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BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico quindicinale n. 18 del 25/6/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/3/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 5 6 7 8 9 10 11 12 13

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Magic Study LUNA Books

© 2006 Maria V. Snyder Traduzione di Gigliola Foglia

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto

di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con

Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

persone della vita reale è puramente casuale.

© 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici Special

giugno 2010 Seconda edizione Bluenocturne

giugno 2010

Questo volume è stato impresso nel maggio 2010 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)

BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X

Periodico quindicinale n. 18 del 25/6/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/3/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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«Ci siamo» disse Irys. Mi guardai attorno. La giungla circostante traboccava di vi-ta. Verdi cespugli troppo cresciuti ci bloccavano il cammino, dal baldacchino d'alberi pendevano tralci di rampicanti, e l'in-cessante cinguettare degli uccelli della giungla mi colpiva le orecchie. Le creaturine pelose che ci avevano seguito attraverso la foresta ci scrutavano dai loro nascondigli dietro enormi fo-glie. «Dove?» domandai, lanciando un'occhiata alle altre tre ra-gazze. Loro scrollarono le spalle all'unisono, parimenti per-plesse. I loro sottili abiti di cotone erano intrisi di sudore. An-che i miei calzoni neri e la camicia bianca mi aderivano alla pelle madida. Eravamo stanche di trascinare gli zaini pesanti per i sentieri della giungla sottili come serpenti, e ci prudeva la pelle a cui si incollavano insetti innominabili. «L'insediamento Zaltana» rispose Irys. «Con ogni probabili-tà, casa tua.» Osservai la vegetazione lussureggiante e non vidi niente che assomigliasse a un centro abitato. Durante il nostro viag-gio verso sud, ogniqualvolta Irys aveva dichiarato che eravamo arrivati ci trovavamo di solito nel mezzo di una piccola città o di un villaggio, con case fatte di legno, pietra o mattoni, attor-niati da campi e fattorie. Gli abitanti ci davano il benvenuto, ci rifocillavano e, in mezzo a una cacofonia di voci, colori sgar-gianti e aromi speziati, ascoltavano la nostra storia, dopodiché

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alcune famiglie venivano convocate in gran fretta. Allora, in un turbine di eccitazione e chiacchiericcio, uno dei bambini del nostro gruppo, che era vissuto nell'orfanotrofio su al nord, si riuniva ai parenti, di cui spesso non aveva mai saputo l'esi-stenza. Di conseguenza il nostro numero si era ulteriormente ridot-to via via che ci addentravamo nella zona meridionale di Sitia. La fredda aria del nord era ormai lontana, e adesso stavamo cuocendo nel calore umido della giungla, senza traccia di una cittadina in vista. «Insediamento?» domandai. Irys sospirò. Dalla stretta crocchia le erano sfuggite alcune ciocche dei capelli neri, e la sua espressione severa non era af-fatto in tono con l'espressione vagamente divertita dei suoi occhi di smeraldo. «Yelena, le apparenze possono essere ingannevoli. Cerca con la mente, non con i sensi» mi ammonì. Strofinai le mani scivolose lungo la venatura del mio basto-ne di legno, concentrandomi sulla superficie liscia. La mia mente si svuotò, e il ronzio della giungla svanì quando proiet-tai all'esterno la mia coscienza mentale. Con l'occhio della mente, sgusciai per il sottobosco insieme a una serpe, in cerca di una chiazza di sole. Mi arrampicai sui rami di un albero in-sieme a un animale dalle lunghe zampe, con tale facilità che mi parve volassimo. Poi, là sopra, mi mossi con le persone tra le cime degli albe-ri. Le loro menti erano aperte e rilassate, impegnate a decidere che cosa mangiare per cena e a discutere le notizie giunte dalla città. Solo una mente si preoccupava per i rumori che proveni-vano dalla giungla sottostante. C'era qualcosa che non anda-va. C'era qualcuno di estraneo. Possibile pericolo. Chi c'è nel-la mia mente? Tornai di scatto in me stessa. Irys mi fissò. «Vivono sugli alberi?» domandai. Lei annuì. «Ma ricorda, Yelena, solo perché la mente di qualcuno è ricettiva alla tua indagine, non significa che ti sia

