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Trattato sull'emendazione dell'intelletto E sulla via che lo conduce nel modo migliore alla vera conoscenza Baruch Spinoza 1677 Esportato da Wikisource il 14/10/2017. Segnala eventuali errori su it.wikisource.org/wiki/Segnala_errori

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Trattato sull'emendazione dell'intelletto Esulla via che lo conduce nel modo migliore

alla vera conoscenzaBaruch Spinoza

1677

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Traduzione e note a cura di Michele Lavazza (michele.lavazza gmail.com).

Editing e impaginazione a cura di Foglio Spinoziano (www.fogliospinoziano.it).

Copertina e grafica a cura di Federica Sforza (www.fsdesign-consulting.com,fsdesignconsultant gmail.com).

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Prima edizione 2016.

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Introduzione

Il Trattato sull’emendazione dell’intelletto (Tractatus de intellectus emendatione)di Baruch Spinoza fu pubblicato per la prima volta nel 1677, pochi mesi dopo la mortedell’autore, in una duplice edizione delle opere spinoziane curata dagli amici del filosofoprematuramente scomparso: gli Opera posthuma in latino e i Nagelate Schriften inolandese.

Il testo, incompiuto, appartiene alla prima fase della produzione filosofica diSpinoza e anzi è, probabilmente, la sua prima opera. A lungo esso fu unanimementeconsiderato dalla critica alla stregua di un’introduzione metodologica all’Eticadimostrata con metodo geometrico (Ethica more geometrico demonstrata),immediatamente anteriore a quest’ultima quanto alla data della sua composizione; ciòalmeno fino a quando, poco dopo la metà dell’Ottocento, venne riscoperta un’opera diSpinoza fino ad allora sconosciuta, il Breve trattato su Dio, l’uomo e il suo bene (KorteVerhandeling van God, de Mensch en deszelvs Welstand). L’ipotesi del legame tra ilTrattato e l’Etica, unita a considerazioni basate sulla comparazione del testo originalelatino e della sua prima traduzione neerlandese, suggerì per qualche tempo che il Brevetrattato fosse precedente all’altro testo giovanile di Spinoza. Tuttavia, più recentemente,analisi diverse delle due opere hanno fornito convincenti argomenti sia filologici, siafilosofici a favore della tesi che il Trattato sia effettivamente la prima opera di Spinoza.1La sua composizione sarebbe cominciata allora tra il 1656 (l’anno in cui Spinoza fuespulso dalla comunità ebraica di Amsterdam per ragioni probabilmente legate alla suaprofessione di idee eterodosse) e il 1657 (quando ormai sicuramente Spinoza avevainiziato a frequentare la scuola di latino di Franciscus Van den Enden), per essere poiinterrotta verosimilmente verso il 1660, quando Spinoza abbandonò l’impresa perricominciare da capo un’esposizione, diversamente impostata, del suo pensiero nel Brevetrattato.

Come da titolo (benché questo sia dovuto agli editori, e non a Spinoza stesso) ilTrattato sull’emendazione dell’intelletto si pone metodologicamente dal punto di vista diun lavoro di correzione degli errori e dei pregiudizi che, radicati nelle credenze degliuomini, impediscono loro di attingere tanto alla verità quanto – che, si vedrà, è lo stesso– al bene. L’approccio in ordine critico, seguendo il quale la verità, figlia dell’errore,risulta precisamente dalla sua correzione, è una testimonianza evidente dell’influenza suSpinoza di René Descartes; per il quale il dubbio era stato lo strumento principe di unaradicale purificazione della mente da tutte le sue false convinzioni, tramite la qualediventava possibile approdare a una certezza irriducibile – quella della propria esistenzain quanto sostanza pensante – tale da poter ben fare da fondamento a un sistemametafisico. Proprio il fatto che questa via dall’errore alla verità sia stata superata da uno

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Spinoza più maturo (nel Breve trattato e nell’Etica) in favore di un percorso che simuove interamente nel perimetro della verità e che ha l’eliminazione degli errori comeesito, non come presupposto, fa pensare che l’abbandono dell’impostazionemetodologica cartesiana abbia costituito una delle principali ragioni teoretiche chedeterminarono l’interruzione della stesura del Trattato. D’altra parte l’idea che la verità,per dirla con le parole dell’Etica, sia «norma di se stessa e del falso» (E II, p43s) è giàpresente e operante in quest’opera giovanile, e si può dunque dire che quando Spinozadecise di rinunciare a sgombrare il campo dall’errore prima di attingere alla veritàsuperò una contraddizione già latente nel Trattato stesso. Collegata a questo, anche laseparazione tra Metodo e Filosofia (quasi una forma e un contenuto) che si riscontra inquest’opera verrà lascia cadere dallo Spinoza dei lavori successivi in considerazione delfatto che la verità, che è il criterio del metodo, è anche il nucleo della filosofia, e chequindi non si dà filosofia senza metodo tanto quanto non si dà metodo senza filosofia.Nell’Avvertenza al lettore anteposta all’opera dai curatori si allude anche ad altreragioni, di ordine più pratico, che contribuirono forse alla sospensione della scrittura delTrattato.

Il testo si apre con un Prologo (§§ 1-17) di carattere in parte autobiografico nelquale, con accenti esistenziali, si descrivono i motivi della conversione alla filosofiadell’autore. Spinoza argomenta la vanità e futilità di tutte le cose che si incontrano nellavita quotidiana, e mostra come quelle realtà materiali che gli uomini considerano allastregua di veri beni – onori, ricchezze, piaceri – sono effimere e instabili, fonte dipreoccupazioni, e addirittura origine di mali che possono portare alla rovina e accelerarela morte. Volendo trovare un vero bene, attingibile e comunicabile, partecipando delquale si possa «godere in eterno di continua e perfetta felicità» (§ 1), Spinoza si risolve atentare un mutamento radicale del suo modo di vita: si tratta di lasciarsi alle spalle queibeni apparenti, che alla prima riflessione seria si rivelano mali certi, in favore di un verobene, che pare incerto poiché il suo conseguimento da parte degli uomini è ancoraimperfetto, ma che invece è per sua natura un bene immutabile e sicuro. L’autore osservache un oggetto è origine per noi di beni o di mali in quanto siamo vincolati a esso da unlegame di amore, o saremmo rispetto a tale oggetto del tutto indifferenti (c’è qui unabase importante della teoria delle passioni e della stessa etica che Spinoza andràelaborando); per cui è preferibile, in vista di una vera felicità, rivolgere il nostro amore aun oggetto eterno e infinito anziché a ciò che è fuggevole.

Per quanto sia senz’altro un pensatore radicale, Spinoza non è però un sovversivo.Quelle cose concrete che sono appena state definite mali certi lo sono solo se vengonoricercate esclusivamente per se stesse, mentre se valgono non come fini, ma come mezziper un fine migliore, sono necessarie e buone (anche perché in questa prospettivaverranno perseguite con moderazione). Spinoza ambisce a portare con sé molte personelungo il proprio percorso verso il vero bene, e desidera farlo all’interno della comunitàumana, non al di là di essa. Egli si preoccupa di favorire la comunicazione tra gli

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individui e difende la legittimità dei rapporti sociali e delle scienze, che però orienta (inquanto beni relativi) a un nuovo fine (che è il bene sommo): il raggiungimento, da partedell’uomo, della consapevolezza di quel legame profondo e necessario che egliintrattiene con la Natura.

Ma proprio per quest’obiettivo, il «raggiungimento della somma umanaperfezione», è necessario trovare «il modo di risanare l’intelletto, e purificarlo, tantoquanto all’inizio è possibile, affinché comprenda felicemente, senza errore, e insommanel migliore dei modi» (§ 16). Da cui la delineazione del metodo che segue.

Vi è una conoscenza, quella «dell’unità tra la mente e la Natura nel suo complesso»(§ 13), che è il fine ultimo della ricerca e il vero bene a cui si desidera pervenire; e visono diversi modi in cui gli uomini possono, effettivamente, conoscere. Tra questi èinnanzitutto da scegliere il migliore, affinché la conoscenza a cui si mira sia raggiunta eacquisita quanto più pienamente e adeguatamente. Schematicamente, nell’Esposizionegenerale del Metodo (§§ 18-49), Spinoza elenca quattro modi di conoscenza, cioè:l’esperienza indiretta o l’opinione ricavata per sentito dire; l’esperienza diretta ma vaga,e non determinata dall’intelletto; l’esperienza diretta dell’essenza stessa di una cosa,inferita però da qualcosa di altro da quella cosa e non in modo tale da esaurirne laconoscibilità; l’esperienza adeguata in cui di un’essenza, conosciuta per sé stessa o pertramite della sua causa prossima, diviene noto tutto ciò che è possibile conoscere. Talimodi di conoscenza sono tutti indicati con il termine perceptio, il quale, a causa dellasua troppo forte eco sensista, verrà abbandonato nelle opere successive per differenziaremeglio l’opinione, la ragione, l’intelletto. Tra questi il modo di conoscere migliore, chesarà lo strumento primario in vista di quella conoscenza che ci si è posti come obiettivo,è evidentemente il quarto – con qualche riserva, che si vedrà più avanti.

Ora, spiega Spinoza, il metodo per mezzo del quale diviene possibile conoscere nelmodo che si è determinato come migliore non mette capo a un regresso infinito: controciò che egli va sostenendo si potrebbe certo obiettare che per garantire la validità di unmetodo ci vorrebbe un metodo la cui validità a sua volta andrebbe in qualche modofondata metodicamente, e così all’infinito. Ma tale obiezione non coglie nel segno,poiché gli uomini dispongono di strumenti innati grazie a cui possono sempre realizzarecostruzioni intellettive, dapprima semplici, sulla base delle quali poi riescono a edificarestrutture più complesse, sfruttando le quali stesse risultati sempre migliori possonoessere raggiunti con sempre minor fatica. Ciò avviene in modo del tutto analogo a quantovale per le realizzazioni materiali, dove si argomenterebbe invano l’impossibilità dicostruire un martello sulla base del fatto che ci sarebbe sempre voluto un martelloprecedente per forgiarlo. Ma qual è la natura di questi strumenti innati? È in risposta aquesta domanda che Spinoza introduce la sua teoria dell’idea vera.

L’idea, innanzitutto, differisce dal suo ideato, cioè differisce da ciò di cui è idea.L’idea di un uomo non è quell’uomo stesso, l’idea di un cerchio non è il cerchio stesso.

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L’idea ha, per sua natura, un carattere intelligibile, cioè può essere possedutadall’intelletto: cosicché conoscere Pietro significa possedere intellettivamente l’idea diPietro, ciò che è in linea di principio possibile poiché tale idea è appunto, in quanto tale,qualcosa di intelligibile. L’errore che non bisogna commettere è ritenere che perconoscere Pietro ci sia bisogno di conoscere l’idea di Pietro, il che potrebbe farsi allorasolo conoscendo l’idea dell’idea di Pietro, per il che servirebbe conoscere l’ideadell’idea dell’idea di Pietro, e così senza fine. La conoscenza, posta in questi termini,sarebbe impossibile. Certo l’idea dell’idea di Pietro è un concetto sensato e un’essenzareale, ed è anche conoscibile qualora si possieda intellettivamente l’idea di essa, cioèl’idea dell’idea dell’idea di Pietro; ma ciò sarà superfluo sia al fine di conoscere Pietro,sia al fine di conoscere l’idea di Pietro, e servirà solo (se mai questo risultasseinteressante) a conoscere l’idea dell’idea di Pietro.

Per conoscere è sufficiente possedere l’idea (cioè l’essenza oggettiva) di ciò che sivuole conoscere (che è un’essenza formale); e poiché per sapere non è necessario saperedi sapere, la conoscenza vera non ha bisogno d’altro che del possesso dell’idea vera;cosicché insomma «per la certezza della verità non è necessario alcun altro segno che ilpossesso dell’idea vera» (§ 35).

Conoscere non significa cercare, nelle idee che si possiedono, la marca della verità,ma acquisire le idee in un modo tale da garantire che si tratti di idee vere. Le idee vere,cioè adeguate, sono riconoscibili come tali alla luce della loro stessa verità, senzabisogno di altri segni. E il buon metodo è precisamente quello che conduce la mentesecondo la norma dell’idea vera, così come il metodo perfettissimo è quello che conducela mente secondo la norma dell’idea vera prima e somma, l’idea cioè dell'«Enteperfettissimo» (§ 38). Proprio l’idea vera (che l’intelletto può possedere perché l’idea,diversamente dall’ideato, è sempre per sua natura intelligibile e perché la veritàdell’idea, cioè la sua adeguatezza, si manifesta con certezza) è lo strumento innato grazieal quale è possibile, metodicamente, discriminare tra il vero e il falso; e l’idea dell’enteperfettissimo consente non solo di discriminare tra il vero e il falso, ma anche diderivare logicamente la conoscenza di tutta la natura in perfetto parallelismo con ilmodo in cui dall’ente perfettissimo deriva tutta la natura. Tanto tale ente perfettissimo èla fonte di tutte le cose, quanto la sua idea è la fonte di tutte le idee – nel che si scorgel’origine della priorità accordata, nel Breve trattato e nell’Etica, alla conoscenza di Diorispetto a tutte le altre conoscenze.

Per spianare la via verso la vera conoscenza, Spinoza si adopera dapprima pereliminare il rischio di confondere l’idea vera con idee finte, false o dubbie: e realizzaquindi, nella Prima parte del Metodo (§§ 50-90), una classificazione delle formedell’errore che è allo stesso tempo una loro neutralizzazione.

L’idea finta, oggetto cioè di una finzione, può avere come oggetto l’esistenza diqualcosa di cui si conosce l’essenza oppure l’essenza stessa di qualcosa (che può essere

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considerata isolatamente o in connessione con l’esistenza di tale cosa). Nel primo caso,che si verifica ad esempio là dove «fingo che Pietro, che conosco, vada a casa, che mifaccia visita, e cose simili» (§ 52) si potrebbe parlare di finzione d’esistenza; nelsecondo, dato quando si finge «che gli alberi parlino, che gli uomini si tramutinoimprovvisamente in pietre o in sorgenti, che negli specchi appaiano spettri, che il nulladiventi qualcosa» (§ 58) si potrebbe parlare di finzione d’essenza. Ciò che accomuna ledue modalità è che la finzione può darsi solo fin dove si estende la nostra ignoranza,poiché è impossibile fingere alcunché a proposito di ciò che si conosce: la conoscenzaimplica la verità, e la verità esclude la finzione. Quelle idee che sono oggetto di unaconoscenza chiara e distinta, e che quindi sono vere, non ammettono per quanto leriguarda la possibilità di fingere. Sapendo intuitivamente come lo so (ovvero con ilquarto genere, intellettivo, di percezione) che io penso, che Dio esiste, che l’anima non èestesa non posso in alcun modo fingere di non pensare, che Dio non esista, che l’animasia quadrata. Gli uomini non possono fingere nulla a proposito delle «verità eterne» (§54), cioè necessarie; e Dio, che è onnisciente, non può fingere niente del tutto. È tantopiù facile fingere quanto più è vasta la nostra ignoranza: circa l’esistenza di ciò che nonè di per sé né necessario, né impossibile si può fingere solo laddove non si conoscono lecause che (deterministicamente) rendono la sua esistenza necessaria o impossibile; circal’essenza di ciò che non è intuitivamente conoscibile in modo esaustivo, cioè di cui nonabbiamo un’idea adeguata, si può appunto fingere solo nella misura in cui la nostraconoscenza è incompleta.

Lo stesso vale per l’idea falsa, che si differenzia da quella finta per il fatto dicomportare un «assenso» che manca nella finzione (la quale potrebbe essere considerataun’immaginazione ipotetica nella quale non ci si impegna affermativamente). «Le ideeche sono chiare e distinte non possono mai essere false» (§ 68), e si può credere o dire ilfalso solo di ciò che si ignora, poiché la conoscenza e la verità, che non sono altro che ilpossesso di idee chiare e distinte, sono la stessa cosa.

