Tra eredità classica e modelli giudaici: la rappresentazione · 2019. 10. 9. · Bibbia dei...

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1 Tra eredità classica e modelli giudaici: la rappresentazione dell’Oasi di Elim nella tragedia di Ezechiele (Ezechiele, Exagoge, vv. 243-269) 1. Analisi e commento metrico-linguistico 1.1 Introduzione Modello: Es. 15, 27 → 2 NOVITA’: a) descrizione oasi di Elim; b) Fenice Obiettivo: a) Quali i modelli per l’oasi di Elim, e perché questa differenza rispetto a Es. 15, 27?; b) Da dove, e perché, Ezechiele ha inserito la Fenice, assente in Es. 15, 27? 1.2 Annotazioni metriche v. 255 θαυμαστν, οον οδπω + ρακτις: problema metrico; v. 260 κροκωτνοις μαλλοσιν ετρεπζετο: trimetro di 3 parole, tipico in Eschil.; v. 262 προσβλεπε: aumento sillabico allungato; non vale “correptio attica”. Tipico dei poeti della Ionia, ma utilizzato anche nella tragedia di V sec. e. g. Aesch. Pers. 395: σάλπιγξ δϋτπάντκενπέφλεγεν 1.3 Analisi Due parti : A) vv. 243- 253 oasi di Elim: luogo ombreggiato, con 12 sorgenti e 70 palme; B) vv. 254- 269 la Fenice: enorme, dai colori rosso- oro, dall’andamento superbo; Frankel: appartiene a una scena diversa dalla precedente, e cioè l’arrivo degli Ebrei nella terra di Canaan; Jacobson: stessa scena della precedente, cf. Eus. PE. 445d A) Descrizione dell’oasi di Elim - κατσκιον: ombreggiatocf. Aesch. Ag. 493; Soph. El. 422; - δαψιλς: fertilecf. Plut. Num. 16; “esteso ” cf. Lic. 957 - ρυμν: fortificati- resistenticf. Eur. Hel. 68 - περρρυτος: circondato d’acqua” cf. Aesch. Eum. 72; Soph. Phil. 1; Eur. Phoen. 209 - χορτσματα: foraggiocf. Gn. 24, 25 vv. 246- 7: κε· τθεν δφγγος ξλαμψνυν κατεφρνης σημεον ς στλος πυρς a) νυν: correzione del Mras per νιν, in quanto κλμπω è intransitivo Ma qui non ha senso e tra l’altro Ezechiele non usa mai νιν enclitico. Jacobson νν: dativo duale, tipico in tragedia e.g. Eur. Hel. 1038: ς δή τι δράσων χρηστν ς κοινόν γε νν. Sono due le spie inviate da Mosè in avanscoperta, modellate su Gs. 2, 1: i “δο νεανσκους” inviati da Giosuè per “esplorare di nascosto il territorio

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    Tra eredità classica e modelli giudaici: la rappresentazione

    dell’Oasi di Elim nella tragedia di Ezechiele (Ezechiele, Exagoge, vv. 243-269)

    1. Analisi e commento metrico-linguistico

    1.1 Introduzione

    Modello: Es. 15, 27 → 2 NOVITA’: a) descrizione oasi di Elim;

    b) Fenice

    Obiettivo: a) Quali i modelli per l’oasi di Elim, e perché questa differenza rispetto a Es. 15, 27?;

    b) Da dove, e perché, Ezechiele ha inserito la Fenice, assente in Es. 15, 27?

    1.2 Annotazioni metriche

    v. 255 θαυμαστόν, οἷον οὐδέπω + ὥρακέ τις: problema metrico;

    v. 260 κροκωτίνοις μαλλοῖσιν εὐτρεπίζετο: trimetro di 3 parole, tipico in Eschil.;

    v. 262 προσέβλεπε: aumento sillabico allungato; non vale “correptio attica”. Tipico dei

    poeti della Ionia, ma utilizzato anche nella tragedia di V sec.

    e. g. Aesch. Pers. 395: σάλπιγξ δ᾽ ἀϋτῇ πάντ᾽ ἐκεῖν᾽ ἐπέφλεγεν

    1.3 Analisi

    Due parti: A) vv. 243- 253 oasi di Elim: luogo ombreggiato, con 12 sorgenti e 70 palme;

    B) vv. 254- 269 la Fenice: enorme, dai colori rosso- oro, dall’andamento superbo;

    → Frankel: appartiene a una scena diversa dalla precedente,

    e cioè l’arrivo degli Ebrei nella terra di Canaan;

    Jacobson: stessa scena della precedente, cf. Eus. PE. 445d

    A) Descrizione dell’oasi di Elim

    - κατάσκιον: “ombreggiato” cf. Aesch. Ag. 493; Soph. El. 422;

    - δαψιλής: “fertile” cf. Plut. Num. 16; “esteso ” cf. Lic. 957

    - ἐρυμνά: “fortificati- resistenti” cf. Eur. Hel. 68

    - περίρρυτος: “circondato d’acqua” cf. Aesch. Eum. 72; Soph. Phil. 1; Eur. Phoen. 209

    - χορτάσματα: “foraggio” cf. Gn. 24, 25

    vv. 246- 7: ἐκεῖ· τόθεν δέ φέγγος ἐξέλαμψέ νυν

    κατ᾽εὐφρόνης σημεῖον ὡς στῦλος πυρός

    a) νυν: correzione del Mras per νιν, in quanto ἐκλάμπω è intransitivo

    Ma qui non ha senso e tra l’altro Ezechiele non usa mai νιν enclitico.

    Jacobson → νῷν: dativo duale, tipico in tragedia

    e.g. Eur. Hel. 1038: ὡς δή τι δράσων χρηστὸν ἐς κοινόν γε νῷν.

    Sono due le spie inviate da Mosè in avanscoperta, modellate su Gs. 2, 1: i

    “δύο νεανίσκους” inviati da Giosuè per “esplorare di nascosto il territorio

    http://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=sa%2Flpigc&la=greek&can=sa%2Flpigc0http://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=d%27&la=greek&can=d%270&prior=sa/lpigchttp://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=a%29u%2Bth%3D%7C&la=greek&can=a%29u%2Bth%3D%7C0&prior=d%27http://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=pa%2Fnt%27&la=greek&can=pa%2Fnt%270&prior=a)u+th=|http://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=e%29kei%3Dn%27&la=greek&can=e%29kei%3Dn%270&prior=pa/nt%27http://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=e%29pe%2Fflegen&la=greek&can=e%29pe%2Fflegen0&prior=e)kei=n%27http://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=nw%3D%7Cn&la=greek&can=nw%3D%7Cn0&prior=gehttp://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=w%28s&la=greek&can=w%28s0&prior=e)lpi/dashttp://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=dh%2F&la=greek&can=dh%2F1&prior=w(shttp://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=ti&la=greek&can=ti0&prior=dh/http://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=dra%2Fswn&la=greek&can=dra%2Fswn0&prior=tihttp://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=xrhsto%5Cn&la=greek&can=xrhsto%5Cn0&prior=dra/swnhttp://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=e%29s&la=greek&can=e%29s0&prior=xrhsto/nhttp://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=koino%2Fn&la=greek&can=koino%2Fn0&prior=e)shttp://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=ge&la=greek&can=ge0&prior=koino/nhttp://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=nw%3D%7Cn&la=greek&can=nw%3D%7Cn0&prior=ge

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    e soprattutto la città di Gerico”. Parallelo importante, perché poco dopo gli

    Ebrei giungono finalmente nella terra di Canan.

    Elim= prefigurazione simbolica delle Terra Promessa

    cf. anche Il. I 320: Taltibio e Euribate; Aesch. Prom.: Κράτος -Βία;

    Gn. 18, 22: angeli per distruggere Sodoma

    b) κατ᾽εὐφρόνης σημεῖον: non semplice riferimento temporale, ma allusione biblica alle

    colonne di nuvole o di fuoco che accompagnano Ebrei nel deserto. 1

    Es. 13, 21 : popolo di Israele guidato da Dio tramite una nuvola di giorno e una

    colonna di fuoco di notte;

    Nm. 9, 18- ss: nuvola di notte prende le sembianze del fuoco e determina i vari

    spostamenti del popolo di Israele;

    Psalm. 77, 12- 16; 104, 37- 41: ricordano entrambi l’uscita degli Ebrei dall’Egitto,

    il passaggio del Mar Rosso, sotto la guida di una

    nuvola di giorno e dello “splendore di fuoco” di

    notte, e torna l’immagine della roccia da cui

    sgorgano sorgenti, e delle quaglie;

    Sap. 18, 3: Dio ha dato agli Ebrei πυροφλεγῆ στῦλον ὁδηγόν, una colonna di

    fuoco che li guidi lungo piste sconosciute;

    Phil. Mos. 1, 165- ss: una nuvola guida il popolo di Israele e la sua luce splende

    come il sole di giorno, di notte come un fuoco.

    N. B. - Tutti i passi riportati fanno riferimento allo stanziamento definitivo degli Ebrei nella Terra

    Promessa, reso possibile grazie alla guida divina. Elim primo (ed ultimo) stanziamento degli

    Ebrei nella tragedia di Ezechiele.;

    - σημεῖον: “signe envoyé par le dieux“ cf. Soph. OC. 94 ; Nm. 14, 11 ; Dt. 29, 2

    v. 254 ἕτερον δέ πρός τοῖσδ᾽ εἴδομεν ζῷον ξένον

    Gutmann: c’è una lacuna considerevole tra vv. 253- 4, con la descrizione di un altro

    animale

    ἕτερον= attributo di ζῷον ξένον, nel senso di “altro- secondo” animale;

    πρός τοῖσδ᾽= “inoltre” cf. Soph. Ph. 1339

    Jacobson: lacuna minima, che non inficia il senso del passo.