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lecito immergerti nei loro pensieri più profondi. Questa è u-n'infrazione al nostro Codice Etico.» Le sue parole erano aspre: il mago del rango di maestro che rimproverava il suo allievo. «Mi dispiace» dissi. Lei scosse il capo. «Dimentico che stai ancora imparando. Occorre che raggiungiamo la cittadella e cominciamo il tuo addestramento, ma temo che questa sosta prenderà del tem-po.» «Perché?» «Non posso lasciarti con la tua famiglia come ho fatto per gli altri ragazzi, e sarebbe crudele portarti via troppo presto.» Proprio allora una voce forte chiamò dall'alto: «Venetta-den». Irys sollevò il braccio di scatto e mormorò qualcosa, ma i miei muscoli si raggelarono prima che riuscissi a respingere la magia che ci avvolse. Non potevo muovermi. Dopo un freneti-co attimo di panico, placai la mia mente. Cercai di costruire un muro mentale di difesa, ma l'incantesimo che mi irretiva ab-batteva i mattoni del muro mentale che cercavo di erigere con la stessa rapidità con cui io riuscivo a impilarli. Irys tuttavia era indenne. Gridò verso le cime degli alberi: «Siamo amici degli Zaltana. Io sono Irys del Clan Gemmarosa, Quarto Mago nel Consiglio». Un'altra strana parola echeggiò dagli alberi. Quando la ma-gia mi lasciò libera, mi tremarono le gambe e crollai a terra, ad aspettare che la debolezza passasse. Le gemelle, Gracena e Ni-ckeely, caddero insieme, gemendo. May si massaggiò le gam-be. «Perché sei venuta, Irys Gemmarosa?» domandò la voce dall'alto. «Credo che potrei aver trovato la vostra figlia perduta» ri-spose lei. Una scala di corda calò tra i rami. «Andiamo, ragazze» disse Irys. «Yelena, reggi l'estremità mentre saliamo.»

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Mi lampeggiò nella mente un pensiero stizzito su chi a-vrebbe tenuto la scala per me. La voce seccata di Irys risuonò dentro la mia testa. Yelena, tu non avrai problemi a salire tra gli alberi. Forse dovrei far loro ritirare la scala quando sarà il tuo turno di salire, visto che potresti usare il tuo arpione e la corda. Aveva ragione, naturalmente. A Ixia avevo usato gli alberi per nascondermi dai nemici senza la comodità di una scala. E perfino ora mi godevo un'occasionale passeggiata tra le cime degli alberi per mantenermi in esercizio. Irys sorrise. Forse ce l'hai nel sangue. Lo stomaco mi si contrasse nel ricordare Mogkan. Aveva detto che ero maledetta dal sangue di Zaltana. Tuttavia, non avevo ragione di prestar fede all'ormai morto mago del sud, e avevo evitato di porre a Irys domande sugli Zaltana così da non alimentare le mie speranze di far parte della loro famiglia. Perfino in punto di morte sapevo che Mogkan sarebbe stato capace di giocarmi un ultimo tiro sprezzante. Mogkan e il figlio del Generale Brazell, Reyad, avevano rapi-to me insieme con altri trenta e più bambini di Sitia. A una media di due bambini l'anno, avevano portato maschi e fem-mine a nord, all'orfanotrofio di Brazell nel Territorio di Ixia, per usarli nei loro piani contorti. Tutti i bambini avevano il poten-ziale per diventare maghi, poiché erano nati da famiglie in cui la magia era forte. Irys mi aveva spiegato che i poteri magici erano un dono, e che da ogni clan proveniva solo una manciata di maghi. «Na-turalmente, più maghi ci sono in una famiglia» aveva detto, «maggiore è la probabilità di averne altri nella generazione suc-cessiva. Mogkan ha corso un rischio a rapire bambini così pic-coli: i poteri magici non si manifestano finché un ragazzo non raggiunge la maturità.» «Perché c'erano più femmine che maschi?» avevo chiesto. «Solo il trenta per cento dei nostri maghi sono maschi, e Bain Buonsangue è l'unico ad aver raggiunto il rango di mae-stro.»

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Mentre tenevo tesa la scala di corda che pendeva dalla volta della giungla, mi chiesi quanti Zaltana fossero maghi. Accanto a me, le tre ragazze si infilarono nelle cinture l'orlo degli abiti. Irys aiutò May ad affrontare i pioli della scaletta, e poi seguiro-no Gracena e Nickeely. Quando avevamo attraversato il confine di Sitia, le ragazze non avevano esitato a cambiare le uniformi nordiche con i vi-vaci e multicolori abiti di cotone portati dalle donne del sud. I ragazzi avevano sostituito le uniformi con semplici calzoni e tuniche di cotone. Io invece mi ero tenuta addosso l'uniforme da assaggiatore ufficiale fino a quando il caldo e l'umidità non mi avevano indotta ad acquistare un paio di calzoni da uomo di cotone e una camicia. Dopo che Irys fu scomparsa dentro la verde volta, posai lo stivale sul piolo più basso. Avevo la sensazione di avere i piedi gonfi d'acqua e pesantissimi. La riluttanza mi tratteneva le gambe mentre le trascinavo su per la scala. A mezz'aria, mi fermai. E se quella gente non mi avesse voluto? Se non avesse-ro creduto che ero la loro figlia perduta? E se io fossi stata troppo grande perché si interessassero a me? Tutti i bambini che avevano già ritrovato le loro famiglie erano stati immediatamente accettati. Di età compresa tra i set-te e i tredici anni, erano stati separati dai propri parenti per po-chi anni soltanto. Somiglianza fisica, età, e perfino i nomi ave-vano reso semplice collocarli. Adesso, eravamo rimaste in quattro. Le gemelle identiche Gracena e Nickeely avevano tre-dici anni. May, che ne aveva dodici, era la più giovane, e io, ventenne, ero la maggiore del gruppo. Secondo Irys, gli Zaltana avevano perso una bambina di sei anni oltre quattordici anni prima. Era un lasso di tempo molto lungo, e io non ero più una bambina. Tuttavia ero la più vecchia a essere sopravvissuta ai progetti di Brazell e a rimanere intera. Quando gli altri bimbi rapiti ave-vano raggiunto la maturità, quelli che avevano sviluppato pote-ri magici erano stati torturati finché non avevano ceduto le proprie anime a Mogkan e Reyad. Mogkan allora aveva usato la

