Triple Moon V

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Il collettivo Stramonium presenta Triple ••• Moon Triple Moon è un incontro ricorrente che si propone di sperimentare diversi metodi di ricerca iniziatica, attraverso la diffusione di pamphlet, riflessioni, musica ed immagini, lasciando al singolo la libertà di scegliere il proprio percorso spirituale, bandendo una volta per tutte elitarismo e specialismi. Non la banalizzazione di ciò che rimane nascosto ai più, ma un semplice invito a guardare tra le righe della realtà.

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Il Giuramento: La storia ed il pensiero di un uomo medievale Il demiurgo è un ibrido: su "L'Altra Parte" di Kubin Entriamo nell' Asklepieion: I sogni e le preghiere di un antico greco devoto ad Asclepio

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Il collettivo Stramonium presenta

Triple ••• Moon Triple Moon è un incontro ricorrente che si propone di sperimentare diversi metodi di ricerca iniziatica, attraverso la diffusione di pamphlet, riflessioni, musica ed immagini, lasciando al singolo la libertà di scegliere il proprio percorso spirituale, bandendo una volta per tutte elitarismo e specialismi. Non la banalizzazione di ciò che rimane nascosto ai più, ma un semplice invito a guardare tra le righe della realtà.

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La storia ed il pensiero di un uomo medievale

Siamo in un mondo dove non ci sono televisioni e giornali, ne tanto meno internet. La gente è avida di notizie perchè gli sconvolgimenti politici ci sono, e sono anche molto spesso violenti e determinanti per la vita di tutti.Le voci corrono, le notizie viaggiano ed arrivano di città in città, di persona in persona. Dino Compagni è un uomo che ad un certo punto della sua vita capisce che i fatti da lui vissuti rischiano di essere dimenticati dalle generazioni future, questo sarebbe un grave peccato perchè anche se lui e le sue idee di mercante e politico del 1200 hanno perso contro i nobili ed il governo di cui faceva parte non è durato molto, sarebbe troppo rischioso lasciare che questi fatti vengano dimenticati.Aspetta un po’ a scrivere perchè, dice lui: “credendo che altri scrivesse, ho atteso” ma alla fine dato che nessuno si prendeva la briga di farlo, decise di scrivere lui stesso.Nel suo libro “Cronica delle cose correnti nei tempi suoi”, scopriamo come pensava un uomo comune nel medioevo, non un personaggio illustre come un papa o un imperatore, dei quali fonti e cronache abbondano, ma un comune mercante che ad un certo punto della sua vita ha fatto anche politica nella Firenze comunale.Contemporaneo di Dante, Dino Compagni gestisce una bottega di stoffe che commercia tra Italia e Francia, la sua bottega si trova a Firenze, città che sta attraversando durissimi scontri tra Guelfi e Ghibellini, tutti nella città appartengono ad una delle due fazioni perchè, anche se spesso le famiglie povere non erano direttamente coinvolte negli scontri più violenti, se la loro bottega o la loro casa apparteneva ad una famiglia Guelfa, di conseguenza si doveva essere Guelfi a propria volta perchè ci si sentiva parte della famiglia stessa.I nobili o “gentili uomini”, come li chiamavano all’epoca, avevano sempre governato nelle città e nei comuni; i mercanti e gli artigiani stavano a bottega, mentre loro facevano la guerra e la politica.L’ammirazione per i gentili uomini, i cavalieri insomma, appartenenti ad un mondo superiore, fanno parte della vita di Dino Compagni anche se chiaramente lui non è uno di loro, anzi, quando iniziò la sua carriera politica ebbe con loro degli scontri durissimi, però per un uomo di quell’epoca questa gente era merita di rispetto, era gente davanti alla quale ci si toglieva il cappello.Un esempio riportato da Dino lo si ha quando egli scrive dell’episodio in cui una parte di cittadini venne esiliata per anni dalla città per ragioni politiche, resosi successivamente conto di aver sbagliato, queste persone vennero riammesse a Firenze con un risarcimento per tutti, ma di più per i nobili, perchè loro sono diversi, loro sono necessari, del resto loro servono al comune più degli altri perchè se bisogna mandare una ambasciata al Papa, non si può certo inviargli un ciabattino, servono i cavalieri che sanno trattare, conversare nell’alta società, stringere accordi importanti e via dicendo; per non parlare poi della loro utilità in guerra dove sono pronti anche a farsi ammazzare per la causa, del resto è quello il loro lavoro.

