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LAVORO DI DIPLOMA DI
PIFFARETTI GABRIELE
MASTER OF ARTS
IN INSEGNAMENTO DELLA STORIA NELLA SCUOLA MEDIA SUPERIORE
ANNO ACCADEMICO 2013/2014
MORIRE VIVENDO
LA SEGREGAZIONE DEI LEBBROSI NEL MEDIOEVO
RELATORE
PASQUALE GENASCI
Morire vivendo
Indice
1. Introduzione: perché parlare di emarginati nel Medioevo? .......................................................... 1
2. Inserimento dell’itinerario didattico nella programmazione annuale ........................................... 4
3. La lebbra nel Medioevo: un panorama interpretativo complesso ................................................. 5
4. Il caso del Pays de Vaud ............................................................................................................... 9
5. Il percorso didattico .................................................................................................................... 11
a) Struttura dell’itinerario didattico ...................................................................................................... 11
b) Scelta dei materiali ........................................................................................................................... 11
c) Modalità didattiche .......................................................................................................................... 11
6. Presentazione delle attività ......................................................................................................... 13
a) Lezione 1: introduzione alla medicina medievale e alle conoscenze sulla lebbra ........................... 13
b) Lezione 2: la lebbra, una malattia del corpo e dell’anima ............................................................... 14
c) Lezione 3: i lebbrosari e la rappresentazione dei malati .................................................................. 15
d) Lezione 4: l’entrata nel lebbrosario .................................................................................................. 17
e) Lezione 5: laboratorio storico .......................................................................................................... 18
f) Lezione 5: discussione su un testo storiografico di Jacques Le Goff e conclusione ........................ 19
g) Verifica sommativa .......................................................................................................................... 20
7. Conclusioni ................................................................................................................................. 22
8. Bibliografia ................................................................................................................................. 24
9. Allegati ....................................................................................................................................... 27
1) La medicina nel Medioevo e le conoscenze sulla lebbra .....................................................................
2) Malattia del corpo e dell’anima ............................................................................................................
3) I lebbrosari e la rappresentazione dei malati ........................................................................................
4) L’entrata nel lebbrosario e l’uscita dal mondo dei sani .......................................................................
5) Le fonti .................................................................................................................................................
6) Laboratorio storico ...............................................................................................................................
7) Documenti ............................................................................................................................................
8) Analisi delle fonti – schede per gli appunti ..........................................................................................
9) Gli emarginati nell’Occidente medievale .............................................................................................
10) Verifica sommativa ..............................................................................................................................
11) Testi degli studenti ...............................................................................................................................
Morire vivendo
1
1. Introduzione: perché parlare di emarginati nel
Medioevo?
L’itinerario didattico, progettato e proposto in una classe di II liceo, vuole promuovere negli
studenti la riflessione critica su una categoria umana che nel corso dei secoli ha visto mutare la
propria condizione sociale in un’ambigua oscillazione tra atteggiamenti repressivi e iniziative
assistenziali. Perché riflettere quindi sugli emarginati del Medioevo con gli studenti liceali?
Credo che la risposta vada ricercata nei bisogni profondi della nostra società, spesso distratta e
disinteressata del proprio passato, ammiccante di fronte al riemergere di pericolose demagogie.
Teorie che s’insinuano anche nel mondo scolastico, come sta accadendo negli ultimi anni in Italia a
proposito dei tentativi revisionisti sulla Resistenza: chi la vorrebbe “riscrivere” non aspira alla
conoscenza storica, rifiuta la complessità e attinge di volta in volta alle diverse interpretazioni a
dipendenza dell’uso che si necessita e delle aspettative del pubblico. Il Piano di formazione degli
studi liceali (2008) dichiara invece di voler “offrire ai propri allievi la possibilità di acquisire solide
conoscenze di base e di favorire la formazione di uno spirito d’apertura e di un giudizio
indipendente” (Piano degli studi, p. 11). Una finalità educativa irrinunciabile, infatti, è proprio
quella di “privilegiare una formazione ampia, equilibrata e coerente che dia all’allievo la maturità
necessaria per intraprendere studi superiori e per svolgere un ruolo attivo e responsabile nella
società” (p. 11). Le scienze umane, e in questo particolare caso lo studio della storia, sono in grado
di promuovere negli studenti una riflessione profonda e una maturazione consapevole dei propri
interessi e dei propri bisogni. François Bergier (2004, p. 155) sottolinea come nella società, e di
conseguenza anche nella scuola, emerga un bisogno crescente della storia non come “evasione” ma
come “invasione”, come necessità per comprendere il presente e per prefigurare o preparare il
destino futuro. Si può facilmente intuire quanto sia urgente tale sentimento negli adolescenti. La
storia diventa quindi uno strumento conoscitivo molto ampio, in grado di orientare i ragazzi nel loro
percorso liceale e personale.
Cosa significa riflettere sugli esclusi del Medioevo? Vuol dire considerare queste categorie come
vittime del pregiudizio, obbligate a farsi carico di colpe infamanti e di angosce collettive insidiose.
Un approfondimento didattico sulla lebbra nel Medioevo comporta quindi una riflessione sulle
dinamiche che conducono all’emarginazione e all’esclusione di alcune categorie di individui. Deve
trattarsi tuttavia di un percorso organizzato con metodo, nel senso letterale del termine: méta hodòs,
cioè “la via che conduce oltre, il tragitto più efficace per raggiungere un obiettivo” (D’Orsi, 2002,
p. 55). Come suggerisce a sua volta Giuseppe Sergi (2008, p. 93), bisogna evitare di insegnare solo
ciò che è considerato “utile”, ma occorre aiutare gli studenti a costruire schemi interpretativi privi di
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qualsiasi preconcetto, affinché lo studio del passato avvenga nel modo più rigoroso e rispettoso
possibile. Solo così sarà possibile promuovere la crescita di cittadini consapevoli, in grado di
partecipare attivamente alla vita della comunità. Charles Heimberg (2008, p. 53) osserva infatti che
“un’opinione comune piuttosto diffusa ritiene sufficiente, ai fini dell’insegnamento della storia, il
limitarsi ad un racconto lineare di eventi, che contribuisca alla costruzione di un’identità attorno a
qualche grande figura emblematica”. Tale approccio è però discutibile, poiché “resta da vedere […]
se poi questi stessi studenti, nelle pratiche scolastiche attuali, imparino realmente a costituire e
comprendere l’organizzazione collettiva delle società umane del passato, così come del presente,
nella loro dimensione materiale, sociale e o culturale” (2008, p. 54). Insomma, essendo le finalità
educative della scuola media superiore1 volte a promuovere la crescita e la formazione di cittadini
consapevoli e attivi, l’insegnamento di una storia puramente evenemenziale, “piatta e lineare”
(Heimberg, 2008, p. 57), difficilmente consentirà di raggiungere l’obiettivo prefissato. Jacques Le
Goff afferma (1991, pp. 21-22):
[…] Il lavoro dell’insegnante di storia deve essere fondato sulla critica dei fatti e dei
documenti storici. Insegnando storia si deve – per quanto gli alunni siano capaci di seguire –
suscitare in loro lo spirito critico, atteggiamento fondamentale in storia. Il fatto storico non è
dato, bensì costruito. Gli alunni vanno perciò sensibilizzati alla fabbricazione della storia.
Bisogna mostrare loro che il lavoro dello storico non consiste nel ricomporre la storia, ma nel
fare storia.
Studiare la lebbra nel Medioevo significa quindi costruire con gli studenti un percorso conoscitivo e
analitico strutturato e ragionato, superando l’insegnamento evenemenziale della storia: si invita lo
studente ad interrogare le fonti, a cercare in esse le chiavi di lettura del mondo che li circonda,
rispondendo così “alle finalità di formazione alla cittadinanza democratica […]” (Heimberg, 2008,
p. 55).
I lebbrosi non costituiscono tuttavia una figura ricorrente nell’immaginario collettivo del Medioevo.
Generalmente, quando si discute di emarginazione in un contesto come questo, di per sé già
permeato di luoghi comuni, si palesa una grande confusione: c’è chi pensa erroneamente alle
streghe, chi alla terribile epidemia del 1348, qualcun altro agli Ebrei… Difficilmente si evoca la
categoria dei lebbrosi. Eppure quest’ultima rappresenta una classe emarginata per eccellenza.
In ambito accademico sono state promosse alcune ricerche (non tantissime, a dire il vero) alle quali
sono poi conseguite un certo numero di pubblicazioni. Una in particolare, Histoire des lépreux au
1 Questi principi sono condivisibili e perseguibili già nella scuola media che, essendo un settore scolastico obbligatorio,
svolge un ruolo vitale per la crescita intellettuale ed emotiva delle allieve e degli allievi.
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Moyen Âge, di Françoise Bériac, ha conosciuto un discreto successo di pubblico nel mondo
francofono alla fine degli anni Ottanta. Credo che sia molto importante offrire agli studenti della
scuola media superiore progetti didattici che attingano direttamente dai lavori dei ricercatori,
affinché l’insegnante possa avventurarsi con i propri studenti in nuovi e stimolanti percorsi,
permettendo così “l’accesso al gusto del sapere e alle conoscenze attraverso le quali sia possibile
volgere uno sguardo critico sul mondo” (Heimberg, 2008, p. 57).
Concludo questa introduzione sostenendo che sarebbe errato considerare la segregazione dei
lebbrosi durante il Medioevo un fenomeno avulso dall’attualità. Operando le dovute distinzioni, non
è difficile scorgere le costanti con le dinamiche emarginatrici attuali. Come scrive Hanna Zaremska
(2003, p. 629) a proposito del concetto di marginalità nella storia, “[…] nella maggiror parte dei
casi, l’emarginazione, volontaria o involontaria, ha come causa principale il declassamento.
L’emarginato non partecipa ai privilegi materiali e sociali, alla divisione del lavoro e delle funzioni
sociali, alle norme e all’etica sociale condivisa”.
Un declassamento che, a mio avviso, può essere letto come il risultato di profonde irrequietudini
sociali. Le lettere aperte sui quotidiani o i risultati delle ultime votazioni2 sono indicatori evidenti
delle paure che la popolazione sviluppa nei confronti di quelle categorie che non rispettano le
aspettative e le regole della società. Françoise Bériac, nell’introduzione alla sua opera, scrive (1988,
p. 9):
[…] les réactions face au SIDA peuvent donner une idée de la façon dont on considérait les
lépreux. Maladie qui terrorise, punition de transgressions morales, la lèpre garde une sourde
prégnance dans notre culture […].
Che si tratti di sieropositivi, clandestini, omosessuali, richiedenti l’asilo, prostitute, rom, poco
importa. Anche la nostra società ha i suoi esclusi in carne ed ossa, vittime di angosce e miopie
collettive, insidiose e antiche. Ecco perché, a mio avviso, occorre affrontarle sui banchi di scuola.
2 Si pensi per esempio all’iniziativa cantonale sul divieto di dissimulazione del volto (22 settembre 2013) e alla
votazione federale del 9 febbraio 2014 « Contro l’immigrazione di massa ».
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2. Inserimento dell’itinerario didattico nella
programmazione annuale
L’itinerario didattico sulla lebbra è stato proposto in una classe di II liceo durante l’ultima parte di
novembre ed il mese di dicembre 2013. Il capitolo trattato precedente ha avuto per oggetto la crisi
del Trecento e ha permesso di focalizzare l’attenzione su tre aspetti: la crisi demografica, la crisi
economica, i disordini politici e sociali.
L’analisi di fonti letterarie evocanti le conseguenze delle carestie e l’avvento della peste ha
consentito una riflessione seria sull’angoscia collettiva della società medievale di fronte alla morte.
Tali paure, testimoniate anche da numerose opere d’arte (trionfi della morte, danze macabre,
eccetera), hanno offerto lo stimolo per proporre una prima discussione su chi, nella società del XIV
secolo, potesse essere considerato pericoloso per la sopravvivenza della comunità e quali potessero
essere le misure adottate nei confronti di tali categorie. Nell’ambito di questo prima discussione
libera gli allievi hanno quindi portato alla luce alcune possibili figure di “esclusi” e tra questi,
appunto, sono stati evocati i lebbrosi. Il percorso didattico sulla percezione e la rappresentazione
della lebbra si è quindi inserito in maniera naturale nella programmazione ed è stato presentato agli
studenti come un’occasione di approfondimento di un argomento poco conosciuto ma decisamente
rilevante nella storia dell’Occidente medievale. Ho quindi deciso di ideare l’itinerario tenendo conto
di quanto espresso nel Piano degli studi del liceo di Lugano 1 (2003, p. 64):
[…] lo studente dovrà essere progressivamente introdotto alle procedure che stanno alla base
del lavoro di storico, portato a sviluppare capacità di analisi, di lettura, di smontaggio di
documenti, fornendogli adeguati strumenti analitici e critici che lo avvicinano agli “strumenti”
del mestieri di storico”. L’insegnante farà spazio perciò a momenti dedicati al “laboratorio
storico” […].
Ritengo fondamentale proporre agli studenti occasioni di approfondimento e di laboratorio: quando
si toccano temi inerenti il Medioevo, infatti, si corre spesso il rischio di accontentarsi di
interpretazioni un po’ superficiali o di visioni obsolete. Come afferma Giuseppe Sergi (2005, pp.
24-25) è invece fondamentale liberarsi del “Medioevo inventato: quello che si è consolidato
attraverso i secoli nell’immaginario collettivo [….] che funziona come un altrove (negativo o
positivo) o come una premessa”. […] Il Medioevo dell’odierna cultura diffusa risente infatti ben
poco delle ricerche degli storici […]”.
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3. La lebbra nel Medioevo: un panorama interpretativo
complesso
Mi si conceda un piccolo prologo a questo capitolo. Sarebbe presuntuoso, da parte mia, voler
sintetizzare in poche pagine il dibattito storiografico a proposito della lebbra nel Medioevo in
quanto le ricerche e le pubblicazioni su questo argomento meriterebbero di essere esposte in tutta
la loro complessità. Penso in particolare all’encomiabile lavoro di Françoise Bériac, riferimento
fondamentale in questo lavoro di didattica della storia. Nelle prossime pagine esporrò quindi una
lettura diacronica della lebbra nel Medioevo e una panoramica generale sulla malattia e sulle
rappresentazioni ad essa connesse. Questa non vuole, e non può, essere una dissertazione storica
esaustiva e puntuale, pur facendo riferimento al lavoro di storici seri, bensì una presentazione
generale che tenga conto delle interpretazioni più autorevoli.
Nel Medioevo la lebbra è una malattia temuta e imprevedibile: le lacerazioni del corpo suscitano
disgusto e angoscia. Non si tratta però solo dell’umana e comprensibile inquietudine di fronte ai
sintomi devastanti di un male incurabile, per cui poco o nulla possono le conoscenze mediche
dell’epoca. Un insieme di significati e simboli condiziona pesantemente la relazione tra malati e
sani, nonché la vita quotidiana degli individui contagiati. Come scrive Robert Delort (2006, p. 40):
[…] le malattie che incidono più profondamente nella vita di tutti i giorni sono le malattie
endemiche il cui microbo, vero e proprio parassita dell’uomo, ha perduto la sua virulenza:
determina assuefazione nel portatore o lo uccide molto lentamente. Il caso più tipico del
Medioevo è la lebbra […]. I malati marciscono un po’ alla volta nel loro universo chiuso,
tenuti rigorosamente separati dall’umanità normale […]. Dall’1 al 5% degli Occidentali
furono colpiti nei secoli XII e XIII da questo male che scomparve in seguito in modo
sorprendente, cacciato forse dalla tubercolosi, di cui si è provato che il bacillo ostacolava il
portatore della lebbra.
La medicina medievale è incapace di comprendere e curare. Da un lato questa malattia è concepita
come il risultato di uno squilibrio umorale, in linea con gli insegnamenti di Galeno, dall’altro si
crede che il contagio possa avvenire anche per via aerea, per trasmissione ereditaria e, soprattutto,
attraverso rapporti sessuali. Gli uomini e le donne percepiscono quindi questa patologia come una
conseguenza immediata del peccato. Non un peccato qualsiasi, bensì quello carnale: esiste infatti
una stretta correlazione tra lebbra e lussuria. La sfera della sessualità diventa oggetto di attenzione
sempre maggiore, che porta a una spaccatura non solo tra il mondo laico e quello ecclesiastico
(quest’ultimo dovrebbe essere infatti esente dal rischio di contagio), ma pure tra l’ordine dei
cavalieri e quello dei lavoratori, soprattutto contadini. In alcuni scritti teologici medievali, l’origine
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peccaminosa della lebbra trova conferma nel fatto che le categorie delle élites sono toccate solo
marginalmente dal fenomeno, mentre le classi popolari, incapaci di resistere alle pulsioni, si
uniscono carnalmente in modo del tutto scriteriato. L’atteggiamento scellerato di alcuni, quindi,
porta a conseguenze terribili, trasmissibili addirittura ai propri figli, “poiché la carne trasmette il
peccato originale, i figli pagano le colpe dei genitori” (Le Goff, 2011, p. 135).
