Turismo Formazione Occupazione

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1 Turismo, Formazione, Occupazione Una relazione non evidente di Elisabetta Della Corte e Paolo Caputo […] uno sguardo che tenta di vedere al di là di ciò che l'altro dà a vedere e di ciò che la cultura ritiene possa essere visto infrange i limiti del “corretto”, diventa osceno e abusivo”. “Quella che desideriamo è una scuola che non chieda di essere “forti”, ma in cui sia possibile non essere né forti né deboli, e accettare insieme la fragilità della vita”. 1 Abstract Il filo conduttore di questo contributo ruota attorno ad un’ipotesi di base: siamo collocati in un ordine sociale la cui trama è fatta anche di discorsi e di relazioni di potere discorsive, i discorsi sono pratiche sociali che hanno conseguenze materiali, orientano comportamenti e azioni 2 . 1 I Due brani sono tratti da M. Benasayag e G. Schmit, L'epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, 2005, p. 84 e p.73. 2 “L’essere umano esiste unicamente in un universo di parole, di concetti e di cultura, che non lascia alcuna via

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Turismo, Formazione, OccupazioneUna relazione non evidente di Elisabetta Della Corte e Paolo Caputo

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Turismo, Formazione, Occupazione

Una relazione non evidente

di

Elisabetta Della Corte e Paolo Caputo

[…] uno sguardo che tenta di vedere al di là di ciò che

l'altro dà a vedere e di ciò che la cultura ritiene possa essere visto

infrange i limiti del “corretto”, diventa osceno e abusivo”.

“Quella che desideriamo è una scuola che non chieda di

essere “forti”, ma in cui sia possibile non essere né forti né deboli, e

accettare insieme la fragilità della vita”. 1

�Abstract

Il filo conduttore di questo contributo ruota attorno ad un’ipotesi di base: siamo

collocati in un ordine sociale la cui trama è fatta anche di discorsi e di relazioni di potere discorsive,

i discorsi sono pratiche sociali che hanno conseguenze materiali, orientano comportamenti e azioni2.

1 I Due brani sono tratti da M. Benasayag e G. Schmit, L'epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, 2005, p. 84 e p.73. 2 “L’essere umano esiste unicamente in un universo di parole, di concetti e di cultura, che non lascia alcuna via

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A partire da questa considerazione, si è scelto di analizzare le relazioni tra la produzione dei discorsi

legati al turismo e all'ambiente, e la formazione universitaria e l'occupazione.

Questi argomenti appaiono strettamente interrelati nella realtà fattuale, dal momento che

il proliferare di corsi e master (considerati da molti enti di formazione più un’occasione per

incrementare con proposte attraenti il numero dei propri iscritti e i conseguenti guadagni che un

servizio reale pensato per gli studenti, le imprese, le istituzioni e i territori) è stato propagandato

come viatico per l'accesso al mondo del lavoro nel settore turistico.

L'obiettivo di questo lavoro è quello di offrire strumenti per demistificare la relazione

tra formazione universitaria e occupazione, invitando ad un ripensamento ragionato, quanti, fino ad

ora, docenti, politici, studenti, a vario modo, hanno creduto e/o alimentato questa produzione

discorsiva.

Il caso di studio preso in esame è quello del Corso di Laurea in Scienze Turistiche

dell'Università della Calabria analizzato a partire dalle esperienze dirette riportate dagli studenti

sull'accesso al mondo del lavoro e i dati forniti dal sito ministeriale Almalaurea, Istat, Miur.

La prima ipotesi che si intende verificare è che l'aumento delle iscrizioni ai Corsi di

Laurea in Scienze Turistiche sia piuttosto il risultato di una serie di false rappresentazioni,

alimentate dalla produzione discorsiva sul turismo come “volano” di sviluppo, o come settore in via

d'espansione, a cui è possibile accedere attraverso studi universitari e/o post-universitari.

La seconda ipotesi è che, nell’ultimo ventennio, proprio questo tipo di discorsi e la

mercificazione dei corsi di laurea finalizzati all’occupazione, abbia stravolto il significato che

studenti e studentesse attribuiscono all’esperienza universitaria, diventando così dei “clienti

passivi”.

La terza ipotesi è che l'università diventa,- proprio nel momento in cui il sogno della

piena occupazione della fase fordista si è infranto, lasciando il passo alla fase post-fordista, dove la

disoccupazione diventa un dato strutturale, così come la precarietà e flessibilità-, un’istituzione

strategica per il mantenimento dell'ordine sociale e la riproduzione, fuori tempo massimo,

dell'ideologia lavorista.

I riferimenti teorici sono volutamente di stampo interdisciplinare e attingono alle analisi

sui cambiamenti della formazione universitaria (Vallauri 2004, Vegetti 2000), alla sociologia del

lavoro, e agli studi critici sull'analisi del discorso (CDA) (Van Dijk 1985, 2000). I dati presi in

esame, invece, sono quelli offerti da Almalaurea, ISTAT, Miur.

d’accesso a una eventuale realtà diretta. Ciò non è dovuto a una qualche incapacità umana, ma piuttosto al fatto che il mondo fenomenico della cultura e dei concetti è, molto concretamente, il mondo in sé del fenomeno umano” (Idem: p. 84)

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La prima parte di quest'articolo comprende una breve analisi critica i cambiamenti della

formazione universitaria negli ultimi nove anni.

Nella seconda parte si procederà all'analisi dei dati quantitativi relativi ai Corsi di

Laurea in Scienze Turistiche, iscrizioni, studenti in corso, occupazione pre e post laurea.

Nella terza parte, quella conclusiva, si procederà ad un'analisi critica degli strumenti e

dei risultati ottenuti.

Parole chiave: analisi critica del discorso, occupazione, turismo, formazione

universitaria, controllo sociale, ordine sociale.

�1. La nuova gerarchia utilitaristica per un'efficienza

deficiente.

Come rilevano Benasayag e Schmit (2005), ci troviamo in una fase storica che designa

la crisi dei fondamenti stessi della civiltà occidentale moderna, o meglio della credenza

fondamentale su cui si è basata la nostra cultura: siamo passati da una concezione del futuro come

metafora di una promessa messianica, come sinonimo di costante progresso dell’umanità, insomma

da una fiducia smisurata nei confronti del futuro ad una diffidenza altrettanto estrema. L’unico

“idolo” rimasto, per i giovani d’oggi, sembra essere quello dell’economicismo, dell’utilitarismo.