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I nobili sono però anche persone ingombranti, gente allacciata alla Chiesa, gente con la quale è difficile avere a che fare, che gira armata ed alla quale se qualcosa non va bene, tira fuori la spada, non come i mercanti che invece preferiscono discutere.La gente come Dino vorrebbe solo lavorare e fare soldi in pace e finisce per capire che questi nobili sono la maledizione della città, si starebbe tutti meglio senza scontri, senza Guelfi o Ghibellini. Nasce da queste idee quello che la gente chiamò il governo di Popolo. Questo governo ha a capo sei priori nominati dai rappresentanti delle Arti intese come i fabbri, i maniscalchi, i mercanti e via dicendo. I priori cambiano spessissimo, la loro carica dura al massimo due mesi, si riteneva infatti che questo fosse il tempo massimo per impedire che le persone si arricchissero troppo ed iniziassero a privilegiare i propri interessi anziché quelli della città. Il dramma di Firenze, dice Dino Compagni, è che questo governo di popolo dovrebbe poter governare bene la città, nell’interesse collettivo, mentre invece i nobili con le loro ricchezze ed i loro amici, corrompono anche gli esponenti del popolo e li tirano dalla loro parte perchè tutti pensano solo ai loro interessi. Quando i rapporti tra Firenze ed Arezzo si guastarono, i nobili decisero che bisognava ovviamente fare la guerra. Si mise la cosa ai voti e nonostante molti mercanti, tra cui Dino, votarono contro, la guerra si fece. Per i nobili vincerla era una questione importantissima perchè, oltre agli ovvi guadagni in oro, avrebbero così fatto capire ai mercanti che era il caso che tornassero a bottega, lasciando definitivamente la politica alla gente che sapeva farla davvero. Dino scrive che “si perde di più in un giorno di guerra che in molti anni di pace”. Nei periodi di pace i mercanti guadagnano molti soldi e finiscono per arricchirsi anche più dei nobili in città. La guerra contro Arezzo venne vinta ed i nobili iniziarono prepotentemente a smettere di rispettare le leggi del governo. A Firenze, dice Dino, avevamo delle buone leggi e se fossero state rispettate la città sarebbe stata ancora più prospera. La colpa è anche dei “maladetti giudici” che si fanno corrompere e favoriscono amici e partito, ma il problema più grande è che i nobili girano armati ed arrestarli è quasi impossibile. La soluzione fu un governo di popolo più duro, un governo che tenesse i nobili ancora più schiacciati. Vennero pubblicati di Ordinamenti di Giustizia, redatti da Giano della Bella, leggi straordinarie in cui viene impedito a qualsiasi famiglia nobile di partecipare alla vita politica e dove, nel caso qualche nobile minacciasse con le armi un popolano, si andava in massa alla casa del gentiluomo e la si radeva al suolo. I nobili, fuori di se dalla rabbia, iniziarono a progettare congiure ed i sei priori iniziarono a vivere barricati nei palazzi comunali. Fu in questi tempi che Dino divenne un uomo importante a livello politico, spesso venne anche nominato come priore. Lui è un uomo modesto, che prende le distanze dagli altri capi partito, pronti a giocarsi brutti scherzi tra di loro pur di favorire le loro fazioni, guelfi bianchi, neri, ghibellini o interessi personali e familiari; lui ha come unico ideale la concordia e la pace. Ripetutamente scrive che non si spiega come i cittadini non riescano a capire che si starebbe tutti meglio senza fazioni e la città potrebbe essere ancora più ricca e prospera.

