prezzo è più di 4 volte superiore; c’è chi ha

pensato di non accontentarsi di raccoglierlo dopo essere stato

espulso naturalmente, ma di farne un allevamento in batteria

costringendo gli zibetti a mangiare le bacche e agevolarne

l’espulsione (patè de fois gras docet). Dopo averlo acquistato

crudo mi sono premunito di codificare una tracciabilità per

fare in modo che il consumatore fosse sicuro di avere il vero

“Kopi Luwak”. In tazza, a seguito della fermentazione grazie

agli enzimi dello stomaco, spiccano l’acidità e il dolce-amaro

del cacao. Io consiglio di berlo ad infuso o french press (lo

stantuffo per la camomilla) accompagnato da biscotti secchi

speziati… ma non diventatene dipendenti perché può nuocere

al portafoglio!

Se stai leggendo questo articolo le possibilità sono due: è il

21 dicembre, il mondo sta finendo ma te ne freghi e sei corso

a prendere l’ultimo numero di TuttoQui&Dintorni; il mondo

non è finito e adesso non sai come impegnare il tempo,

quindi ti tieni occupato leggendo tutto ciò che ti capita a tiro.

In entrambi i casi Cucinatollerante ti serve un menù a tema

per sfidare un’ultima volta i simpatici Maya o per prendere

bellamente per i fondelli le cassandre di turno!

La cucina messicana deriva dall’incontro di quella Maya

con quella dei conquistadores spagnoli: alla base ci sono

mais, fagioli e spezie mentre dalla Spagna arrivano il riso,

la carne e il vino. Contaminazioni dall’Africa e altre nazioni

originarono le molte variazioni regionali.

Gli ingredienti fondamentali sono: i fagioli, in molte varietà

con usi e preparazioni differenti, il chili (peperoncino)

con varianti dal dolce al piccantissimo e il mais. Tra le

preparazioni della cucina messicana un vero “must” sono le

salse, molte piccantissime e altre più “abbordabili” ma mai

delicate, come la famosissima guacamole. forse la bevanda

più nota è la tequila, distillato ottenuto dal cuore dell’agave

e disponibile in tre tipi riconosciuti: tequila blanco, tequila

reposada e tequila añejo. La vera bevanda nazionale

messicana però è la cioccolata in tazza! è aromatizzata con

vaniglia o cannella e servita calda o fredda.

Nella tradizione messicana cucinare è un modo per stare

insieme e non soltanto per preparare i cibi; la cena è fatta

per divertirsi insieme, intingolare, ed quindi giusto lasciare

scegliere agli “ospiti” gli abbinamenti di gusti e colori.

Per la tua cena messicana da fine del mondo puoi cominciare

con gli antipasti messicani (nachos con salse varie, nachos

con pomodorini e formaggio), a seguire burritos, fajitas e

quesadillas (sorte di piadine da farcire) burritos con macinato

di manzo e salsa rossa piccante, fajitas con salsiccia e fagioli,

fajitas con nuggets di pollo, lattuga e salsa rossa, fajitas di

pollo con guacamole, fajitas di pollo in rosso, quesadillas

in rosso, tacos con farciture varie. Il tutto accompagnato da

fagioli refried e pannocchie alla griglia.

Ovviamente è fondamentale farti un’adeguata scorta di

birra gelata, soprattutto se di gusto corposo e forte, che si

accompagna bene ai saporiti piatti messicani.

Se volete saperne di più: http://cucinatollerante.altervista.

org/menu/la-nostra-cena-messicana/

“Perché la vita è così: un arazzo immenso dove, nel momento più cupo e atroce, da qualche parte , una spanna sotto la terra, i semi che trasformeranno il mondo in un giardino stanno già cominciando a germogliare”

