tutto il processo del formaggio

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Molta tradizione, poca storia Giobbe e Polifemo Il formaggio, singolare risultato di un'alchimia batterica che trasforma un liquido deperibile in una massa solida conservabile a lungo nel tempo, è stato considerato fino a un'epoca recente un alimento poco nobile, tanto da lasciare un numero limitato di tracce nella storia e nelle letterature occidentali, soprattutto in confronto ad altri alimenti quali il pane, il vino o la carne. I suoi antenati nacquero per caso, e furono oggetto all'inizio di curiosità e di diffidenza: il primo formaggio conosciuto dall'uomo, in epoca preistorica, fu probabilmente costituito dal contenuto dello stomaco di un animale lattante. In Sardegna ancor oggi una preparazione analoga, il Callu de Crabettu (si tratta di stomaci di capretti essiccati insieme al latte coagulato che si trova al loro interno), viene considerata una prelibatezza dai rari pastori che la producono per il proprio consumo. Quando le civiltà del Medio Oriente svilupparono la scrittura i latticini erano comunque già una realtà consolidata. Un passo della Bibbia paragona addirittura la loro lavorazione alla crescita del feto nel grembo materno:-mi hai fatto colare come latte e mi hai cagliato come formaggio- dice a Dio Giobbe a proposito del proprio concepimento e della propria nascita. Parole che poteva pronunciare soltanto chi era stato colpito dal fenomeno della coagulazione del latte, di fronte al quale pare davvero di assistere alla formazione di qualcosa di nuovo rispetto alla materia prima di provenienza. Più a Occidente l'arte casearia raggiunse maggiore perfezione, sfiorando perfino il mondo dei poemi epici. Nell'Odissea l'antro di Polifemo è il primo caseificio di cui sia nota la descrizione: i graticci erano gravati dai formaggi nei recinti si affollavano agnelli e capretti... I recipienti ben fatti secchi tinozze quali mungeva tutti pieni di siero-. Il malvagio ciclope un pastore-casaro abile _ - - - - -

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Molta tradizione, poca storia  

Giobbe e PolifemoIl formaggio, singolare risultato di un'alchimia batterica che trasforma un liquido deperibile in una massa solida conservabile a lungo nel tempo, è stato considerato fino a un'epoca recente un alimento poco nobile, tanto da lasciare un numero limitato di tracce nella storia e nelle letterature occidentali, soprattutto in confronto ad altri alimenti quali il pane, il vino o la carne. I suoi antenati nacquero per caso, e furono oggetto all'inizio di curiosità e di diffidenza: il primo formaggio conosciuto dall'uomo, in epoca preistorica, fu probabilmente costituito dal contenuto dello stomaco di un animale lattante. In Sardegna ancor oggi una preparazione analoga, il Callu de Crabettu (si tratta di stomaci di capretti essiccati insieme al latte coagulato che si trova al loro interno), viene considerata una prelibatezza dai rari pastori che la producono per il proprio consumo. Quando le civiltà del Medio Oriente svilupparono la scrittura i latticini erano comunque già una realtà consolidata. Un passo della Bibbia paragona addirittura la loro lavorazione alla crescita del feto nel grembo materno:-mi hai fatto colare come latte e mi hai cagliato come formaggio- dice a Dio Giobbe a proposito del proprio concepimento e della propria nascita. Parole che poteva pronunciare soltanto chi era stato colpito dal fenomeno della coagulazione del latte, di fronte al quale pare davvero di assistere alla formazione di qualcosa di nuovo rispetto alla materia prima di provenienza. Più a Occidente l'arte casearia raggiunse maggiore perfezione, sfiorando perfino il mondo dei poemi epici. Nell'Odissea l'antro di Polifemo è il primo caseificio di cui sia nota la descrizione: i graticci erano gravati dai formaggi nei recinti si affollavano agnelli e capretti... I recipienti ben fatti secchi tinozze quali mungeva tutti pieni di siero-. Il malvagio ciclope un pastore-casaro abile nel proprio mestiere ma per contro violento poco civile. forse in questo celebre episodio omerico aleggia già l'eco di una velata polemica contro il formaggio: un cibo da barbari creature incapaci vivere società evoluta quale è appunto il selvaggio polifemo. Una nomea che i derivati del latte faticheranno a togliersi dosso.

Il caseus nell'antica Roma La lavorazione formaggio era nota ai romani che diffusero conoscenze e tecniche in materia per buona parte loro impero come prova la diffusione del termine caseus (-formaggio- in latino) quasi tutte le lingue europee: dall'inglese cheese al tedesco kse al'olandesel kaas dallo spagnolo queso portoghese queijo. solo francia italia settentrionale (in italiano convive con cacio diffuso centro-sud) sono prevalsi dal latino tardo formaticum vocabolo nato probabilmente radicata queste aree utilizzare grosse forme

 

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 Venditore di formaggio e burro: affresco quattrocentesco conservato nel castello di Issogne in Val d'Aosta.

