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LAVORO DI DIPLOMA DI PIFFARETTI GABRIELE MASTER OF ARTS IN INSEGNAMENTO DELLA STORIA NELLA SCUOLA MEDIA SUPERIORE ANNO ACCADEMICO 2013/2014 MORIRE VIVENDO LA SEGREGAZIONE DEI LEBBROSI NEL MEDIOEVO RELATORE PASQUALE GENASCI

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LAVORO DI DIPLOMA DI

PIFFARETTI GABRIELE

MASTER OF ARTS

IN INSEGNAMENTO DELLA STORIA NELLA SCUOLA MEDIA SUPERIORE

ANNO ACCADEMICO 2013/2014

MORIRE VIVENDO

LA SEGREGAZIONE DEI LEBBROSI NEL MEDIOEVO

RELATORE

PASQUALE GENASCI

Morire vivendo

Indice

1. Introduzione: perché parlare di emarginati nel Medioevo? .......................................................... 1

2. Inserimento dell’itinerario didattico nella programmazione annuale ........................................... 4

3. La lebbra nel Medioevo: un panorama interpretativo complesso ................................................. 5

4. Il caso del Pays de Vaud ............................................................................................................... 9

5. Il percorso didattico .................................................................................................................... 11

a) Struttura dell’itinerario didattico ...................................................................................................... 11

b) Scelta dei materiali ........................................................................................................................... 11

c) Modalità didattiche .......................................................................................................................... 11

6. Presentazione delle attività ......................................................................................................... 13

a) Lezione 1: introduzione alla medicina medievale e alle conoscenze sulla lebbra ........................... 13

b) Lezione 2: la lebbra, una malattia del corpo e dell’anima ............................................................... 14

c) Lezione 3: i lebbrosari e la rappresentazione dei malati .................................................................. 15

d) Lezione 4: l’entrata nel lebbrosario .................................................................................................. 17

e) Lezione 5: laboratorio storico .......................................................................................................... 18

f) Lezione 5: discussione su un testo storiografico di Jacques Le Goff e conclusione ........................ 19

g) Verifica sommativa .......................................................................................................................... 20

7. Conclusioni ................................................................................................................................. 22

8. Bibliografia ................................................................................................................................. 24

9. Allegati ....................................................................................................................................... 27

1) La medicina nel Medioevo e le conoscenze sulla lebbra .....................................................................

2) Malattia del corpo e dell’anima ............................................................................................................

3) I lebbrosari e la rappresentazione dei malati ........................................................................................

4) L’entrata nel lebbrosario e l’uscita dal mondo dei sani .......................................................................

5) Le fonti .................................................................................................................................................

6) Laboratorio storico ...............................................................................................................................

7) Documenti ............................................................................................................................................

8) Analisi delle fonti – schede per gli appunti ..........................................................................................

9) Gli emarginati nell’Occidente medievale .............................................................................................

10) Verifica sommativa ..............................................................................................................................

11) Testi degli studenti ...............................................................................................................................

Morire vivendo

1

1. Introduzione: perché parlare di emarginati nel

Medioevo?

L’itinerario didattico, progettato e proposto in una classe di II liceo, vuole promuovere negli

studenti la riflessione critica su una categoria umana che nel corso dei secoli ha visto mutare la

propria condizione sociale in un’ambigua oscillazione tra atteggiamenti repressivi e iniziative

assistenziali. Perché riflettere quindi sugli emarginati del Medioevo con gli studenti liceali?

Credo che la risposta vada ricercata nei bisogni profondi della nostra società, spesso distratta e

disinteressata del proprio passato, ammiccante di fronte al riemergere di pericolose demagogie.

Teorie che s’insinuano anche nel mondo scolastico, come sta accadendo negli ultimi anni in Italia a

proposito dei tentativi revisionisti sulla Resistenza: chi la vorrebbe “riscrivere” non aspira alla

conoscenza storica, rifiuta la complessità e attinge di volta in volta alle diverse interpretazioni a

dipendenza dell’uso che si necessita e delle aspettative del pubblico. Il Piano di formazione degli

studi liceali (2008) dichiara invece di voler “offrire ai propri allievi la possibilità di acquisire solide

conoscenze di base e di favorire la formazione di uno spirito d’apertura e di un giudizio

indipendente” (Piano degli studi, p. 11). Una finalità educativa irrinunciabile, infatti, è proprio

quella di “privilegiare una formazione ampia, equilibrata e coerente che dia all’allievo la maturità

necessaria per intraprendere studi superiori e per svolgere un ruolo attivo e responsabile nella

società” (p. 11). Le scienze umane, e in questo particolare caso lo studio della storia, sono in grado

di promuovere negli studenti una riflessione profonda e una maturazione consapevole dei propri

interessi e dei propri bisogni. François Bergier (2004, p. 155) sottolinea come nella società, e di

conseguenza anche nella scuola, emerga un bisogno crescente della storia non come “evasione” ma

come “invasione”, come necessità per comprendere il presente e per prefigurare o preparare il

destino futuro. Si può facilmente intuire quanto sia urgente tale sentimento negli adolescenti. La

storia diventa quindi uno strumento conoscitivo molto ampio, in grado di orientare i ragazzi nel loro

percorso liceale e personale.

Cosa significa riflettere sugli esclusi del Medioevo? Vuol dire considerare queste categorie come

vittime del pregiudizio, obbligate a farsi carico di colpe infamanti e di angosce collettive insidiose.

Un approfondimento didattico sulla lebbra nel Medioevo comporta quindi una riflessione sulle

dinamiche che conducono all’emarginazione e all’esclusione di alcune categorie di individui. Deve

trattarsi tuttavia di un percorso organizzato con metodo, nel senso letterale del termine: méta hodòs,

cioè “la via che conduce oltre, il tragitto più efficace per raggiungere un obiettivo” (D’Orsi, 2002,

p. 55). Come suggerisce a sua volta Giuseppe Sergi (2008, p. 93), bisogna evitare di insegnare solo

ciò che è considerato “utile”, ma occorre aiutare gli studenti a costruire schemi interpretativi privi di

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qualsiasi preconcetto, affinché lo studio del passato avvenga nel modo più rigoroso e rispettoso

possibile. Solo così sarà possibile promuovere la crescita di cittadini consapevoli, in grado di

partecipare attivamente alla vita della comunità. Charles Heimberg (2008, p. 53) osserva infatti che

“un’opinione comune piuttosto diffusa ritiene sufficiente, ai fini dell’insegnamento della storia, il

limitarsi ad un racconto lineare di eventi, che contribuisca alla costruzione di un’identità attorno a

qualche grande figura emblematica”. Tale approccio è però discutibile, poiché “resta da vedere […]

se poi questi stessi studenti, nelle pratiche scolastiche attuali, imparino realmente a costituire e

comprendere l’organizzazione collettiva delle società umane del passato, così come del presente,

nella loro dimensione materiale, sociale e o culturale” (2008, p. 54). Insomma, essendo le finalità

educative della scuola media superiore1 volte a promuovere la crescita e la formazione di cittadini

consapevoli e attivi, l’insegnamento di una storia puramente evenemenziale, “piatta e lineare”

(Heimberg, 2008, p. 57), difficilmente consentirà di raggiungere l’obiettivo prefissato. Jacques Le

Goff afferma (1991, pp. 21-22):

[…] Il lavoro dell’insegnante di storia deve essere fondato sulla critica dei fatti e dei

documenti storici. Insegnando storia si deve – per quanto gli alunni siano capaci di seguire –

suscitare in loro lo spirito critico, atteggiamento fondamentale in storia. Il fatto storico non è

dato, bensì costruito. Gli alunni vanno perciò sensibilizzati alla fabbricazione della storia.

Bisogna mostrare loro che il lavoro dello storico non consiste nel ricomporre la storia, ma nel

fare storia.

Studiare la lebbra nel Medioevo significa quindi costruire con gli studenti un percorso conoscitivo e

analitico strutturato e ragionato, superando l’insegnamento evenemenziale della storia: si invita lo

studente ad interrogare le fonti, a cercare in esse le chiavi di lettura del mondo che li circonda,

rispondendo così “alle finalità di formazione alla cittadinanza democratica […]” (Heimberg, 2008,

p. 55).

I lebbrosi non costituiscono tuttavia una figura ricorrente nell’immaginario collettivo del Medioevo.

Generalmente, quando si discute di emarginazione in un contesto come questo, di per sé già

permeato di luoghi comuni, si palesa una grande confusione: c’è chi pensa erroneamente alle

streghe, chi alla terribile epidemia del 1348, qualcun altro agli Ebrei… Difficilmente si evoca la

categoria dei lebbrosi. Eppure quest’ultima rappresenta una classe emarginata per eccellenza.

In ambito accademico sono state promosse alcune ricerche (non tantissime, a dire il vero) alle quali

sono poi conseguite un certo numero di pubblicazioni. Una in particolare, Histoire des lépreux au

1 Questi principi sono condivisibili e perseguibili già nella scuola media che, essendo un settore scolastico obbligatorio,

svolge un ruolo vitale per la crescita intellettuale ed emotiva delle allieve e degli allievi.

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Moyen Âge, di Françoise Bériac, ha conosciuto un discreto successo di pubblico nel mondo

francofono alla fine degli anni Ottanta. Credo che sia molto importante offrire agli studenti della

scuola media superiore progetti didattici che attingano direttamente dai lavori dei ricercatori,

affinché l’insegnante possa avventurarsi con i propri studenti in nuovi e stimolanti percorsi,

permettendo così “l’accesso al gusto del sapere e alle conoscenze attraverso le quali sia possibile

volgere uno sguardo critico sul mondo” (Heimberg, 2008, p. 57).

Concludo questa introduzione sostenendo che sarebbe errato considerare la segregazione dei

lebbrosi durante il Medioevo un fenomeno avulso dall’attualità. Operando le dovute distinzioni, non

è difficile scorgere le costanti con le dinamiche emarginatrici attuali. Come scrive Hanna Zaremska

(2003, p. 629) a proposito del concetto di marginalità nella storia, “[…] nella maggiror parte dei

casi, l’emarginazione, volontaria o involontaria, ha come causa principale il declassamento.

L’emarginato non partecipa ai privilegi materiali e sociali, alla divisione del lavoro e delle funzioni

sociali, alle norme e all’etica sociale condivisa”.

Un declassamento che, a mio avviso, può essere letto come il risultato di profonde irrequietudini

sociali. Le lettere aperte sui quotidiani o i risultati delle ultime votazioni2 sono indicatori evidenti

delle paure che la popolazione sviluppa nei confronti di quelle categorie che non rispettano le

aspettative e le regole della società. Françoise Bériac, nell’introduzione alla sua opera, scrive (1988,

p. 9):

[…] les réactions face au SIDA peuvent donner une idée de la façon dont on considérait les

lépreux. Maladie qui terrorise, punition de transgressions morales, la lèpre garde une sourde

prégnance dans notre culture […].

Che si tratti di sieropositivi, clandestini, omosessuali, richiedenti l’asilo, prostitute, rom, poco

importa. Anche la nostra società ha i suoi esclusi in carne ed ossa, vittime di angosce e miopie

collettive, insidiose e antiche. Ecco perché, a mio avviso, occorre affrontarle sui banchi di scuola.

2 Si pensi per esempio all’iniziativa cantonale sul divieto di dissimulazione del volto (22 settembre 2013) e alla

votazione federale del 9 febbraio 2014 « Contro l’immigrazione di massa ».

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2. Inserimento dell’itinerario didattico nella

programmazione annuale

L’itinerario didattico sulla lebbra è stato proposto in una classe di II liceo durante l’ultima parte di

novembre ed il mese di dicembre 2013. Il capitolo trattato precedente ha avuto per oggetto la crisi

del Trecento e ha permesso di focalizzare l’attenzione su tre aspetti: la crisi demografica, la crisi

economica, i disordini politici e sociali.

L’analisi di fonti letterarie evocanti le conseguenze delle carestie e l’avvento della peste ha

consentito una riflessione seria sull’angoscia collettiva della società medievale di fronte alla morte.

Tali paure, testimoniate anche da numerose opere d’arte (trionfi della morte, danze macabre,

eccetera), hanno offerto lo stimolo per proporre una prima discussione su chi, nella società del XIV

secolo, potesse essere considerato pericoloso per la sopravvivenza della comunità e quali potessero

essere le misure adottate nei confronti di tali categorie. Nell’ambito di questo prima discussione

libera gli allievi hanno quindi portato alla luce alcune possibili figure di “esclusi” e tra questi,

appunto, sono stati evocati i lebbrosi. Il percorso didattico sulla percezione e la rappresentazione

della lebbra si è quindi inserito in maniera naturale nella programmazione ed è stato presentato agli

studenti come un’occasione di approfondimento di un argomento poco conosciuto ma decisamente

rilevante nella storia dell’Occidente medievale. Ho quindi deciso di ideare l’itinerario tenendo conto

di quanto espresso nel Piano degli studi del liceo di Lugano 1 (2003, p. 64):

[…] lo studente dovrà essere progressivamente introdotto alle procedure che stanno alla base

del lavoro di storico, portato a sviluppare capacità di analisi, di lettura, di smontaggio di

documenti, fornendogli adeguati strumenti analitici e critici che lo avvicinano agli “strumenti”

del mestieri di storico”. L’insegnante farà spazio perciò a momenti dedicati al “laboratorio

storico” […].