    Eusebio non riporta nessun altro animale cf. PE. 445d.

    ἕτερον= acc. neutro sing. “un’altra cosa”, complemento oggetto di εἴδομεν

    πρός τοῖσδ᾽= “oltre a queste cose”, e cioè alle palme e alle sorgenti

    v. 255 θαυμαστόν, οἷον οὐδέπω + ὥρακέ τις

    espressione tipica per descrivere fenomeni o creature legati a divinità o a Dio stesso

    - Soph. Ich. 144 ψόφῳ, τὸν οὐδε[ὶ]ς π[ώπο]τ᾽ ἤκουσεν βροτῶν.

    - Phil. Mos. 1, 76: τρισί σημείοις ἀναδιδαχθέντες μεταβαλοῦσιν, ἅ πρότερον οὔτε τις

    εἶδεν οὔτε ἤκουσεν ἀνθρώπων (per convincere Ebrei che è Dio a mandare Mosè)

    - Phil. Mos. 1, 200: Τίς τε ὁ ὑετός οὗτος ἐστιν, ὅν οὐδείς πω πρότερον εἶδεν

    ἀνθρώπων (rugiada inviata da Dio dopo le lamentele del popolo per la fame e la

    sete)

    1 Cf. v. 222 στῦλος νεφώδης ἐστάθη πρόγῆς μέγας: non ancora effettivamente funzione guida della nube.

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    B) Descrizione fenice (vv. 256- 269)

    v. 259 μιλτόχρωτα: “(gambe) rosse” è un hapax

    v. 260 μαλλοῖσιν: “con piumaggi” > μαλλός “lana” cf. Aesch. Eum. 45; Soph. OC. 475;

    “capelli”cf. Eur. Bacch.113

    v. 263 κόρη: “pupilla” cf. Ar. Vesp. 7

    v. 265 βασιλεύς… ὀρνέων = Aesch. Ag. 113 οἰονῶν… βασιλεύς in riferimento all’aquila

    v. 269 γαυρούμενος : “proud being of an animal” cf. Di. C. 37- 54, 2; Eur. Or. 1532

    E DOPO v. 269?

    1. Rivelazione sul Sinai e Decalogo (cf. Es. 19- 20):

    Ezechiele difficilmente l’avrebbe messo in scena, non solo perché Eusebio non lo cita, ma

    anche perché sarebbe stato poco comprensibile ad un pubblico anche greco la rivelazione

    cosmica di fronte all’intero popolo sul Sinai. Inoltre Filone, che spesso mostra di aver

    presente Ezechiele, salta completamente questa scena in Mos. 1

    2. Arrivo di Raguel e Sepphora (cf. Es. 18, 1- 12):

    Eusebio non lo menziona, ma riporta direttamente l’arrivo degli Ebrei nella Terra di Canan

    → TRAGEDIA TERMINA CON L’ARRIVO AD ELIM:

    Viaggio sarebbe stato breve: cf. v. 155 ἐν τῷδ᾽(scil. mese) ἀπάξω λαόν εἰς ἄλλην χθόνα

    cf. v. 169 ἕπτ᾽< ἦτ᾽ > ὁδοιποροῦντες ἡμέρας ὁδόν

    Figura di Mosè: centrale nella tragedia. Non arriva nella Terra Promessa (Gs. 3- ss), ma

    muore subito prima (Dt. 34). Ezechiele si basa per lo più sul Pentateuco.

    cf. Phil. Mos. 1: Terra Promessa sempre evocata, ma mai raggiunta

    Modello aristotelico: Exagoge tragedia in 5 atti: I atto (vv. 1- 67), II atto (vv. 67- 89), III

    atto (vv. 90- 192), IV atto (vv. 193- 242), V atto (vv. 243- 269)

    cf Hor. AP. 189- 190

    Elim: prefigurazione simbolica della Terra Promessa. cf. Gs. 2: le due spie inviate a Gerico.

    Immagine della fertilità e della ricchezza d’acqua di Elim è un τόπος che ritorna nelle

    descrizioni della Terra Promessa. cf. Dt. 33, 26- 8 ; Ez. 47; Gn. 27, 28.

    N. B. - Palestina famosa per le sue palme da datteri cf. Plut. Quaest. Conv. 723c;

    - Immagine della fenice.

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    2. Linee di ricerca sulla Bibbia dei Settanta

    Per comprendere a pieno la tragedia di Ezechiele, può essere utile analizzare diversi passi tratti dalla

    Bibbia dei Settanta, al fine di confrontarli con la versione che ne dà il nostro e capire quanto

    effettivamente segua pedissequamente o si discosti dal modello a cui si ispira. Abbiamo più volte

    ricordato anche a lezione che, a differenza di quanto avviene nell’ Ἐξαγωγή, nell’Esodo non viene

    fatto alcun riferimento alla fenice, questo animale misterioso, meraviglioso, la cui apparizione è

    considerabile di portata quasi ellenistica. Ciò su cui invece Ezechiele si sofferma con maggiore

    enfasi ed attenzione, è l’arrivo del popolo ebraico all’oasi di Elim. Una perfetta corrispondenza,

    anche se decisamente più sintetica, essenziale e meno ricca di πάθος, la si ha in Esodo 15,27, dove è

    detto:

    27. Καὶ ἤλθοσαν εἰς Αιλιμ, καὶ ἦσαν ἐκεῖ δώδεκα πηγαὶ ὑδάτων καὶ ἑβδομήκοντα στελέχη

    φοινίκων· παρενέβαλον δὲ ἐκεῖ παρὰ τὰ ὕδατα.

    27. Poi giunsero a Elim, dove c’erano dodici sorgenti d’acqua e settanta fusti di palme. Si

    accamparono là, presso l’acqua.

    Filone di Alessandria, ci parla di questo episodio e lo reinterpreta in chiave simbolica: nel De fuga

    et inventione 183-187, riflette sull’etimologia della parola “Elim”, che significherebbe “portali” e

    dunque rappresenterebbe l’entrata della virtù; nel De vita Mosis I,188-190, invece, parla delle 12

    fontane come simbolo delle tribù d’Israele e delle 70 palme come simbolo dei capi del popolo.

    Giustino, in Dialogo con Trifone 86,5, parla invece di salici piuttosto che di palme. Questo stesso

    simbolismo è riscontrabile nei Targumim, ed in particolar modo nel Targum Neòfiti, dove si parla

    dei 70 anziani del sinedrio di Israele, per poi continuare ad aver vita anche presso i cristiani,

    applicato ai 12 apostoli, come ci dice Ireneo di Lione nella sua Demostratio apostolicae

    predicationis al capitolo 46, e ai 70 discepoli, ad esempio in Origene Omelie sull’esodo 7,3 2.

    Nella sua tragedia Ezechiele (v. 248-253), che ci descrive Elim come un luogo opulento, splendido,

    fa sgorgare le 12 fontane da una sola roccia, unendo così due tradizioni bibliche diverse riguardo al

    tema dello scorrere dell’acqua nel deserto; il tutto disegnando un’utopia alla maniera ellenistica.

    Flavio Giuseppe, invece, in Antichità Giudaiche 3,9-11, ci offre una rappresentazione totalmente

    contraria sia rispetto a quella magniloquente e positiva propostaci da Ezechiele e da Filone, sia a

    quella tutto sommato neutra propostaci dalla Settanta. Recuperando la tradizione di una parte della

    letteratura rabbinica, guarda a Elim come a un luogo miserabile, associando questa povertà

    all’insurrezione del popolo di Israele, narrata subito prima e subito dopo l’arrivo a Elim,

    rispettivamente in Esodo 14,10-12, 15,22-26 e infine 16,1-3.

    2.1 Prima ribellione

    Partiamo da 14,10-12, dal momento che precede l’attraversamento del Mar Rosso, dove è detto:

    2 Marguerite Harl (a cura di), La Bible d’Alexandrie, Les Éditions du Cerf, Paris, 1994, p. 179-180

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    10. καὶ Φαραω προσῆγεν· καὶ ἀναβλέψαντες οἱ υἱοὶ Ισραηλ τοῖς ὀφθαλμοῖς ὁρῶσιν, καὶ οἱ

    Αἰγύπτιοι ἐστρατοπέδευσαν ὀπίσω αὐτῶν, καὶ ἐφοβήθησαν σφόδρα· ἀνεβόησαν δὲ οἱ υἱοὶ Ισραηλ

    πρὸς κύριον. 11. καὶ εἶπαν πρὸς Μωυσῆν Παρὰ τὸ μὴ ὑπάρχειν μνήματα ἐν γῇ Αἰγύπτῳ ἐξήγαγες

    ἡμᾶς θανατῶσαι ἐν τῇ ἐρήμῳ; τί τοῦτο ἐποίησας ἡμῖν ἐξαγαγὼν ἐξ Αἰγύπτου; 12. οὐ τοῦτο ἦν τὸ

    ῥῆμα, ὃ ἐλαλήσαμεν πρὸς σὲ ἐν Αἰγύπτῳ λέγοντες Πάρες ἡμᾶς, ὅπως δουλεύσωμεν τοῖς

    Αἰγυπτίοις; κρεῖσσον γὰρ ἡμᾶς δουλεύειν τοῖς Αἰγυπτίοις ἢ ἀποθανεῖν ἐν τῇ ἐρήμῳ ταύτῃ.

    10. Quando il faraone era vicino, allora gli Israeliti alzarono gli occhi e si accorsero che gli

    Egiziani avevano posto l’accampamento dietro di loro. Allora gli Israeliti ebbero molta paura e

    invocarono con grida l’aiuto del Signore. 11. Dissero a Mosè: «Forse non c’erano tombe a

    sufficienza in Egitto per condurci a morire nel deserto? Perché ci hai portati fuori dall’Egitto? 12.