Silvana De Mari

Che sia un’idea di Madre Natura o del dio Atzeco Quetzalcoatl, una cosa è certa: il cacao ha origini antichissime e, come il narcotraffico, l’inflazione e il Salsa&Merengue, è latinoamericano.La pianta del cacao cresceva spontaneamente sulle rive dell’Orinoco, ma i nostri amici Maya, che lo chiamavano Kakaw, furono i primi a coltivarlo nella penisola dello Yucatán in Messico. Si perfezionarono sul Kakaw per 1500 anni, ne utilizzarono i semi come moneta e ne produssero una bevanda considerata sacra. Lo trovavano così buono e pieno di proprietà energetiche che lo davano da bere ai sacerdoti nelle cerimonie religiose, ai nobili e ai guerrieri e pure alle vittime dei sacrifici umani (tanto per dar loro un contentino

Kakaw di Maya di Anna Giraldo

prima di fargli tirare le cuoia). Il Kakaw…Poi quando, nel 1519, Cortéz e i suoi conquistadores spagnoli sbarcarono in Messico, dissero “No! Non possiamo chiamare ‘sta roba marrone con un nome che inizia per “Caca”, non sta bene!!”, e pensarono di cambiare la radice in choco o qualcosa che suonava più o meno così. (Come se fossero state bene tutte le cosette carine che combinarono laggiù – n. acida d.r.).Del resto i conquistadores non avevano capito niente.Lo testimonia anche il fatto che, quando arrivarono, domandarono, ovviamente utilizzando il loro idioma (mica si potevano sforzare, i poverini) quale fosse il nome di quella terra che si apprestavano a sottomettere e depredare in nome della civiltà e ricevettero in risposta proprio dai Maya “Yectean!”, ovvero “Non ho capito”. E loro, dimostrando di aver capito tutto, chiamarono quella terra, per l’appunto, “Yucatán”.Anche i Maya non avevano capito bene cosa fossero venuti a fare quei signori, ma erano persone ammodo e avevano pure una profezia secondo la quale un nobile esercito con le armature d’argento sarebbe arrivato dal mare per portare loro doni e ricchezze. Accolsero così il buon Cortéz con tutti i crismi dovuti agli eroi e agli déi (si sa mai che il nobile esercito

Page 11: tuttoquiedintorni zero3

Questa sera ci siamo fatti un programma che è la fine del

mondo. Ce ne stiamo in casa, al calduccio e accendiamo

il camino. è sempre una magia il fuoco scoppiettante

che proietta riflessi dorati. Potremmo invitare qualche

buon amico, magari si va a prendere la pizza. Mettiamo

i piatti delle feste, qualche candela profumata, musica

in sottofondo. Che meraviglia la nostra casa! Decidiamo

di dedicare un pò di tempo a riordinare il nostro rifugio e

scopriamo che è rilassante e corroborante; la nostra casa

riflette la nostra personalità e con l’arrivo dei primi freddi,

se ne apprezza il valore in modo speciale. Più tardi ci viene

voglia di cucinare, indossiamo uno scenografico grembiule

da cuoco e vogliamo preparare la tavola in modo originale

e creativo.

Allora sfogliamo riviste di cucina, navighiamo in rete

per trovare consigli, idee suggestive per rendere unica

un’occasione o semplicemente ampliare i nostri orizzonti.

La cura che dedichiamo alla nostra abitazione ci appaga

con quella piacevole sensazione di benessere semplice

che ci fa sentire in pace.

In alternativa ce ne andiamo a spasso tra le corsie del

CENTRO CASALINGHI DAL TOSCANO.

Un vero paradiso per chi ama la casa, sia nel suo concetto

più intimo, sia come luogo ideale per offrire ospitalità a chi

abbiamo a cuore! Qui si respira l’idea di casa così come

ciascuno la può desiderare, un’idea che va oltre le mode,

oltre il design. Scopriamo una location ideale per trovare

spunti e suggerimenti, per imparare qualche segreto

da chef o da artisti, spesso coinvolti in dimostrazioni ed

eventi proprio qui DAL TOSCANO. Troviamo quello che ci

manca per creare e ricreare attorno a noi il nostro mondo

incantato, quell’atmosfera magica che tutti desideriamo e

che ci possiamo permettere perché fatta di dettagli. Allora

questa sera ce ne torniamo a casa un pò più felici, perché

ci sentiamo più ricchi. Abbiamo imparato un nuovo segreto

giusto per quell’occasione o abbiamo trovato finalmente il

regalo perfetto per un’amica estrosa o per il papà che ama

il barbecue e non è mai attrezzato a dovere. Le possibilità

al CENTRO CASALINGHI DAL TOSCANO sono davvero

infinite se utilizziamo come ingrediente di base il nostro

buon gusto ed aggiungiamo un pizzico di novità, che qui

non manca mai.

