Tra luci e ombre · 2018-09-22 · e gradita. Giunta a casa raccolta alle ... il nostro prossimo...

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Anno VI n. 3 AUTUNNO 2018 Tra luci e ombre U na signora sta andando verso casa con una pesante confe- zione di latte parzialmente scremato e si vede arrivare davanti un ragaz- zino, forse di quinta elementare, che le dice: “Signora, posso aiutarla?”. Quella signora accetta volentieri quella collaborazione così inattesa e gradita. Giunta a casa raccolta alle vicine di quest’incontro: “quel bam- bino non ha aspettato che qualcuno gli dica di aiutare una persona in dif- ficoltà; lo ha fatto spontaneamente ma, di sicuro in casa avrà imparato dai suoi genitori ad essere attento, premuroso e gentile. Non tutti i ra- gazzi sono superficiali!”. *** “Scusi, reverendo, ma in questo paese non ci sono bambini?”. Così mi disse una turista mentre at- traversavo Piazza Tiziano; mentre mi chiedevo il perché di quella domanda e tentavo una risposta, quella signora continuò: “Sono alcune sere che par- tecipo alla Messa e non vedo nessun chierichetto. Nella mia Parrocchia c’è sempre una “folla di chierichetti attorno all’altare”. Ho tentato una risposta ma mi sono accorto di non essere riuscito a dare una spiega- zione accettabile a quella turista. *** “Bella la vostra Chiesa, ma sarà ancor più bella quel giorno che en- trerò e sarò accolto dal maestoso e solenne suono dell’organo!”. Non posso non dare ragione a questa per- sona mentre l’aggiorno su quanto stiamo facendo in previsione che tale traguardo venga raggiunto. Gli mostro il foglio con il bilancio par- rocchiale dello scorso anno là dove, con il parere del Consiglio per gli affari economici della Parrocchia, si propone ai parrocchiani l’opportu- nità di porre mano al restauro dello strumento che da anni aspetta che qualcuno vi ponga mano. Qualche piccola offerta è già arrivata a tenere viva la speranza di poterci incam- minare verso il costoso traguardo: con il contributo dei parrocchiani e, perché no, con l’appoggio di qualche generoso benefattore, tale intervento non sarà poi così tanto lontano. *** Carità significa l’amore con il quale noi amiamo Dio, noi stessi e il pros- simo. Così ne parla il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La carità è la virtù teologale per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per se stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio»; essa «ha come frutti la gioia, la pace e la misericordia; esige la generosità e la correzione fraterna; è benevolenza; suscita la reciprocità, si dimostra sempre disinteressata e be- nefica; è amicizia e comunione». Sono frutti garantiti per chi vuol vivere la carità, che non riducibile alla sola ele- mosina. E’ la grande virtù teologale che caratterizza il vivere cristiano. *** “La cattiva notizia è che il tempo vola. La buona notizia è che tu sei il pilota”. Ormai l’estate è alle spalle: forse avevamo tante attese e tante speranze durante le giornate più lun- ghe dell’anno. Ora tutto è passato e siamo invitati a guardare avanti im- parando ad attribuir il giusto valore al tempo, indipendentemente da quanto ne abbiamo a disposizione. Non solo per evitare di perderlo inutilmente, ma anche per spenderlo bene. Armstrong, l’astronauta dello sbarco sulla luna, saggiamente ci suggeri- sce: “credo che ogni essere umano abbia a disposizione un numero li- mitato di battiti del cuore: Io non intendo sprecare nessuno dei miei”. Ogni bene a tutti i lettori di questa nostra proposta di dialogo. don Diego

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Anno VI • n. 3 • AUTUNNO 2018

Tra luci e ombreUna signora sta andando verso

casa con una pesante confe-zione di latte parzialmente scremato e si vede arrivare davanti un ragaz-zino, forse di quinta elementare, che le dice: “Signora, posso aiutarla?”. Quella signora accetta volentieri quella collaborazione così inattesa e gradita. Giunta a casa raccolta alle vicine di quest’incontro: “quel bam-bino non ha aspettato che qualcuno gli dica di aiutare una persona in dif-ficoltà; lo ha fatto spontaneamente ma, di sicuro in casa avrà imparato dai suoi genitori ad essere attento, premuroso e gentile. Non tutti i ra-gazzi sono superficiali!”.

*** “Scusi, reverendo, ma in questo paese non ci sono bambini?”.Così mi disse una turista mentre at-traversavo Piazza Tiziano; mentre mi chiedevo il perché di quella domanda e tentavo una risposta, quella signora continuò: “Sono alcune sere che par-tecipo alla Messa e non vedo nessun chierichetto. Nella mia Parrocchia c’è sempre una “folla di chierichetti attorno all’altare”. Ho tentato una risposta ma mi sono accorto di non essere riuscito a dare una spiega-zione accettabile a quella turista.

*** “Bella la vostra Chiesa, ma sarà ancor più bella quel giorno che en-trerò e sarò accolto dal maestoso e solenne suono dell’organo!”. Non posso non dare ragione a questa per-sona mentre l’aggiorno su quanto stiamo facendo in previsione che tale traguardo venga raggiunto. Gli mostro il foglio con il bilancio par-rocchiale dello scorso anno là dove, con il parere del Consiglio per gli affari economici della Parrocchia, si propone ai parrocchiani l’opportu-

nità di porre mano al restauro dello strumento che da anni aspetta che qualcuno vi ponga mano. Qualche piccola offerta è già arrivata a tenere viva la speranza di poterci incam-minare verso il costoso traguardo: con il contributo dei parrocchiani e, perché no, con l’appoggio di qualche generoso benefattore, tale intervento non sarà poi così tanto lontano.

*** Carità significa l’amore con il quale noi amiamo Dio, noi stessi e il pros-simo. Così ne parla il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La carità è la virtù teologale per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per se stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio»; essa «ha come frutti la gioia, la pace e la misericordia; esige la generosità e la correzione fraterna; è benevolenza; suscita la reciprocità, si dimostra sempre disinteressata e be-nefica; è amicizia e comunione». Sono frutti garantiti per chi vuol vivere la

carità, che non riducibile alla sola ele-mosina. E’ la grande virtù teologale che caratterizza il vivere cristiano.

*** “La cattiva notizia è che il tempo vola. La buona notizia è che tu sei il pilota”. Ormai l’estate è alle spalle: forse avevamo tante attese e tante speranze durante le giornate più lun-ghe dell’anno. Ora tutto è passato e siamo invitati a guardare avanti im-parando ad attribuir il giusto valore al tempo, indipendentemente da quanto ne abbiamo a disposizione. Non solo per evitare di perderlo inutilmente, ma anche per spenderlo bene. Armstrong, l’astronauta dello sbarco sulla luna, saggiamente ci suggeri-sce: “credo che ogni essere umano abbia a disposizione un numero li-mitato di battiti del cuore: Io non intendo sprecare nessuno dei miei”. Ogni bene a tutti i lettori di questa nostra proposta di dialogo. don Diego

Sentieri2

In un clima di serenità e di commo-zione, presso il santuario del Cristo Crocifisso di Pieve di Cadore il 26 giugno, è stato celebrato il 50° di sacerdozio dei nostri presbiteri dio-cesani. Il Vescovo aveva convocato in que-sto luogo significativo della fede in Cadore don Maurizio Doriguzzi, don Gemo Bianchi, don Sandro Capraro, don Luciano Saviane, don Gino Dal Borgo e don Natale Trevisan: tutti in-sieme per lodare il Signore e ringra-ziarlo del cammino vissuto in tante Parrocchie della Diocesi. La celebra-zione della Messa è stata preceduta da un incontro tra di loro, incontro animato dal Vescovo che ha solle-citato ognuno dei « festeggiati » a evidenziare un aspetto significativo della loro esperienza. Il tutto poi è stato portato all’altare nella consapevolezza che «grandi cose ha fatto il Signore per noi». L’arcidiacono del Cadore aveva in-

Cinquant’anni di sacerdozio

vitato i parrocchiani a unirsi alla pre-ghiera di ringraziamento per il dono del sacerdozio; non è mancato inoltre la preghiera in ricordo di don Anto-nio Perotto, don Vincenzo Da Ronch e don Giuseppe Capraro. Erano altri anni quando, nel 1968, si poteva con-tare su 8 novelli presbiteri! « Una ce-

lebrazione così partecipata e intensa è stata veramente un dono per tutti »: così ha commentato uno dei fedeli presenti. La ricorderanno certamente i « festeggiati » che si preparano a vivere altri momenti intensi e ricono-scenti all’interno delle loro comunità parrocchiali nei prossimi giorni.