    Non era questo il discorso che ti abbiamo rivolto in Egitto, dicendoti di lasciarci stare affinché

    potessimo continuare a servire gli Egiziani? Era meglio per noi essere schiavi piuttosto che morire

    nel deserto».

    Si tratta della prima ribellione, del primo aizzarsi del popolo contro Mosè, del primo malcontento

    fra gli uomini scatenato dalla paura degli egiziani, che, sovrastandoli dalla collina, non gli

    lasciavano alcuna via di scampo. Impauriti e messi sotto pressione, gli ebrei invocano il Signore,

    come rivolgendogli una preghiera disperata, e inveiscono contro la loro guida per la prima volta,

    rinfacciandogli la responsabilità della situazione. Non passi inosservato il riferimento alla volontà di

    morire in schiavitù in Egitto, piuttosto che patire la fame e poi morire nel deserto.

    Dal punto di vista linguistico, occorre mettere in evidenza alcuni elementi interessanti: il verbo

    προσῆγεν, che ricalca l’ebraico “qarab”, la cui traduzione letterale sarebbe “il faraone si stava

    avvicinando”3 ; il verbo αναβλέπω, sia di uso neotestamentario (Matteo 20,34), sia tragico (figura

    soprattutto in Euripide: Supplici 322, Ione 1263, Ione 1467, Eracle 563); il verbo στρατοπεδέυω

    che compare anche in Genesi 12,9, e che si distingue dal παρεμβάλλω usato nelle altre occorrenze

    col significato di “accamparsi”. La scelta di questo termine insolito, appartenente alla sfera militare,

    mette in evidenza la minaccia subita dagli Israeliti di un contatto guerriero col nemico. Ancora,

    l’uso del sostantivo κύριος specificatamente in senso cristiano (anche in Genesi 2,8), equivalente al

    latino dominus nella Vulgata; l’uso ripetitivo della locuzione υἱοὶ Ισραηλ (con questo termine, υἱός,

    fatto proprio dalla tradizione vetero e neo testamentaria e che vedremo tornare con insistenza

    praticamente in tutti i passi analizzati) per indicare il popolo ebraico, mai definito come tale nella

    Bibbia; la ricorrenza dei verbi ἐξάγω e δουλεύω con chiaro valore enfatico, sia rispetto alla

    situazione qui descritta, sia a quella più generale vissuta dagli ebrei in fuga, sottratti da Dio alla

    schiavitù egiziana per mano di Mosè.

    Dal punto di vista strettamente sintattico, invece, i parafrasatori dei Targumim, hanno notato che la

    sequenza delle parole nei versetti 11 e 12 è scandita dalla ripetizione dei termini “Egitto” e

    “deserto”, posti alla fine di sette gruppi di parole. Questa disposizione è rispettata nella Settanta,

    con una leggera differenza per cui, per due volte, il verbo “servire” ha come complemento oggetto

    gli Egiziani e non l’Egitto4.

    Come abbiamo avuto modo di verificare leggendo la tragedia, il nostro Ezechiele, pur descrivendo

    la scena, glissa sulla ribellione e, per bocca dell’ἄγγελος, mediante il meccanismo scenico della

    3 Marguerite Harl (a cura di), La Bible d’Alexandrie, Les Éditions du Cerf, Paris, 1994, p. 164 4 Marguerite Harl (a cura di), La Bible d’Alexandrie, Les Éditions du Cerf, Paris, 1994, p. 165

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    ῥῆσις ἀγγελική5, con un effetto patetico eccezionale, piuttosto concentra l’attenzione sull’opposto

    stato d’animo di ebrei ed egiziani: gli uni disperati, gli altri dotati di χάρμα6. Potrebbe essere stata

    un’omissione dovuta al racconto sintetico che Ezechiele fa pronunciare al messaggero egiziano, o

    semplicemente, non essendo in presenza di un narratore onnisciente, questo poteva non essersene

    accorto.

    2.2 Seconda ribellione

    Ma proseguendo nella lettura, subito dopo il passaggio del Mar Rosso, in Esodo viene raccontato un

    altro episodio che il nostro evita ancora una volta di riferire, quello dell’arrivo all’oasi di Mara. In

    Esodo 15,22-26 leggiamo:

    22. Ἐξῆρεν δὲ Μωυσῆς τοὺς υἱοὺς Ισραηλ ἀπὸ θαλάσσης ἐρυθρᾶς καὶ ἤγαγεν αὐτοὺς εἰς τὴν

    ἔρημον Σουρ· καὶ ἐπορεύοντο τρεῖς ἡμέρας ἐν τῇ ἐρήμῳ καὶ οὐχ ηὕρισκον ὕδωρ ὥστε πιεῖν.

    23. ἦλθον δὲ εἰς Μερρα καὶ οὐκ ἠδύναντο πιεῖν ἐκ Μερρας, πικρὸν γὰρ ἦν· διὰ τοῦτο ἐπωνομάσθη

    τὸ ὄνομα τοῦ τόπου ἐκείνου Πικρία. 24. καὶ διεγόγγυζεν ὁ λαὸς ἐπὶ Μωυσῆν λέγοντες Τί πιόμεθα;

    25. ἐβόησεν δὲ Μωυσῆς πρὸς κύριον· καὶ ἔδειξεν αὐτῷ κύριος ξύλον, καὶ ἐνέβαλεν αὐτὸ εἰς τὸ

    ὕδωρ, καὶ ἐγλυκάνθη τὸ ὕδωρ. ἐκεῖ ἔθετο αὐτῷ δικαιώματα καὶ κρίσεις καὶ ἐκεῖ ἐπείρασεν αὐτὸν

    26. καὶ εἶπεν Ἐὰν ἀκοῇ ἀκούσῃς τῆς φωνῆς κυρίου τοῦ θεοῦ σου καὶ τὰ ἀρεστὰ ἐναντίον αὐτοῦ

    ποιήσῃς καὶ ἐνωτίσῃ ταῖς ἐντολαῖς αὐτοῦ καὶ φυλάξῃς πάντα τὰ δικαιώματα αὐτοῦ, πᾶσαν νόσον,

    ἣν ἐπήγαγον τοῖς Αἰγυπτίοις, οὐκ ἐπάξω ἐπὶ σέ· ἐγὼ γάρ εἰμι κύριος ὁ ἰώμενός σε.

    22. Mosè condusse via gli Israeliti dalle rive del Mar Rosso e li guidò nel deserto di Sur.

    Camminarono tre giorni nel deserto senza trovare acqua per bere. 23. Arrivarono a Mara, ma non

    poterono bere dalla fonte di Mara; infatti era amara. Per questo quel luogo si chiamava Amarezza.

    24. Allora il popolo protestò contro Mosè dicendo: «Che cosa berremo?». 25. Mosè chiese aiuto al

    Signore, e il Signore gli indicò un pezzo di legno. Mosè gettò quel legno nell’acqua, ed essa

    divenne dolce. In quel luogo il Signore stabilì per il popolo leggi e usanze. In quel luogo lo mise

    alla prova. 26. Disse: «Se ascolterai veramente la voce del Signore tuo Dio e farai quel che per lui

    è giusto, farai attenzione ai suoi ordini e osserverai tutte le sue leggi, non ti castigherò con nessuna

    delle piaghe con cui ho punito gli Egiziani, perché io sono il Signore, colui che ti guarisce».

    È evidente che si tratti di un altro momento in cui gli ebrei, subito dopo essere scampati al pericolo

    egiziano, si trovano nuovamente in difficoltà a causa della mancanza di acqua nel deserto di Sur. E

    ancora una volta il capro espiatorio della ribellione sarà Mosè, su cui per la seconda volta si

    riversano le colpe dell’indigenza. Non può sfuggire l’omofonia Mara/amarezza che era presente in

    ebraico, ed è conservata in lingue moderne come l’italiano o il francese, ma è purtroppo persa in

    greco, dove abbiamo Πικρία e πικρὸς.

    Anche in questo caso è stata proposta una lettura simbolica del passo per cui, nei Targumim,

    all’acqua di Mara corrisponderebbe il dono delle leggi, al pezzo di legno corrisponderebbe l’albero

    della vita e, più specificatamente, la parola della Legge. Secondo Filone, i prodigi che si verificano

    nel deserto, come appunto quello di trasformare l’acqua amara in dolce o l’appena avvenuto

    5 Snell, B. “Tragicorum Graecorum Fragmenta vol. I”, Göttingen 1971, vv.193 ss. 6 Snell, B. “Tragicorum Graecorum Fragmenta vol. I”, Göttingen 1971, v.214

  • 7

    passaggio del Mar Rosso, servirebbero a convincere il popolo che le leggi non sono un’invenzione

    degli uomini, ma oracoli di Dio (de Decalogo 15). La prova dell’amarezza preparerebbe alla

    conversione: allontana dall’attrazione dei piaceri egiziani, che fanno odiare lo sforzo, e rafforza

    l’affinità d’amore dell’uomo con Dio, che fa amare lo sforzo (de posteritate Caini 155-156; de

    congressu eruditionis gratia 163-166). Questo spiega perché, influenzato dai commentatori antichi,

    dai rabbini e dai padri della Chiesa, anche Bernard P. Robinson propose per Esodo 15,22-27

    un’esegesi simbolica, considerando i versi come un’unità letteraria, il cui tema fondamentale era la

    sicurezza ottenuta grazie all’obbedienza alla Torah, all’osservanza della Legge7. Su questa stessa

    scia si colloca Jacobson, quando ci ricorda che sia in Filone, sia nella visione rabbinica, in Elim si

    scorge un’esperienza dall’importanza educativa: in Filone perché considerato come il luogo

    simbolo dei diversi livelli di educazione; mentre nella visione rabbinica, l’equazione acqua-Torah è

    impiegata per associare l’inizio dello studio della Torah a Elim8.