Di nuovo, il medesimo discorso può farsi sulle idee dubbie, le quali non sono maitali per un carattere positivo che le distingue, bensì per la loro inadeguatezza. Il dubbiopuò insinuarsi ovunque, ma solo laddove, la mancanza di chiarezza e di distinzione diun’idea lascia libero uno spazio per qualche oscillazione: «Infatti il dubbio non è altroche la sospensione dell’animo a proposito di qualche affermazione, o negazione, che siaffermerebbe, o negherebbe, se solo non intervenisse qualcosa di sconosciuto a causa delquale la conoscenza dell’oggetto di tale affermazione o negazione non può che essereimperfetta» (§ 80). Dubitare della propria conoscenza dell’idea del triangolo è possibilesolo se tale idea è, almeno parzialmente, sconosciuta; e immaginare che,cartesianamente, un Dio mendace ci inganni circa la natura del triangolo o di Dio stessoo di altro è possibile solo se si ignora la natura di Dio. Il dubbio non può in alcun modointaccare le conoscenze vere, le idee adeguate, poiché la verità illumina sé stessa e ilfalso e chi procede secondo il metodo, utilizzando il vero come norma e criterio e

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muovendosi con ordine, non incorre mai in alcuna incertezza.

In generale, l’errore non ha in sé nulla di positivo, ma «indica un difetto della nostrapercezione, ovvero che abbiamo pensieri o idee mutilati e tronchi» (§ 73). L’erroredipende dalla passività della mente rispetto alle cause esterne che la influenzano, non daqualche tipo di sua attività reale; è un fatto puramente negativo, e le idee chiare edistinte sono automaticamente al riparo dal rischio di rivelarsi erronee perché, come sidiceva, l’adeguatezza dell’idea (che è il carattere dell’idea non mutilata e tronca, ma taleda consentire di dedurre tutto ciò che c’è da dedurre circa il suo oggetto) coincideperfettamente con la verità, la conoscenza e la certezza.

In particolare, poi, si dà che «le idee delle cose che sono concepite in modo chiaro edistinto sono o semplicissime o composte di idee semplicissime, cioè dedotte da ideesemplicissime» (§ 68). Spinoza introduce qui un importante sviluppo della sua teoria,radicato però solidamente in ciò che ha già fatto osservare – egli prosegue infatti: «Chedavvero l’idea semplicissima non possa essere falsa lo potrà vedere chiunque, purchésappia cosa è il vero, ossia l’intelletto, e contemporaneamente cosa è il falso» (ibidem).Parlando di «intelletto», l’autore fa riferimento al quarto e migliore tra i generi dipercezione possibili che si sono elencati nell’Esposizione generale del Metodo: si trattadi una conoscenza immediata ed esaustiva (nella quale cioè tutte le proprietàdell’oggetto vengono colte intuitivamente) che gli uomini, con la limitatezza delle lorofacoltà, possono raggiungere solo relativamente di rado, e a cui tuttavia in alcuni casipossono effettivamente arrivare. Nello specifico, le idee semplicissime (nonulteriormente scomponibili) sono accolte dalla mente nella loro interezza o escluse deltutto: proprio in quanto non constano di parti, infatti, esse non possono essere percepiteconfusamente, ma solo essere conosciute in modo adeguato o essere del tutto ignote.Scrive Spinoza: «Poiché ogni confusione procede dal fatto che la mente conosca unacosa, unitaria o composta di molte parti, soltanto in parte, [...] se l’idea è idea di una cosasemplicissima, essa non può essere se non chiara e distinta: infatti tale cosa non puòessere conosciuta in parte, ma solo totalmente o per nulla» (§ 63).

Si vede allora più precisamente come la verità, secondo quanto si era dettopreliminarmente, possa fare da norma metodologica per la condotta della ricerca: afondamento di ogni giustificazione stanno idee vere che sono conosciute certamente inquanto tali perché sono oggetto di percezioni del quarto tipo, cioè sono noteintuitivamente: il che è possibile perché sono semplicissime, o scomposte nelle loroparti semplicissime, e dunque ogni loro conoscenza è esaustiva, adeguata. Sulla base diverità di questo genere è possibile costruirne altre che troveranno la loro legittimazionein qualcosa che non sono né loro stesse né le rispettive cause prossime, e si passerà cioèa edificare un sistema di conoscenze non più intuitive e immediate (anzi organizzatesecondo una concatenazione discorsiva e dimostrate le une a partire dalle altre conandamento deduttivo) ma comunque (proprio perciò) ben fondate, secondo il terzogenere di conoscenza. L’esempio forse più perspicuo, e certamente significativo, di

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questo procedimento euristico che ricalca l’ordine epistemologico secondo cui, perSpinoza, necessariamente la conoscenza deve avanzare è la stessa Etica, il capolavorodel nostro filosofo. In quell’opera sviluppata more geometrico, infatti, a partire da ideechiare e distinte (la cui natura torneremo ancora a trattare tra poco) che sono oggetto diun’intellezione immediata l’autore dimostra dialetticamente, cioè mediatamente,teoremi e corollari. In questo sta la rivalutazione del terzo genere di conoscenza a cui sialludeva sopra: se il quarto è senza dubbio il più alto, tuttavia solo Dio potrebbeconoscere per mezzo della sua causa prossima ogni ente finito nell’infinità complessitàdella natura; quanto agli uomini, essi possono conoscere con il quarto genere dipercezione solo poche idee relativamente semplici che poi, legittimamente, tratterannocome basi per ulteriori sviluppi deduttivi i quali, però, avranno già la forma meno nobile,benché efficace e degna, del terzo tipo di conoscenza.

Effettivamente, come nell’Etica si vedrà nel modo più chiaro e pregnante, l’ideavera prima e somma (l’idea cioè dell’ente perfettissimo che è l’origine di tutta la natura,dalla quale si può dedurre tutta la natura) è tale da poter essere compiutamente possedutadall’intelletto e non è esposta ad alcuna possibile confusione: si tratta dell’idea dell’enteunico e infinito che esaurisce tutto l’essere e che certamente esiste. A partire da essa, conl’ausilio di altre idee conosciute con il quarto genere di percezione ma, per così dire,secondarie, Spinoza svilupperà deduttivamente una metafisica, una teoria dellaconoscenza, una psicologia, un’etica e una teologia.

Nell’identificare l’idea chiara e distinta con l’idea vera, Spinoza ha compiuto poi unaltro passo importante. In effetti, con ciò, egli ha proposto consapevolmente una nozionedi verità che si muove interamente all’interno del campo dei concetti, senza esigere unacorrispondenza con qualcosa che, eventualmente, pretenderebbe di trascendere talecampo. Per dirlo con le sue parole, «per quanto riguarda ciò che costituisce la forma delvero, è certo che il pensiero vero si distingue da quello falso non tanto per ladenominazione estrinseca, ma soprattutto per la denominazione intrinseca. […] Sequalcuno dice per esempio che Pietro esiste e tuttavia non sa se Pietro esiste, quelpensiero dal punto di vista di questo qualcuno è falso o, se si vuole, non è vero, anche sein verità Pietro esiste. E questa asserzione che Pietro esiste non è vera se non dal puntodi vista di colui che sa per certo che Pietro esiste» (§ 69). La verità non sta in qualchesorta di corrispondenza tra idea e ideato, cioè tra il concetto e il suo oggetto; dopotuttol’oggetto non può essere conosciuto se non nella misura in cui se ne possiede l’idea, eperciò la sussistenza di una corrispondenza tra l’uno e l’altra si sottrae per principio allapossibilità di essere controllata; la verità sta bensì nell’adeguatezza dell’idea, che simisura solo in riferimento all’idea stessa ed è un criterio, si potrebbe ben dire, assoluto:«La forma del pensiero vero deve trovarsi nel medesimo pensiero stesso, senza relazionead altro; e non riconosce l’oggetto in quanto causa, ma deve dipendere solo dalla potenzastessa dell’intelletto e dalla sua natura» (§ 71).

Come promesso bisogna ora tornare sul modo in cui, affinché l’ordine delle idee

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nella nostra mente riproduca nel modo più perfetto l’ordine della natura, è necessarioconcatenare i pensieri e svilupparli gli uni a partire dagli altri. Spinoza intraprendequesta indagine nella Seconda e terza parte del Metodo (§§ 91-110).

Per ottenere il fine ultimo che ci si è proposti fin dall’inizio, egli ricorda, ènecessario (come pure si è mostrato) conoscere la cosa nel migliore dei modi, cioè «permezzo della sua sola essenza, o per mezzo della sua causa prossima» (§ 92) a secondache rispettivamente la cosa in questione sia causa di sé oppure abbia bisogno di unacausa esterna per esistere. Nell’un caso e nell’altro «la conclusione migliore dovrà esserericavata dall’essenza affermativa di qualcosa di particolare, cioè da una definizione verae appropriata» (§ 93). Per conoscere, insomma, bisogna esercitare i propri ragionamentia partire da idee adeguate delle cose che sono oggetto della nostra indagine, secondo loschema che si è già visto; ma, aggiunge ora Spinoza, tali idee devono essere particolari,adeguate puntualmente agli enti che di volta in volta prendiamo in considerazione, edevono insomma metterci in grado di dedurre a partire da una certa cosa determinatatutte le sue proprietà e tutte le sue implicazioni. Dunque ciò che ci serve come punto dipartenza non è un assioma, a cui Spinoza associa l’idea di un principio valido comeregola generale, anzi universale, dal quale quindi è impossibile discendere alle coseindividuali, bensì una definizione della cosa stessa: «La retta via della ricerca consistenel formare i pensieri a partire da qualche definizione data: il che procede tanto piùfacilmente e felicemente quanto meglio si è definita una certa cosa» (§ 94).

La definizione deve cogliere l’essenza della cosa e non le sue proprietà, poiché dallaprima è possibile dedurre le seconde mentre non può avvenire il contrario; e insomma ladefinizione sarà perfetta quando ci farà conoscere la causa prossima dell’oggetto definitose si tratta di una cosa creata o escluderà ogni causa se si tratta della cosa increata, equando inoltre, che la cosa sia creata o increata, ci consentirà di dedurne tutte leproprietà. Il che di nuovo non significa altro se non che dobbiamo acquisire un’ideaadeguata della cosa, che esaurisca ciò che è possibile conoscere di essa e che non lasciquindi aperto alcuno spiraglio per l’errore, poiché solo a partire da un fondamento simile(riconducibile, di nuovo, al quarto genere di conoscenza) sarà possibile costruire unsistema di altre verità ben fondate (benché a quel punto tale costruzione corrispondainvece al terzo genere di conoscenza).

Negli ultimi paragrafi che precedono la brusca interruzione del Trattato Spinozatocca in modo rapido, e non esente da gravi criticità, diversi argomenti importanti. Inprimo luogo egli torna sull’importanza di ricostruire sul piano ideale il sistema di nessicausali che costituisce la trama della natura, in modo che l’ordine di questa siariprodotto nel modo più efficace dall’ordine della mente. Poiché, tuttavia, la serie dellesingole cose finite e mutevoli è infinitamente complessa ed è impossibile, perl’intelletto, da padroneggiare, e poiché d’altra parte il fatto di conoscere l’esistenza diquesto tipo di enti non ci darebbe alcuna conoscenza della loro essenza (in essi infatti, inquanto finiti e mutevoli, l’esistenza e l’essenza non sono collegate) non è ad essi che

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deve rivolgersi la nostra attenzione. Al contrario, la conoscenza dell’essenza delle cose,che è ciò che ci interessa, va tratta da ciò che vi è di fisso e di eterno in questa «seriedelle cause e degli enti reali» (§ 100) che abbiamo preso in esame in quantomanifestazione dell’ordine della natura: si tratta delle «leggi […] secondo le quali tuttele cose singole avvengono e sono ordinate» (§ 101). Tali leggi, che ovunque e in ognimodo regolano la natura, sono effettivamente fisse ed eterne e possono essereconsiderate universali, e rendono quindi disponibili strumenti intelligibili (Spinoza parladi «generi») molto potenti al fine di definire e conoscere tramite la loro causa prossimale cose singole mutevoli. Di questo programma però l’autore evidenzia subito ledifficoltà: se è impossibile conoscere l’essenza delle cose a partire dal semplice datodella loro esistenza, è impossibile anche dedurre l’esistenza nel tempo delle cosemutevoli a partire da leggi eterne che si collocano fuori dal tempo. Benché egli rimandiindefinitamente almeno parte della soluzione a questo problema, Spinoza ribadisce chegli «esperimenti» di cui ci si può avvalere come ausili per determinare la causa prossimadi una cosa, e dunque in ultimo conoscere le leggi a cui obbedisce, devono rispettare icriteri metodologici già stabiliti, cioè il fatto di procedere secondo la norma dell’ideavera fin dove le forze dell’intelletto lo consentono.

Infine, Spinoza affronta la problematica della natura e della definizionedell’intelletto e della conoscenza delle sue forze, necessaria per sapere fino a che punto èpossibile spingersi nella propria ricerca del vero e del bene. Il passaggio però èprofondamente problematico, poiché Spinoza afferma prima che la conoscenza dellanatura e della definizione dell’intelletto è necessaria e preliminare al fine di produrreuna qualsiasi altra definizione adeguata, e che dunque dovrebbe essere una conoscenzadata per sé; e poi sostiene che invece essa non è data per sé, e che dunque dovrebbeessere dedotta dalle proprietà dell’intelletto che sono note in modo chiaro e distinto,benché si sia detto poco sopra che non è possibile dedurre l’essenza dalle proprietà, masolo il contrario. Nei paragrafi conclusivi l’elenco delle proprietà dell’intelletto non fache mostrare l’equivocità del termine, con cui si può indicare ora il quarto genere diconoscenza, ora il terzo, ora la facoltà umana del pensiero che in altri contesti va sotto ilnome di «mente».

Per una ripresa di questi temi, benché in una chiave in gran parte diversa, con unanuova impostazione e con una terminologia in parte aggiornata, così come per lasoluzione delle questioni rimaste senza risposta nel Trattato sull’emendazionedell’intelletto, bisogna spostare la propria attenzione sui testi successivi, in cui Spinozaaffronta gli stessi problemi servendosi delle basi gettate in quest’opera e superandole.

MICHELE LAVAZZA

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Nota editoriale

La traduzione è stata condotta sul testo latino stabilito da Carl Gebhardtnell’edizione critica Spinoza Opera pubblicata da Carl Winter, Heidelberg 1925. Ladivisione in paragrafi dell’opera (composta di per sé come un testo continuo, senzascansioni interne) segue quella inizialmente proposta da Carl Hermann Brudernell’edizione Benedicti de Spinoza Opera, Bernh. Tauchnitz jun., Lipsia 1843-46 e ormaigeneralmente accettata. Per i titoli delle sezioni e delle sottosezioni si è seguita latraduzione curata da Andrea Sangiacomo per l’edizione di Tutte le opere di Spinozapubblicata da Bompiani, Milano 2011. Le espressioni tra parentesi angolate sono leintegrazioni suggerite da Gebhart sulla base del confronto delle fonti. Si è rispettatol’uso delle maiuscole, a volte apparentemente ridondante, del testo originale. Le noteindicate con lettere dell’alfabeto sono di Spinoza; le altre, segnalate dalla sigla N.d.T.,sono invece del traduttore, così come sono dovute al traduttore alcune annotazioni, puresegnalate con N.d.T., collocate tra parentesi quadre accanto alle note di Spinoza.

Avvertenza al lettore2

Questo trattato sull’Emendazione dell’Intelletto che qui ti consegniamo incompiuto,Benevolo Lettore, fu scritto dall’autore ormai molti anni fa. Egli ebbe sempre in animodi portarlo a termine; ma, assorbito da altri impegni, e infine portato via dalla morte, nonpoté condurlo al fine desiderato. Poiché però contiene molte cose eccellenti e utili che alsincero indagatore della Verità non potranno che essere di grande vantaggio, siamo statisubito sicuri di non volertene privare; e, affinché tu non fatichi troppo a perdonare le purmolte parti oscure, e inoltre grezze e non limate, che in esso qua e là occorrono, volendoche tu di esse non fossi ignaro, abbiamo fatto in modo di informartene. Sta' bene.