Qualcuno pensa che la fiducia sia facile da pretendere, difficile da concedere, veloce da perdere, impossibile da ricuperare. E in effetti, anche nella Chiesa, c’è chi in fretta chiede e in fretta offre fiducia agli altri. Poi capita, però, che alla prima difficoltà si pente e allontana chi prima voleva al proprio fianco. Corrisponde in qualche modo a ciò che avviene nel celebre racconto dei ricci che d’inverno, mossi dal desiderio di scaldarsi, si avvicinano troppo e si pungono a vicenda. Allora spaventati si allontanano così che molto presto il freddo li assale. Allora per tentativi successivi, si riavvicinano e trovano una giusta distanza che permette loro di scaldarsi reciprocamente ma senza pungersi. E’ una bella metafora perché così è per la stima conferita alle persone. Non dev’essere un atto immediato, frutto della prima impressione o dei semplici sentimenti. È necessario che diventi un gesto maturo, frutto di riflessione e di serenità. Ci vogliono decenni per conoscere una persona: chi vuol fare in fretta incorre negli sbagli. Celebre fu Enrico VIII che al suo fianco volle un ministro saggio. Gli invidiosi convinsero il re che quel consigliere era pericoloso e il sovrano inglese gli fece tagliare la testa. Le cronache narrano che per tutta la vita Enrico si pentì della scelta fatta e si rimproverò di aver ucciso l’uomo che più l’aveva aiutato. Di “Enrico VIII”, a ben vedere, oggi è pieno il mondo.

d.G.

La crisi di vocazioni al sacerdozio è evidente. Alcuni credono che se i preti potessero sposarsi molti acco-glierebbero la chiamata. Alla prova dei fatti, però, vale il contrario. Ho incontrato a Gerusalemme un prete cat-tolico come me: celebrava Messa e confessava. Appar-teneva però al rito maronita che da sempre ammet- te la possibilità di sposarsi prima dell’ordinazione. Eppure quel prete ci confermava che i maroniti hanno una crisi di vocazioni più grave della nostra. Nel loro caso, infatti, non solo il maschio deve avere la chiamata al sacerdozio, ma anche la sua sposa dev’es-sere disponibile a vivere il Vangelo in modo radicale. Si tratta di una sorta di vocazione di coppia, un fatto difficile da trovare. A me pare che la crisi delle vocazioni non stia nella semplice fatica del celibato, ma abbia altre due ragioni. La prima riguarda l’uomo moderno, che fatica a fare una scelta stabile e duratura. Sono crollati i matrimoni, sia laici che religiosi, sono diminuite le nascite, ossia la vocazione ad essere genitori e, in linea generale, ogni scelta definitiva è in crisi. La gente cerca libertà e reversibilità. Non ne andremo fuori finché non sarà chiaro che, senza stabilità, non ci si realizza. E una seconda ragione di crisi a mio modesto pa-rere riguarda il fatto che lo stile di vita di noi preti non risulta affascinante e gioioso. Forse andava me-glio quando il prete restava in una sola parrocchia e non cambiava da una comunità all’altra. Il suo ruolo diventava più paterno: aveva celebrato il matrimonio dei nonni, dei genitori e il battesimo dei nipoti. La sua persona acquisiva un volto, a mio parere, più umano, credibile, compiuto.

d. G.

Vocazioni in crisi: alcune cause L’immagine dei ricci

Sentieri 3

L’estate è tempo d’incontri programmati ma anche inattesi: amici e conoscenti da tempo lontani s’incontrano e rinsaldano amicizie e progetti, persone nuove en-trano nella nostra storia personale. A me è capitato d’incontrare un turista che, av-vicinandomi con un foglio mi ha invitato a leggere e riflettere su quanto Papa Fran-cesco ha suggerito alla Chiesa presente in Italia alla conclusione del Convegno di Firenze nell’autunno del 2015.

Ho pensato di pubblicare la riflessione perché contiene alcuni spunti che c’inte-ressano da vicino mentre stiamo vivendo la realtà parrocchiale. Leggendo e riflet-tendo sui cinque verbi potremo trovare alcune linee di coinvolgimento del nostro vissuto in relazione all’incoraggiamento per essere una “chiesa in uscita”.

Vale la pene chiedersi: quale verbo parla di me e parla a me? Quali verbi non ho mai preso in considerazione? Quale verbo possiamo riscoprire a casa nostra? Quale verbo è più urgente per la nostra Comunità? Il primo verbo è uscire: prima di tutto le nostre comunità devono essere acco-glienti, ma non basta; le nostre parrocchie devono uscire, andare verso gli altri, an-dare incontro a tutti, credenti e non cre-denti, praticanti e non praticanti, cristiani e non cristiani e « creare ponti» tra le per-sone e le nostre comunità parrocchiali per « creare un ponte» tra loro e Gesù Cristo.

Il secondo verbo è annunciare: il pas-saggio successivo, dopo l’incontro e l’accoglienza verso tutti, è annunciare la persona e il Vangelo di Gesù Cristo, con la catechesi, con i moderni mezzi di co-municazione, con la testimonianza della vita dei credenti.

Il terzo verbo è abitare: le nostre comu-nità sono chiamate ad essere radicate nel territorio; questo significa che i laici non sono chiamati soltanto a portare avanti le attività parrocchiali, ma soprattutto a im-pegnarsi nella società, negli ambiti ammi-nistrativi, politici, culturali, mettendo in pratica la carità evangelica.

Il quarto verbo è educare: come una famiglia di famiglie, la comunità parroc-chiale ha il compito di educare tutti i suoi figli. Questo significa sostenere e aiutare i genitori nell’educazione dei figli, farerete con le diverse istituzioni educative presenti sul territorio, per trasmettere alle giovani generazioni le virtù umane e cristiane, le buone abitudini e i modi di pensare e di agire, che formino «buoni cristiani e buoni cittadini» (san Giovanni Bosco). Il quinto verbo è trasfigurare: le no-stre parrocchie non sono e non devono diventare organizzazioni assistenziali; per questo devono ricordarsi anche in futuro del posto centrale che occupano la liturgia, la preghiera, i sacramenti; le famiglie sono invitate a trovare tempi e spazi di preghiera, dove si fa esperienza dei « segni liturgici» come l’ascolto, il silenzio, la condivisione, il perdono e il rendimento di grazie.Questo non significa che ci sono due Chiese, una rivolta al suo interno attra-verso la preghiera,la liturgia, e una impegnata a uscire

verso le periferie esistenziali, ma che vi è un’unica Chiesa che prega e fa pasto-rale missionaria anche attraverso la ce-lebrazione dei sacramenti. Trasfigurare significa quindi che la liturgia investe la vita quotidiana dei fedeli, perché at-traverso la pastorale dei sacramenti le nostre comunità cristiane sono condotte agli incroci delle strade, dove si incontra l’umanità reale.

Cinque verbi scomodi ma necessari

L’INVITO DEL PAPAEVANgELII gAuDIum N. 49

“Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo. Ripeto qui per tutta la Chiesa ciò che molte volte ho detto ai sacerdoti e laici di Buenos Aires: preferi-sco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze.

Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li ac-colga, senza un orizzonte di senso e di vita.

Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentia-mo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitu-dine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37).

La memoria di Dio Una donna riteneva che Dio le ap-parisse in visione. Andò quindi a con-sigliarsi dal proprio vescovo. Il buon presule le fece la seguente racco-mandazione: «Cara signora, lei forse sta credendo a delle illusioni. Deve capire che in qualità di vescovo della Diocesi sono io che posso decidere se le sue visioni sono vere o false».«Certo, Eccellenza».«Questa è una mia responsabilità, un mio dovere».«Perfetto, Eccellenza».

«Allora, cara signora, faccia quello che le ordino».«Lo farò, Eccellenza».«La prossima volta in cui Dio le ap-parirà, come lei sostiene, lo sotto-ponga a una prova per sapere se è realmente Dio».«D’accordo, Eccellenza. Ma qual è la prova?».«Dica a Dio: “Rivelami, per favore, i peccati personali e privati del signor vescovo”. Se è davvero Dio ad ap-parirle, costui le rivelerà i miei pec-cati. Poi, torni qui e mi racconti cosa avrà risposto; a me, e a nessun altro. D’accordo?».«Farò proprio così, Eccellenza».

Un mese dopo, la signora chiese di essere ricevuta dal vescovo, che le domandò: «Le è apparso di nuovo Dio?».«Credo di sì, Eccellenza».«Gli ha chiesto quello che le ho or-dinato?».«Certo, Eccellenza!».«E cosa le ha risposto Dio?».«Mi ha detto: “Di’ al vescovo che i suoi peccati io li ho dimenticati”».