La diffusione dei testi arabi, nel corso del XII secolo, mescola via via le conoscenze antiche con le
diverse rappresentazioni della lebbra che vedono nella malattia l’allegoria dei peccati. La lebbra è
immagine del peccato originale, ma non solo. Accanto a tale rappresentazione si delinea
progressivamente un panorama interpretativo sempre più variegato, ai cui estremi troviamo il
lebbroso dilaniato nella carne perché colpevole di bassezze immonde e dall’altro il “buon
lebbroso”, fatto a immagine di Lazzaro, lui stesso immagine di Cristo, che non espia solo un
peccato personale ma soffre per l’intera comunità cristiana.
Essendo incapaci di fornire risposte univoche e razionali, ci si affida quindi a Dio e si cerca di
tutelare la comunità dei sani, escludendo progressivamente i lebbrosi dalla società. Proprio a causa
delle interpretazioni ambigue che mutano nel corso dei secoli e che condizionano la percezione
della malattia, non si riesce a comprendere con chiarezza chi siano i lebbrosi e come relazionarsi
con loro: da un lato li si evita e li si perseguita, poiché impuri e marcati da Dio nel corpo e
nell’anima, dall’altro si manifesta un certo timore e rispetto, evitando così il rifiuto totale di coloro
che sembrano incarnare il peccato ma che, tuttavia, sembrerebbero essere stati scelti da Dio per
invitare gli uomini alla conversione. Geneviève Pichon (1984, p. 356) a questo proposito afferma:
[…] Au bas Moyen Âge, à la suite d’un lent processus de maturation, l’accent sera mis non
plus sur la chute mais sur le rachat. Le réseau figuratif s’enrichira alors et se diversifiera, le
lépreux deviendra une figure ambivalente du pécheur et de l’élu de Dieu. Pour la souffrance
corporelle subie dans le repentir, il pourra vivre sur terre le châtiment de ses fautes et accéder
ensuite à la vie éternelle. De l’exégèse biblique aux écrits profanes en passant par les exempla
et les récits légendaires, tous le textes seront marqués de façon explicite ou latente par cette
ambivalence devenue constitutive du signe lèpre.
La percezione e la rappresentazione dei malati muta quindi nel corso del millennio medievale e
occorre altresì tener conto non solo dell’evoluzione temporale, ma anche dei diversi contesti sociali,
politici e geografici. In linea generale, è possibile affermare che le testimonianze sui lebbrosi e sulla
malattia compaiono con maggior frequenza nel corso del basso Medioevo. Infatti, come afferma
sempre Pichon (1984, p. 334),
[…] des textes médiévaux, relativement peu nombreux du VIe au X
e siècle et très nombreux
du XIe
au XVe siècle, font allusion à la lèpre. Ils reflètent une réalité de l’époque mais
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témoignent avant tout d’un système de pensée et d’une mentalité. Les représentations issues
de ce système ont bien sûr évolué tout au long des siècles, une étude diachronique se révèle
donc particulièrement intéressante.
Oltre alle ambivalenze interpretative dei testi, in particolare delle Sacre Scritture, ciò che nel corso
del basso Medioevo implica un deterioramento delle condizioni sociali dei lebbrosi è la sistematica
segregazione degli individui contagiati. Il Concilio Lateranense III (1179) decide norme rigorose,
disciplinando la costruzione di cappelle e di cimiteri all’interno dei lazzaretti, nonché obbligando i
malati ad indossare particolari capi d’abbigliamento e a portare segni distintivi. Si tratta
evidentemente di un marchio d’esclusione che vuole tutelare la comunità dei sani, esacerbando allo
stesso tempo l’angoscia collettiva per un possibile contagio. Tuttavia, l’isolamento dei lebbrosi
comincia ben prima del 1179, infatti, come scrive Zaremska (2003, p. 638)
[…] le prime tracce della segregazione dei lebbrosi, o più precisamente di individui segnalati
come leprosi, si trovano nell’editto del re longobardo Rotari dell’anno 643: Se qualcuno è
colpito dalla lebbra e se la verità del fatto è riconosciuta dal giudice o dal popolo e il
lebbroso è espulso dalla civitas o dalla dimora affinché viva isolato, non ha il diritto di
alienare le sue proprietà e di donarle a chicchessia perché dal giorno in cui è espulso dalla
propria casa è come se fosse morto”. L’editto autorizza anche ad abbandonare una fidanzata
che sia diventata cieca, folle o lebbrosa, perché ciò è conseguenza dei suoi gravi peccati e
della malattia che ne deriva.
Il rituale della separazione dalla comunità dei sani, attraverso una cerimonia religiosa che sancisce
l’abbandono della società, si trasforma in consuetudine nel corso degli ultimi secoli del basso
Medioevo. Sempre Zaremska (2003, p. 639) a tal proposito scrive:
[…] un ordo del XV secolo ordina al prete di recarsi dal malato nel giorno della cerimonia, di
benedirlo, poi di accompagnarlo in chiesa con una processione, cantando il Libera me. Giunto
davanti alla chiesa, il malato si inginocchia, se possibile sotto un catafalco. Si celebra la
messa. Il malato si confessa, il prete lo benedice e lo raccomanda alla benevolenza dei
parrocchiani. Questi ultimi formano una processione e riaccompagnano il malato cantando di
nuovo il Libera me. Il prete lo mette in guardia contro il peccato, poi getta ai suoi piedi un
pugno di terra dicendo: Sii morto per il mondo ma vivo per Dio. Infine, in lingua volgare, gli
impartisce le istruzioni per non contaminare gli altri.
Va però detto che questi individui, nella realtà quotidiana, non scompaiono nel nulla. A volte i
lebbrosi sono obbligati a “mischiarsi” con i sani, per esempio quando si spostano alla ricerca
dell’elemosina: da qui la necessità di rispettare rigide norme di comportamento, come le
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prescrizioni del Concilio Lateranense III, che vogliono rendere i contagiati immediatamente
riconoscibili ed evitabili.
Gli storici individuano nel XIII secolo “una netta cesura nella storia dell’ostracismo medievale”,
arrivando addirittura a parlare di “società repressiva” (Zaremska, 2003, p. 629). Gli uomini e le
donne che, per ragioni diverse, non aderiscono alle esigenze della società, diventano oggetto di
provvedimenti di esclusione. Tra queste categorie ritroviamo, appunto, i lebbrosi.
Il rigido disciplinamento, tuttavia, non sempre è sufficiente per contenere e gestire le paure della
popolazione. Il 1321, in questo senso, è un anno emblematico. Dopo la carestia del 1315-1318, in
Europa serpeggia un forte disagio popolare e un atteggiamento sempre più sospettoso nei confronti
di Ebrei e lebbrosi, ritenuti colpevoli di aver avvelenato deliberatamente, attraverso un complotto,
pozzi e fontane. Berlioz (2003, p. 438) sottolinea come i lebbrosi diventino “i capri espiatori,
vittime innocenti che servono da sfogo alle disgrazie della maggioranza. Nel 1321, le disgrazie che
colpiscono il regno furono attribuite ai lebbrosi, che avrebbero tentato, secondo voci venute dal
Poitou, di avvelenare i pozzi e le fontane di tutta l’Aquitania”. Le Goff (1999, p. 346) aggiunge che
“Filippo V, degno figlio di Filippo il Bello, fece istruire processi contro i lebbrosi in tutta la Francia
e, dopo confessioni strappate con la tortura, molti furono bruciati”.
In conclusione, è quindi possibile affermare che i lebbrosi, nel corso di tutta l’epoca medievale,
vivono una situazione ambigua e fragile, oscillando tra la carità cristiana che li tutela, pur
allontanandoli dalla comunità dei sani, e l’oppressione più brutale.
La medicina non è in grado di guarire questi malati, in parte perché mancano completamente le
conoscenze scientifiche in grado di suggerire terapie adeguate, ma anche perché “nel Medioevo il
corpo in sé non esiste. È sempre compenetrato dall’anima, ed è alla salvezza eterna di questa che si
pensa in primo luogo. La medicina è quindi principalmente una medicina dell’anima che passa
attraverso il corpo ma sempre andando oltre di esso” (Le Goff, 2005, p. 101).
I lebbrosi rappresentano un pericolo per la comunità dei sani e per questo vanno allontanati:
l’ossessione della malattia e del corpo, luogo di incarnazione del peccato, fanno dei contagiati un
pericoloso veicolo di trasmissione del morbo e la rappresentazione vivente della dannazione eterna.
La repulsione di fronte alla carne putrida si mescola all’ansia di garantire alla propria anima la
salvezza eterna. Eppure i lebbrosi, seppur cacciati e segregati, non scompaiono nel nulla, infatti “la
società medievale ha bisogno di questi paria messi al margine perché pericolosi, ma visibili, perché,
grazie alle cure che essa dispensa loro, possa formarsi una buona coscienza; e più ancora proietta e
fissa in loro, magicamente, tutti i mali che essa allontana da sé” (Le Goff, 1983, p. 172).
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4. Il caso del Pays de Vaud
Il certosino lavoro di ricerca di Piera Borradori, Mourir au monde: Les lépreux dans le Pays de
Vaud (XIIIe – XVII
e siècle), pubblicato nel 1992 nella collana dei Cahiers lausannois d’histoire
médiévale, ha costituito un vero e proprio “scrigno” per la raccolta documentaria da proporre nel
laboratorio storico in classe.
La ricercatrice dell’Università romanda ha repertoriato tutti i lebbrosari del territorio vodese a cui è
riuscita a risalire. Si è trattato di un lavoro complesso in quanto i documenti si sono rivelati spesso
imprecisi o lacunosi. Borradori ha così categorizzato i comuni recensiti:
- comuni in cui i lebbrosari sono attestati da fonti documentarie conosciute e verificate;
- comuni in cui i lebbrosari sono attestati da fonti documentarie poco attentibili;
- comuni in cui è sopravvissuto solo un toponimo (per esempio maladière, maladrerie, ecc.).
In generale, i lebbrosari repertoriati rispettano tre condizioni geografiche. Innanzitutto si situano ai
margini degli agglomerati urbani, sui confini del comune o della signoria. In secondo luogo le
costruzioni sorgono nelle immediate vicinanze di una via di transito, in quanto la raccolta
dell’elemosina presso i viandanti era un’attività fondamentale. Da ultimo, per ogni lebbrosario è
attestata la vicinanza ad una fonte d’acqua (nel caso in cui si tratti di una fontana è esplicitato ai
malati l’obbligo di utilizzare un mestolo).
Secondo Borradori (1992, p. 18), per quanto concerne la costruzione dei lebbrosari vodesi, è
possibile distinguere due periodi principali: i secoli XII-XIII e il XVI secolo:
[…] Les fondations des XIIe-XIII
e siècles sont aussi certainement liées à l’essor du
mouvement de charité dans tout l’Occident chrétien – essor qui se concrétise, par exemple,
par de nombreuses créations d’hôpitaux – et la fondation des maladières. Par contre, les
fondations plus tardives pourraient être liées à la reconstruction des institutions charitables
après la Réforme […].
Dalla ricerca emerge un numero impressionante di luoghi adibiti all’alloggio dei malati: se ne
contano quasi una settantina il Pays de Vaud. Questo non vuol però dire che il territorio fosse
esposto ad un maggior rischio di contagio. La ragione è piuttosto da ricercare nella tendenza
all’isolamento comunale e al frazionamento politico, vale a dire alla mancanza di un coordinamento
regionale. Borradori sottolinea con vigore il fatto che “on ne peut pas en aucun cas évaluer le
nombre de malades en fonction du nombre de léproseries” (Borradori, 1992, p. 20).
Oltre al complesso lavoro di classificazione dei lebbrosari, ad un’approfondita ricerca
sull’organizzazione (prima ecclesiastica e poi laica) degli stessi e sui diritti e i doveri dei malati, lo
studio di Piera Borradori offre un ricco apparato di fonti documentarie. Attraverso l’analisi di
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quest’ultime è possibile ricostruire le vicende personali di individui che, in momenti diversi della
vita, si ritrovano a dover abbandonare la comunità dei sani per entrare a vivere in quella dei malati.
Si tratta di documenti redatti in presenza di pubblici ufficiali che confermano la diagnosi di lebbra e
decretano le diverse fasi di abbandono dalla comunità. In essi sono talvolta riportate le volontà del
malato (ad esempio lasciti testamentari e vincoli patrimoniali), le modalità che hanno portato al
“sospetto di lebbra” (denuncia da parte della comunità, auto-denuncia), le diagnosi dei chirurghi e
dei barbieri, i divieti imposti ai malati, i diritti di cui possono beneficiare, eccetera.
Il lettore, anche se estraneo all’ambito della ricerca accademica, non può sottrarsi al coinvolgimento
dato dalle vicende umane che, una dopo l’altra, ci portano a conoscere i nomi e le storie personali di
ciascun individuo sospettato di lebbra. È emblematico il caso di Christine, denunciata dalla
comunità di Assens. L’ufficiale della corte di Losanna, il 18 settembre 1405, decreta (Borradori,
1992, p. 192):
[…] Pour cette raison, nous vous chargeons d’annoncer publiquement que cette Christine est
lépreuse et infectée de lèpre, et qu’il faut la séparer et chasser de la compagnie des bien
portants.
A volte, addirittura, intere comunità vengono sottoposte al controllo dei medici. È il caso di Claude
Chastellet, medico inviato dal principe Carlo di Savoia nella parrocchia di Constantine, che il 18
settembre 1541 scrive (Borradori, 1992, p. 224):
[…] j’ai visité et palpé dans la paroisse de Constantine tels etc. que j’ai constatés lépreux,
d’abord parce qu’ils ont les marques des quatre lèpres (la léonine, l’alopicia, l’éléphantia et la
tyriasis), ensuite à cause de la perte des sourcils, de leurs enflures et rondeurs, des ulcères
internes, des difficultés réspiratoires: c’est comme s’ils parlaient du nez. Leur teint est pâle,
cadavérique et jaunâtre; leur visage aussi est terrible avec ses teintes jaunâtres et brunâtres,
avec les paupières et les oreilles rongées, ainsi que le muscle qui se trouve entre le pouce et
l’index, aux pieds comme aux mains […]. Ce sont-là des signes manifestes qui attestent que
ces patients doivent être séparés de la population.
Morire vivendo
11
5. Il percorso didattico
a) Struttura dell’itinerario didattico
Il percorso didattico dedicato allo studio della lebbra nel Medioevo è stato articolato sull’arco di
sette lezioni, cioè 14 ore, così strutturate:
- introduzione alla medicina medievale e alle conoscenze sulla lebbra (2 ore);
- la lebbra: una malattia del corpo e dell’anima (2 ore);
- i lebbrosari e la rappresentazione dei malati (2 ore);
- l’entrata nel lebbrosario (1 ora);
- laboratorio storico (4 ore);
- discussione su un testo storiografico di Jacques Le Goff e conclusione (1 ora);
- verifica sommativa (2 ore).
b) Scelta dei materiali
Le quattro lezioni preliminari sono state elaborate partendo dalla lettura delle pubblicazioni
riportate nella bibliografia allegata a questo lavoro. È senza dubbio fondamentale l’opera di
Françoise Bériac, Histoire des lépreux au Moyen Âge, ancora oggi studio di riferimento sul tema
della lebbra nel Medioevo.
Per quanto concerne il laboratorio storico, gli studenti hanno lavorato su alcuni documenti scelti dal
lavoro di ricerca di Piera Borradori, Mourir au monde. La scelta dei materiali, tradotti in italiano per
l’occasione, ha voluto offrire agli studenti lo spunto per indagare e mettere in luce, attraverso un
metodico lavoro di analisi delle fonti, una serie di elementi emersi nel corso delle lezioni
preliminari, sviluppando ed approfondendo così il tema della segregazione dei lebbrosi.
c) Modalità didattiche
Nell’arco delle 14 ore dedicate a questo itinerario ho proposto agli studenti attività e modalità
didattiche variate. Mentre nelle prime ore si è resa necessaria una presentazione più cattedratica
degli argomenti, durante le lezioni successive gli alunni, appropriatisi degli strumenti e delle
conoscenze di base indispensabili alla comprensione del tema, hanno potuto lavorare
individualmente e, in occasione delle ore dedicate al laboratorio storico, in gruppi di tre o quattro.
Tutti gli incontri sono stati animati con l’ausilio di dossier (distribuiti di volta in volta) e di
presentazioni power-point, intese non come attività di copiatura da parte degli allievi, ma come
ausilio per facilitare la presa di appunti. Nel corso di tutto l’itinerario non sono mancate le
discussioni plenarie, importanti occasioni di confronto, chiarimento e dibattito. Infatti, pur
Morire vivendo
12
concernendo un’epoca storica molto lontana, il tema della segregazione dei lebbrosi ha saputo
fornire interessanti riferimenti con il presente: gli allievi si sono mostrati attenti osservatori ed
interpreti dell’attualità, proponendo connessioni e confronti tra quanto studiato in aula e quanto
vissuto o visto nel quotidiano.