[1. Prologo]

[a. Conversione alla filosofia e ricerca del vero bene]

[1] Dopo che l’Esperienza mi ebbe insegnato che tutte le cose che accadononormalmente nella vita comune sono vane e futili; e quando ebbi visto che tutto ciò chetemevo e che generava in me inquietudine non aveva niente di buono né di malvagio insé, ma solo in quanto l’animo ne era agitato; decisi infine di indagare se si dessequalcosa che fosse il vero bene, che fosse attingibile di per sé, e da cui solo, abbandonatitutti gli altri, l’animo potesse essere affetto; e insomma se si desse qualcosa per mezzodel quale, una volta trovatolo e raggiuntolo, potessi godere in eterno di continua eperfetta felicità. [2] Dico che decisi infine: a prima vista infatti sembrava incauto voler

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abbandonare una cosa certa per una allora incerta: vedevo senza dubbio gli agi chederivano dagli onori e dalle ricchezze, e che a essi ero costretto a rinunciare se volevoimpegnarmi seriamente in qualcosa di nuovo e diverso: e se per caso la somma felicitàfosse stata in essi, mi rendevo conto, essa sarebbe venuta a mancarmi; d’altronde, se essanon si fosse trovata in essi, e ad essi io mi fossi soltanto dedicato, allora la sommafelicità sarebbe venuta a mancarmi ugualmente. [3] Riflettevo dunque nel mio animo sefosse in qualche modo possibile pervenire a un nuovo proposito, o almeno alla certezzadi stabilirne uno, pur senza mutare l’ordine e il proposito stesso della mia vita consueta;ciò che tentai spesso di fare, invano. Infatti, tra le cose che si concretizzano nella vita deipiù, quelle che presso gli uomini, da quanto si può dedurre dai loro comportamenti,vengono considerate alla stregua del sommo bene si riducono a queste tre: le ricchezze,gli onori e i piaceri sensibili. Da esse la mente è a tal punto assorbita che può a malapena pensare a qualche altro bene. [4] Infatti ciò che riguarda i piaceri lascia l’animo atal punto sospeso, come se riposasse in un vero bene, che esso è del tutto incapace dipensare ad altro; ma, dopo la fruizione di tali piaceri, subentra una somma tristezza che,se non tiene altrettanto in sospeso la mente, tuttavia la turba e inebetisce.

Anche perseguendo gli onori e le ricchezze3 la mente è non poco distratta, esoprattutto quando essi, identificati con il sommo bene, non sono ricercati se non per sé;[5] la mente invero è assorbita dagli onori ancora molto di più: si ritiene infatti sempreche essi siano buoni di per sé, ed essi sono considerati come fini ultimi verso cui tuttodeve tendere. Inoltre a onori e ricchezze non è associata, come ai piaceri sensibili, unapenitenza; bensì a colui che possiede la maggior quantità di entrambi spetta tantomaggiore felicità, e di conseguenza siamo sempre più incoraggiati a incrementarlientrambi: e se le nostre speranze risultano in qualche modo frustrate, ciò è causa digrande tristezza.

La ricerca degli onori è insomma di grande intralcio poiché, per ottenerli, la vitadeve necessariamente essere condotta secondo le abitudini dei più, evitando quello cheevita il volgo, cercando quello che il volgo cerca.

[6] E così, vedendo come tutto ciò era di grande ostacolo al tentativo di dare achiunque un nuovo modo di vita, e che addirittura a tal punto si opponeva a questodisegno da rendere necessario escludere una delle due vie, fui costretto a indagare qualefosse la più utile; infatti, come dicevo, mi sembrava di rinunciare a un bene certo per unoincerto. Ma dopo che ebbi appena un poco iniziato ad addentrarmi in questa ricerca,trovai prima di tutto che se, trascurando quelle cose, mi fossi accinto ad assumere unnuovo modo di vivere, avrei abbandonato un bene per sua natura incerto, comechiaramente possiamo dimostrare, per uno incerto, sì, ma non per sua natura (cercavoinfatti un bene immutabile), bensì solamente quanto alla sua acquisizione. [7] E conriflessioni assidue giunsi a concludere che, al contrario, solo e appena fossi riuscito arisolvermi in modo radicale mi sarei lasciato alle spalle mali certi per un bene certo. Mi

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vedevo infatti correre un enorme pericolo, e costretto a cercare con tutte le mie forze unrimedio per quanto incerto; come il malato che soffre di un morbo mortale, che quandoprevede una fine certa se non viene applicato un rimedio, è costretto a cercarlo con tuttele forze, per quanto sia incerto, poiché in esso sono riposte tutte le sue speranze. Mentretutte le cose che il volgo insegue non solo non costituiscono in alcun modo un rimedio alfine di conservare la nostra esistenza, ma anzi ostacolano il raggiungimento diquest’obiettivo: spesso sono la causa della rovina di coloro che le possiedono <(se si puòdire così)>, e sempre sono la causa della rovina di coloro che ne sono posseduti.4[8]Esistono moltissimi esempi di persone che hanno patito terribili sofferenze e sono giuntepersino alla morte a causa delle proprie ricchezze, e anche di persone che, per procurarsibeni, si sono esposte a tanti pericoli da pagare con la vita il fio della loro stoltezza. Nésono meno gli esempi di coloro che, per inseguire gli onori o difenderli, hanno patito nelmodo più misero. Infine ci sono innumerevoli casi di persone che a causa della sfrenatadissolutezza hanno avvicinato la propria morte. [9] Sembrava poi che questi mali fosserosorti dal fatto che tutta la felicità, o infelicità, dipende unicamente dalla qualitàdell’oggetto a cui per amore siamo attaccati: infatti a causa di ciò che non è amato nonnasceranno mai liti, non vi sarà alcuna tristezza se scomparisse né invidia se fosseposseduto da altri, nessun timore, nessun odio, e, per dirlo in una parola, nessunmovimento dell’animo; tutte queste cose infatti riguardano l’amore di ciò che puòtrapassare, così come tutto ciò di cui abbiamo parlato. [10] Ma l’amore nei confronti diqualcosa di eterno e infinito nutre l’animo di pura felicità e per mezzo di essa sola tuttala tristezza è dissipata; il che è da desiderarsi intensamente e da perseguire con tutte leforze. Invero non senza ragione ho usato queste parole: solo riuscendo a risolvermi inmodo radicale. Infatti benché tutto questo mi fosse molto chiaro, non avrei tuttaviapotuto perciò soltanto abbandonare ogni desiderio di ricchezza, di piaceri sensibili e dionori.

[b. Determinazione del fine ultimo e regole di vita]

[11] Vedevo solamente questo: che, fintantoché la mia mente si dedicava a pensiericome questi, essa era volta altrove rispetto alle vecchie cure e rifletteva seriamente su unnuovo modo di vita; il che mi fu di grande conforto. Infatti vedevo che quei mali nonerano di natura tale da non ammettere alcuna soluzione. E benché inizialmente questimomenti di serenità fossero rari, e durassero per intervalli di tempo estremamenteesigui, tuttavia man mano che il vero bene mi si rivelava maggiormente questi intervallisi fecero più frequenti e più prolungati – soprattutto quando ebbi compreso chel’acquisizione di denaro, o la sregolatezza, o la sete di gloria nuocciono solo fintantochésono ricercate per se stesse e non in quanto mezzo per altri scopi; se infatti sonoricercate in vista di altro, allora sono perseguite con moderazione e non nuocciono pernulla, anzi molto favoriscono il raggiungimento dello scopo per cui sono ricercate, come

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mostreremo a tempo debito.

[12] Ora dirò solamente, in breve, cosa intenderò per “vero bene”, e allo stessotempo cosa sia il sommo bene. Affinché ciò sia correttamente compreso, bisogna notareche il bene e il male si definiscono solo in riferimento l’uno all’altro, e che la stessa cosapuò essere detta buona o cattiva a seconda dei punti di vista; e lo stesso vale per laperfezione e l’imperfezione. Niente, infatti, che sia considerato quanto alla sua solanatura, è detto perfetto o imperfetto; e a maggior ragione quando avremo visto che tuttele cose che accadono obbediscono a un ordine eterno e alle leggi certe della Natura. [13]Poiché invece la debolezza degli uomini non segue nelle sue riflessioni quest’ordinenaturale, e nel frattempo l’essere umano concepisce una certa altra natura umana ben piùforte della sua e, contemporaneamente, non vede niente che gli impedisca diraggiungerla, è spinto a cercare dei mezzi che lo conducano a tale perfezione: e tutto ciòche può fungere da mezzo per pervenire a questo scopo viene chiamato vero bene. Ma ilsommo bene sta appunto nel raggiungerlo, affinché costui, insieme ad altri individui, seciò è possibile, goda di tale natura. Quale mai sia tale natura, e come essa coincidasenz’altro con la conoscenza5 dell’unità tra la mente e la Natura nel suo complesso, saràmostrato a suo luogo. [14] Qui sta dunque lo scopo a cui tendo, raggiungere cioè questanatura, e tentare di far sì che molti la raggiungano con me; cioè la mia felicità dipendeanche dal mio adoperarmi affinché molti altri, come me, capiscano, affinché il lorointelletto, e inoltre la loro volontà, convengano con il mio intelletto e la mia volontà. Eaffinché questo accada, è necessario6 <prima di tutto> comprendere della Natura tantoquanto è sufficiente per acquisire quella natura; quindi formare una società, come è dadesiderare, tale da rendere per quanti più possibile quanto più facile e sicuro pervenire aquesto risultato. [15] Poi<, in terzo luogo,> bisogna adoperarsi per il progresso dellaFilosofia Morale, e per la Dottrina dell’Educazione dei bambini; e, poiché la salute è unmezzo non trascurabile al fine di raggiungere quello scopo, sono da coltivare <in quartoluogo> tutti gli aspetti della Medicina; e poiché molte cose difficili sono rese facili dallatecnica, e per mezzo di essa possiamo guadagnare molto in tempo e in comodità di vita,<in quinto luogo> la Meccanica non è in alcun modo da trascurare. [16] Ma prima ditutto va escogitato il modo di risanare l’intelletto, e purificarlo, tanto quanto all’inizio èpossibile, affinché comprenda felicemente, senza errore, e insomma nel migliore deimodi. Da ciò, chiunque ha già potuto vedere che io voglio dirigere tutte le scienze a ununico fine7 e scopo, che è il raggiungimento della somma umana perfezione di cuiabbiamo parlato; e così tutto ciò che nelle scienze non ci fa procedere verso il nostro finee scopo sarà da evitare in quanto inutile; cioè, per dirlo in una parola, tutte le nostreazioni, così come tutti i nostri pensieri, devono essere dirette a questo fine. [17] Mapoiché, mentre ci impegniamo per raggiungere questo obiettivo, e ci adoperiamoaffinché l’intelletto sia ricondotto sulla retta via, bisogna vivere, prima di tutto siamocostretti ad ammettere come buone alcune regole di vita – e cioè queste.

1. Parlare secondo le capacità del popolo, e mettere in atto tutti gli accorgimenti che

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evitino di ostacolare il raggiungimento del nostro scopo. Infatti da esso possiamoottenere non pochi vantaggi, solo concedendo al suo livello di intendimento tutto ciò cheè possibile; si aggiunga a questo che in tal modo essi presteranno volentieri orecchio perascoltare la verità.

2. Godere dei piaceri tanto quanto basta a preservare la salute.

3. Infine, cercare di denaro, e di qualunque altra cosa, solo tanto quanto è sufficientea supplire alle necessità della vita, della salute e dei costumi civili che non contrastanocon il nostro scopo.

[2. Esposizione generale del Metodo]

[a. I modi della conoscenza e la determinazione del migliore]

[18] Posto così tutto questo, mi accingerò a fare ciò che viene prima di tutto, cioè aemendare l’intelletto e a renderlo capace di comprendere le cose nel modo che è piùadatto affinché noi possiamo conseguire il nostro scopo. Affinché questo avvenga,l’ordine che naturalmente dobbiamo seguire esige che ora io riassuma tutti i modi dipercepire che fino a qui ho avuto a disposizione per affermare, o negare, qualcosa inmodo indubbio, e che tra tutti questi io scelga il migliore; e, allo stesso tempo, che iocominci a conoscere le mie forze e la natura che desidero perfezionare.

[19] Se studio la cosa accuratamente, risulta che tali modi di percepire possonoessere ridotti principalmente a quattro.

1. Vi è la Percezione che abbiamo dal sentito dire o da qualche altro segno che vienechiamato a piacere.

2. Vi è la Percezione che abbiamo dall’esperienza vaga, cioè dall’esperienza nondeterminata dall’intelletto; ma si dice così solo poiché qualcosa accade per caso e nonabbiamo alcun esperimento che si opponga a tale avvenimento, e alloraprovvisoriamente esso resta tenuto tra noi per indiscusso.

3. Vi è la Percezione in cui l’essenza di una cosa viene dedotta da un’altra cosa, manon in modo adeguato; il che avviene quando o concludiamo da qualche effetto a unacausa o quando concludiamo da qualcosa di universale che esso si accompagna sempre auna qualche proprietà.8

4. Infine vie è la Percezione in cui una cosa è percepita per la sua sola essenza o perconoscenza della sua causa prossima.

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[20] Illustrerò tutto questo con degli esempi. Conosco il giorno della mia nascitasolo per sentito dire, e poiché ebbi tali genitori, e per ragioni simili; delle quali non homai dubitato. Per esperienza vaga so che morirò: e dico così perché ho visto che altrimiei simili sono morti, benché non tutti abbiano vissuto per la stessa durata di tempo enon tutti siano morti per gli stessi mali. Inoltre so per esperienza vaga anche che l’olio èun alimento adatto a nutrire la fiamma, e che l’acqua è adatta a spegnerla; e so pure cheil cane è un animale che latra, l’uomo un animale che ragiona, e così conosco quasi tuttele cose che fanno parte della vita quotidiana. [21] In questo modo da una cosa inverodiversa concludiamo che, poiché percepiamo chiaramente che sentiamo un certo corpo enessun altro, allora, dico, deduciamo chiaramente che l’anima è unita al corpo, e che taleunione è la causa di tale sensazione;9 ma da ciò non possiamo comprendereassolutamente la natura di questa stessa sensazione e di quest’unione.10

O anche, dopo che abbiamo conosciuto la natura della vista e quindi abbiamoimparato che essa ha una proprietà tale che una e la stessa cosa appare più piccolaquando è vista da distanza maggiore rispetto a quando la vediamo da vicino, da ciòconcludiamo che il Sole è più grande di come appare, e altre cose simili a questa. [22]Infine, la cosa può venire percepita per la sua sola essenza; come quando, per il fatto diconoscere qualcosa, so cosa significhi conoscerla; oppure quando, per il fatto diconoscere l’essenza dell’anima, so che essa è unita al corpo. Con lo stesso tipo diconoscenza sappiamo che due e tre fanno cinque, e che se si danno due linee entrambeparallele a una terza esse sono anche parallele tra loro, eccetera. Tuttavia, le cose chefinora ho potuto comprendere in questo modo sono pochissime.

[23] Ma affinché tutto questo venga meglio compreso, userò solamente un unicoesempio, cioè questo. Siano dati tre numeri: si chiede quale sia il quarto che sta al terzocome il secondo sta al primo. I mercanti qui dicono senza riflettere di sapere cosa sidebba fare per trovare il quarto, poiché certamente non hanno dimenticatoquell’operazione che udirono nuda e senza dimostrazione dai loro maestri; altri invecetraggono dall’esperienza dei casi semplici un assioma universale, cioè dai casi in cui ilquarto numero è di per sé evidente, come nella sequenza 2, 4, 3, 6, dove vedono chemoltiplicato il secondo per il terzo e poi diviso il prodotto per il primo si ottiene ilquoziente 6; e quando vedono che risulta lo stesso numero che, anche senza questaoperazione, sapevano essere proporzionale, da ciò concludono che il procedimento siaadatto a trovare sempre il quarto numero proporzionale. [24] Ma i Matematici, in forzadella dimostrazione della Proposizione 19 del libro 7 di Euclide, sanno quali numerisono tra loro proporzionali, cioè a partire dalla natura della proporzione e dalle sueproprietà sanno senz’altro che il numero che risulta dal prodotto del primo e del quarto èuguale a quello che risulta dal prodotto del secondo e del terzo; e tuttavia non vedono laproporzionalità adeguata dei numeri dati, e se la vedono non è grazie a quellaProposizione euclidea, ma intuitivamente, <cioè> senza svolgere alcunaoperazione.11[25] Dunque, affinché tra questi venga scelto il miglior modo di percepire,

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si richiede che noi enumeriamo brevemente i mezzi necessari per raggiungere il nostroscopo, che sono i seguenti.