«Dio è più grande del nostro cuore» (1 Giovanni 3,20).

Sentieri4

Vittorio Bolcato ha consegnato in Parrocchia, per l’archivio, una sua importante ricerca su Pietro Mareno Aleandro, un nostro arcidiacono della fine del 1400. Ho pensato che alcune pagine di questa ricerca po-tessero interessare anche i lettori di “Sentieri” e suscitare un interesse e una curiosità su un mondo lontano ma sempre attuale per chi voglia comprendere l’oggi. Ecco, allora, una prima puntata di questo... tuffo nel passato.

Vittorio BolcatoPIETRO MARENO ALEANDRO

(1470-1540)UMANISTA, EPIGRAFISTA, DECRETORUM DOCTOR,

PRESBITERO,CANONICO DI AQUILEIA,

CÈNEDA, CIVIDALE, BELLUNO,

ARCIDIACONO DEL CADORE, VICARIO GENERALE E LUOGOTENENTE

DEL CARD. NICOLÒ RIDOLFI VESCOVO DI VICENZA

1. Premessa Già dal titolo appare l’interessante e complessa personalità di Pietro Ma-reno Aleandro. La sua attività pastorale è ampiamente documentata e studiata, come lo è quella umanistica. In Ca-dore, dove era arcidiacono e pievano di Santa Maria nascente di Pieve, sono conservati e pubblicati i suoi verbali delle visite pastorali effettuate e pure le sentenze emanate. Anche a Vicenza sono conservati presso l’Archivio dio-cesano i verbali di oltre un centinaio di visite pastorali alle parrocchie, chiese e monasteri fatte dall’Aleandro negli anni in cui era vicario generale e luo-gotenente del card. Nicolò Ridolfi. I filologi conoscevano, prima che fosse tolto dal cono d’ombra in cuiera avvolto, «Pietro Mareno Aleandro come il fantomatico Petrus Leander, personaggio senza volto e senza storia che invece rivendica un suo posto ben definito» .

Perché occuparsene ancora? In Ca-dore, per esempio, non è conosciuta la sua attività pastorale a Vicenza, come non lo è quella svolta in Cadore e a Cèneda per Vicenza; gli umanisti poco o nulla conoscono dell’Aleandro

UN TUFFO NEL PASSATO

presbitero. Lo scopo dunque di que-sto saggioè quello di riunire le tessere sparse del mosaico per ricomporre la figura di questo illustre personaggio…

2. La sua vita… Presbitero in carriera tra Roma, il Cadore, Vicenza e Cèneda Pietro fu ordinato presbitero a Roma nell’aprile 1511. Dopo soli due mesi, il 28 giu-gno, fu da mons. Matteo, vescovo di Gerusalemme e governatore di Cesa-rea, nominato vicario generale per le diocesi di Cèneda, Treviso, Padova e Vicenza, con la facoltà di conferire be-nefici e riscuotere le rendite di quelli vacanti 39.

Nel 1515 il card. Domenico Grimani patriarca di Aquileia, che risiedeva a Roma, lo nominò suo segretario e poi gli affidò l’aministrazione della chiesa collegiata di San Marco in Roma. Per la competenza e zelo dimostrati,fu ricompensato con la collazione del beneficio di Campomolino presso Oderzo. Il 20 settembre 1516 il Gri-mani gli conferì anche quello della chiesa matrice di Santa Maria nascente di Pieve e l’arcidiaconato del Cadore: nomine che irritarono molto il Con-siglio della Magnifica Comunità di Cadore che si vide usurpato dei suoi antichi diritti e prerogative.

Il Consiglio, dopo un braccio di ferro con il patriarca, accettò la nomina

dell’Aleandro purché la collazione non avesse da costituire pregiudizio allo jus eligendi della Magnifica Comunità di Cadore.

Le motivazioni del patriarca sulla scelta dell’Aleandro alla guida dell’ar-cidiaconato del Cadore sembrano es-sere state dettate dai contrasti e liti che sorgevano frequentemente tra le chiese e le regole che aspiravano a emanci-parsi dalla chiesa madre di Pieve a causa di arcidiaconi poco capaci e di scarse virtù sacerdotali. Per questi mo-tivi il patriarca aveva scelto l’Aleandro che, più di altri, poteva garantire una guida pastorale forte e sicura.

Il 15 luglio 1521 Pietro fu nomi-nato canonico di Aquileia e nel 1525 anche di Cèneda, dove dal gennaio di quell’anno aveva fisssato la sua resi-denza ricoprendo la carica di vicario generale. Fino a questa data l’Alean-dro risiedeva prevalentemente a Roma con il cardinale Domenico Grimani. Non deve meravigliare come prima del Concilio di Trento fosse prassi usuale conferire ad una singola persona una pluralità di prebende e bene\ci senza obbligo di residenza e di cura d’anime; per tale motivo anche Pietro governava per mezzo di vicari, ma non esitava a scrivere ai fedeli del Cadore «che anche da lontano io vedo»: quindi vigilanza paterna ma incessante, con-vinta e sincera. Il 27 gennaio 1525 da Cèneda l’Aleandro annunciava ai pievani cadorini la visita pastorale alle loro chiese. Salito in Cadore il 5 aprile convocò per il successivo 8 aprile

Sentieri 5

CONVERTIRSI ALLA REALTA’«Dio, concedimi la serenità

di accettare le coseche non posso cambiare,il coraggio di cambiare

le cose che posso,e la saggezza per conoscerne

la differenza.Vìvendo un giorno per volta;

assaporando un momento per volta;

accettando la difficoltà come sentiero per la pace.

Prendendo, come Lui ha fatto,questo mondo peccaminoso

così com’è,non come io vorrei che fosse.

Confidando che Egli metterà a posto tutte le cose,

se io mi arrendo al Suo volere.Che io possa essere

ragionevolmente felice in questa vita,

e infinitamente felice con Lui per sempre nella prossima.

Amen»

(Reinhold Niebuhr)

“Se vuoi costruire una barca,non radunare uomini per tagliare

legna, dividere i compiti e impartire ordini;

ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito”.

Antoine de SAint-exupéry

i pievani ai quali chiese di esibire le bolle delle loro nomine ricordando che era loro dovere istruire populum quod dicant credo quo confitentur Deo, ar-ticulos !dei et dominicam orationem et salutationem angelicam et quod essent devoti Deo et beate Virgini et caveant a blasfemia, superstitionibus, usuris et a peccatis enormibus e che dovevano dare il buon esempio vivendo nel ti-more di Dio.

Lo stesso Aleandro durante la visita insegnava ai fedeli convocati nelle varie chiese gli elementi fondamentali della dottrina cristiana spiegando il Padre nostro, il Credo e l’Ave Maria. Visitò per prima la chiesa matrice di Santa Maria di Pieve e nei giorni se-guenti San Tomaso di Pozzale, San Biagio di Calalzo, San Bartolomeo di Nebbiù, Sant’Andrea di Damos, San Michele di Caralte. La visita pa-storale riprese il 14 luglio 1528 con la chiesa di San Nicola di Perarolo e poi San Giorgio di Domegge, la pieve di San Vito con le chiese soggette dei Santi Simone e Giuda di Borca e Santa Lucia di Vodo. Visitò poi le chiese di San Lorenzo di Lozzo, Santi Ermagora e Fortunato di Lorenzago, San Martino di Vigo, Santa Giustina e la cappella di Santa Caterina di Auronzo, Santo Stefanoin Comelico e le altre chiese e cappelle: San Giacomo, Santi Pietro e Paolo, San Nicola, Santi Osvaldo e Rocco di Dosoledo, San Luca di Padola, Santa Maria di Candide, Sant’Antonio e San Luca. L’ultimogiorno di luglio visitò la chiesa dei Ss. Sebastiano e Rocco a Danta. Nel mese di agosto rivisitò le chiese di Calalzo, di Pozzale, Domegge, Nebbiù e Valle (visitate nel 1525). L’11 ago-sto si recò a Cibiana dove visitò per la prima volta la chiesa di San Lorenzo e poi il 16 agosto 1528 con la chiesa di Ospitale.

(continua)

Da un anno all’altro L’estate dello scorso anno era iniziata

con il grosso cantiere presente in Chiesa per i restauri duranti alcuni mesi. Quest’anno invece abbiamo potuto godere e ammirare il risultato finale degli interventi sulle pareti e su tutto l’impianto elettrico. Non solo l’ospite entra in chiesa e apprezza il lavoro fatto ma anche il parrocchiano che alza lo sguardo e ammira le volte illuminate sia dal sole sia dai numerosi punti luce. Non mancano i complimenti per la nostra bella chiesa. “madre di tutte le chie-se del Cadore”. Le solenni celebrazioni estive hanno trovato nell’edificio sacro una degna cornice per la preghiera che si serve anche dell’arte per esprimere emozioni e situazioni di vita.