Ritengo fondamentale proporre agli studenti occasioni di approfondimento e di laboratorio: quando

si toccano temi inerenti il Medioevo, infatti, si corre spesso il rischio di accontentarsi di

interpretazioni un po’ superficiali o di visioni obsolete. Come afferma Giuseppe Sergi (2005, pp.

24-25) è invece fondamentale liberarsi del “Medioevo inventato: quello che si è consolidato

attraverso i secoli nell’immaginario collettivo [….] che funziona come un altrove (negativo o

positivo) o come una premessa”. […] Il Medioevo dell’odierna cultura diffusa risente infatti ben

poco delle ricerche degli storici […]”.

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3. La lebbra nel Medioevo: un panorama interpretativo

complesso

Mi si conceda un piccolo prologo a questo capitolo. Sarebbe presuntuoso, da parte mia, voler

sintetizzare in poche pagine il dibattito storiografico a proposito della lebbra nel Medioevo in

quanto le ricerche e le pubblicazioni su questo argomento meriterebbero di essere esposte in tutta

la loro complessità. Penso in particolare all’encomiabile lavoro di Françoise Bériac, riferimento

fondamentale in questo lavoro di didattica della storia. Nelle prossime pagine esporrò quindi una

lettura diacronica della lebbra nel Medioevo e una panoramica generale sulla malattia e sulle

rappresentazioni ad essa connesse. Questa non vuole, e non può, essere una dissertazione storica

esaustiva e puntuale, pur facendo riferimento al lavoro di storici seri, bensì una presentazione

generale che tenga conto delle interpretazioni più autorevoli.

Nel Medioevo la lebbra è una malattia temuta e imprevedibile: le lacerazioni del corpo suscitano

disgusto e angoscia. Non si tratta però solo dell’umana e comprensibile inquietudine di fronte ai

sintomi devastanti di un male incurabile, per cui poco o nulla possono le conoscenze mediche

dell’epoca. Un insieme di significati e simboli condiziona pesantemente la relazione tra malati e

sani, nonché la vita quotidiana degli individui contagiati. Come scrive Robert Delort (2006, p. 40):

[…] le malattie che incidono più profondamente nella vita di tutti i giorni sono le malattie

endemiche il cui microbo, vero e proprio parassita dell’uomo, ha perduto la sua virulenza:

determina assuefazione nel portatore o lo uccide molto lentamente. Il caso più tipico del

Medioevo è la lebbra […]. I malati marciscono un po’ alla volta nel loro universo chiuso,

tenuti rigorosamente separati dall’umanità normale […]. Dall’1 al 5% degli Occidentali

furono colpiti nei secoli XII e XIII da questo male che scomparve in seguito in modo

sorprendente, cacciato forse dalla tubercolosi, di cui si è provato che il bacillo ostacolava il

portatore della lebbra.

La medicina medievale è incapace di comprendere e curare. Da un lato questa malattia è concepita

come il risultato di uno squilibrio umorale, in linea con gli insegnamenti di Galeno, dall’altro si

crede che il contagio possa avvenire anche per via aerea, per trasmissione ereditaria e, soprattutto,

attraverso rapporti sessuali. Gli uomini e le donne percepiscono quindi questa patologia come una

conseguenza immediata del peccato. Non un peccato qualsiasi, bensì quello carnale: esiste infatti

una stretta correlazione tra lebbra e lussuria. La sfera della sessualità diventa oggetto di attenzione

sempre maggiore, che porta a una spaccatura non solo tra il mondo laico e quello ecclesiastico

(quest’ultimo dovrebbe essere infatti esente dal rischio di contagio), ma pure tra l’ordine dei

cavalieri e quello dei lavoratori, soprattutto contadini. In alcuni scritti teologici medievali, l’origine

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peccaminosa della lebbra trova conferma nel fatto che le categorie delle élites sono toccate solo

marginalmente dal fenomeno, mentre le classi popolari, incapaci di resistere alle pulsioni, si

uniscono carnalmente in modo del tutto scriteriato. L’atteggiamento scellerato di alcuni, quindi,

porta a conseguenze terribili, trasmissibili addirittura ai propri figli, “poiché la carne trasmette il

peccato originale, i figli pagano le colpe dei genitori” (Le Goff, 2011, p. 135).

La diffusione dei testi arabi, nel corso del XII secolo, mescola via via le conoscenze antiche con le

diverse rappresentazioni della lebbra che vedono nella malattia l’allegoria dei peccati. La lebbra è

immagine del peccato originale, ma non solo. Accanto a tale rappresentazione si delinea

progressivamente un panorama interpretativo sempre più variegato, ai cui estremi troviamo il

lebbroso dilaniato nella carne perché colpevole di bassezze immonde e dall’altro il “buon

lebbroso”, fatto a immagine di Lazzaro, lui stesso immagine di Cristo, che non espia solo un

peccato personale ma soffre per l’intera comunità cristiana.

Essendo incapaci di fornire risposte univoche e razionali, ci si affida quindi a Dio e si cerca di

tutelare la comunità dei sani, escludendo progressivamente i lebbrosi dalla società. Proprio a causa

delle interpretazioni ambigue che mutano nel corso dei secoli e che condizionano la percezione

della malattia, non si riesce a comprendere con chiarezza chi siano i lebbrosi e come relazionarsi

con loro: da un lato li si evita e li si perseguita, poiché impuri e marcati da Dio nel corpo e

nell’anima, dall’altro si manifesta un certo timore e rispetto, evitando così il rifiuto totale di coloro

che sembrano incarnare il peccato ma che, tuttavia, sembrerebbero essere stati scelti da Dio per

invitare gli uomini alla conversione. Geneviève Pichon (1984, p. 356) a questo proposito afferma:

[…] Au bas Moyen Âge, à la suite d’un lent processus de maturation, l’accent sera mis non

plus sur la chute mais sur le rachat. Le réseau figuratif s’enrichira alors et se diversifiera, le

lépreux deviendra une figure ambivalente du pécheur et de l’élu de Dieu. Pour la souffrance

corporelle subie dans le repentir, il pourra vivre sur terre le châtiment de ses fautes et accéder

ensuite à la vie éternelle. De l’exégèse biblique aux écrits profanes en passant par les exempla

et les récits légendaires, tous le textes seront marqués de façon explicite ou latente par cette

ambivalence devenue constitutive du signe lèpre.

La percezione e la rappresentazione dei malati muta quindi nel corso del millennio medievale e

occorre altresì tener conto non solo dell’evoluzione temporale, ma anche dei diversi contesti sociali,

politici e geografici. In linea generale, è possibile affermare che le testimonianze sui lebbrosi e sulla

malattia compaiono con maggior frequenza nel corso del basso Medioevo. Infatti, come afferma

sempre Pichon (1984, p. 334),

[…] des textes médiévaux, relativement peu nombreux du VIe au X

e siècle et très nombreux

du XIe

au XVe siècle, font allusion à la lèpre. Ils reflètent une réalité de l’époque mais

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témoignent avant tout d’un système de pensée et d’une mentalité. Les représentations issues

de ce système ont bien sûr évolué tout au long des siècles, une étude diachronique se révèle

donc particulièrement intéressante.

Oltre alle ambivalenze interpretative dei testi, in particolare delle Sacre Scritture, ciò che nel corso

del basso Medioevo implica un deterioramento delle condizioni sociali dei lebbrosi è la sistematica

segregazione degli individui contagiati. Il Concilio Lateranense III (1179) decide norme rigorose,

disciplinando la costruzione di cappelle e di cimiteri all’interno dei lazzaretti, nonché obbligando i

malati ad indossare particolari capi d’abbigliamento e a portare segni distintivi. Si tratta

evidentemente di un marchio d’esclusione che vuole tutelare la comunità dei sani, esacerbando allo

stesso tempo l’angoscia collettiva per un possibile contagio. Tuttavia, l’isolamento dei lebbrosi

comincia ben prima del 1179, infatti, come scrive Zaremska (2003, p. 638)

[…] le prime tracce della segregazione dei lebbrosi, o più precisamente di individui segnalati

come leprosi, si trovano nell’editto del re longobardo Rotari dell’anno 643: Se qualcuno è

colpito dalla lebbra e se la verità del fatto è riconosciuta dal giudice o dal popolo e il

lebbroso è espulso dalla civitas o dalla dimora affinché viva isolato, non ha il diritto di

alienare le sue proprietà e di donarle a chicchessia perché dal giorno in cui è espulso dalla

propria casa è come se fosse morto”. L’editto autorizza anche ad abbandonare una fidanzata

che sia diventata cieca, folle o lebbrosa, perché ciò è conseguenza dei suoi gravi peccati e

della malattia che ne deriva.

Il rituale della separazione dalla comunità dei sani, attraverso una cerimonia religiosa che sancisce

l’abbandono della società, si trasforma in consuetudine nel corso degli ultimi secoli del basso

Medioevo. Sempre Zaremska (2003, p. 639) a tal proposito scrive:

[…] un ordo del XV secolo ordina al prete di recarsi dal malato nel giorno della cerimonia, di

benedirlo, poi di accompagnarlo in chiesa con una processione, cantando il Libera me. Giunto

davanti alla chiesa, il malato si inginocchia, se possibile sotto un catafalco. Si celebra la

messa. Il malato si confessa, il prete lo benedice e lo raccomanda alla benevolenza dei

parrocchiani. Questi ultimi formano una processione e riaccompagnano il malato cantando di

nuovo il Libera me. Il prete lo mette in guardia contro il peccato, poi getta ai suoi piedi un

pugno di terra dicendo: Sii morto per il mondo ma vivo per Dio. Infine, in lingua volgare, gli

impartisce le istruzioni per non contaminare gli altri.

Va però detto che questi individui, nella realtà quotidiana, non scompaiono nel nulla. A volte i

lebbrosi sono obbligati a “mischiarsi” con i sani, per esempio quando si spostano alla ricerca

dell’elemosina: da qui la necessità di rispettare rigide norme di comportamento, come le

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prescrizioni del Concilio Lateranense III, che vogliono rendere i contagiati immediatamente

riconoscibili ed evitabili.

Gli storici individuano nel XIII secolo “una netta cesura nella storia dell’ostracismo medievale”,

arrivando addirittura a parlare di “società repressiva” (Zaremska, 2003, p. 629). Gli uomini e le

donne che, per ragioni diverse, non aderiscono alle esigenze della società, diventano oggetto di

provvedimenti di esclusione. Tra queste categorie ritroviamo, appunto, i lebbrosi.

Il rigido disciplinamento, tuttavia, non sempre è sufficiente per contenere e gestire le paure della

popolazione. Il 1321, in questo senso, è un anno emblematico. Dopo la carestia del 1315-1318, in

Europa serpeggia un forte disagio popolare e un atteggiamento sempre più sospettoso nei confronti

di Ebrei e lebbrosi, ritenuti colpevoli di aver avvelenato deliberatamente, attraverso un complotto,

pozzi e fontane. Berlioz (2003, p. 438) sottolinea come i lebbrosi diventino “i capri espiatori,

vittime innocenti che servono da sfogo alle disgrazie della maggioranza. Nel 1321, le disgrazie che

colpiscono il regno furono attribuite ai lebbrosi, che avrebbero tentato, secondo voci venute dal

Poitou, di avvelenare i pozzi e le fontane di tutta l’Aquitania”. Le Goff (1999, p. 346) aggiunge che

“Filippo V, degno figlio di Filippo il Bello, fece istruire processi contro i lebbrosi in tutta la Francia

e, dopo confessioni strappate con la tortura, molti furono bruciati”.

In conclusione, è quindi possibile affermare che i lebbrosi, nel corso di tutta l’epoca medievale,

vivono una situazione ambigua e fragile, oscillando tra la carità cristiana che li tutela, pur

allontanandoli dalla comunità dei sani, e l’oppressione più brutale.

La medicina non è in grado di guarire questi malati, in parte perché mancano completamente le

conoscenze scientifiche in grado di suggerire terapie adeguate, ma anche perché “nel Medioevo il

corpo in sé non esiste. È sempre compenetrato dall’anima, ed è alla salvezza eterna di questa che si

pensa in primo luogo. La medicina è quindi principalmente una medicina dell’anima che passa

attraverso il corpo ma sempre andando oltre di esso” (Le Goff, 2005, p. 101).

I lebbrosi rappresentano un pericolo per la comunità dei sani e per questo vanno allontanati:

l’ossessione della malattia e del corpo, luogo di incarnazione del peccato, fanno dei contagiati un

pericoloso veicolo di trasmissione del morbo e la rappresentazione vivente della dannazione eterna.

La repulsione di fronte alla carne putrida si mescola all’ansia di garantire alla propria anima la

salvezza eterna. Eppure i lebbrosi, seppur cacciati e segregati, non scompaiono nel nulla, infatti “la

società medievale ha bisogno di questi paria messi al margine perché pericolosi, ma visibili, perché,

grazie alle cure che essa dispensa loro, possa formarsi una buona coscienza; e più ancora proietta e

fissa in loro, magicamente, tutti i mali che essa allontana da sé” (Le Goff, 1983, p. 172).