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magia di quei prigionieri per accrescere il proprio potere, ren-dendo i ragazzi niente più che corpi viventi senz'anima. Toccava a Irys il terribile compito di informare le famiglie di quei ragazzi, ma io provavo un certo senso di colpa per essere l'unica sopravvissuta ai tentativi di Mogkan di annientarmi, anche se lo sforzo mi era costato molto. Pensare a Ixia mi condusse a pensare a Valek. La sua man-canza mi morse il cuore. Agganciando un braccio attorno alla scala, sfiorai il pendente a forma di farfalla che aveva scolpito per me. Forse potevo trovare un modo per tornare da lui. Do-potutto, avevo imparato a controllare la magia che divampava nel mio corpo, e avrei preferito di gran lunga essere con lui che con quegli strani meridionali che vivevano sugli alberi. Il nome stesso, Sitia, mi appiccicava la bocca come sciroppo rancido. «Yelena, sbrigati» mi gridò Irys dall'alto. «Stiamo aspettan-do.» Deglutii a fatica e feci scorrere una mano sulla mia lunga treccia, lisciandomi i capelli neri e togliendone qualche viticcio che vi era attaccato. Malgrado il lungo tragitto attraverso la giungla, non ero molto stanca. Benché fossi più bassa della maggior parte degli ixiani, durante l'ultimo anno a Ixia il mio corpo si era trasformato da emaciato a muscoloso. Dal languire nella segreta all'assaggiare il cibo per il Comandante Ambrose, la mia condizione era migliorata quanto alla salute fisica, ma non avrei potuto dire lo stesso del mio benessere mentale du-rante quel periodo. Scossi il capo, bandendo quei pensieri e concentrandomi sulla situazione immediata. Mentre salivo, mi aspettavo che la scala terminasse su un ampio ramo o una piattaforma sull'al-bero, come il pianerottolo di una gradinata. Invece entrai in una stanza. Mi guardai attorno sbalordita. Pareti e soffitto era-no formati di rami e fronde legati assieme. La luce solare filtra-va all'interno dalle fessure. Fasci di stecchi erano stati trasfor-mati in sedie con cuscini fatti di foglie. «È lei?» chiese a Irys un uomo alto. La sua tunica e i calzoni corti di cotone erano del colore delle foglie dell'albero. Della

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gelatina verde gli copriva i capelli e tutta la pelle esposta. Dalla spalla gli pendevano un arco e una faretra piena di frecce. De-dussi fosse la sentinella. Ma perché aveva bisogno di un'arma se era il mago che ci aveva immobilizzate? Irys tuttavia aveva annullato con facilità quell'incantesimo, riflettei. Avrebbe sa-puto anche deviare una freccia? «Sì» rispose Irys all'uomo. «Abbiamo sentito voci al mercato, e ci siamo chiesti se ci avresti fatto visita, Quarto Mago. Ti prego, aspetta qui» replicò lui. «Farò venire l'Anziano.» Irys si lasciò cadere su uno dei sedili, mentre le ragazze e-splorarono la stanza, lanciando esclamazioni davanti al pano-rama visibile dall'unica finestra. Io camminai avanti e indietro per quello spazio angusto. La guardia parve scomparire attra-verso la parete, ma indagando scoprii un'apertura che condu-ceva a un ponte di rami. «Mettiti a sedere» mi disse Irys. «Rilassati. Sei al sicuro qui.» «Perfino con questa calorosa accoglienza?» ribattei. «Procedura standard. I visitatori non accompagnati sono estremamente rari. Con il pericolo costante di predatori della giungla, la maggior parte dei viaggiatori assolda una guida Zal-tana. Tu sei stata tesa e sulla difensiva fin da quando ti ho det-to che eravamo diretti qui.» Indicò le mie gambe. «Vedi? Persi-no adesso sei in posizione di combattimento, pronta all'attac-co. Queste persone sono la tua famiglia. Perché dovrebbero volerti fare del male?» Mi resi conto di essermi sfilata dalle spalle la mia arma e di serrarla nella posizione di guardia. Con uno sforzo, cercai di rilassarmi. «Mi dispiace.» Infilai nuovamente l'archetto, un ba-stone di legno lungo un metro e mezzo, nel suo sostegno sul lato dello zaino. La paura dell'ignoto mi aveva messo in tensione. A Ixia mi era stato detto che i miei familiari erano morti. Perduti per sempre per me. E tuttavia ero solita sognare di trovare una fa-miglia adottiva che mi amasse e avesse cura di me. Avevo ri-nunciato a queste fantasie solo quando ero stata destinata al-