Questo mutamento radicale, questo capovolgimento di prospettiva, in campo educativo

è testimoniato dal passaggio da un apprendimento basato sul desiderio ad uno fondato sulla

minaccia. Educatori, professori, genitori ripetono ai giovani, in modo più o meno esplicito, un

discorso che, in realtà, è una minaccia: “se non studi, se non ottieni buoni voti, se non ti laurei avrai

una vita mediocre, non troverai un lavoro, ecc.” Si tratta, in sostanza, di un’educazione finalizzata al

mero utilitarismo e alla sopravvivenza, di un’educazione che promuove serialità e individualismo e

tende a distruggere tutti i legami sociali e la vita comunitaria.

“Con la vittoria assoluta del neoliberismo - scrivono ancora Benasayag e Schmit -

l'economicismo è diventato, nel mondo odierno, una specie di seconda natura. L'economia è”.3 Così

nella nostra società ogni sapere deve essere “utile”, ogni insegnamento deve “servire a qualcosa”.

Questo criterio che attraversa oramai anche la Pubblica istruzione fa sì che anche in questo ambito,

per secoli sottratto alle logiche utilitaristiche, si imponga come ideologia la ricerca dell'efficienza

immediata. “Il senso dell'insegnamento, la scelta dei programmi, o ancora l'epurazione di ogni

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forma di sapere non immediatamente utile non paiono fondarsi sempre su un'autentica riflessione

collettiva” (Benasayag e Schmit, p. 45).

In questo modo si è creata una gerarchia di ciò che è utile e ciò che non è utile

apprendere, mirata a far sì “che gli sforzi di tutti, allievi e insegnanti, devono essere tesi alla ricerca

delle competenze migliori e dei diplomi più qualificati, sola garanzia di sopravvivenza in questo

mondo pieno di pericoli e di insicurezza, caratterizzato dalla lotta economica di tutti contro tutti”

(Idem, p.45).

In sintesi, “al sistema scolastico è stato affidato il compito della formazione

professionale finalizzata a fornire le conoscenze e le capacità di base necessarie a svolgere

un’attività lavorativa nell’ambito della produzione di merci. Ciò, non ha implicato soltanto la

progressiva sottovalutazione di una formazione culturale in senso ampio, non appiattita sulle

esigenze del mondo del lavoro e dell’inserimento nel mondo del lavoro, ma anche, in relazione alla

formazione al lavoro, una progressiva sottovalutazione del saper fare come parte integrante del

sapere. Anzi il saper fare è stato espunto dagli orizzonti del sapere e relegato nell’ambito delle

attività di genere inferiore: i lavori manuali (…). Nei sistemi economici fondati sulla crescita della

produzione di merci le persone non devono saper fare alcunché. Chi sa fare, infatti, non è obbligato

a comprare tutto ciò di cui ha bisogno per vivere, e quindi fa crescere il PIL meno di chi non sa fare

nulla e non può evitare di dipendere dall’acquisto di merci per ogni necessità.

Da questo punto di vista il sistema scolastico non soltanto non ha fallito come si sente

ripetere liturgicamente, ma ha perfettamente raggiunto il suo obiettivo.

I titoli di studio che fornisce garantiscono che chi li possiede potrà solo aspirare a

inserirsi nelle forze di lavoro (che ci riesca è un altro paio di maniche). Da ciò consegue un’assoluta

mancanza di autonomia e una totale dipendenza dal mercato per i problemi essenziali della

sopravvivenza” (Pallante, La felicità sostenibile, Rizzoli, Milano, 2009: 45-46).

Il rapporto tra Università e mondo del lavoro è recente: tradizionalmente le Università si

curavano poco del destino professionale dei propri laureati, i quali a loro volta chiedevano ai corsi

di laurea soprattutto una formazione basata su fondamenti disciplinari e metodologie d’analisi.

Evidentemente, è vero che attualmente gli studenti interessati a uno specifico corso di

laurea concentrano la propria attenzione principalmente sui possibili sbocchi professionali. Ma

siamo certi che i due ingranaggi (università e mondo del lavoro) possano collegarsi direttamente? O

forse le Università dovrebbero tornare a fare le Università, cioè insegnare a pensare e ricercare, e il

mondo del lavoro dovrebbe assumersi il compito di completare la formazione professionale dei

laureati, anche nel campo del turismo? (Claudio Visentin, La Rivista del Turismo 2/2005).

3 M. Benasayag e G. Schmit, L'epoca delle passioni tristi, p.44, Feltrinelli, 2005.

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Da questo punto di vista, secondo diversi autori, la commistione forzata tra studi

universitari e mondo del lavoro ha finito per produrre più danni che benefici: il passaggio da cicli

lunghi a cicli brevi; l’appiattimento di tutte le discipline allo stesso carico di lavoro per gli studenti;

l’infittimento esasperato delle sessioni di esami e delle occasioni di valutazione; la perdita

dell’identificazione di ogni docente con una materia di studio; lo stravolgimento del significato che

viene attribuito all’esperienza universitaria; l’incoraggiamento degli studenti non frequentanti;

l’eliminazione della tesi, almeno per quanto riguarda le lauree di base, ecc. (Vallauri, Il Mulino, n.

3, 2004).

Ma se mai la scuola, l’università, i sistemi educativi in generale hanno un senso, questo

risiede nel loro non avere nulla in comune con il mondo dell’economia e del lavoro, ma nell’essere

un esperimento di vita comunitaria, di realizzazione di se stessi, di creatività di gruppo, di sviluppo

delle potenzialità soggettive, ecc. e, per far ciò, è necessario che vi sia un ambiente adeguato allo

scopo, perché è l’ambiente che favorisce il processo educativo, non le parole: “Ma perché un

individuo possa evolvere occorre che disponga degli strumenti che gli servono per questo scopo.

Ecco quindi il primo compito dell’educazione: mettere a disposizione dell’essere umano tutti quegli

strumenti che gli sono necessari per procedere sul cammino della propria evoluzione” (Marcello

Bernardi, Educazione e libertà, Fabbri Editori, 2002: p. 177).