Dopo un anno dai restauri posso com-plimentarmi nuovamente con chi ha favorito questo traguardo con la sua grande genero-sità ma voglio esprimere anche il grazie per il gruppo di signore che tengono pulita la chiesa: con la pulizia, con l’addobbo dei fiori, con la raccolta dei fogli liturgici, con il chiudere i portoni dopo le celebrazioni serali. Sono tanti gli ospiti che manifestano apprezzamento per l’ambiente accogliente, pulito e profumato. E’ un gruppo che merita l’incoraggiamento per il servizio ma è un gruppo che può essere rin-forzato con altre persone che si aggiungono: per fare del bene c’è posto per tutti!

Anche il gruppo dei lettori chiede un’at-tenzione specialmente da parte degli uomini; per ora sono le donne che “osano” di più e vanno al microfono per proclamare la Parola di Dio. L’impianto di amplificazione permette di udire bene ciò che si legge: se ci sarà anche qualche voce maschile si udrà ancora meglio e sarà un esempio concreto per i bambini e per i ragazzi.

Questi ultimi saranno sempre i benve-

nuti quando, incoraggiati e seguiti dai genitori troveranno la via della chiesa e una comunità accogliente e contenta di vederli. Per ora, da un anno all’altro, la situazione non è cambiata nel senso che i bambini e i ragazzi continuano ad essere quasi totalmente assenti alle nostre celebrazioni. Li vediamo attenti e commossi il giorno della Messa di Prima Comunione e della Cresima e poi i banchi restano vuoti per tante domeniche. Anche il servizio di chieri-chetti richiede un restauro: mi rendo conto che questa situazione richiederà ancora molto impegno da parte dei genitori, dei nonni e ... del Parroco. Con il sabato e la domenica

abbiamo l’opportunità di tre Messe festive: chi fosse impegnato nello sport può trovare il tempo per condividere la celebrazione della Messa con i genitori e gli allenatori.

Se riusciremo in questi restauri allora la nostra chiesa sarà ancora più bella, sarà accogliente, sarà punto di rifornimento per il nostro vivere con la chiesa al centro della nostra presenza.

Sentieri6

San Girolamo ha ricevuto molti talenti, ma quello che l’ha reso santo non sono state la sua erudizione e abilità di traduttore.Amava Dio, Lo difendeva, Lo ado-rava, Lo contemplava, Gli chiedeva perdono, Lo ringraziava e Lo rac-contava al mondo. Senza risparmio, senza tentennamenti, per l’intera vita.

Santa Caterina da Siena è stata una grande mistica? Certo,ma le estasi sono doni, non talenti, e lei si fece santa curando le piaghe purulente degli ammalati poveri. Non sono state le visioni a fare di Hildegard la grande santache conosciamo, ma il mettere a frutto i mille talenti ricevuti peressere «Luce del suo popolo e del suo tempo», come la definìpapa san Giovanni Paolo II.

Non fu la brillante carriera di fi-losofa che fece di Teresa Benedetta della Croce una grande santa del se-colo scorso, ma l’aver abbracciato la croce fino al martirio.

San Pio da Pietralcina ricevette le stigmate. Lungi dal considerarle un talento da esibire, cosa che gli avrebbe guadagnato il consenso umano, preferì percorrere l’umile via del confessionale, e ascoltando pec-cati a vagoni e tonnellate, ammini-strando il perdono di Dio, guadagnò silenziosamente la via del cielo.

Santa Gianna Beretta Molla aveva un grande talento di medico pediatra, che riusciva a coniugare mirabilmente con l’essere mamma gioiosa e amorevole di tre bimbi. Gianna non esitò a rinunciare a que-sti talenti per guadagnare il talento più prezioso di tutti: amare Dio e amare la vita della quarta figlia oltre la propria stessa vita.Questa è santità.

Leggo ogni giorno nel calendario i nomi dei santi, almeno di quelli più noti che vi sono segnati. Passo mentalmente in rassegna le persone

Hai un compito, anima mia

Hai un compito, anima mia,un grande compito, se vuoi.Scruta seriamente te stessa,il tuo essere, il tuo destino;donde vieni e dove dovrai po-sarti;cerca di conoscere se è vita quella che vivio se c’è qualcosa di più.Hai un compito, anima mia,purifica, perciò, la tua vita:considera, per favore, Dio e i suoi misteri,indaga cosa c’era prima di que-sto universoe che cosa esso è per te,da dove è venuto, e quale sarà il suo destino.Ecco il tuo compito,anima mia,purifica, perciò, la tua vita.(San Gregorio Nazianzeno- Poesie [storiche] 2, 1,78)

l talenti dei santia me vicine che portano quei nomi e mando almeno un sms di auguri, ac-compagnandolo con una preghiera.Se posso, vado a cercare qualcosa della loro storia, scoprendo i mille diversi modi con cui ciascuno di loro ha messo a frutto i propri talenti. Tutti hanno qualcosa da insegnarmi, da tutti ho qualcosa da imparare. Con tutti ho almeno una piccola cosa in comune, magari di striscio: l’età, la biografia, lo stato di vita, le aspi-razioni, le difficoltà, le tribolazioni, l’amore per Dio.Soprattutto mi affascina l’enorme varietà di talenti che Dio sa mettere a disposizione delle creature; mi aiuta a scoprirli in me, mi sprona a usarli bene, a guadagnarne altri, a ritenere possibili quelli che mi sembrano in-arrivabili.

Far memoria dei santi mi aiuta a camminare sulla via della santità, una via che Dio vuole per me, per te, per tutti noi.«Mi piace vedere la santità nel po-polo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane-che continuano a sorridere.In questa costanza per andare avanti

giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante.Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’ altra espressione,“la classe media della santità”.»(papa Francesco, Gaudete et exsul-tate n. 7)

Per chi partecipa alle nostre liturgie in santa Maria, quest’immagine è ben conosciuta: è un parti-colare dell’altare ligneo, molto antico, sul quale celebriamo l’Eucaristia. Da sinistra a destra sono raffigurati: santo Stefano con il simbolo dei sassi con i quali è stato lapidato, sant’Andrea con la caratteristica croce, san Giacomo riconoscibile per la conchiglia del viandante, san Lorenzo con la graticola, simbolo del suo martirio.

Sentieri 7

La vera religione e il rispetto

di Carlo Maria Martini

Due giovani decisero la data del loro matrimonio. Si erano messi d’accordo con il parroco per te-nere un piccolo ricevimento nel cortile della parrocchia, fuori della chiesa. Ma si mise a pio-vere, e non potendo tenere il ri-cevimento fuori, i due chiesero al prete se era possibile festeggiare in chiesa. Ora, il parroco non era affatto contento che si festeggiasse all’interno della chiesa, ma i due dissero: “Mangeremo un po’ di torta, canteremo una canzoncina, berremo un po’ di vino e poi an-dremo a casa”.

Il parroco si convinse. Ma es-sendo gli invitati dei bravi italiani amanti della vita, bevvero un po’ di vino, cantarono una canzon-cina, poi bevvero un altro po’ di vino, cantarono qualche altra canzone, e poi ancora vino e altre canzoni, e così dopo una mezz’ora in chiesa si stava festeggiando alla grande. Tutti si divertivano da morire, godendosi la festa. Ma il parroco, tesissimo, passeggiava avanti e indietro nella sacrestia, turbato dal rumore che gli invitati stavano facendo.

Entrò il cappellano che gli disse: “Vedo che è molto teso”. “Certo che sono teso! Senti che rumore stanno facendo, proprio nella casa del Signore! Per tutti i Santi!”. “Ma Padre, non ave-vano davvero alcun posto dove andare!”. “Lo so bene! Ma è as-solutamente necessario fare tutto questo baccano?”. “Bè, in fondo, Padre, non dobbiamo dimenti-care che Gesù stesso ha parteci-pato una volta ad un banchetto di nozze”.

Il parroco risponde: “So benis-simo che Gesù Cristo ha parte-cipato ad un banchetto di nozze, non devi mica venirmelo a dire tu! Ma lì non avevano il Santo Sacramento!”.

Con il palio estivo: una riuscita festa dei paesi

“Quanto meno abbiamo, più diamo. Sembra assurdo, però questa è la logica dell’amore.”

MADRE TERESA DI CALCUTTA

Sentieri8

L’ACCOGLIENZA AI CICLISTI IERI E OGGI

La “Ciclabile delle Dolomiti” è cer-tamente una preziosa realizzazione turistica per la promozione del no-stro territorio.