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4. Il caso del Pays de Vaud

Il certosino lavoro di ricerca di Piera Borradori, Mourir au monde: Les lépreux dans le Pays de

Vaud (XIIIe – XVII

e siècle), pubblicato nel 1992 nella collana dei Cahiers lausannois d’histoire

médiévale, ha costituito un vero e proprio “scrigno” per la raccolta documentaria da proporre nel

laboratorio storico in classe.

La ricercatrice dell’Università romanda ha repertoriato tutti i lebbrosari del territorio vodese a cui è

riuscita a risalire. Si è trattato di un lavoro complesso in quanto i documenti si sono rivelati spesso

imprecisi o lacunosi. Borradori ha così categorizzato i comuni recensiti:

- comuni in cui i lebbrosari sono attestati da fonti documentarie conosciute e verificate;

- comuni in cui i lebbrosari sono attestati da fonti documentarie poco attentibili;

- comuni in cui è sopravvissuto solo un toponimo (per esempio maladière, maladrerie, ecc.).

In generale, i lebbrosari repertoriati rispettano tre condizioni geografiche. Innanzitutto si situano ai

margini degli agglomerati urbani, sui confini del comune o della signoria. In secondo luogo le

costruzioni sorgono nelle immediate vicinanze di una via di transito, in quanto la raccolta

dell’elemosina presso i viandanti era un’attività fondamentale. Da ultimo, per ogni lebbrosario è

attestata la vicinanza ad una fonte d’acqua (nel caso in cui si tratti di una fontana è esplicitato ai

malati l’obbligo di utilizzare un mestolo).

Secondo Borradori (1992, p. 18), per quanto concerne la costruzione dei lebbrosari vodesi, è

possibile distinguere due periodi principali: i secoli XII-XIII e il XVI secolo:

[…] Les fondations des XIIe-XIII

e siècles sont aussi certainement liées à l’essor du

mouvement de charité dans tout l’Occident chrétien – essor qui se concrétise, par exemple,

par de nombreuses créations d’hôpitaux – et la fondation des maladières. Par contre, les

fondations plus tardives pourraient être liées à la reconstruction des institutions charitables

après la Réforme […].

Dalla ricerca emerge un numero impressionante di luoghi adibiti all’alloggio dei malati: se ne

contano quasi una settantina il Pays de Vaud. Questo non vuol però dire che il territorio fosse

esposto ad un maggior rischio di contagio. La ragione è piuttosto da ricercare nella tendenza

all’isolamento comunale e al frazionamento politico, vale a dire alla mancanza di un coordinamento

regionale. Borradori sottolinea con vigore il fatto che “on ne peut pas en aucun cas évaluer le

nombre de malades en fonction du nombre de léproseries” (Borradori, 1992, p. 20).

Oltre al complesso lavoro di classificazione dei lebbrosari, ad un’approfondita ricerca

sull’organizzazione (prima ecclesiastica e poi laica) degli stessi e sui diritti e i doveri dei malati, lo

studio di Piera Borradori offre un ricco apparato di fonti documentarie. Attraverso l’analisi di

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quest’ultime è possibile ricostruire le vicende personali di individui che, in momenti diversi della

vita, si ritrovano a dover abbandonare la comunità dei sani per entrare a vivere in quella dei malati.

Si tratta di documenti redatti in presenza di pubblici ufficiali che confermano la diagnosi di lebbra e

decretano le diverse fasi di abbandono dalla comunità. In essi sono talvolta riportate le volontà del

malato (ad esempio lasciti testamentari e vincoli patrimoniali), le modalità che hanno portato al

“sospetto di lebbra” (denuncia da parte della comunità, auto-denuncia), le diagnosi dei chirurghi e

dei barbieri, i divieti imposti ai malati, i diritti di cui possono beneficiare, eccetera.

Il lettore, anche se estraneo all’ambito della ricerca accademica, non può sottrarsi al coinvolgimento

dato dalle vicende umane che, una dopo l’altra, ci portano a conoscere i nomi e le storie personali di

ciascun individuo sospettato di lebbra. È emblematico il caso di Christine, denunciata dalla

comunità di Assens. L’ufficiale della corte di Losanna, il 18 settembre 1405, decreta (Borradori,

1992, p. 192):

[…] Pour cette raison, nous vous chargeons d’annoncer publiquement que cette Christine est

lépreuse et infectée de lèpre, et qu’il faut la séparer et chasser de la compagnie des bien

portants.

A volte, addirittura, intere comunità vengono sottoposte al controllo dei medici. È il caso di Claude

Chastellet, medico inviato dal principe Carlo di Savoia nella parrocchia di Constantine, che il 18

settembre 1541 scrive (Borradori, 1992, p. 224):

[…] j’ai visité et palpé dans la paroisse de Constantine tels etc. que j’ai constatés lépreux,

d’abord parce qu’ils ont les marques des quatre lèpres (la léonine, l’alopicia, l’éléphantia et la

tyriasis), ensuite à cause de la perte des sourcils, de leurs enflures et rondeurs, des ulcères

internes, des difficultés réspiratoires: c’est comme s’ils parlaient du nez. Leur teint est pâle,

cadavérique et jaunâtre; leur visage aussi est terrible avec ses teintes jaunâtres et brunâtres,

avec les paupières et les oreilles rongées, ainsi que le muscle qui se trouve entre le pouce et

l’index, aux pieds comme aux mains […]. Ce sont-là des signes manifestes qui attestent que

ces patients doivent être séparés de la population.

Morire vivendo

11

5. Il percorso didattico

a) Struttura dell’itinerario didattico

Il percorso didattico dedicato allo studio della lebbra nel Medioevo è stato articolato sull’arco di

sette lezioni, cioè 14 ore, così strutturate:

- introduzione alla medicina medievale e alle conoscenze sulla lebbra (2 ore);

- la lebbra: una malattia del corpo e dell’anima (2 ore);

- i lebbrosari e la rappresentazione dei malati (2 ore);

- l’entrata nel lebbrosario (1 ora);

- laboratorio storico (4 ore);

- discussione su un testo storiografico di Jacques Le Goff e conclusione (1 ora);

- verifica sommativa (2 ore).

b) Scelta dei materiali

Le quattro lezioni preliminari sono state elaborate partendo dalla lettura delle pubblicazioni

riportate nella bibliografia allegata a questo lavoro. È senza dubbio fondamentale l’opera di

Françoise Bériac, Histoire des lépreux au Moyen Âge, ancora oggi studio di riferimento sul tema

della lebbra nel Medioevo.

Per quanto concerne il laboratorio storico, gli studenti hanno lavorato su alcuni documenti scelti dal

lavoro di ricerca di Piera Borradori, Mourir au monde. La scelta dei materiali, tradotti in italiano per

l’occasione, ha voluto offrire agli studenti lo spunto per indagare e mettere in luce, attraverso un

metodico lavoro di analisi delle fonti, una serie di elementi emersi nel corso delle lezioni

preliminari, sviluppando ed approfondendo così il tema della segregazione dei lebbrosi.

c) Modalità didattiche

Nell’arco delle 14 ore dedicate a questo itinerario ho proposto agli studenti attività e modalità

didattiche variate. Mentre nelle prime ore si è resa necessaria una presentazione più cattedratica

degli argomenti, durante le lezioni successive gli alunni, appropriatisi degli strumenti e delle

conoscenze di base indispensabili alla comprensione del tema, hanno potuto lavorare

individualmente e, in occasione delle ore dedicate al laboratorio storico, in gruppi di tre o quattro.

Tutti gli incontri sono stati animati con l’ausilio di dossier (distribuiti di volta in volta) e di

presentazioni power-point, intese non come attività di copiatura da parte degli allievi, ma come

ausilio per facilitare la presa di appunti. Nel corso di tutto l’itinerario non sono mancate le

discussioni plenarie, importanti occasioni di confronto, chiarimento e dibattito. Infatti, pur

Morire vivendo

12

concernendo un’epoca storica molto lontana, il tema della segregazione dei lebbrosi ha saputo

fornire interessanti riferimenti con il presente: gli allievi si sono mostrati attenti osservatori ed

interpreti dell’attualità, proponendo connessioni e confronti tra quanto studiato in aula e quanto

vissuto o visto nel quotidiano.

Il laboratorio storico merita, da parte sua, qualche precisazione in più avendo richiesto un

investimento importante di tempo ed energie da parte degli studenti (quattro ore-lezione in classe e

una riunione al di fuori dell’orario scolastico). Le motivazioni che mi hanno spinto a scegliere

questa modalità didattica sono di triplice natura: didattica, pedagogica e storiografica.

Le motivazioni di natura didattica, come suggerisce Paolo Bernardi (2006), si prefiggono la

progettazione di percorsi in grado di promuovere un sincero coinvolgimento ed una reale

comprensione degli argomenti, evitando che questi scivolino nell’oblio nell’arco di poche

settimane. Il fatto di lavorare ad un progetto comune in modo differenziato consente infatti ai

ragazzi di dare un valore positivo alla relazione tra pari, promuovendo l’ascolto reciproco e

svolgendo quindi un “attivo apprendistato alla democrazia” (Bernardi, 2006, p. 25). Le ragioni

pedagogiche si fondano invece sul fatto che “ricerca e gruppo sono un binomio inseparabile che

rivoluziona i processi cognitivi ed emotivi dell’apprendimento” (Bernardi, 2006, p. 26).

Promuovere questo binomio, a mio avviso, è una strategia vincente sia per lo studente che per

l’insegnante, permettendo un dialogo ed un confronto tra tutte gli attori in scena. Infine, per quanto

concerne le motivazioni storiografiche, ritengo altamente formativo avvicinare gli alunni al lavoro

che lo storico compie negli archivi, affinché questi possano progressivamente appropriarsi degli

strumenti per acquisire un metodo rigoroso, promuovendo così un atteggiamento critico ed un

miglior orientamento nella realtà.

Morire vivendo

13

6. Presentazione delle attività

a) Lezione 1: introduzione alla medicina medievale e alle conoscenze sulla lebbra3

Obiettivo della lezione: offrire agli studenti una panoramica generale delle conoscenze mediche nel

Medioevo, al fine di poter comprendere in seguito le diagnosi di lebbra e la sintomatologia descritta

nelle fonti.

La prima fase della lezione si propone di illustrare le principali caratteristiche della teoria umorale

così com’è concepita nel mondo antico e sistematizzata da Galeno, ponendo l’accento sul fatto che

ogni malessere fisico viene interpretato come uno squilibrio tra i diversi umori ed elementi. In

questa fase introduttiva gli studenti si rendono immediatamente conto che le conoscenze della

medicina medievale si basano essenzialmente su principi filosofici e non su fondamenti scientifici.

La seconda parte della lezione offre una concisa lettura diacronica della storia della medicina. Pur

trattandosi di una sintesi particolarmente succinta, emergono i punti fondamentali, quali l’eredità

delle teorie antiche (in particolar modo di Ippocrate e Galeno), il ruolo primario giocato dalla

diffusione dei testi arabi per la trasmissione dei testi antichi, la medicina conventuale dell’alto

Medioevo e il lento sviluppo della medicina occidentale con l’avvento della scuola salernitana.

La terza fase della lezione concentra l’attenzione sul morbo della lebbra. Dopo una presentazione

delle conoscenze scientifiche attuali sulla malattia, gli studenti scoprono quali sono le

interpretazioni mediche medievali, di Oribasio di Pergamo4 prima e di Ali Abbas

5 in seguito. In

questo modo è possibile identificare i quattro tipi di lebbra e gli umori ad essi connessi: elephantia

(bile nera), tiria (flemma), leonina (bile gialla), vulpina (sangue). Infine, si esemplifica la

sintomatologia affinché gli allievi siano poi in grado, durante il laboratorio, di riconoscere le

principali caratteristiche della patologia.

La lezione si conclude con la presentazione di due figure professionali molto importanti nella

diagnosi della malattia e nelle pratiche mediche sui malati: chirurghi e barbieri. Questo

approfondimento è inserito nell’ottica di una migliore comprensione dei documenti che verranno

analizzati in seguito nel laboratorio storico.

3 Vedere allegato 1.

4 Oribasio di Pergamo (325-403), è considerato uno dei medici più illustri della scuola bizantina. Dopo aver studiato ad

Alessandria, svolge la professione di medico ad Atene e nel 355 diventa medico personale dell'imperatore Giuliano

l’Apostata. È stato un entusiasta promotore dell'opera di Galeno, considerandola fondamentale per il progresso della

medicina. 5 Ali Abbas, vissuto nel X secolo, è considerato uno dei più grandi medici della cultura arabo-islamica del suo tempo. È

autore del Kitab al-Maliki ossia "Libro Regio", un capolavoro della medicina islamica.

Morire vivendo

14

Fonti iconografiche Salasso, illustrazione tratta dal Codex Schürstab, 1472;

Lebbroso con la campanella, manoscritto del XIV secolo;

Intervento di cauterizzazione anale, trattato di medicina, 1326;

Trapanazione del cranio, miniatura, 1346.

Fonti scritte Bernard de Gourdon, medico francese del XIII secolo, Lilium Medicine.

Testi storiografici di

riferimento

Bériac, F. (1998). A propos de la fin de la lèpre: XII – XV siècles. In A.