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(le fascere) preparare formaggio. producevano latticini sia vacca (pochi perch bovini utilizzati soprattutto lavoro campi) pecora capra consumavano freschi oppure stagionati. varrone (i secolo a. c.) menziona fra cagliata veniva fatta bollire poi affumicare: potrebbe essere progenitore dei pasta filata. columella d. descrive dettagliatamente stagionatura pecora. anche plinio vecchio ( riporta breve elenco prodotti caseari pi celebri suoi tempi sul mercato roma: quelli italiani (ma c della gallia meridionale dalmazia bitinia) vatusio proveniente dalle alpi graie cebano ovino dalla liguria ossia piemonte sud-occidentale sassinate grossi esemplari lunigiana. locali cio originari lazio vestino certi caprini affumicati. tratta noi puri nomi sarebbe inutile voler cercare corrispettivi moderni. dunque non disprezzava ne importava lontano. pu nemmeno dire impazzisse. li considerava anzi povero rustici buongustai: classi alte chi amava guardato sospetto. scrive svetonio augusto quanto cibi aveva abitudini popolano (fere vulgaris). mangiava pochissimo prediligeva derrate infima categoria: pane mistura pesciolini minuscoli pressato mano fichi fioroni. nulla descrizioni lauti banchetti celeberrima cena trimalcione annoverano portate nessun tipo di formaggio.

L'età di mezzo: persistenza pregiudizi.Con le invasioni barbariche alimentari pastorizie delle popolazioni italiane subirono forti cambiamenti dovuti serie fattori. popoli nomadi germanici grandi allevatori utilizzavano bestiame carne finirono influenzare sempre stata altro animale mentre diminuzione quantit disponibile certe scelte vita religiosa astinenza spinsero considerare modo diverso alimenti fino ad allora sottovalutati. causa divieto consumare contenuto nelle regole diversi monasteri benedettini diedero infatti impulso sostegno vaste propriet terriere alle sfruttamento pascoli (anche montani) caseificazione garantendosi cos fonte alternativa proteine. motivo leggende prive fondamento legano monaci o nascita svariati ed europei. sui continuavano pesare pregiudizi culturale cui testimonia prendendo difese raccolta medioevale precetti sanitari versi flos medicinae salerni scritto tra fine dell xii scuola medica salerno. medici ignoranti affermano io nuoccia alla salute vi afferma prima persona paragrafo esso dedicato. sue benefiche secondo fisiologi salernitani pure sconsigliavano inserirlo nella dieta malati contrario apprezzabili: innanzi tutto quella risvegliare astringente se mangiato pasti caso lassativo. soltanto col trecento ha ogni inizio autori ricettari novellisti poeti tendenza ghiottoneria almeno ingrediente ghiottonerie (esemplare di Parmigiano grattugiato del paese di Bengodi ritratta in una novella di Boccaccio). Doveva tuttavia passare ancora un secolo prima che un dotto di professione dedicasse un intero libro all'argomento.

Un solitario: Pantaleone da ConfienzaIn pieno Rinascimento, per la precisione nel 1477, un medico piemontese, Pantaleone da Confienza, diede alle stampe il primo trattatello organico europeo sul latte e sui formaggi, la Summa lacticiniorum. La parte più viva e interessante dell'opera è costituita dalla rapida descrizione di alcuni dei formaggi italiani allora più noti, nei quali talvolta si ravvisano gli antenati di prodotti a noi familiari, come il Grana, ben

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 Uno dei primi apparecchi per la pastorizzazione del latte in uso alla fine del XIX secolo.