Il laboratorio storico merita, da parte sua, qualche precisazione in più avendo richiesto un
investimento importante di tempo ed energie da parte degli studenti (quattro ore-lezione in classe e
una riunione al di fuori dell’orario scolastico). Le motivazioni che mi hanno spinto a scegliere
questa modalità didattica sono di triplice natura: didattica, pedagogica e storiografica.
Le motivazioni di natura didattica, come suggerisce Paolo Bernardi (2006), si prefiggono la
progettazione di percorsi in grado di promuovere un sincero coinvolgimento ed una reale
comprensione degli argomenti, evitando che questi scivolino nell’oblio nell’arco di poche
settimane. Il fatto di lavorare ad un progetto comune in modo differenziato consente infatti ai
ragazzi di dare un valore positivo alla relazione tra pari, promuovendo l’ascolto reciproco e
svolgendo quindi un “attivo apprendistato alla democrazia” (Bernardi, 2006, p. 25). Le ragioni
pedagogiche si fondano invece sul fatto che “ricerca e gruppo sono un binomio inseparabile che
rivoluziona i processi cognitivi ed emotivi dell’apprendimento” (Bernardi, 2006, p. 26).
Promuovere questo binomio, a mio avviso, è una strategia vincente sia per lo studente che per
l’insegnante, permettendo un dialogo ed un confronto tra tutte gli attori in scena. Infine, per quanto
concerne le motivazioni storiografiche, ritengo altamente formativo avvicinare gli alunni al lavoro
che lo storico compie negli archivi, affinché questi possano progressivamente appropriarsi degli
strumenti per acquisire un metodo rigoroso, promuovendo così un atteggiamento critico ed un
miglior orientamento nella realtà.
Morire vivendo
13
6. Presentazione delle attività
a) Lezione 1: introduzione alla medicina medievale e alle conoscenze sulla lebbra3
Obiettivo della lezione: offrire agli studenti una panoramica generale delle conoscenze mediche nel
Medioevo, al fine di poter comprendere in seguito le diagnosi di lebbra e la sintomatologia descritta
nelle fonti.
La prima fase della lezione si propone di illustrare le principali caratteristiche della teoria umorale
così com’è concepita nel mondo antico e sistematizzata da Galeno, ponendo l’accento sul fatto che
ogni malessere fisico viene interpretato come uno squilibrio tra i diversi umori ed elementi. In
questa fase introduttiva gli studenti si rendono immediatamente conto che le conoscenze della
medicina medievale si basano essenzialmente su principi filosofici e non su fondamenti scientifici.
La seconda parte della lezione offre una concisa lettura diacronica della storia della medicina. Pur
trattandosi di una sintesi particolarmente succinta, emergono i punti fondamentali, quali l’eredità
delle teorie antiche (in particolar modo di Ippocrate e Galeno), il ruolo primario giocato dalla
diffusione dei testi arabi per la trasmissione dei testi antichi, la medicina conventuale dell’alto
Medioevo e il lento sviluppo della medicina occidentale con l’avvento della scuola salernitana.
La terza fase della lezione concentra l’attenzione sul morbo della lebbra. Dopo una presentazione
delle conoscenze scientifiche attuali sulla malattia, gli studenti scoprono quali sono le
interpretazioni mediche medievali, di Oribasio di Pergamo4 prima e di Ali Abbas
5 in seguito. In
questo modo è possibile identificare i quattro tipi di lebbra e gli umori ad essi connessi: elephantia
(bile nera), tiria (flemma), leonina (bile gialla), vulpina (sangue). Infine, si esemplifica la
sintomatologia affinché gli allievi siano poi in grado, durante il laboratorio, di riconoscere le
principali caratteristiche della patologia.
La lezione si conclude con la presentazione di due figure professionali molto importanti nella
diagnosi della malattia e nelle pratiche mediche sui malati: chirurghi e barbieri. Questo
approfondimento è inserito nell’ottica di una migliore comprensione dei documenti che verranno
analizzati in seguito nel laboratorio storico.
3 Vedere allegato 1.
4 Oribasio di Pergamo (325-403), è considerato uno dei medici più illustri della scuola bizantina. Dopo aver studiato ad
Alessandria, svolge la professione di medico ad Atene e nel 355 diventa medico personale dell'imperatore Giuliano
l’Apostata. È stato un entusiasta promotore dell'opera di Galeno, considerandola fondamentale per il progresso della
medicina. 5 Ali Abbas, vissuto nel X secolo, è considerato uno dei più grandi medici della cultura arabo-islamica del suo tempo. È
autore del Kitab al-Maliki ossia "Libro Regio", un capolavoro della medicina islamica.
Morire vivendo
14
Fonti iconografiche Salasso, illustrazione tratta dal Codex Schürstab, 1472;
Lebbroso con la campanella, manoscritto del XIV secolo;
Intervento di cauterizzazione anale, trattato di medicina, 1326;
Trapanazione del cranio, miniatura, 1346.
Fonti scritte Bernard de Gourdon, medico francese del XIII secolo, Lilium Medicine.
Testi storiografici di
riferimento
Bériac, F. (1998). A propos de la fin de la lèpre: XII – XV siècles. In A.
Paravicini-Bagliani & F. Santi, The Regulation of Evil. Firenze:
Micrologus’Library, pp. 159-173.
Bériac, F. (1986). Connaissances médicales sul la lèpre et protection contre
cette maladie au Moyen Age. N. Bulst & R. Delort, Actes du Colloque de
Bielefeld, Paris: Editions du Centre National de la Recherche Scientifique,
pp. 145-163.
Bériac, F. (1988), Histoire des lépreux au Moyen Age. Paris: Editions
Imago.
Delort, R. (1972). La vie au Moyen Age. Lausanne: Edita S.A. Trad. it. La
vita quotidiana nel Medioevo. Roma-Bari: Laterza, 2006.
Le Goff, J. (2003). Une histoire du corps au Moyen Age. Paris: Liana Levi.
Trad. it. Il corpo nel Medioevo. Milano: Mondolibri, 2005.
Vigarello, G. (1993). Le Sain et le malsain. Santé et mieux-être depuis le
Moyen-Âge, Paris: Seuil. Trad. it. Il sano e il malato. Storia della cura del
corpo dal Medioevo a oggi. Venezia: Marisilio, 1996.
b) Lezione 2: la lebbra, una malattia del corpo e dell’anima6
Si tratta di una lezione cruciale, infatti l’obiettivo è quello di rendere consapevoli gli studenti del
complesso panorama interpretativo di cui bisogna tener conto quando si parla di lebbra nel
Medioevo. Una complessità che evolve nel corso dei secoli e che porta progressivamente alla
comparsa di una “società repressiva” (Zaremska, 2003, p. 629).
Partendo dalle sacre Scritture (Antico e Nuovo Testamento), passando poi dai testi dei Padri della
Chiesa alle opere agiografiche, gli studenti comprendono come il nesso tra la lebbra e il peccato
originale assuma connotazioni vieppiù complesse, attraverso tentativi di categorizzazione e
regolamentazione. Il passaggio al basso Medioevo porta ad un irrigidimento della percezione dei
6 Vedere allegato 2.
Morire vivendo
15
lebbrosi: gli allievi, concentrandosi sulle norme del Concilio Lateranense III (1179) e sui
drammatici eventi del 1321, si rendono conto della progressiva marginalizzazione dei lebbrosi,
segregati all’interno dei lazzaretti.
Fonti iconografiche San Martino bacia un lebbroso, miniatura, Vita Sancti Martini, XIV secolo.
Fonti scritte Vangelo di Luca 16,19-31;
Descrizione di un lebbroso soccorso da San Martino, Fortunato (vescovo di
Poitiers), VI secolo:
Vita di San Martino di Tours (estratto), Venantius Honorius Clementianus
Fortunatus, VI secolo;
Chronica del monastero di Santa Caterina (estratto), XIV secolo;
Genealogia Comitum Flandrae.
Testi storiografici di
riferimento
Bériac, F. (1988), Histoire des lépreux au Moyen Age. Paris: Editions
Imago.
Borradori, P. (1992), Mourir au Monde. Lausanne: Cahiers lausannois
d’histoire médiévale.
Le Goff, J. (1985). L’imaginaire médiéval, Paris: Gallimard. Trad. it.
L’immaginario medievale. Roma-Bari: Laterza, 2011.
Pichon, G. (1988). Quelques réflexions sur l’affaire des lépreux de 1321.
Revue de l’Association Histoire au présent, 13, pp. 25-30.
Pouchelle, M. C. (1983). Les représentations du corps et de la maladie.
Europe: Revue littéraire mensuelle, pp. 63-71.
Zaremska H. (2003). Marginali. In J. Le Goff & J. C. Schmitt, Dizionario
storico dell’Occidente medievale, Torino: Einaudi, pp. 629-643.
c) Lezione 3: i lebbrosari e la rappresentazione dei malati7
La terza lezione focalizza l’attenzione sulle norme introdotte dal Concilio Laterano III (1179) e IV
(1215) e sulla rappresentazione iconografica dei malati. L’obiettivo è quello di comprendere le
modalità con cui vengono erette barriere protettrici tangibili da parte della comunità sana, con il
risultato di “aumentare le distanze psicologiche tra fedeli ed emarginati, e di esacerbare paure ed
insicurezze” (Zaremska, 2003, p. 643).
7 Vedere allegato 3.
Morire vivendo
16
Gli studenti riflettono dapprima sui contenuti delle norme conciliari, quali le direttive per
l’edificazione di lebbrosari, cimiteri e cappelle, o ancora le regole inerenti l’abbigliamento e i
distintivi da mostrare alla comunità dei sani. In seguito, il docente illustra brevemente le
caratteristiche dell’apparato assistenziale medievale e il ruolo egemonico della Chiesa nella
gestione dei luoghi d’accoglienza (controllo economico e spirituale). L’ultima parte della lezione
prevede l’analisi iconografica di due immagini raffiguranti i lebbrosi. Attraverso l’osservazione
minuziosa del primo documento è possibile individuare alcuni elementi caratteristici della
rappresentazione degli individui contagiati dal morbo, come il lungo mantello, il cappello, la
bisaccia, la battola, le pustole e il bastone. I diversi elementi non sono ritratti casualmente ma
riflettono precise e rigide regole di comportamento. Ad esempio, la battola dev’essere scossa e far
rumore affinché i sani siano allertati del passaggio del malato e possano quindi allontanarsi. Il lungo
mantello, dal canto suo, oltre ad impedire la vista di un corpo orrendamente mutilato, funge da filtro
contro il contagio.
L’analisi della seconda immagine contenuta nel dossier permette invece di porre l’accento
sull’allontanamento spaziale delle categorie neglette, in questo caso i lebbrosi e gli storpi. L’autore
ha posto i due individui al di fuori delle mura: anche in questo caso si tratta di un’evidente barriera
spaziale e psicologica.
Fonti iconografiche Cura dei lebbrosi, miniatura tratta da La Franceschina, codice del XV
secolo, Parigi;
Immagine di lebbroso, tratto dal Miroir territorial di Vincent de Beauvais,
XIV secolo;
Il lebbroso e lo storpio, miniatura, Vincent de Beauvais, XIV secolo.
Testi storiografici di
riferimento
Bériac, F. (1988), Histoire des lépreux au Moyen Age. Paris: Editions
Imago.
Berlioz, J. (2003). Flagelli. In J. Le Goff & J. C. Schmitt, Dizionario
storico dell’Occidente medievale, Torino: Einaudi, pp. 430-444.
Borradori, P. (1992), Mourir au Monde. Lausanne: Cahiers lausannois
d’histoire médiévale.J.
Le Goff, J. (1985). L’imaginaire médiéval, Paris: Gallimard. Trad. it.
L’immaginario medievale. Roma-Bari: Laterza, 2011.
Le Goff, J. (1994). L’homme médiéval, Paris: Seuil. Trad. it. L’uomo
medievale, Roma-Bari: Laterza, 2010.
Morire vivendo
17
Pouchelle, M. C. (1983). Les représentations du corps et de la maladie.
Europe: Revue littéraire mensuelle, pp. 63-71.
Zaremska H. (2003). Marginali. In J. Le Goff & J. C. Schmitt, Dizionario
storico dell’Occidente medievale, Torino: Einaudi, pp. 629-643.
d) Lezione 4: l’entrata nel lebbrosario8
Questa lezione, di una sola ora, vuole mettere in luce i diversi momenti che caratterizzano l’entrata
del lebbroso nel lazzaretto e i divieti a cui il malato deve sottostare. Anche in questo caso non ci si
vuole limitare allo studio delle tecniche di allontanamento, bensì promuovere negli studenti una
riflessione sulle implicazioni sociali e psicologiche del processo segregativo.
Grazie al lavoro di ricerca di Françoise Bériac è possibile ricostruire le diverse tappe di una
cerimonia che ricalca, sia nella gestualità che nei contenuti, la liturgia funebre. Gli allievi, avendo
già visto le norme sancite dai Concili del 1179 e del 1215, sono inoltre in grado di analizzare con
cognizione di causa un regolamento del XV secolo contenuto nell’opera del 1736 De antiquis
ecclesie ritibus (in F. Bériac, 1988, pp. 193-194). Il documento è proposto agli allievi nella versione
originale: l’attività di traduzione collettiva e di commento offre interessanti spunti di riflessione,
anche di natura etimologica, impossibili da proporre in una versione tradotta. Ad esempio, il
termine ladre, che in italiano non assume il significato di lebbroso, deriva da la(z)aros. Questo
consente agli allievi di stabilire riferimenti pertinenti con la parabola di Lazzaro e del ricco Epulone
(Vangelo di Luca, 16), analizzata precedentemente in classe.
Fonti scritte Martène E. (1736). De antiquis ecclesie ritibus (estratto). Vol. II: Anversa.
Testi storiografici di
riferimento
Bériac, F. (1988), Histoire des lépreux au Moyen Age. Paris: Editions
Imago.
Borradori, P. (1992), Mourir au Monde. Lausanne: Cahiers lausannois
d’histoire médiévale.
Le Goff, J. (1963). La civilisation de l’Occident médiéval, Paris: B.
Arthaud. Trad. it. La civiltà dell’Occidente medievale. Torino: Einaudi,
1999, pp. 345-346.
8 Vedere allegato 4.
Morire vivendo
18
e) Lezione 5: laboratorio storico9
L’attività di laboratorio, svolta in piccoli gruppi, è articolata su quattro ore di lavoro in aula e su
alcuni momenti al di fuori dell’orario scolastico. L’obiettivo è quello di promuovere negli studenti il
piacere dell’indagine e della scoperta seguendo un metodo di lavoro rigoroso.
L’attività è pensata partendo dal presupposto che “l’apprendimento della storia avviene attraverso le
operazioni che lo stato dell’arte consente, con materiali e strumenti di tipo storiografico,
considerando gli allievi e le allieve non passivi destinatari, ma costruttori di un percorso di storia”
(Bernardi, 2006, p. 21). Per questa ragione, gli studenti sono chiamati a coordinarsi all’interno di un
gruppo, a cui viene affidato un documento tradotto in italiano.
La prima parte della lezione introduce brevemente il contesto vodese e il lavoro di Piera Borradori,
Mourir au monde. In seguito vengono presentati i materiali e le modalità di analisi, ponendo come
fase conclusiva del lavoro la presentazione orale del documento e della sua indagine da parte di
ogni gruppo.
I gruppi (stabiliti dal docente in accordo con gli studenti) ricevono i materiali seguenti:
Gruppo 1: Losanna (1396) - Jean Giliet;
Gruppo 2: Assens (1406) - Christine Masseleir;
Gruppo 3: Colovray (1423) - Guillaume Quiblet e Aymara Sougay;
Gruppo 4: Saint-Prex (1424) - Mermette Bulliod con la figlia;
Gruppo 5: Colovray (1491) - Guillaume Alliod;
Gruppo 6: a) Constantine (1541) - rapporto del medico Claude Chastellet;
b) Yverdon (1520) - rifiuto da parte di alcuni appestati di accogliere una lebbrosa.
I primi cinque documenti riguardano l’allontanamento degli individui sopracitati dalla comunità
d’appartenenza. L’analisi prevede quindi la ricostruzione della vicenda personale del lebbroso,
portando alla luce tutta una serie di elementi studiati nel corso delle settimane precedenti, quali la
cerimonia di abbandono della comunità, la diagnosi da parte di chirurghi e barbieri, eccetera.
L’ultimo gruppo lavora invece su due documenti che offrono interessanti spunti di approfondimento
e indagine. Il primo consente, attraverso le parole del medico Claude Chastellet, di comprendere in
cosa consiste una diagnosi di lebbra e qual è la sintomatologia rilevata nei malati. Ciò porta gli
studenti a fare le dovute relazioni con i principi della medicina medievale, in particolare con la
teoria umorale. Il secondo documento mette in luce il caso di una lebbrosa rifiutata da alcuni malati
di peste propter suum malum. Si tratta di un prezioso passaggio che porta gli allievi a comprovare e
9 Vedere allegati 5, 6, 7 e 8.
Morire vivendo
19
approfondire la particolare percezione della lebbra, in quanto malattia non solo del corpo ma anche
dell’anima.