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Quando la città stava per cadere nella guerra civile, Dino convoca l’ennesima assemblea nel battistero di San Giovanni; li tiene un discorso basato sul fatto che tutti i presenti, di tutti i ceti sociali, sono stati battezzati proprio li, che sono tutti fratelli e che non si dovrebbe fare la guerra tra fratelli appellandosi spesso alla “ragione” per fare capire l’importanza delle sue argomentazioni. In quegli anni ‘’appellarsi alla ragione” era un argomento ricorrente dato che alla ‘’ragione’’ veniva attribuita una grande importanza in quanto dono divino e proprio per questo doveva sopraffare tutte le passioni o i sentimenti pericolosi. Dopo il suo discorso la gente era così commossa che Dino riuscì a farli giurare che le inutili dispute sarebbero terminate. Siamo soliti immaginare erroneamente che il medioevo fosse un epoca dove la religione era tutto, avrete notato la totale assenza di elementi religiosi nella vita del nostro mercante. La religione in effetti contava molto, ma nella politica dei comuni italiani era presente solamente a livello interiore. Poco tempo dopo il giuramento all’interno del battistero le cose tornarono come prima e Dino scrive preoccupato che tutti loro che avevano giurato si sono dannati l’anima per il falso giuramento e lui si pente amaramente, dato che era stato proprio lui a farli giurare e quindi a dannarli! La dimensione religiosa è quindi l’estrema risorsa di chi sente che sta perdendo, l’ultimo rifugio prima della sconfitta. Dino dice che avrebbe dovuto capire fin dall’inizio che con gente come i nobili, violenti e prepotenti, scendere a compromessi come sono soliti fare i mercanti è completamente inutile perchè loro penseranno sempre e solo ai loro vantaggi personali. Durante una sua legislatura, in piena guerra civile, arrivò un frate che consigliò a lui ed agli altri priori di fare una processione, un corteo cittadino, per invocare la pace di Dio e per cercare di risvegliare sentimenti di unione tra il popolo. Il corteo ci fu, però i partecipanti furono pochi ed al loro passaggio molti li schernirono dicendogli che sarebbe stato meglio “affilare i coltelli”. Dino aggiunge anche che solo nella vecchiaia ha capito che lui e gli altri mercanti hanno perso perchè deboli, perchè invece che continuare ad indire riunioni avrebbero dovuto ‘’arrotare i ferri’’, ma noi eravamo mercanti ed il nostro compito era mediare e discutere. Dino conclude con una piccola soddisfazione, anche se il governo di popolo è stato distrutto dalla prepotenza e dalla corruzione ed i suoi ideali sono stati sotterrati, lui vive a lungo e vede morire, nel tempo, tutti i suoi nemici, tutti quei nobili prepotenti o capipartito corrotti. Dino sta a vedere e dopotutto dice: ‘’si, una giustizia divina esiste davvero’’. Loro erano uomini del medioevo e nutrivano almeno questa speranza difronte alla politica del loro tempo. E noi?

Un ringraziamento speciale al prof. Barbero Alessandro ed al suo libro ''Donne, Madonne, Mercanti e Cavalieri''

per aver reso possibile la stesura di questo articolo.Fonti: "Croniche delle cose correnti nei tempi suoi" di Dino Compagni

Mirko Void

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Su “L'Altra Parte” di Alfred Kubin

Se ci voltassimo a scrutare fra le pieghe del tempo potremmo notare come, prima della società postbellica in cui siamo nati, cresciuti e morti, sono fioriti all'inizio del secolo scorso veri e propri indagatori dell'ombra, che a fronte della caduta precoce di ogni morale si sono premurati di guardare nell'abisso proprio e del mondo in cui vivevano.Kafka, Freud, Jung sono fra i più famosi, facilmente reperibili in pratiche dispense universitarie o stampati su t-shirt davanti alle loro case natie.Fra di essi rimane celato Alfred Kubin, noto illustratore che nel 1908, dopo la morte del padre e degli incubi luttuosi che ne sono conseguiti, scrive timidamente uno splendido romanzo profetico dell'uomo che verrà negli anni successivi.A Monaco di Baviera il protagonista, alter-ego dell'autore, riceve l'invito da un suo ex compagno di collegio, Claus Patera, di recarsi nello Stato da lui fondato a Oriente, il Regno del sogno, e di andare ad alloggiare nella capitale, Perla; dopo pochi momenti di incredulità decide di partire alla volta di Perla con la moglie.La capitale come tutto il Regno, è più un'idea che un luogo vero e proprio: mai battuta dal sole, è dominata da costumi particolari, come la poca importanza del denaro e l'accettazione sociale della truffa, e da un'architettura delirante, dove tutto ciò che è antico viene ammassato senza importanza per ricreare una caricatura del “mondo di ieri”: bandito tutto ciò che è nuovo, rimangono i resti di tutti i passati delle ere dell'uomo.Perla è uno stato dell'animo, è la rimozione Freudiana, ove ogni retaggio del passato rifiutato dal singolo ritorna; il Regno del sogno è il tentativo di curare il mal di vivere di un presente vuoto con l'idea di essere in un confuso passato sotto l'ala protettiva del 'padre' Patera, feticcio del potere demiurgico così caro allo gnosticismo, un'intangibile figura che regna sul mondo che ha creato celandosi- Kafka ne “Il Castello” ne creerà un perfetto omologo con il funzionario Klamm- a coloro che vogliono vederlo, assurda metafora dell'illusione del potere, la cui forza di sottomettere l'individuo è possibile fino a che gli occhi non ne svelano l'illusione.Il rimosso quindi a Perla viene vissuto, ma come dice Freud : “se la teoria psicoanalitica ha ragione di affermare che ogni affetto connesso con una commozione, di qualunque tipo, viene trasformato in angoscia qualora abbia luogo una rimozione, ne segue che tra le cose angosciose dev’esserci tutto un gruppo in cui è possibile scorgere che l’elemento angoscioso è qualcosa di rimosso che ritorna. Una cosa angosciosa di questo tipo costituirebbe appunto il perturbante... “ e infatti ben presto il sogno si trasforma in angoscia.Il mondo del Sogno diventa soffocante e omicida, provocando la morte della moglie del protagonista e la caduta degli abitanti in un abisso di delirio .