Paravicini-Bagliani & F. Santi, The Regulation of Evil. Firenze:

Micrologus’Library, pp. 159-173.

Bériac, F. (1986). Connaissances médicales sul la lèpre et protection contre

cette maladie au Moyen Age. N. Bulst & R. Delort, Actes du Colloque de

Bielefeld, Paris: Editions du Centre National de la Recherche Scientifique,

pp. 145-163.

Bériac, F. (1988), Histoire des lépreux au Moyen Age. Paris: Editions

Imago.

Delort, R. (1972). La vie au Moyen Age. Lausanne: Edita S.A. Trad. it. La

vita quotidiana nel Medioevo. Roma-Bari: Laterza, 2006.

Le Goff, J. (2003). Une histoire du corps au Moyen Age. Paris: Liana Levi.

Trad. it. Il corpo nel Medioevo. Milano: Mondolibri, 2005.

Vigarello, G. (1993). Le Sain et le malsain. Santé et mieux-être depuis le

Moyen-Âge, Paris: Seuil. Trad. it. Il sano e il malato. Storia della cura del

corpo dal Medioevo a oggi. Venezia: Marisilio, 1996.

b) Lezione 2: la lebbra, una malattia del corpo e dell’anima6

Si tratta di una lezione cruciale, infatti l’obiettivo è quello di rendere consapevoli gli studenti del

complesso panorama interpretativo di cui bisogna tener conto quando si parla di lebbra nel

Medioevo. Una complessità che evolve nel corso dei secoli e che porta progressivamente alla

comparsa di una “società repressiva” (Zaremska, 2003, p. 629).

Partendo dalle sacre Scritture (Antico e Nuovo Testamento), passando poi dai testi dei Padri della

Chiesa alle opere agiografiche, gli studenti comprendono come il nesso tra la lebbra e il peccato

originale assuma connotazioni vieppiù complesse, attraverso tentativi di categorizzazione e

regolamentazione. Il passaggio al basso Medioevo porta ad un irrigidimento della percezione dei

6 Vedere allegato 2.

Morire vivendo

15

lebbrosi: gli allievi, concentrandosi sulle norme del Concilio Lateranense III (1179) e sui

drammatici eventi del 1321, si rendono conto della progressiva marginalizzazione dei lebbrosi,

segregati all’interno dei lazzaretti.

Fonti iconografiche San Martino bacia un lebbroso, miniatura, Vita Sancti Martini, XIV secolo.

Fonti scritte Vangelo di Luca 16,19-31;

Descrizione di un lebbroso soccorso da San Martino, Fortunato (vescovo di

Poitiers), VI secolo:

Vita di San Martino di Tours (estratto), Venantius Honorius Clementianus

Fortunatus, VI secolo;

Chronica del monastero di Santa Caterina (estratto), XIV secolo;

Genealogia Comitum Flandrae.

Testi storiografici di

riferimento

Bériac, F. (1988), Histoire des lépreux au Moyen Age. Paris: Editions

Imago.

Borradori, P. (1992), Mourir au Monde. Lausanne: Cahiers lausannois

d’histoire médiévale.

Le Goff, J. (1985). L’imaginaire médiéval, Paris: Gallimard. Trad. it.

L’immaginario medievale. Roma-Bari: Laterza, 2011.

Pichon, G. (1988). Quelques réflexions sur l’affaire des lépreux de 1321.

Revue de l’Association Histoire au présent, 13, pp. 25-30.

Pouchelle, M. C. (1983). Les représentations du corps et de la maladie.

Europe: Revue littéraire mensuelle, pp. 63-71.

Zaremska H. (2003). Marginali. In J. Le Goff & J. C. Schmitt, Dizionario

storico dell’Occidente medievale, Torino: Einaudi, pp. 629-643.

c) Lezione 3: i lebbrosari e la rappresentazione dei malati7

La terza lezione focalizza l’attenzione sulle norme introdotte dal Concilio Laterano III (1179) e IV

(1215) e sulla rappresentazione iconografica dei malati. L’obiettivo è quello di comprendere le

modalità con cui vengono erette barriere protettrici tangibili da parte della comunità sana, con il

risultato di “aumentare le distanze psicologiche tra fedeli ed emarginati, e di esacerbare paure ed

insicurezze” (Zaremska, 2003, p. 643).

7 Vedere allegato 3.

Morire vivendo

16

Gli studenti riflettono dapprima sui contenuti delle norme conciliari, quali le direttive per

l’edificazione di lebbrosari, cimiteri e cappelle, o ancora le regole inerenti l’abbigliamento e i

distintivi da mostrare alla comunità dei sani. In seguito, il docente illustra brevemente le

caratteristiche dell’apparato assistenziale medievale e il ruolo egemonico della Chiesa nella

gestione dei luoghi d’accoglienza (controllo economico e spirituale). L’ultima parte della lezione

prevede l’analisi iconografica di due immagini raffiguranti i lebbrosi. Attraverso l’osservazione

minuziosa del primo documento è possibile individuare alcuni elementi caratteristici della

rappresentazione degli individui contagiati dal morbo, come il lungo mantello, il cappello, la

bisaccia, la battola, le pustole e il bastone. I diversi elementi non sono ritratti casualmente ma

riflettono precise e rigide regole di comportamento. Ad esempio, la battola dev’essere scossa e far

rumore affinché i sani siano allertati del passaggio del malato e possano quindi allontanarsi. Il lungo

mantello, dal canto suo, oltre ad impedire la vista di un corpo orrendamente mutilato, funge da filtro

contro il contagio.

L’analisi della seconda immagine contenuta nel dossier permette invece di porre l’accento

sull’allontanamento spaziale delle categorie neglette, in questo caso i lebbrosi e gli storpi. L’autore

ha posto i due individui al di fuori delle mura: anche in questo caso si tratta di un’evidente barriera

spaziale e psicologica.

Fonti iconografiche Cura dei lebbrosi, miniatura tratta da La Franceschina, codice del XV

secolo, Parigi;

Immagine di lebbroso, tratto dal Miroir territorial di Vincent de Beauvais,

XIV secolo;

Il lebbroso e lo storpio, miniatura, Vincent de Beauvais, XIV secolo.

Testi storiografici di

riferimento

Bériac, F. (1988), Histoire des lépreux au Moyen Age. Paris: Editions

Imago.

Berlioz, J. (2003). Flagelli. In J. Le Goff & J. C. Schmitt, Dizionario

storico dell’Occidente medievale, Torino: Einaudi, pp. 430-444.

Borradori, P. (1992), Mourir au Monde. Lausanne: Cahiers lausannois

d’histoire médiévale.J.

Le Goff, J. (1985). L’imaginaire médiéval, Paris: Gallimard. Trad. it.

L’immaginario medievale. Roma-Bari: Laterza, 2011.

Le Goff, J. (1994). L’homme médiéval, Paris: Seuil. Trad. it. L’uomo

medievale, Roma-Bari: Laterza, 2010.

Morire vivendo

17

Pouchelle, M. C. (1983). Les représentations du corps et de la maladie.

Europe: Revue littéraire mensuelle, pp. 63-71.

Zaremska H. (2003). Marginali. In J. Le Goff & J. C. Schmitt, Dizionario

storico dell’Occidente medievale, Torino: Einaudi, pp. 629-643.

d) Lezione 4: l’entrata nel lebbrosario8

Questa lezione, di una sola ora, vuole mettere in luce i diversi momenti che caratterizzano l’entrata

del lebbroso nel lazzaretto e i divieti a cui il malato deve sottostare. Anche in questo caso non ci si

vuole limitare allo studio delle tecniche di allontanamento, bensì promuovere negli studenti una

riflessione sulle implicazioni sociali e psicologiche del processo segregativo.

Grazie al lavoro di ricerca di Françoise Bériac è possibile ricostruire le diverse tappe di una

cerimonia che ricalca, sia nella gestualità che nei contenuti, la liturgia funebre. Gli allievi, avendo

già visto le norme sancite dai Concili del 1179 e del 1215, sono inoltre in grado di analizzare con

cognizione di causa un regolamento del XV secolo contenuto nell’opera del 1736 De antiquis

ecclesie ritibus (in F. Bériac, 1988, pp. 193-194). Il documento è proposto agli allievi nella versione

originale: l’attività di traduzione collettiva e di commento offre interessanti spunti di riflessione,

anche di natura etimologica, impossibili da proporre in una versione tradotta. Ad esempio, il

termine ladre, che in italiano non assume il significato di lebbroso, deriva da la(z)aros. Questo

consente agli allievi di stabilire riferimenti pertinenti con la parabola di Lazzaro e del ricco Epulone

(Vangelo di Luca, 16), analizzata precedentemente in classe.

Fonti scritte Martène E. (1736). De antiquis ecclesie ritibus (estratto). Vol. II: Anversa.

Testi storiografici di

riferimento

Bériac, F. (1988), Histoire des lépreux au Moyen Age. Paris: Editions

Imago.

Borradori, P. (1992), Mourir au Monde. Lausanne: Cahiers lausannois

d’histoire médiévale.

Le Goff, J. (1963). La civilisation de l’Occident médiéval, Paris: B.

Arthaud. Trad. it. La civiltà dell’Occidente medievale. Torino: Einaudi,

1999, pp. 345-346.

8 Vedere allegato 4.

Morire vivendo

18

e) Lezione 5: laboratorio storico9

L’attività di laboratorio, svolta in piccoli gruppi, è articolata su quattro ore di lavoro in aula e su

alcuni momenti al di fuori dell’orario scolastico. L’obiettivo è quello di promuovere negli studenti il

piacere dell’indagine e della scoperta seguendo un metodo di lavoro rigoroso.

L’attività è pensata partendo dal presupposto che “l’apprendimento della storia avviene attraverso le

operazioni che lo stato dell’arte consente, con materiali e strumenti di tipo storiografico,

considerando gli allievi e le allieve non passivi destinatari, ma costruttori di un percorso di storia”

(Bernardi, 2006, p. 21). Per questa ragione, gli studenti sono chiamati a coordinarsi all’interno di un

gruppo, a cui viene affidato un documento tradotto in italiano.

La prima parte della lezione introduce brevemente il contesto vodese e il lavoro di Piera Borradori,

Mourir au monde. In seguito vengono presentati i materiali e le modalità di analisi, ponendo come

fase conclusiva del lavoro la presentazione orale del documento e della sua indagine da parte di

ogni gruppo.

I gruppi (stabiliti dal docente in accordo con gli studenti) ricevono i materiali seguenti:

Gruppo 1: Losanna (1396) - Jean Giliet;

Gruppo 2: Assens (1406) - Christine Masseleir;

Gruppo 3: Colovray (1423) - Guillaume Quiblet e Aymara Sougay;

Gruppo 4: Saint-Prex (1424) - Mermette Bulliod con la figlia;

Gruppo 5: Colovray (1491) - Guillaume Alliod;

Gruppo 6: a) Constantine (1541) - rapporto del medico Claude Chastellet;

b) Yverdon (1520) - rifiuto da parte di alcuni appestati di accogliere una lebbrosa.

I primi cinque documenti riguardano l’allontanamento degli individui sopracitati dalla comunità

d’appartenenza. L’analisi prevede quindi la ricostruzione della vicenda personale del lebbroso,

portando alla luce tutta una serie di elementi studiati nel corso delle settimane precedenti, quali la

cerimonia di abbandono della comunità, la diagnosi da parte di chirurghi e barbieri, eccetera.

L’ultimo gruppo lavora invece su due documenti che offrono interessanti spunti di approfondimento

e indagine. Il primo consente, attraverso le parole del medico Claude Chastellet, di comprendere in

cosa consiste una diagnosi di lebbra e qual è la sintomatologia rilevata nei malati. Ciò porta gli

studenti a fare le dovute relazioni con i principi della medicina medievale, in particolare con la

teoria umorale. Il secondo documento mette in luce il caso di una lebbrosa rifiutata da alcuni malati

di peste propter suum malum. Si tratta di un prezioso passaggio che porta gli allievi a comprovare e

9 Vedere allegati 5, 6, 7 e 8.

Morire vivendo

19

approfondire la particolare percezione della lebbra, in quanto malattia non solo del corpo ma anche

dell’anima.

I gruppi sono quindi chiamati ad indagare i documenti con l’ausilio di una semplice tabella (in cui

vanno riportati l’autore, la data, il luogo, gli attori sociali e il contenuto di massima) che funge da

base su cui costruire l’analisi.

Ogni gruppo ha il compito di elaborare una presentazione di circa quindici minuti durante la quale

si espone il documento analizzato e si ricostruisce la storia personale del protagonista. Trattandosi

di un lavoro di quattro ore, in cui sono da includere le presentazioni, i gruppi sono invitati a

ritrovarsi almeno una volta tra una lezione e l’altra per discutere i dettagli organizzativi (mappe

concettuali da scrivere alla lavagna, schede da distribuire ai compagni, documenti power-point,

eccetera).

Fonti scritte Documenti tratti e tradotti da P. Borradori, Mourir au monde:

- Losanna (1396);

- Assens (1406);

- Colovray(1423);

- Saint-Prex (1424);

- Colovray (1491);

- Constantine (1541);

- Yverdon (1520).

Testi storiografici di

riferimento

Borradori, P. (1992), Mourir au Monde. Lausanne: Cahiers lausannois

d’histoire médiévale.