I gruppi sono quindi chiamati ad indagare i documenti con l’ausilio di una semplice tabella (in cui
vanno riportati l’autore, la data, il luogo, gli attori sociali e il contenuto di massima) che funge da
base su cui costruire l’analisi.
Ogni gruppo ha il compito di elaborare una presentazione di circa quindici minuti durante la quale
si espone il documento analizzato e si ricostruisce la storia personale del protagonista. Trattandosi
di un lavoro di quattro ore, in cui sono da includere le presentazioni, i gruppi sono invitati a
ritrovarsi almeno una volta tra una lezione e l’altra per discutere i dettagli organizzativi (mappe
concettuali da scrivere alla lavagna, schede da distribuire ai compagni, documenti power-point,
eccetera).
Fonti scritte Documenti tratti e tradotti da P. Borradori, Mourir au monde:
- Losanna (1396);
- Assens (1406);
- Colovray(1423);
- Saint-Prex (1424);
- Colovray (1491);
- Constantine (1541);
- Yverdon (1520).
Testi storiografici di
riferimento
Borradori, P. (1992), Mourir au Monde. Lausanne: Cahiers lausannois
d’histoire médiévale.
Coutaz G. (2013), Vaud in Dizionario storico della Svizzera, www.hls-dhs-
dss.ch.
f) Lezione 5: discussione su un testo storiografico di Jacques Le Goff e conclusione10
L’obiettivo della lezione conclusiva si prefigge di riflettere con gli studenti sul percorso intrapreso,
mettendo a fuoco alcuni punti nodali riguardanti la percezione e la rappresentazione dei lebbrosi nel
Medioevo.
Una sintesi del percorso, coadiuvata dalla lettura (assegnata come compito a casa) Gli emarginati
nell’Occidente medievale, tratta dall’opera Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidentale di
10 Vedere allegato 9.
Morire vivendo
20
Jacques Le Goff (1983), stimola nei ragazzi una riflessione più generale sui concetti di marginalità
ed esclusione. Al termine della discussione gli studenti sono ormai consapevoli del fatto che
occuparsi di marginalità nel Medioevo significa riflettere sulle radici della nostra società, per poter
indagare e comprendere così anche l’attualità. Rimando al capitolo conclusivo alcune
considerazioni sulla chiusura ed il relativo bilancio dell’itinerario didattico.
g) Verifica sommativa11
Al termine dell’itinerario è possibile verificare negli studenti l’acquisizione degli obiettivi
perseguiti nel corso delle lezioni.
La verifica sommativa, della durata di due ore, prevede tre fasi:
- riflessione argomentativa sulla lebbra intesa come malattia del corpo e dell’anima;
- analisi iconografica di un’immagine di Vincent de Beauvais;
- analisi di una fonte scritta relativa al contesto del Pays de Vaud.
Attraverso questo lavoro si vuole verificare le capacità degli studenti di esporre in modo chiaro e
adeguatamente argomentato i seguenti ambiti:
- ambiguità e complessità del panorama interpretativo connesso alla rappresentazione e alla
percezione della malattia;
- riconoscimento e descrizione dei principali motivi iconografici rappresentanti i malati nel
basso Medioevo;
- analisi di una fonte scritta, contestualizzazione storica e connessioni con gli
approfondimenti visti in classe.
Commento alla verifica sommativa
I risultati ottenuti si sono rivelati più che soddisfacenti, infatti quasi tutti gli studenti hanno
raggiunto gli obiettivi prefissati:
11 Vedere allegato 10.
Testi storiografici di
riferimento
Le Goff, J. (1979). Le marginaux dans l’Occident médiéval. Paris: U.G.E.
Trad. it. Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale. Roma-
Bari: Laterza, 1983.
Morire vivendo
21
Figura 6.1: risultati della verifica sommativa
La correzione delle verifiche mi ha consentito di sondare l’effettiva comprensione degli argomenti
trattati in classe da parte degli studenti. Parecchi allievi hanno saputo cogliere ed argomentare le
complesse sfumature interpretative sulla lebbra e le principali caratteristiche del processo
segregativo che portano alla reclusione dei malati nei lazzaretti. Nel capitolo in cui sono contenuti
gli allegati12
è possibile leggere alcune elaborazioni scritte degli studenti.
12 Vedere allegato 11.
0 1 2 3 4 5 6 7
3,5
3,75
4
4,25
4,5
4,75
5
5,25
5,5
Numero di studenti
Vo
to
Morire vivendo
22
7. Conclusioni
Riflettere, progettare e costruire le differenti tappe di questo itinerario ha richiesto parecchio tempo
e non poca fatica: entusiasmo e dubbi si sono alternati e combinati tra loro nel corso di tutte le fasi
del lavoro, consentendomi tuttavia di ritrovare il piacere dell’indagine minuziosa, della
problematizzazione, degli slanci alla ricerca di questo o quel dettaglio. L’insegnante, nella pratica
quotidiana, rischia infatti di lasciarsi prendere nel vortice delle diverse scadenze, accantonando,
almeno temporaneamente, quelle letture che hanno la capacità di stimolare e aprire la mente a nuovi
orizzonti.
Proporre a ragazzi di sedici anni un itinerario didattico sui lebbrosi, individui emarginati e vituperati
per secoli, mi ha consentito di promuovere alcuni aspetti a mio avviso vitali nell’insegnamento della
storia e di riflettere sul mio percorso professionale.
Innanzi tutto credo che lo studio della storia medievale non sia un altrove indefinito, ma un passato
reale e una possibile chiave di lettura del presente. Come scrive giustamente Guarracino (2006, p.
3), “[…] l’insegnamento non si limita alla storia contemporanea o a quella che in qualunque modo
le è correlata o le fa da premessa, ma si estende anche a quel che è fortemente altro da noi e che
dobbiamo sforzarci di comprendere nella sua storicità”. Promuovere negli allievi il senso storico e
la percezione della storicità nella realtà è un compito cui nessun docente di storia dovrebbe sottrarsi:
il rischio, altrimenti, è quello di un insegnamento pensato a compartimenti stagni, in cui ciò che è
accaduto appartiene a una dimensione chiusa e avulsa da qualsiasi connessione con il presente.
Studiare la lebbra nel Medioevo non è quindi un esercizio finalizzato ai tecnicismi della ricerca,
bensì un’occasione per portare alla luce “questioni socialmente vive” (Heimberg, 2008) in grado di
suscitare negli studenti un sincero interesse e coinvolgimento. Le modalità d’emarginazione e
d’esclusione applicate ad individui ritenuti pericolosi per la comunità cristiana medievale non
possono ad esempio esimersi dal portare tra i banchi di scuola le vicende di coloro che oggi vivono
ai bordi del nostro presente, additati come pericolosi perché diversi.
L’aula scolastica, in questo senso, consente di sondare e affrontare le questioni sociali che “si
formano in maniera latente e rischiano di riaffiorare a seconda delle circostanze. È proprio in queste
circostanze che è più facile che gli studenti arrivino in classe con delle rappresentazioni e delle
conoscenze costruite al di fuori del contesto scolastico” (Heimberg, 2008, p. 58). Un’occasione
preziosissima, quindi, per smentire i pregiudizi e sviluppare uno spirito critico e consapevole.
Ritengo che questo itinerario, seppur perfettibile e bisognoso di aggiustamenti, abbia comunque
saputo intercettare la motivazione dei ragazzi, promuovendo in loro la consapevolezza che la
scrupolosità e il rigore scientifico sono strumenti fondamentali e imprescindibili per la lettura del
Morire vivendo
23
passato ed una miglior comprensione del presente. Il laboratorio storico, in particolare, ha favorito
un lavoro dinamico, analitico e minuzioso. Come ricorda Verrastro (2009, p. 9) “ogni intervento
didattico deve mirare a non svendere i contenuti specifici delle discipline (mediante semplificazioni
o pericolose revisioni) ma partire dalla scoperta dello studente per giungere alle sue emozioni e ai
suoi interessi […]”.
Il lavoro dello storico è quindi un’esigenza sociale e non un virtuosismo intellettuale ad
appannaggio di pochi. Un’indagine rigorosa e onesta del passato, malgrado i “vorticosi processi di
conoscenza che sempre meno inducono alla ricerca, alle analisi approfondite” (Verrastro, 2009, p.
7) deve essere difesa strenuamente. A questo proposito, Eric Hobsbawm giudica severamente le
nostre generazioni (2006, pp. 14-15):
La distruzione del passato, o meglio la distruzione dei meccanismi sociali che connettono
l’esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti, è uno dei fenomeni più
tipici e insieme più strani degli ultimi anni del Novecento. La maggior parte dei giovani alla
fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto
organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono.
Gli sforzi didattici degli insegnanti di storia cercano costantemente di coniugare il sapere con le
metodologie affinché le generazioni contemporanee si dimostrino meno prede del “presente
permanente” e maggiormente consapevoli (e riconoscenti) delle eredità fornite dal passato. I
docenti, attraverso percorsi didattici ragionati e scientificamente fondati, hanno la preziosa
possibilità di favorire concretamente la crescita intellettuale ed emotiva degli studenti, futuri
cittadini e attori del mondo.
Sarebbe certamente più comodo considerare ormai estinti comportamenti segregativi secolari: il
rumore della battola non risuona più nelle vie dei quartieri, non si praticano funerali ai vivi o
processi sommari per “corruzione dell’anima”, nessuno teme il contagio lungo la strada. Tuttavia, a
ben guardare, questo Medioevo lontano non sembrerebbe esser svanito completamente nel nulla.
Morire vivendo
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Trad. it. Il sano e il malato. Storia della cura del corpo dal Medioevo a oggi. Venezia: Marisilio,
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Articoli:
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Heimberg, C. (2008). Le questioni socialmente vive e l’apprendimento della storia. Mundus, 1, pp.
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9. Allegati
1) La medicina nel Medioevo e le conoscenze sulla lebbra
2) Malattia del corpo e dell’anima
3) I lebbrosari e la rappresentazione dei malati
4) L’entrata nel lebbrosario e l’uscita dal mondo dei sani
5) Le fonti
6) Laboratorio storico
7) Documenti
8) Analisi delle fonti – schede per gli appunti
9) Gli emarginati nell’Occidente medievale
10) Verifica sommativa
11) Testi degli studenti
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La medicina nel Medioevo Allegato 1 Nel Medioevo, il concetto di salute veniva associato a quello di equilibrio tra gli umori, basato sulla dottrina di Ippocrate e Galeno, secondo cui esisterebbero quattro qualità e quattro umori, rispettivamente caldo, secco, freddo, umido, e sangue, flegma, bile gialla, bile nera. Si riteneva che l’organo specifico in cui risiede ciascun umore fosse il fegato per il sangue, il polmone per il flemma, la cistifellea per la bile gialla e la milza per la bile nera. A monte di questo sistema stava la dottrina dei “quattro elementi” : fuoco, aria, terra e acqua, connessi alle quattro entità cosmiche, il Sole, il Cielo, la Terra e il Mare. Secondo la medicina classica e medievale il principio essenziale del corpo umano è il calore, a sua volta temperato dal freddo. Nell’età dell’uomo e nelle stagioni, tra loro in reciproco rapporto, esisterebbe una netta prevalenza nel complesso equilibrata, di qualità, per cui nell’adolescenza (0-‐30 anni di età) e nella primavera, prevale il caldo e l’umido, nella giovinezza (30-‐40 anni di età) e nella estate il caldo e il secco, nella vecchiaia, sinonimo di maturità (40-‐60 anni) e nell’autunno il freddo e il secco, nella decrepitezza (dai 60 anni in su) e nell’inverno il freddo e l’umido. L’effetto o il difetto (disequilibrio) di raffreddamento si percuotono sugli umori e causano la malattia. “Il corpo ha quattro membra principali: il cuore, da cui escono le arterie; il cervello, sede dell’anima, che emette dei nervi che fanno muovere il corpo; il fegati, da cui provengono le vene; e gli organi genitali, che sono al servizio della specie. L’anima è la vita dell’uomo; creata da Dio non ha fine, e la sua facoltà di distinguere il vero dal falso altro non è se non la ragione, che ci differenzia dagli altri animali”.
Robert Delort, Vita quotidiana nel Medioevo, p. 65. Partendo dall’idea in base alla quale la malattia nasce come alterazione dell’equilibrio tra i quattro umori essenziali, i medici ritenevano necessario operare interventi che ristabilissero tale equilibrio. Dunque, non solo c’era un’attenzione maniacale a ogni fenomeno di espulsione di sostanza organica, ma si tendeva a provocare l’emissione di liquidi in modo artificiale, sia inducendo il vomito sia praticando il salasso. Quest’ultima pratica, che è rimasta in voga per secoli, era ampiamente utilizzata, non solo durante il malanno, ma anche periodicamente, come strumento di prevenzione di qualsiasi alterazione degli umori.
Salasso, illustrazione tratta dal Codex Schürstab (1472), Zentralbibliothek, Zurigo.
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Alcune tappe fondamentali della storia della medicina dal IV s. a.C. al XIII s. d.C. Ippocrate (IV-‐V secolo a.C.) è il più grande medico greco. Staccandosi completamente dalla medicina sacerdotale e magica, le dà un fondamento razionale e sperimentale. Per la prima volta afferma l'azione dell'ambiente sull'individuo e sull'origine della malattia, l’importanza dell’ereditarietà. Propone una concezione etica della medicina, le cui norme fondamentali sono il segreto professionale, la consapevolezza di compiere un'opera nobile, che ha come obiettivo imprescindibile il bene del malato, l’illegalità dell'aborto, il divieto dell’uso di veleni. Scuola di Alessandria (II secolo a.C.): in ambito ellenistico fiorisce ad Alessandria la famosa scuola medica. A essa si devono le prime importanti scoperte nel campo dell’anatomia e della fisiologia, grazie alle prime dissezioni di cadaveri a scopo di studio. Galeno (II secolo d.C.), medico imperiale a Roma, è considerato il più grande medico dell'antichità dopo Ippocrate. Stabilisce la dottrina dei quattro temperamenti (sanguigno, flemmatico, collerico, bilioso) che influenzerà per molti secoli la medicina e, sebbene dichiari di essere all'oscuro sulla natura o sostanza dell'anima, distingue tre facoltà: razionalità con sede nel cervello, passionalità con sede nel cuore, appetitività con sede nel fegato. Il principio fondamentale di vita è per lui lo pneuma (aria, alito, spirito). Durante l’alto Medioevo il cristianesimo interpreta la guarigione come un intervento divino. Si forma quindi una medicina chiamata conventuale. Con il concetto di carità nascono gli ospedali, in un primo tempo intesi come luogo di accoglienza per deboli (poveri, pellegrini, ammalati, vecchi, neonati), successivamente come strutture dedicate alle cure delle malattie. La medicina conventuale ha la caratteristica di dare asilo a viandanti e curare gli ammalati. �Non si può non citare il mondo arabo, infatti la civiltà araba assorbe la dottrina ellenistica e romana. Pur avendo introdotto in terapia farmaci nuovi e migliorato le tecniche chirurgiche non è stata apportatrice di un vero e proprio progresso, limitandosi a commentare e rielaborare i classici, adattandoli alle proprie esigenze spirituali. Il merito di aver tramandato, anche nella cultura occidentale, il pensiero dei grandi maestri classici durante il Medioevo è sostanzialmente degli Arabi. Particolare fortuna hanno gli scritti di Avicenna, il cui Canone di medicina, basato su Ippocrate e Galeno, è accettato senza discussioni dai medici europei fino alla fine del XVI secolo. Danno il loro contributo numerosi autori, tra cui Albucasis, medico e chirurgo, considerato il padre della chirurgia moderna. La Scuola salernitana è particolarmente attiva nei secoli XI e XII grazie alla diffusione in Occidente delle opere arabe. È la più antica e famosa scuola di medicina del Medioevo ed influenzerà l'evoluzione della medicina soprattutto grazie alle regole per un corretto modo di vita: non lasciarsi sopraffare dalle preoccupazioni e dalla collera, bere poco vino, non mangiare troppo, curare il riposo, fare del moto, eccetera. Federico II, con un decreto (1240), autorizza la dissezione dei cadaveri e rende obbligatorio per i chirurghi lo studio dell'anatomia; inoltre regola I ‘attività dei farmacisti.
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La lebbra Oggi sappiamo che la lebbra è una malattia infettiva provocata dal bacillo di Hansen, o mycrobacterium leprae. I casi di lebbra sono fondamentalmente due:
-‐ la persona contagiata dispone di difese immunitarie in grado di ostacolare il mycrobacterium leprae;
-‐ la persona infettata non ha nessun anticorpo in grado di opporre resistenza alla malattia.