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riconoscibile nel caseus Placentinus . Più arduo è trovare un esatto corrispondente, per esempio, al caseus de la Mora o al caseus Vallis Augustae, benché il primo sembri avere evidenti punti di contatto con le moderne Robiole e il secondo con le Tome. Nell'esordio del suo libro Pantaleone fa però capire che il prestigio di cui godeva l'oggetto delle sue fatiche era nonostante tutto ancora basso: -tratto un argomento rozzo- (vulgaris) si giustifica infatti ma lo affronto perché mi sembra che i concetti siano comunque utili. La Summa lacticiniorum, col suo tentativo embrionale, mai più tentato da nessuno dopo Plinio il Vecchio, di descrivere e catalogare i formaggi di un'area vasta (Piemonte, Valle d'Aosta, Emilia Romagna, Toscana, più un -excursus- su Francia, Inghilterra, Germania, Fiandre), non fece scuola, e nei secoli successivi in ambito italiano le dissertazioni sul formaggio non limitate a un ambito locale furono rare e sporadiche, e talvolta ancora succubi dei vecchi pregiudizi duri a morire. Domenico Romoli detto il Panunto, celebrato trattatista fiorentino di arte culinaria, così si esprime circa il formaggio nella sua opera principale, La singolar dottrina, pubblicata nel 1560: quanto più el cascio si approssima all'esser fresco, tanto meno è cattivo, e quanto più va verso el vecchio, più è cattivo, di difficile digestione e fa doler il capo. Idee ampiamente contraddette dalle conoscenze moderne (il formaggio stagionato è anzi più digeribile di quello fresco, avendo subito una fermentazione più lunga), forse originate in parte da metodi di conservazione imperfetti e dai prodotti scadenti che ne derivavano. Eppure nei banchetti dell'epoca i latticini non mancavano: il Romoli stesso derivava il soprannome di Panunto da una sua ricetta a base di pane e Provatura fresca (la nostra Mozzarella).Senza dilungarci troppo il formaggio ebbe in questi secoli estimatori cauti, che all'occasione potevano trasformarsi in detrattori. Perfino Pellegrino Artusi, che alla fine dell'Ottocento con La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene cercò di dare unità culinaria all'Italia da poco riunita politicamente, quasi ignora i formaggi, o meglio sembra conoscere solo il Parmigiano grattugiato e la Ricotta: semmai concede un accenno a prodotti stranieri, come il Gruiera, ovvero l'Emmental. Dopo il 1861 notizie raccolte sul campo circa i formaggi italiani vengono piuttosto dai memoriali redatti durante le inchieste parlamentari volte a conoscere meglio le condizioni di vita dei ceti contadini: e ancora molto a lungo addentro il Novecento il formaggio sarà un terreno di indagine più per lo studioso di problematiche agricole che non per l'esperto di gastronomia e di cucina. Per quello che è solo apparentemente un paradosso è toccato a uomini nati e cresciuti nell'ambito della civiltà industriale accingersi negli ultimi anni alla riscoperta, alla comprensione e alla valorizzazione di produzioni a rischio di scomparsa o di snaturamento.

Problemi di denominazione A dispetto della plurisecolarità delle tecniche di produzione, spesso dimostrabile per via documentale, i nomi con cui i formaggi vengono attualmente denominati sono quasi tutti di origine recente, riferibile al XX o al massimo al XIX secolo. Si trattava infatti di prodotti circolanti in aree molto ristrette, dove termini generici quali formaggio nostrano, grasso, di montagna, pecorino e simili erano una definizione

 Pressatura del formaggio in una stampa ottocentesca.

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 Casari lombardi intorno al 1900.

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sufficiente. Anche denominazioni oggi riferite in pratica a un solo prodotto un tempo designavano categorie ampie di latticini: per esempio il nome Stracchino in Lombardia era attribuito indistintamente a tutti i formaggi come il Taleggio, il Quartirolo e il Gorgonzola ricavati dal latte delle vacche che in autunno scendevano dai pascoli montani, e che erano perciò dette stracc, stanche. Solo in caso di abbondante produzione, e quindi di larga diffusione commerciale, il formaggio assumeva una denominazione meno generica: È il caso per esempio del Grana, noto anche sotto questo nome fin dal tardo Medioevo, oppure del Parmigiano e della Fontina. Con un processo inverso negli ultimi decenni alcune denominazioni tipiche non sufficientemente protette sono divenute generiche, estendendosi a formaggi similari ma prodotti con tecniche e in luoghi diversi da quelli tradizionali. Di qui l'importanza di una tutela giuridica dei nomi, della tipicità e della genuinità in campo agroalimentare. Il processo di (ri)denominazione è comunque tuttora in atto, a dimostrazione del fatto che la storia dei formaggi italiani più che un capitolo chiuso è un libro ancora in parte da scrivere.

 Lavorazione del Montasio in Friuli nei primi anni del Novecento.

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La materia primaAlle origini, il latte. Secondo un Regio Decreto del 1925, in seguito mai più modificato, sotto il nome di "formaggio" in Italia può essere commercializzato soltanto il prodotto della coagulazione acida o presamica del latte. La Ricotta (ottenuta dal riscaldamento del siero) o il Mascarpone (prodotto con la coagulazione della panna) non sono perciò in senso stretto dei formaggi, anche se - non senza ragione - in quanto derivati del latte vengono accomunati a questi ultimi, come si è deciso di fare anche nel presente sito. La coagulazione acida o presamica, della quale si parlerà meglio più avanti, è, nonostante la varietà delle tecniche di lavorazione, un processo relativamente semplice. Gli ingredienti di base del formaggio sono dunque pochi. Anzi, sono soltanto tre: il caglio, ossia le sostanze che hanno il potere di coagulare la componente proteica del latte, il sale e il latte stesso, l'elemento più importante.

La lattifera per eccellenza: la vacca. Il latte di vacca è da secoli il più utilizzato in Europa non solo per la fabbricazione del formaggio, ma anche come semplice bevanda, o come materia prima per derivati quali la panna, il burro, la ricotta e lo yogurt. Rispetto al latte degli altri animali ha l'indubbio vantaggio di essere disponibile in quantità maggiori e relativamente costanti lungo l'intero arco dell'anno. La vacca tuttavia, animale di grossa taglia con esigenze particolari in fatto di quantità e qualità

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dell'erba o dei foraggi con cui si alimenta, può essere allevata in genere soltanto laddove le condizioni ambientali permettano l'esistenza di pascoli abbondanti. Pertanto l'allevamento delle vacche da latte è più sviluppato nel nord dell'Italia, con conseguenze anche sulla produzione dei formaggi vaccini.