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l'esperimento di Mogkan e Reyad; e adesso che avevo Valek, sentivo di non aver bisogno di una famiglia. «Questo non è vero, Yelena» disse Irys a voce alta. «La tua famiglia ti aiuterà a scoprire chi sei veramente. Hai bisogno di loro più di quanto tu sappia.» «Credevo avessi detto che era contro il vostro Codice Etico leggere nella mente di qualcuno a sua insaputa.» La sua intru-sione nei miei pensieri privati mi aveva indispettito. «Essendo maestro e studente, noi siamo legate. Tu mi hai dato liberamente una via d'accesso alla tua mente accettan-domi come tuo mentore. Sarebbe più facile deviare una casca-ta che spezzare il nostro legame.» «Non ricordo di aver creato una via d'accesso» borbottai. «Se vi fosse stato uno sforzo cosciente di creare un contat-to, non sarebbe successo.» Irys osservò il mio viso per un po'. «Mi hai dato la tua fiducia e la tua lealtà. Questo era tutto ciò che occorreva per forgiare un legame. Anche se non metterò il naso nei tuoi pensieri e ricordi intimi, posso cogliere le emo-zioni di superficie.» Aprii la bocca per ribattere, ma la guardia dai capelli verdi tornò. «Seguitemi» disse. Avanzammo serpeggiando tra le cime degli alberi. Passaggi e ponti collegavano una stanza dopo l'altra, in alto al di sopra del terreno. Non si vedeva traccia di quel labirinto di abitazioni da terra. Non incontrammo né vedemmo un'anima mentre passavamo accanto a camere da letto e attraverso aree di sog-giorno. Da qualche occhiata nelle stanze, vidi che erano deco-rate con oggetti trovati nella giungla. Gusci di noce di cocco, noci, bacche, erbe, ramoscelli e foglie erano tutti artisticamente modellati in arazzi da parete, copertine di libri, contenitori e statue. Qualcuno aveva perfino realizzato una copia esatta di uno di quegli animali dalla lunga coda usando pietruzze bian-che e nere incollate assieme. «Irys» chiesi indicando la statua, «che cosa sono quegli a-nimali?» «Valmuri. Molto intelligenti e giocherelloni. Ce ne sono mi-

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lioni nella giungla. Sono anche curiosi. Ricordi come ci spiava-no dagli alberi?» Annuii, rammentando le creaturine che non erano mai state ferme abbastanza a lungo perché potessi studiarle. In altre sale individuai ancora riproduzioni di animali fatte di pietre di colori differenti. Un nodo mi strinse la gola quando pensai a Valek e agli animali che lui scolpiva dalla pietra. Sapevo che avrebbe apprezzato la fattura di quelle statue. Forse avrei potuto man-dargliene una. Non sapevo quando avrei potuto rivederlo. Il Comandante mi aveva esiliato a Sitia quando aveva scoperto che possedevo poteri magici. Se fossi tornata a Ixia, l'ordine di esecuzione sarebbe stato effettivo, ma lui non aveva mai detto che non potevo comunicare con i miei amici ixiani. Scoprii presto perché non avevamo incontrato nessuno nel nostro tragitto attraverso il villaggio. Entrammo in un'ampia sala comune rotonda, nella quale erano raccolte circa duecento persone. Sembrava che l'intero insediamento si trovasse lì. La gente riempiva la panche di legno intagliato che circondavano un enorme focolare in pietra. Il chiacchiericcio cessò nell'istante in cui entrammo. Gli oc-chi dei presenti si concentrarono su di me. Mi formicolò la pel-le. Avevo la sensazione che stessero esaminando ogni pollice del mio viso, dei miei vestiti e dei miei stivali infangati. Dalle loro espressioni, dedussi che non rispondevo alle aspettative. Soffocai il desiderio di nascondermi dietro Irys. Mi pulsò nel petto il rammarico di non averle posto più domande riguardo agli Zaltana. Alla fine, un uomo anziano si fece avanti. «Io sono Bavol Cacao Zaltana, Consigliere Anziano per il clan Zaltana. Sei tu Yelena Liana Zaltana?» Esitai. Quel nome suonava così formale, così legato, così estraneo. «Il mio nome è Yelena» dissi. Un giovane di pochi anni maggiore di me si fece strada tra la folla. Si fermò vicino all'Anziano. Lo sguardo dei suoi occhi di giada, ridotti a una stretta fessura, penetrò il mio. Un misto