    C’è poi un'altra questione a cui vale la pena prestare attenzione: nel passo dell’Esodo appena citato,

    il Signore parla al popolo ebraico, intimandolo di seguire e rispettare le leggi che gli ha donato, se

    non vogliono essere afflitti dalle stesse pene e pestilenze che egli stesso ha riservato agli egiziani. A

    conferma di quanto detto a lezione, e come qui appare parlando in prima persona, nella Bibbia è

    Dio ad infliggere i dieci σημεῖα (meglio conosciute come piaghe), agli egiziani per punirli,

    esattamente come descritto nei capitoli dell’Esodo da 7 a 12. Abbiamo visto che nella Settanta, il

    malak jahvè ebraico, cioè il “messaggero di Dio”, viene tradotto come ὁ ὀλεθρέυων, “lo

    sterminatore” (Esodo 12,24), che ha il compito di uccidere i primogeniti; questo accade perché nella

    Bibbia l’entità intermedia del messaggero e quella del Dio a volte si giustappongono e, in alcuni

    casi, si sovrappongono. Un Dio vendicatore, che in un certo qual modo arreca del male anche se per

    giustizia, non faceva certo al caso di Ezechiele e del suo pubblico, che non sarebbe riuscito a

    comprendere l’ambigua complessità di questa figura. Abbiamo detto, infatti, che è per evitare

    questa confusione che il nostro Ezechiele usa l’immagine personificata del δεινὸς ἄγγελος quando

    parla della decima piaga nell’ἐξαγωγή al verso 159. Questa risultava essere una ragione in più per

    non menzionare l’episodio dell’accampamento a Mara.

    Alcune indicazioni filologico-testuali e linguistiche: in 15,22 la Settanta aggiunge un ὥστε πιεῖν

    rispetto al testo ebraico, per precisazione, e sostituisce un “li condusse” al posto di un “uscirono”

    presente nei Targumim. Si noti poi l’uso, che nella Bibbia dei Settanta è assai frequente, del verbo

    greco γογγύζω (e composti): è onomatopeico, ha una sonorità forte e particolare data dalla sequenza

    vocalica o-u; letteralmente significa “mormorare, brontolare”, ma può anche esprimere un pianto o

    una richiesta d’aiuto9. Le grammatiche antiche lo definiscono ionico, e sarebbe corrispondente

    all’attico τονθορύζω o τονθρύζω. Poi il verbo βοάω, che letteralmente significa “gridare”, ma qui,

    potrebbe essere inteso come “pregare ad alta voce” in riferimento all’azione di Mosè, che chiede

    aiuto al Signore; lo troviamo anche nell’ Ἐξαγωγή di Ezechiele al v. 176, usato nella stessa

    accezione della Settanta. Ancora, il verbo δείκνυμι (versetto 25) corrispondente al verbo “yrh”,

    corradicale della parola Torah10; il verbo ἐνωτίζομαι (versetto 26), facente parte del linguaggio

    7 Marguerite Harl (a cura di), La Bible d’Alexandrie, Les Éditions du Cerf, Paris, 1994, p. 178-179 8 Jacobson, H. “The Exagoge of Ezekiel”, London 1983, p.155-156 9 Marguerite Harl (a cura di), La Bible d’Alexandrie, Les Éditions du Cerf, Paris, 1994, p. 178 10 Marguerite Harl (a cura di), La Bible d’Alexandrie, Les Éditions du Cerf, Paris, 1994, p. 178

  • 8

    biblico (lo troviamo anche in Isaia 42,23, Genesi 4,23, Salmi 134,17,1, Salmi 38,13), esattamente

    come il verbo ἰάομαι (Libro dei Re 4,2,21, Maccabei 4,3,10, Levitico 14,3). Una conferma di quanto

    già detto a lezione viene da 15,24 dove appunto, per indicare il popolo ebraico, si usa nella Settanta

    sempre il termine λαός e mai ὄχλος (come, ad esempio, in Ἐξαγωγή v.197) che invece troviamo in

    Ezechiele. Interessante la figura etimologica ἀκοῇ ἀκούσῃς in 15,26, atta a rimarcare, con enfasi,

    l’invito che il Signore fa al suo popolo ad adempiere ai propri doveri, prestare ascolto alla sua

    parola e ad obbedire alle sue leggi. A proposito di questo, c’è da sottolineare che teoricamente, i

    pronomi usati da Dio potrebbero riferirsi sia al popolo che a Mosè, ma ciò che convince per la

    prima ipotesi è quel “mettere alla prova, ἐπείρασεν” che chiude il versetto 25. Origene ha associato

    questo mettere alla prova, insieme al dono delle leggi, all’infedeltà del popolo di Israele. Qui il

    termine φοῖνιξ ha il significato di “palma”, ma non può sfuggire l’omonimia in greco con φοῖνιξ col

    significato di “fenice”, quello che sembrerebbe essere il famoso uccello misterioso di Ezechiele…

    Che non sia stato questo lessema lo spunto da cui trarre ispirazione durante la composizione della

    sua opera? D'altronde siamo certi che il nostro, nelle fasi di gestazione della tragedia, facesse

    costante riferimento alla Settanta, quindi l’ipotesi non è del tutto improbabile.

    Abbiamo dunque detto che nell’ἐξαγωγή quella dell’oasi di Elim, sembrerebbe essere stata la prima

    tappa raggiunta dal popolo d’Israele successivamente all’attraversamento del Mar Rosso e dai

    frammenti che ci rimangono della sua tragedia, pare che Ezechiele non abbia incluso l’arrivo a

    Mara. Come ci ricorda Jacobson, possiamo ipotizzarlo in quanto Polistore, i cui commenti

    all’ἐξαγωγή ci vengono riportati da Eusebio, giustapponendo la descrizione dell’arrivo alle due

    oasi, cita solo i versi 243-253 della tragedia, riferiti a quella di Elim, e non riporta alcuna citazione

    riguardante Mara. La ragione di questo silenzio è evidente: l’intento celebrativo e di lode sotteso

    alla tragedia di Ezechiele nei confronti del popolo d’Israele non consentiva di trattare e includere

    nella trama quegli episodi dove gli Ebrei sono messi parzialmente in cattiva luce, poiché avrebbe

    significato allontanarsi dallo scopo prefisso dall’opera e, dunque, il nostro tende a evitarli

    sistematicamente. La scelta proprio di Elim come primo luogo raggiunto dal popolo ebraico non è

    casuale, in quanto rappresenta uno dei momenti più spirituali e drammatici dell’intera ἐξαγωγή: la

    sua bellezza e utopia virtuale poteva essere interpretata come un segno del favore divino, come una

    prefigurazione dell’arrivo nella terra promessa, la Palestina, narrata in Deuteronomio 33,28 (dove

    viene definita “terra di frumento e di mosto, dove il cielo stilla rugiada”; non manca neppure qui il

    riferimento all’acqua come fonte di vita e di benessere) e in Ezechiele Profeta 47 (dove vi è la

    descrizione di questa meravigliosa terra abbondante e fertile affidata dal Signore al popolo di

    Israele, di cui vengono delimitati addirittura i confini e che dovrà essere spartita fra le 12 tribù di

    Israele; anche qui ritorna insistentemente il motivo dell’acqua insieme a quello degli alberi, ricchi di

    frutti e di foglie medicamentose).

    2.3 Terza ribellione

    Questa ipotesi riguardo alla scelta strategica del nostro è in un certo senso confermata nei passi

    dell’Esodo che seguono l’arrivo a Elim e di cui, per le stesse ragioni appena esposte, il nostro

    Ezechiele non parla. Infatti in Esodo 16,1-3 leggiamo:

  • 9

    1. Ἀπῆραν δὲ ἐξ Αιλιμ καὶ ἤλθοσαν πᾶσα συναγωγὴ υἱῶν Ισραηλ εἰς τὴν ἔρημον Σιν, ὅ ἐστιν ἀνὰ

    μέσον Αιλιμ καὶ ἀνὰ μέσον Σινα. τῇ δὲ πεντεκαιδεκάτῃ ἡμέρᾳ τῷ μηνὶ τῷ δευτέρῳ ἐξεληλυθότων

    αὐτῶν ἐκ γῆς Αἰγύπτου

    2. διεγόγγυζεν πᾶσα συναγωγὴ υἱῶν Ισραηλ ἐπὶ Μωυσῆν καὶ Ααρων, 3. καὶ εἶπαν πρὸς αὐτοὺς οἱ

    υἱοὶ Ισραηλ Ὄφελον ἀπεθάνομεν πληγέντες ὑπὸ κυρίου ἐν γῇ Αἰγύπτῳ, ὅταν ἐκαθίσαμεν ἐπὶ τῶν

    λεβήτων τῶν κρεῶν καὶ ἠσθίομεν ἄρτους εἰς πλησμονήν· ὅτι ἐξηγάγετε ἡμᾶς εἰς τὴν ἔρημον ταύτην

    ἀποκτεῖναι πᾶσαν τὴν συναγωγὴν ταύτην ἐν λιμῷ.

    1. Tutta la comunità degli Israeliti levò l’accampamento da Elim e arrivò al deserto di Sin, tra Elim

    e il Sinai. Era il giorno quindici del secondo mese, da quando erano usciti dall’Egitto. 2. Quando

    furono nel deserto, tutta la comunità degli Israeliti protestò contro Mosè e Aronne. 3. Dicevano:

    «Sarebbe stato meglio se, essendo stati afflitti, fossimo stati uccisi dal Signore in Egitto. Dal

    momento che lì sedevamo attorno a una pentola di carne e mangiavamo pane a volontà. Invece ci

    avete portati in questo deserto per far morire di fame tutta questa gente!».