1. Conoscere esattamente la nostra natura, che desideriamo perfezionare, e allostesso tempo tanto della Natura in generale quanto è necessario.

2. Pervenire, poi, a enumerare correttamente le differenze, le convergenze e leopposizioni tra le cose.

3. Concepire rettamente cosa possa essere ammesso e cosa no.

4. Confrontare tutto questo con la natura e le capacità dell’uomo. E da ciò appariràfacilmente la somma perfezione a cui l’uomo può giungere.

[26] Considerando così queste cose, vediamo quale modo di percepire dobbiamoscegliere.

Per quanto riguarda il primo. È di per sé evidente che tramite il sentito dire, oltre alfatto che si tratta di un modo di conoscere quantomai incerto, non percepiamo nulladell’essenza della cosa, così come è chiaro dal nostro esempio; e poiché, come poi sivedrà, non si conosce l’esistenza di una cosa singola se non se ne conosce l’essenza, daciò concludiamo con chiarezza che che ogni sicurezza che traiamo dal sentito diredev’essere bandita dal campo delle scienze. Infatti il semplice sentir dire qualcosa,laddove esso non sia preceduto da una comprensione appropriata, non può maiconvincere nessuno.

[27] Per quanto riguarda il secondo.12 Bisogna dire che non vi è nessuno che abbiagrazie ad esso un’idea di quella proporzione che cerca. Oltre al fatto che si tratta di unmodo di conoscere quantomai incerto, e senza determinazione precisa, niente si cogliemai grazie ad esso di ciò che appartiene alle cose della natura se non gli accidenti, equeste non sono mai comprese chiaramente a meno che non siano già note. Per il cheanch’esso dev’essere escluso.

[28] Del terzo invece bisogna in qualche modo dire che abbiamo, per suo tramite,un’idea della cosa, e che quindi in accordo con esso traiamo conclusioni senza pericolodi errore; e tuttavia non sarà per sé questo il mezzo con cui acquisiremo la nostraperfezione.

[29] Solo il quarto modo comprende l’essenza della cosa adeguatamente e senzapericolo d’errore, e perciò dovrà essere per noi il principale. Ci occuperemo dunque dispiegare in che modo debba essere usato affinché cose ignote vengano da noi compreseper mezzo di tale tipo di conoscenza e, allo stesso tempo, di far sì che ciò avvengaquanto più concisamente possibile.

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[b. L’idea vera e il metodo come conoscenza riflessiva]

[30] Dopo aver compreso quale tipo di Conoscenza sia per noi necessario, bisognainsegnare la Via e il Metodo per mezzo del quale le cose che vogliamo conoscerepossano venir da noi conosciute in questo modo. E per far ciò, c’è prima di tutto daconsiderare che qui non si darà una ricerca tale da spingersi avanti fino all’infinito: cioèper trovare il Metodo migliore per investigare il vero non è necessario un altro Metodoaffinché il Metodo dell’indagine sia a sua volta investigato; e, per investigare il secondoMetodo, non ne serve un terzo, e così via: infatti in tal modo non si perverrebbe mai auna vera conoscenza, bensì a nessuna conoscenza. Questo sta come per gli strumentimateriali, come si può argomentare in modo del tutto analogo. Infatti, affinché il ferrosia battuto, è necessario il martello, e per avere il martello bisogna costruirlo; per il cheservono un altro martello e ulteriori strumenti, per avere i quali anche servono altristrumenti, e così via all’infinito; ma in questo modo si tenterebbe invano di provare chegli uomini non hanno alcuna possibilità di battere il ferro. [31] Al contrario, così comegli uomini all’inizio furono capaci, benché con fatica, di fare alcune cose semplicissimecon gli strumenti che erano loro innati, e realizzate queste poterono farne altre piùdifficili con minor fatica e maggior perizia, e così passando gradualmente da manufattisemplicissimi a strumenti e da strumenti ad altri manufatti e ad altri strumenti,pervennero a costruire con poco sforzo cose estremamente difficili in gran numero; cosìanche l’intelletto con la forza che gli è innata13 si costruisce degli strumenti diragionamento, grazie ai quali acquisisce altre forze per altre opere intellettuali,14 egrazie a queste altri strumenti, ovvero la capacità di spingere più oltre la sua indagine, ecosì gradualmente procede fino al momento in cui raggiunge il culmine della suasapienza. [32] Che l’intelletto si comporti così sarà facile a vedersi appena si siacompreso qual è il Metodo della ricerca della verità e quali sono quegli strumenti innatidei quali soltanto l’intelletto stesso ha bisogno per realizzare grazie ad essi altri mezziper progredire oltre. Per mostrare questo, procedo così.

[33] L’idea vera15 (abbiamo infatti idee vere) è qualcosa di diverso dal suo ideato:infatti una cosa è il cerchio, un’altra l’idea del cerchio. L’idea del cerchio non è qualcosache ha una periferia e un centro come li ha il cerchio. E l’idea del corpo non è il corpostesso. E poiché l’idea è qualcosa di diverso dal suo ideato, sarà anche qualcosa diintelligibile di per sé; cioè l’idea, quanto alla sua essenza formale, può essere l’oggettodi un’altra essenza oggettiva,16 e a sua volta quest’altra essenza oggettiva sarà anche insé vista come qualcosa di reale e intelligibile; e così indefinitamente. [34] Per esempio,Pietro è qualcosa di reale; mentre la vera idea di Pietro è l’essenza oggettiva di Pietro,che è qualcosa di reale in sé e di completamente diverso da Pietro stesso. Poiché dunquel’idea di Pietro è qualcosa di reale che ha la sua specifica essenza, sarà anche qualcosa diintelligibile, cioè sarà l’oggetto di un’altra idea, la quale avrà in sé oggettivamente tutto

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ciò che appartiene formalmente all’idea di Pietro, e a sua volta l’idea che è l’idea diPietro ha di nuovo la sua essenza, che pure può essere oggetto di un’altra idea, e cosìindefinitamente. E questo può essere esperito da chiunque osservi di sapere che cosa èPietro, e anche di sapere di saperlo, e ancora di sapere di sapere che sa, eccetera. Dal cheè chiaro che, per comprendere l’essenza di Pietro, non è necessario comprendere l’ideastessa di Pietro, né tanto meno l’idea dell’idea; il che è lo stesso che se dicessi che non ènecessario, per sapere, il sapere di sapere, e ancor meno è necessario sapere di sapere cheso; così come per comprendere l’essenza del triangolo è inutile comprendere l’essenzadel cerchio.17 Vale però il contrario: per sapere di sapere, infatti, devo prima di tuttosapere. [35] Da tutto questo è evidente che la certezza di qualcosa non è altro che lastessa essenza oggettiva, cioè il modo in cui percepiamo l’essenza formale è la certezzastessa. Da cui ancora è evidente che per la certezza della verità non è necessario alcunaltro segno che il possesso dell’idea vera: infatti, come abbiamo mostrato, non serveaffinché io sappia che io sappia di sapere. E da ciò a sua volta è evidente che nessunopuò sapere cosa sia la somma certezza se non chi possieda l’idea adeguata o l’essenzaoggettiva di qualche cosa; proprio perché la certezza e l’essenza oggettiva sono la stessacosa. [36] Poiché dunque la verità non ha bisogno di alcun segno, e poiché al contrarioaffinché sia eliminato ogni dubbio è sufficiente avere le essenze oggettive delle cose, o,che è lo stesso, le idee, da ciò segue che il Metodo veridico non sta nel cercare un segnodella verità dopo l’acquisizione delle idee, bensì consiste in quella via per cui la veritàstessa, o le essenze oggettive delle cose, o le idee (tutte queste cose vogliono dire lostesso) vengono cercate con un sistema opportuno.18[37] A sua volta il Metodo devenecessariamente parlare del Ragionamento, o dell’intellezione; cioè il Metodo non è essostesso il ragionare per comprendere le cause degli eventi, e ancor meno è il conoscere lecause degli eventi; è, bensì, il comprendere cosa sia l’idea vera, distinguendola dallealtre percezioni e investigando la sua natura, affinché da ciò conosciamo la nostracapacità di intellezione e costringiamo la mente a comprendere secondo quella normatutte le cose che vogliamo comprendere; usando come aiuti certe regole e anche facendoin modo che la mente non sia affaticata da cose inutili. [38] Da ciò si conclude che ilMetodo non è altro se non la conoscenza riflessiva, ossia l’idea dell’idea; e poiché non sidà idea dell’idea se non è prima data l’idea, non si dà Metodo se non è data prima l’idea.Perciò il buon Metodo sarà quello che mostra come bisogna dirigere la mente secondo lanorma di una data idea vera. Inoltre, poiché il rapporto che sussiste tra due idee è ugualeal rapporto che sussiste tra le essenze formali di quelle idee, ne segue che la cognizioneriflessiva dell’idea dell’Ente perfettissimo sarà più eccellente della cognizione riflessivadelle altre idee; cioè, sarà perfettissimo quel Metodo che mostra come bisogna dirigerela mente secondo la norma dell’idea data dell’Ente perfettissimo.

[39] Si capisce facilmente, sulla base di tutto questo, in che modo la mente,comprendendo molte cose, allo stesso tempo acquisisca altri strumenti tramite i qualiproseguire più facilmente nel comprendere. Infatti, come si può dedurre da quanto si èdetto, deve prima di tutto esistere in noi un’idea vera, come strumento innato, compresa

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la quale venga compresa allo stesso tempo la differenza che esiste tra quella conoscenzae tutte le altre. In questo consiste una parte del Metodo. E poiché è di per se chiaro che lamente comprende tanto meglio se stessa quante più cose comprende della Natura, questaparte del Metodo sarà tanto più perfetta quante più cose la mente comprende, e saràdunque perfettissima allorquando la mente riflette e si dedica alla conoscenza dell’Enteperfettissimo. [40] Quindi, quante più cose la mente conosce, tanto meglio comprendesia le sue forze sia l’ordine della Natura: mentre quanto meglio comprende le sue forze,tanto più facilmente può dirigere se stessa e darsi delle regole; e quanto megliocomprende l’ordine della Natura, tanto più facilmente può tenersi lontana dalle coseinutili; in tutto ciò consiste il Metodo, come dicevamo. [41] Si aggiunga a questo chealle stesse condizioni l’idea è oggettiva e il suo ideato reale. Se dunque si desse qualcosain Natura tale da non avere alcuna relazione con qualcos’altro, se anche si desse di essol’essenza oggettiva, che dovrebbe corrispondere perfettamente con l’essenza formale,allora anche questa non avrebbe alcuna relazione con altre idee,19 cioè non potremmo<conoscere né> concludere nulla a proposito di essa; e al contrario, le cose che hannorelazione con altre, come tutte quelle che esistono in Natura, verranno comprese e le loroessenze oggettive avranno la stessa relazione, cioè altre idee potranno essere dedotte daesse, che a loro volta avranno relazione con altre, e così cresceranno gli strumenti perprocedere ulteriormente. Il che è ciò che tentavamo di dimostrare. [42] Infine daquest’ultima cosa che abbiamo detto, cioè che l’idea deve corrispondere perfettamentecon la sua essenza formale, risulta evidente a sua volta che, affinché la nostra menteimiti perfettamente il modello della Natura, essa deve produrre tutte le sue idee a partireda quella che imita l’origine e la fonte di tutta la Natura, così che questa sia la sorgentedelle altre idee.

[43] Qui forse qualcuno si meraviglierà che noi, nello stesso luogo in cui abbiamodetto che il buon Metodo è quello che mostra in che modo la mente debba essere direttasecondo la norma di una data idea vera, lo proviamo anche con il ragionamento: il chesembra mostrare che ciò non è noto di per sé. E ci si potrebbe persino chiedere seragioniamo bene. Se ragioniamo bene, dobbiamo cominciare da un’idea data, e poichécominciare da un’idea data richiede la dimostrazione di essa, dovremmo daccapoprovare la bontà del nostro ragionamento, e questa a sua volta con un altro ragionamento,e così all’infinito. [44] Ma a questo rispondo che se per un caso qualcuno avesseproceduto così indagando la Natura (cioè acquisendo altre idee, nell’ordine opportuno,secondo la norma di una data idea vera) non avrebbe mai dubitato della sua verità,20

poiché la verità stessa come abbiamo mostrato si palesa, e inoltre tutte le cose a costuisarebbero venute spontaneamente. Ma poiché questo non capita mai, o capita raramente,sono stato costretto a metterla in quel modo, affinché ciò che non possiamo acquisire percaso lo acquisiamo tramite un disegno ponderato, e allo stesso tempo affinché risultasseevidente che per provare la verità e la bontà del ragionamento non ci servono altristrumenti che la stessa verità e il buon ragionamento. Infatti ho provato e ancora misforzo di provare la bontà del ragionamento con il buon ragionamento. [45] Si aggiunga

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che in questo modo, oltretutto, gli uomini si abituano alle riflessioni introspettive.Mentre la ragione per cui raramente la ricerca si indirizza verso la Natura affinché essasia indagata con un ordine opportuno sta in pregiudizi le cause dei quali spiegheremo piùtardi nella nostra Filosofia; e nel fatto che è necessario fare importanti e accuratedistinzioni, come mostreremo, il che è molto difficile; e infine nello stato delle coseumane, che, come abbiamo già mostrato, è estremamente mutevole; oltreché in altreragioni, che non indaghiamo.

[46] Se qualcuno per caso chiedesse perché io abbia esposto in questo ordine, subitoe prima di tutto, le verità della Natura – non si manifesta infatti la verità da se stessa? – acostui risponderei, e allo stesso tempo lo ammonirei, che non voglia rigettare la miateoria in quanto falsa a causa dei risultati controintuitivi che, per caso, capitano qua e là;ma che prima si degni di considerare l’ordine per mezzo del quale l’abbiamo dimostrata,e allora risulterà certo che noi abbiamo raggiunto la verità; e questo è il motivo per cuil’ho premessa.

[47] Se poi per caso qualche Scettico rimanesse ancora dubbioso sia di questa primaverità, sia di tutte le cose che secondo la norma di essa dimostreremo, certamente egli oparlerebbe in cattiva fede, o noi ammetteremmo che ci sono uomini accecati nel piùprofondo dell’animo fin dalla nascita, o a causa di pregiudizi (cioè per qualche casoesterno). Infatti costoro non hanno coscienza neanche di se stessi: se affermano, odubitano, qualcosa, non sanno di dubitare o di affermare: dicono di non sapere nulla; edicono di ignorare questo fatto stesso di non saper nulla. E anche questo non lo dicono inmodo assoluto: infatti temono di confessare di esistere, poiché non sanno nulla; e sispingono fino al punto di dover infine tacere per non supporre per caso qualcosa cheabbia odore di verità. [48] Infine con essi non c’è da parlare di scienze: infatti per ciòche riguarda la vita e i costumi della società la necessità li costringe ad ammettere diesistere, e a ricercare il loro utile, e ad affermare e negare molte cose sotto giuramento, ese qualcosa fosse loro provato, non saprebbero se l’argomentazione sia cogente o fallace.Se negano, ammettono o controbattono non sanno di negare, ammettere o controbattere;tanto che sono da considerare come automi del tutto privi di una mente.