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di odio e repulsione gli contorse il viso. Sentii un lieve tocco di magia sfiorarmi il corpo. «Ha ucciso» dichiarò a gran voce. «Puzza di sangue.» Un ansito generalizzato risuonò dalla folla degli Zaltana. Orrore e oltraggio contraevano i volti ora ostili che mi fissava-no. Mi trovai dietro Irys, sperando di bloccare la forza negativa che emanava da quegli occhi. «Leif, tu drammatizzi sempre» disse Irys. «Yelena ha avuto una vita difficile. Non giudicare ciò che non conosci.» Leif si rattrappì davanti allo sguardo di Irys. «Anch'io puzzo di sangue. O no?» chiese lei. «Ma tu sei Quarto Mago» replicò il ragazzo. «Tu sai quel che ho fatto e perché. Ti suggerisco di scoprire che cosa tua sorella ha dovuto affrontare a Ixia, prima di accu-sarla.» La mascella del giovane si serrò. I muscoli nel suo collo si tesero quando inghiottì quella che avrebbe potuto essere una risposta. Arrischiai un'altra sbirciata per la sala. Ora il gruppo era disseminato di sguardi contemplativi, preoccupati e perfino impacciati. Le donne Zaltana portavano abiti senza maniche oppure camicie a maniche corte e gonne a vivaci motivi floreali lunghe fino alle ginocchia. Gli uomini del clan indossavano tuniche in colori chiari e semplici calzoni. Tutti erano a piedi nudi, e per la maggior parte erano di costituzione snella e pelle bronzea. Poi le parole di Irys penetrarono nella mia coscienza. Le af-ferrai il braccio. Fratello? Ho un fratello? Un angolo della sua bocca si incurvò verso l'alto. Sì. Un fratello. Il tuo unico fratello. L'avresti saputo se tu non avessi cambiato discorso ogni volta che cercavo di parlarti degli Zal-tana. Grandioso. La mia fortuna teneva duro. Avevo creduto che i miei guai fossero finiti quando avevo lasciato il Territorio di Ixia. Perché avrei dovuto sorprendermi di alcunché in tutto questo? Quando tutti gli altri sitiani vivevano in normali villag-

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gi, la mia famiglia risiedeva sugli alberi. Studiai Leif, in cerca di una somiglianza. La sua robusta struttura muscolosa e il viso quadrato spiccavano rispetto a quelli degli altri membri del clan, più flessuosi. Solo i suoi capelli neri e gli occhi verdi era-no simili ai miei. Durante gli imbarazzati momenti che seguirono, rimpiansi di non avere un incantesimo di invisibilità e mi feci un appun-to di chiedere a Irys se esistesse qualcosa del genere. Un donna di mezza età all'incirca della mia altezza si acco-stò a noi. Mentre si avvicinava scoccò a Leif un'energica oc-chiata, e lui chinò la testa. Senza preavviso, mi abbracciò. Io trasalii per una frazione di secondo, incerta. I suoi capelli odo-ravano di lillà. «Ho desiderato farlo per quattordici anni» disse, stringen-domi più forte. «Quanto hanno bramato le mie braccia la mia piccolina.» Quelle parole mi trasportarono indietro nel tempo, a quan-do ero una bambina di sei anni. Artigliando le braccia attorno a quella donna, scoppiai a piangere. Quattordici anni senza una madre mi avevano fatto credere che sarei rimasta impassibile quando finalmente l'avessi incontrata. Durante il viaggio verso sud avevo immaginato che sarei stata curiosa e spassionata. Lieta di fare la tua conoscenza, ma noi veramente dobbiamo andare alla Cittadella. Scoprii che invece ero dolorosamente impreparata al torrente di emozioni che mi squassò il corpo. Mi aggrappai a lei come se lei sola mi impedisse di affogare. In lontananza, udii Bavol Cacao dire: «Ognuno torni al la-voro. Quarto Mago è nostra ospite. Ci serve una festa adegua-ta per stasera. Petalo, prepara le stanze degli ospiti. Occorre-ranno cinque letti». Il brusio di voci che riempiva la sala comune scemò. La stanza era quasi vuota quando la donna... mia madre... aprì le braccia e mi lasciò andare. Era ancora difficile far combaciare il suo viso ovale con il nome di Mamma. Dopotutto, lei poteva non essere la mia vera madre. E se lo era, avevo io il diritto di chiamarla con quel nome dopo così tanti anni di lontananza?