La prima per anzianità: la pecora. La pecora è, a differenza della vacca, un animale la cui produzione lattiera tende ad avere un andamento stagionale, diminuendo o addirittura venendo meno nel periodo estivo. Dà un latte dal sapore molto caratteristico e intenso, utilizzato soltanto per la produzione casearia. A causa delle sue minori necessità alimentari è più diffusa, per antichissima tradizione, nel centro-sud dell'Italia e nelle isole (in particolare in Sardegna), regioni povere di pascoli adatti alle mandrie vaccine. Proprio per questo motivo, e per la possibilità di utilizzarla anche per la produzione della lana, è stata certamente uno dei primi animali allevati dall'uomo.

Perseguitata ingiustamente: la capra. Le capre sono attualmente presenti in Italia in quantità relativamente limitate, anche in conseguenza di precise scelte di politica agricola: nella prima metà del Novecento furono infatti condotte con successo delle campagne per scoraggiarne l'allevamento, allora ritenuto dannoso per il patrimonio agricolo e forestale, tanto che soltanto negli ultimi anni il loro numero ha ripreso ad aumentare. In realtà si tratta di un animale che può pascolare in terreni inadatti a qualsiasi altro tipo di sfruttamento, e che quindi, se gestito con raziocinio, non sottrae preziose risorse all'agricoltore, come ben sapevano gli allevatori del passato. Il latte di capra, assente nel periodo invernale, si consuma anche come bevanda, ma tende a essere impiegato soprattutto per la produzione di formaggi.

La regina delle paludi: la bufala. La bufala (pur ricordando vagamente per aspetto e dimensioni una vacca non si tratta di un bovino, ma di una specie a sé stante) è un animale che ama l'acqua e permette di sfruttare come pascolo i terreni acquitrinosi, dai quali difficilmente una vacca, una capra o una pecora saprebbero trarre partito. Un tempo comune nelle aree paludose del centro e del sud Italia, in particolare nella Maremma e nell'Agro Pontino, dove la sua presenza è documentata a partire dall'Alto Medioevo, è oggi allevata, anche in seguito alle bonifiche che hanno intaccato i suoi ambienti naturali, in un numero abbastanza ridotto di esemplari, peraltro in fase di ripresa.

Il latte misto. Non è raro il caso di formaggi costituiti da miscele di latti provenienti da animali diversi. In molte produzioni dell'arco alpino l'usanza di mescolare un po' di latte di capra o di pecora a quello vaccino nasceva da motivi pratici: gli alpigiani erano infatti soliti aggregare alle vacche un piccolo gregge di capre o di pecore che permettevano di sfruttare l'erba dei terreni più impervi, dove i bovini non potevano inerpicarsi. Poiché il latte vaccino prima di procedere alla caseificazione veniva a volte scremato per produrre il burro,

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se ne reintegravano i grassi perduti mediante l'aggiunta di un po' di latte ovino e caprino, che contengono circa il 6% di lipidi in più. Ci si avvide poi che con questo sistema si ottengono formaggi più saporiti.

Le razze. In Italia esistono diverse razze di animali da latte selezionate da tempo immemorabile e quindi perfettamente adattate al loro habitat, come ad esempio la razza bovina Bruna Alpina, originaria delle Alpi occidentali. Limitandosi alle sole vacche l'elenco potrebbe essere tuttavia molto lungo, dalla Piemontese alla Valdostana alla Pezzata Rossa Friulana, dalla Rendena del Trentino alla Grigia Alpina dell'Alto Adige, fino alla Modicana dell'estremità meridionale della Sicilia. Per la loro maggiore produttività da decenni hanno tuttavia preso piede in tutta la penisola, a scapito di quelle locali, razze di origine straniera, prima fra tutte la vacca Frisona, il cui latte è però in genere meno adatto alla caseificazione rispetto a quello delle varietà autoctone, specie per quanto riguarda i formaggi pregiati. Attualmente circa l'80% dei bovini da latte allevati in Italia appartengono alla razza Frisona o a quella Bruna Alpina. Va sottolineato tuttavia che nemmeno nel caso dei formaggi a denominazione di origine i disciplinari vigenti specificano, se non a livello facoltativo, la razza di animali dai quali deve provenire il latte di base.

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Latte pastorizzato. La pastorizzazione (processo fisico che consiste nel riscaldamento del latte a circa 72° per venti-trenta secondi, in modo da eliminarne qualsiasi tipo di batterio) ha, fra i molti pregi, un grave difetto: quello di danneggiare irrimediabilmente, oltre a una buona parte delle vitamine, la flora batterica "utile", che conferisce caratteristiche particolari e nobili al formaggio. Il gusto dei latticini prodotti con latte pastorizzato risulta così notevolmente appiattito rispetto a quello dei loro omologhi di latte crudo, cioè non pastorizzato. A questo punto non ha senso parlare di tipicità, ossia di provenienza del latte da una particolare zona: dopo la pastorizzazione tutti i latti sono pressoché uguali.