Poi questa sera ce ne stiamo in casa al calduccio, forse

il camino non c’è, però abbiamo iniziato un bel romanzo

avvincente e sotto le luci ammiccanti dell’albero di Natale

ci rilassiamo tuffandoci in avventure lontane, al sicuro nel

nostro nido semplice, che abbiamo imparato a rendere

speciale… e così, fuori, il mondo potrebbe anche finire!

Il 27 | 10 | 2012 il CENTRO CASALINGHI DAL TOSCANO

ha ospitato l’evento NuTRIMENTE organizzato da

TuttoQui&dintorni in collaborazione con Cucinatollerante,

Tavolestrette, Anna Giraldo e Federico Aprile.

Un ringraziamento particolare alla squisita ospitalità di

Luca Carraresi e all’organizzazione coordinata da Giorgia

Caramanti.

UN ProgrAMMACoN I FIoCChI

fosse proprio il suo) e gli offrirono una bella tazza della loro bevanda preferita: semi di cacao tritati, peperoncino, pepe e acqua caldissima. Niente zucchero, né latte. E shakerata a dovere, così da produrre un bello spumone denso e disgustoso in superficie. Era roba per gli déi, si intende…A Cortéz, che non era un dio né un suo rappresentante, checché ne pensassero nei pressi di Roma all’epoca, quella roba che gli dettero da bere fece proprio schifo.C’è da pensare che avesse anche qualche sospeso rancoroso con Carlo V perché quando tornò in Europa, una delle prime stranezze esotiche che gli portò in dono fu, appunto, una manciata di semi di cacao e la ricetta dell’immonda bevanda.Carlo V, anche detto Il Pigliatutto, ne aveva viste di ogni sorta nel suo regno sul quale non calava mai il sole, quindi ebbe una pensata: “Diamola da bere al clero, si sa mai che si diano una calmata!”.Non si dettero una calmata, quelli. No, non se la dettero ancora per diversi secoli. forse il dono di Carlo V non li aiutò… insomma era una bevanda dalle note proprietà afrodisiache e loro avevano fatto dei voti… Ebbero un bella idea, però, aggiunsero zucchero e vaniglia al cacao e lo fecero assaggiare in giro per l’Europa con le deliziose conseguenze che ancora oggi possiamo gustare…Così, quando mangiate un boero, una fetta di pane spalmata di Nutella e pure un Tegolino… ricordatelo sempre: state mangiando un po’ di Kakaw di Maya.

III^ ed ultima puntata di Karin EasyKa Krispino

Fatti un amico fungo

Carissimi Zuccherini siamo alla fine!

Vi ho tenuto compagnia per ben due

numeri e in questo non vi posso più

nascondere nulla..e va bene, è vero! Il mio gusto non è proprio

d’Asti invecchiato, sono più agrodolce e aspro... ma in qualche

modo dovevo conquistarvi!

Vi ho raccontato come sono, che cosa mangio e perché faccio

tanto bene, ma dove mi potete trovare? Ahrrrrg per tutti i bucanieri!

Dovreste salpare i mari dell’Est, sconfiggere la nave pirata zombie

e cercare fra i tesori di Edward Teach!

Diciamo che se andate su internet, mi trovate subito! Tanti siti

online sono disposti a vendermi o a vendere il mio prezioso the!

Fra tutti, però, preferisco la vecchia maniera: il regalo.

La tradizione vuole che sia il regalo per una persona a voi cara,

e modestamente io valgo! Niente prezzi, solo regali, se fate

una piccola ricerca troverete sicuramente qualcuno disposto a

regalarvelo!