In questi anni stiamo osservando un crescendo d’interesse e di parte-cipazione di ciclisti che transitano e si soffermano in tante località ap-prezzandone le caratteristiche e le bellezze artistiche e paesaggistiche. Sta aumentando il numero di ciclisti provenienti dal mondo tedesco ed è interessante notare che si tratta non di atleti e sportivi professionisti ma di gente comune: giovani e adulti, alle volte anche anziani. Noi siamo ancora troppo legati alla macchina per spostarci e ci vorrà del tempo per

cambiare le abitudini. Nel frattempo è necessario migliorare la nostra ac-coglienza ai ciclisti che arrivano in Piazza Tiziano. Si guardano attorno in cerca d’un posto per “posteggiare” la bicicletta e non trovano nulla o quasi.

Se la Ciclabile è una interessante novità nel panorama turistico della montagna, allora è urgente pensare a come rispondere a questa novità con strutture adeguate, mezzi utili e poi tanta fantasia. Molto apprezzata è stata la nuova segnaletica lungo il percorso ciclabile: un invito a vi-sitare Pieve con la sua storia, l’arte e la vitalità d’un importante centro montano.

“La vita è come andare in bicicletta. Per mantenere l’equilibrio devi muoverti”.

(Albert Einstein)

“Una bicicletta può ben valere una biblioteca. La bicicletta siamo noi, che vinciamo lo spazio e il tempo: soli, senza nemmeno il contatto con la terra che le nostre ruote sfiorano appena”.

(Alfredo Oriani)

“Ogni volta che vedo un adulto in bicicletta penso che per la razza umana ci sia ancora

speranza”. (Herbert George Wells)

Sentieri 9

SENZA FRETTAPrenditi tempo per pensare perché questa è la vera forza dell’uomo.

Prenditi tempo per leggere perché questa è la base

della saggezza.Prenditi tempo per pregare perché questo è il maggior

potere sulla terra.Prenditi tempo per ridere perché il riso è la musica

dell’anima.

Prenditi tempo per donare perché il giorno è troppo corto

per essere egoista.Prenditi tempo per amare

ed essere amatoperché questo è il privilegio

dato da Dio.Prenditi tempo

per essere amabile perché questo è il cammino

della felicità.Prenditi tempo per vivere!

AL SIGNOR GIUSEPPE CASAGRANDE

NEO SINDACO DI PIEVE DI CADORE

All’inizio della nuova esperienza amministrativa per il nostro Co-mune desidero complimentarmi con Lei per il traguardo raggiunto nelle recenti elezioni; nello stesso tempo le invio i migliori auguri per il ser-vizio che sta per iniziare a svolgere in favore del bene comune. Sono convinto che, specie in que-sto periodo, l’impegno che Lei si è assunto e che i Cittadini hanno apprezzato nella campagna eletto-rale, non sia facile non solo per le scarse risorse economiche ma spe-cialmente per la difficoltà di trasfor-mare il Comune nella casa di tutti: una casa dove i problemi di tutti trovino una risposta, un incoraggia-mento, un accompagnamento e, se possibile, una positiva soluzione.. In questo suo compito di attenzione e di dialogo con tutti, Le auguro di

avere validi Collaboratori, capaci di essere punto di riferimento non solo per Pieve ma anche per le realtà so-ciali del Territorio Cadorino. Con-vinto che il servizio amministrativo e alla vita politica sia un’alta forma di carità, le assicuro che seguirò il suo mandato con la preghiera presso Colui che è la nostra pace.

Non ho alcuna campagna eletto-rale da svolgere nel mio servizio sacerdotale se non l’impegno di essere cittadino di Pieve che vede nelle Istituzioni uno strumento di promozione per tutti i Cittadini e per tutta la persona: compito non facile ed è per questo che non man-cherà il sostegno, la stima e, se ne-cessario, anche l’attenzione critica e costruttiva.

Le auguro un buon lavoro insieme ai Suoi Collaboratori per il bene dei Cittadini che avranno certamente tante attese nella nuova Ammini-strazione; nello stesso tempo Le auguro d’avere Cittadini onesti e volonterosi per costruire, ogni giorno, una Pieve laboriosa, acco-gliente e all’altezza del suo glorioso passato.Buon lavoro.

Pieve di Cadore, 15 giugno 2018Mons. Diego Soravia - Parroco

UN’ALTA FORMA DI CARITà Ci sono domande? Un professore terminò la lezione, poi pronunciò le parole di rito: «Ci sono domande?» Uno studente gli chiede: «Professore, qual è il significato della vita?». Qualcuno, tra i presenti che si ap-prestavano ad uscire, rise. Il pro-fessore guardò a lungo lo studente, chiedendo con lo sguardo se era una domanda seria. Comprese che lo era. «Le risponderò». Estrasse il portafoglio dalla tasca dei pantaloni, ne tirò fuori uno spec-chietto rotondo, non più grande d’una moneta. Poi disse: «Ero bambino durante la guerra. Un giorno, sulla strada, vidi uno specchio andato in frantumi. Ne conservai il frammento più grande. Eccolo. Comin-ciai a giocarci e mi lasciai incantare dalla possibilità di dirigere la luce ri-flessa negli angoli bui dove il sole non brillava mai: buche profonde, crepacci, ripostigli. Conservai il piccolo specchio. Diventando uomo, finii per capire che non era soltanto un gioco di un bam-bino, ma la metafora di quello che avrei potuto fare nella vita. Anch’io sono un frammento di uno specchio che non co-nosco nella sua interezza. Con quello che ho, però, posso mandare la luce - la verità, la comprensione, la conoscenza, la bontà, la tenerezza- negli angoli bui del cuore degli uomini e cambiare qual-cosa in qualcuno. Forse altre persone vedranno e fa-ranno altrettanto. In questo per me sta il significato della vita». Bruno Ferrero

Sentieri10

Le frasi per la coppia

"Ti amo"."Prega per me"."Avevo torto".

"Oggi dirò una preghiera per te".

"Bel lavoro!".

"Anche oggi hai un bell'aspetto".

"Che cosa vorresti?"."Grazie del tuo amore".

"Sei meravigliosa"."Mi fido di te".

"Cosa ti preoccupa?".

"Posso sempre contare su di te".

"È stato fantastico"."Grazie perché mi accetti

come sono"."Racconta: ti ascolto"."Mi fai sentire bene"."Sei così importante".

"Tu mi rallegri le giornate"."Oggi mi sei mancata".

"Ogni momento con te è prezioso".

"Cosa posso fare per aiutarti?"."Scusami".

"Oggi non riuscivo che a pensare a te".

"Mi piacciono i tuoi occhi, che brillano

quando sorridi"."Apprezzo tutte le cose

che hai fattoper me in questi anni".

N.B. Papa Francesco ha condensato il tutto in tre parole, da usare spessoin famiglia: “Permetti! ScuSa! Grazie!”.

Nei giorni scorsi, nei pressi di casa, ho incontrato Letizia, una signora rimasta da poco vedova, dopo tanti anni di matrimonio. L’ho vista tri-ste affaticata e allora Le ho chiesto, ricordando il marito da poco scom-parso che aveva tanto amato di rac-contarmi, come si erano incontrati. Ricordando quel fatti lei si è subito animata ed ha sorriso - Letizia ha davvero un sorriso bellissimo.

Mi ha raccontato che non aveva ancora 20 anni ed era a servizio come cuoca presso una famiglia con 2 bambine in Sardegna, sua re-gione nativa; la famiglia decise di venire a trascorrere una intera estate in montagna, scelse il Cadore, per sfuggire alla calura estiva: le bam-bine avevano rispettivamente 4 e 7 anni. Avevano trovato alloggio in un appartamento, proprio all’inizio di Via Calvi, in centro di Pieve, giusto a ridosso del fabbricato, ora Museo dell’Occhiale, che, a quel tempo, era la sede del Casinò delle Feste e del Cinema “Principe”. Proprio qui lavo-rava la sera, Luigi, come operatore e montatore di pellicole. La finestrella della cabina dell’operatore si affac-ciava proprio sulle finestre dell”ap-partamento abitato da Letizia e dalla famiglia di cui era ospite.

“Per Lui, quando mi ha vista, è stato un vero colpo di fulmine” mi riferisce Letizia, “non mi ha più “mollato”. Io invece ero molto pru-

dente, non ero ancora maggiorenne, ero del tutto inesperta, ma Lui, per farmi capire la serietà del suo sentimento, mi portò a conoscere i suoi genitori. In quelle settimane d’estate ero anche rimasta sola con le due bambine, i genitori erano an-dati a farsi un giro nelle montagne vicine e, pertanto, avevo anche la responsabilità di accudire alle pic-cole! Luigi mi aiutò molto con la sua costante presenza e imparai ad apprezzarlo per la sua gentilezza e per il suo modo così affascinante di starmi vicino con rispetto. Finirono le vacanze e ritornai in Sardegna, ma dopo poche settimane, lui venne a casa dal miei genitori e mi chiese di sposarlo.