    Il popolo dunque protesta contro Mosè con tono duro e accusatorio: ne mette in discussione la

    credibilità e lo stesso ruolo di capo, di guida. Spinto dalla fame e dalla necessità materiale, dice

    addirittura che avrebbe preferito la morte in Egitto piuttosto che tali sofferenze. Il popolo d’Israele

    appare qui come legato al contingente, ai bisogni corporali, secondo una visione sicuramente più

    umana e realistica ma anche meno edulcorata rispetto a quella che vogliono fornirci Filone,

    Ezechiele, e lo stesso Flavio Giuseppe (nonostante la presunta imparzialità) di un popolo innocente,

    oppresso e sventurato, alla ricerca della libertà, armato soltanto della speranza nella volontà di Dio.

    In merito, poi, al dono del pane da parte del Signore, che avverrà nei versetti subito successivi a

    questo, Filone insiste sul carattere miracoloso della generosità di Dio, che dispenserà al suo popolo

    un nutrimento guadagnato senza fatica, e che non viene dalla terra ma dal cielo11.

    La datazione qui riportata, nei Targumim fa riferimento alla partenza da Elim, nella Settanta al

    momento in cui si ribellano gli ebrei; Origene, invece, crede che questa data si avvicini a quella

    indicata in Numeri 9,1-3, ovvero quella della “seconda Pasqua”, la cristiana. Inoltre, l’ulteriore

    precisazione “nel deserto” alla fine del secondo versetto è presente nei Targumim, ma è assente

    nella Settanta.

    Ancora una volta lasciamo spazio a indicazioni linguistico-testuali: il termine ἄρτος è tipicamente

    veterotestamentario (Esodo 25,30, Libro dei Re 1,21,7- Isaia 65,25, Tobia 1,10). Пλησμονή, invece,

    è veterotestamentario (Proverbia 3,10, Esodo 16,1-3), tragico (Euripide, Troiane 1211) e,

    soprattutto, particolarmente caro a Filone (per citare solo qualche esempio: Legatio ad Gaium 2, De

    vita Mosis 2,156, De virtutibus 2). Si osservi, inoltre, la particolare costruzione di ὄφελον con

    l’indicativo, che non risulta attestata prima della Settanta. Secondo il grammatico Apollonio

    Discolo, invece, la più comune costruzione di ὄφελον con l’infinito avrebbe valore avverbiale12. Al

    versetto 3, il termine πληγέντες, che non corrisponde letteralmente a quello riportato nei Targumim,

    è usato in altri passi nella Settanta in riferimento alle piaghe. Si noti la frequentissima ripetizione

    del sostantivo συναγωγή in pochi versi, uno fra i più significativi termini-chiave del linguaggio

    biblico. Fra l’altro, la scelta di questa parola si rivela particolarmente consona, poiché ben traduce i

    due termini ebraici “edah” (cioè raggruppamento, ammasso, moltitudine), e “qahal” (come in

    questo caso, per indicare un’assemblea convocata)13.

    Un breve riassunto del cammino verso la salvezza percorso dal popolo ebraico in fuga dall’Egitto, si

    trova anche in Numeri 33, 8-10 dove leggiamo:

    11 Marguerite Harl (a cura di), La Bible d’Alexandrie, Les Éditions du Cerf, Paris, 1994, p. 181 12 Marguerite Harl (a cura di), La Bible d’Alexandrie, Les Éditions du Cerf, Paris, 1994, p. 180 13 Marguerite Harl (a cura di), La Bible d’Alexandrie, Les Éditions du Cerf, Paris, 1994, p. 181

  • 10

    8. καὶ ἀπῆραν ἀπέναντι Εϊρωθ καὶ διέβησαν μέσον τῆς θαλάσσης εἰς τὴν ἔρημον καὶ ἐπορεύθησαν

    ὁδὸν τριῶν ἡμερῶν διὰ τῆς ἐρήμου αὐτοὶ καὶ παρενέβαλον ἐν Πικρίαις. 9. καὶ ἀπῆραν ἐκ Πικριῶν

    καὶ ἦλθον εἰς Αιλιμ· καὶ ἐν Αιλιμ δώδεκα πηγαὶ ὑδάτων καὶ ἑβδομήκοντα στελέχη φοινίκων, καὶ

    παρενέβαλον ἐκεῖ παρὰ τὸ ὕδωρ. 10. καὶ ἀπῆραν ἐξ Αιλιμ καὶ παρενέβαλον ἐπὶ θάλασσαν ἐρυθράν.

    8. Partirono da Pi-Achirot e attraversarono il mare in direzione del deserto. Fecero tre giorni di

    marcia nel deserto e arrivarono a Mara. 9. Ripartirono da Mara e giunsero a Elim, e a Elim

    c’erano dodici sorgenti d’acqua e settanta fusti di palme. Si accamparono lì, presso l’acqua. 10.

    Partirono da Elim e andarono ad accamparsi sulle sponde del Mar Rosso.

    Grazie a questo quadro sinottico dello svolgersi degli eventi, possiamo evincere ancora una volta

    che la scelta del nostro, alla luce del modello della Settanta da cui parte, è mirata e ben precisa

    rispetto all’ andamento compositivo della propria opera.

    Dal punto di vista testuale, sottolineo che il passo ha un incipit praticamente identico a quello di

    Esodo 16,1-3, e la stessa struttura sintattica che abbiamo già trovato in Esodo 15,22, quasi come

    fossimo difronte a un formulario che si ripete, probabilmente vecchio retaggio della precedente fase

    orale grazie alla quale la Parola di Dio si è diffusa, prima di essere messa per iscritto.

    Una breve annotazione linguistica: l’avverbio ἀπέναντι, di uso vetero e neotestamentario

    (Deuteronomio 32,52, Esodo 14,2, Siracide 37.4, Matteo 27,24 e Atti degli Apostoli 17,7).

    Ricapitolando, di questa sequenza di eventi biblici che abbiamo ripercorso (puntualmente descritta

    in Esodo dal capitolo 14 al 16 e confermataci da Numeri 33, 8-10), Ezechiele non a caso sceglie di

    inserire nella tragedia solo ed esclusivamente l’oasi di Elim, come fosse un cammeo, tralasciando

    tutto il resto: richiamare alla mente del suo pubblico la reazione del popolo ebraico alla paura degli

    egiziani, l’occorrenza dell’oasi di Mara, e la ribellione per la mancanza del pane, avrebbe

    significato mettere in cattiva luce gli ebrei in un’opera dall’intento volutamente elogistico e

    celebrativo. La spiegazione è d'altronde plausibile e l’architettura tragica ideata dal nostro non può

    essere frutto del caso.

  • 11

    3. L’oasi di Elim e le fonti classiche

    3.1 Oasi di Elim in Filone e Flavio Giuseppe

    3.1.1 Phil. Mos. 1, 188 (traduzione a cura di F. H. Colson)

    188. Ἀφικνοῦνται δ'εἰς σταθμὸν δεύτερον, εὔυδρον τε καὶ εὔδενδρον- Αἰλεὶμ ὠνομάζετο-, πηγαῖς

    καταρρεόμενον δώδεκα, παρ' αῖς στελέχη νέα φοινίκων εὐερνέστατα ἦν τόν ἀριθμόν

    ἑβδομήκοντα, τοῖς ὀξὺ τῇ διανοίᾳ βλέπειν δυναμένοις ἀγαθῶν τῶν ἐθνικῶν ἐναργῆ σημεῖα καί

    δείγματα·

    They then arrived at a second halting-place, one well wooded and well watered, called Elim,

    irrigated by twelve springs, beside which rose young palm trees, fine and luxuriant, to the number

    of seventy. Anyone who has the gift of keen mental sight may see in this clear signs and tokens of

    national blessings.

    3.1.2 Ios. AI 3, 9-11 (traduzione a cura di Thackeray)

    3.9. Ἄραντες δ ἐκεῖθεν 'εἰς Ἤλιν ἀφικνοῦνται πόρρωθεν μὲν ἀγαθὴν ὁραθῆναι, καὶ γὰρ

    φοινικόφυτος ἦν, πλησιάζουσα δ'ἀπηλέγχτετο πονηρά· καί γαρ οἱ φοίνικες ὄντες οὐ πλείους

    ἑβδομήκοντα δυσαυξεῖς τε ἦσαν καί χαμαίζηλοι δι' ὕδατος ἀπορίαν ψαφαροῦ τοῦ παντὸς ὄντος

    χωρίου· 10. οὔτε γὰρ ἐκ τῶν πηγῶν δώδεκα οὐσῶν τὸν ἀριθμὸν νοτερόν τι προσαρδεῦον αὐτοῖς δι'

    ἐλπίδα χρήσιμον, ἀλλὰ μὴ δυναμένων ἐκβλύσαι μηδ' ἀνασχεῖν ἰκμάδες ἦσαν ὀλίγαι, καὶ

    διαμωμένοις τὴν ψάμμον οὐδὲν ἀπήντα, κἄν εἴ τι δὲ στάζον ἔλαβον εἰς χεῖρας, 11.ἄχρηστον

    ηὕρισκον ὑπὸ τοῦ θολερὸν εἶναι· καρπόν τε φέρειν ἦν ἀσθενῆ τὰ δένδρα διὰ σπάσιν τῆς ἐξ ὕδατος

    εἰς τοῦτο ἀφορμῆς καὶ παρακλήσεως.