[49] Riprendiamo ora il nostro proposito. Abbiamo trattato, fino a qui, per primacosa il fine a cui vogliamo dirigere tutte le nostre riflessioni. Abbiamo conosciuto insecondo luogo quale sia il miglior modo di percepire per mezzo del quale possiamopervenire alla nostra perfezione. Abbiamo visto in terzo luogo quale sia la prima via sucui la mente deve fondarsi per cominciare bene il suo cammino, la quale consiste nelprocedere con la propria indagine per mezzo di leggi certe, secondo la norma di unaqualsiasi idea vera data. E affinché questo avvenga correttamente, il Metodo devegarantire queste cose: primo, distinguere l’idea vera da tutte le altre percezioni, e tenerela mente lontana da queste altre percezioni; secondo, mettere a disposizione le regole checonsentono di percepire secondo tale norma ciò che è ignoto; terzo <e ultimo> stabilire

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un ordine tale che non siamo assorbiti da cose inutili.21 Dopo aver conosciuto questoMetodo, abbiamo visto in quarto luogo che esso raggiungerà la sua somma perfezionequando avremo raggiunto l’idea dell’Ente sommamente perfetto. Perciò subito questosarà soprattutto da considerare, affinché perveniamo alla conoscenza di questo Entequanto prima.

[3. Prima parte del Metodo: fenomenologia dell’errore]

[a. L’idea finta]

[50] Cominciamo dunque dalla prima parte del Metodo, che consiste, comedicevamo, nel distinguere e separare l’idea vera dalle altre percezioni, e nel trattenere lamente affinché essa non confonda le idee vere con idee finte,22 false o dubbie. Il che quiabbiamo in animo di spiegare quanto più diffusamente al fine di far riflettere i Lettori aproposito di cose molto importanti, anche perché sono molti coloro che dubitano delvero per non aver prestato attenzione alla distinzione che esiste tra la percezione vera etutte le altre – a tal punto da essere come quegli uomini che, durante la veglia, nondubitavano di vegliare, ma dopo aver una volta ritenuto in sogno, come accade spesso, diessere certamente svegli, e dopo aver poi trovato che questo era falso, dubitarono anchedella propria veglia: ciò che accade perché non stabilirono mai una distinzione tra ilsonno e la veglia. [51] Nel frattempo avverto che qui non spiegherò l’essenza di unaqualsiasi percezione né la spiegherò tramite la sua causa prossima, poiché ciò è dipertinenza della Filosofia, ma dirò soltanto ciò che postula il Metodo, cioè quello cheriguarda la percezione finta, falsa e dubbia, e in che modo potremo liberarci da ciascunadi esse. Che la prima ricerca riguardi dunque l’idea finta.

[52] Poiché ogni percezione è o di una cosa considerata in quanto esistente, o solodi un’essenza, e poiché le finzioni più frequenti riguardano cose considerate in quantoesistenti, parlerò prima di queste; cioè dei casi in cui viene finta solo l’esistenza, mentrela cosa la cui esistenza viene finta in tale atto si comprende, o si suppone dicomprendere. Per esempio fingo che Pietro, che conosco, vada a casa, che mi facciavisita, e cose simili.23 Ora, chiedo, questa idea cosa riguarda? Vedo che essa riguardasolo cose possibili, e invero non cose necessarie né cose impossibili. [53] Chiamoimpossibile una cosa la cui natura <ammessane l’esistenza> implica la contraddittorietàdella sua esistenza; necessaria una cosa la cui natura implica la contraddittorietà dellasua inesistenza; e possibile una cosa la cui esistenza, per sua stessa natura, non implicala contraddittorietà né della sua esistenza, né della sua inesistenza, ma la necessità oimpossibilità della cui esistenza dipende da cause che, fintantoché fingiamo la suaesistenza, sono a noi ignote; e perciò se la sua necessità o impossibilità, che dipende dacause esterne, ci fosse nota, non potremmo fingere niente per quanto la riguarda. [54]

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Dal che segue che se si dà qualche Dio o essere onnisciente esso non può assolutamentefingere niente. Infatti, per quanto ci riguarda, dopo aver saputo di esistere non possiamofingere di esistere o di non esistere,24 né possiamo fingere che un elefante passi per lacruna di un ago; e non possiamo, dopo aver conosciuto la natura di Dio, fingere che essoesista o che non esista;25 lo stesso è da intendersi per la Chimera, la cui natura implica lacontraddittorietà della sua esistenza. Da queste cose risulta evidente ciò che dicevo, cioèche la finzione della quale stiamo ora parlando non ha a che fare con le veritàeterne.26[55] Ma prima che io proceda oltre, bisogna qui notare per inciso che ladifferenza che intercorre tra l’essenza di una cosa e l’essenza di un’altra è la stessa cheintercorre tra l’attualità, ossia l’esistenza dell’una cosa, e l’attualità, ossia l’esistenzadell’altra. Al punto che se volessimo concepire l’esistenza per esempio di Adamo soloper mezzo dell’esistenza in generale, questo sarebbe lo stesso che se, al fine di concepirel’essenza di Adamo stesso, studiassimo la natura dell’ente in generale per stabilire infineche Adamo è un ente. E così dove l’esistenza viene concepita più in generale, lì vieneanche concepita più confusamente, e più facilmente può essere attribuita erroneamente aqualunque cosa; al contrario, quando la si concepisce più in particolare, allora la sicapisce più chiaramente, e più difficilmente viene attribuita erroneamente, quando nonfacciamo attenzione all’ordine della Natura, a qualcosa se non alla cosa stessa. Il che èdegno di nota.

[56] Vanno ora prese in considerazione quelle cose che comunemente sono dettefinte benché comprendiamo chiaramente che la cosa non sta così come la fingiamo. Peresempio benché io sappia che la Terra è rotonda, niente tuttavia vieta che io dica aqualcuno che essa è un mezzo globo e che sembra un’arancia tagliata a metà su unvassoio, o che il Sole si muove intorno alla Terra, o altre cose simili. Se facciamoattenzione a ciò, non vedremo niente che non sia coerente con quanto abbiamo già detto,purché osserviamo che noi abbiamo potuto di quando in quando errare e ormai essereconsci dei nostri errori, e che quindi possiamo fingere, o almeno ritenere, che altriuomini abbiano commesso lo stesso errore o che possano ancora incappare in esso comenoi prima di loro. Questo, dico, possiamo fingerlo fintantoché non vediamo alcunaimpossibilità né alcuna necessità: e così quando dico a qualcuno che la Terra non èrotonda, eccetera, non faccio altro che rievocare con la memoria un errore che commisiaccidentalmente o nel quale avrei potuto cadere e poi fingere o ritenere che colui a cuidico questo sia o possa cadere nello stesso errore. Poiché, come ho detto, fingofintantoché non vedo alcuna impossibilità né alcuna necessità: se comprendessiun’impossibilità o una necessità non potrei assolutamente fingere niente, e si potrebbedire solo che metto in pratica qualcosa.

[57] Resta ancora da prendere in considerazione ciò che viene supposto nelleQuestioni,27 il che a volte riguarda anche cose impossibili. Per esempio ogni volta chediciamo: supponiamo che questa candela accesa non sia accesa in questo momento, osupponiamo che essa sia accesa in qualche spazio immaginario, o là dove non si dà alcun

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corpo: cose simili a queste vengono supposte di continuo, benché si comprendachiaramente che l’ultima è impossibile; ma quando accade, niente viene affatto finto.Infatti nel primo caso non ho fatto altro che richiamare alla memoria una candela nonaccesa (o concepire questa stessa senza fiamma),28 e, poiché penso a questa candela,comprendo lo stesso a proposito di essa, fintantoché non presto attenzione alla fiamma.Nel secondo non accade altro se non che i pensieri vengano astratti dai corpi circostantiaffinché la mente si rivolga unicamente alla contemplazione della candela, consideratain sé sola, per poi concludere che la candela non contiene alcuna causa tale dacomportare la sua distruzione, cosicché se intorno non vi fossero affatto corpi questacandela e anche la fiamma rimarrebbero immutabili, o simili: dunque qui non si dàalcuna finzione, ma solo vere, e mere, asserzioni.29

[58] Passiamo ora alle finzioni che riguardano le sole essenze o le essenze chehanno qualche attualità, cioè esistenza. A proposito di queste bisogna tenere nellamassima considerazione il fatto che, quanto meno la mente comprende e quante più cosetuttavia percepisce, tanto più grande è la sua capacità di fingere, mentre quante più cosecomprende tanto più questa capacità di fingere diminuisce. Per esempio così come, inaccordo con quanto abbiamo visto sopra, fintantoché pensiamo non possiamo fingere dipensare o di non pensare, così anche dopo aver conosciuto la natura del corpo nonpossiamo fingere che una mosca sia infinitamente grande, e, dopo aver conosciuto lanatura dell’anima, non possiamo fingere che essa sia quadrata, benché a parole si possadire tutto.30 Ma, come abbiamo detto, quanto meno gli uomini conoscono la Natura,tanto più facilmente possono fingere molte cose: che gli alberi parlino, che gli uomini sitramutino improvvisamente in pietre o in sorgenti, che negli specchi appaiano spettri,che il nulla diventi qualcosa, che gli Dei stessi si trasformino in bestie e in uomini, einfinite altre cose di questo genere.

[59] Qualcuno forse riterrà che solo la finzione, e non la comprensione, argini lafinzione; cioè che, dopo aver finto qualcosa, e aver voluto assentire per così direliberamente alla sua esistenza nella natura delle cose, accade che dopo non possiamo piùpensarlo altrimenti che come esistente. Per esempio dopo aver finto (per parlare concostoro) una certa natura di un corpo ed essermi voluto persuadere grazie alla mia libertàche essa esiste veramente così, non per questo è più legittimo fingere che la mosca sia,per esempio, infinita, e dopo aver finto l’essenza dell’anima, non posso renderlaquadrata, eccetera. [60] Ma questo è da esaminare. Primo: costoro o negano, oconcedono che noi possiamo comprendere qualcosa. Se lo concedono, necessariamentelo stesso che dicono della finzione dovranno dirlo anche della comprensione. Se invecelo negano, vediamo noi, che sappiamo di sapere qualcosa, che cosa dicono: essi dicono,cioè, che l’anima può sentire e percepire in molti modi non se stessa, né le cose cheesistono, ma soltanto quelle cose che non sono né in sé né altrove, cioè che l’anima puòcon la sua sola forza creare sensazioni o idee che non appartengono alle cose; tanto cheda questo punto di vista la considerano alla stessa stregua di Dio. Poi dicono che noi, o la

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nostra anima, abbiamo una libertà tale da dominare noi stessi, o la nostra anima, opersino la libertà medesima: infatti dopo che essa31 ha finto qualcosa e ha dato a ciòl’assenso non può pensare né fingere ciò in un altro modo, e addirittura è costretta daquella finzione a pensare in tal modo anche le altre cose, così da non opporle alla primafinzione; e dunque essi sono qui costretti anche ad ammettere, a causa della lorofinzione, quelle cose assurde che descrivevo or ora, e per respingere le quali non ciaffaticheremo con alcuna dimostrazione. [61] Ma, lasciando costoro nei loro deliri, cipreoccuperemo di far sì che dalla discussione che abbiamo avuto con loro ricaviamoqualcosa di vero e utile per il nostro scopo, e in particolare questo: la mente, quando siconcentra sulla cosa finta, e per sua natura falsa, per esaminarla e comprenderla e perdedurre da essa secondo l’ordine corretto ciò che da essa si può dedurre, rendefacilmente evidente la sua falsità;32 e se invece la cosa finta è, per sua natura, vera,quando la mente si concentra su di essa per comprenderla e comincia a dedurre da essa,secondo l’ordine corretto, ciò che da essa deriva, prosegue felicemente senza alcunainterruzione, così come abbiamo visto che dalla finzione falsa, appena esposta,l’intelletto si è offerto subito per mostrare l’assurdità di essa e delle altre cose dedotte daessa.

[62] Non sarà dunque da temere in alcun modo che noi fingiamo qualcosa, sepercepiamo la cosa in modo chiaro e distinto: infatti se per caso dicessimo che gliuomini si tramutano improvvisamente in animali, questo sarebbe detto in modo moltoastratto, tanto che non sarebbe dato alcun concetto, cioè idea, o coerenza del soggetto edel predicato nella mente: se infatti si desse, allo stesso tempo si vedrebbe il mezzo, e lecause, per cui e perché accade così. E inoltre non si presta attenzione alla natura delsoggetto e del predicato.

[63] Quindi, alla sola condizione che la prima idea non sia finta, e che da essa sideducano tutte le altre idee, svanisce poco a poco l’errore della finzione. Infine, poichél’idea finta non può essere chiara e distinta, ma solamente confusa, e ogni confusioneprocede dal fatto che la mente conosca una cosa, unitaria o composta di molte parti,soltanto in parte, e non distingua ciò che è noto da ciò che è ignoto, e inoltre dal fatto chea molte cose che appartengono a una certa cosa presti attenzione contemporaneamente esenza alcuna distinzione, da ciò segue prima di tutto che se l’idea è idea di una cosasemplicissima, essa non può essere se non chiara e distinta: infatti tale cosa non puòessere conosciuta in parte, ma solo totalmente o per nulla. [64] E ne segue anche, insecondo luogo, che se una cosa che è composta di molte parti viene divisa nel pensiero inparti tutte semplicissime, e se si presta attenzione a ciascuna separatamente, allora ogniconfusione svanisce. E, in terzo luogo, ne segue che la finzione non può essere semplice,ma che risulta dalla composizione di diverse idee confuse di cose diverse e di azionidiverse esistenti nella Natura (o meglio, dall’attenzione simultanea, priva però diassenso, a tali diverse idee);33 se infatti fosse semplice, sarebbe chiara, e distinta, e diconseguenza vera. Se risultasse dalla composizione di idee distinte, anche il prodotto di

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tale composizione sarebbe chiaro, e distinto, e perciò vero. Per esempio dopo averconosciuto la natura del cerchio e la natura del quadrato non possiamo confrontare le duee rendere quadrato il cerchio, o rendere quadrata l’anima, o cose simili.

[65] Concludiamo allora brevemente, e vediamo come non sia in alcun modo datemere che la finzione venga confusa con l’idea vera. Infatti quanto alla prima finzionedi cui abbiamo parlato precedentemente, cioè dove la cosa viene concepita chiaramente,vediamo che se tale cosa che viene concepita chiaramente è, così come la sua esistenza,di per sé una verità eterna, non possiamo fingere nulla a proposito di essa; ma sel’esistenza della cosa concepita non è una verità eterna, bisogna preoccuparsi solo chel’esistenza della cosa sia collegata con la sua essenza, e che contemporaneamente sipresti attenzione all’ordine della Natura. Quanto alla seconda finzione, che abbiamodetto essere l’attenzione simultanea, ma senza assenso, a diverse idee confuse di cosediverse e azioni diverse esistenti nella Natura, abbiamo anche detto che una cosasemplicissima non può essere finta, ma solo compresa, e così pure la cosa composita,purché prestiamo attenzione alle parti semplicissime di cui si compone; e in ultimo, chesulla base di esse stesse34 non possiamo fingere azioni che non sono vere, poiché siamocostretti a contemplare in che modo e perché avviene così.

[b. L’idea falsa]

[66] Comprese così queste cose, passiamo ora all’indagine delle idee false, pervedere di cosa si tratta e in che modo possiamo badare di non cadere in percezioni false.Entrambe le cose non saranno per noi difficili, dopo lo studio dell’idea finta: infatti tral’idea finta e l’idea falsa non vi è altra differenza se non il fatto che questa35 presupponel’assenso, cioè (come abbiamo già notato) che, mentre si offrono rappresentazioni, non sioffre alcuna causa grazie alla quale, come accade fingendo, sia possibile dedurre cheesse non sono prodotte da cose esterne a noi e che quindi non si tratta quasi di alcunchédi diverso dal sognare a occhi aperti, cioè mentre vegliamo. L’idea falsa dunqueriguarda, o (per dir meglio) si riferisce all’esistenza di una cosa la cui essenza èconosciuta, ovvero per quanto riguarda l’essenza funziona allo stesso modo dell’ideafinta. [67] L’idea falsa che concerne l’esistenza si corregge allo stesso modo dell’ideafinta: infatti se la natura della cosa nota implica la sua necessaria esistenza è impossibileche ci sbagliamo circa l’esistenza di tale cosa; ma se l’esistenza della cosa non è unaverità eterna, com’è la sua essenza, e la necessità o l’impossibilità che essa esistadipende invece da cause esterne, allora tutto è da intendere allo stesso modo di cuidicevamo quando si parlava della finzione. Infatti essa viene corretta nello stesso modo.