Una volta entrati in mio possesso, mi dovrete costruire un

bell’acquario in cui nuotare! Ci sono molte ricette: la mia preferita

è quella di Karin, la mia amica, che prepara con tanto amore!

Innanzitutto dovete usare un recipiente di vetro o di acciaio, anche

una pentola di qualsiasi forma -non vado molto d’accordo con

la plastica!- Per il brodino considerare 2 litri come riferimento e

variare la quantità a seconda del recipiente utilizzato: vi ricordo

che mi adatto a qualsiasi forma!

Che fico che sono!

In questi 2 litri sbriciolare circa 5 cucchiaini di the bancha verde

(rivolgersi ad una buona erboristeria) e aggiungere circa 150 gr di

zucchero, non raffinato mi raccomando! Quando mi presentate la

nuova casetta ricordate di lavarmi accuratamente sotto l’acqua

corrente tiepida, non voglio puzzare nella nuova casetta! Dopo 12

giorni ripetere il rituale e versare il the fermentato in una bottiglia

“vergine” di vetro! Ogni giorno assumere un dito di the prima di

ogni pasto senza esagerare, non sono il genio della lampada! Se

rimane tanto the, si può usare per le piante o potete regalarlo a

qualche amico! L’IMPORTANTE è SEMPRE FARLO CON AMORE.

Grazie mille per avermi seguito, siete degli zuccherini dolciosi!

Per qualsiasi dubbio chiedete info alla mia amica Karin EasyKa

Krispino, è quella con la faccia stupida!

Vi lovvo tanto.

Kombuchino

PER ORGANIzzARE EVENTI IN COLLABORAzIONE

[email protected]

15 | 16 e 22 | 23 dicembreTuttoQUi&dintorni ai Salotti di Sartoria Artistica

A Natale ritornano i SALOTTI DI SARTORIA ARTISTICA con il tradi-zionale mercatino dedicato all’auto-produzione e all’artigianato. TuttoQUI&dintorni sarà presen-te per documentare questo atteso evento. Sotto la Loggia del Grano, a Mantova saranno esposti capi di abbigliamento, borse e pezzi unici ideati da appassionate di cucito e ri-ciclo. L’evento, nato nel 2010 ha l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico sul tema della sostenibilità e del cucito. Continua la raccolta di materiale di recupero: l’appello di recarsi sotto la Loggia del Grano è rivolto a chi vuole donare alle espositrici spagnolette, cravatte, cordoni, stoffe e materiale di merceria.

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i info: www.riqu.tumbrl.com | facebook: Riqù L’Arte Sul Filo

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Page 12: tuttoquiedintorni zero3

Concedetemi uno spazio per uno sfogo sentimental-malinconico. No? Pazienza, me lo prendo comunque, chi comanda QUi? bella domanda.

QUi comandano e dettano legge la passione e l’entusiasmo, sopra ogni cosa. Persino sopra il buonsenso. Quest’ultimo, assai antipatico alla

sottoscritta, avrebbe voluto che ci fermassimo prima; questa meravigliosa e pure un po’ folle avventura (la sottoscritta adora la follia!) che

si chiama TuttoQui&dintorni, facendo i conti della serva, avrebbe dovuto smettere di esistere già al secondo numero. C’è la crisi, chiedere

sponsorizzazioni in un momento come questo, per un progetto così poco pragmatico, senza aver pianificato strategie di mercato, è roba da

matti. Confermo. Caliamo le braghe, non ci stiamo dentro. Ma la passione che “spesso conduce a soddisfare le proprie voglie senza indagare” ha

prevalso sinora. Sono usciti lo zero, lo zero0, lo zero1, lo zero2 e ora lo zero3.