Al contrario, paradossalmente, proprio laddove la società e la politica non sono più in

grado di assicurare lavoro, là si chiede alla scuola e all’università di mettersi a disposizione del

mondo del lavoro; dove le carenze e la disgregazione dei rapporti umani e familiari è strettamente

legata al modello del time is money, là si dice che il sistema educativo è responsabile della

disgregazione perché non si adegua al modello.

Di fatto, invece, l'università così come segnala Francesco Alberoni è altrettando legata

ai modelli aziendali:

Alcune università che sono alla disperata ricerca di studenti, oltre a fare pubblicità,

utilizzano i risultati della customer satisfaction per catturarli andando incontro ai loro

desideri. Se gli studenti rispondono che una materia è difficile la eliminano, che un

professore è troppo esigente lo isolano, insomma fanno di tutto perché il corso di studi

diventi sempre più facile, in discesa. È il principio di Pinocchio.

Sappiamo tutti che Pinocchio, simbolo universale dei ragazzi, non aveva voglia di

studiare e, fra andare a scuola e a uno spettacolo di burattini, preferiva il secondo. Così,

seguendo la sua personale customer satisfaction, non finisce nel paese della cultura,

ma in quello dei balocchi e diventa un somaro. Oggi c’è chi l’aiuta a seguire la stessa

strada” ( Alberoni, Corriere della Sera, 20 marzo, 2006, p.1).

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A partire da questa logica, per cui il sistema educativo (che Benasayag e Schmit

definiscono “degna di un allevamento industriale”) viene piegato al servizio del mercato, che spinge

alla competizione di “tutti contro tutti”, che genera serialità e individualismo e che si basa non sul

desiderio ma sulla minaccia e sulla paura, si inserisce il nostro discorso sull'analisi critica delle

trasformazioni della Pubblica istruzione ed in particolare dell'esperienza universitaria.

�2. I Corsi di laurea in scienze turistiche

I corsi di laurea in Scienze Turistiche sono stati creati in seguito al decreto MIUR del

4/8/2000 a firma del Ministro Zecchino, e se paragonati ad altri corsi di laurea, negli anni, hanno

attratto un consistente numero di iscritti, circa 30.000 ad oggi (ossia l’1,7% del totale degli iscritti

negli atenei italiani), dei quali quasi 28.000 ai corsi di primo livello.

Dal 2001, anno di introduzione della riforma universitaria, che introduce i due livelli

(3+2), al 2006-2007 l'offerta formativa sul turismo è progressivamente aumentata sia per i corsi di

laurea sia per i master, per poi diminuire a seguito delle direttive ministeriali e del decreto del 16

marzo 2007 del Ministro dell’Università e della Ricerca, che hanno toccato, in particolare, la

ridefinizione delle classi di laurea.

Nel 2001, sono 51 i corsi triennali; nel 2002 l'offerta riguarda 53 corsi di I livello e 6 di

II; nel 2003 sono 67 i corsi brevi e 14 quelli della specialistica4. Nel biennio 2006-2007 i corsi

lievitano fino a raggiungere il numero di 105, di cui 76 di primo livello e 29 di secondo, a cui vanno

sommati i master, circa 40. Nel 2008-2009, invece, i corsi di I e II livello si contraggono

nuovamente a seguito delle direttive ministeriali e passano dal 105 a 79 con una forte riduzione

delle lauree brevi che da 76 diventano 47, mentre quelle di II livello salgono a 325. I master, a loro

volta, si dimezzano, passando da 40 a 21 (di cui 17 di I livello e 4 di II).

4 CORSI TRIENNALI: Nord: 7 corsi (50%), Centro: 5 corsi (36%), Sud e isole: 2corsi (14%). CORSI SPECIALISTICA Nord: 7 corsi (50%), Centro: 5 corsi (36%), Sud e isole: 2 corsi (14%) 5 Per l’anno accademico 2008-2009 sono stati attivati nelle università italiane:

21 corsi di laurea di I livello appartenenti alla classe delle lauree L-15 scienze del turismo; 20 corsi di laurea magistrale appartenenti alla classe LM-49 (Progettazione e gestione dei servizi turistici) 26 corsi di laurea triennale in materia turistica appartenenti a 5 diverse classi di laurea (scienze della mediazione linguistica 3, scienze dei beni culturali L-1; scienze dell’economia e della gestione aziendale L-18 e 17; scienze economiche L-33; scienze economiche 28; 12 corsi di laurea magistrale in materia turistica appartenenti a 5 diverse classi di laurea (lingue straniere per la comunicazione internazionale 43/S; scienze dell’economia LM 56 e 64/S; scienze economico-aziendali LM 77 e 84/S; scienze economiche per l’ambiente e la cultura LM 76 e 83/S; sociologia 89/S. Elaborazione di Giusy Trimboli, 2009.

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Figura 1 – L’offerta formativa turistica

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT e MIUR-URST Ufficio di Statistica

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�2.1 Immatricolazioni e Iscrizioni

La crescita delle immatricolazioni ai nuovi corsi di I livello in Scienze del turismo, nei

primi anni, ha avuto un ritmo sostenuto, per poi arrestarsi a partire dall’A.A. 2005-2006:

Immatricolati per corso di laurea e sesso

Fonte: MIUR-URST Ufficio di Statistica

Occorre sottolineare come l’Italia sia agli ultimi posti tra i paesi UE per numero di

laureati rispetto agli occupati nel turismo. Si consideri a titolo d’esempio che nel settore alberghi e

ristoranti nel 2005 solo il 3,4% degli 1,1 milioni di occupati era laureato.

�2.2 Laureati… quanti trovano lavoro?

Nel 2007 il 73,2% dei laureati in corsi lunghi (quanti hanno conseguito una laurea

tradizionale del vecchio ordinamento (4-6 anni) o una laurea specialistica a ciclo unico del nuovo

ordinamento) e in corsi triennali svolge un’attività lavorativa a tre anni dal conseguimento del titolo.

Al momento del conseguimento del titolo di studio, il 30,2% dei laureati nei corsi lunghi e oltre il

37% dei laureati triennali lavora. La situazione si inverte dopo il primo anno, quando gli occupati

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tra i laureati nei corsi lunghi (56,9%) sono in numero maggiore rispetto a quelli della triennale

(52,2%). I più contenuti livelli occupazionali di questi ultimi sono da imputare anche alla

prosecuzione degli studi nel biennio specialistico. Sono i laureati in corsi lunghi a cercare

maggiormente lavoro rispetto ai laureati della triennale, ma i dati ci dicono anche che vi sono

lauree triennali dopo le quali si accede al lavoro. Vediamo quali e in quale percentuale.