[68] Per ciò che concerne l’altra idea finta, che è riferita alle essenze o, anche, alleazioni, queste percezioni sono sempre e necessariamente confuse, composte da diverse

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percezioni confuse di cose esistenti nella Natura, come quando gli uomini si convinconoche nei boschi, nelle immagini, nelle bestie e in altre cose ci sono divinità; che si dianocorpi dalla cui sola composizione derivi l’intelletto; che i cadaveri pensino, camminino,parlino; che Dio menta e cose simili. Ma le idee che sono chiare e distinte non possonomai essere false: infatti le idee delle cose che sono concepite in modo chiaro e distintosono o semplicissime o composte di idee semplicissime, cioè dedotte da ideesemplicissime. E che davvero l’idea semplicissima non possa essere falsa lo potrà vederechiunque, purché sappia cosa è il vero, ossia l’intelletto, e contemporaneamente cosa è ilfalso.

[69] Infatti, per quanto riguarda ciò che costituisce la forma del vero, è certo che ilpensiero vero si distingue da quello falso non tanto per la denominazione estrinseca, masoprattutto per la denominazione intrinseca. Infatti se un artigiano concepisce unastruttura, anche se tale struttura non è mai esistita e non è nemmeno destinata ad esistere,cionondimeno il pensiero di essa è vero, e il pensiero è lo stesso sia che la strutturaesista, sia che non esista; e per contro se qualcuno dice per esempio che Pietro esiste etuttavia non sa se Pietro esiste, quel pensiero dal punto di vista di questo qualcuno èfalso o, se si vuole, non è vero, anche se in verità Pietro esiste. E questa asserzione chePietro esiste non è vera se non dal punto di vista di colui che sa per certo che Pietroesiste. [70] Da cui segue che nelle idee si dà qualcosa di reale per mezzo del quale quellevere sono distinte da quelle false: il che ora bisognerà senz’altro fare oggetto diindagine, affinché noi abbiamo a disposizione la migliore norma della verità (abbiamoinfatti detto che dobbiamo determinare i nostri pensieri in base alla norma di un’ideavera data e che il metodo è conoscenza riflessiva) e affinché conosciamo le proprietàdell’intelletto; e non bisogna dire che questa differenza, come sopra l’ho spiegata, sorgedal fatto che il pensiero vero consiste solo nel conoscere le cose tramite le loro causeprime, nel che pure certamente differisce molto da quello falso: infatti è detto vero ancheil pensiero che comprende oggettivamente l’essenza di qualche principio che non hacausa ed è conosciuto per sé e in sé. [71] Perciò la forma del pensiero vero deve trovarsinel medesimo pensiero stesso, senza relazione ad altro; e non riconosce l’oggetto inquanto causa, ma deve dipendere solo dalla potenza stessa dell’intelletto e dalla suanatura. Infatti se supponiamo che l’intelletto percepisca qualche ente nuovo, che non èmai esistito (così come alcuni ritengono proprio dell’intelletto di Dio prima che creassele cose) e che da tale percezione, che non può ragionevolmente aver origine da nessunoggetto, ne deduca legittimamente altre, allora tutti questi pensieri sarebbero veri, e nondeterminati da alcun oggetto esterno, ma dalla sola potenza e natura dell’intelletto. Percui ciò che costituisce la forma del pensiero vero deve essere cercato nel medesimopensiero stesso e dev’essere dedotto dalla natura dell’intelletto. [72] Per indagare questoargomento, dunque, poniamo davanti ai nostri occhi un’idea vera il cui oggetto sappiamocon la massima certezza dipendere dalla forza del nostro pensiero e non trovarsi affattonella Natura: in tale idea infatti, come è evidente da ciò che si è già detto, potremostudiare più facilmente ciò che ci interessa. Per esempio per formare il concetto della

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sfera fingo una causa a piacere, nella fattispecie che un semicerchio ruoti intorno alcentro e che la sfera quasi abbia origine dalla rotazione. Questa è certamente un’ideavera, e benché sappiamo che in Natura nessuna sfera abbia mai avuto origine in questomodo, questa è tuttavia una percezione veridica, e un modo facilissimo di formare ilconcetto della sfera. È ora da notare che questa percezione afferma che il semicerchioruoti, affermazione che sarebbe falsa se non fosse collegata al concetto della sfera o alconcetto della causa che determina tale moto, ossia se questa affermazione fosseassolutamente nuda. Infatti allora la mente tenderebbe unicamente ad affermare il solomoto del semicerchio, che non è né contenuto nel concetto del semicerchio, né ha originedal concetto della causa che determina il moto. Perciò la falsità consiste solamente nelfatto che a proposito di qualcosa sia affermato qualcos’altro che non è contenuto nelconcetto che ci siamo formati di quella cosa, come il moto o la quiete del semicerchio.Dal che segue che i pensieri semplici non possono non essere veri, come l’idea semplicedel semicerchio, o del moto, o della quantità, eccetera. Qualunque cosa questecontengano di affermativo, è uguale36 al loro concetto e non si estende oltre se stesso;perciò ci è lecito formare idee semplici a piacere senza timore di errori. [73] Restaquindi soltanto da chiedersi con quale potenza la nostra mente possa formarle, e fino ache punto tale potenza si estenda: trovato ciò, infatti, vedremo facilmente quale sia laconoscenza più alta a cui siamo in grado di pervenire: infatti quando affermiamo diqualcosa qualcos’altro che non è contenuto nel concetto che siamo formati di quellacosa, ciò indica un difetto della nostra percezione, ovvero che abbiamo pensieri o ideemutilati e tronchi. Vediamo infatti che il moto del semicerchio è falso quando si trovanudo nella mente, mentre lo stesso è vero se è collegato al concetto della sfera o alconcetto di qualche causa che determina questo moto. Poiché se è proprio della naturadell’essere pensante, come si vede a prima vista, formare pensieri veri, ovvero adeguati,è certo che le idee inadeguate sorgono in noi soltanto dal fatto che siamo parte di qualcheessere pensante, i cui pensieri costituiscono, alcuni del tutto, alcuni solo in parte, lanostra mente.

[74] Ma ciò che c’è ancora da considerare, e che a proposito della finzione nonvaleva la pena di notare, e in cui si dà il massimo inganno, è quando accade che certecose che si offrono nell’immaginazione siano anche nell’intelletto, cioè che sianoconcepite chiaramente e distintamente: poiché allora, fintantoché ciò che è distinto nonviene scernito da ciò che è confuso, la certezza, cioè l’idea vera, è mischiata con le ideenon distinte. Per esempio alcuni tra gli Stoici udirono per caso il nome dell’anima e cheessa fosse immortale, ciò che immaginavano solo confusamente; e immaginavano anche,e contemporaneamente comprendevano, che i corpi finissimi penetrano tutti gli altri, enon sono penetrati da nessuno. Poiché immaginavano tutto ciò simultaneamente, con laconcomitante certezza di quell’assioma, furono immediatamente certi che la mente fosseuno di quei corpi finissimi e che quei corpi sottilissimi fossero indivisibili, eccetera. [75]Ma ci liberiamo anche da questo mentre ci sforziamo di esaminare tutte le nostrepercezioni secondo la norma di una data idea vera, evitando, come dicevamo all’inizio,

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quelle che abbiamo dal sentito dire o dall’esperienza vaga. Si aggiunga a ciò che taleinganno ha origine dal fatto che la cosa viene concepita troppo astrattamente: infatti è diper sé abbastanza chiaro che io non posso applicare quello che concepisco nel suo verooggetto a qualcos’altro altro. E ha origine infine anche dal fatto che gli elementi primi ditutta la natura non vengono compresi; per cui procedendo senza ordine, e confondendo laNatura con le cose astratte, benché vi siano degli assiomi veri, ci si confonde, e sistravolge l’ordine della Natura. Noi invece non dobbiamo temere questo inganno, seprocediamo quanto meno astrattamente possibile e cominciamo quanto prima possibiledagli elementi primi, cioè dalla fonte e origine della Natura.

[76] Per quanto invece riguarda la conoscenza dell’origine della Natura, non c’èaffatto da temere che la confondiamo con qualcosa di astratto: infatti quando siconcepisce qualcosa astrattamente, come accade con tutti gli universali, essi vengonosempre compresi nell’intelletto in modo più generale di quanto in realtà possano esisterein Natura i loro particolari. Infine, poiché in Natura si danno molte cose la cui differenzaè così esigua da sfuggire quasi all’intelletto, può accadere facilmente (se le si concepisceastrattamente) che esse vengano confuse; ma poiché l’origine della Natura, come poivedremo, non può essere concepita astrattamente o universalmente, e non può essereestesa nell’intelletto fino a una generalità maggiore di quella reale, né ha alcunasomiglianza con le cose mutevoli, non c’è da temere a proposito della sua idea alcunaconfusione, purché possediamo una norma della verità (che abbiamo già mostrato): equesto ente è senz’altro unico e infinito,37 cioè è tutto l’essere, e oltre ad esso non si dàessere.38

[c. L’idea dubbia]

[77] Fino a qui si è parlato dell’idea falsa. Ci resta da indagare l’idea dubbia, cioèdobbiamo investigare la natura di ciò che può indurci a dubitare e allo stesso tempo inche modo il dubbio possa essere rimosso. Parlo del vero dubbio nella mente, e non diquel dubbio che vediamo darsi, senza ordine, nei casi in cui qualcuno dice a parole didubitare benché il suo animo non dubiti: la correzione di questo non sta al Metodo, mapiuttosto è di pertinenza della ricerca sull’ostinazione e della sua correzione. [78]Dunque, nell’anima non si dà alcun dubbio dovuto alla cosa stessa della quale si dubita;cioè, se nell’anima vi fosse solo un’unica idea, ovvero se essa fosse vera o falsa, non sidarebbe alcun dubbio, e nemmeno certezza: ma solo quella sensazione. Essa infatti nonè, in sé, nient’altro se non quella sensazione. Ma si darà per via di un’altra idea, che nonè tanto chiara e distinta da far sì che noi possiamo concludere qualcosa di certo aproposito della cosa di cui si dubita; cioè l’idea che ci getta nel dubbio non è chiara edistinta. Per esempio se qualcuno non ha mai riflettuto sull’inattendibilità dei sensi, perl’esperienza o in qualunque altro modo, allora non dubiterà mai se il Sole sia più grande

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o più piccolo di ciò che appare. Per cui i contadini, senza riflettere, si meraviglianoquando sentono dire che il Sole è molto più grande del globo terrestre; e riflettendosull’inattendibilità dei sensi ha origine il dubbio. Cioè, il senso sa di essersi qualchevolta sbagliato, ma lo sa solo confusamente: infatti non sa in che modo i sensi sbaglino.Ma se qualcuno dopo il dubbio acquisisse una conoscenza veridica dei sensi, e del modoin cui tramite essi le cose distanti vengono rappresentate, allora il dubbio sarebbe dinuovo tolto. [79] Da cui segue che noi non possiamo revocare in dubbio idee vere per ilfatto che forse esiste qualche Dio ingannatore, che ci illude anche nelle cose più certe, senon fintantoché non abbiamo alcuna idea chiara e distinta di Dio; cioè, se ciconcentriamo sulla conoscenza che abbiamo dell’origine di tutte le cose e non troviamoniente che ci insegni che Dio non ci inganna in quella stessa conoscenza per la quale, seprestiamo attenzione alla natura del triangolo, troviamo che i suoi tre angoli sono ugualia due retti<, allora rimane il dubbio>; ma se invece abbiamo di Dio la stessa conoscenzache abbiamo del triangolo, allora ogni dubbio è rimosso. E allo stesso modo in cuipossiamo pervenire a questa conoscenza del triangolo senza sapere per certo se qualchesommo ingannatore ci illude, possiamo anche pervenire a questa conoscenza di Diosenza sapere per certo se si dà qualche sommo ingannatore; e questa sola conoscenza èsufficiente a rimuovere, come ho detto, ogni dubbio che possiamo avere su idee chiare edistinte. [80] Se poi si procede rettamente indagando prima ciò che va indagato prima esenza interrompere la concatenazione delle cose, e se si sa in che modo le questionivanno determinate prima di accingersi a conoscerle, allora non si avranno mai se nonidee certissime, cioè chiare e distinte: infatti il dubbio non è altro che la sospensionedell’animo a proposito di qualche affermazione, o negazione, che si affermerebbe, onegherebbe, se solo non intervenisse qualcosa di sconosciuto a causa del quale laconoscenza dell’oggetto di tale affermazione o negazione non può che essere imperfetta.Dal che si conclude che il dubbio sorge sempre dal fatto che le cose vengano indagatesenza ordine.

[d. Su memoria, oblio e immaginazione]

[81] Questo è quello che avevo promesso di dire in questa prima parte del Metodo.Ma affinché io non ometta niente di ciò che può condurre alla conoscenza dell’intellettoe delle sue forze tratterò anche brevemente della memoria e dell’oblio. Qui è da tenerenella massima considerazione il fatto che la memoria è corroborata sia con il supportodell’intelletto, sia anche senza il supporto dell’intelletto. Infatti per quanto riguarda ilprimo punto quanto più la cosa è intelligibile, tanto più facilmente sarà trattenuta nelricordo, e al contrario, quanto meno è intelligibile, tanto più facilmente ladimenticheremo. Ad esempio se trasmetto a qualcuno una gran quantità di paroledisordinate esse saranno ricordate molto più difficilmente che se trasmettessi le stesseparole in forma di narrazione. [82] Ma la memoria è corroborata anche senza l’aiuto

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dell’intelletto, cioè dalla forza con cui l’immaginazione o il senso che è detto comunesono influenzati da una singola cosa corporea. Dico singola: l’immaginazione infatti èinfluenzata solo dalle cose singole: per esempio se qualcuno legge un’unica commediaamorosa la ricorderà perfettamente finché non ne leggerà altre dello stesso genere,poiché allora essa sola avrà vigore nell’immaginazione: ma se ve ne sono diverse dellostesso genere le immagineremo tutte insieme e le confonderemo facilmente. Dico anchecorporea: infatti l’immaginazione è influenzata solo dai corpi. Poiché dunque lamemoria è corroborata dall’intelletto, ma anche senza intelletto, concludiamo che essa èqualcosa di diverso dall’intelletto stesso, e che nell’intelletto considerato in sé non si dàné memoria, né oblio. [83] Che cosa sarà allora la memoria? Nient’altro che lasensazione delle impressioni del cervello, insieme con il pensiero rivolto alladeterminata durata della sensazione;39 il che è manifestato anche dalla riminiscenza.Infatti qui l’anima pensa a quella sensazione, ma non come durata continua; e così l’ideadi tale sensazione non è essa stessa la durata della sensazione, cioè la stessa memoria. Seinvero le idee stesse siano soggette a qualche corruzione, lo vedremo nella Filosofia. Ese a qualcuno questo sembra completamente assurdo è sufficiente al nostro proposito checostui pensi che quanto più una cosa è singolare, tanto più facilmente viene ricordata,così come risulta evidente dall’esempio della commedia appena addotto. Inoltre quantopiù una cosa è intelligibile, tanto più facilmente anche viene ricordata. Perciò nonpotremo non ricordare quello che è sommamente singolare e intelligibile.