    3.9. Departing thence, they reached Elis, a spot which from a distance made a good show, being

    planted with palm-trees, but on approach proved bad; for the palms, numbering no more than

    seventy, were dwarfed and stunted through lack of water, the whole place being sandy. 10. For

    from the springs which existed, to a number of twelve, there oozed no liquid sufficient to water

    them: impotent to gush forth or rise to the surface these yielded but a few drops; 11. and persons

    scraping the sand encountered nothing, even such driblets as they received into their nature. And the

    trees were too feeble to bear fruit for lack of water to give them the needful stimulus and

    encouragement.

    3.2 Un modello fondamentale: La lettera di Aristea

    Ariste, La lettera di Aristea 112-118 (ed. A. Pelletier, 1962; traduzione a cura di C. K. Reggiani)

    112. παρεξέβημεν δὲ ταῦτα διὰ τὸ καλῶς ἡμῖν τὸν Ἐλεάζαρον ὑποδεδειχέναι τὰ προειρημένα.

    μεγάλη γὰρ ἐστὶν ἡ τῶν γεωργουμένων φιλοπονία. καὶ γὰρ ἐλαϊκοῖς πλήθεσι σύνδενδρός ἐστι καὶ

    σιτικοῖς καρποῖς αὐτῶν ἡ χώρα καὶ ὀσπρίοις, ἔτι δὲ ἀμπέλῳ καὶ μέλιτι πολλῷ.τὰ μὲν τῶν ἄλλων

    ἀκροδρύων καὶ φοινίκων οὐδ᾽ ἀριθμεῖται παρ᾽ αὐτοῖς.

    113. κτήνη τε πολλὰ παμμιγῆ, καὶ δαψιλὴς ἡ τούτων νομή· διὸ καλῶς ἔβλεψαν, ὅτι πολυανθρωπίας

    οἱ τόποι προσδέονται, καὶ τὴν κατασκευὴν τῆς πόλεως καὶ τῶν κωμῶν ἔθεντο κατὰ λόγον.

    114. πολὺ δὲ πλῆθος καὶ τῶν ἀρωμάτων καὶ λίθων πολυτελῶν καὶ χρυσοῦ παρακομίζεται διὰ τῶν

    Ἀράβων εἰς τὸν τόπον. ἐργάσιμος γὰρ καὶ πρὸς τὴν ἐμπορίαν ἐστὶ κατεσκευασμένη ἡ χώρα,καὶ

    πολύτεχνος ἡ πόλις, οὐ σπανίζει δὲ οὐδὲν τῶν διακομιζομένων διὰ τῆς θαλάσσης.

  • 12

    115. ἔχει γὰρ καὶ λιμένας εὐκαίρους χορηγοῦντας, τόν τε κατὰ τὴν Ἀσκαλῶνα καὶ Ἰόππην καὶ

    Γάζαν, ὁμοίως δὲ καὶ Πτολεμαίδα τὴν ὑπὸ τοῦ βασιλέως ἐκτισμένην. μέση δὲ κεῖται πρὸς τοὺ

    προειρημένους τόπους, οὐκ ἀπέχουσα τούτων πολύ. ἔχει δὲ πάντα δαψιλῆ κάθυγρος οὖσα

    πάντοθεν ἡ χώρα καὶ μεγάλην ἀσφάλειαν ἔχουσα.

    116. περιρρεῖ δ᾽ αὐτὴν ὁ λεγόμενος Ἰορδάνης ποταμὸς ἀείρρους. {τῆς δὲ χώρας} οὐκ ἔλαττον

    ἑξακισχιλίων μυριάδων ἀρουρῶν κατὰ τὸ ἀρχαῖον οὔσης (μετέπειτα δὲ οἱ γειτνιῶντες ἐπέβησαν

    αὐτῆς) ἑξήκοντα μυριάδες ἀνδρῶν ἔγκληροι καθειστήκεισαν ἑκατοντάρουροι. πληρούμενος δὲ ὁ

    ποταμός, καθὼς ὁ Νεῖλος, ἐν ταῖς πρὸς τὸν θερισμὸν ἡμέραις, πολλὴν ἀρδεύει τῆς γῆς·

    117. ὃς εἰς ἕτερον ποταμὸν ἐκβάλλει τὸ ῥεῦμα κατὰ τὴν Πτολεμαίων χώραν, οὗτος δὲ ἔξεισιν εἰς

    θάλασσαν. ἄλλοι δὲ χειμάρροι λεγόμενοι κατίασι,περιλαμβάνοντες τὰ πρὸς τὴν Γάζαν μέρη

    καὶ τὴν Ἀζωτίων χώραν.

    118. περιέχεται δὲ ἀσφαλείαις αὐτοφυέσι,δυσείσβολος οὖσα καὶ πλήθεσιν ἀπραγμάτευτος, διὰ τὸ

    στενὰς εἶναι τὰς παρόδους, κρημνῶν παρακειμένων καὶ φαράγγων βαθέων, ἔτι δὲ τραχείας οὔσης

    πάσης τῆς περιεχούσης πᾶσαν τὴν χώρανὀρεινῆς.

    112. Ho fatto questa digressione, perché Eleazaro ci chiarì molto bene i punti riferiti. L’amore dei

    contadini per la coltivazione della terra è davvero grande. Il paese è fittamente piantato a ulivi,

    cereali, legumi, e anche viti, ed è ricco di miele. Quanto agli alberi da frutto e alle palme lì da loro

    non è possibile contarli. 113. Il bestiame è numeroso e di ogni specie, e abbondante il loro pascolo.

    Perciò videro bene che i luoghi avevano bisogno di folta popolazione, e nel costruire la città e i

    villaggi si tennero a proporzioni ben commisurate. 114. Una quantità considerevole di spezie, di

    pietre preziose e d’oro viene importata nel paese dagli Arabi; perché esso, per quanto sia agricolo, si

    presta anche al commercio, nella città ferve l’industria, e non manca alcuno dei prodotti di

    importazione marittima. 115. Possiede infatti anche dei comodi porti per i rifornimenti, quello di

    Ascalona, quello di Giaffa, di Gaza e anche quello di Tolemaide, fondata dal re. Il paese è situato in

    una posizione centrale rispetto a queste località e non ne dista molto. Produce di tutto in

    abbondanza, irrigato com’è da ogni parte e validamente protetto. 116. La regione è bagnata tutta dal

    fiume chiamato Giordano, che è a corrente continua. In origine il territorio misurava non meno di

    sessanta milioni di arure (= circa diciotto milioni di ettari)- ma successivamente vi posero piede i

    popoli vicini. Seicentomila uomini vi furono fatti stabilire, con l’assegnazione di cento arure a

    ciascuno. Il fiume , entrando in piena, come il Nilo, nel periodo delle messi, inonda gran parte della

    terra; 117. e nella zona di Tolemaide, scarica la sua corrente in un altro fiume che sbocca nel mare.

    Vi scendono anche altri corsi d’acqua chiamati torrenti che investono nel loro percorso i territori di

    Gaza e di Azoto. 118. Inoltre è cinta da difese naturali, che la rendono difficile a invadersi e

    impraticabile per moltitudini armate, a causa delle strette vie d’accesso, vicine a precipizi e a

    profondi burroni, senza contare l’asprezza di tutta la regione montagnosa che circonda il paese

    intero.

    3.3 Echi letterari

    3.3.1 Hom. Od. 4, 563-569

    (testo e commento a cura di A. Heubeck e S. West; traduzione di G. Aurelio Privitera)

    Σοι δ᾽ οὐ θέσφατόν ἐστι, διοτρεφὲς ὦ Μενέλαε,

    Ἄργει ἐν ἱπποβότῳ θανέειν καὶ πότμον ἐπισπεῖν,

    ἀλλά σ᾽ ἐς Ἠλύσιον πεδίον καὶ πείρατα γαίης

    ἀθάνατοι πέμψουσιν, ὅθι ξανθὸς Ῥαδάμανθυς,

    τῇ περ ῥηίστη βιοτὴ πέλει ἀνθρώποισιν:

    οὐ νιφετός, οὔτ᾽ ἂρ χειμὼν πολὺς οὔτε ποτ᾽ ὄμβρος,

    Quanto a te, o Menelao allevato da Zeus, non è stabilito

    Tu muoia e subisca il destino ad Argo che pasce i cavalli,

    ma al Campo Elisio e all’estremità della terra,

    dove è il biondo Radamanto, gli immortali ti manderanno.

    Là è facilissima la vita per gli uomini,

    non c’è tempesta di neve, né rigido inverno né pioggia,

    ma sempre l’Oceano manda soffi di Zefiro

    che spira sonoro e rianima gli uomini:

    questo perché hai Elena e sei genero, per essi, di Zeus.

  • 13

    ἀλλ᾽ αἰεὶ Ζεφύροιο λιγὺ πνείοντος ἀήτας

    Ὠκεανὸς ἀνίησιν ἀναψύχειν ἀνθρώπους:

    οὕνεκ᾽ ἔχεις Ἑλένην καί σφιν γαμβρὸς Διός ἐσσι.