Sono soprattutto i laureati nei corsi triennali dei gruppi linguistico, medico ed

insegnamento a lavorare in modo continuativo (lavoro svolto con cadenza regolare sia a tempo

determinato che a tempo indeterminato, fanno eccezione i lavori occasionali e stagionali) dopo aver

conseguito il titolo di studio. In particolare, i corsi di laurea che consentono di svolgere un’attività

lavorativa dopo la laurea sono:

•scienze farmaceutiche;

•scienze e tecnologie informatiche;

•scienze della mediazione linguistica.

I livelli più bassi di occupazione continuativa dopo il conseguimento del titolo

riguardano:

• laureati del gruppo giuridico (soltanto 22 su 100 hanno un lavoro continuativo dopo il

conseguimento del titolo)

•laureati dei gruppi geo-biologico

•laureati in psicologia

•laureati in lettere

Tabella: Laureati in corsi triennali del 2004 per condizione occupazionale nel 2007 e gruppo

di corsi di laurea IN UNA SOLA PAGE

Gruppi Lavorano Non Lavorano/non cercano lavoro Totale

Totale di cui: svolgono un

lavoro continuativo

iniziato dopo la

laurea

Cercano Lavoro

Totale

D

di cui

svolgono

attività

formativa

retribuita

V

Valori

Assoluti

Scientifico 66, 9 53,4 9,3 23,8 9,5 3.176

Chimicofarmaceutico 65,9 53,9 11,7 22,5 11,9 1.107

Geo-biologico 43,0 31,3 24,1 33,0 18,3 3.968

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10�

Medico 96,4 55,7 1,8 1,8 0,3 19.226

Ingegneria 66,3 55,1 12,0 21,7 6,0 13.984

Architettura 65,6 46,2 17,0 17,4 1,5 3.361

Agrario 73,1 53,3 15,5 11,4 3,8 1.397

Economico-Statistico 76,4 50,5 10,2 13,4 4,7 13.561

Politico-sociale 73,7 45,1 16,2 10,1 1,3 11.741

Giuridico 33,9 21,9 17,5 48,5 9,9 2.793

Letterario 56,9 35,3 22,5 20,6 3,6 4.692

Politico-sociale 73,7 45,1 16,2 10,1 1,3 11.741

Giuridico 33,9 21,9 17,5 48,5 9,9 2.793

Letterario 56,9 35,3 22,5 20,6 3,6 4.692

Linguistico 72,2 56,8 17,0 10,9 1,8 3.018

Insegnamento 80,6 55,6 11,9 7,5 0,5 2.614

Psicologico 52,6 32,2 25,9 21,5 1,5 3.404

Educazione Fisica 77,3 38,7 11,4 11,3 0,7 1.305

Difesa e Sicurezza 97,3 27,5 0,4 2,3 0,0 379

Fonte: ISTAT- Università e lavoro 2009tale 73,2 48,5

Secondo l’indagine condotta da Almalaurea nel 2008 sono 143 gli studenti laureati in

Scienze del Turismo all’Università della Calabria nel 2007, mentre nel 2006 il numero dei laureati è

stato di 128 studenti. Il 42% degli intervistati ha scelto il percorso di studi turistici per motivi

culturali e professionali. Inoltre, non c’è una stretta correlazione con i diplomi di scuola superiore di

tipo tecnico o professionale ad indirizzo turistico: solo il 15,4% proviene da un istituto

professionale. La maggior parte dei laureati ha conseguito il titolo di studio universitario entro il

periodo di tempo previsto dall’ordinamento didattico o comunque con un breve ritardo. Il 52% è

iscritto ad un corso di laurea specialistica. Per quanto riguarda la condizione occupazionale, i dati ci

dicono che solo il 27,2 lavora.

Tabella: Laureati in corsi triennali del 2004 per condizione occupazionale nel 2007, per

tipologia e corsi di laurea

Corso di Laurea Lavorano Non Lavorano/non cercano lavoro Totale

Totale di cui: svolgono un

lavoro continuativo

iniziato dopo la laurea

Cercano

Lavoro

Totale di cui svolgono

attività formativa

retribuita

Valori

Assoluti

Scienze del Turismo 74,0 56,8 15,2 10,8 0,9 620

Economia Aziendale 84,8 76,3 7,2 8,0 3,0 7.369

Economia e Commercio 75,6 57,2 13,0 11,5 3,3 3.511

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11�

Fonte: ISTAT

Figura 3 - Condizione occupazionale dei laureati in Scienze del Turismo dell’Università

della Calabria

Fonte: Indagine Almalaurea 2008

Il 22,4% non è occupato e non cerca un impiego per motivi di studio. Sono pochi i

laureati del Sud Italia che trovano impiego a un anno dalla laurea, rispetto a quelli del Nord. Le

disparità sono evidenti anche in termini di busta paga: il laureato del Nord guadagna 1.330 euro

mentre al Sud la retribuzione netta mensile è di 782 euro (Uomini) e 744 euro (Donne). Senza dire

che, i laureati del Sud sono obbligati a lasciare, il prima possibile, le terre d'origine. Secondo i dati

Svimez, in cinque anni sono immigrati 200 mila giovani tra i 20 e i 30 anni, in particolare coloro

che si sono laureati con il massimo dei voti. Inoltre, molti di loro finiscono per svolgere un lavoro

dove la laurea non viene considerata come requisito essenziale.

Ma attraverso quali strade il 27,2% è riuscito a trovare lavoro? Nella ricerca del lavoro

prevalgono su tutti i cosiddetti “legami deboli”, ossia quelli che si basano sui contatti di lavoro (con

aziende, università); mentre i cosiddetti “legami forti”, ovvero quelli familiari o amicali, occupano

un ruolo secondario ma comunque rilevante.

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12�

�2.3 Le caratteristiche del settore turistico

Veniamo ora ai dati sull'occupazione nel settore turistico. Stando ai dati del World

Travel and Tourism Council (WTTC) del 2008 gli occupati diretti e indiretti nel settore Viaggi e

Turismo in Italia sono circa due milioni e mezzo6, un dato che supera gli occupati nell'industria

automobilistica. In Calabria, sono oltre 5.000 gli occupati a tempo indeterminato che arrivano a

8.000-9.000 nel periodo estivo, tenendo conto che questi dati non comprendono la quota di lavoro

nero, molto diffusa al Sud, che è difficilmente stimabile.