Latte crudo. Solo con la dovuta attenzione allo stato di salute del bestiame e l'osservanza di alcune norme igieniche e legislative, oggi molto severe, la pastorizzazione diventa un procedimento superfluo: il latte crudo viene pertanto utilizzato ancora per la produzione di formaggi, anche se in questo caso la messa in atto di particolari precauzioni incide sul costo del prodotto finito. La pastorizzazione è omessa inoltre senza problemi nei prodotti destinati a una lunga stagionatura, dato che gli eventuali germi patogeni possono sopravvivere solo per un tempo relativamente breve. Per tentare di riprodurre le caratteristiche del latte crudo in molte lavorazioni si usa invece aggiungere particolari fermenti lattici al latte pastorizzato: la flora batterica tipica di un determinato ambiente o di una determinata razza di animali non è comunque riproducibile con pieno successo in modo artificiale. Bisogna tuttavia tenere presente che la dizione "latte crudo" non è di per sé garanzia di una materia prima di altissima qualità: per risultare tale il latte crudo deve essere infatti lavorato

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fresco e a breve distanza dal luogo di produzione, evitando il trasporto per lunghi tragitti, in grado di alterarne le proprietà.

La scrematura. La scrematura del latte consiste nell'eliminazione di una frazione più o meno elevata della sua componente grassa. Questo processo di solito avviene nel modo tradizionale, cioè per affioramento, lasciando riposare per qualche ora a una temperatura inferiore ai 10-12° in un recipiente basso e largo il latte munto: i globuli di grasso, più leggeri della parte acquosa, tendono a salire in superficie, formando la panna o crema, che viene rimossa con un apposito attrezzo. La scrematura può avvenire anche per centrifugazione meccanica, e in questo caso la panna sarà più saporita, a scapito però del latte residuo.

 Scrematura del latte e produzione del burro in

alpeggio.

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La caseificazione Il caglio. Cagliare il latte (cioè, in sostanza, fare il formaggio) significa separarne la componente proteica e lipidica da quella acquosa. Diversi estratti vegetali, quali il lattice contenuto nei fichi acerbi, oppure il succo estratto dai fiori di cardo o di carciofo, sono stati utilizzati in passato da molte culture contadine come caglio a buon mercato: lo stesso latte puro, lasciato per qualche giorno all'aria aperta a temperatura ambiente, viene cagliato dall'acido lattico che si produce spontaneamente al suo interno per l'azione di alcuni batteri (questo processo viene detto "coagulazione acida" ed è proprio dello yogurt, che secondo la legislazione italiana, a dispetto di quanto si possa pensare, è un formaggio). Ma il caglio più efficace e potente in natura è costituito dai succhi gastrici degli stomaci dei mammiferi lattanti, essenziali per la digestione del loro nutrimento principale. Da millenni l'uomo ha imparato a sfruttarne le proprietà. La sostanza più utilizzata come caglio è dunque il cosiddetto presame, una pasta, una polvere o un liquido ottenuto dalla lavorazione degli stomaci di agnelli, vitelli o capretti. Il caglio di capretto, più efficace di tutti gli altri, conferisce un sapore forte al formaggio, tanto che, laddove la lavorazione non lo richieda espressamente, gli si preferisce quello di vitello. Soltanto in pochi casi, come per il Mascarpone, era ed è invalsa l'abitudine di utilizzare sostanze dal gusto più neutro quali l'aceto bianco o l'acido citrico.

La coagulazione. L'aggiunta del caglio provoca, in un tempo variabile a seconda della quantità di latte e di caglio impiegati, della temperatura e di altre condizioni ancora, il coagulo di una delle componenti proteiche del latte (la caseina), che forma una sorta di reticolo nel quale viene imprigionata anche una parte dei grassi: il latte si scinde così in una massa semisolida biancastra, la cagliata, e in un residuo liquido di colore più scuro, il siero, ancora ricco di zuccheri e di proteine. La cagliata viene di norma rotta con un apposito strumento in modo da facilitarne la separazione dal siero: a seconda della grandezza dei granuli che si vogliono ottenere ci si servirà dello "spino", la cui forma si ispira a quella del ramo di biancospino secco utilizzato in tempi remoti, della "lira", così detta per l'aspetto che ricorda l'omonimo strumento musicale, o della "spada", che taglia la cagliata in grossi pezzi.

Cottura e pressatura della pasta. La caseificazione è di solito effettuata riscaldando il latte a temperature comprese fra i 28 e i 36-38°: la cagliata destinata alla produzione di formaggi a lunga stagionatura viene tuttavia portata subito

Alcuni degli strumenti utilizzati per la rottura della cagliata.