    3.3.2 Soph. OC 668-706 (a cura di G. Avezzù e G. Guidorizzi; traduzione a cura di G. Cerri)

    Εὐίππου, ξένε, τᾶσδε χώρας

    ἵκου τὰ κράτιστα γᾶς ἔπαυλα,

    τὸν ἀργῆτα Κολωνόν, ἔνθ᾽

    ἁ λίγεια μινύρεται

    θαμίζουσα μάλιστ᾽ ἀηδὼν

    χλωραῖς ὑπὸ βάσσαις,

    τὸν οἰνωπὸν ἔχουσα κισσὸν

    καὶ τὰν ἄβατον θεοῦ

    φυλλάδα μυριόκαρπον ἀνήλιον

    ἀνήνεμόν τε πάντων

    χειμώνων: ἵν᾽ ὁ βακχιώτας

    ἀεὶ Διόνυσος ἐμβατεύει

    θεαῖς ἀμφιπολῶν τιθήναις

    θάλλει δ᾽ οὐρανίας ὑπ᾽ ἄχνας

    ὁ καλλίβοτρυς κατ᾽ ἦμαρ ἀεὶ

    νάρκισσος, μεγάλαιν θεαῖν

    ἀρχαῖον στεφάνωμ᾽, ὅ τε

    χρυσαυγὴς κρόκος· οὐδ᾽ ἄϋπνοι

    κρῆναι μινύθουσιν

    Κηφισοῦ νομάδες ῥεέθρων,

    ἀλλ᾽ αἰὲν ἐπ᾽ ἤματι

    ὠκυτόκος πεδίων ἐπινίσσεται

    ἀκηράτῳ σὺν ὄμβρῳ

    στερνούχου χθονός· οὐδὲ Μουσᾶν

    χοροί νιν ἀπεστύγησαν οὐδ᾽ ἁ

    χρυσάνιος Ἀφροδίτα.

    ἔστιν δ᾽ οἷον ἐγὼ γᾶς Ἀσίας οὐκ ἐπακούω

    οὐδ᾽ ἐν τᾷ μεγάλᾳ Δωρίδι νάσῳ Πέλοπος

    πώποτε βλαστὸν

    φύτευμ᾽ ἀχείρωτον αὐτόποιον,

    ἐγχέων φόβημα δαΐων,

    ὃ τᾷδε θάλλει μέγιστα χώρᾳ,

    γλαυκᾶς παιδοτρόφου φύλλον ἐλαίας.

    τὸ μὲν τις οὐ νεαρὸς οὒτε γὴρᾲ

    συνναὶων ἁλιώσει χερὶ πέρας·

    ὁ γὰρ αἰὲν ὁρῶν κύκλος

    Straniero, sei giunto, in questa terra dai bei cavalli,

    nel posto migliore del mondo, a Colono biancheggiante, dove

    più assiduo l’usignolo

    effonde il lamento melodioso

    nelle valli verdeggianti,

    sull’edera color vino,

    sul fogliame inaccessibile del dio,

    ricco di grappoli, ombroso, immune dai venti di ogni tempesta;

    dove sempre Dionisio baccheggiante

    batte il suo piede al servizio

    delle dee sue nutrici.

    Alla rugiada del cielo fiorisce giorno dopo giorno senza posa

    il narciso dai bei corimbi, l’antica

    ghirlanda delle due grandi dee,

    e il croco dai riflessi d’oro; e sempiterne

    sparse dappertutto, mai vengono meno

    le fonti che danno acqua al Cefiso,

    ma senza posa, giorno dopo giorno,

    si riversa ferace con l’onda purissima

    sui piani e della terra ubertosa;

    non ne rifuggono i cori di danza

    delle Muse, né Afrodite dalle briglie d’oro.

    C’è qualcosa di cui non sento parlare nella terra d’Asia,

    né che mai sia sbocciata nella grande

    isola dorica di Pelope, pianta inviolabile, spontanea ,

    terrore delle armi nemiche, più rigogliosa qui che altrove,

    fronda d’ulivo che luccica e nutre;

    né giovane né vecchio

    la può annientare, dopo averla incendiata:

    veglia su di lei lo sguardo sempre vigile

    di Zeus dell’Olivo Sacro

    e Atena dall’occhio di gufo.

  • 14

    λεύσσει νιν Μορίου Διὸς

    χἀ γλαυκῶπις Ἀθάνα.

    3.3.3 Plato, Critias 113c9 (traduzione a cura di R.G. Bury)

    πρὸς θαλάττης μέν, κατὰ δὲ μέσον πάσης πεδίον ἦν, ὃ δὴ πάντων πεδίων κάλλιστον ἀρετῇ τε

    ἱκανὸν γενέσθαι λέγεται, πρὸς τῷ πεδίῳ δὲ αὖ κατὰ μέσον σταδίους ὡς πεντήκοντα ἀφεστὸς ἦν

    ὄρος βραχὺ πάντῃ.

    113. Bordering on the sea and extending through the centre of the whole island there was a plain,

    which is said to have been the fairest of all plains and highly fertile; and, moreover, near the plain

    over against its centre, at a distance of about 50 stadies, there stood a mountain that was low on all

    sides.

  • 15

    4. L’apparizione della fenice nell’oasi di Elim

    4.1 Pseudo-Eustathius, Comment. in Hexem. PG 18.729

    4.2 Esiodo, frg. 304 Markelbach-West, in Plutarco, De defectu oraculorum, II (415c)

    ‘ὁ δ᾽ Ἡσίοδος οἴεται καὶ περιόδοις τισὶ χρόνων γίγνεσθαι τοῖς δαίμοσι τὰς τελευτάς: λέγει γὰρ ἐν

    τῷ τῆς Ναΐδος προσώπῳ καὶ τὸν χρόνον αἰνιττόμενος

    ἐννέα τοι ζώει γενεὰς λακέρυζα κορώνη,

    ἀνδρῶν ἡβώντων ἔλαφος δέ τε τετρακόρωνος

    τρεῖς δ᾽ ἐλάφους ὁ κόραξ γηράσκεται αὐτὰρ ὁ φοίνιξ

    ἐννέα τοὺς κόρακας: δέκα δ᾽ ἡμεῖς τοὺς φοίνικας

    νύμφαι ἐυπλόκαμοι, κοῦραι Διὸς αἰγιόχοιο

    ‘Hesiod thinks that with the lapse of certain periods of years the end comes even to the demigods ;

    for, speaking in the person of the Naiad, he indirectly suggests the length of time with these words:

  • 16

    Nine generations long is the life of the crow and his cawing,

    Nine generations of vigorous men. Lives of four crows together

    Equal the life of a stag, and three stags the old age of a raven ;

    Nine of the lives of the raven the life of the Phoenix doth equal;

    Ten of the Phoenix we Nymphs, fair daughters of Zeus of the aegis.

    4.3 Erodoto, Storie, II.73 [1] ἔστι δὲ καὶ ἄλλος ὄρνις ἱρός, τῷ οὔνομα φοῖνιξ. ἐγὼ μέν μιν οὐκ εἶδον εἰ μὴὅσον γραφῇ: καὶ γὰρ

    δὴ καὶ σπάνιος ἐπιφοιτᾷ σφι, δι᾽ ἐτέων, ὡς Ἡλιοπολῖταιλέγουσι, πεντακοσίων: [2] φοιτᾶν δὲ τότε

    φασὶ ἐπεάν οἱ ἀποθάνῃ ὁ πατήρ. ἔστιδέ, εἰ τῇ γραφῇ παρόμοιος, τοσόσδε καὶ τοιόσδε: τὰ μὲν αὐτοῦ

    χρυσόκομα τῶνπτερῶν τὰ δὲ ἐρυθρὰ ἐς τὰ μάλιστα: αἰετῷ περιήγησιν ὁμοιότατος καὶ

    τὸμέγαθος. [3] τοῦτον δὲ λέγουσι μηχανᾶσθαι τάδε, ἐμοὶ μὲν οὐ πιστὰ λέγοντες:ἐξ Ἀραβίης

    ὁρμώμενον ἐς τὸ ἱρὸν τοῦ Ἡλίου κομίζειν τὸν πατέρα ἐν σμύρνῃἐμπλάσσοντα καὶ θάπτειν ἐν τοῦ

    Ἡλίου τῷ ἱρῷ, [4] κομίζειν δὲ οὕτω: πρῶτοντῆς σμύρνης ᾠὸν πλάσσειν ὅσον τε δυνατός ἐστι

    φέρειν, μετὰ δὲ πειρᾶσθαι αὐτὸ φορέοντα, ἐπεὰν δὲ ἀποπειρηθῇ, οὕτω δὴ κοιλήναντα τὸ ᾠὸν τὸν

    πατέρα ἐς αὐτὸ ἐντιθέναι, σμύρνῃ δὲ ἄλλῃ ἐμπλάσσειν τοῦτο κατ᾽ ὅ τι τοῦ ᾠοῦ ἐκκοιλήνας ἐνέθηκε

    τὸν πατέρα: ἐσκειμένου δὲ τοῦ πατρὸς γίνεσθαι τὠυτὸ βάρος: ἐμπλάσαντα δὲ κομίζειν μιν ἐπ᾽

    Αἰγύπτου ἐς τοῦ Ἡλίου τὸ ἱρόν. ταῦτα μὲν τοῦτον τὸν ὄρνιν λέγουσι ποιέειν.

    [1] Vi è anche un altro uccello sacro, chiamato fenice. Io non l’ho visto, se non dipinto; infatti

    appare presso di loro raramente, ogni cinquecento anni, a detta degli abitanti di Eliopoli: [2]

    compare, dicono, quando gli muore il padre. Se è come la dipingono, ecco il suo aspetto e le sue

    dimensioni: le penne delle ali sono in parte color oro, in parte rosse; per sagoma e per grandezza

    è assai simile all’aquila14. [3] Sostengono che compia questa straordinaria impresa (ma a mio

    parere si tratta di affermazioni inattendibili): partendo dall’Arabia trasporterebbe nel santuario di

    Helios il corpo del padre avvolto nella mirra e lo seppellirebbe in quel santuario. Così avverrebbe il

    trasporto: [4] innanzitutto foggia un uovo di mirra, grande quanto è in grado di portare, e poi prova

    a volare con questo carico; compiuta la prova svuota l’uovo per mettervi dentro il padre e con altra

    mirra ricopre il foro aperto nell’uovo per introdurvi il padre (quest’ultimo, posto all’interno

    dell’uomo, ne ripristina il peso originario); e dopo averlo così avvolto nella mirra, lo trasporta in

    Egitto nel santuario di Helios. Ecco che cosa farebbe, a quanto narrano, questo uccello.