Coutaz G. (2013), Vaud in Dizionario storico della Svizzera, www.hls-dhs-

dss.ch.

f) Lezione 5: discussione su un testo storiografico di Jacques Le Goff e conclusione10

L’obiettivo della lezione conclusiva si prefigge di riflettere con gli studenti sul percorso intrapreso,

mettendo a fuoco alcuni punti nodali riguardanti la percezione e la rappresentazione dei lebbrosi nel

Medioevo.

Una sintesi del percorso, coadiuvata dalla lettura (assegnata come compito a casa) Gli emarginati

nell’Occidente medievale, tratta dall’opera Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidentale di

10 Vedere allegato 9.

Morire vivendo

20

Jacques Le Goff (1983), stimola nei ragazzi una riflessione più generale sui concetti di marginalità

ed esclusione. Al termine della discussione gli studenti sono ormai consapevoli del fatto che

occuparsi di marginalità nel Medioevo significa riflettere sulle radici della nostra società, per poter

indagare e comprendere così anche l’attualità. Rimando al capitolo conclusivo alcune

considerazioni sulla chiusura ed il relativo bilancio dell’itinerario didattico.

g) Verifica sommativa11

Al termine dell’itinerario è possibile verificare negli studenti l’acquisizione degli obiettivi

perseguiti nel corso delle lezioni.

La verifica sommativa, della durata di due ore, prevede tre fasi:

- riflessione argomentativa sulla lebbra intesa come malattia del corpo e dell’anima;

- analisi iconografica di un’immagine di Vincent de Beauvais;

- analisi di una fonte scritta relativa al contesto del Pays de Vaud.

Attraverso questo lavoro si vuole verificare le capacità degli studenti di esporre in modo chiaro e

adeguatamente argomentato i seguenti ambiti:

- ambiguità e complessità del panorama interpretativo connesso alla rappresentazione e alla

percezione della malattia;

- riconoscimento e descrizione dei principali motivi iconografici rappresentanti i malati nel

basso Medioevo;

- analisi di una fonte scritta, contestualizzazione storica e connessioni con gli

approfondimenti visti in classe.

Commento alla verifica sommativa

I risultati ottenuti si sono rivelati più che soddisfacenti, infatti quasi tutti gli studenti hanno

raggiunto gli obiettivi prefissati:

11 Vedere allegato 10.

Testi storiografici di

riferimento

Le Goff, J. (1979). Le marginaux dans l’Occident médiéval. Paris: U.G.E.

Trad. it. Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale. Roma-

Bari: Laterza, 1983.

Morire vivendo

21

Figura 6.1: risultati della verifica sommativa

La correzione delle verifiche mi ha consentito di sondare l’effettiva comprensione degli argomenti

trattati in classe da parte degli studenti. Parecchi allievi hanno saputo cogliere ed argomentare le

complesse sfumature interpretative sulla lebbra e le principali caratteristiche del processo

segregativo che portano alla reclusione dei malati nei lazzaretti. Nel capitolo in cui sono contenuti

gli allegati12

è possibile leggere alcune elaborazioni scritte degli studenti.

12 Vedere allegato 11.

0 1 2 3 4 5 6 7

3,5

3,75

4

4,25

4,5

4,75

5

5,25

5,5

Numero di studenti

Vo

to

Morire vivendo

22

7. Conclusioni

Riflettere, progettare e costruire le differenti tappe di questo itinerario ha richiesto parecchio tempo

e non poca fatica: entusiasmo e dubbi si sono alternati e combinati tra loro nel corso di tutte le fasi

del lavoro, consentendomi tuttavia di ritrovare il piacere dell’indagine minuziosa, della

problematizzazione, degli slanci alla ricerca di questo o quel dettaglio. L’insegnante, nella pratica

quotidiana, rischia infatti di lasciarsi prendere nel vortice delle diverse scadenze, accantonando,

almeno temporaneamente, quelle letture che hanno la capacità di stimolare e aprire la mente a nuovi

orizzonti.

Proporre a ragazzi di sedici anni un itinerario didattico sui lebbrosi, individui emarginati e vituperati

per secoli, mi ha consentito di promuovere alcuni aspetti a mio avviso vitali nell’insegnamento della

storia e di riflettere sul mio percorso professionale.

Innanzi tutto credo che lo studio della storia medievale non sia un altrove indefinito, ma un passato

reale e una possibile chiave di lettura del presente. Come scrive giustamente Guarracino (2006, p.

3), “[…] l’insegnamento non si limita alla storia contemporanea o a quella che in qualunque modo

le è correlata o le fa da premessa, ma si estende anche a quel che è fortemente altro da noi e che

dobbiamo sforzarci di comprendere nella sua storicità”. Promuovere negli allievi il senso storico e

la percezione della storicità nella realtà è un compito cui nessun docente di storia dovrebbe sottrarsi:

il rischio, altrimenti, è quello di un insegnamento pensato a compartimenti stagni, in cui ciò che è

accaduto appartiene a una dimensione chiusa e avulsa da qualsiasi connessione con il presente.

Studiare la lebbra nel Medioevo non è quindi un esercizio finalizzato ai tecnicismi della ricerca,

bensì un’occasione per portare alla luce “questioni socialmente vive” (Heimberg, 2008) in grado di

suscitare negli studenti un sincero interesse e coinvolgimento. Le modalità d’emarginazione e

d’esclusione applicate ad individui ritenuti pericolosi per la comunità cristiana medievale non

possono ad esempio esimersi dal portare tra i banchi di scuola le vicende di coloro che oggi vivono

ai bordi del nostro presente, additati come pericolosi perché diversi.

L’aula scolastica, in questo senso, consente di sondare e affrontare le questioni sociali che “si

formano in maniera latente e rischiano di riaffiorare a seconda delle circostanze. È proprio in queste

circostanze che è più facile che gli studenti arrivino in classe con delle rappresentazioni e delle

conoscenze costruite al di fuori del contesto scolastico” (Heimberg, 2008, p. 58). Un’occasione

preziosissima, quindi, per smentire i pregiudizi e sviluppare uno spirito critico e consapevole.

Ritengo che questo itinerario, seppur perfettibile e bisognoso di aggiustamenti, abbia comunque

saputo intercettare la motivazione dei ragazzi, promuovendo in loro la consapevolezza che la

scrupolosità e il rigore scientifico sono strumenti fondamentali e imprescindibili per la lettura del

Morire vivendo

23

passato ed una miglior comprensione del presente. Il laboratorio storico, in particolare, ha favorito

un lavoro dinamico, analitico e minuzioso. Come ricorda Verrastro (2009, p. 9) “ogni intervento

didattico deve mirare a non svendere i contenuti specifici delle discipline (mediante semplificazioni

o pericolose revisioni) ma partire dalla scoperta dello studente per giungere alle sue emozioni e ai

suoi interessi […]”.

Il lavoro dello storico è quindi un’esigenza sociale e non un virtuosismo intellettuale ad

appannaggio di pochi. Un’indagine rigorosa e onesta del passato, malgrado i “vorticosi processi di

conoscenza che sempre meno inducono alla ricerca, alle analisi approfondite” (Verrastro, 2009, p.

7) deve essere difesa strenuamente. A questo proposito, Eric Hobsbawm giudica severamente le

nostre generazioni (2006, pp. 14-15):

La distruzione del passato, o meglio la distruzione dei meccanismi sociali che connettono

l’esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti, è uno dei fenomeni più

tipici e insieme più strani degli ultimi anni del Novecento. La maggior parte dei giovani alla

fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto

organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono.

Gli sforzi didattici degli insegnanti di storia cercano costantemente di coniugare il sapere con le

metodologie affinché le generazioni contemporanee si dimostrino meno prede del “presente

permanente” e maggiormente consapevoli (e riconoscenti) delle eredità fornite dal passato. I

docenti, attraverso percorsi didattici ragionati e scientificamente fondati, hanno la preziosa

possibilità di favorire concretamente la crescita intellettuale ed emotiva degli studenti, futuri

cittadini e attori del mondo.

Sarebbe certamente più comodo considerare ormai estinti comportamenti segregativi secolari: il

rumore della battola non risuona più nelle vie dei quartieri, non si praticano funerali ai vivi o

processi sommari per “corruzione dell’anima”, nessuno teme il contagio lungo la strada. Tuttavia, a

ben guardare, questo Medioevo lontano non sembrerebbe esser svanito completamente nel nulla.

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8. Bibliografia

Volumi:

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Trad. it. Dizionario storico dell’Occidente medievale, Torino: Einaudi.

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dell’Occidente medievale. Torino: Einaudi, 1999.

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Medioevo. Milano: Mondolibri, 2005.

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Trad. it. Il sano e il malato. Storia della cura del corpo dal Medioevo a oggi. Venezia: Marisilio,

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Recherche Scientifique, pp. 145-163.

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Articoli:

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Heimberg, C. (2008). Le questioni socialmente vive e l’apprendimento della storia. Mundus, 1, pp.

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Pichon, G. (1984). Essai sur la lèpre du Haut Moyen Âge. Revue d’histoire et de philologie, 90, pp.

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Documenti:

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Università degli studi di Parma, www.itinerarimedievali.unipr.it.

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9. Allegati

1) La medicina nel Medioevo e le conoscenze sulla lebbra

2) Malattia del corpo e dell’anima

3) I lebbrosari e la rappresentazione dei malati

4) L’entrata nel lebbrosario e l’uscita dal mondo dei sani

5) Le fonti

6) Laboratorio storico

7) Documenti

8) Analisi delle fonti – schede per gli appunti

9) Gli emarginati nell’Occidente medievale

10) Verifica sommativa

11) Testi degli studenti

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 La  medicina  nel  Medioevo                            Allegato  1    Nel  Medioevo,   il   concetto  di   salute  veniva  associato  a  quello  di  equilibrio   tra  gli  umori,  basato  sulla  dottrina  di   Ippocrate  e  Galeno,  secondo  cui  esisterebbero  quattro  qualità  e  quattro  umori,   rispettivamente  caldo,  secco,  freddo,  umido,  e  sangue,  flegma,  bile  gialla,  bile  nera.  Si  riteneva  che  l’organo  specifico  in  cui  risiede  ciascun  umore  fosse  il  fegato  per  il  sangue,  il  polmone  per  il  flemma,  la  cistifellea  per  la  bile  gialla  e  la  milza  per  la  bile  nera.  A  monte  di   questo   sistema   stava   la   dottrina   dei   “quattro   elementi”   :   fuoco,   aria,   terra   e   acqua,  connessi  alle  quattro  entità  cosmiche,  il  Sole,  il  Cielo,  la  Terra  e  il  Mare.  Secondo   la   medicina   classica   e   medievale   il   principio   essenziale   del   corpo   umano   è   il  calore,  a  sua  volta   temperato  dal   freddo.  Nell’età  dell’uomo  e  nelle  stagioni,   tra   loro   in  reciproco   rapporto,   esisterebbe   una   netta   prevalenza   nel   complesso   equilibrata,   di  qualità,   per   cui   nell’adolescenza   (0-­‐30   anni   di   età)   e   nella   primavera,   prevale   il   caldo   e  l’umido,   nella   giovinezza   (30-­‐40   anni   di   età)   e   nella   estate   il   caldo   e   il   secco,   nella  vecchiaia,   sinonimo   di   maturità   (40-­‐60   anni)   e   nell’autunno   il   freddo   e   il   secco,   nella  decrepitezza  (dai  60  anni  in  su)  e  nell’inverno  il  freddo  e  l’umido.    L’effetto  o  il  difetto  (disequilibrio)  di  raffreddamento  si  percuotono  sugli  umori  e  causano  la  malattia.      “Il  corpo  ha  quattro  membra  principali:  il  cuore,  da  cui  escono  le  arterie;  il  cervello,  sede  dell’anima,  che  emette  dei  nervi  che  fanno  muovere  il  corpo;  il  fegati,  da  cui  provengono  le  vene;  e  gli  organi  genitali,  che  sono  al  servizio  della  specie.  L’anima  è  la  vita  dell’uomo;  creata  da  Dio  non  ha  fine,  e  la  sua  facoltà  di  distinguere  il  vero  dal  falso  altro  non  è  se  non  la  ragione,  che  ci  differenzia  dagli  altri  animali”.      

Robert  Delort,  Vita  quotidiana  nel  Medioevo,  p.  65.    Partendo   dall’idea   in   base   alla   quale   la  malattia   nasce   come   alterazione  dell’equilibrio  tra  i  quattro  umori  essenziali,   i  medici   ritenevano   necessario   operare  interventi   che   ristabilissero   tale   equilibrio.  Dunque,   non   solo   c’era   un’attenzione  maniacale   a  ogni   fenomeno  di   espulsione  di  sostanza  organica,  ma  si  tendeva  a  provocare  l’emissione   di   liquidi   in   modo   artificiale,   sia  inducendo  il  vomito  sia  praticando  il  salasso.  Quest’ultima   pratica,   che   è   rimasta   in   voga  per   secoli,   era   ampiamente   utilizzata,   non  solo   durante   il   malanno,   ma   anche  periodicamente,   come   strumento   di  prevenzione   di   qualsiasi   alterazione   degli  umori.  