Così ritornai in Cadore e non me ne sono più andata. Ho formato con lui la mia famiglia e sono stata fe-lice” nella buona e nella cattiva sorte” Adesso che lui se n’è andato mi sembra impossibile di non poterlo più vedere, lo penso sempre e il suo ricordo è nel mio cuore e nella mia mente”.

Cara Letizia è davvero un amore senza fine perché i sentimenti che ci legano a coloro che perdiamo in que-sta vita terrena sono più forti della morte! Noi credenti, sappiamo che ci rivedremo ancora, ce l’ha promesso il Cristo Risorto, Lui che ci ha creati a sua immagine e somiglianza!

Antonia Ciotti

L’amore senza fine

Sentieri 11

SPOSI IN FESTA

La Comunità ha partecipato con la preghiera alla celebrazione del Matrimonio di GENOVA GIULIA con CAMPI NICO e del Carabiniere PINI ANDREA con SILLETTI ROSA-RIA.

“Signore, con la tua grazia, aiutali a vivere il loro amore”.

Sentieri12

Thomas Leoncini ha intervistato papa Francesco e, come ultima do-manda gli ha chiesto: “Vorrei con-cludere domandandoLe quali sono le caratteristiche che non devono mai mancare in un giovane. Ecco la risposta del Papa: “Entusiasmo e gioia. E da qui si può partire per parlare di un’altra caratte-ristica che non deve mancare: il senso dell’umorismo. Per poter respirare è fondamentale il senso dell’umorismo, che è connesso alla capacità di gioire, di entusiasmarsi. L’umorismo aiuta anche a essere di buonumore, e sesiamo di buonumore è più facile con-vivere con gli altri e con noi stessi. L’umorismo è come l’acqua che sgorga naturalmente gassata dalla sorgente; ha qualcosa in più: si perce-pisce la vita, il movimento.Lo scrittore inglese G.K. Chesterton ha scritto una frase molto rappresen-tativa in proposito: «La vita è cosa troppo seria per essere vissuta seria-mente».

Tutti i giorni, da quasi quarant’anni, chiedo al Signore questa grazia e lo faccio con una preghiera che scrisse san Tommaso Moro. Si chiama Pre-ghiera del buonumore e recita così:Dammi o Signore, una buona dige-stione e anche qualcosa da digerire.Dammi la salute del corpo, col buo-numore necessario per mantenerla.Dammi o Signore, un’anima santa, che faccia tesoro di quello che è buono e puro, affinché non si spa-

venti del peccato, ma trovi alla Tua presenza la via per rimettere di nuovo le cose a posto.

Dammi un’anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri e i lamenti, e non permettere che io mi crucci eccessivamenteper quella cosa troppo invadenteche si chiama “io”.Dammi, o Signore, il senso dell’umo-rismo, concedimi la grazia di com-prendere uno scherzo, affinché conosca nella vita un po’ di gioia e possa farne parte anche ad altri. Così sia. San Tommaso Moro è una figura a cui mi sento davvero legato. Per capire che uomo coraggioso fosse, traboccante di senso dell’umorismo,

Uno sguardo di speranza nei giovanibasta pensare alle sue ultime paro-le:«Questa non ha of feso il re» disse spostandola propria barba in modo che non venisse scalfita nella decapi-tazione.

Tornando alla tua domanda: prima vengono en tusiasmo, gioia, e da qui il senso dell’umorismo, e poi viene la coerenza. Dalla coerenza passa tutto.

Grazie alla coerenza possiamo es-sere credibili, e se siamo credibili possiamo essere amati per ciò che siamo davvero, senza maschere. Quindi la fe condità: donare la vita agli altri. E intendo questo termine in senso lato, non solo l’essere genitori, seppure questo sia molto importante. Intendo an che una fecondità spiri-tuale, culturale. È molto importante che la vita non rimanga senza fecon dità: dobbiamo essere aperti al cambiamento e alle prospettive degli altri, abbiamo bi-sogno dei pen sieri e delle prospettive degli altri, soprattutto se ci raccontano qualcosa di diverso, qualcosa per noi nuovo. A tutti i giovani, ma non solo a loro, dico: non abbiate paura delle di-versità e delle vostre fra gilità; la vita è unica e irripetibile per quello che è; Dio ci aspetta ogni mattina quando ci svegliamo per riconsegnarci questo dono. Custodiamolo con amore, gentilezza e naturalezza”.

-Thomas Leoncini: “Dio è giovane” - Piemme

Maria, donna dell’ascolto, rendi aperti i nostri orecchi; fa’ che sappiamo ascoltare la Paroladel tuo Figlio Gesù tra le mille parole di questo mondo;fa’ che sappiamo ascoltare la re-altà in cui viviamo, ogni persona che incontriamo, specialmente quella che è povera, bisognosa, in difficoltà.

Maria, donna della decisione, illumina la nostra mentee il nostro cuore, perché sap-piamo obbedire alla Paroladel tuo Figlio Gesù, senza tentennamenti; donaci il coraggiodella decisione, di non !asciarci trascinare perché altriorientino la nostra vita.

Maria, donna dell’azione, fa’ che le nostre mani e i nostri piedi si muovano “in fretta” verso gli altri, per portare la carità e l’amore del tuo Figlio Gesù, per portare, come te, nel mondola luce del Vangelo.Amen

Preghiera di papa FrancescoPiazza San Pietro, 31 maggio 2013

Preghiera a Maria, donna dell’ascolto

Sentieri 13

ANAGRAFE DI PIEVE

HANNo comINcIAto A VIVERE coN Il SAcRAmENto

DEl BAttESImo

4. VEcEllIo loRENZo, di Nicola e di Guglielmo Anna, nato a Treviso il 9 giugno 2017 e battezzato in San-ta Maria il 21 luglio 2018.

5. FEDoN lUDoVIco e EDoAR-Do, figli gemelli di Lucio e di Airò Maria Giulia, nati a Treviso il 09 febbraio 2018 e battezzati in Santa Maria il 2 settembre. 6. DE mIcHIEl AlBERto, figlio di Romano e di Tabacchi Adriana, nato a Belluno il 19 aprile e battezzato il 23 settembre.

GIUNtI Al tRAGUARDo DEll’EtERNItA’

19. tABAccHI tERESA, di anni 96, morta a Pieve il 28 giugno.

20. PRAtIco’ coNcEttA, di anni 81, morta a Belluno il 29 giugno.

21. BENEDEt GIoVANNINA, di anni 91, morta a Pieve il 27 luglio.

22. FAlZoNE mARIA, di anni 86, mor-ta a Verona il 2 agosto e sepolta a Pieve.

23. tABAccHI URBANo, di anni 79, morto a Pieve l‘8 agosto.

24. SZUcS NoEmI, nata a Abu Dabi il 29 marzo 2018 e morta a Vicenza il 16 agosto.

25. DA col ANNAmARIA di anni 83, morta a Pieve il 23 agosto.

26. tABAccHI GIoVANNI di anni 86 morto a Firenze il 6 settembre e sepol-to a Pieve il 13 dello stesso mese.

mAtRImoNI

1. Il 3 GIUGNo: PINI ANDREA e SIllEttI RoSARIA, in Santa Maria.

2. Il 7 luglio: cAmPI NIco e GE-NoVA GIUlIA, in Santa Maria.

ANAGRAFE DI PoZZAlE

HANNo comINcIAto A VIVERE coN Il SAcRAmENto DEl BAttESImo

1. FORNI MARTINA, di Si-mone e di Giannone Susy, nata a Belluno il 15 giugno e battezzata a Pozzale il 23 settembre.

GIUNTI AL TRAGUARDO DELL’ETERNITA’

2. AMICO PASQUALE, di anni 72, morto a Padova il 12 giugno e sepolto a Pozzale.

Se non potete essere un pino sulla vetta

del monte,siate un arbusto

nella valle,ma siate

il miglior piccolo arbustosulla sponda del ruscello.

Siate un cespuglio,se non potete essere

un albero.Se non potete essere una via maestra,siate un sentiero.

Se non potete essere il sole, siate una stella;

non con la mole “vincete o fallite”.

Siate il meglio di qualunque cosa siate!”

(Douglas Malloch)

Il trucco della umana esistenza non risiede solamente nel vivere,

ma anche nel sapere per che cosa si sta’ vivendo.