     

 

La coagulazione

 

Estrazione della cagliata a mano dalla caldaia

 

Prima strizzatura della cagliata

 

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Gli ambienti. Benché molti formaggi vengano consumati freschi, entro pochi giorni dalla loro produzione, la consuetudine più diffusa è quella di farli stagionare per un periodo che può variare da qualche settimana a 1-2 anni e, in casi eccezionali, fino a quattro e oltre. Questa prassi è nata da esigenze concrete: il latte tende ad avere una produzione stagionale, con punte qualitative e quantitative nel periodo primaverile-estivo, e solo con la sua conservazione come formaggio era possibile distribuirne il consumo lungo tutto l'arco dell'anno. La stagionatura deve sempre avvenire in locali appositi, con temperatura fresca, di norma intorno ai 10-15°, e tasso di umidità alto e costante (prima dell'avvento della refrigerazione l'operazione avveniva in grotte naturali o artificiali, sporadicamente utilizzate ancora oggi). Durante la stagionatura le forme vengono periodicamente rivoltate per evitare che si producano rigonfiamenti sulla faccia esterna.

Cura della crosta.Per impedire la proliferazione eccessiva di muffe o l'attacco da parte di parassiti quali gli acari, i formaggi a crosta morbida vengono di tanto in tanto lavati con una soluzione di acqua e sale, mentre per prevenire fessurazioni e crepe quelli a crosta dura vengono unti con sostanze oleose. Per questa operazione si utilizzano di norma gli olii di semi, ma esistono numerose alternative (olio di oliva, grasso animale...) a seconda del tipo di formaggio e della zona di provenienza.

Trasformazioni chimico-fisiche. Durante la stagionatura la pasta perde gran parte del proprio contenuto in acqua (il calo peso nei lunghi periodi è superiore al 30% del totale iniziale), si compatta, subisce la trasformazione di grassi e proteine e la fermentazione degli zuccheri residui, assumendo il proprio caratteristico sapore: la formazione di gas può produrre un'occhiatura di dimensioni molto variabili, che a seconda del formaggio è considerata un pregio o un difetto. Queste trasformazioni sono più evidenti nei prodotti a latte crudo. La cagliata stagionando cambia anche colore, passando da quello biancastro a quello giallo-paglierino più o meno intenso. Poiché il formaggio "nasce" a tutti gli effetti durante la stagionatura, è evidente che una fretta eccessiva, ambienti poco adatti o trascuratezza nell'eseguire le operazioni necessarie possono dare luogo in questa fase a cattivi risultati anche se la materia prima e la lavorazione sono di qualità eccellente. È pertanto della massima importanza l'intervento dello stagionatore (o affinatore) professionista, che acquista il formaggio dal produttore, lo seleziona e ne cura l'evoluzione, provvedendo quindi al taglio e alla messa in vendita delle forme quando queste hanno raggiunto la perfetta maturazione.

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Alcuni degli strumenti utilizzati per la rottura della cagliata.

     

 

La coagulazione

 

Estrazione della cagliata a mano dalla caldaia

 

Prima strizzatura della cagliata

 

 

 Cantina di stagionatura

ricavata nei sotterranei di una centrale idroelettrica

abbandonata.

  

 

 

 Le grotte di stagionatura

possono essere molto differenti per dimensioni,

altezza, profondità nel sottosuolo e materiali da

costruzione impiegati. Fondamentale comunque

è l'uso di legno non trattato chimicamente per

le scaffalature su cui vengono sistemati i

foemaggi.

  

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La classificazione dei formaggiNei paesi dove esista un'ampia varietà di formaggi sorge il problema di una loro classificazione anche a scopi commerciali, e di una suddivisione in categorie il più possibile omogenee. Questa in realtà non è un'operazione semplice, dato che i criteri in base ai quali può essere compiuta sono molteplici e incompatibili fra loro.

Contenuto di grassi. Un primo sistema classificatorio è la misurazione del contenuto lipidico del formaggio: se questo eccede il 42% della sostanza secca secondo la legge italiana avremo un formaggio grasso, tra il 42 e il 20% un formaggio semigrasso e sotto il 20% un formaggio magro. Si tratta indubbiamente di una classificazione rigorosa, dato che il contenuto di grassi può essere misurato con precisione: il fatto che sia regolata ferreamente da apposite leggi risente inoltre del fatto che un tempo si dava particolare importanza alla sostanza grassa del formaggio, e che una scrematura eccessiva era ritenuta sostanzialmente una sofisticazione alimentare.

Durezza della pasta. La legge italiana si è preoccupata di suddividere i formaggi in categorie a seconda del loro contenuto in grassi, ma non in base al loro contenuto in acqua, forse anche perché quest'ultimo è estremamente variabile. Convenzionalmente si distingue comunque, a livello commerciale, tra formaggi a pasta dura, semidura e molle. Nonostante molti amino questo tipo di classificazione bisogna dire che, oltre ad essere abbastanza vago, è anche a volte fuorviante, dato che la durezza della pasta di certi formaggi può subire variazioni anche notevoli a seconda dei tempi di stagionatura.

Tecniche di lavorazione. È il sistema di classificazione favorito da molti tecnici, in base al principio che il tipo di lavorazione ha un influsso determinante sulle qualità finali del formaggio. Si hanno così, a seconda dei processi cui si è già accennato, formaggi a pasta cruda, cotta (o semicotta se la cagliata è riscaldata a temperature inferiori a 48°), pressata o filata.