Nel primo caso il malato contrae una forma di lebbra detta tubercoloide. In assenza di cure adeguate, questa porta a mutilazioni e possibili paralisi. Nella forma lepromatosa (secondo caso), l’insieme delle lesioni possono condurre ad una morte molto rapida (pochi anni, addirittura settimane). In medicina si distinguono tre tipi (o fasi) di lebbra:
-‐ lebbra tubercoloide -‐ lebbra lepromatosa -‐ lebbra indeterminata (una forma iniziale che tende poi verso una dei due tipi).
Oribasio di Pergamo (325-‐403, scrittore e medico dell’Impero romano) afferma che l’elephantiasis (lebbra) deriva da un eccesso di atrabile (bile nera) per rapporto all’umore opposto, il sangue. Ali Abbas ed il suo traduttore Abulcasis teorizzano successivamente quattro tipi di lebbra, sempre in relazione alla teoria umorale:
-‐ elephantia (bile nera) -‐ tiria (flemma) -‐ leonina (bile gialla) -‐ vulpina (sangue)
Secondo la medicina medievale, quindi, esistono quattro tipi di lebbra. La leonina proviene dalla bile e affligge anche i grandi felini. Questa forma comporta la caduta delle estremità, come il naso, rende la voce nasale e gonfia le vene. Insomma, il viso del malato subisce terribili menomazioni assomigliando così a quello di un leone. La vulpina (o alopicia) trae invece origine nel sangue adusto (secco) e provoca la caduta di tutti i peli, come accade appunto alle volpi che contraggono la malattia. L’elephantia colpisce anche i pachidermi ed è causato da una disfunzione della bile nera: i sintomi sono la voce rauca, le palpebre consumate, la ritrazione delle narici, l’apparizione di escrescenze dure e talvolta insensibili. Il quarto tipo di lebbra, detto tiria, proviene dal flemma: rende la pelle più molle e bianca, sorgono noduli molli, possono subentrare diversi tipi di atrofie, le narici sono intasate e la voce è rauca.
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Bernard de Gourdon, medico francese del XIII secolo, descrive nell’opera Lilium Medicine alcuni sintomi determinanti: “I segni infallibili sono l’alopecia e la prominenza delle sopracciglia, la rotondità degli occhi, la dilatazione delle narici e il loro irrigidimento interno con relative difficoltà respiratoria e voce nasale, il pallore del viso tendente alla nerezza cadaverica, l’aspetto terribile del viso con uno sguardo fisso, l’assottigliamento e la contrazione della carne delle orecchie […]. Ci sono molti altri segni, come le pustole e le escrescenze, la consunzione dei muscoli e soprattutto quello tra pollice e indice, l’insensibilità delle estremità, ferite e infezioni cutanee. Il sangue, quando viene lavato come occorre, lascia un residuo nero terroso, granuloso, sabbioso”.
Osservando l’immagine sopra, raffigurante un lebbroso con campanella in un manoscritto del XIV secolo, quali segni citati da De Gourdon è possibile riconoscere? Quali ipotesi possiamo inoltre avanzare sulla rappresentazione e la percezione dei malati da parte dei sani?
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Immagine sopra: intervento di cauterizzazione, trattato di medicina del 1326. Immagine a sinistra: trapanazione del cranio, miniatura del 1346.
Immagini tratte da Focus – Storia, gennaio 2008, p.43.
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Medici, chirurghi e barbieri Fra il 1123, anno del primo Concilio Lateranense, e il 1215, anno del quarto Concilio Lateranense, ai sacerdoti cattolici e ai diaconi venne proibito di praticare la medicina a discapito della loro funzione ecclesiastica. Fino ad allora, infatti erano proprio i religiosi che curavano i malati e spesso eseguivano piccole operazioni. Quando la Chiesa cominciò ad esigere il distacco da queste pratiche, furono proprio i barbieri ad assumere tale ruolo. Subito disprezzati per quel contatto eccessivamente intimo con il corpo umano; manipolatori di carne e sangue, posti sullo stesso piano dei macellai e dei carnefici; tacciati di essere degli omicidi ingannatori, i chirurghi furono a lungo considerati medici inferiori, guardati con sospetto sia da una Chiesa che considerava la chirurgia una pratica abominevole in contrasto con il credo cristiano, sia dai loro stessi colleghi medici. Alcuni interventi chirurgici venivano poi delegati ad un subalterno, il barbiere, il quale si dedicava a vere e proprie operazioni, come ad esempio l'estrazione dei denti, i salassi e la cura degli ascessi. Henry de Mondeville, il grande chirurgo francese medico di Filippo il Bello1, riteneva i barbieri: «chirurghi orgogliosi e illetterati, stupidi e completamente ignoranti», insomma, dei veri e propri concorrenti dei medici capaci di condividere con questi ultimi sì la pratica, ma non certamente il sapere teorico. Le operazioni delegate ai barbieri erano sicuramente quelle più umili e a più diretto contatto con il sangue che, se da una parte poteva essere considerato oggetto di culto rappresentando il sangue di Cristo, dall'altra era disprezzato e anzi ritenuto pericoloso e velenoso, tanto che la legge imponeva di gettarlo via immediatamente dopo gli interventi. “Malgrado alcune rilevanti eccezioni, come il caso di Mondeville, la medicina scientifica nel Medioevo stenta a prendere l’abbrivio […]. Ancora una volta, è la tensione che percorre l’Occidente medievale a fornirci una chiave. Nel Medioevo il corpo in sé non esiste. È sempre compenetrato dall’anima, ed è alla salvezza eterna di questa che si pensa in primo luogo. La medicina è quindi principalmente una medicina dell’anima che passa attraverso il corpo ma sempre andando oltre di esso […]. La medicina medievale ha comunque introdotto anche innovazioni tecniche di rilievo, soprattutto nel campo della chirurgia: trapanazione, riduzione delle fratture, operazione della fistola anale, legatura delle emorroidi, emostasi attraverso cauterizzazione, estrazione di corpi metallici estranei mediante una calamita, sutura delle piaghe profonde del torace. Si è poi notevolmente arricchita la farmacologia, principalmente attraverso l’uso di alcool e del mercurio. L’alcool è infatti una scoperta del Medioevo. La distillazione del vino, in origine, venne compiuta nei conventi per fabbricare medicinali”.
Jacques Le Goff, Il corpo nel Medioevo, Laterza, Roma-‐Bari, 2005, pp. 101-‐103.
Testi tratti e rielaborati da: F. Bériac, Histoire des lépreux au Moyen Age-‐Une société d’exclus, Editions Imago, Pargi, 1988; R. Delort, La vita quotidiana nel Medioevo, Laterza, Roma-‐Bari, 2006; J. Le Goff, Il corpo nel Medioevo, Laterza, Roma-‐Bari, 2005; G. Vigarello, Il sano e il malato. Storia della cura del corpo dal Medioevo a oggi, Marsilio, Venezia 1996.
1 Filippo IV di Francia (1268 –1314) detto il Bello, fu re di Francia dal 1285 alla sua morte.
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Malattia del corpo e dell’anima Allegato 2 La lebbra, provocando lacerazioni nel corpo del malato senza ucciderlo, si configura nella la società medievale come un’anticipazione della corruzione che il corpo subisce dopo la morte: la lebbra è dunque il segno tangibile di un animo corrotto. Le idee medievali sulla lebbra e sui lebbrosi traggono le loro origini dalle Sacre Scritture e dai Padri della Chiesa, a cui si sono aggiunte nei secoli numerose leggende (come per esempio la guarigione di Costantino). Nell’Antico Testamento si trovano essenzialmente regole per la separazione dei lebbrosi e alcuni episodi in cui la lebbra appare come un castigo, soprattutto a causa di colpe gravi e sacrileghe. Il Nuovo Testamento cita invece i lebbrosi a proposito dei miracoli compiuti da Gesù. San Gerolamo, verso il 400, esplicita il significato primario della lebbra: è la punizione per eccellenza, il “salario del peccato” inflitto all’uomo. Ciechi e paralitici chiedono la guarigione, mentre i lebbrosi dicono a Gesù: “Signore, se lo vuoi, tu puoi purificarmi”. Gesù, cancellando la lebbra, si manifesta come colui venuto a lavare le impurità del genere umano, macchiato dal peccato originale. Accanto al binomio lebbra/peccato si fa quindi strada l’immagine caritatevole nei confronti del malato, il quale, grazie all’intervento divino, perde il marchio di impurità. C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti (…).
Vangelo di Luca 16,19-‐31 Lazzaro, nel suo umiliante e penoso stato di mendicante e ammalato, è quindi meritevole del Paradiso (seno di Abramo), a differenza del ricco Epulone. La tradizione della Chiesa Cattolica venera Lazzaro (dall’ebraico Eleazaro, “colui che è assistito da Dio”) come santo protettore dei malati di lebbra. I lazzaretti devono a lui il proprio nome, e molti paesi sorti attorno a questi antichi ospedali hanno Lazzaro come patrono.
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Le opere di sant’Ambrogio (ca.330-‐397), sant’Agostino (354-‐430), san Cesario d’Arles (470-‐542), Gregorio il Grande (ca.535-‐604) e Isidoro di Siviglia (570-‐636) si trovano in tutte le biblioteche dell’Alto Medioevo e influenzano il dibattito teologico. L’allegoria della lebbra assume nuove connotazioni: non rappresenta più solo il peccato originale, ma designa pure la punizione per i peccati terreni. La lebbra diventa quindi l’allegoria di molteplici peccati compiuti dagli uomini (lussuria, vanità, avarizia, eccetera). Un’ulteriore interpretazione, che si sovrappone a quella di castigo, fa coincidere le figure dei lebbrosi presenti nelle Scritture con gli ebrei e gli eretici (coloro che non sono stati battezzati). Sant’Ambrogio definisce infatti “lebbrosi dell’anima” coloro che rifiutano la rigenerazione del battesimo. I teologi tentano in seguito una classificazione metodica, cercando di individuare categorie di peccati (venali o mortali) per ogni tipo di lebbra. Si assiste quindi, come detto, ad un progressivo spostamento dell’attenzione dal peccato originale ai peccati degli uomini. Il IX secolo segna in questo senso una svolta nella rappresentazione e nella percezione della lebbra. Come apparivano i lebbrosi agli occhi della gente? Traduciamo e commentiamo insieme la descrizione di un lebbroso soccorso da San Martino. L’autore del documento è Fortunato, vescovo di Poitiers (VI secolo):
Vir maculis varius, cute nudus, vulnere tectus,
Tabe fluens, gressu aeger, inops visu, asper amictu,
Mente hebes, ore putens, lacerus pede, voce refrictus:
Induerat miserum peregrino tegmine pallor.
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“Le prime tracce della segregazione dei lebbrosi, o più precisamente di individui segnalati come leprosi, si trovano nell’editto del re longobardo Rotari dell’anno 643: “Se qualcuno è colpito dalla lebbra e se la verità del fatto è riconosciuta dal giudice o dal popolo e il lebbroso è espulso dalla civitas o dalla dimora affinché viva isolato, non ha il diritto di alienare le sue proprietà e di donarle a chicchessia perché dal giorno in cui è espulso dalla propria casa è come se fosse morto”. L’editto autorizza anche ad abbandonare una fidanzata che sia diventata cieca, folle o lebbrosa, “perché ciò è conseguenza dei suoi gravi peccati e della malattia che ne deriva”.
Hanna Zaremska, Marginali, in Dizionario dell’Occidente medievale, pp. 638-‐639.
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Per l’uomo del Medioevo, il senso allegorico del connubio lebbra/peccato porta spesso un’interpretazione “letterale” delle Scritture, sviluppando idee errate sulla malattia: si: si crede, per esempio, che un coppia possa generare un figlio lebbroso avendo rapporti sessuali la domenica (giorno da dedicare al Signore) o durante la quaresima. A questo proposito, Jacques Le Goff scrive1: “L’origine peccaminosa dei lebbrosi è stata infatti associata da alcuni teologi medievali all’idea di un comportamento sessuale diverso presso le categorie dominanti della società e presso quelle degli oppressi. Esiste quindi una sessualità delle élites e una sessualità dei rustici? In ogni caso il disprezzo per i villani trova alimento anche nel sesso. Già nella prima metà del secolo VI, in un sermone il vescovo Cesario di Arles informa il suo uditorio: gli sposi incontinenti avranno figli “lebbrosi o epilettici, o forse demoniaci”. Insomma, tutti coloro che sono lebbrosi nascono di solito non da uomini colti che conservano la loro castità nei giorni proibiti e nelle festività, ma soprattutto dai rustici che non conoscono la continenza”. Sono due credenze che si diffonderanno durante il Medioevo. Anzitutto la malattia ossessionante e colpevolizzante, la malattia-‐assillo, la lebbra, trova la sua origine nella sessualità colpevole – compresa quella degli sposi (…) mentre la macchia della fornicazione commessa nella carne torna alla superficie del corpo. E poiché la carne tramette il peccato originale, i figli pagano le colpe dei genitori”. In che modo esiste, secondo Le Goff, una relazione tra l’appartenenza sociale e la predisposizione a certi tipi di malattie? …………………………………………………………………………………………………………………………
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Gli uomini e le donne del tempo percepiscono quindi la lebbra come una conseguenza immediata del peccato. Non un peccato qualsiasi, bensì quello carnale: esiste infatti una stretta correlazione tra lebbra e lussuria. La teoria umorale ne individua le cause nel temperamento malinconico. Ecco perché si attribuiscono spesso ai lebbrosi appetiti sessuali smisurati. Il fatto che poi questi vivano al di fuori della comunità dei cristiani, poiché segregati nei lebbrosari, li rende ancor più sospetti. In questo contesto, in cui le malattie dell’anima e del corpo si intersecano in un complesso panorama interpretativo, diventa sempre più importante la figura del prete, medico dell’anima. La medicina proposta dalla Chiesa si basa però sulla penitenza, destinata a cancellare la lebbra dai peccati degli uomini, dopo che il battesimo ha purificato dal peccato originale. La contrizione sincera, accompagnata da lacrime di pentimento, purifica l’anima del peccatore e allontana la lebbra spirituale. Il cristiano deve temere che la sua anima macchiata dalla lebbra, il giorno del Giudizio, appaia a Dio tanto ripugnante quanto i lebbrosi che lui stesso rifugge e teme nella quotidianità. San Luigi IX (1215-‐1270) di Francia, religiosissimo crociato, afferma: «Dovreste sapere che non c’è lebbra più orribile di quella di essere nel peccato mortale, poiché l’anima che è in peccato mortale è come il diavolo». A metà del XII secolo un cronista monastico parigino scrive che «fornicatori, concubine, incestuosi, adulteri, avari, usurai, falsi testimoni, spergiuri (…): tutti costoro che la colpa allontana da Dio, sono giudicati lebbrosi dai sacerdoti».
1 Jacques Le Goff, L’immagnario medievale, Laterza, Roma-‐Bari, 2011, p. 135.
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Le purificazioni operate dai santi sono molto frequenti nelle opere agiografiche (V-‐X s.). San Martino di Tours guarisce e purifica un malato, offrendo un esempio di “carità eroica”. L’episodio in cui bacia un lebbroso lascia intravvedere il legame tra lebbra e peccato. Sottolineiamo i passaggi più significativi, facendo particolare attenzione all’azione salvifica di San Martino:
Di là, entrando in fretta l’uomo consacrato a Dio per una porta di Parigi, incontra davanti a sé un lebbroso che andava nella sua direzione; egli non l’aveva mai visto né conosciuto. Era un uomo screziato di macchie, con la pelle priva di peli, coperta di pustole, che si decomponevano per la putrefazione, sofferente nell’andatura, la vista debole, poco curato nel modo di vestire, ottuso nella mente, con la bocca putrida, col piede straziato, con la voce rauca; il pallore ricopriva il misero con un insolito rivestimento. Ebbene, inaspettatamente, il santo lo bacia e abbracciandolo dà sollievo all’uomo con copiosa medicina. Infatti appena il lebbroso toccò con la bocca le salive benedette, il fardello di debolezza sfugge al contatto apportatore di rimedio, i lineamenti distrutti ritornano, una nuova pelle riveste la sua figura, l’aspetto fisico torna alla luce con apparenza insolita e si rivede l’immagine del volto da lungo tempo cancellata (…).