Se si guarda alla distribuzione dell'occupazione, in base ai dati Eurostat il settore con il

numero maggior di addetti è quello H55- Alberghi e ristoranti, dove si concentra quasi la metà dei

lavoratori del turismo (1,2 milioni).

Sempre i dati Eurostat evidenziano come la maggior degli occupati del settore in Italia

sia in possesso di un titolo di studio medio-basso e svolga lavori che necessitano o di una scarsa

qualifica o di abilità acquisite attraverso il learning by doing, mentre risulta essere bassa la

percentuale di mansioni con titoli di studio universitari o master: solo il 4,9% degli occupati nel

settore H55 è laureato, valore estremamente basso se paragonato a quello dei principali competitori

quali la Francia (13%) e, soprattutto, la Spagna (15,9%). Inoltre, tra i Paesi dell’UE 27 (media del

10,2%), solo Portogallo, Repubblica Ceca e Slovacchia presentano percentuali inferiori all’Italia.

Tuttavia, si rileva un incremento della quota dei laureati nel settore H55 in Italia, passata dal 3,8%

del 2006 al 4,9% del 2007. Questa quota resta, comunque, tra le più basse in Europa.

Tra i dipendenti del settore, inoltre, si segnala che in Italia il 27,5% ha un’occupazione

temporanea, valore di molto superiore a Paesi come la Danimarca (7,6%) e il Regno Unito (7,8%) e

di diversi punti più elevato della media dell’UE 27 (23,1%). Prendendo in considerazione le sole

imprese ricettive (gruppi H55.1-Alberghi e simili e H55.2- Altri alloggi), inoltre, il peso degli

occupati temporanei in Italia aumenta considerevolmente, raggiungendo la quota del 41,5%, dato tra

i più elevati in Europa e superiore sia alla Spagna (34,5%) che alla Francia (31,1%).

Queste dinamiche di certo non favoriscono la crescita professionale dei lavoratori del

settore e rendono meno conveniente per le aziende investire in formazione.

6 Occorre, però, sottolineare che il dato potrebbe essere sottostimato a causa del lavoro “nero” che caratterizza, in particolare, alcune aree del nostro Paese e si registra più frequentemente in settori, come quello del turismo, in cui la domanda di lavoro è condizionata fortemente dalla stagionalità e da un tessuto imprenditoriale generalmente di piccole dimensioni.

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La precarietà del lavoro nel settore turistico è, inoltre, dimostrata anche dal fatto che,

considerando gli occupati in tutti settori, per i Paesi dell’UE 27, il peso dei lavoratori temporanei è

di gran lunga più contenuto: ad esempio, in Italia è pari al 13,4% (rispetto al 27,5% del settore

H55), in Spagna sale al 31,8% (rispetto al 39,1% del settore H55), in Francia si attesta al 14,2%

(rispetto al 19,8% del settore H55) e la media dell’UE 27 è dell'11 ,8% (rispetto al 23,1% del settore

H55).

Ulteriori caratteristiche distintive del settore turistico italiano sono poi date dall’elevata

percentuale di lavoratori stagionali e dal ricorso a persone immigrate (circa l’8,4% dell’occupazione

dipendente complessiva del settore); in valori assoluti, il turismo, è quello che assorbe il maggior

numero di immigrati e più della metà con occupazioni stagionali.

Secondo le ricerche del sistema informativo Exelsior il settore turistico è quello con la

minor propensione al reclutamento di laureati, i quali raggiungono solo quota 650, ovvero lo 0,8%

delle assunzioni complessive non stagionali. Rapportando questo dato con altri settori, risulta che

tale quota è pari al 41,4% per il “Credito, assicurazioni e servizi finanziari”, al 38,7% per

“Informatica e telecomunicazioni”, al 12,9% per i servizi in generale e al 7,2% per quello

industriale.

In generale la quota dei laureati e dei diplomati per cui è prevista un’assunzione nel

settore turistico nel 2008 è pari al 37,4% rispetto ad un dato medio nazionale del 51,1%. Infine, è

significativo osservare come nel 2007 solo il 13,4% delle imprese turistiche abbia messo in atto

attività di formazione per i propri dipendenti, a fronte di un valore medio nazionale del 21,9%. Ciò

è strettamente legato anche alla dimensione delle strutture che, in molti casi, sono a gestione

familiare. Secondo i dati Eurostat, infatti, l’Italia è il Paese europeo con la maggior percentuale di

family workers nel settore “H55 Alberghi e ristoranti”.

�2.4 I laureati e il mercato del lavoro

Secondo i dati del rapporto Istat Università e lavoro 2008, nel 2007, a circa tre anni

dalla laurea, il 73,3% dei laureati in corsi lunghi (laurea tradizionale del vecchio ordinamento o

laurea specialistica a ciclo unico del nuovo ordinamento) svolge un’attività lavorativa, il 14,1 è in

cerca di occupazione, mentre il 12,6%, pur non lavorando, dichiara di non essere alla ricerca di

lavoro.

La quota di occupati tra i laureati triennali, pari al 73,1%, è sostanzialmente simile a

quella dei laureati in corsi lunghi, mentre è più contenuta la quota di giovani in cerca di lavoro

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(12,2%).

I laureati in corsi lunghi sono più favoriti nel trovare un lavoro continuativo (sia a tempo

determinato che indeterminato) dopo la laurea. In effetti, l’occupazione tra i laureati in corsi brevi è

maggiormente caratterizzata per la presenza di studenti lavoratori, ossia di persone impegnate in

lavori iniziati prima del conseguimento del titolo.

L’analisi della situazione occupazionale ad un anno dalla laurea registra che il 56,9%

dei laureati in corsi lunghi è occupato, contro il 52,2% di chi ha terminato un corso triennale.

Il lavoro che si riesce ad ottenere con un titolo di studio elevato non sempre corrisponde

al percorso formativo svolto. La coerenza tra il titolo posseduto e quello richiesto per lavorare tende

comunque ad aumentare al crescere del livello d’istruzione. I laureati in corsi di tre anni, infatti,

dichiarano di svolgere un’attività per la quale era formalmente richiesto il titolo posseduto nel 59%

dei casi; tra i laureati in corsi lunghi tale percentuale sale al 69%. Per le lauree triennali si configura,

quindi, un minore riconoscimento dell’effettiva coerenza del titolo di studio sul mercato del lavoro.