 Salasso,  illustrazione  tratta  dal  Codex  Schürstab  (1472),  Zentralbibliothek,  Zurigo.      

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Alcune  tappe  fondamentali  della  storia  della  medicina  dal  IV  s.  a.C.  al  XIII  s.  d.C.    Ippocrate   (IV-­‐V   secolo  a.C.)  è   il   più  grande  medico  greco.  Staccandosi   completamente  dalla  medicina  sacerdotale  e  magica,  le  dà  un  fondamento  razionale  e  sperimentale.  Per  la   prima   volta   afferma   l'azione  dell'ambiente   sull'individuo   e   sull'origine  della  malattia,  l’importanza  dell’ereditarietà.  Propone  una  concezione  etica  della  medicina,  le  cui  norme  fondamentali   sono   il   segreto   professionale,   la   consapevolezza   di   compiere   un'opera  nobile,  che  ha  come  obiettivo  imprescindibile  il  bene  del  malato,  l’illegalità  dell'aborto,  il  divieto  dell’uso  di  veleni.    Scuola   di   Alessandria   (II   secolo   a.C.):   in   ambito   ellenistico   fiorisce   ad   Alessandria   la  famosa   scuola   medica.   A   essa   si   devono   le   prime   importanti   scoperte   nel   campo  dell’anatomia  e  della  fisiologia,  grazie  alle  prime  dissezioni  di  cadaveri  a  scopo  di  studio.    Galeno   (II   secolo   d.C.),  medico   imperiale   a   Roma,   è   considerato   il   più   grande  medico  dell'antichità   dopo   Ippocrate.   Stabilisce   la   dottrina   dei   quattro   temperamenti  (sanguigno,  flemmatico,  collerico,  bilioso)  che  influenzerà  per  molti  secoli  la  medicina  e,  sebbene   dichiari   di   essere   all'oscuro   sulla   natura   o   sostanza   dell'anima,   distingue   tre  facoltà:  razionalità  con  sede  nel  cervello,  passionalità  con  sede  nel  cuore,  appetitività  con  sede  nel  fegato.  Il  principio  fondamentale  di  vita  è  per  lui  lo  pneuma  (aria,  alito,  spirito).    Durante   l’alto   Medioevo   il   cristianesimo   interpreta   la   guarigione   come   un   intervento  divino.   Si   forma   quindi   una   medicina   chiamata   conventuale.   Con   il   concetto   di   carità  nascono   gli   ospedali,   in   un   primo   tempo   intesi   come   luogo   di   accoglienza   per   deboli  (poveri,  pellegrini,  ammalati,  vecchi,  neonati),  successivamente  come  strutture  dedicate  alle   cure   delle   malattie.   La   medicina   conventuale   ha   la   caratteristica   di   dare   asilo   a  viandanti  e  curare  gli  ammalati.      �Non   si   può   non   citare   il   mondo   arabo,   infatti   la   civiltà   araba   assorbe   la   dottrina  ellenistica   e   romana.   Pur   avendo   introdotto   in   terapia   farmaci   nuovi   e   migliorato   le  tecniche  chirurgiche  non  è  stata  apportatrice  di  un  vero  e  proprio  progresso,  limitandosi  a  commentare  e  rielaborare  i  classici,  adattandoli  alle  proprie  esigenze  spirituali.  Il  merito  di   aver   tramandato,   anche   nella   cultura   occidentale,   il   pensiero   dei   grandi   maestri    classici  durante  il  Medioevo  è  sostanzialmente  degli  Arabi.  Particolare  fortuna  hanno  gli  scritti  di  Avicenna,   il   cui  Canone  di  medicina,  basato  su   Ippocrate  e  Galeno,  è  accettato  senza  discussioni  dai  medici  europei  fino  alla  fine  del    XVI  secolo.  Danno  il  loro  contributo  numerosi  autori,  tra  cui  Albucasis,  medico  e  chirurgo,  considerato  il  padre  della  chirurgia  moderna.    La  Scuola  salernitana  è  particolarmente  attiva  nei  secoli  XI  e  XII  grazie    alla  diffusione  in  Occidente  delle  opere  arabe.  È  la  più  antica  e  famosa  scuola  di  medicina  del  Medioevo  ed  influenzerà   l'evoluzione   della   medicina   soprattutto   grazie   alle   regole   per   un   corretto  modo  di  vita:  non  lasciarsi  sopraffare  dalle  preoccupazioni  e  dalla  collera,  bere  poco  vino,  non  mangiare  troppo,  curare  il  riposo,  fare  del  moto,  eccetera.  Federico  II,  con  un  decreto  (1240),  autorizza  la  dissezione  dei  cadaveri  e  rende  obbligatorio  per  i  chirurghi  lo  studio  dell'anatomia;  inoltre  regola  I  ‘attività  dei  farmacisti.        

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 La  lebbra    Oggi  sappiamo  che   la   lebbra  è  una  malattia   infettiva  provocata  dal  bacillo  di  Hansen,  o  mycrobacterium  leprae.  I  casi  di  lebbra  sono  fondamentalmente  due:    

-­‐ la   persona   contagiata   dispone   di   difese   immunitarie   in   grado   di   ostacolare   il  mycrobacterium  leprae;  

-­‐ la  persona   infettata  non  ha  nessun  anticorpo   in  grado  di  opporre   resistenza  alla  malattia.  

 Nel   primo   caso   il  malato   contrae   una   forma  di   lebbra   detta   tubercoloide.   In   assenza   di  cure  adeguate,  questa  porta  a  mutilazioni  e  possibili  paralisi.  Nella  forma  lepromatosa  (secondo  caso),  l’insieme  delle  lesioni  possono  condurre  ad  una  morte  molto  rapida  (pochi  anni,  addirittura  settimane).      In  medicina  si  distinguono  tre  tipi  (o  fasi)  di  lebbra:    

-­‐ lebbra  tubercoloide  -­‐ lebbra  lepromatosa  -­‐ lebbra  indeterminata  (una  forma  iniziale  che  tende  poi  verso  una  dei  due  tipi).    

 Oribasio   di   Pergamo   (325-­‐403,   scrittore   e   medico   dell’Impero   romano)   afferma   che  l’elephantiasis  (lebbra)  deriva  da  un  eccesso  di  atrabile  (bile  nera)  per  rapporto  all’umore  opposto,  il  sangue.  Ali  Abbas  ed  il  suo  traduttore  Abulcasis  teorizzano  successivamente  quattro  tipi  di  lebbra,  sempre  in  relazione  alla  teoria  umorale:    

-­‐ elephantia     (bile  nera)  -­‐ tiria     (flemma)  -­‐ leonina   (bile  gialla)  -­‐ vulpina   (sangue)  

 Secondo   la   medicina   medievale,   quindi,   esistono   quattro   tipi   di   lebbra.   La   leonina  proviene  dalla  bile  e  affligge  anche  i  grandi  felini.  Questa  forma  comporta  la  caduta  delle  estremità,  come  il  naso,  rende  la  voce  nasale  e  gonfia  le  vene.  Insomma,  il  viso  del  malato  subisce   terribili   menomazioni   assomigliando   così   a   quello   di   un   leone.   La     vulpina   (o  alopicia)  trae  invece  origine  nel  sangue  adusto  (secco)  e  provoca  la  caduta  di  tutti   i  peli,  come  accade  appunto  alle  volpi  che  contraggono  la  malattia.  L’elephantia  colpisce  anche  i  pachidermi  ed  è  causato  da  una  disfunzione  della  bile  nera:  i  sintomi  sono  la  voce  rauca,  le   palpebre   consumate,   la   ritrazione   delle   narici,   l’apparizione   di   escrescenze   dure   e  talvolta  insensibili.  Il  quarto  tipo  di  lebbra,  detto  tiria,  proviene  dal  flemma:  rende  la  pelle  più  molle   e   bianca,   sorgono   noduli   molli,   possono   subentrare   diversi   tipi   di   atrofie,   le  narici  sono  intasate  e  la  voce  è  rauca.              

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 Bernard  de  Gourdon,  medico  francese  del  XIII  secolo,  descrive  nell’opera  Lilium  Medicine  alcuni  sintomi  determinanti:    “I  segni  infallibili  sono  l’alopecia  e  la  prominenza  delle  sopracciglia,  la  rotondità  degli  occhi,  la  dilatazione  delle  narici  e   il   loro   irrigidimento   interno  con   relative  difficoltà   respiratoria  e  voce  nasale,   il  pallore  del  viso  tendente  alla  nerezza  cadaverica,   l’aspetto  terribile  del  viso  con  uno  sguardo  fisso,  l’assottigliamento  e  la  contrazione  della  carne  delle  orecchie  […].  Ci  sono   molti   altri   segni,   come   le   pustole   e   le   escrescenze,   la   consunzione   dei   muscoli   e  soprattutto   quello   tra   pollice   e   indice,   l’insensibilità   delle   estremità,   ferite   e   infezioni  cutanee.   Il   sangue,   quando   viene   lavato   come   occorre,   lascia   un   residuo   nero   terroso,  granuloso,  sabbioso”.  

                                               Osservando   l’immagine   sopra,   raffigurante   un   lebbroso   con   campanella   in   un  manoscritto   del   XIV   secolo,   quali   segni     citati   da   De   Gourdon   è   possibile   riconoscere?  Quali  ipotesi  possiamo  inoltre  avanzare  sulla  rappresentazione  e  la  percezione  dei  malati  da  parte  dei  sani?    

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     Immagine  sopra:    intervento  di  cauterizzazione,    trattato  di  medicina  del  1326.      Immagine  a  sinistra:  trapanazione  del  cranio,    miniatura  del  1346.                                

 Immagini  tratte  da  Focus  –  Storia,  gennaio  2008,  p.43.  

       

 

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Medici,  chirurghi  e  barbieri    Fra   il   1123,   anno   del   primo   Concilio   Lateranense,   e   il   1215,   anno   del   quarto   Concilio  Lateranense,  ai   sacerdoti  cattolici  e  ai  diaconi  venne  proibito  di  praticare   la  medicina  a  discapito  della   loro  funzione  ecclesiastica.  Fino  ad  allora,   infatti  erano  proprio   i   religiosi  che  curavano  i  malati  e  spesso  eseguivano  piccole  operazioni.  Quando  la  Chiesa  cominciò  ad  esigere  il  distacco  da  queste  pratiche,  furono  proprio  i  barbieri  ad  assumere  tale  ruolo.  Subito   disprezzati   per   quel   contatto   eccessivamente   intimo   con   il   corpo   umano;  manipolatori   di   carne   e   sangue,   posti   sullo   stesso   piano   dei   macellai   e   dei   carnefici;  tacciati  di  essere  degli  omicidi  ingannatori,  i  chirurghi  furono  a  lungo  considerati  medici  inferiori,  guardati  con  sospetto  sia  da  una  Chiesa  che  considerava  la  chirurgia  una  pratica  abominevole  in  contrasto  con  il  credo  cristiano,  sia  dai  loro  stessi  colleghi  medici.  Alcuni  interventi  chirurgici  venivano  poi  delegati  ad  un  subalterno,  il  barbiere,  il  quale  si  dedicava  a  vere  e  proprie  operazioni,  come  ad  esempio  l'estrazione  dei  denti,  i  salassi  e  la  cura  degli  ascessi.  Henry   de  Mondeville,   il   grande   chirurgo   francese  medico   di   Filippo   il   Bello1,   riteneva   i  barbieri:   «chirurghi   orgogliosi   e   illetterati,   stupidi   e   completamente   ignoranti»,   insomma,  dei   veri   e   propri   concorrenti   dei   medici   capaci   di   condividere   con   questi   ultimi   sì   la  pratica,  ma  non  certamente  il  sapere  teorico.  Le   operazioni   delegate   ai   barbieri   erano   sicuramente   quelle   più   umili   e   a   più   diretto  contatto  con   il   sangue  che,  se  da  una  parte  poteva  essere  considerato  oggetto  di  culto  rappresentando  il  sangue  di  Cristo,  dall'altra  era  disprezzato  e  anzi  ritenuto  pericoloso  e  velenoso,   tanto   che   la   legge   imponeva   di   gettarlo   via   immediatamente   dopo   gli  interventi.    “Malgrado  alcune  rilevanti  eccezioni,  come  il  caso  di  Mondeville,   la  medicina  scientifica  nel   Medioevo   stenta   a   prendere   l’abbrivio   […].   Ancora   una   volta,   è   la   tensione   che  percorre   l’Occidente  medievale   a   fornirci   una   chiave.   Nel  Medioevo   il   corpo   in   sé   non  esiste.   È   sempre   compenetrato   dall’anima,   ed   è   alla   salvezza   eterna   di   questa   che   si  pensa  in  primo  luogo.  La  medicina  è  quindi  principalmente  una  medicina  dell’anima  che  passa  attraverso  il  corpo  ma  sempre  andando  oltre  di  esso  […].  La  medicina  medievale   ha   comunque   introdotto   anche   innovazioni   tecniche   di   rilievo,  soprattutto  nel  campo  della  chirurgia:  trapanazione,  riduzione  delle  fratture,  operazione  della   fistola   anale,   legatura   delle   emorroidi,   emostasi   attraverso   cauterizzazione,  estrazione   di   corpi   metallici   estranei   mediante   una   calamita,   sutura   delle   piaghe  profonde   del   torace.   Si   è   poi   notevolmente   arricchita   la   farmacologia,   principalmente  attraverso  l’uso  di  alcool  e  del  mercurio.  L’alcool  è  infatti  una  scoperta  del  Medioevo.  La  distillazione  del  vino,  in  origine,  venne  compiuta  nei  conventi    per  fabbricare  medicinali”.    