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Entra allora un altro elemento in questa parte “altra” rispetto al mondo “reale”, Hercules Bell, il “re della carne in scatola”, il prototipo dell'imperialismo americano, tanto vuoto di contenuti quanto tronfio nella sua volontà di soggiogare con la sua attitudine fallocentrica il Regno del sogno.Questo Ercole americano con la sua sola presenza (mentre gli atti da lui compiuti saranno velleitari al limite del ridicolo) farà crollare su se' stesso il Regno del Sogno, in un crescendo di turpitudini ed efferatezze da parte di un popolo che scatena il suo rimosso in un presente di degrado morale e mentale: “In seguito ai bagordi e alle gozzoviglie, il logorio nervoso era diventato terribile nel Paese del Sogno. Le ben note malattie mentali e nervose, il ballo di San Vito, l’epilessia e l’isterismo, si manifestavano come fenomeni di massa. Quasi ogni persona aveva un tic nervoso o soffriva di un’idea fissa. L’agorafobia, le allucinazioni, le depressioni, gli attacchi di paralisi aumentavano in maniera preoccupante, ma ci si continuava a dare alla pazza gioia, e quanto più si moltiplicavano i suicidi più raccapriccianti, tanto più i sopravvissuti si scatenavano…” (Alfred Kubin, L'Altra Parte, pp 179)Fra orribili morti, visioni oscene nella loro psicopatologia, il climax viene raggiunto dallo scontro fra Claus Patera, il pater del regno, l'intangibile creatore di un mondo asservito a un passato narcotizzante, e Hercules Bell, un Ercole moderno la cui forza e opulenza sono le uniche armi di cui dispone; trasformati in Titani combattono con violenza tragicomica per la supremazia sull'uomo post-moderno, metafora del conflitto interiore del cittadino novecentesco, a metà strada fra nostalgie confuse di un passato archetipico e spirito di rivalsa sordo e materialista; in ogni caso, mai libero.L'incudine del passato crolla sotto il martello del presente, e il regno del Sogno viene annientato dal risveglio della realtà, lasciando nel protagonista l'impressione che: “La realtà mi sembrava una ripugnante caricatura dello Stato del Sogno”.Perché, quindi, riflettere su un romanzo scritto quasi un secolo fa, dopo due guerre mondiali, l'avvento della musica pop, il fiorire e il crollo dell'Unione Sovietica e degli Stati Uniti d'America (entrambi deliranti trasposizioni nella realtà del Regno del Sogno, con i loro Patera e i loro Hercules Bell a combattere su schiere di morti)?Perché “L'Altra Parte” è un inquietante studio dell'inconscio dell'uomo contemporaneo, in continuo conflitto fra le sovrastrutture del passato e quelle del presente, fra banalità e patologia mentale, nella costante ricerca bulimica di simulare tecniche culturali senza l'esperienza, ciò di cui Walter Benjamin chiamava appropriatamente “una nuova forma di barbarie”, sotto il costante bombardamento di significanti avulsi dal loro significato originario. Alle porte di una grande città italiana è stato edificato, in onore di una grande esposizione commerciale, un monumento pieno di luci abbaglianti, insostenibile a vedersi nella sua vuota modernità; è stato chiamato “albero della vita”, memore di storie passate bestemmiate dall'essenza stessa dell'opera, a simboleggiare il culmine dell'era degli individui a geometria variabile (cfr. Jean Baudrillard).Lo scontro fra Patera e Bell continua, sotto lo stridere di denti di uomini sempre più alienati.