Venantius Honorius Clementianus Fortunatus (530-‐607), Vita di San Martino di Tours
San Martino bacia un lebbroso, miniatura Vita Sancti Martini (XIV secolo)
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Nell’XI e XII secolo la lebbra diventa sempre più un tema di riflessione teologica, di predicazione, di rappresentazione iconografica: si moltiplicano i personaggi lebbrosi sia nei testi sacri che in quelli profani. La lebbra non è più esclusivamente allegoria del peccato, ma si trasforma in un monito alla conversione e alla ricerca della salvezza, per i malati come per i sani. Occuparsi dei lebbrosi significa convertirsi a Dio e rifiutare le tentazioni del mondo: i lebbrosari diventano quindi un elemento ordinario attorno alle città e ai borghi. Il Concilio Lateranense III (1179) prescrive che i malati debbano stare in cappelle e cimiteri appositi. Non si tratta ancora di una vera reclusione, ma piuttosto di un provvedimento necessario: i lebbrosi non possono mescolarsi con le persone sane. A partire dalla fine del XII secolo lo statuto del lebbroso è simile, per molti versi, a quello dell’ecclesiastico: obbedienza, abbandono del mondo e penitenza. I lebbrosi che raggiungono i lebbrosari “si convertono”, coscienti dell’intervento di Dio nella loro vita, manifestatosi attraverso il segno della malattia. Il “buon lebbroso” è fatto a immagine di Lazzaro, lui stesso immagine di Cristo. Il malato non espia solo un peccato personale, ma soffre per gli altri, anche per i sani. Sul piano morale e teologico la malattia assume dunque un doppio senso: una prova per i giusti, dannazione o occasione di ammenda suprema per gli altri. Tra la fine dell’XI secolo e la metà del XIII si fa lentamente strada un’immagine religiosa positiva che tende a sovrapporsi all’allegoria drammatica del peccato. Il lebbroso diventa un intercessore privilegiato tra l’uomo e Dio: il suo dolore permette al genere umano di espiare le proprie colpe. Si tratta tuttavia di un’accettazione più simbolica che reale, infatti Jacques Le Goff sottolinea che “un numero considerevole di divieti pesano sui lebbrosi, e sono anch’essi dei capri espiatori in tempi di calamità. Dopo la grande carestia del 1315-‐18, gli Ebrei e i lebbrosi furono perseguitati in tutta la Francia e sospettati di aver avvelenato pozzi e fontane. Filippo V, degno figlio di Filippo il Bello, fece istruire processi contro i lebbrosi in tutta la Francia e, dopo confessioni strappate con la tortura, molti furono bruciati”. Il 1321 contribuisce infatti a diminuire drasticamente il numero dei malati: l’incubo del complotto dei lebbrosi che avvelenano le fontane di Francia porta ad un’ondata di violenza nei confronti dei sospettati. In tutto il regno di Francia i lebbrosi furono condannati e imprigionati dal papa; molti furono mandati a morte sul rogo, i sopravvissuti furono reclusi nelle loro abitazioni. Alcuni confessarono di aver cospirato per uccidere tutti, sani, nobili e non, e per avere il dominio del mondo.
Chronica del monastero di Santa Caterina Gli ebrei allora avevano riunito alcuni capi dei lebbrosi, e, con l’aiuto del diavolo li avevano indotti ad abiurare la fede e a triturare nelle pozioni pestifere l’ostia consacrata. Un grande signore dell’Islam aveva ordito questa congiura contro i cristiani.
Genealogia comitum Flandrae
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Quali motivi portano alla persecuzione dei lebbrosi e quale grande paura collettiva emerge nei due testi? Come lo spieghi?
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Al termine di questo percorso sulla lebbra intesa come “malattia del corpo e dell’anima”, proviamo a costruire insieme una mappa concettuale in cui sia possibile avere un’idea molto generale sull’evoluzione della percezione e della rappresentazione dei lebbrosi, tenendo conto che si tratta di un panorama interpretativo molto complesso.
Testi rielaborati da: F. Bériac, Histoire des lépreux du Moyen Age, Imago, Parigi, 1988; P.Borradori, Mourir au monde, Cahiers lausannois d’histoire médiévale, Losanna, 1992; J. Le Goff, L’immagnario medievale, Laterza, Roma-‐Bari, 2011; J. Le Goff e J. C. Schmitt, Dizionario storico dell’Occidente medievale, Einaudi, Torino, 2003.
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I lebbrosari Allegato 3 In occasione del terzo Concilio Laterano (1179) sotto papa Alessandro III, si decreta la segregazione dei lebbrosi dalla comunità per prevenire qualsiasi infezione. Per far ciò occorrono molti lebbrosari e ciascuno di essi deve avere il suo sacerdote, una cappella e un cimitero separato. La «quarantena» dei lebbrosi deve essere completa e permanente. Le donazioni ai lebbrosari, inoltre, sono inserite tra le «opere pie». Il quarto concilio Laterano (1215) dispone invece che i lebbrosi (nonché gli Ebrei, ritenuti particolarmente esposti alla lebbra) indossino speciali contrassegni identificativi. “Il Concilio Lateranense III (1179) decise la sorte dei lebbrosi, mentre il IV (1215) segnò una svolta nella politica della Chiesa nei confronti degli eretici e degli ebrei (…). A partire dalla fine del XIII secolo, l’obbligo di portare segni distintivi fu imposto anche ai lebbrosi, soprattutto se dovevano lasciare i lebbrosari. Talvolta, li si obbligava ad indossare abiti lunghi ed aderenti. Sicuramente queste ordinanze avevano lo scopo di prevenire il contagio ma, data l’evidenza dei segni della malattia, si trattava chiaramente di un marchio d’esclusione. Le ordinanze relative all‘obbligo di portare segni distintivi, e tutti gli editti e norme relativi alla segregazione spaziale, alla liberta di movimento e di sedentarietà erano promulgati dalle amministrazioni ecclesiastiche e laiche. L’obiettivo era sempre lo stesso: innalzare attorno ai fedeli barriere protettrici tangibili. Al contempo, i medesimi poteri si preoccupavano di aumentare le distanze psicologiche tra fedeli ed emarginati, e di esacerbare paure ed insicurezze”.
Hanna Zaremska Marginali, in Dizionario storico dell’Occidente medievale, pp. 629-‐643.
Mappa concettuale: decreti e conseguenze dei Concili del 1179 e del 1215.
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I lebbrosari non sono però gratuiti: a eccezione di pochi lebbrosi poveri ai quali provvedono lasciti di beneficenza, la stragrande maggioranza degli ospiti deve pagare le «cure» che ricevono. I lebbrosi, per decreto papale, perdono il diritto di ereditare e possono essere espulsi per cattivo comportamento. Un lebbrosario non è solo un rifugio per i malati, ma anche un’istituzione importante dal punto di vista economico: fino al XV secolo l’amministrazione di tutti i beni dei lebbrosi spetta alle organizzazioni ecclesiastiche. La Chiesa controlla gli istituti sia dal lato amministrativo che da quello spirituale. A partire dal XV secolo si assiste invece ad un processo di laicizzazione dei lebbrosari: le fonti concernenti testimoniano il sistematico passaggio dal controllo ecclesiastico a quello municipale. Sparisce così la concezione medievale di ospedale.
Miniatura tratta da La Franceschina, codice del XV secolo, Parigi, Biblioteca comunale Augusta
“Gli esclusi sono anche i malati, e soprattutto gli infermi, gli storpi. In un mondo ove la malattia e l’infermità sono ritenute segni esteriori del peccato, quelli che ne sono colpiti sono maledetti da Dio, quindi dagli uomini. La Chiesa ne accoglie alcuni provvisoriamente – il tempo del ricovero negli ospedali è in genere molto limitato – altri li nutre sporadicamente, nei giorni di festa. I rimanenti hanno come uniche risorse la mendicità e il vagabondaggio. Povero, malato, vagabondo, sono quasi sinonimi fra loro nel Medioevo, gli ospedali sono spesso situati vicino a ponti e a valichi, luoghi di passaggio obbligati per gli erranti”.
Jacques Le Goff, La civiltà dell’Occidente medievale, p. 346.
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L’aspetto dei lebbrosi Analizziamo insieme le due immagini ricercando i segni distintivi che il lebbroso è costretto a portare. Riflettiamo inoltre sulla situazione spaziale in cui si muove il malato, sul ruolo assunto da altri attori sociali sulla scena (immagine 2) e sulle motivazioni che obbligano i lebbrosi a quotidiane peregrinazioni. Al termine del lavoro di analisi sarà quindi possibile completare lo schema alla pagina seguente.
Vincent de Beauvais, Miroir territorial (XIV secolo)
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Il lebbroso e lo storpio, esempi delle folle di diseredati del Medioevo. Vincent de Beauvais (XIV secolo)
Testi rielaborati da: F. Bériac, Histoire des lépreux du Moyen Age, Imago, Parigi, 1988; P.Borradori, Mourir au monde, Cahiers lausannois d’histoire médiévale, Losanna, 1992; J. Le Goff, L’immaginario medievale, Laterza, Roma-‐Bari, 2011; J. Le Goff e J. C. Schmitt, Dizionario storico dell’Occidente medievale, Einaudi, Torino, 2003.
Segni distintivi e scopo del loro utilizzo: Segni evidenti del contagio: Spazio in cui si muove il lebbroso e possibile motivo dello viaggio: Reazione dei “sani” e altri “attori” sulla scena (immagine 2):
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L’entrata nel lebbrosario e l’uscita dal mondo dei sani Allegato 4 La storica Françoise Bériac, attraverso un accurato lavoro di ricerca sulle fonti, ha ricostruito la cerimonia tipica nel basso Medioevo (suscettibile di variazioni a dipendenza dei differenti contesti geografici) di allontanamento del lebbrosi dalla comunità dei sani. Il giorno stabilito, il prete, vestito con la cotta e la stola, andava a casa del malato, che era stato avvisato precedentemente: lo benediva e lo conduceva in processione fino alla chiesa cantando Libera me1:
“Libera me, Domine, de morte æterna, in die illa tremenda, quando coeli movendi sunt et terra. Dum veneris iudicare sæculum per ignem. Tremens factus sum ego et timeo, dum discussio venerit atque ventura ira. Dies illa, dies iræ, calamitatis et miseriæ, dies magna et amara valde. Requiem æternam dona eis, Domine: et lux perpetua luceat eis”.2
Là, il lebbroso si inginocchiava, se possibile su un catafalco3, e si celebrava una messa. In seguito, il malato si confessava un’ultima volta: il prete lo benediceva di nuovo e lo raccomandava ai suoi parrocchiani. Tutti i presenti si radunavano in un corteo per accompagnarlo nella nuova dimora, cantando Libera me. Al termine della processione, il prete esortava il malato a non più peccare: memorare novissima tua4 . Si procedeva infine ad una simulazione di inumazione (anche se non si è sicuri dell’effettiva frequenza con cui è stata praticata questa parte della cerimonia) gettando una manciata di terra sui piedi del lebborso: Sis mortuus mundo, vivens iterum Deo5. “Il terzo Concilio Lateranense del 1179, autorizzando la costruzione di cappelle e di cimiteri dentro i lazzaretti, contribuirà a farne dei mondi chiusi, da dove i lebbrosi non possono uscire se non facendo il vuoto davanti a sé con il rumore della battola che devono agitare, così come gli Ebrei fanno scostare da sé i buoni cristiani mostrando il “segno”. […] il rituale della separazione dei lebbrosi, […] si generalizzerà nei XVI e XVII secolo mediante una cerimonia in cui il vescovo, con gesti simbolici, taglia fuori il lebbroso dalla società e ne fa un morto sulla terra […]”.
Jacques Le Goff, 2003, in La civiltà dell’Occidente medievale, p. 345. Come spieghi la necessità di sottoporre il malato a questa cerimonia?
1 Canto della liturgia funebre. 2 “Liberami, o Signore, dalla morte eterna, in quel giorno tremendo quando la terra e il cielo si muoveranno, quando tu verrai a giudicare il mondo con il fuoco. Sono tremante pieno di timore, in considerazione del giudizio che verrà. Quel giorno è un giorno di ira, di calamità e miseria, un giorno molto triste. Dona loro l'eterno riposo, Signore: li illumini la luce perpetua”. 3 Il catafalco è un'impalcatura in legno o altri materiali, ricoperta di parati, sulla quale si pone la bara o un suo simulacro durante le cerimonie funebri e le funzioni religiose. 4 “Ricordati dei tuoi scopi ultimi”. 5 “Che tu sia morto per il mondo, ma vivente per Dio” .
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Infine, leggeva al malato, in lingua volgare, i divieti per evitare il contagio. Un testo del XVIII secolo (De antiquis ecclesie ritibus, Edmond Martène, vol.II, Anversa, 1736) riporta un regolamento del XV secolo6. Leggiamolo, traduciamolo e commentiamolo insieme:
-‐ Je te défens que jamais n’entre en Eglise, ou moustier, en foire, en moulin, en
marché, ne en compagnie de gens sains.
-‐ Je te défens que tu ne voises point hors de ta maison sans ton habite de ladre, afin
qu’on te connaisse, et que tu ne voises point deschaux.
-‐ Je te défens que jamais tu ne lave tes mains ne autres choses d’entour toy en rivage,
ne en fontaine, ne que tu boives, et se tu veulz de l’eau pour boire, puise en ton
baril et en ton escuelle.
-‐ Je te défens que tu ne touche à chose que tu marchandes ou achètes, jusqu’à tant
que tu qu’elle soit tienne.
-‐ Je te défens que tu n’entre point en taverne, si tu veulz du vin, soit que tu l’achettes,
ou qu’on te le donne, fais le entonner en ton baril.
-‐ Je te défens que tu ne habites à autre femme que la tienne.
-‐ Je te défens que se tu vas par les chemins, et que tu encontre aucune personne, qui
parla à toy, et qui t’araisonne, que tu ne mette au dessous du vent, avant que ce que
tu répondes.
-‐ Je te défens que tu ne voise point par estroite ruelle, afin que se tu encontres aucune
personne, qu’il ne puisse pis valoir de toy.
-‐ Je te défens que se tu passe par aucune passaige, tu ne touche point au ouit ne a la
corde, si tu n’a mis tes gans.
-‐ Je te défens que tu ne touches à enfants, ne leur donne aucune chose.
-‐ Je te défens que tu ne boives, ne mangeuses è autre vaisseaux que aux tien.
-‐ Je te défens le boire et le mangier avec compagnie sinon avec mesaux.
Testi rielaborati da: F. Bériac, Histoire des lépreux du Moyen Age, Imago, Parigi, 1988; P.Borradori, Mourir au monde, Cahiers lausannois d’histoire médiévale, Losanna, 1992; J. Le Goff e J. C. Schmitt, Dizionario storico dell’Occidente medievale, Einaudi, Torino, 2003.
6 Il testo è tratto da Françoise Bériac, Les lépreux au Moyen Age, pp.193-‐194.
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Le fonti Allegato 5 I documenti su cui lavoreremo nel corso delle prossime lezioni sono stati tradotti e riadattati attingendo al meticoloso lavoro di ricerca di Piera Borradori, Mourir au monde, pubblicato nei Cahiers lausannois d’histoire médiévale nel 1992. La storica ha repertoriato tutti i comuni dell’attuale canton Vaud in cui è attestata, attraverso le fonti, l’esistenza di un lebbrosario (maladière). Il Canton Vaud è situato nella parte sud-‐occidentale della Svizzera (Svizzera romanda) e la capitale è Losanna. Il Vaud fece parte del regno burgundo, di quello franco, della Lotaringia, del secondo regno di Borgogna e del Sacro Romano Impero. Nel 1011 il vescovo di Losanna ottenne dal re di Borgogna la "contea di Vaud", ossia le regalie1 su questo territorio. Il casato dei Savoia s’insediò nel Vaud all'inizio del XIII secolo. Appannaggio dei cadetti dal 1285 al 1359, il Paese di Vaud tornò al ramo più antico dei conti, poi duchi di Savoia, che lo persero in parte con le guerre di Borgogna e poi interamente nel 1536. Il Vaud divenne così un Paese soggetto di Berna (di Berna e Friburgo nei baliaggi comuni di Orbe-‐Echallens e Grandson) fino alla rivoluzione vodese (1798). Durante la Repubblica elvetica formò il canton Lemano e nel 1803, con l'Atto di mediazione, il canton Vaud2.
1 Nel Medioevo, diritto regale e imperiale, costituito di tributi obbligatori in denaro o in natura che dovevano essere corrisposti dai sudditi. 2 Il testo è tratto da G. Coutaz, Vaud, in Dizionario storico della Svizzera.
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Laboratorio storico Allegato 6 Obiettivo del lavoro: ricostruire la storia personale dei malati facendo luce sulla loro situazione famigliare e sociale. Sulla base di quanto appreso nelle settimane scorse, il documento deve venir contestualizzato nell’ambito più generale della situazione dei lebbrosi nel Medioevo, in particolare dopo il XIII secolo. Indicazioni procedurali -‐ Tempo a disposizione: 4 ore. -‐ Ogni gruppo riceve un documento tratto dal lavoro di ricerca di Piera Borradori, Mourir au monde:
Gruppo 1: Losanna (1396) -‐ Jean Giliet;
Gruppo 2: Assens (1406) -‐ Christine Masseleir;
Gruppo 3: Colovray(1423) -‐ Guillaume Quiblet e Aymara Sougay;
Gruppo 4: Saint-‐Prex (1424) -‐ Mermette Bulliod con la figlia;
Gruppo 5: Colovray (1491) -‐ Guillaume Alliod;
Gruppo 6: a) Constantine (1541) -‐ rapporto del medico Claude Chastellet;
b) Yverdon (1520) -‐ rifiuto da parte di alcuni appestati di accogliere una
lebbrosa.