    4.4 Alanus, in Bartholomaeus Anglicus, De proprietatibus rerum XII.14 De qua (sc. ave) narrat Alanus, quod cum Onias summus pontifex in Eliopoli civitate Egypti

    templum ad similitudinem templi Hierosolimorum edificasset, primo die azimonum cum multis

    lignis aromaticis super altare congregasset et ignem ad offerendum sacrificium succendisset,

    descendit in medium rogum talis avis que in igne sacrificii statim in cinerem est redacta.

    4.5 Tacito, Annales VI.28

    [1] Paulo Fabio L. Vitellio consulibus post longum saeculorum ambitum avis phoenixin Aegyptum

    venit praebuitque materiem doctissimis indigenarum et Graecorum multa super eo miraculo

    disserendi. De quibus congruunt et plura ambigua, sed cognitu non absurda promere libet. [2]

    Sacrum Soli id animal et ore ac distinct pinnarum a ceteris avibus diversum consentiunt qui

    14 Per la comparazione con l’aquila cf. Pliny, X,3: Aquilae narratur magnitudine; Solinus 33 II:

    aquilae magnitudine; Philostratus, Vita Apoll., III, 49: χρυσῷ λάμποντα, μέγεθος ἀετοῦ καὶ εἶδος;

    Corpus Gloss. Lat., V, 381, 4: Fenix genus aquile; Albertus Magnus, De animalibus, XXIII, 110

    (42): est autem, ut dicunt, aquilinae magnitudinis.

    http://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=xrusw%3D%7C&la=greek&can=xrusw%3D%7C0&prior=kai/http://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=la%2Fmponta&la=greek&can=la%2Fmponta0&prior=xrusw=|http://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=me%2Fgeqos&la=greek&can=me%2Fgeqos0&prior=la/mpontahttp://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=a%29etou%3D&la=greek&can=a%29etou%3D0&prior=me/geqoshttp://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=kai%5C&la=greek&can=kai%5C2&prior=a)etou=http://www.perseus.tufts.edu/hopper/morph?l=ei%29%3Ddos&la=greek&can=ei%29%3Ddos0&prior=kai/

  • 17

    formam eius effinxre: de numero annorum varia traduntur. [3] maxime vulgatum quingentorum

    spatium: sunt qui adseverent mille quadringentos sexaginta unum interici, prioresque alites Sesoside

    primum, post Amaside dominantibus, dein Ptolemaeo, qui ex Macedonibus tertius regnavit, in

    civitatem cui Heliopolis nomen advolavisse, multo ceterarum volucrum comitatu novam faciem

    mirantium. [4] Sed antiquitas quidem obscura: inter Ptolemaeum ac Tiberium minus ducenti

    quinquaginta anni fuerunt. Unde non nulli falsum hunc phoenicem neque Arabum e terris credidere,

    nihil que usurpavisse ex his quae vetus memoria firmavit. [5] confecto quippe annorum numero, ubi

    mors propinquet, suis in terris struere nidum eique vim genitalem adfundere exqua fetum oriri; et

    primam adulto curam sepeliendi patris, neque id temere sed sublato murrae pondere temptatoque

    per longum iter, ubi par oneri, par meatui sit, subire patrium corpus in que Solis aram perferre atque

    adolere. [6] Haec incerta et fabulosis aucta: ceterum aspici aliquando in Aegypto eam volucrem non

    ambigitur.

    [1] Sotto il consolato di Paolo Fabio e L. Vitellio, dopo una lunga serie di secoli venne in Egitto la

    fenice e fornì materia ai dotti di quella regione e della Grecia per dissertare lungamente intorno a

    tale prodigio. Mi piace riportare qui le notizie sulle quali essi concordano, e altre, più numerose,

    incerte, ma non indegne di essere conosciute. [2] Quelli che l’hanno descritto, convergono

    nell’affermare che questo animale è sacro al Sole e diverso da tutti gli altri uccelli, tanto nel

    becco quanto nella screziatura delle penne. Intorno alla durata della sua vita ci sono varie

    tradizioni. [3] L’opinione più diffusa è che esso viva cinquecento anni: alcuni affermano che tra

    l’uno e l’altro si frappongono millequattrocentosessantun anni, e che le fenici precedenti sono

    giunte a volo per la prima volta sotto il regno di Sesostri, poi sotto quello di Amasi, infine sotto

    Tolomeo, terzo re macedonico, nella città che ha nome Eliopoli, con un grande seguito di altri

    uccelli d’ogni genere attirati dal suo aspetto non mai veduto. [4] Ma i fatti antichi sono

    naturalmente oscuri: fra Tolomeo e Tiberio passarono meno di duecentocinquanta anni. Onde alcuni

    cedettero che questa non fosse la vera fenice, che non venisse dall’Arabia , e che non compisse

    nessuno degli atti confermati dall’antica tradizione. [5] Si dice infatti che essa, giunta al termine dei

    suoi anni, quando si avvicina la morte, costruisca nella sua terra un nido e vi infonda il principio

    fecondatore, dal quale nascerà il nuovo uccello: e che la prima cura di questo, appena adulto, sia di

    dar sepoltura al padre, e non alla cieca. Dopo aver sollevato un certo peso di mirra e provato le

    proprie forze per un lungo tragitto, quando si sente capace di resistere al carico e al volo, la fenice si

    addossa il corpo del padre e lo trasporta all’altare del Sole, sul quale lo arde. [6] Tutto ciò è incerto

    e arricchito di favole: però che questo uccello si mostri talvolta in Egitto è cosa intorno alla quale

    non vi è alcun dubbio.

    4.6 A coptic text on the phoenix, Sermon on Mary (33-35)

    (33) At the time now (οὖν) that God brought the children of Israel (34) out of Egypt by the hand of

    Moses, the phoenix (φοῖνιξ) showed itself (35) on the temple of On, the city (πόλις) of the sun.

    4.7 Greek Physiologus, 7 (Sbordone 25)

    ὁ οὖν φοῖνιξ πρόσωπον λαμβάνει τοῦ Σωτῆρος

  • 18

    4.8 Horapollo, Hierogl., I,34

    Πλήμμυραν δέ, ἐπειδὴ ἡλιόυ ἐστὶν ὀ φοῖνιξ σύμβολον.

    Riferimenti bibliografici

    Parte I – Analisi e commento metrico stilistico

    - Chantraine, P. “Dictionnaire étymologique de la langue grecque”, Paris 1968

    - Dogniel, C. – Harl, M. “La Bible d’Alexandrie. Le Deuteronome”, Paris 1992

    - Jacobson, H. “The Exagoge of Ezekiel”, London 1983

    - Kraus, C. “Ezechiele Poeta Tragico”, RFIC 96, 1968

    - Snell, B. “Tragicorum Graecorum Fragmenta vol. I”, Göttingen 1971

    Parte II – Un confronto con la Bibbia dei 70

    - Alfred Rahlfs (a cura di), Septuaginta, Württembergische Bibelanstalt Stuttgart (1965)⁸ - Marguerite Harl (a cura di), La Bible d’Alexandrie, Les Éditions du Cerf, Paris, 1994

    - H. Jacobson, The Exagoge of Ezekiel, Cambridge University Press, 1983

    - Snell, B. “Tragicorum Graecorum Fragmenta vol. I”, Göttingen 1971

    Parte III – L’oasi di Elim e le fonti classiche

    - Avezzù G., Guidorizzi G., trad. Cerri G. Sofocle, Edipo a Colono, Milano 2008.

    - Bury R. G., Plato VII, Timaeus, Critias, Cleitophon, Menexenus,Epistles, Cambridge 1952.

    - Colson F. H., Philo VI,Cambridge 1950.

    - Heubeck A., West S., trad. Privitera G. A., Omero, Odissea I, Milano 1981.

    - Pelletier A., Lettre d’Aristée a Philocrate, Paris 1962.

    - Reggiani C. K., La lettera di Aristea a Filocrate, Roma, 1979.

    Parte IV – L’apparizione della fenice nell’oasi di Elim

    - R. van den Broek: The Myth of then Phoenix according to Classical and Early Christian

    Traditions. (Études Préliminaires aux Religions Orientales dans l'Empire Romain, 24.) pp.

    xi+485; 41 plates; 2 maps. Leiden: Brill, 1972. Cloth, fl.182.

    - A. Colonna, F. Bevilacqua (a cura di), Erodoto. Le storie, UTET 1996

    - C. Dennis Fisher (a cura di) Annales ab excessu divi Augusti. Cornelius Tacitus.. Clarendon

    Press. Oxford. 1906

    - Ps.-Eustathius, Comment. In Hexem. PG 18.729

    - A. D. Godley (a cura di), Herodotus, with an English translation. Cambridge. Harvard

    University Press. 1920

    - Gregorius N. Bernardakis (a cura di), Plutarch. Moralia. Leipzig. Teubner. 1891. 3

    - H. Jacobson, The Exagoge of Ezekiel, Cambridge University Press, 1983

    - F. Cole Babbitt (a cura di), Plutarch. Moralia. (with an English Translation) Cambridge,

    MA. Harvard University Press. London. William Heinemann Ltd. 1936. 5

    Relazione seminariale del 26 Maggio 2016 a cura degli studenti Stefania De Gori, Francesca

    Guido, Claudia Natalicchio, Matteo Saulli