Il prezioso carburante che ci ha sostenuto nella nostra lucida follia, nemmeno il petroliere più ricco lo possiede. Parlo ovviamente di tutti i

nostri collaboratori appassionati che hanno regalato a noi della redazione un anno magico. Tutti gli eventi organizzati, da non professionisti

quali siamo, si sono rivelati grandi successi, perché la passione e l’entusiasmo estremamente contagiosi hanno fatto da padrone. La passione

appassiona è il motto di Qui da sempre.

forse non ci sarà lo zero4. O forse sì. Questo mio sfogo vuole essere anche un appello a tutti voi lettori. Noi siamo partite in tre e oggi siamo più

di venti! E la porta è sempre aperta e in corsa si aggiunge sempre qualcuno.

Scrive un nostro sostenitore e neo-collaboratore: “vi seguo fin dal numero zero e ho grande stima di voi: sono convinto che stiate dando voce, con

coraggio, libertà e immaginazione, alla sensibilità e al bisogno di espressione di una generazione che altrimenti rischia l’evanescenza, l’irrilevanza

o, peggio, l’invisibilità. Odio le gabbie generazionali e sento il bisogno di mettermi in dialogo con voi. Per me si tratta di un bisogno vitale. Spero

che lo condividiate.” Ecco, un bisogno vitale che va alimentato, da tutti voi. Aiutateci a continuare la nostra meravigliosa folle avventura, io credo

che ce la faremo.

Grazie a chi ci ha creduto e sostenuto, anche economicamente, e grazie infinite a tutti i nostri ragazzi, al loro entusiasmo, alla loro passione, alla

loro energia vitale che rende TuttoQui&dintorni unico, perché noi insieme siamo unici! A presto, vi lovvo zuccherini!!! (cit. Karin :-))

MOSTRA dI ILLUSTRAZIOnI A SOSTEgnO dEL MAnIFESTO dEL “MOvIMEnTO InTERnAZIOnALE pER IL RISpETTO dEI dIRITTI dELL’InFAnZIA”

22 dicembre 2012 | 6 gennaio 2013Fruttiere di palazzo Te | viale Te, 13 | Mantova

®

info: tel. 0376 49951 | [email protected]

I giovani ci sono, si organizzano e hanno voglia di fare per sè e per la propria comunità di appartenenza. Sono una vera e propria risorsa da coltivare, rispettare e potenziare. Noi lo sappiamo molto bene!Regione Lombardia, in collaborazione con i Centri di Servizio della Lombardia, ha offerto

l’opportunità di conoscersi e collaborare ad alcune associazioni giovanili del territorio

mantovano per favorire l’emersione e il potenziamento dell’associazionismo giovanile.

Le associazioni giovanili Art&life di Porto Mantovano, GUC Gazoldo Under Costruction,

I Saturnali di Goito, Istituto Formazione risorse Umane Giachery di Mantova, la luna nel

pozzo di Pozzolo, Sabbio pro events di Sabbioneta, Solidariamente di San Giacomo delle

Segnate, TuttoQui & dintorni di Quistello, con il coordinamento del CSVM di Mantova,

hanno dato vita ad un evento ricco di contaminazioni tra musica, fotografia, cultura e

tanto divertimento. Uno scambio tra territori per stare insieme e chiacchierare in una

serata che ha favorito l’approccio e la comunicazione tra le persone e ha dato l’opportunità

ad ogni associazione per farsi conoscere e presentarsi agli altri.

Il piacere di stare insieme, per conoscersi meglio e per condividere passioni e idee, per

sviluppare progetti e sinergie per il futuro, ha animato il centro area feste Aquilone di

Goito che ha ospitato l’evento. Tutti i ragazzi delle associazioni hanno dimostrato la

loro voglia di fare, nonostante le difficoltà che il mondo dell’associazionismo giovanile

incontra, ma “l’unione fa la forza” e il 23 novembre u.s. ne abbiamo avuto la prova!

Grazie a tutti coloro che hanno partecipato e condiviso una serata speciale!

Non perdiamoci di vista, grandi progetti ci aspettano!

23undici2012 | eMerSIoNe e

PoTeNzIAMeNToASSoCIAzIoNISMo

gIoVANILe centro area feste Aquilone - goito

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