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«Tuo padre sarà così felice» disse lei. Si spinse via dal viso una ciocca di capelli neri. Spruzzate di grigio le striavano le lunghe trecce, e i suoi occhi verde pallido scintillavano di la-crime non sparse. «Come lo sai?» chiesi. «Potrei non essere...» «La tua anima riempie alla perfezione il vuoto nella mia. Non ho alcun dubbio che tu sia mia figlia. Spero che mi chia-merai mamma, ma se non ci riesci, puoi chiamarmi Perl.» Mi asciugai il viso con il fazzoletto che Irys mi porgeva. Lanciando un'occhiata tutto intorno, cercai mio padre. Padre. Un'altra parola che minacciava di rovinare quel poco di dignità che mi restava. «Tuo padre è fuori a raccogliere campioni» spiegò Perl, co-me leggendomi nella mente. «Sarà di ritorno non appena gli giungerà la notizia.» Perl voltò la testa. Seguii il suo sguardo e vidi Leif ritto accanto a noi, le braccia conserte sul petto e le mani serrate a pugno. «Hai già conosciuto tuo fratello. Non startene lì impalato, Leif. Vieni a dare a tua sorella un benvenu-to adeguato.» «Non riesco a sopportare l'odore» disse lui. Ci voltò la schiena e si allontanò deciso. «Non fare caso a lui» mi pregò Perl. «È ipersensibile. Affron-tare la tua sparizione è stato molto difficile per lui. È stato be-nedetto da una magia forte, ma il suo potere è...» Esitò. «Uni-co. Lui riesce a percepire dove e che cosa una persona abbia fatto. Non di preciso, ma come sensazione generale. Spesso il Concilio lo chiama per dare una mano a risolvere crimini o di-spute, e per determinare se una persona è colpevole oppure no.» Scosse il capo. «Gli Zaltana con poteri magici hanno ca-pacità insolite. E tu, Yelena? Sento la magia che scorre in te.» Un sorriso le sfiorò le labbra. «È la mia, limitata, capacità. Qual è il tuo talento?» Lanciai un'occhiata a Irys per avere aiuto. «La magia le è stata estorta ed è rimasta incontrollata fino a pochi mesi fa. Dobbiamo ancora individuare la sua peculiari-tà.»

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Il colorito svanì dal viso di mia madre. «Estorta?» Le sfiorai la manica. «È tutto a posto.» Perl si morse il labbro. «Lei potrebbe deflagrare?» domandò a Irys. «No. L'ho presa sotto la mia ala. Ha acquisito un certo livel-lo di controllo. Tuttavia, deve venire al Mastio dei Maghi affin-ché io possa insegnarle di più sulla magia che le scorre den-tro.» Mia madre mi strinse forte il braccio. «Devi raccontarmi tut-to quello che ti è successo da quando ci sei stata portata via.» «Io...» La sensazione di essere in trappola mi afferrò la gola. Bavol Cacao venne in mio soccorso. «Gli Zaltana sono ono-rati che tu abbia scelto uno dei nostri come tuo studente, Quarto Mago. Prego, lascia che scorti la tua comitiva alle vo-stre stanze, così che possiate rinfrescarvi e riposare prima del banchetto.» Il sollievo mi invase, anche se la linea determinata della ma-scella di mia madre mi avvertì che non aveva finito con me. La sua presa si serrò quando Irys e le tre ragazze si mossero per seguire Bavol Cacao. «Perl, avrai tempo in abbondanza da passare con tua figlia» disse lui. «Adesso è a casa.» Lei mi lasciò andare, arretrando. «Ci rivedremo stasera. Chiederò a tua cugina Nucci di prestarti dei vestiti decenti per la festa.» Sogghignai mentre ci dirigevamo alle camere degli ospiti. Con tutto quello che era successo quel giorno, mia madre era riuscita lo stesso a notare gli abiti che indossavo. Il banchetto cominciò come una cena tranquilla, ma poi si trasformò in una festa a dispetto del fatto che avrei potuto of-fendere chi mi ospitava assaggiando per prima i molti piatti a base di frutta e le carni fredde in cerca di veleni, prima di man-giare. Le vecchie abitudini sono dure a morire. L'aria notturna era pregna del profumo di citronella che bruciava, mescolandosi a un aroma di terra umida. Dopo il pa-

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sto, vari Zaltana tirarono fuori strumenti musicali fatti di bam-bù e spago, altri balzarono in piedi per danzare e altri ancora cantarono con la musica. Piccoli valmuri pelosi si lanciavano dalle travi del soffitto e saltavano di tavola in tavola. Alcuni dei miei cugini se li erano presi come animali da compagnia, e chiazze di nero e bianco e arancio e marrone stavano loro sulla testa e sulle spalle. Altri valmuri ruzzolavano negli angoli o rubacchiavano cibo dai ta-voli. May e le gemelle erano deliziate dalle moine degli anima-letti dalla lunga coda, e Gracena tentò di attirare un piccolo valmure rossiccio e oro porgendogli del cibo. Mia madre sedeva accanto a me. Leif non era venuto alla festa. Io portavo uno sgargiante abito giallo e viola stampato a gigli che mi aveva prestato Nucci. L'unica ragione per cui ave-vo indossato quel vestito detestabile era che desideravo far contenta Perl. Ringraziai la sorte che non ci fossero Ari e Janco, i miei a-mici soldati di Ixia. Si sarebbero sbellicati dalle risate nel ve-dermi indossare abiti così vistosi. Quanto mi mancavano! Cambiai idea, desiderando che fossero lì: sarebbe valsa la pena di sopportare l'imbarazzo solo per vedere lo scintillio negli oc-chi di Janco. «Dobbiamo partire entro pochi giorni» disse Irys a Bavol sopra il rumore di musica e voci. La sua affermazione fu come un brivido che percorse quelli attorno a noi, guastandone l'al-legria. «Perché così presto?» chiese mia madre, corrugando la fron-te per il dispiacere. «Devo accompagnare dalle loro famiglie le altre ragazze, e sono stata lontana dalla Cittadella e dal Mastio per troppo tempo.» La stanca tristezza nella voce di Irys mi rammentò che non vedeva la sua famiglia da quasi un anno. Stare nascosta a spiare nel Territorio di Ixia l'aveva sfinita. Il nostro tavolo fu silenzioso per un po'. Poi mia madre si illuminò. «Puoi lasciare qui Yelena mentre che accompagni le ragazze a casa.»