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"Pensavo alla mia morte come a una gioia grandissima, celeste, come all’inizio di una eterna notte nuziale. Come tutto si rivolta contro di lei, e come sono buone le sue intuizioni! In ogni volto cercavo ansiosamente i suoi segni, nelle pieghe e nelle rughe della vecchiaia scoprivo i suoi baci. Sempre nuova mi appariva; e come erano squisiti i suoi colori! I suoi sguardi risplendevano così seducenti che i più forti dovevano cedere, e allora lei gettava la sua maschera e senza mantello il morente la vedeva circondata da diamanti, nei riflessi di mille sfaccettature. Più tardi, quando osai rientrare nella vita, scoprii che la mia dea regnava solo a metà. Divideva le cose più grandi e le più piccole con un antagonista, che voleva la vita. Le forze di attrazione e di repulsione, i poli della terra con le loro correnti, l’alternarsi delle stagioni, il giorno e la notte, il bianco e il nero, non sono che l’espressione di una lotta. Il vero inferno consiste nel fatto che questo doppio gioco contraddittorio si prolunga in noi. L’amore stesso ha il suo centro di gravità "inter feces et urinas". I momenti più alti possono soggiacere al ridicolo, allo scherno, all’ironia"."Il Demiurgo è un ibrido"

(Alfred Kubin, “L'altra parte” , pp. 292-293)

Luca Andalou

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Ci troviamo nella Misia (Asia Minore) nel II secolo d.C. e siamo in compagnia di Publio Elio Aristide, scrittore e retore greco. Lui è un gran devoto di Asclepio e la sua vita è guidata dai consigli del dio, che spesso riceve in sogno. Asclepio è il dio della medicina, della guarigione e se siamo malati, o un po' ipocondriaci come nel caso di Aristide, abbiamo modo di frequentare spesso L'Asklepieion, usufruendo della sua funzione di sanatorio oltre che di luogo di culto. Scorgendo nelle vicinanze il bosco sacro dei cipressi, avviciniamoci ai propilei del tempio dove sono collocate delle statue; rappresentano rispettivamente: Agathè Týche (la Buona Fortuna) e Agathòs Daímon (il Buon Genio), guardiani e protettori,

spesso associati al culto di Asclepio.Incisa su marmo all’ingresso, una guida al rituale dell’incubazione.I sacerdoti e i neocori che si occupano del tempio ci accolgono e ci sottopongono alla terapia iniziale, consistente in rimedi basati sull'idroterapia come i bagni caldi e freddi nell'acqua della fontana sacra o degli appositi bagni

termali. La teoria umorale ci spiega che il nostro organismo è suddiviso in quattro umori: flegma, bile gialla, bile nera e sangue associati rispettivamente ad aria, fuoco, terra e acqua. La salute del corpo dipende dall'equilibrio dei quattro umori legati alle stagioni e alle qualità di freddo, caldo, secco e umido. Tra le prescrizioni occupano un posto importante anche le diete, i digiuni, il vomito indotto, le purgazioni e i clisteri; e dell'esercizio fisico come le corse a piedi o a cavallo. Il dio ordina anche esercizi terapeutici di materia più psichica che fisica, come la composizione di carmi e di odi, difatti nell'Asklepieion è presente anche un teatro. Per ottenere il sogno terapeutico del dio è consuetudine prima sacrificare un animale. L'acqua della fontana sacra scorre. La coscia destra dell'animale verrà poi collocata sulla sacra mensa in offerta al dio, o meglio, a disposizione del sacerdote. Ora possiamo sdraiarci nella kline (un divano) ed entrare in dormiveglia ascoltando i sibili dei numerosi serpenti sacri presenti nel tempio, che incarnano la presenza di Asclepio e del suo bastone terapeutico, sul quale si contorce un serpente.