Una completa coerenza tra titolo posseduto e lavoro svolto – la laurea, cioè, come requisito

d’accesso ed effettiva utilizzazione delle competenze acquisite per lo svolgimento dell’attività

lavorativa – è dichiarata soltanto dal 58% dei laureati nei corsi lunghi e dal 50,6% dei laureati

triennali.

Prendendo in considerazione soltanto i giovani che lavorano dopo il conseguimento del

titolo, nel 2007 circa il 40% dei laureati in corsi lunghi e ben il 48% dei laureati triennali lavora con

contratti a termine o è impiegato in attività lavorative “parasubordinate”. Un’attività autonoma è

stata intrapresa rispettivamente dal 19% dei laureati in corsi lunghi e dal 9% di quelli triennali; dati

che andrebbero letti incrociati con le attività familiari per capire se si tratta di nuove imprese o di

passaggi di consegna.

�2.5 I dati Miur e Almalaurea

Tramite l’analisi dei dati forniti dal Miur e da Almalaurea è possibile osservare che gli

studenti iscritti ai corsi di laurea in turismo sono soprattutto donne (circa il 70%) prevenienti

prevalentemente dal Sud Italia. Una gran parte si è diplomata presso un Istituto tecnico o

professionale e raggiungono il traguardo della laurea prima degli studenti di altri corsi con un voto

medio agli esami ed alla laurea inferiore alla media nazionale. Tra questi il 60,8% vuole proseguire

gli studi dopo la laurea di I livello (molto meno della media nazionale, che è pari al 76,8%).

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15�

Per quanto riguarda l’Università della Calabria, dai dati Almalaurea del 2008 emerge

che gli iscritti al corso di laurea provengono da studi superiori per lo più ad indirizzo tecnico

(44,8% rispetto ad una media nazionale del 50,2%) e il voto di diploma medio è di 87, su una media

nazionale di 81,2. La scelta del corso di laurea, per circa un quarto degli iscritti (23,5%), e a

differenza degli altri corsi di laurea della facoltà) sembra essere stata casuale o, comunque, non

guidata né da fattori culturali né da fattori professionalizzanti (un dato analogo si rileva, comunque,

anche a livello nazionale: 25,4%). La percentuale degli studenti in corso è abbastanza elevata

(43,1%, rispetto ad un analogo dato di facoltà del 30,3%). Un'alta percentuale ha avuto esperienze

di lavoro durante o prima degli studi (il 65,2%), contro un dato medio di facoltà del 54,5%, mentre

la coerenza di queste attività lavorative con il corso di studi risulta essere abbastanza bassa (13,9%).

Rispetto alla soddisfazione verso il corso di laurea si registra un tasso medio molto più basso degli

altri corsi di laurea: si dichiarano decisamente soddisfatti del corso di laurea il 27,8% degli studenti

contro il 45,5% della facoltà (percentuale che, del resto, riflette l’analogo dato nazionale del corso

di laurea: 31,1%). Non sono molto soddisfatti del rapporto con i docenti (il 70,4%) e solo il 56,5%

si inscriverebbe di nuovo al corso di laurea (contro un dato medio di facoltà del 75,9%), mentre

intende proseguire gli studi il 63%, contro una media di facoltà del 79,4%. Intendono proseguire gli

studi soltanto il 66,1% degli intervistati, rispetto al dato medio di facoltà del 79,4%.

Sempre i dati Almalaurea relativi alla condizione occupazionale dei laureati in Scienze

Turistiche di primo livello, evidenziano che il voto di laurea (97) è più basso della media nazionale

del corso di laurea (99,5) e di quella di facoltà dell’Ateneo calabrese (99,5). La durata media degli

studi è, invece, inferiore sia rispetto a quella nazionale che a quella di facoltà, 3,9 contro 4,3. Pochi

laureati della triennale si iscrivono alla specialistica rispetto alla media della facoltà, il 52% contro

il 72,3%, anche se il dato è superiore a quello nazionale del corso di laurea che è del 32,3%. Su 143

laureati, il 20%, rispetto ad una media nazionale del corso di laurea del 40%, lavora e non è iscritto

ad un corso di laurea specialistico (anche se il dato medio della facoltà dell’Unical è ancora più

basso, e si attesta al 13,2%), mentre i lavoratori iscritti alla specialistica sono il 7,2% di quelli che

hanno portato a termine il primo ciclo di studi. Il tasso di disoccupazione è abbastanza alto (46,8%),

ed è inferiore soltanto al dato estremamente elevato del corso di laurea in Scienze giuridiche

(58,3%) dell’Unical (a livello nazionale, il tasso di disoccupazione medio del corso di laurea in

Scienze turistiche si attesta al 25,2%).

Il tempo d’ingresso nel mercato del lavoro, ossia il tempo che intercorre dal

conseguimento della laurea al primo lavoro è, in media, di 4,3 mesi, superiore all’analogo dato

nazionale che è di 3,5 mesi (anche se inferiore di un punto percentuale rispetto alla media di Facoltà

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dell’Unical, che si aggira attorno al 5,3%). Se si guarda alle tipologie contrattuali, gli assunti a

tempo stabile, ovvero come lavoratori autonomi oppure dipendenti a tempo indeterminato, si

registra la percentuale più bassa dei corsi di laurea della facoltà (26,5% contro 30,8%)), ovvero un

punto in meno rispetto al dato nazionale del corso di laurea. Di contro gli atipici sono il 44,1%, al di

sotto quindi della media nazionale che è del 50,6%, mentre i lavoratori assunti senza alcun contratto

sono quasi il 12%, contro l’analogo dato nazionale che si attesta al 6,5%. La diffusione del part-time

è molto elevata e si aggira intorno al 50%.

I settori d'inserimento sono per lo più quelli del commercio e del turismo (41,2%),

seguiti da trasporti, comunicazioni e telecomunicazioni (14,7%). Il guadagno mensile netto medio

dichiarato è di 753 euro (744 per le donne e 782 per gli uomini) contro gli 888 euro registrati a

livello nazionale per il corso di laurea.