[84] Così dunque abbiamo distinto tra l’idea vera e le altre percezioni e abbiamomostrato che le idee finte, false e le altre hanno la loro origine nell’immaginazione, cioèda alcune sensazioni fortuite e, per così dire, disordinate, che non sorgono dalla potenzastessa della mente ma da cause esterne, in quanto il corpo, vuoi sognando, vuoivegliando, subisce vari moti. O, se piace, si intenda qui per immaginazione ciò che sivuole, purché sia qualcosa di diverso dall’intelletto e sia qualcosa per cui l’anima abbiaun ruolo passivo; infatti è lo stesso qualunque cosa si intenda, dopo che si è compresoche l’immaginazione è qualcosa di vago e che di fronte a essa l’anima è passiva, econtemporaneamente si è compreso in che modo con l’aiuto dell’intelletto possiamoliberarci da essa. Perciò anche nessuno si meravigli che io qui non dimostri ancora cheesistono un corpo e le altre cose necessarie e che tuttavia parli di immaginazione, delcorpo e della sua costituzione. Per l’appunto, come ho detto, è indifferente che cosa siintenda purché si sappia che è qualcosa di vago eccetera.

[85] Ma abbiamo mostrato che l’idea vera è semplice, o composta di idee semplici,e che mostra in che modo e perché qualcosa sia o sia stato fatto, e che i suoi effettioggettivi nell’anima progrediscono proporzionalmente alla formalità del suo oggetto; ciòche è lo stesso che dissero gli antichi, appunto che la vera scienza procede dalla causaall’effetto; se non che non concepirono mai, per quanto ne so, che la mente agiscasecondo leggi certe e quasi come un automa spirituale, come facciamo noi qui. [86]Perciò, nella misura in cui all’inizio era lecito, abbiamo acquisito una conoscenza del

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nostro intelletto e una tale norma dell’idea vera da non temere ora di confondere la veritàcon la falsità o la finzione; né ci meraviglieremo del perché comprendiamo certe coseche non cadono in alcun modo sotto l’immaginazione e nell’immaginazione se netrovino altre che senz’altro si oppongono all’intelletto; che altre infine convergano conl’intelletto; poiché sappiamo che quelle operazioni da cui le immaginazioni vengonoprodotte obbediscono ad altre leggi, del tutto diverse da quelle dell’intelletto, e che perquanto riguarda l’immaginazione l’anima ha un ruolo soltanto passivo. [87] Da questo èevidente anche quanto facilmente coloro che non hanno distinto accuratamente tral’immaginazione e l’intellezione possano essere tratti in gravi errori, per esempio inquesti: che l’estensione debba trovarsi in un luogo, che debba essere finita, che le sueparti si distinguono realmente le une dalle altre, che sia il primo e unico fondamento ditutte le cose e che in un momento occupi uno spazio più grande che in un altro, e moltealtre cose di tal genere che contrastano del tutto con la verità, come a suo luogomostreremo.

[88] Infine poiché le parole sono parte dell’immaginazione, cioè poiché nellamisura in cui vengono unite in ordine sparso nella memoria sulla base di qualchedisposizione del corpo fingiamo molti concetti, è fuor di dubbio che anche le parole,come l’immaginazione, possono essere causa di molti e gravi errori se non ce neguardiamo con grande attenzione. [89] Si aggiunga a questo che esse sono costituitearbitrariamente e secondo le capacità del popolo, a tal punto che non sono altro che segnidelle cose come si trovano nell’immaginazione e non come si trovano nell’intelletto; ilche emerge con chiara evidenza dal fatto che a tutte quelle cose che si trovano solonell’intelletto e non nell’immaginazione furono dati spesso nomi negativi, comeincorporeo, infinito, eccetera, e che persino molti che invece sono affermativi furonoespressi negativamente, come increato, indipendente, infinito, immortale, eccetera,poiché senza dubbio immaginiamo i loro contrari molto più facilmente e perciò questivennero in mente per primi ai primi uomini, usurpando i nomi positivi; e viceversa.Affermiamo e neghiamo molte cose perché la natura delle parole, e non invero la naturadelle cose, ammette che ciò sia affermato o negato; al punto che, ignorando questa,riterremo facilmente vero qualcosa di falso.

[90] Evitiamo inoltre un’altra grande causa di confusione che fa anche sì chel’intelletto non rifletta su se stesso: appunto il fatto che quando non distinguiamo traimmaginazione e intellezione riteniamo che le cose che immaginiamo più facilmente cisiano più chiare e riteniamo di comprendere ciò che immaginiamo. Per cui mettiamoprima le cose che vanno messe dopo, e così si sovverte il retto ordine con cui si deveprocedere e non si conclude niente di legittimo.

[4. Seconda e terza parte del Metodo]

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[a. Sulle condizioni per giungere a corrette definizioni]

[91] Quindi, per venire infine alla seconda parte di questo Metodo, proporrò primail nostro scopo in questo Metodo e poi i mezzi per raggiungerlo.40 Lo scopo dunque èavere idee chiare e distinte, tali cioè che siano originate dalla pura mente, e non da motifortuiti del corpo. Poi, per ricondurre a una tutte le idee, tenteremo di concatenarle eordinarle in un modo tale che la nostra mente, nella misura in cui ne è capace, riproducaoggettivamente la formalità della natura nel suo complesso e nelle sue parti.

[92] Quanto alla prima cosa, come abbiamo già detto, è richiesto per il nostro fineultimo che la cosa sia concepita o per mezzo della sua sola essenza, o per mezzo dellasua causa prossima. Cioè se la cosa esiste in sé, o, come si dice comunemente, è causa disé, allora dovrà essere compresa per mezzo della sua sola essenza; se invece la cosa nonesiste in sé, ma ha bisogno di una causa per esistere, allora dovrà essere compresa permezzo della sua causa prossima: infatti invero la conoscenza dell’effetto non è altro chel’acquisizione della conoscenza più perfetta della causa.41[93] Per cui, fintantoché cioccuperemo dell’Indagine delle cose, non ci sarà mai permesso concludere qualcosa apartire dall’astratto, e faremo la massima attenzione a non mescolare ciò che si trovasolo nell’intelletto con ciò che si trova nelle cose. Bensì la conclusione migliore dovràessere ricavata dall’essenza affermativa di qualcosa di particolare, cioè da unadefinizione vera e appropriata. Infatti a partire solo da assiomi universali l’intelletto nonpuò discendere alle cose particolari, dal momento che gli assiomi si estendono a infinitecose e non determinano l’intelletto a contemplare più una certa cosa singolare cheun’altra. [94] Perciò la retta via della ricerca consiste nel formare i pensieri a partire daqualche definizione data: il che procede tanto più facilmente e felicemente quantomeglio si è definita una certa cosa. Perciò il cardine di tutta questa seconda parte delMetodo consiste solamente in questo, cioè nella conoscenza delle condizioni di unabuona definizione e poi nel modo di trovarle. Perciò tratterò prima di tutto dellecondizioni della definizione.

[95] Affinché una definizione possa dirsi perfetta dovrà spiegare l’intima essenzadella cosa e garantire che non assumiamo al suo posto qualche proprietà. Per spiegarequesto, al fine di omettere altri esempi (perché non sembri che voglio correggere glierrori altrui) porterò solo l’esempio di una cosa astratta che può essere definitaindifferentemente in qualunque modo, cioè il cerchio: se esso è definito come la figurain cui le linee tratte dal centro alla circonferenza sono uguali, tutti vedono che taledefinizione non spiega affatto l’essenza del cerchio, ma solo una sua proprietà; e benché,come dicevo, questo riguardi poco le figure e gli altri enti della ragione, tuttavia riguardamolto da vicino gli enti Fisici e reali: soprattutto perché le proprietà delle cose nonvengono comprese fintantoché le loro essenze sono ignote, e se queste vengonotralasciate necessariamente la concatenazione dell’intelletto, che deve riprodurre laconcatenazione della Natura, sarà sovvertita, e noi ci allontaneremo del tutto dal nostro

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scopo. [96] Affinché quindi noi ci liberiamo da questo vizio, queste cose dovranno essereosservate nella Definizione.

1. Se la cosa è stata creata, la definizione dovrà, come abbiamo detto, comprenderela sua causa prossima. Per esempio il cerchio secondo questa legge dovrà essere definitocome la figura che viene descritta da una linea qualunque di cui un’estremità è fissa el’altra mobile – definizione che comprende chiaramente la causa prossima.

2. È necessario un concetto, ovvero definizione, della cosa tale che da esso possanoessere dedotte tutte le proprietà di tale cosa fintantoché essa viene considerata per sé solae non in congiunzione con altre, così come si può vedere in questa definizione delcerchio. Infatti da essa si conclude chiaramente che tutte le linee condotte dal centro allacirconferenza sono uguali; e che questo sia un requisito necessario della definizione ètalmente chiaro, per sé stesso, agli occhi di chi vi presta attenzione che non sembra chevalga la pena di indugiare in una dimostrazione di questo fatto, e nemmeno di dimostrareche in base a questo secondo requisito ogni definizione deve essere affermativa. Parlodell’affermazione intellettiva e do poco peso a quella verbale, che a causa delladebolezza delle parole potrebbe forse a volte essere espressa negativamente, benché siaintellettivamente compresa in modo affermativo.

[97] I requisiti della Definizione di una cosa increata sono invece questi.

1. Che escluda ogni causa, cioè che l’oggetto non abbia bisogno per la suaspiegazione di nient’altro che il suo stesso essere.

2. Che data la definizione di questa cosa non resti più alcuno spazio per interrogarsise essa esista.

3. Che, quanto alla mente, non abbia alcun sostantivo che possa essere aggettivato,cioè che non sia spiegata per mezzo di cose astratte.

4. E infine (benché notare questo non sia davvero necessario) è richiesto che dallasua definizione si deducano tutte le sue proprietà. Anche tutte queste cose risultanomanifeste a chi seriamente presta attenzione.

[98] Dicevo anche che la conclusione migliore dovrà essere dedotta da un’essenzaparticolare affermativa: quanto più infatti un’idea è speciale, tanto più è distinta e quindichiara. Per cui noi dobbiamo ricercare il più possibile la conoscenza delle coseparticolari.

[b. Sull’ordine in cui procedere nella conoscenza]

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[99] Invero quanto all’ordine, e affinché tutte le nostre percezioni siano ordinate eunite, è necessario che il prima possibile e appena la ragione lo richiede indaghiamo se sidia un ente che è causa di tutte le cose e allo stesso tempo quali siano le sue proprietà,affinché la sua essenza oggettiva sia anche la causa di tutte le nostre idee; allora la nostramente, come abbiamo detto, riprodurrà al meglio la Natura: infatti possiederàoggettivamente sia la sua essenza, sia il suo ordine, sia la sua unione. Da questopossiamo vedere che è per noi assolutamente necessario dedurre sempre tutte le nostreidee da cose Fisiche o da enti reali, procedendo, per quanto è possibile, secondo la seriecausale da un ente reale a un altro ente reale, e così senz’altro affinché non passiamo acose astratte e universali, ovvero affinché da cose di questo genere non concludiamoqualcosa di reale né concludiamo cose di questo genere a partire da qualcosa di reale:entrambe queste cose infatti interrompono il vero progresso dell’intelletto. [100] Mabisogna notare che io qui quando parlo di serie delle cause e degli enti reali non intendouna serie di cose singole mutevoli, ma solo una serie di cose fisse ed eterne. La serie dicose singole mutevoli infatti sarebbe impossibile da comprendere per la debolezzadell’intelletto umano, da una parte per via del fatto che il loro numero supera ognimoltitudine, dall’altra per via del fatto che in una stessa cosa vi sono infinite circostanzeuna qualunque delle quali può essere la causa che la cosa esista o non esista; dalmomento che la loro esistenza non ha alcuna connessione con la loro essenza, ovvero,come abbiamo già detto, non è una verità eterna. [101] D’altro canto non è nemmenonecessario che noi comprendiamo una tale serie se è vero che le essenze delle cosesingole mutevoli non possono essere dedotte da tale serie, cioè dall’ordine in cuiesistono, poiché essa qui non ci offre altro che le denominazioni estrinseche, le relazionie insomma le circostanze: tutte cose che sono molto lontane dall’intima essenza dellecose. Questa invero deve essere ricercata solo a partire da cose fisse ed eterne econtemporaneamente dalle leggi che sono scritte in queste cose come nei loro propricodici, secondo le quali tutte le cose singole avvengono e sono ordinate; in ultimo questecose singole mutevoli dipendono in modo così intimo e, per così dire, essenziale daquelle fisse da non poter essere né essere concepite senza esse. Per cui queste cose fisseed eterne, benché siano singolari, a causa della loro ubiqua presenza e della lorograndissima potenza saranno per noi come universali, ovvero generi delle definizionidelle cose singole mutevoli e cause prossime di tutte le cose.

[102] Ma, poiché è così, sembra che incombano non poche difficoltà sul nostrotentativo di pervenire alla conoscenza di queste cose singole: infatti concepire tutte lecose contemporaneamente è molto al di sopra delle forze dell’intelletto umano, mentrel’ordine con cui le cose possano essere comprese una dopo l’altra, come abbiamo detto,non deve essere ricercato a partire dalla serie in cui esistono, e nemmeno a partire dallecose eterne – quanto a queste, infatti, esse per natura sono tutte simultanee. Quindibisogna necessariamente cercare altri strumenti oltre quelli di cui ci serviamo percomprendere le cose eterne e le loro leggi; tuttavia non è questo il luogo opportuno pertrattarne, e non è nemmeno necessario farlo se non dopo che avremo acquisito una

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conoscenza sufficiente delle cose eterne e delle loro leggi infallibili e ci si sarà chiaritala natura dei nostri sensi.

[103] Prima che ci accingiamo a conoscere le cose singolari sarà tempo di trattaredi quegli strumenti che tendono tutti a che noi impariamo a servirci dei nostri sensi efare (in accordo con leggi certe e con ordine) esperimenti che bastino a determinare lacosa che è ricercata, affinché infine da essi concludiamo secondo quali leggi delle coseeterne essa sia fatta e la sua intima natura ci si chiarisca, come mostrerò a suo luogo.Ora, per tornare al mio proposito, mi sforzerò solo di comunicare le cose che sembranonecessarie affinché possiamo pervenire alla conoscenza delle cose eterne e formare leloro definizioni in accordo con le condizioni viste sopra.

[104] Per fare questo bisogna richiamare alla memoria ciò che dicevamo sopra, cioèche, quando la mente si dedica a qualche pensiero per considerarlo correttamente ededurre a partire da esso nell’ordine giusto le cose che devono esserne dedotte, se talepensiero fosse falso la mente lo scoprirebbe; mentre se è vero allora procede senzaalcuna interruzione a dedurre felicemente da esso altre idee vere; il che, dico, è richiestodalla nostra questione. Infatti i nostri pensieri non possono essere determinati da alcunaltro fondamento. [105] Se dunque vogliamo investigare la cosa che viene prima di tutteè necessario che si dia un fondamento che diriga verso di essa i nostri pensieri. Quindi,poiché il Metodo è la stessa conoscenza riflessiva, questo fondamento che deve dirigere inostri pensieri non può essere altro che la conoscenza di ciò che costituisce la formadella verità e la conoscenza dell’intelletto e delle sue proprietà e forze: acquisito infattitutto questo avremo un fondamento da cui dedurre i nostri pensieri e una via per mezzodella quale l’intelletto, fin dove lo porta la sua capacità, potrà pervenire a conoscere lecose eterne, calcolate appunto le sue forze.

[c. Sulle forze dell’intelletto e le sue proprietà]

[106] Se davvero appartiene alla natura del pensiero il formare idee vere, come èstato mostrato nella prima parte, ora bisogna indagare che cosa intendiamo parlando diforze e potenza dell’intelletto. Poiché invero la parte precipua del nostro Metodoconsiste nel conoscere nel modo migliore le forze dell’intelletto e la sua natura, siamocostretti necessariamente (per via di quello che ho detto nella seconda parte del Metodo)a dedurre queste cose dal pensiero stesso e dalla definizione dell’intelletto. [107] Mafino a qui non abbiamo avuto nessuna regola per trovare le definizioni, e poiché nonpossiamo comunicare regole del genere se non conoscendo la natura, ovvero ladefinizione, dell’intelletto e la sua potenza, ne segue che o la definizione dell’intellettodev’essere chiara per sé o noi non possiamo comprendere nulla. Essa però non èassolutamente chiara per sé; e tuttavia poiché le sue proprietà, come tutto ciò cheabbiamo dall’intelletto, non possono essere percepite chiaramente e distintamente se non

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è nota la loro natura, si deduce che la definizione dell’intelletto è per sé chiara se ciconcentriamo sulle sue proprietà che comprendiamo chiaramente e distintamente. Quindielenchiamo qui le proprietà dell’intelletto, valutiamole attentamente e cominciamo atrattare dei nostri strumenti innati.42

[108] Le proprietà dell’intelletto che notavo principalmente e che comprendochiaramente sono queste.