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Ci troviamo in una struttura all'aperto, lo spazio sacro detto temenos e siamo immersi nel profumo d'incenso. Ci stiamo addormentando in attesa di un sogno dettato da Asclepio e al nostro risveglio, Aristide ci racconta una delle sue visioni: "Era Asclepio e al tempo stesso Apollo, e più precisamente l'Apollo di Claro (riferito ad un celebre santuario oracolare di Apollo nei pressi di Colofone) e quelloche a Pergamo riceve l'appellativo di Callitecno ("dalla bella prole" in quanto padre di Asclepio), ed è titolare del primo dei tre templi. Stando dunque davanti al mio letto in questo sembiante, egli protendeva le dita verso di me, computando alcuni anni diceva: <<Hai dieci anni da parte mia e tre da parte di Serapide>> - e dalla posizione delle dita il tredici mi apparve come se fosse nel contempo diciassette; e aggiungeva che quello era <<non sogno ma realtà>>, e che io stesso lo avrei constatato; e mi ordinava anche di scendere al fiume che scorre davanti alla città, e di fare il bagno [...]>>. Lui è sempre a stretto contatto con il dio e interpretai suoi messaggi ricevuti in sogno anche senza l'ausilio dei sacerdoti, quindi, pur essendo pieno inverno e a detta sua "faceva un freddo glaciale", accompagnato da una schiera di suoi amici, medici e curiosi decide di seguire la prescrizione suggerita in sogno: "Arrivati al fiume non ci fu bisogno alcuno di incitamento, ma ancora pervaso dal calore della visione divina mi liberai dei vestiti, e senza neppure chiedere che mi massaggiassero, mi gettai dove il fiume era più profondo" dopo essersi attardato in lunghe immersioni mentre i presenti "levarono alte grida proferendo a gran voce la celebre acclamazione rituale: <<Grande è Asclepio>>" (incisa anche nell'Asklepieion su una base di marmo) si sentì subito rinvigorito e con il corpo "né troppo umido né troppo secco, e che il suo calore non diminuiva né aumentava e che tale calore non era quello che si può conseguire con mezzi umani [...]", affermando anche che non diverse erano le sue condizioni psichiche. Aristide ci racconta che in seguito ad un periodo di salute sempre altalenante, il dio gli annunciò che doveva morire entro tre giorni a meno che non si fosse recato al fiume per scavare delle fosse nelle quali compiere dei sacrifici animali, poi voltatosi indietro gettare delle monete nel fiume attraversandolo e "recatomi al santuario, offrire ad Asclepio un sacrificio di animali adulti, apparecchiare i sacri crateri e distribuire le sacre porzioni a tutti i miei compagni di culto. Dovevo anche, per la salvezza di tutto il corpo, tagliarmene una parte; ma, date le difficoltà, egli mi esimeva da questa prova, e potevo in sostituzione togliermi l'anello che portavo e dedicarlo a Telesforo [...]". Aristide ripone nel dio e nel suo ruolo di guaritore una fede totale, e da questa ne deriva l'efficacia delle sue indicazioni terapeutiche che fungono da conciliante tra l'origine psichica delle suggestioni e quella conscia riscontrabile nei sintomi fisici; la guarigione ed il senso di benessere che ne consegue è dovuta alla traduzione del contenuto onirico e visionario in una o più azioni reali volte a stabilire un equilibrio psicosomatico. La natura rituale del rimedio sottolinea la concezione comune di medicina mistica, nella quale la malattia è di natura divina così come la possibile guarigione deve necessariamente avvicinarsi al divino per essere conseguita.

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Mentre aspettiamo di ricevere da uno dei sacerdoti l'interpretazione del nostro sogno spostiamo lo sguardo verso l'imponente statua di Asclepio, il suo legame con la medicina rappresenta una ricerca non solo dei sintomi fisici e terreni della patologia, ma anche dei processi interiori e della mente.

Fonti: "Discorsi Sacri" di Publio Elio Aristide

Kuro Silvia

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In copertina: •Particolare del Calderone di Gundestrup raffigurante il dio Cernunno

•“Betulle” di Erika Nardi ( https://www.behance.net/ErikaNardi )

Retro copertina: illustrazione di Ernst Fuchs, realizzata per "Symbolik des Traumes" di Gotthilf Heinrich von Schubert

Questa rivista è prodotta e finanziata dal collettivo artistico Stramonium e si pone come mezzo di comunicazione per racchiudere incontri mensili, progetti

musicali ed artistici che verranno di volta in volta presentati ad un pubblico sensibile verso gli argomenti trattati.

La versioni digitali della rivista sono scaricabili gratuitamente in pdf da:

• http://meastramonium.blogspot.it

per altre informazioni:

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