Animali che producono il latte di base. In base a questa classificazione si avranno formaggi di latte vaccino (la legge italiana peraltro stabilisce che con la parola "formaggio" senza ulteriore specificazione si intende senz'altro formaggio di vacca), ovino, caprino, bufalino o misto.

Tempi di stagionatura. Anche in questo caso la classificazione è convenzionale, dato che i tempi di stagionatura possono essere molto variabili. I formaggi freschi sono quelli che si consumano immediatamente dopo la produzione, i semifreschi quelli che richiedono una stagionatura molto breve. Gli stagionati costituiscono una famiglia sterminata, all'interno della quale bisogna distinguere alcune sottocategorie (a breve, a media, a lunga stagionatura...). Si dovrebbe parlare peraltro di tempi di stagionatura medi, perché nulla impedisce di allungarli a seconda dei propri gusti.

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La caseificazione in alpeggio  

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Chi oggi volesse procurarsi del vino pigiato con i piedi o del pane fatto con le castagne e lievitato con un po' di farina fermentata avrebbe non pochi problemi da risolvere: più di quelli che deve affrontare chi sia curioso di assaggiare un formaggio prodotto con le stesse tecniche di centinaia di anni fa, quale è a tutti gli effetti quello di alpeggio. Il "caricamento" dei pascoli montani, detto anche "transumanza" nel centro-sud dell'Italia, è nato dall'esigenza di salire verso quote più alte e più fresche quando la primavera cede il passo all'estate, e i prati a valle cominciano a risentire degli effetti della calura. Un simile viaggio verso l'alto è tanto consono ai ritmi naturali da far entrare le mandrie e le greggi in uno stato di euforia quando queste si rendono conto, verso la metà o la fine di giugno, che è giunto il momento della partenza per l'alpeggio, e i loro pastori faticano a trattenerle non appena hanno intrapreso la strada per la montagna. L'alpeggio si svolge in due tappe: dapprima si compie una sosta a 1300-1800 metri, per poi salire oltre i duemila ad agosto, quando la breve estate alpina permette all'erba di giungere al suo pieno sviluppo anche a quell'altezza. Alla fine del mese ci si deve portare di nuovo sotto i duemila per l'incombente pericolo di nevicate precoci, mentre dopo la metà di settembre l'alpeggio termina col rientro alle stalle di partenza. La gestione di quest'attività è ancor oggi strettamente familiare: poche persone provvedono a mandrie che, nel caso siano composte da vacche, superano raramente gli ottanta capi. Anche gli edifici dell'alpeggio sono ridotti all'essenziale: un piccolo locale per la lavorazione del latte (il piano superiore o il sottotetto fungono da abitazione per i pastori-casari) e una stalla che può ospitare pochi animali. Il grosso della mandria dorme all'aperto, dove la temperatura non si abbassa comunque mai sotto lo zero. La vita di alpeggio è dura: sveglia alle quattro del mattino e prima mungitura, dopo la quale la mandria viene condotta nei pascoli, dove resterà fino al primo pomeriggio, quando si dovrà radunarla per la seconda mungitura, che avviene verso le cinque. Il latte munto alla sera viene lasciato riposare per unirlo poi a quello del mattino successivo: è un'operazione che ne incrementa la carica batterica naturale, andando quindi ad arricchire il formaggio. Mescolati i due latti si procede alla cagliatura e alla preparazione delle forme. Una mandria di una settantina di vacche permette la produzione di circa settanta chili di formaggio al giorno (da ogni capo di bestiame in alpeggio si ottengono giornalmente circa 10 litri di latte, contro i 40-50 di una vacca allevata in pianura nel chiuso di una stalla). Le tecniche di caseificazione sono, come si è detto, le stesse del passato, anche perché oltre i duemila metri di quota si può trasportare ben poco delle tecnologie moderne: non è insolito vedere nelle malghe di alpeggio attrezzi che hanno più di un secolo di vita. Portarne degli altri dal fondovalle sarebbe una fatica non trascurabile, e inutile finché i vecchi, indistruttibili arnesi continuano a fare il loro dovere. Per condurre a valle le forme prodotte il mezzo tradizionale è il dorso di asino o di mulo, che può reggere tranquillamente un peso di un quintale. Capita però che oggi ci si serva dell'elicottero, nonostante i costi che questo mezzo comporta: il valore commerciale del formaggio di alpeggio ormai lo giustifica ampiamente. Gli appassionati delle passeggiate in alta montagna sanno quanto sia facile imbattersi in alpeggi abbandonati o in rovina, mentre è sempre più raro incontrare una mandria o un gregge al pascolo. Nelle grandi vallate alpine in cui esista una forte tradizione in tal senso oggi gli alpigiani non sono mai più di poche decine.

 

 Un alpeggio in Val

d'Ossola a 2200 metri di altezza.