FÎodor Dostoevskij

Sentieri14

Gli anziani hanno una visione della verità molto più completa. Tante volte sono efficaci, ma non vengono creduti. È il dramma di Cassandra: condannata a dire il vero e a non essere mai ascoltata. La Scrittura divina racconta di Simeone che, dopo una vita spesa a cercare Dio, da vecchio riconosce Gesù bambino, Figlio di Dio, fra le braccia della madre in mezzo all’indifferenza generale. La Bibbia ricor-da anche Abramo, Samuele e Mosé, tutti avanti negli anni eppure pronti a ricono-scere gli interventi di Dio perché ricchi di esperienza.

Questa sapienza è frutto di un conti-nuo esercizio di vita. Chi non ha accettato la fatica di essere umiliato per la verità, di aver pagato per essa con la propria carriera o col proprio sudore, non può capire l’im-portanza di essere veri. Non vale sempre il criterio dell’anzianità: si legge per esempio che in Israele ci furono anche bambini come il piccolo Daniele, capaci di giudi-care la verità anche contro due anziani che profittavano della propria condizione di giudici per prevaricare le donne più deboli.

Esiste dunque la possibilità di invec-chiare senza alcuna dignità, distanti da

Per restare in salute La salute non è semplice assenza di malattie, avverte l’Organizzazione Mondiale della Sanità. La salute è uno stato di completo benessere fi-sico, mentale e sociale. E la capacità di mantenere il nostro corpo in con-dizioni ottimali perché possiamo re-spirare aria buona, abbiamo i mezzi per nutrirci, lavarci, proteggerci, abbiamo il sapere che ci serve per condurre uno stile di vita equilibrato. E’ la capacità di sentirsi appagati sotto il profilo affettivo perché diamo giusto spazio ai rapporti umani e fa-miliari, viviamo secondi ritmi di vita compatibili con il nostro orologio biologico ed emotivo, viviamo in contesti urbani e abitativi che facili-tano l’incontro e la condivisione. E’ la capacità di mantenere l’equi-librio psichico perché viviamo in contesti familiari, culturali, sociali, economici dove ci si sente accolti rispettati valorizzati, incoraggiati. La «salute», dunque, non è solo ri-conducibile alla quantità di risorse che riusciam o a destinare ai servizi medici e ospedalieri. La salute è un progetto di società. E con essa c’entra molto il passaggio da un’economia incentrata sul de-naro a un’economia incentrata sulla persona. La salute richiede un ade-guato tempo per il lavoro e un tempo per la famiglia. La salute della persona trova un va-lido sostegno nella cura e nel rispetto della natura, dell’ambiente nonché nel positivo rapporto con gli altri. Così la salute si sposa realmente con la felicità. Poi, certo, la malattia è sempre in agguato e allora qui scatta il diritto alla cura: tutti devono aver la pos-sibilità di essere curati indipenden-temente se sono ricchi o poveri, uomini o donne, giovani o vecchi, si deve esser curati per il solo fatto di esistere. Il riconoscimento dei diritti è lo spartiacque tra civiltà e barbarie. Purtroppo tutto ciò non si sta attu-ando in tutto il mondo.

ogni sapienza. Ma si tratta di eccezioni. È forte la luce di chi è invecchiato con sapien-za e la nostra cultura dovrebbe imparare a rispettarla con riconoscenza.

Verità e compromessiTalvolta uno crede di avere la verità nel cuore e poi si accorge che, intorno a

lui, qualcuno la pensa in modo diverso. Per il quieto vivere si scende a compromessi. Ma il compromesso è un cedimento, non una soluzione. È un gioco al ribasso, dove ciascuno rinuncia a qualche cosa per non avere problemi particolari. Suggerisco al-lora una visione diversa. A pensarci bene né chi parla né chi ascolta ha il possesso della verità.

È necessaria per tutti la pazienza, af-finché la verità si faccia strada nella mente di ciascuno. Ma un conto è parlare del compromesso che abbassa l’asticella dei valori, altro è invece la pazienza, in attesa di una crescita compiuta di tutti. Se con pazienza continuiamo a salire la monta-gna della Verità, prima o poi ci troveremo sopra, uniti, a contemplare il paesaggio che in precedenza ciascuno guardava solo dal proprio versante.

Inizio estate a Pozzale. Ero uscita per la distribuzione del nostro bollettino “Sentieri”e avendo più tempo a dispo-sizione, in una così bella giornata di sole, guardavo con piacere le finestre ed i poggioli così ben arricchiti di fiori. Mentre pensavo che questo rende il nostro paese accogliente per chi arriva e gradevole per chi ci vive, ar-rivo vicino alla nostra Chiesa e li mi sono bloccata: avevo visto “il balcone più bello”....al posto dei fiori c’erano dei fiocchi rosa! Una fotografia che dovevo cogliere e con-dividere.

La notizia dell’arrivo di un nuovo nato è per tutti noi un arricchimento. In tempi come questi dove lo spopo-lamento della montagna, la mancanza di servizi e di lavo-ro sono segni di forte preoc-

cupazione, vedere che nuovi nuclei familiari “mettono su famiglia” come si usava dire, sono un segnale di speranza e di continuità. Non è facile vivere in montagna, lo san-no i giovani che investono in nuove attività, lo sanno i meno giovani che resistono tenendo aperti i piccoli ne-gozi, lo sanno gli anziani che si vedono chiudere i servizi essenziali di assistenza e lo sanno le famiglie di studenti che devono andare a studiare fuori per il costo degli alloggi

e per la mancanza dei servizi di trasporto.

Ma sappiamo anche quanto il nostro cuore sia le-gato a questa terra piena di ri-cordi, di affetti di bellezze che con speranza ed impegno non vogliamo lasciare. Quindi oggi il nostro augurio di tanta serenità e bene va alla nuova arrivata Martina, al fratellino Manuel alla mamma Susi e al papà Simone. Speriamo di vedere presto un altro balco-ne fiorito ...anche con la neve.

Casanova Loredana

A POZZALE: UN BALCONE FIORITO

La sapienza dei vecchi

Sentieri 15

IOẐATempo cianìẑ. L’è duto neolà. L’è ‘n scur che ‘l par deboto nuote!Scomenẑa a starlucà. E, can che starluchea, ien an lustro pì che sée dì! Ei al nas poià su la fenestra. Al fia-dor al se peta sul viero e al disegna fegure che, inbota, le va ia.‘Na ioẑa, sbatesta da la ventera, la se puoia proprio davante ai me guoie. Par vardala ieno starlocio.La vardo che, pian a pian, la sbrisa do.Pian a pian.E, chisà parché, me fa ienì in mente duta la me vita.Da can che, da canaia, me scorẑèo i denuoie a duià al balòn, o can che la mare la me petea parché sbgreeo le barghese a dì su pa i fràsin o par-ché me biandeo duto inte al ru; a la scola, ònde che no studiéo nia, a de adès, che so da che l’autra banda de la catedra.La vita! Che stramba che l’è!Anca iò son tomà ca par caso: i miéi i à fato l’amor e, tra dute chi che pòdèa ienì, son nasésto iò.Avaralo ‘n senso? ‘Na spiegaẑion? No sei. Ma son cà.E chesta ioẑa, come la me vita, la ien do, pian a pian e la se puoia, come dute che le autre, sul barconel.Doman ienarà fora al soroio che la suiarà. Come dute chele autre.E ‘n doman, anca par iò, ienarà la dì che me suiarei.Spero solo de fei ‘n presa, sote guos, senẑa desturbà nisùn.E la ioẑa… la ioẑa… la ioẑa, come iò, pian a pian, sote guos, la sbrissa do….

GOCCIABrutto tempo. E’ tutto annuvolato. C’è uno buio che sembra quasi notte!Cominciano a cadere saette! E quando c’è una saetta, viene una luce più che di giorno!Ho il naso appoggiato sulla finestra. L’alito si spalma sul vetro e disegna figure che, subito, vanno via. Un goccia, sbattuta dal vento, si appog-gia proprio davanti ai miei occhi. Per guardarla divento strabico.La guardo che, piano piano, scivola giù. Piano piano.E, chissà perché, mi fa venire in mente tutta la mia vita.Da quando, da monello, mi sbuc-ciavo le ginocchia giocando a pal-lone o quando mia madre, me le dava perché strappavo i pantaloni arram-picandomi sui frassini o perché mi bagnavo tutto dentro la fontana; alla scuola, dove non studiavo niente, ad adesso che sono dall’altra parte della cattedra. La vita! Che strana che è! Anche io sono caduto qua per caso: i miei hanno fatto all’amore e, tra tutti quelli che potevano arrivare, sono nato io! Avrà un senso?