Rispetto all’efficacia della laurea nel lavoro svolto il 39,4% degli intervistati dichiara

un’efficacia nulla o minima, rispetto ad un dato medio di facoltà che si attesta al 31,4%.

LAUREA SPECIALISTICA (55/S progettazione e gestione dei sistemi turistici). L’età

di conseguimento della laurea magistrale è leggermente inferiore rispetto alla media di facoltà: 25,5

anni contro 25,8; anche se la durata degli studi risulta essere superiore all’analogo dato di facoltà:

2,8 anni rispetto a 2,5. Il voto di laurea, in analogia con quanto avviene con la triennale, rimane

inferiore alla media di facoltà (104 contro 109,2) ed anche al voto medio nazionale del corso di

laurea (108,6).

Per quanto riguarda la condizione occupazionale lavora il 23,3% degli intervistati,

contro una media di facoltà del 44,1% e una media nazionale dello stesso corso di laurea del 64,6%;

non lavora e non cerca il 13,3%. A differenza degli altri corsi di laurea di facoltà, si registra una

netta prevalenza dell’occupazione femminile (il rapporto con gli uomini che hanno un lavoro è di 4

ad 1). Il tasso di occupazione è relativamente basso (40% rispetto ad una media di facoltà del

63,4%) e, ovviamente, si rispecchia in un saggio di disoccupazione abbastanza elevato (52% contro

un dato medio di facoltà del 26,5% ed un tasso nazionale del corso di laurea del 21,5%). Tutti gli

occupati sono in possesso di un contratto di lavoro atipico, tempo determinato o collaborazioni e

consulenze, contro l’analogo dato nazionale del corso di laurea che si attesta al 60,7% e quello della

Facoltà di Economia dell’Università calabrese che supera di poco il 50%.

La diffusione del part-time tra gli occupati del corso è abbastanza elevata (42,9%) e, in

ogni caso, più che doppia rispetto alla percentuale media nazionale del corso (20,2%) Ovviamente,

così come avviene per i laureati della triennale, i rami di attività economica principali di sbocco

sono quelli dei trasporti, comunicazioni e telecomunicazioni e del commercio e turismo.

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Relativamente all'utilizzo della laurea nell'attuale lavoro, il 28,6% risponde “in misura ridotta” e il

71,4 “per niente”. La laurea, per l'attività lavorativa, non è stata richiesta né si è rivelata utile per il

43%. Il 71,4% degli intervistati dichiara, infine, che la laurea è poco o per nulla efficace.

�3. Conclusioni

Alla fine di questo rapido excursus selle condizioni dei corsi di laurea in turismo e sulle

possibili relazioni tra università e mondo del lavoro, si pongono immediatamente all’attenzione

almeno tre questioni di base:

�perché i laureati del turismo hanno così grandi difficoltà di inserimento nel

mercato del lavoro?

�perché le imprese del settore sono restie ad assumere questi laureati?

�e perché, di fronte a questa situazione, negli anni passati il numero dei corsi di laurea,

dei master e delle scuole di specializzazione è continuato a crescere?

Le risposte sono molteplici, ne tracciamo qui di seguito alcune tra le principali:

- Il turismo è divenuto di moda ed è entrato nelle università da meno di 20 anni. Sono

nati corsi di laurea ‘appiccicando’ sul sistema didattico preesistente i contenuti presunti

di una materia che non aveva precedenti scientifici e testi di riferimento attendibili. Si

sono così celebrati ‘matrimoni misti’ fra un turismo privo di concetto con lettere,

economia, geografia, sociologia, ingegneria, beni culturali, e con tutto quanto la fantasia

riformatrice ha reso possibile (Franco Garbaccio - il Denaro, 13 marzo 2008);

- Le imprese turistiche e le strutture ricettive, in particolare in Italia, cercano

principalmente professionalità di profilo minore, che non richiedono una laurea e una

cultura accademica: “Il turismo oggi offre enormi possibilità di occupazione, ma il titolo

di studio serve a poco. La domanda delle imprese si concentra sulle figure professionali

medio-basse e il giovane appena laureato, magari a pieni voti, finisce col cercare

opportunità di lavoro all'estero” (Michela Finizio - il Sole 24 Ore, 28 marzo 2008);

- La difficoltà di inserimento dei laureati è dovuta anche alle dimensioni delle aziende

presenti sul territorio italiano, spesso medio-piccole e a conduzione familiare, incapaci

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di assorbire i flussi in uscita dalle Università e all’elevata stagionalità del settore (in

particolar modo in Calabria);

- Il blocco delle assunzioni nel settore pubblico (Apt, assessorati alla Cultura e al

Turismo ecc.), molto importante per la crescita del “nuovo turismo culturale” (mostre,

eventi, festival musicali e di letteratura, vacanze “verdi” e enogastronomia). Tutto ciò

mentre all’estero le istituzioni che promuovono il turismo culturale raggiungono spesso

dimensioni consistenti: è il caso, tra i tanti, dell’English Heritage, l’ente pubblico

britannico incaricato di proteggere e promuovere i luoghi d’interesse storico, che vanta

uno staff di ben 1.650 persone;

- La necessità di una razionalizzazione della formazione turistica (che superi l’attuale

frammentazione e iperspecializzazione del sistema formativo) e di piani di crescita

sinergica;

−La necessità di avere laureati multicompetenti (piuttosto che iperspecializzati, con

profili professionali estremamente particolari), duttili, con una visione d’insieme della

filiera turistica e spiccate capacità operative, anche perché il mondo del lavoro cambia

ad una velocità a cui le Università (per loro natura) non possono rispondere: “tra la

progettazione di un corso di laurea e l’immissione sul mercato dei primi laureati passano

circa cinque anni – un tempo potevano sembrare pochi, oggi sembrano troppi – così che

la formazione dei laureati è spesso invecchiata o fuori centro prima ancora d’iniziare

l’inserimento nel mondo del lavoro” (Claudio Visentin, la Rivista del Turismo 2/2005).