1. Che comporta la certezza, cioè che sa che le cose sono, formalmente, nello stessomodo in cui sono contenute oggettivamente in esso.

2. Che percepisce qualcosa, ovvero forma certe idee assolutamente, certe a partireda altro. Certamente forma l’idea della quantità assolutamente, senza considerare altripensieri; invece non forma le idee del moto se non considerando l’idea della quantità.

3. Le idee che forma assolutamente esprimono un’infinità, mentre a partire da altroforma idee determinate. Infatti se percepisce per mezzo di qualche causa l’idea dellaquantità, allora la determina per mezzo della quantità, come percepisce che il volume siorigina dal movimento di un piano, che invece il piano si origina dal movimento di unalinea e che infine la linea si origina dal moto di un punto; percezioni queste chesenz’altro non servono a comprendere la quantità, ma solo a determinarla. E questo èevidente dal fatto che concepiamo che esse sorgono quasi dal moto, mentre il moto nonviene percepito se non è percepita la quantità, e inoltre possiamo continuare all’infinitoil moto che forma la linea, il che non potremmo affatto fare se non possedessimo l’ideadella quantità infinita.

4. Forma prima le idee positive che quelle negative.

5. Percepisce le cose non tanto sotto l’aspetto della durata quanto sotto una certaspecie di eternità, e in numero infinito. O piuttosto nel percepire le cose non considera néil numero né la durata, mentre nell’immaginare le cose le percepisce sotto un certonumero e una determinata durata e quantità.

6. Le idee chiare e distinte che formiamo sembrano derivare solo dalla necessitàdella nostra natura tanto che sembrano dipendere assolutamente solo dalla nostrapotenza. Per quelle confuse vale, invece, il contrario, e infatti sono spesso formate da noiinvolontariamente.

7. La mente può determinare in molti modi le idee delle cose che l’intelletto formaa partire da altro: come, ad esempio, per determinare il piano di un’ellisse essa finge cheuno stilo attaccato a una corda si muova intorno a due centri, o concepisce infiniti puntiaventi sempre lo stesso certo rapporto con una linea retta, o un cono tagliato da qualchepiano obliquo in modo che l’angolo con cui questo è inclinato sia maggiore dell’angolo

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al vertice del cono, o in infiniti altri modi.

8. Quanto più le idee esprimono della perfezione di un certo oggetto tanto più sonoperfette. Infatti l’artigiano che ha progettato un’edicola non è ammirato tanto quantoquello che ha progettato un tempio straordinario.

[109] Non indugio nelle altre cose che riguardano il pensiero, come l’amore, lafelicità, eccetera: infatti esse non fanno al caso del nostro compito attuale, e non possonoessere nemmeno concepite se non dopo aver conosciuto l’intelletto, e queste cose, toltacompletamente tale conoscenza, vengono tutte eliminate.

[110] Le idee false e finte, come abbiamo abbondantemente mostrato, non hannoniente di positivo per cui vengono dette false o finte, bensì sono considerate tali solo perun difetto della conoscenza. Dunque le idee false e finte, nella misura in cui sono tali,non possono insegnarci nulla dell’essenza del pensiero; questa dev’essere bensì ricercataa partire dalle proprietà positive che abbiamo poco fa esaminato; cioè ora bisognastabilire qualcosa di comune a partire dal quale queste proprietà seguanonecessariamente, ovvero dato il quale queste necessariamente si diano, e tolto il qualetutte siano tolte.

Il resto è mancante.

1. ↑ Cfr. F. Mignini, Introduzione a Spinoza, Laterza, Roma-Bari 2006, pp. 3-11.2. ↑ L’Avvertenza al lettore è degli editori degli Opera posthuma di Spinoza, e

probabilmente in particolare di Jarig Jellesz (cfr. F. Mignini, Introduzione aSpinoza, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 5). N.d.T.

3. ↑ [a] Queste cose potrebbero essere spiegate più ampiamente e più chiaramentedistinguendo le ricchezze, che vengono ricercate o per sé, o in vista degli onori, o invista dei piaceri sensibili, o in vista della salute e del progresso delle scienze e dellearti; ma ciò viene rimandato al momento opportuno, poiché non è questo il luogoper indagare la questione tanto in profondità.

4. ↑ [b] Ciò va dimostrato più accuratamente.5. ↑ [c] Ciò sarà spiegato più diffusamente a tempo debito.6. ↑ [d] Si noti che, poiché qui desidero enumerare solo le scienze necessarie al nostro

scopo, è possibile che io non osservi il loro ordine e la loro serie.7. ↑ [e] Il fine delle scienze, a cui tutte devono essere dirette, è unico.

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8. ↑ [f] Quando avviene così, non comprendiamo niente della causa se non ciò checonsideriamo nell’effetto: il che risulta abbastanza manifesto a partire dal fatto chein questi casi la causa non si spiega se non in termini generalissimi come questi:Perciò si dà qualcosa, Perciò si dà qualche potenza, eccetera. O anche dal fatto chelo stesso accade quando si dice la stessa cosa in negativo: Perciò non è questo oquello, eccetera. Nel secondo caso si attribuisce qualcosa alla causa per l’effetto, ilquale è concepito chiaramente, come abbiamo mostrato nell’esempio; ma inveronon si attribuisce niente oltre le proprietà, e niente dell’essenza della cosaparticolare.

9. ↑ [g] Da questo esempio si nota con chiarezza ciò che ho appena evidenziato: infattiper mezzo di quella unione non comprendiamo nulla oltre la sensazione stessa, cioèl’effetto dal quale concludevamo a una causa di cui non comprendiamo niente.

10. ↑ [h] Benché questa conclusione sia certa, essa non è tuttavia abbastanza al sicurodal dubbio se non per coloro che vi fanno la massima attenzione. Infatti chi nonesercita la massima prudenza si imbatte subito nell’errore: poiché, dove le cosevengono concepite astrattamente, e non per la loro vera essenza, ci si confondesubito a causa dell’immaginazione. Infatti ciò che è unico in sé viene concepitodagli uomini come molteplice; e questi inoltre impongono nomi alle cose cheimmaginano astrattamente, isolatamente e confusamente, usurpando termini chenormalmente servono a significare altre cose più familiari; il che fa sì che quellecose siano immaginate allo stesso modo di quelle che erano prima solitiimmaginare e alle quali inizialmente avevano dato questi nomi.

11. ↑ Il primo genere di conoscenza è esemplificato dai mercanti, che si fidanociecamente di ciò che hanno «sentito dire» dai loro maestri; il secondo da coloroche sulla base di alcuni casi semplici della cui efficienza hanno avuto una provaempirica ricavano, senza però una rigorosa dimostrazione, una regola; il terzo daimatematici che, con un ragionamento strutturato secondo premesse e conseguenze,sono in grado di dimostrare irrefutabilmente un teorema di portata generale; ilquarto da chiunque, semplicemente guardando i numeri, ha l’evidenza chiara,distinta e, rispetto a ciò che può conoscersi in proposito, esaustiva dell’esito diquella proporzione particolare, cioè insomma ha un’intuizione. L’esempio èparticolarmente perspicuo e potrà essere utilmente ripreso in considerazione anchequando più avanti si tornerà a fare riferimento ai quattro generi di conoscenza.Spinoza lo riprenderà anche nel Breve trattato (KV II, 1) e poi nell’Etica (E IIp40s2), modificandolo qui solo quel tanto che risulterà necessario per adattarlo allanuova visione tripartita, e non più quadripartita, dei generi di conoscenza, in cui iprimi due presentati nel Trattato sull’emendazione dell’intelletto sono riassunti dauno solo. N.d.T.

12. ↑ [i] Qui tratterò un po' più prolissamente dell’esperienza, ed esaminerò i Metodisecondo cui procedono gli Empirici e i filosofi recenti.

13. ↑ [k] Per forza nativa intendo ciò che in noi non è causato da cause esterne, il cheverrà spiegato poi, nella mia Filosofia.

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14. ↑ [l] Qui vengono chiamate opere, ma nella mia Filosofia si spiegherà di cosa sitratta.

15. ↑ [m] Nota che qui non ci preoccuperemo solo di mostrare ciò che ho appena detto,ma anche che abbiamo proceduto correttamente fino a qui e che allo stesso tempoaltre cose che è importantissimo sapere.

16. ↑ Riprendendo un lessico già cartesiano, Spinoza indica con l’espressione «essenzaformale» la realtà della cosa stessa, e con «essenza oggettiva» la sua idea. N.d.T.

17. ↑ [n] Nota che qui non indaghiamo in che modo la prima essenza oggettiva siainnata in noi. Infatti questo è di pertinenza della ricerca sulla natura, dove ciò vienespiegato più ampiamente e allo stesso tempo si mostra che oltre l’idea non si dàaffermazione alcuna, né negazione, né volontà.

18. ↑ [o] Che cosa significhi cercare nell’anima sarà spiegato nella mia Filosofia.19. ↑ [p] Avere relazione con altre cose significa essere prodotto da altre cose o

produrre altre cose.20. ↑ [q] Così come anche qui non dubitiamo della nostra verità.21. ↑ Sono qui delineate le tre «parti» del metodo successivamente sviluppate, benché

in modo incompleto. N.d.T.22. ↑ Ovunque Spinoza parli di idea «finta», si tenga presente il valore di questo

termine come participio del verbo “fingere”. N.d.T.23. ↑ [r] Nota ciò che osserveremo più avanti sulle ipotesi che vengono da noi

chiaramente comprese, mentre la finzione sta nel fatto che diciamo che esseesistano nei corpi celesti. [Cfr. nota y. N.d.T.]

24. ↑ [s] Poiché la cosa, appena la si comprenda, risulta di per sé evidente, abbiamobisogno solo di un esempio senza altra dimostrazione. E sarà lo stesso per la cosacontraria, che, affinché risulti manifestamente falsa, ha bisogno solo che ci sirifletta, come sarà subito evidente quando parleremo della finzione che riguardal’essenza.

25. ↑ [t] Nota: benché molti dicano di dubitare che Dio esista, essi tuttavia nonconsiderano niente oltre il nome o fingono qualcosa che chiamano Dio: il che non siconfà alla natura di Dio, come più avanti, a suo luogo, mostrerò.

26. ↑ [u] Per verità eterna intendo quella tale che se è affermativa non potrà mai esserenegativa. Così che Dio esiste è una verità prima ed eterna, mentre non è una veritàeterna che Adamo pensa. Che la Chimera non esiste è una verità eterna, ma non cheAdamo non pensa.

27. ↑ Spinoza sembra riferirsi alle discussioni (spesso caratterizzate da un andamentoipotetico) tipiche della filosofia Scolastica, le quaestiones. N.d.T.

28. ↑ [x] Più avanti, quando parleremo della finzione che concerne le essenze, appariràchiaramente che la finzione non crea mai né presenta mai alla mente qualcosa dinuovo, bensì che ciò che si trova nel cervello o nell’immaginazione viene solamenterichiamato alla memoria, e che la mente si dedica confusamente a tutto quantoinsieme. Ad esempio se sono richiamati alla memoria la parola e un albero, quandola mente si rivolge ad essi confusamente e senza distinzione ritiene che l’albero

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parli. Lo stesso vale per l’esistenza, soprattutto, come dicevano, quando vieneconcepita tanto in generale quanto l’ente stesso in quanto tale; poiché allora vienefacilmente applicata a tutte le cose che si offrono insieme alla memoria. Il chevaleva certamente la pena di essere notato.

29. ↑ [y] Lo stesso vale per le ipotesi che fungono da spiegazione per certi moti i qualiconcordano con i fenomeni celesti; se non per il fatto che esse, se venisseroapplicate ai moti celesti, limiterebbero la natura dei cieli, che tuttavia può esserediversa, soprattutto perché per spiegare quei moti possano essere concepite moltealtre cause.

30. ↑ [z] Spesso capita che l’uomo richiami alla memoria questa parola anima e cheallo stesso tempo formi l’immagine di qualche corpo. Quando in effetti queste duecose vengono rappresentate insieme egli ritiene facilmente di immaginare e fingereche l’anima sia corporea: poiché non distingue il nome dalla cosa stessa. Qui chiedoche i lettori non siano precipitosi nel rifiutare questo, il che, spero, non faranno,purché facciano quanta più attenzione possibile agli esempi e anche alle cose cheseguiranno.

31. ↑ Cioè tale libertà. N.d.T.32. ↑ [a] Benché io sembri concludere ciò sulla base dell’esperienza, e poiché qualcuno

potrebbe ritenere che quanto dico, dal momento che non è accompagnato da unadimostrazione, non vale nulla, essa, se qualcuno la desidera, sia espressa così:poiché in natura non può darsi nulla che contraddica le sue leggi, e poiché alcontrario tutto accade secondo le sue leggi certe, così che esse producono i loroeffetti certi secondo un’inderogabile concatenazione e appunto secondo leggi certe,da questo segue che l’anima, quando concepisce la cosa veridicamente, continua aformare oggettivamente gli stessi effetti. Si veda più avanti, dove parlo dell’ideafalsa.

33. ↑ [b] Nota bene che la finzione, considerata in sé, non differisce molto dal sogno, senon per il fatto che nei sogni non si offrono le cause che, per mezzo dei sensi, sioffrono a chi veglia, e grazie alle quali si deduce che quelle rappresentazioni in quelmomento non sono dovute a cose costituite al di fuori di esse stesse. L’errore, comesarà subito chiaro, è sognare a occhi aperti, il che, se avviene in modo del tuttomanifesto, viene considerato alla stregua del delirio.

34. ↑ Cioè le cose o le parti semplicissime. N.d.T.35. ↑ Cioè l’idea falsa. N.d.T.36. ↑ Cioè adeguato. N.d.T.37. ↑ [z] Questi non sono attributi di Dio che manifestano la sua essenza, come

mostrerò nella Filosofia.38. ↑ [a] Questo è già stato dimostrato sopra. Se infatti tale ente non esistesse, non

potrebbe mai essere prodotto, cosicché la mente potrebbe comprendere più diquanto la Natura possa produrre, il che, da quanto detto sopra, è sicuramente falso.

39. ↑ [d] Se invece la durata è indeterminata, la memoria della cosa in questione èimperfetta, il che sembra sia stato insegnato a ognuno dalla natura. Spesso infatti,

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per credere meglio a qualcuno in ciò che ci dice gli chiediamo quando e dove questoè capitato. Benché anche le idee stesse abbiano una loro durata nella mente, tuttaviapoiché siamo abituati a determinare la durata con l’aiuto di qualche misura delmoto, il che avviene anche grazie all’immaginazione, finora non osserviamo nessunricordo che si origini dalla pura mente.

40. ↑ [e] La Regola principale di questa parte, come segue da quanto detto nella primaparte, è di passare in rassegna tutte le idee che troviamo in noi originate dal purointelletto per distinguerle da quelle che immaginiamo; questa distinzione dovràessere ricavata dalle proprietà di ciascuna, cioè dell’immaginazione edell’intellezione.

41. ↑ [f] Nota che da questo è evidente che non possiamo conoscere <legittimamente>nulla della Natura senza contemporaneamente rendere più ampia la conoscenzadella causa prima, cioè di Dio.

42. ↑ [g] Si veda sopra, pp. 13-14 e segg. [Pagine dell’edizione di Gebhardtcorrispondenti ai §§ 27-34 e segg. N.d.T.]

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