 Jacques  Le  Goff,  Il  corpo  nel  Medioevo,  Laterza,  Roma-­‐Bari,  2005,  pp.  101-­‐103.  

   Testi  tratti  e    rielaborati  da:    F.  Bériac,  Histoire  des  lépreux  au  Moyen  Age-­‐Une  société  d’exclus,  Editions  Imago,  Pargi,  1988;      R.  Delort,  La  vita  quotidiana  nel  Medioevo,  Laterza,  Roma-­‐Bari,  2006;    J.  Le  Goff,  Il  corpo  nel  Medioevo,  Laterza,  Roma-­‐Bari,  2005;  G.  Vigarello,   Il  sano  e   il  malato.  Storia  della  cura  del  corpo  dal  Medioevo  a  oggi,  Marsilio,  Venezia  1996.  

                                                                                                               1  Filippo  IV  di  Francia  (1268  –1314)  detto  il  Bello,  fu  re  di  Francia  dal  1285  alla  sua  morte.  

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 Malattia  del  corpo  e  dell’anima                          Allegato  2    La  lebbra,  provocando  lacerazioni  nel  corpo  del  malato  senza  ucciderlo,  si  configura  nella  la  società  medievale  come  un’anticipazione  della  corruzione  che  il  corpo  subisce  dopo  la  morte:  la  lebbra  è  dunque  il  segno  tangibile  di  un  animo  corrotto.    Le  idee  medievali  sulla  lebbra  e  sui  lebbrosi  traggono  le  loro  origini  dalle  Sacre  Scritture  e  dai   Padri   della   Chiesa,   a   cui   si   sono   aggiunte   nei   secoli   numerose   leggende   (come  per  esempio  la  guarigione  di  Costantino).    Nell’Antico  Testamento  si  trovano  essenzialmente  regole  per  la  separazione  dei  lebbrosi  e  alcuni  episodi  in  cui  la  lebbra  appare  come  un  castigo,  soprattutto  a  causa  di  colpe  gravi  e  sacrileghe.    Il  Nuovo  Testamento  cita  invece  i  lebbrosi  a  proposito  dei  miracoli  compiuti  da   Gesù.   San   Gerolamo,   verso   il   400,   esplicita   il   significato   primario   della   lebbra:   è   la  punizione   per   eccellenza,   il   “salario   del   peccato”   inflitto   all’uomo.   Ciechi   e   paralitici  chiedono   la   guarigione,  mentre   i   lebbrosi   dicono   a   Gesù:   “Signore,   se   lo   vuoi,   tu   puoi  purificarmi”.   Gesù,   cancellando   la   lebbra,   si   manifesta   come   colui   venuto   a   lavare   le  impurità   del   genere   umano,   macchiato   dal   peccato   originale.   Accanto   al   binomio  lebbra/peccato   si   fa   quindi   strada   l’immagine   caritatevole   nei   confronti   del   malato,   il  quale,  grazie  all’intervento  divino,  perde  il  marchio  di  impurità.    C'era  un  uomo  ricco,  che  vestiva  di  porpora  e  di  bisso  e  tutti  i  giorni  banchettava  lautamente.  Un  mendicante,   di   nome   Lazzaro,   giaceva   alla   sua   porta,   coperto   di   piaghe,   bramoso   di  sfamarsi  di  quello  che  cadeva  dalla  mensa  del  ricco.  Perfino  i  cani  venivano  a  leccare  le  sue  piaghe.  Un  giorno  il  povero  morì  e  fu  portato  dagli  angeli  nel  seno  di  Abramo.  Morì  anche  il  ricco  e  fu  sepolto.  Stando  nell'inferno  tra  i  tormenti,  levò  gli  occhi  e  vide  di  lontano  Abramo  e  Lazzaro   accanto   a   lui.   Allora   gridando   disse:   Padre   Abramo,   abbi   pietà   di   me   e   manda  Lazzaro  a  intingere  nell'acqua  la  punta  del  dito  e  bagnarmi  la  lingua,  perché  questa  fiamma  mi  tortura.  Ma  Abramo  rispose:  Figlio,  ricordati  che  hai  ricevuto  i  tuoi  beni  durante  la  vita  e  Lazzaro  parimenti  i  suoi  mali;  ora  invece  lui  è  consolato  e  tu  sei  in  mezzo  ai  tormenti  (…).          

                 Vangelo  di  Luca  16,19-­‐31    Lazzaro,  nel  suo  umiliante  e  penoso  stato  di  mendicante  e  ammalato,  è  quindi  meritevole  del  Paradiso  (seno  di  Abramo),  a  differenza  del  ricco  Epulone.  La   tradizione   della   Chiesa   Cattolica   venera   Lazzaro   (dall’ebraico  Eleazaro,   “colui   che   è  assistito  da  Dio”)  come  santo  protettore  dei  malati  di   lebbra.   I   lazzaretti  devono  a   lui   il  proprio  nome,  e  molti  paesi  sorti  attorno  a  questi  antichi  ospedali  hanno  Lazzaro  come  patrono.                

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Le   opere   di   sant’Ambrogio   (ca.330-­‐397),   sant’Agostino   (354-­‐430),   san   Cesario   d’Arles  (470-­‐542),  Gregorio  il  Grande  (ca.535-­‐604)  e  Isidoro  di  Siviglia  (570-­‐636)  si  trovano  in  tutte  le   biblioteche   dell’Alto   Medioevo   e   influenzano   il   dibattito   teologico.   L’allegoria   della  lebbra   assume   nuove   connotazioni:   non   rappresenta   più   solo   il   peccato   originale,   ma  designa   pure   la   punizione   per   i   peccati   terreni.   La   lebbra   diventa   quindi   l’allegoria   di  molteplici  peccati  compiuti  dagli  uomini  (lussuria,  vanità,  avarizia,  eccetera).  Un’ulteriore  interpretazione,  che  si  sovrappone  a  quella  di  castigo,  fa  coincidere  le  figure  dei  lebbrosi    presenti   nelle  Scritture   con  gli   ebrei   e  gli   eretici   (coloro   che  non   sono   stati   battezzati).  Sant’Ambrogio   definisce   infatti   “lebbrosi   dell’anima”   coloro   che   rifiutano   la  rigenerazione  del  battesimo.    I   teologi   tentano   in   seguito   una   classificazione   metodica,   cercando   di   individuare    categorie   di   peccati   (venali   o   mortali)   per   ogni   tipo   di   lebbra.   Si   assiste   quindi,   come  detto,   ad   un   progressivo   spostamento   dell’attenzione   dal   peccato   originale   ai   peccati  degli  uomini.    Il  IX  secolo  segna  in  questo  senso  una  svolta  nella  rappresentazione  e  nella  percezione  della  lebbra.    Come  apparivano  i  lebbrosi  agli  occhi  della  gente?  Traduciamo  e  commentiamo  insieme  la   descrizione   di   un   lebbroso   soccorso   da   San   Martino.   L’autore   del   documento   è  Fortunato,  vescovo  di  Poitiers  (VI  secolo):    

Vir  maculis  varius,  cute  nudus,  vulnere  tectus,  

Tabe  fluens,  gressu  aeger,  inops  visu,  asper  amictu,  

Mente  hebes,  ore  putens,  lacerus  pede,  voce  refrictus:  

Induerat  miserum  peregrino  tegmine  pallor.  

 

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 “Le  prime  tracce  della  segregazione  dei  lebbrosi,  o  più  precisamente  di  individui  segnalati  come  leprosi,  si  trovano  nell’editto  del  re  longobardo  Rotari  dell’anno  643:  “Se  qualcuno  è  colpito  dalla  lebbra  e  se  la  verità  del  fatto  è  riconosciuta  dal  giudice  o  dal  popolo  e  il  lebbroso  è  espulso  dalla  civitas  o  dalla  dimora  affinché  viva  isolato,  non  ha  il  diritto  di  alienare  le  sue  proprietà  e  di  donarle  a  chicchessia  perché  dal  giorno   in  cui  è  espulso  dalla  propria  casa  è  come   se   fosse   morto”.   L’editto   autorizza   anche   ad   abbandonare   una   fidanzata   che   sia  diventata  cieca,   folle  o   lebbrosa,   “perché  ciò  è   conseguenza  dei   suoi  gravi  peccati   e  della  malattia  che  ne  deriva”.      

Hanna  Zaremska,  Marginali,  in  Dizionario  dell’Occidente  medievale,  pp.  638-­‐639.      

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Per   l’uomo  del  Medioevo,   il   senso  allegorico  del   connubio   lebbra/peccato  porta   spesso  un’interpretazione  “letterale”  delle  Scritture,  sviluppando  idee  errate  sulla  malattia:  si:  si  crede,   per   esempio,   che   un   coppia   possa   generare   un   figlio   lebbroso   avendo   rapporti  sessuali  la  domenica  (giorno  da  dedicare  al  Signore)  o  durante  la  quaresima.    A  questo  proposito,  Jacques  Le  Goff  scrive1:  “L’origine  peccaminosa  dei  lebbrosi  è  stata  infatti   associata   da   alcuni   teologi   medievali   all’idea   di   un   comportamento   sessuale  diverso  presso  le  categorie  dominanti  della  società    e  presso  quelle  degli  oppressi.  Esiste  quindi  una  sessualità  delle  élites  e  una  sessualità  dei  rustici?    In  ogni  caso  il  disprezzo  per  i  villani  trova  alimento  anche  nel  sesso.  Già  nella  prima  metà  del  secolo  VI,  in  un  sermone  il  vescovo   Cesario   di   Arles   informa   il   suo   uditorio:   gli   sposi   incontinenti   avranno   figli  “lebbrosi  o  epilettici,  o  forse  demoniaci”.  Insomma,  tutti  coloro  che  sono  lebbrosi  nascono  di  solito  non  da  uomini  colti  che  conservano   la   loro  castità  nei  giorni  proibiti  e  nelle   festività,  ma   soprattutto   dai   rustici   che   non   conoscono   la   continenza”.     Sono  due   credenze   che   si  diffonderanno   durante   il   Medioevo.   Anzitutto   la   malattia   ossessionante   e  colpevolizzante,   la   malattia-­‐assillo,   la   lebbra,   trova   la   sua   origine   nella   sessualità  colpevole   –   compresa   quella   degli   sposi   (…)   mentre   la   macchia   della   fornicazione  commessa   nella   carne   torna   alla   superficie   del   corpo.   E   poiché   la   carne   tramette   il  peccato  originale,  i  figli  pagano  le  colpe  dei  genitori”.    In   che   modo   esiste,   secondo   Le   Goff,   una   relazione   tra   l’appartenenza   sociale   e   la  predisposizione  a  certi  tipi  di  malattie?    …………………………………………………………………………………………………………………………  

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 Gli   uomini  e   le  donne  del   tempo  percepiscono  quindi   la   lebbra   come  una  conseguenza  immediata  del  peccato.  Non  un  peccato  qualsiasi,  bensì  quello  carnale:  esiste  infatti  una  stretta   correlazione   tra   lebbra   e   lussuria.   La   teoria   umorale   ne   individua   le   cause   nel  temperamento   malinconico.   Ecco   perché   si   attribuiscono   spesso   ai   lebbrosi   appetiti  sessuali   smisurati.   Il   fatto   che   poi   questi   vivano   al   di   fuori   della   comunità   dei   cristiani,  poiché  segregati  nei  lebbrosari,  li  rende  ancor  più  sospetti.  In   questo   contesto,   in   cui   le   malattie   dell’anima   e   del   corpo   si   intersecano   in   un  complesso  panorama  interpretativo,    diventa  sempre  più  importante  la  figura  del  prete,  medico   dell’anima.     La   medicina   proposta   dalla   Chiesa   si   basa   però   sulla   penitenza,  destinata   a   cancellare   la   lebbra   dai   peccati   degli   uomini,   dopo   che   il   battesimo   ha  purificato   dal   peccato   originale.   La   contrizione   sincera,   accompagnata   da   lacrime   di  pentimento,   purifica   l’anima   del   peccatore   e   allontana   la   lebbra   spirituale.   Il   cristiano  deve  temere  che  la  sua  anima  macchiata  dalla  lebbra,  il  giorno  del  Giudizio,  appaia  a  Dio  tanto  ripugnante  quanto  i  lebbrosi  che  lui  stesso  rifugge  e  teme  nella  quotidianità.  San  Luigi  IX  (1215-­‐1270)  di  Francia,  religiosissimo  crociato,  afferma:  «Dovreste  sapere  che  non   c’è   lebbra   più   orribile   di   quella   di   essere   nel   peccato  mortale,   poiché   l’anima   che   è   in  peccato  mortale  è  come  il  diavolo».  A  metà  del  XII  secolo  un  cronista  monastico  parigino  scrive   che   «fornicatori,   concubine,   incestuosi,   adulteri,   avari,   usurai,   falsi   testimoni,  spergiuri   (…):   tutti   costoro   che   la   colpa   allontana   da   Dio,   sono   giudicati   lebbrosi   dai  sacerdoti».      