-‐ Lettura individuale e discussione preliminare (concetti-‐chiave, ricostruzione del
“caso”) all’interno del gruppo. Organizzazione dell’indagine con l’ausilio della tabella allegata e ricostruzione metodica del caso in esame. Connessioni con eventuali documenti visti in classe in classe.
-‐ Preparazione di una presentazione orale (15 minuti) e di una mappa concettuale da
presentare ai compagni (possibilità di redigere una scheda o una presentazione power-‐point).
-‐ Presentazioni orali e presa di appunti da parte degli compagni uditori. Attenzione:
ogni membro del gruppo deve esporre oralmente almeno un ambito dell’analisi effettuata sul documento.
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Allegato 7 Documento 1
Losanna, 1396-‐1400
L’ufficiale della corte di Losanna al curato o al vice-‐vicario di Saint-‐Laurent o a colui che sarà implicato, vi saluto nel nome del Signore. Ci è stato esposto, da parte dei parrocchiani della parrocchia di Santa Croce di Losanna, così come da parte del loro curato della curia di Santa Croce, che Jean Giliet di Cors 1 sotto Losanna, appartenente alla parrocchia di Santa Croce (…) era sospettato di lebbra, infatti si stavano diffondendo il sospetto e le voci (suspectum quodque vox) nella città di Losanna e nei luoghi vicini, che Jean Giliet fosse corrotto e infettato dalla lebbra (corruptum et infectum). Per questo, se lo stesso Jean avesse frequentato persone sane, queste avrebbero potuto essere infettate dalla stessa malattia, e ciò sarebbe stata una grave perdita per la comunità. Per questo motivo, gli stessi parrocchiani e il curato di Santa Croce, ci hanno umilmente supplicato di dichiarare che Jean Giliet era un lebbroso, infettato e corrotto dal male della lebbra e che, inoltre, bisognava separare Jean Giliet dalla comunità dei sani e che noi potevamo costringerlo per legge, dichiarando comunque di vegliare affinché per le cose scritte sotto si trovasse la soluzione conveniente: Jean Giliet fu citato in nostra presenza, davanti al nostro ufficio, all’ora e al giorno indicati, ed egli disse che voleva comparire (…) a proposito delle accuse esposte dai parrocchiani e del curato di Santa Croce. E noi (…) volendo procedere dopo un’accurata riflessione ma con una procedura rapida (in premissis mature et summarie tamen procedere volentes) a proposito delle accuse esposte sopra e per cui sarebbe stato esaminato, abbiamo affidato Jean Giliet al maestro (magistro) Pierre di Saint-‐Amour, licenziato in medicina, rettore delle scuole di Losanna, e a Perrod, barbiere di Losanna, che sono i giurati affiancati alla nostra corte per indagare le malattie di questo genere (…). Compiuto l’esame con accuratezza, ciò che sarebbe stato scoperto avrebbe dovuto esserci comunicato in maniera veritiera (viridice referendum). I commissari esaminarono e indagarono se il suddetto Jean Giliet fosse infettato o corrotto dalla malattia della lebbra (…). Dopo aver ricevuto il rapporto del maestro Pierre e dal barbiere Perrod, cioè dopo che il suddetto è stato esaminato e ispezionato minuziosamente dal nostro maestro Pierre, secondo gli usi che si praticano per queste malattie, secondo l’arte della medicina, si è rivelato che Jean era lebbroso e affetto e corrotto dalla lebbra (…).
1 Cours, quartiere di Losanna.
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Documento 2
Assens, 18 settembre 1406
L’ufficiale della corte di Losanna al curato o vicario di Assens, vi saluto nel nome del Signore. Siccome Christine, moglie di Jean Massaleir, di Assens, sarebbe fortemente stata sospettata di lebbra dagli abitanti di Assens, alcuni abitanti di questo luogo sono comparsi davanti a noi e reclamano, a loro nome e in nome degli assenti, e domandano, che noi ricerchiamo la verità a proposito della malattia della lebbra; siccome lei (Christine) è così debole che non potrebbe in nessun modo essere condotta alla nostra presenza, e poiché questa malattia deve essere dichiarata, volendo essere dovutamente informati sulle cose sopra dette, abbiamo affidato un esame del corpo di Christine e della sua malattia a Perrod Cottier e Jean Lieu, barbiere losannese. Questi, dopo aver diligentemente effettuato un esame delle zone del corpo, attraverso esperimenti diversi (examinacione per diversa loca sui corporis, mediantibus pluribus et diversis experimentis), avendo prestato giuramento davanti a noi sui santi vangeli di Dio, hanno confermato che Christine era infetta dalla lebbra e che andava separata dalla comunità dei sani. Per questo noi (…) abbiamo dichiarato Christine, e noi la dichiariamo e affermiamo che lei è ed era lebbrosa e infetta dalla lebbra e che bisognerà separarla dalla comunità dei sani. Per questa ragione, vi incarichiamo di annunciare pubblicamente che Christine è lebbrosa e infetta dalla lebbra e che bisogna separarla e cacciarla dalla compagnia dei sani (…).
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Documento 3
Colovray, 28 febbraio 1423
Noi, Henri Favre, licenziato in diritto, baccelliere in diritto canonico, cavaliere della chiesa di Lione, ufficiale di Ginevra, noi salutiamo nel nome del Signore i cappellani di Nyon e tutti gli altri. Siccome Guillaume Quiblet e Aymara, moglie di Raymond Sougay, di Nyon, erano incolpati di lebbra e a causa di ciò dovevano essere scartati dalla comunità dei sani dal sindaco della città di Nyon e dovevano essere alloggiati e reclusi nei luoghi del lebbrosario (…) e siccome vogliamo essere informati in modo veritiero, abbiamo commissionato una visita e un esame di Guillaume e Aymara agli onorevoli maestri Nicolas de Metz, chirurgo, Antoine Michael e Pierre Chapelleri, barbieri ed esperti dell’arte della chirurgia, per esaminarli e per sapere se Guillaume e Aymara erano infetti. Questi (…) hanno visitato Guillaume e Aymara (…) e in seguito alla visita ed esame, dopo aver giurato toccando i santi Vangeli di Dio, ci comunicarono di aver scoperto che Guillaume e Aymara erano infetti dal male della lebbra. A causa di ciò e con le presenti lettere, noi decidiamo e dichiariamo che Guillaume e Aymara devono essere separati dalla compagnia dei sani ed essere spediti nel lebbrosario di Colovray. Ordiniamo, per questa ragione, a voi cappellani di Nyon e a tutti coloro che sono implicati con questa decisione, pena la scomunica di cui vi minacciamo in questa lettera se non obbedite ai nostri ordini (…) di spedire senza ritardare Guilaume e Aymara come lebbrosi e infettati dalla lebbra nel lebbrosario di Colovray, con la croce, lo stendardo e l’acqua benedetta, secondo il costume. Là, si farà loro sincerità carità nel Signore Dio (…) e si vieterà a Guillaume e Aymara di frequentare da quel momento i sani (…).
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Documento 4
Saint-‐Prex, 10 agosto 1424
Io, Mermette, figlia di Etiennet Estoenarez di Saint-‐Prex e moglie di Jaquier Bulliod di Etoy, comunico a tutti i presenti e futuri che io, senza costrizioni di sorta, stratagemma o minaccia, né ingannata da qualche manovra fraudolenta, al contrario, con completa cognizione di causa, di mia volontà, totalmente informata dei miei diritti e soprattutto con l’accordo, l’autorità, la volontà e l’acconsentimento espresso da suddetto Jaquier, mio sposo, ho donato, dono, ho ceduto e cedo, concedo e riconosco, nel mio nome e in quello dei miei eredi, di aver donato, ceduto e concesso nella sostanza di una donazione perpetua totale e irrevocabile, che deve essere compiuta tra vivi (inter vivos facta), che non può essere revocata in nessun modo, al lebbrosario di Saint-‐Prex e ai lebbrosi che vi risiederanno in futuro, così come al curato della chiesa parrocchiale di Saint-‐Prex, che era presente e stipulava in favore e per il bene del lebbrosario e dei lebbrosi che vi risiedono, il ricavato di un taglio di buon frumento, coltivato nel modo consueto dai contadini (…), che deve essere pagato ogni anno alla festa di San Michele da me, Mermette, e dai miei eredi, ai lebbrosi che in futuro risiederanno nel lebbrosario o nella chiesa di Saint-‐Prex, nel caso in cui nessun lebbroso risieda nel lazzaretto (maladiera). Ho fatto questo dono, affermo, a condizione che il suddetto curato di Saint-‐Prex sia tenuto – e l’ha promesso! – con l’accordo di Nicod Escavanes e Thobie Bullienchy, rettori del comune di Saint-‐Prex e anche con l’accordo di Philippe Costini, Girard Bevat, Antoine Bullienchy e molti altri uomini onesti del comune, di ricevere me, Mermette, così come mia figlia, affette tutte e due dalla lebbra di accoglierci e alloggiarci nel lebbrosario di Saint-‐Prex. Ho assegnato, assegno, pongo e destino il ricavato del raccolto di frumento in favore dei lebbrosi o del curato (…), cioè i guadagni derivanti da una parte di prato di una superficie falciata che mi appartiene, che si trova sul territorio di Saint-‐Prex, in località En Crascha (…). Io, Mermette, prometto anche in nome dei miei eredi, attraverso un giuramento e il pegno di tutti i miei beni, di pagare il suddetto raccolto di frumento ogni anno alla data fissata (…) e di garantire il rimborso degli interessi. Questa donazione e tutte le altre cose formulate in questa lettera, io e il sopranominato Jaquerius Bulliod (…) le riconosciamo e ratifichiamo, e noi, sopradetti sposi, giuriamo sui santi Vangeli di Dio di non opporci mai a quanto promesso e scritto (…).
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Documento 5
Colovray, 19 giugno 1491 Lettere testimonianti del venerabile Antoine Goncerrut, cappellano, rettore del lebbrosario di Colovray. Nell’anno del Signore 1491 (…). In mia presenza, io, notaio designato, e in presenza dei testimoni citati più in basso, a Colovray, davanti alla croce che si trova a est (a parte boree), sotto le tactas2 di Boyron, in presenza e con il consenso di un gran numero di borghesi della città di Nyon, il venerabile Antoine Goncerrut (…) ha ricevuto Guillaume Alliod come lebbroso, con e sotto (cum et sub) i diritti, i privilegi e le libertà di cui beneficiano e approfittano abitualmente e hanno approfittato fino a oggi gli altri lebbrosi del lazzaretto. Infatti, in questo luogo Guillaume ha giurato in ginocchio, sui santi Vangeli di Dio, nelle mani del suddetto Antoine in qualità di rettore, di essere fedele e obbediente al rettore e ai suoi successori nel lebbrosario. Ha pure giurato di mettere a disposizione del rettore e di tutti gli altri lebbrosi le offerte che riceverà all’interno dei confini del lebbrosario e di depositare fedelmente i soldi delle offerte nella cassa comune del lebbrosario. Ha giurato di non uscire dalle frontiere del lebbrosario (a confinibus dicte maladerie exire) se non con il permesso del rettore e dei suoi successori, e in generale di fare tutte le altre cose che i lebbrosi sono tenuti a compiere e che praticano nel lebbrosario. In testimonianza di ciò, Antoine (…) fece redigere a me, notaio designato, queste lettere testimonianze, datate come scritto sopra, in presenza dell’onesto François Ruffy, rettore delle scuole di Nyon, Jean Perruys, borghese di Nyon, e molti altri testimoni degni di fiducia (…).
2 Si tratta dell’attuale quartiere Tattes a Colovray.
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Documento 6
Constantine, 18 settembre 1541
Attestazione di lebbrosi. Nell’anno del Signore 1541, il 18 settembre. Comunico che io, Claude Chastellet, medico, inviato dall’illustrissimo principe, il signore Charles di Savoia, duca etc., per visitare e palpare i lebbrosi attraverso il paese (ad visitandum leprosos et palpandum per totam patriam), come lo provano i decreti (ut constat litteris patentibus), io medico suddetto, ho visitato e palpato nella parrocchia di Constantine (…) e ho constatato lebbrosi, prima di tutto perché portano i segni delle quattro lebbre, leonino, tyire, alopetie et elephantie, poi a causa della perdita delle sopracciglia, dei loro gonfiori e rotondità (grossitie eorum atque rotonditate eorum), delle ulcere interne delle difficoltà respiratorie: è come se parlassero dal naso. Il loro colore è pallido, cadaverico (mortifficatus) e giallastro, il loro viso è terribile con le sue tinte giallastre e brunastre, con le palpebre e le orecchie consumate, così come il muscolo che si trova tra il pollice e l’indice, nei piedi come nelle mani. Inoltre, ho notato che le labbra sono gonfie e tuberose, i loro occhi sono rossi e le palpebre rovesciate (inversantur). Questi sono segni manifesti che attestano che i pazienti devono essere separati dalla popolazione. Oltre a ciò, hanno numerose nodosità in tutto il corpo. Per me, commissario, i segni che si vedono sul viso, come le pustole, le escrescenze del corpo e le macchi cutanee, così come gli altri segni, sono sufficienti. Io, medico, ho firmato queste lettere testimoniali e confermo la verità delle cose citate più in alto, etc. Claude Chastellet, medico.
Documento 7
Yverdon, 5 aprile 1520
Giovedì suddetto, il consiglio ha pagato tre soldi e sei denari Pierre Gendroz, carpentiere di Yverdon, per una giornata di lavoro, compiuta il giorno stesso, per terminare una casetta destinata ad accogliere la lebbrosa d’Yverdon, poiché coloro che sono malati di peste non vogliono più vivere con lei, a causa della sua malattia (propter suum malum). E questo avviene su ordine del consiglio.
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Analisi delle fonti – schede per gli appunti Allegato 8 Doc. 1: Alice, Patrizio, Etienne, Theo; Doc. 2: Nadine, Aurelio, Matteo S., Yannick; Doc. 3: Manuela, Lia, Nico, Christopher; Doc. 4: Laura, Raffaele, Matteo P., Kirill; Doc. 5: Estrella, Matteo B., Pablo; Doc. 6 e 7: Anna, Julien, Sacha.
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Gli emarginati nell’Occidente medievale Allegato 9
Testo di Jacques Le Goff, tratto da Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale, Roma-‐Bari, Laterza, 1983.
[…] È importante che si studino gli emarginati in maniera storica, ossia dinamica. Si tratta di individuare e di analizzare dei processi piuttosto che degli stati. La realtà storica è costituita da fenomeni di emarginazione che possono portare tanto all’esclusione quanto al recupero o reintegrazione (quello che certi etnologi e sociologi chiamano paginazione: il ritorno dei margini verso il centro della pagina). La marginalità è una condizione instabile, fragile, in genere effimera […].
1. Tipologia della marginalità
Benché non ci siano frontiere precise fra le categorie sopra indicate, e i processi di emarginazione consentano agli individui e ai gruppi di passare da una categoria all’altra, si possono tuttavia distinguere:
a) gli esclusi o destinati all’esclusione: sono i criminali (ladri e banditi, fures e latrones), gli erranti, gli stranieri, le prostitute, i suicidi1, gli eretici;
b) i disprezzati: i mestieri “disonesti” 2 come quelli di macellaio, di tintore, di mercenario, ecc., i malati, gli infermi e i poveri, le donne3, i bambini4, i vecchi, i bastardi;
c) gli emarginati propriamente detti: i declassati (per esempio i cavalieri poveri), i folli, i mendicanti, gli usurai (molto prossimi, questi ultimi, alla categoria degli esclusi);
d) gli emarginati immaginari: le meraviglie geografiche5, i mostri (definiti da Bruno Roy, Aspects de la marginalité au Moyen Age, p. 71, come gli extra-‐terrestri del Medioevo), l’uomo selvaggio6.
1 J. Cl. Schmitt, Le suicide au Moyen Age, « Annales E.S.C », 1976, pp. 3-‐28. 2 Cfr. J. Lestocquoy, Inhonesta mercimonia, in Mélanges Louis Halphen, 1951, pp. 411-‐5, e J. Le Goff, Métiers licites et métiers illicites dans l’Occident médiéval, « Et. Historiques », Ann. De l’Ecole des Hautes Etudes de Gand V, pp. 41-‐57 [trad it. in Tempo della Chiesa e tempo del mercante cit., pp. 53-‐71]. 3 Si veda, infine, la pubblicazione nei « Cahiers de Civilisation médiévale », 1977, pp. 93-‐263, degli atti del simposio su La femme dans les civilisations du XIe au XIIIe siècle, Poitiers 1976, con, in conclusione, una critica femminista del simposio. 4 Ph. Ariès, L’enfant et la vie familiale sous l’ancien régime, Paris 1960, nuova ed. 1973 [trad. it. Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, Laterza, Roma-‐Bari 1976]; Enfants et sociétés, numero speciale delle “Annales de Démographie Historique”, 1973; The History of Childhood, a cura di Lloyd de Mause, New York 1974. 5 Cfr. J. Le Goff, L’Occident médiéval et l’océan Indien. Un horizon onirique, in Mediterraneo e Oceano Indiano, Atti del VI Colloquio Internazionale di Storia Marittima, Firenze 1970, pp. 243-‐63 [trad. in it. Tempo della Chiesa e tempo del mercante, cit., pp. 257-‐77]. 6 Cfr. R. Bernheimer, Wild Men in the Middle Ages, Cambridge 1952.