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«Allungherebbe troppo la strada se dovesse tornare a pren-derla» replicò Bavol Cacao. Mia madre lo guardò accigliata. Potevo scorgere i suoi pen-sieri turbinare dietro i suoi occhi. «Aha! Leif può accompagna-re Yelena alla Cittadella. Ha delle faccende da sbrigare con Pri-mo Mago tra due settimane.» Nel mio petto scorrazzarono mille emozioni contrastanti. Volevo restare, ma al tempo stesso avevo paura di essere sepa-rata da Irys. Loro erano la mia famiglia, tuttavia erano degli e-stranei. Non potevo fare a meno di essere cauta; era un'abilità imparata a Ixia. E viaggiare con Leif sembrava spiacevole come bere un vino addizionato di veleno. Prima che chiunque potesse concordare o dissentire, mamma decise: «Sì. Così andrà bene». E concluse ogni discus-sione sull'argomento. Il mattino seguente ebbi un piccolo attacco di panico quando Irys si infilò lo zaino. «Non lasciarmi qui da sola» la implorai. «Non sei sola. Ho contato trentacinque cugini e una pletora di zie e zii.» Rise. «Inoltre, dovresti passare un po' di tempo con la tua famiglia. Devi imparare a non diffidare di loro. Ti ritroverò al Mastio dei Maghi. È dentro le mura della Cittadella. Nel frattempo, continua a far pratica di autocontrollo.» «Sissignora.» May mi abbracciò. «La tua famiglia è proprio uno spasso. Spero che anche la mia famiglia viva sugli alberi» dichiarò. Le lisciai le trecce. «Cercherò di venire a trovarti.» «May potrebbe venire alla scuola della Cittadella la prossima stagione fredda» disse Irys, «se riuscirà ad accedere alla fonte del potere». «Sarebbe grandioso!» esclamò May deliziata. Entrambe le gemelle mi diedero un rapido abbraccio. «Buona fortuna» disse Gracena con un sorrisetto. «Ne avrai bisogno.» Le seguii giù per la scala di corda fino all'aria più fresca vici-

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no al terreno della giungla per salutarle. Osservai Irys e le ra-gazze aprirsi la strada sulla stretta pista, senza perderle d'oc-chio finché non furono fuori vista. Senza di loro, avevo la sen-sazione che il mio corpo fosse sottile come carta e a rischio di essere stracciato dalla lieve brezza. Per rimandare il ritorno alle cime degli alberi, studiai l'am-biente circostante. La volta sovrastante della giungla non mo-strava traccia delle abitazioni Zaltana, e la densa vegetazione tutt'attorno mi impediva di vedere molto lontano in qualsiasi direzione. Nonostante il rumoroso ronzare degli insetti, mi parve di udire il debole rumore di acqua che scorreva lì vicino. Ma non riuscii a spingermi al di là della boscaglia per trovarne la fonte. Frustrata, sudaticcia e stanca di essere il pasto di ogni mo-scerino, rinunciai e risalii la scala di corda. Di nuovo nel caldo e asciutto baldacchino della foresta, in mezzo al labirinto di stanze, mi persi in fretta. Facce irriconoscibili annuivano o mi sorridevano. Altri si accigliavano e guardavano dall'altra parte. Non avevo idea di dove fosse la mia stanza, o di cosa dovessi fare, e non volevo chiedere. Il pensiero di raccontare a mia madre la storia della mia vita non era attraente. Inevitabile, lo sapevo, ma troppo da sopportare in quel momento. Mi ci era voluto quasi un anno per fidarmi di Valek al punto di confidargli la mia storia... come potevo rivelare ciò che avevo passato a qualcuno che avevo appena conosciuto? Così vagai qua e là, cercando un panorama del fiume che avevo sentito a livello del terreno. Ampie distese di verde riempivano ogni visuale. Svariate volte individuai la grigia levi-gatezza del fianco di una montagna. Irys mi aveva raccontato che la Giungla Illiais cresceva in una profonda valle. Incuneata tra le pieghe dell'orlo dell'Altopiano Daviiano, si trovava sotto il bordo dell'altopiano, lasciando un solo lato praticabile ai viaggiatori. «Ottimamente difendibile» aveva detto Irys. «È im-possibile scalare le pareti per raggiungere l'altopiano.» Mi stavo divertendo a mettere alla prova il mio equilibrio su