Una spiegazione? Non so.Ma sono qua. E questa goccia, come la mia vita, viene giù, piano piano e si ferma, come tutte le altre, sul da-vanzale.Domani verrà fuori il sole che la asciugherà. Come tutte le altre.E un domani, anche per me, verrà il giorno in cui mi asciugherò. Spero solo di fare in fretta, sotto voce, senza disturbare nessuno.E la goccia… la goccia… la goccia, come me, piano piano, sotto voce, scivola giù…

Alessandro Sepulcri con la collaborazione di Andrea Da Cortà per la traduzione in Italiano

I VERSI DI ANTONIO CHIADES

E’ stata data alle stampe la fatica lettera-ria di Antonio Chiades con il titolo “Poesie”. I paesani conoscono Antonio per la sua pro-duzione artistica con la quale egli esplora il fascino della terra cadorina ma non solo. I suoi libretti vanno a scavare nel lontano passato della nostra cultura di montagna ma anche nel profondo dell’animo umano.

Anche il giornale “Avvenire” ha pubbli-cato, recentemente, una recensione a firma di Pierangela Rossi intitolata “Attraverso la cruna il mondo compiuto dei versi di Chiades”. Ecco un piccolo accenno: “Ogni poesia ci lascia come dopo un lavacro lustrale. ogni poesia è un mondo a sé compiuto, una storia, un acca-dimento, un avvenimento, di ora o più sovente del passato...”. Veramente una bella e puntuale recensione che c’invita a leggere e immergersi in questa fatica del nostro poeta.

I lettori, che già conoscono Antonio Chia-des per aver letto “Un antico implorare” che ha come spunto la presenza di dodici momenti di spiritualità in Cadore, troveranno in questa nuova fatica letteraria tanti motivi di riflessio-ne, d’interiorità, di silenzio: tutti valori di cui ne abbiamo tanto bisogno perché incoraggiati “a mandar via la paura, dire soltanto che lavita a volte è senza difese, legata a uno scontrino di cassa, a una curva improvvisa”. Buona lettura.

Un particolare della volta della chiesetta di Damos, la più antica chiesa del Cadore: un gioiello d’arte e di spiritualità, una tappa importante per una sosta tonificante la nostra vita.

Festa grande, il 2 settembre, per i gemelli Ludovico e Edoardo, nel giorno del loro Battesimo. Eccoli in braccio al papà e alla mamma.

«Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno ve-duto» non è probabilmente la tradu-zione migliore del testo ebraico del libro di Giobbe 42,5. Tuttavia, si è affermata e viene riproposta in quasi tutte le versioni, perché intriga i let-tori del libro di Giobbe di ogni tempo e rende senz’altro fedelmente ciò che il testo originale vuole trasmettere. Con quelle parole Giobbe si arrende a Dio. Però, non è una resa passiva e mortificante, ma la manifestazione di una pacificazione interiore a lungo cercata e finalmente raggiunta. An-zitutto, c’è la consapevolezza di un incontro con Dio che ha spazzato via tutta una serie di pregiudizi che ave-vano incrinato la relazione di amici-zia tra Giobbe e Dio. Quell’amicizia che all’inizio del libro viene ricordata per ben tre volte con le stesse identiche parole, a ri-badire la ferma convinzione che pro-prio su di essa era basata la felicità di Giobbe «integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male» (Gb 1,1; 1,8; 2,3). La trama del libro aveva mostrato però che sia Giobbe che gli altri interlocutori umani avevano fra-inteso il legame tra la retta relazione di Giobbe con Dio e la sua felicità. I tre sapienti orientali che erano venuti a visitare Giobbe in maniera sfacciata avevano legato in una equa-zione di causa ed effetto la rettitudine del comportamento umano con il premio della felicità da parte di Dio. Per cui, se Giobbe aveva perduto la sua condizione felice, il motivo era da ricercarsi necessariamente nella sua condotta peccaminosa. Il giu-dizio iniziale sulla sua giustizia o non corrispondeva alla realtà oppure Giobbe non aveva perseverato. Anche se Giobbe non condivideva quel tipo di ragionamento, tuttavia pure lui ne seguiva la logica: se su di lui si era abbattuta la sciagura, ci doveva essere un colpevole. Per gli amici il colpevole era lui, per Giobbe il colpevole era Dio: «È poi vero che io abbia sbagliato e che persista nel mio errore? ... Sappiate dunque che Dio mi ha schiacciato e mi ha av-volto nella sua rete ... Mi ha sbarrato la strada perché io non passi e sui miei sentieri ha di-

steso le tenebre. Mi ha spogliato della mia gloria e mi ha tolto dal capo la corona. Mi ha distrutto da ogni parte e io sparisco, ha strap-pato, come un albero, la mia spe-ranza. Ha acceso contro di me la sua ira e mi considera come suo nemico» (Gb 19,4.6.8-11). «Mi considera come suo nemico», la rottura completa dell’amicizia, è ciò che maggiormente angoscia Giobbe. E tuttavia non riesce a uscire dalla logica del do ut des. Non rie-sce a concepire una relazione basata sulla gratuità, che sia rispettosa della libertà di entrambi i partner. Quando Dio scenderà per confrontarsi con lui, reclamerà anzitutto questa libertà e aiuterà Giobbe a comprendere che lui continua ad essere suo amico no-nostante la sciagura, la sofferenza, la malattia. E Giobbe si sentirà solle-vato, riscoprirà il Dio amico in una luce completamente diversa. Quando Giobbe viveva la felicità e l’amicizia di Dio come premio della propria rettitudine, era amato e sti-mato in famiglia, nel clan e in tutto l’ambiente che lo circondava. Ed era talmente convinto che comportarsi bene e tenersi lontani da una con-dotta peccaminosa erano indispensa-bili per una buona riuscita nella vita che si preoccupava che anche i suoi figli facessero altrettanto.

Anzi, suppliva lui stesso alla puri-ficazione dai loro eventuali peccati. L’inizio della vicenda di Giobbe è una presentazione oleografica della corrispondenza perfetta tra compor-tamento giusto e felicità. E in genere si pensa che le cose stiano proprio così. In realtà, il messaggio centrale del libro vuole contestare esatta-mente questa religiosità ingenua. E lo fa mostrando che in questo genere di religiosità a farne le spese sono le

relazioni con Dio e con gli altri. In-fatti, man mano che Giobbe è colpito dalla sciagura, tutti lo abbandonano, dalla moglie ai parenti agli amici e a tutti quelli che prima lo stimavano. E la causa di questo generale abban-dono risiede in una falsa religiosità: con la pretesa di difendere Dio dalle accuse di Giobbe, si colpevolizza l’amico e non ci si fa scrupoli a rom-pere ogni rapporto con lui. Giobbe prova a porre la questione fonda-mentale, che cioè l’amico deve stare sempre accanto all’amico che soffre, anche quando questi ha dubbi di fede o si rivolta contro Dio (Gb 6,14). Ma gli amici non seguono questa logica, che nel messaggio del libro è centrale: seguendola si rinsaldano le relazioni con gli altri e con Dio. Dio si mostrerà sintonizzato su que-sta logica quando alla fine rimpro-vererà gli amici di non aver detto di lui cose rette come invece ha fatto Giobbe. Che in fondo è come dire che ha fatto meglio Giobbe a non essere troppo preoccupato della rettitudine dottrinale, ma piuttosto a cercare con tutte le sue energie a riannodare la relazione con Dio che vedeva infranta. Quando Giobbe alla fine dirà: «Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno ve-duto», esprimerà la consapevolezza di aver ritrovato l’amico perduto. Oppure, ancora meglio, di aver tro-vato il vero amico. L’amico che gli resta accanto anche se vacilla nella fede, anche se pone questioni pro-vocatorie, anche se impreca. Dio non lo giudica, non lo colpevolizza, non lo abbandona. Gli chiede solo di accoglierlo come amico che a sua volta non vuole essere giudi-cato, colpevolizzato, abbandonato. Giobbe si rende conto che Dio è an-dato molto al di là delle sue aspet-tative. Voleva un confronto con Dio per poter dimostrare la propria in-nocenza. Ma si sentiva impotente a raggiungere Dio. È allora Dio che viene a lui. Viene sulla cenere, dove sta Giobbe. Non risponde alle do-mande di Giobbe, ma prende per mano Giobbe per fargli compren-dere che ci sono cose che non si possono spiegare, che appartengono al mistero dell’esistenza.

Giuseppe De Carlo(articolo tratto da

www.messaggerocappuccino.it)

Basterebbe un amico Ora i miei occhi ti hanno veduto

SENTIERI16