 

 

 

 

 Un alpigiano procede alla

pressatura delle forme che ha appena prodotto.

La lavorazione del formaggio di alpeggio è effettuata interamente a

mano.

 

 

 

 

 La ricchezza di acqua

oltre che di pascolo è una delle risorse fondamentali

che l'alpeggio deve possedere.

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Stagionatura ed affinamentoQuando la maggioranza dei prodotti caseari non usciva dall'ambito della zona di produzione il compito della stagionatura era in genere appannaggio dello stesso casaro: la nascita di un mercato nazionale ha tuttavia fatto sorgere nuove figure, quella dello stagionatore professionista di formaggi, che ritira dai produttori le forme fresche occupandosi della loro maturazione, e quella analoga ma più specializzata dell'affinatore, che acquista prodotti già stagionati portandoli, grazie a particolari cure, al massimo grado possibile di perfezione. Svolgere un lavoro di questo tipo, dato che i nemici principali dei formaggi sono l'essiccamento e gli sbalzi termici, significa innanzitutto possedere il luogo di stagionatura adatto, dotato di una temperatura e di un'umidità relativamente controllabili in ogni stagione, privo di finestre ma ben aereato e non troppo angusto, in modo da evitare sovraffollamenti. Gli scaffali su cui le forme vengono sistemate devono inoltre essere inoltre rigorosamente di legno non trattato con sostanze chimiche. Ma queste condizioni, realizzabili solo in una grotta o in una cantina ricavata al di sotto del livello del suolo, non sono sufficienti per stagionare al meglio. Il formaggio evolve grazie a una flora microbica trasmessagli in parte dall'ambiente in cui si trova, la quale richiede molti anni per assestarsi in maniera ottimale. L'importanza di questo fattore è maggiore di quanto si pensi: per esempio in molti paesi della Campania e della Basilicata l'inagibilità delle grotte tradizionali in seguito al terremoto del 1980 ha modificato in misura rilevante le caratteristiche di certi latticini, infrangendo un equilibrio che ha richiesto anni per essere ripristinato. Una cantina di stagionatura non si improvvisa dunque in poco tempo: quanto più è antica, tanto meglio adempirà al suo compito. L'ambiente giusto è però solo un contenitore inerte senza l'uomo. In cantina il formaggio non si limita a soggiornare: deve essere accudito con attenzione, rivoltandolo spesso, pulendolo, oliandolo o lavandolo con acqua e sale. Non è un caso che i formaggi industriali si consumino tutti giovani: la produzione può essere infatti svolta dalle macchine, ma una stagionatura media o lunga non può avvenire senza il continuo intervento manuale dell'uomo, con i costi che ciò comporta. Decisiva è infine l'esperienza dello stagionatore-affinatore, il quale deve conoscere a fondo le esigenze e le caratteristiche dei formaggi che tratta: per esempio differenze quasi impercettibili nelle dimensioni della forma o nell'epoca di produzione possono incidere sui tempi di maturazione. Solo l'occhio e la pratica, aiutati in qualche caso da una tassellatura, riescono a dire con

 

 

 

 

 

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esattezza quando un prodotto è pronto per essere tagliato e consumato.

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Allevo (di) Nel nord-est dell'Italia il termine designa un formaggio prodotto espressamente per la stagionatura, quando ne esista una versione da consumarsi allo stadio fresco.

Appassito Quando un formaggio fresco a pasta cruda subisce una breve stagionatura si dice che "appassisce", poiché l'evaporazione di una parte dell'acqua causa il raggrinzimento della sua superficie.

Casa, casera, casello, casolaNel nord Italia si dà questo nome alle piccole latterie dove si produce artigianalmente il formaggio, oppure anche ai locali dove quest'ultimo viene stagionato.

Crosta fioritaSi denomina in questo modo la crosta del formaggio sulla quale si formino muffe o lieviti pregiati dal punto di vista caseario.

Duro (o tenero) Riguardo la durezza della pasta la legislazione italiana non detta norme precise. Dal punto di vista commerciale si parla anche di formaggi a pasta molle, semidura (o semimolle) e dura. Questi ultimi in genere subiscono una stagionatura superiore ai 90 giorni.

Faccia Si tratta della "base", generalmente rotonda o squadrata, della forma di formaggio. Solitamente è piana, ma può essere anche concava o convessa.

Mezzano In alcuni formaggi è lo stadio di stagionatura intermedio tra quello fresco e quello stagionato.

Occhiatura È il segno lasciato nella pasta dalle "bollicine" che si formano durante la stagionatura a causa della fermentazione.

Scalzo È l'"altezza" della forma di formaggio. Può essere dritto, obliquo, concavo o convesso.

ZafferanoSi tratta del polline ricavato dagli stami del crocus sativus (pianta affine al croco ornamentale), in Italia coltivato soprattutto in Abruzzo, o di altre piante ancora. È una polvere arancione dal forte potere colorante che in alcune lavorazioni particolari e tradizionali viene utilizzata per conferire alla crosta o alla pasta del formaggio un colore intenso.

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