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un ponte di corde quando una voce mi fece sobbalzare e do-vetti agguantare il corrimano. «Cosa?» Cercai di ritrovare un appoggio fermo. «Ho detto, che cosa stai facendo?» Nucci stava all'estremità del ponte. Con un ampio gesto del braccio, risposi: «Godendomi il panorama». Potei dire dalla sua espressione dubbiosa di non averla con-vinta. «Seguimi, se vuoi vedere un vero panorama» mi disse correndo via. Mi arrabattai per tenerle dietro mentre prendeva scorciatoie tra i rami degli alberi. Le sue sottili braccia e gambe si tendeva-no ad afferrare viticci con tale flessibilità che mi ricordò un valmure. Quando entrò in una chiazza di sole, i suoi capelli color acero e la sua pelle splendettero. Dovetti ammettere che c'era almeno una cosa buona nello stare nel sud. Invece di essere l'unica persona di pelle scura, finalmente apparivo come un nativo. Vivere tanto a lungo nel nord con i pallidi ixiani, tuttavia, non mi aveva preparato a una simile varietà di tonalità di pelle bruna. Con mio grande imba-razzo, mi ero scoperta a guardare a bocca aperta le carnagioni più scure quando ero arrivata a Sitia. Nucci si fermò di colpo e per poco non le sbattei contro. Eravamo su una piattaforma quadrata sull'albero più alto della giungla. Niente ostruiva la visuale. Un tappeto di smeraldo si stendeva sotto di noi, per termi-nare contro due pareti rocciose a strapiombo angolate l'una verso l'altra. Dove le due falesie s'incontravano sgorgava u-n'ampia cascata, che precipitava in una nube di nebbia. Al di là dell'orlo superiore delle pareti rocciose vidi una distesa piat-ta. Un misto di rossi, gialli, dorati e marroni dipingeva il pae-saggio levigato. «Quello è l'Altopiano Daviiano?» domandai. «Già. Non ci vive niente se non l'erba selvatica della sava-na. Non hanno molta pioggia. Bello, eh?» «Bello è dir poco.»

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Nucci annuì, e restammo in silenzio per un po'. Infine la mia curiosità interruppe la sosta nella conversazione. Posi a Nucci domande sulla giungla, e alla fine la conversazione de-viò sulla famiglia Zaltana. «Perché ti chiamano Nucci?» domandai. Lei fece spallucce. «Il mio vero nome è Nocciola Palma Zal-tana, ma tutti mi chiamano Nucci da quando ero piccola.» «Dunque Palma è il tuo secondo nome.» «No.» Nucci si slanciò oltre il bordo della piattaforma tra i rami dell'albero che la sorreggevano. Le fronde si scossero e dopo un momento lei si arrampicò di nuovo sulla piattaforma. Mi tese un grappolo di noci brune. «Palma, come l'albero di palma, è il nome della mia famiglia. Zaltana è il nome del clan. Chiunque ci sposi deve prendere quel nome, ma all'interno del clan ci sono diverse famiglie. Guarda, rompile così...» Nucci prese una delle noci e la sbatté contro un ramo vicino, rivelan-do un grano interno. «La tua famiglia è Liana, che significa viticcio. Yelena signi-fica splendente. Tutti o prendono nome da qualche cosa della giungla oppure il loro nome significa qualcosa nell'antico lin-guaggio Illiais, che siamo costretti a imparare.» Nucci alzò gli occhi al cielo con esasperazione. «Sei fortunata a essertelo per-so.» Mi punzecchiò con l'indice. «E ti sei persa il dovertela ve-dere con dispettosi fratelli maggiori, anche! Una volta io ho passato un guaio per aver legato il mio in una liana lasciandolo lì appeso... Oh, sputo di serpe! Mi sono dimenticata. Andia-mo.» Si affrettò attraverso gli alberi. «Dimenticata che cosa?» domandai, arrancandole dietro. «Avrei dovuto portarti da tua madre. È stata ad aspettarti per tutta la mattina.» Nucci rallentò solo lievemente per affron-tare un ponte di corda. «Zio Esau è tornato dalla sua spedizio-ne.» Un altro membro della famiglia da incontrare. Presi in con-siderazione l'idea di perdere accidentalmente Nucci. Ma ricor-dando le occhiate ostili che avevo ricevuto da alcuni dei miei cugini, restai con lei.

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Quando la raggiunsi l'afferrai per un braccio. «Aspetta» an-simai. «Vorrei sapere perché così tanti Zaltana mi guardano male. È l'odore del sangue?» «No. Lo sanno tutti che Leif vede sempre il peggio in ogni cosa. Cerca sempre di attirare l'attenzione.» Mi indicò con un gesto. «La maggior parte di loro pensano che tu non sia real-mente una Zaltana, ma una spia di Ixia.»