Ricapitolando a partire dalla relazione tra formazione universitaria e lavoro, la nostra

ipotesi di fondo è che gli atenei debbano avere un ruolo diverso dagli istituti professionali, né tanto

meno diventare delle succursali degli uffici di collocamento, con l'occhio puntato ad un mercato del

lavoro in crisi strutturale e sempre più evanescente. Su questo tema sociologi ed economisti come

Gorz, Aglietta, Rifkin, ma anche filosofi come Antimo Negri nei Tripodi di Efeso, hanno elaborato

analisi sul carattere strutturale della disoccupazione come fenomeno di massa, non episodico o

congiunturale, tale da indurre ad un ripensamento delle politiche sociali verso l'introduzione del

Reddito di Cittadinanza (www.bin-italia.it).

Nello specifico, il settore turistico implica molti altri settori, e sappiamo che

direttamente e indirettamente in Italia impiega circa due milioni e mezzo di persone, ma quando si

guarda alla tipologia occupazionale, questo grande numero è fatto per lo più di lavori a bassa

qualifica con un alto tournover, legato alle stagioni; sappiamo che è un settore ad alta flessibilità

coperta in parte da forza lavoro immigrata occupata stagionalmente o a giornata; la percentuale di

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laureati è bassissima circa il 3%, mentre molti provengono dagli istituti professionali.

Detto questo, ammesso e non concesso che il ruolo dell'università debba diventare

quello di inseguire un fantasmatico mercato del lavoro, la seconda obiezione riguarda le “reali

necessità del mercato” che sono un po' difficili da calcolare, in particolare dopo la crisi finanziaria

ed economica, tanto che gli stessi economisti cercano di evitare di lanciarsi in previsioni azzardate.

Questo discorso vale in particolare per la Calabria, che non gode di un fiorente flusso di

turisti nei mesi di bassa stagione. Anzi, anche le presenze estive sono in calo. Le criticità del sistema

sono note: mancata destagionalizzazione, difficoltà logistiche e imprenditoriali, assenza di piani di

crescita sinergici. Se a questo si aggiungono: il mare inquinato, i prezzi non sempre competitivi, una

certa improvvisazione di chi dovrebbe fare turismo, un'incapacità politico-amministrativa, una

gestione affaristico-clientelare dei beni comuni, non c'è da meravigliarsi per la mancata

competitività della Calabria rispetto ad altre regioni o località. Ma anche se la Calabria si dovesse

trasformare nella regione più turistica d'Italia, senza tener conto dei danni che tale approccio

“panturistico” comporterebbe, le cose sul fronte del lavoro non cambierebbero di molto. Certo ci

sarebbero più manager, imprenditori, consulenti, operatori e in generale più occupati, ma in ogni

caso la domanda di lavoro sarebbe sempre sbilanciata in termini di qualifiche, salari, rispetto

all'offerta di giovani laureati e alle loro ambizioni. Chi si laurea difficilmente ambisce, e se lo fa a

malincuore, a lavorare come barman o animatore nella stagione estiva, poiché dopo la laurea le

aspettative sono quelle di ricoprire mansioni dirigenziali, organizzative, e di consulenza presso le

amministrazioni. Altri, invece, andranno a gestire meglio le aziende dei genitori, e altri ancora

sperano di poter diventare a loro volta imprenditori. Ma anche quest'aspirazione incontra non poche

difficoltà, date le secche in cui versa la regione in termini di nuove creazioni d'impresa, per le

difficoltà a reperire i fondi, spesso deviati verso altri fini.

Detto in altri termini, è altamente improbabile che i laureati in scienze turistiche, così

come quelli provenienti da altri corsi di laurea possano trovare lavoro, usando come trampolino il

titolo di laurea. Anzi al contrario, proprio nel settore turistico, stando ai dati presi in considerazione,

il numero maggiore di occupati riguarda giovani uomini e donne che hanno conseguito il diploma

presso gli istituti superiori per il turismo e il commercio.

Motivo per cui forse ci si dovrebbe preoccupare di migliorare questo livello e chiudere i

corsi in scienze turistiche o, semmai, far in modo che i primi tre anni siano comuni ad altri corsi di

laurea, come Discipline economiche e sociali, e solo due anni vengano destinati all'approfondimento

di conoscenze sul turismo.

Anche in questo modo resta, tuttavia, aperto il problema di fondo che ha creato questa

Page 20: Turismo Formazione Occupazione

20�

commistione forzata tra gli studi universitari e il mondo del lavoro che ha prodotto più

danni che benefici: “(…) il passaggio da cicli lunghi a cicli brevi; l’appiattimento di

tutte le discipline allo stesso carico di lavoro per lo studente; l’infittimento delle sessioni

di esami e delle occasioni di valutazione; la perdita dell’identificazione di ogni docente

con una materia di studio; l’incoraggiamento degli studenti non frequentanti;

l’eliminazione della tesi, almeno per le lauree di base” (E. L., Vallauri, Il Mulino, n. 3,

Maggio-Giugno 2004: p. 458). L’imperativo di base che ha guidato le ultime riforme è

stato quello di far laureare più gente possibile nel minor tempo possibile. Avere molti

studenti è stata la principale ambizione di ogni corso di studi, in quanto averne pochi

equivale quasi a una condanna a morte: “Questo per la tendenza sempre crescente a

finanziare corsi e insegnamenti in base al numero di studenti che si riescono a iscrivere,

prima, e a laureare, poi. Non è sbagliato dare più risorse a chi ha più spese, ma questo

non deve diventare l’unico criterio. E la tendenza c’è. Un ambito di studi è ritenuto

importante se attira molti studenti e irrilevante se ne attira pochi. Il rischio di questa

mentalità mercantile è di basare le strategie dell’istruzione superiore, e quindi a lungo

termine la pianificazione della vita culturale del Paese, sui gusti degli studenti che

vanno a immatricolarsi. Vale a dire elevare a giudice dell’importanza di ogni sapere

proprio chi quel sapere non sa cos’è. (…) chi si iscrive a una specialistica non prosegue

da dove era rimasto, ma trova un’offerta formativa che in parte ripete ciò che ha già

studiato. (Vallauri, op. cit.: p.459).

Le resistenze al cambiamento sono ancora molto forti, tanto che anche a fronte della

nuova riforma che riduce il numero di esami, eredita dalle vecchie riforme una miriade

di corsi tutti etichettati come scienze di qualcosa. Questa proliferazione di corsi e

insegnamenti è stata valutata negativamente tanto che si è deciso di intervenire con

l'ennesima riforma, che solo in parte è riuscita ad intervenire sulla riduzione dei corsi di

laurea.

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�Bibliografia

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http://europa.eu.int/comm/eurostat/