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2. Le basi ideologiche della marginalità
In generale si tratta di controllare o di escludere quelli che sembrano rappresentare un pericolo per la “comunità sacra”7.
Questa comunità, nonostante i movimenti missionari, è una cristianità chiusa. Essa vive in un clima di insicurezza materiale e mentale che mira alla semplice riproduzione8 e sospetta di tutti quelli che, consciamente o inconsciamente, sembrano minacciare questo fragile equilibrio. Tale insicurezza genera un modo di pensare manicheo che annulla tutte le sfumature, i grigi, e condanna le posizioni intermedie, producendo alla fine un autoritarismo che sacralizza le autorità (auctoritates) e un senso gerarchico che di ogni tentativo di sfuggire alle situazioni fissate dalla nascita fa un peccato contro l’ordine voluto da Dio. Negli emarginati è all’opera il nemico del genere umano, il Diavolo. In caso d’imprudenza o di sciagura, una parte notevole della società scivola verso la marginalità: la mendicità, il vagabondaggio o il crimine. La società medievale, per le sue strutture economiche, sociali e ideologiche, è grande produttrice di emarginati.
Questa paura di individui o di gruppi pericolosi si cristallizzava intorno ad alcune ossessioni:
a) la religione, che dilatava il campo dell’eresia e faceva degli eretici gli emarginati e più ancora gli esclusi per eccellenza;
b) la malattia e il corpo, luogo di incarnazione del peccato; tutto questo trasforma automaticamente gli infermi e i malati in poveri, fa dei lebbrosi le immagini viventi del peccato, porta a condannare severamente le prostitute9;
c) l’identità, donde la fobia degli ebrei e degli stranieri; d) il rifiuto di quanto appare contro natura: sodomiti, mostri; e) il bisogno di stabilità fisica e sociale. Di qui la condanna dei vagabondi, degli
erranti, delle persone senza arte né parte, degli individui senza fissa dimora10, come pure degli instabili sociali, dei declassati e dei decaduti;
f) il lavoro che, dopo essere stato disprezzato come conseguenza del peccato originale, viene riabilitato, diviene uno dei valori di una società che si sta lanciando nella crescita economica e in cui, a partire dal XIII secolo, le espressioni di ozioso e di mendicante valido diventano etichette ingiuriose affibbiate a certi emarginati. Da quest’ultimo esempio si vede come vi sia una congiuntura della marginalità medievale: incremento o decremento del numero dei poveri e dei mendicanti, preponderanza episodica di questo o quel tipo di emarginati, mutamento dei criteri di marginalità e dei processi di emarginazione.
Un importante movimento nel senso del recupero si può osservare nel XIII secolo a proposito dei mestieri leciti e illeciti. Questi ultimi rivelano qualcuno dei tabu fondamentali della società medievale: quello del sangue (che emargina anche i soldati),
7 Cfr. G. Van Der Leeuw, La Religion dans son essence et ses manifestations, ed. fr., Paris 1970, pp. 237 sgg. 8 Cfr. G. Bois, Crise du féodalisme. Economie rurale et démographie en Normandie orientale du début du XIVe siècle au milieu du XVIe siècle, Paris 1976. 9 Cfr. M. C. Pouchelle, Représentations du corps dans la « Légende dorée », « Ethnologie française », 1976, pp. 293-‐308. 10 B. Gemerek, Les marginaux parisiens, cit., p. 311.
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quello del denaro (che affossa l’usuraio), quello della sporcizia (sogno di impurità) che condanna i folloni, i tintori, i cuochi, i lavandai.
Ma, a partire dalla seconda metà del XII secolo si delinea una movimento – che ben presto si allarga -‐, il quale giustifica e poi riabilita un gran numero di mestieri fino a quel momento disonesti11. Contemporaneamente l’aldilà accoglie un numero crescente di emarginati. Se gli esclusi sono probabilmente clienti dell’inferno, il purgatorio che fa la sua solenne comparsa nel XIII secolo è un grande recuperatore di emarginati, compresi gli usurai12.
3. I processi di emarginazione e di esclusione
I processi che danno luogo ad etichette, a segni, a gesti, a rituali e cerimonie non sono stati studiati a sufficienza.
a) Le etichette
Sono abbastanza ben conosciute le qualifiche di segregazione o peggiorative imposte agli eretici13. Sarebbe interessante uno studio preciso dei nomi di animali attribuiti agli emarginati e agli esclusi (per gli eretici, ad esempio, volpe, lupo, serpente, scimmia, ragno).
B. Gemerek, studiando le ingiurie rivolte agli emarginati nella Francia del XV secolo, elenca “vizioso”, “mascalzone”, “ruffiano”, “pezzente”, “ladro”, “vagabondo”, “delinquente”, “pappone” e, per le donne “ribalda”, “vagabonda”, “viziosa”, “puttana”14.
b) I segni
I segni distintivi possono essere sia segni di protesta e di provocazione volontariamente messi in mostra dagli stessi emarginati, oppure segni non voluti, segni infamanti imposti agli emarginati e agli esclusi.
Fra i prima vanno ricordati i vestiti larghi o magari miserabili e cenciosi. Un ordine mendicante, soppresso dal II concilio di Lione nel 1274, sarà chiamato correntemente ordine dei sacchetti (saccati) per l’abito a forma di sacco che essi indossavano15. E poi, altro segno, i capelli lunghi e la barba16.
Fra i segni segregativi o infamanti sono noti la rotella, imposta agli ebrei, la raganella per i lebbrosi, ecc. A certi eretici pentiti – per esempio ai valdesi nel XIV secolo – si imponeva di portare due croci, una davanti e l’altra dietro17.
11 Cfr. J. Le Goff, Métiers licites et métiers illicites, cit. 12 Cfr. J. Le Goff, L’usurier et le purgatoire, in The Dawn of Banking, Atti del Colloquio di Los Angeles, 1977. 13 Cfr. J. Le Goff, Comment devenait-‐on hérétique dans l’Occident médéval ? Les processus d’exclusion, in Non conformisme et modernité en France du Moyen Age à nos jours, Atti del colloquio di Haifa, 1978. 14 B. Gemerek, Les marginaux parisiens, cit., pp. 306 sg. 15 Cfr. B. Van Luijk, Gli eremiti neri nel Dugento, Pisa 1968. Un giovane storico ungherese, M. Klaniczai, prepara uno studio su Eresia e abbigliamento nel Medioevo. 16 Cfr. H. Platelle, Le problème du scandale : les nouvelles modes masculines aux XIe-‐XIIe siècles, « Revue Belge de Philologie et d’histoire », LIII/4, 1975, pp. 1071-‐96. 17 Cfr. G. Mollat, Introduzione a Bernard Gui, Manuel de l’Inquisiteur, vol. I, Paris 1926, pp. LIV-‐LV.
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c) I gesti
Quelli degli emarginati – e in particolare degli eretici – sono spiati e notati con cura dagli agenti dell’ideologia ufficiale. I manuali per gli inquisitori e i processi di inquisizione fanno una lista dettagliata dei gesti di preghiera, di saluto, ecc., praticati dagli eretici18. Esiste tutta una gestualità dell’eretico, del ladro, del mendicante, dell’uomo selvaggio, della donna, che costituisce un mezzo per individuarli e isolarli.
d) I rituali e le cerimoni
Le esposizione e le esecuzioni di criminali danno luogo a cerimonie che rappresentano uno dei torbidi piaceri della società medievale. La condanna o la riconciliazione degli eretici dà altresì luogo a precisi rituali di esclusione.
In certi casi le punizioni inflitte agli emarginati simbolizzano in particolare l’esclusione di cui essi sono oggetto: eretici che vengono murati vivi, lebbrosi che vengono rinchiusi in tombe.
Conclusione
Michel Mollat, sottolineando la “contraddizione interna” della carità medievale, cita un passo della Vita di sant’Eligio in cui si dice: “Dio avrebbe potuto creare tutti gli uomini ricchi, ma ha voluto che nel mondo ci fossero anche i poveri, per offrire ai ricchi una occasione di riscattarsi delle loro colpe”19.
In una società combattuta fra la paura della contaminazione ideologica e l’esitazione ad escludere coloro che potrebbero concorrere contraddittoriamente alla salvezza dei pur, quello che prevale è un atteggiamento ambiguo nei confronti degli emarginati. La cristianità medievale “sembra detestarli e ammirarli ad un tempo, ne ha paura in una mescolanza di attrazione e di terrore. Li tiene a distanza, ma fissa questa distanza a un livello abbastanza vicino tanto da averli alla propria portata. Quella che chiama carità nei loro confronti somiglia molto al comportamento del gatto che gioca col topo. Così i lebbrosari, che devono essere situati a un “tiro di pietra dalla città”, in modo che la “carità fraterna” possa esercitarsi verso i lebbrosi. La società medievale ha bisogno di questi paria messi al margine perché pericolosi, ma visibili, perché, grazie alle cure che essa dispensa loro, possa formarsi una buona coscienza; e più ancora proietta e fissa in loro, magicamente, tutti i mali che essa allontana da sé”20.
18 Per esempio, a proposito dei beghini, in B. Gui, Manuel de l’Inquisiteur, Vol. II, Paris 1927, pp. 116-‐9 ; cfr. Pure G. Gonnet in G. Gonnet e A. Molnar, Les Vaudois au Moyen Age, Torino 1974, p. 203. 19 Migne, PL, 87, 533, citato in M. Mollat, Les pauvres au Moyen Age, p. 61 [trad. it. I Poveri nel Medioevo, Laterza, Roma-‐Bari 1982, p. 52]. 20 J. Le Goff, La Civilisation de l’Occident médiéval, cit., p. 388 [trad. it. cit.].
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Allegato 10
1-‐ Argomenta l’affermazione seguente: “Nel Medioevo, la lebbra è una malattia del corpo e dell’anima”.
2-‐ Analizza l’immagine (Vincent de Beauvais, Miroir territorial, XIV secolo).
3-‐ Analizza il documento:
Colovray, 19 giugno 1491
(…) Nell’anno del Signore 1491 (…). In mia presenza, io, notaio designato, e in presenza dei testimoni citati più in basso, a Colovray, davanti alla croce che si trova a est (a parte boree), sotto le tactas1 di Boyron, in presenza e con il consenso di un gran numero di borghesi della città di Nyon, il venerabile Antoine Goncerrut (…) ha ricevuto Guillaume Alliod come lebbroso, con e sotto (cum et sub) i diritti, i privilegi e le libertà di cui beneficiano e approfittano abitualmente e hanno approfittato fino a oggi gli altri lebbrosi del lazzaretto. Infatti, in questo luogo Guillaume ha giurato in ginocchio, sui santi Vangeli di Dio, nelle mani del suddetto Antoine in qualità di rettore, di essere fedele e obbediente al rettore e ai suoi successori nel lebbrosario. Suggerimenti: a) tipo di fonte; b) contesto geografico; c) scopo del documento; d) attori sociali; e) elementi particolarmente interessanti nell’ottica dello studio della lebbra nel Medioevo.
1 Si tratta dell’attuale quartiere Tattes a Colovray (Canton Vaud).
Testi degli studenti Allegato 11 Osservazione: le parti in corsivo sono le correzioni ortografiche o i suggerimenti del docente.
1-‐ Argomenta l’affermazione seguente: “Nel Medioevo, la lebbra è una malattia del corpo e dell’anima”.
La lebbra è una malattia infettiva che porta a lacerazioni del corpo, interpretate come un’anticipazione della condizione in cui il corpo sarebbe stato dopo la morte. Era inoltre il chiaro segnale di un animo corrotto. (Riferimento alla teoria umorale?) L’Antico Testamento interpreta la lebbra come un castigo divino, il Nuovo testamento lo presenta come il marchio del peccato. Nell’alto Medioevo sono presenti (si diffondono) una serie di significati allegorici, i quali vedono nella malattia la punizione dei peccati terreni. Si credeva infatti che comportandosi in maniera scorretta e scandalosa si potesse contrarre la lebbra (Riferimento alla lussuria e alla credenza del contagio nei ceti popolari). Nel corso del Medioevo si etichettavano come lebbrosi non solo coloro che contraevano la malattia nel corpo, con segni ben visibili, ma anche chi commetteva gravi peccati (e si ammalava quindi nell’anima): ad esempio, in alcune fonti, ebrei ed eretici vengono definiti lebbrosi in quanto rifiutavano il battesimo, cioè la medicina in grado di purificare l’anima dai peccati. I lebbrosi rappresentano quindi una categoria temuta ed emarginata che racchiude una serie eterogenea di persone, che (accomunate dal fatto che) sono prima di tutto considerate malate nell’anima. I segni del corpo sono una conseguenza della lebbra interiore. I preti erano visti come medici dell’anima, in quanto attraverso la penitenza (di chi?) erano in grado di purificare l’anima dai peccati, guarendola dalla lebbra spirituale. Per proteggersi da quella del corpo, i malati vengono invece chiusi nei lebbrosari.
Laura
2-‐ Analizza l’immagine (Vincent de Beauvais, Miroir territorial, XIV secolo). L’immagine dell’opera di Vincent de Beauvais, fonte iconografica del XIV secolo giunta integralmente, rappresenta una persona affetta dalla malattia della lebbra, ritratta ai margini di una città: ciò è un netto indicatore dell’emarginazione di cui soffrivano. Il fatto che la persona ritratta sia effettivamente un lebbroso è visibile (deducibile) da diversi elementi specifici associabili alla lebbra. Innanzitutto esso porta sulla pelle (mani e viso) i segni che la malattia lascia: escrescenze, pustole e pelle coriacea. In secondo luogo, la presenza di un vestiario specifico, da malato (?), che comprende cappello, mantello lungo, cappuccio e dovrebbe contenere (dovrebbero figurare) anche guanti allo scopo di nascondere e coprire i sintomi terrificantu per non “spaventare” e contagiare la comunità. Troviamo poi una bisaccia sotto il mantello che contiene i beni, il cibo e i soldi mendicati, una cliquette (semplice strumento che fa rumore) che serve ad avvisare il popolo (i passanti) dell’arrivo di un lebbroso e mettersi quindi “in salvo”.
Sacha
3-‐ Analizza il documento: Si tratta di una fonte scritta datata 19 giugno 1491 (r. 1) redatta da un “notaio designato” (r. 2) a Colovray (r. 3), nei pressi di Nyon (r. 5), nell’attuale canton Vaud, un cantone nel quale è stata provata la presenza di una grande quantità di lebbrosari. La fonte è un atto ufficiale ed è stata scritta con lo scopo pratico di testimoniare l’entrata di Guillaume Alliod nel lebbrosario di Colovray. Per lo stesso motivo vengono nominati dei testimoni che assistono alla cerimonia (“in presenza e con il consenso di un gran numero di borghesi della città di Nyon”, rr. 4-‐5 e “testimoni”, r. 3). Questo testo permette di ricostruire (fa riferimento) la tipica cerimonia dell’entrata di un lebbroso nel lebbrosario e il giuramento che deve prestare. Si nota subito l’importanza del contesto religioso e della Chiesa (r. 2 “nell’anno del Signore”, r. 3 “croce”, r. 8 “giurato sui santi Vangeli di Dio”) che effettivamente è l’entità che ha avuto per lungo tempo il controllo dei lebbrosari (anche se nel XV secolo comincia un processo di laicizzazione dei lebbrosari), amministrando i beni ceduti dai malati e donati dalla comunità. Si sa inoltre che era compito della Chiesa annunciare pubblicamente un caso di lebbra e preparare il malato all’abbandono della comunità. Un prete eseguiva (impartiva) benedizioni e cerimonie (“davanti alla croce”, r. 3) che rappresentavano simbolicamente la sua morte agli occhi della comunità. Il malato veniva accompagnato da un corteo funebre fino alla sua nuova dimora, dove egli prestava giuramento di obbedienza. La fonte è incentrata sul giuramento che il lebbroso deve compiere: “essere fedele e obbediente al rettore” (r. 9) e rispettare i divieti che gli vengono imposti per evitare il contagio. Questo mostra che i lebbrosi, seppur esclusi, devono sottostare alle leggi imposte dalla comunità. Il malato, però, gode anche di “diritti, privilegi e libertà” (r. 6), come la possibilità di essere accolto, nutrito e curato (per quanto possibile) senza pagare un affitto. Deve però cedere i suoi beni al lebbrosario.
Alice