                                                                                                               1  Jacques  Le  Goff,  L’immagnario  medievale,  Laterza,  Roma-­‐Bari,  2011,  p.  135.  

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Le  purificazioni  operate  dai  santi  sono  molto  frequenti  nelle  opere  agiografiche  (V-­‐X  s.).  San   Martino   di   Tours   guarisce   e   purifica   un   malato,   offrendo   un   esempio   di   “carità  eroica”.   L’episodio   in   cui   bacia   un   lebbroso   lascia   intravvedere   il   legame   tra   lebbra   e  peccato.     Sottolineiamo   i   passaggi   più   significativi,   facendo   particolare   attenzione  all’azione  salvifica  di  San  Martino:    

Di  là,  entrando  in  fretta  l’uomo  consacrato  a  Dio  per  una  porta  di   Parigi,   incontra   davanti   a   sé   un   lebbroso   che   andava   nella  sua  direzione;  egli  non   l’aveva  mai  visto  né  conosciuto.  Era  un  uomo  screziato  di  macchie,  con  la  pelle  priva  di  peli,  coperta  di  pustole,   che   si   decomponevano  per   la  putrefazione,   sofferente  nell’andatura,   la  vista  debole,  poco  curato  nel  modo  di  vestire,  ottuso   nella   mente,   con   la   bocca   putrida,   col   piede   straziato,  con   la   voce   rauca;   il   pallore   ricopriva   il  misero   con   un   insolito  rivestimento.   Ebbene,   inaspettatamente,   il   santo   lo   bacia   e  abbracciandolo   dà   sollievo   all’uomo   con   copiosa   medicina.  Infatti  appena  il  lebbroso  toccò  con  la  bocca  le  salive  benedette,  il   fardello   di   debolezza   sfugge   al   contatto   apportatore   di  rimedio,  i  lineamenti  distrutti  ritornano,  una  nuova  pelle  riveste  la   sua   figura,   l’aspetto   fisico   torna   alla   luce   con   apparenza  insolita   e   si   rivede   l’immagine   del   volto   da   lungo   tempo  cancellata  (…).    

 Venantius  Honorius  Clementianus  Fortunatus  (530-­‐607),  Vita  di  San  Martino  di  Tours  

                                                     

 San  Martino  bacia  un  lebbroso,  miniatura  Vita  Sancti  Martini  (XIV  secolo)  

     

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Nell’XI   e   XII   secolo   la   lebbra   diventa   sempre   più   un   tema   di   riflessione   teologica,   di  predicazione,  di   rappresentazione   iconografica:  si  moltiplicano   i  personaggi   lebbrosi  sia  nei   testi   sacri   che   in   quelli   profani.   La   lebbra   non   è   più   esclusivamente   allegoria   del  peccato,  ma  si  trasforma  in  un  monito  alla  conversione  e  alla  ricerca  della  salvezza,  per  i  malati   come   per   i   sani.   Occuparsi   dei   lebbrosi   significa   convertirsi   a   Dio   e   rifiutare   le  tentazioni   del  mondo:   i   lebbrosari   diventano  quindi   un  elemento  ordinario   attorno  alle  città  e  ai  borghi.    Il  Concilio  Lateranense  III  (1179)  prescrive  che  i  malati  debbano  stare  in  cappelle  e  cimiteri  appositi.  Non  si  tratta  ancora  di  una  vera  reclusione,  ma  piuttosto  di  un  provvedimento  necessario:  i  lebbrosi  non  possono  mescolarsi  con  le  persone  sane.  A  partire  dalla  fine  del  XII   secolo   lo   statuto   del   lebbroso   è   simile,   per   molti   versi,   a   quello   dell’ecclesiastico:  obbedienza,  abbandono  del  mondo  e  penitenza.  I   lebbrosi  che  raggiungono  i   lebbrosari  “si  convertono”,  coscienti  dell’intervento  di  Dio  nella  loro  vita,  manifestatosi  attraverso  il  segno   della   malattia.   Il   “buon   lebbroso”   è   fatto   a   immagine   di   Lazzaro,   lui   stesso  immagine  di  Cristo.  Il  malato  non  espia  solo  un  peccato  personale,  ma  soffre  per  gli  altri,  anche  per  i  sani.    Sul  piano  morale  e  teologico  la  malattia  assume  dunque  un  doppio  senso:  una  prova  per  i  giusti,  dannazione  o  occasione  di  ammenda  suprema  per  gli  altri.  Tra  la  fine  dell’XI  secolo  e   la   metà   del   XIII   si   fa   lentamente   strada   un’immagine   religiosa   positiva   che   tende   a  sovrapporsi   all’allegoria   drammatica   del   peccato.   Il   lebbroso   diventa   un   intercessore  privilegiato  tra  l’uomo  e  Dio:  il  suo  dolore  permette  al  genere  umano  di  espiare  le  proprie  colpe.    Si   tratta   tuttavia   di   un’accettazione   più   simbolica   che   reale,   infatti   Jacques   Le   Goff  sottolinea  che  “un  numero  considerevole  di  divieti  pesano  sui   lebbrosi,  e  sono  anch’essi  dei  capri  espiatori  in  tempi  di  calamità.  Dopo  la  grande  carestia  del  1315-­‐18,  gli  Ebrei  e  i  lebbrosi   furono   perseguitati   in   tutta   la   Francia   e   sospettati   di   aver   avvelenato   pozzi   e  fontane.  Filippo  V,  degno  figlio  di  Filippo  il  Bello,  fece  istruire  processi  contro  i  lebbrosi  in  tutta  la  Francia  e,  dopo  confessioni  strappate  con  la  tortura,  molti  furono  bruciati”.    Il   1321   contribuisce   infatti   a   diminuire   drasticamente   il   numero   dei  malati:   l’incubo  del  complotto   dei   lebbrosi   che   avvelenano   le   fontane   di   Francia   porta   ad   un’ondata   di  violenza  nei  confronti  dei  sospettati.      In  tutto  il  regno  di  Francia  i  lebbrosi  furono  condannati  e  imprigionati  dal  papa;  molti  furono  mandati   a   morte   sul   rogo,   i   sopravvissuti   furono   reclusi   nelle   loro   abitazioni.   Alcuni  confessarono  di  aver  cospirato  per  uccidere  tutti,  sani,  nobili  e  non,  e  per  avere  il  dominio  del  mondo.  

Chronica  del  monastero  di  Santa  Caterina    Gli  ebrei  allora  avevano  riunito  alcuni  capi  dei  lebbrosi,  e,  con  l’aiuto  del  diavolo  li  avevano  indotti  ad  abiurare  la  fede  e  a  triturare  nelle  pozioni  pestifere  l’ostia  consacrata.  Un  grande  signore  dell’Islam  aveva  ordito  questa  congiura  contro  i  cristiani.      

Genealogia  comitum  Flandrae          

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Quali   motivi   portano   alla   persecuzione   dei   lebbrosi   e   quale   grande   paura   collettiva  emerge  nei  due  testi?  Come  lo  spieghi?    

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 Al  termine  di  questo  percorso  sulla  lebbra  intesa  come  “malattia  del  corpo  e  dell’anima”,  proviamo   a   costruire   insieme   una  mappa   concettuale   in   cui   sia   possibile   avere   un’idea  molto   generale   sull’evoluzione   della   percezione   e   della   rappresentazione   dei   lebbrosi,  tenendo  conto  che  si  tratta  di  un  panorama  interpretativo  molto  complesso.    

 Testi  rielaborati  da:  F.  Bériac,  Histoire  des  lépreux  du  Moyen  Age,  Imago,  Parigi,  1988;  P.Borradori,  Mourir  au  monde,  Cahiers  lausannois  d’histoire  médiévale,  Losanna,  1992;  J.  Le  Goff,  L’immagnario  medievale,  Laterza,  Roma-­‐Bari,  2011;  J.  Le  Goff  e  J.  C.  Schmitt,  Dizionario  storico  dell’Occidente  medievale,  Einaudi,  Torino,  2003.  

 

 

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 I  lebbrosari                                  Allegato  3    In   occasione   del   terzo   Concilio   Laterano   (1179)   sotto   papa   Alessandro   III,   si   decreta   la  segregazione   dei   lebbrosi   dalla   comunità   per   prevenire   qualsiasi   infezione.   Per   far   ciò  occorrono  molti  lebbrosari  e  ciascuno  di  essi  deve  avere  il  suo  sacerdote,  una  cappella  e  un  cimitero  separato.  La  «quarantena»  dei  lebbrosi  deve  essere  completa  e  permanente.  Le  donazioni  ai  lebbrosari,  inoltre,  sono  inserite  tra  le  «opere  pie».    Il  quarto  concilio  Laterano  (1215)  dispone  invece  che  i  lebbrosi  (nonché  gli  Ebrei,  ritenuti  particolarmente  esposti  alla  lebbra)  indossino  speciali  contrassegni  identificativi.      “Il  Concilio  Lateranense   III   (1179)  decise   la   sorte  dei   lebbrosi,  mentre   il   IV   (1215)   segnò  una  svolta  nella  politica  della  Chiesa  nei  confronti  degli  eretici  e  degli  ebrei  (…).  A  partire  dalla  fine  del  XIII  secolo,  l’obbligo  di  portare  segni  distintivi  fu  imposto  anche  ai  lebbrosi,  soprattutto  se  dovevano   lasciare   i   lebbrosari.  Talvolta,   li   si  obbligava  ad   indossare  abiti  lunghi   ed   aderenti.   Sicuramente   queste   ordinanze   avevano   lo   scopo   di   prevenire   il  contagio   ma,   data   l’evidenza   dei   segni   della   malattia,   si   trattava   chiaramente   di   un  marchio  d’esclusione.    Le   ordinanze   relative   all‘obbligo   di   portare   segni   distintivi,   e   tutti   gli   editti   e   norme  relativi   alla   segregazione   spaziale,   alla   liberta   di   movimento   e   di   sedentarietà   erano  promulgati  dalle  amministrazioni  ecclesiastiche  e  laiche.  L’obiettivo  era  sempre  lo  stesso:  innalzare  attorno  ai  fedeli  barriere  protettrici  tangibili.  Al  contempo,  i  medesimi  poteri  si  preoccupavano   di   aumentare   le   distanze   psicologiche   tra   fedeli   ed   emarginati,   e   di  esacerbare  paure  ed  insicurezze”.      

Hanna  Zaremska  Marginali,  in  Dizionario  storico  dell’Occidente  medievale,  pp.  629-­‐643.    

 

Mappa  concettuale:  decreti  e  conseguenze  dei  Concili  del  1179  e  del  1215.    

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I   lebbrosari   non   sono   però   gratuiti:   a   eccezione   di   pochi   lebbrosi   poveri   ai   quali  provvedono  lasciti  di  beneficenza,  la  stragrande  maggioranza  degli  ospiti  deve  pagare  le  «cure»   che   ricevono.   I   lebbrosi,   per   decreto   papale,   perdono   il   diritto   di   ereditare   e  possono  essere  espulsi  per  cattivo  comportamento.  Un  lebbrosario  non  è  solo  un  rifugio  per  i  malati,  ma  anche  un’istituzione  importante  dal  punto  di  vista  economico:  fino  al  XV  secolo  l’amministrazione  di  tutti   i  beni  dei   lebbrosi  spetta   alle   organizzazioni   ecclesiastiche.   La   Chiesa   controlla   gli   istituti   sia   dal   lato  amministrativo   che  da  quello   spirituale.  A  partire   dal  XV   secolo   si   assiste   invece   ad  un  processo  di  laicizzazione  dei  lebbrosari:  le    fonti  concernenti  testimoniano  il  sistematico  passaggio   dal   controllo   ecclesiastico   a   quello   municipale.   Sparisce   così   la   concezione  medievale  di  ospedale.  

 

 Miniatura  tratta  da  La  Franceschina,  codice  del  XV  secolo,  Parigi,  Biblioteca  comunale  Augusta  

 “Gli  esclusi  sono  anche   i  malati,  e  soprattutto  gli   infermi,  gli  storpi.   In  un  mondo  ove   la  malattia  e  l’infermità  sono  ritenute  segni  esteriori  del  peccato,  quelli  che  ne  sono  colpiti  sono   maledetti   da   Dio,   quindi   dagli   uomini.   La   Chiesa   ne   accoglie   alcuni  provvisoriamente  –  il  tempo  del  ricovero  negli  ospedali  è  in  genere  molto  limitato  –  altri  li  nutre   sporadicamente,   nei   giorni   di   festa.     I   rimanenti   hanno   come   uniche   risorse   la  mendicità  e   il  vagabondaggio.  Povero,  malato,  vagabondo,  sono  quasi  sinonimi  fra   loro  nel   Medioevo,   gli   ospedali   sono   spesso   situati   vicino   a   ponti   e   a   valichi,   luoghi   di  passaggio  obbligati  per  gli  erranti”.  

 Jacques  Le  Goff,  La  civiltà  dell’Occidente  medievale,  p.  346.  

 

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  3  

L’aspetto  dei  lebbrosi    Analizziamo   insieme   le   due   immagini   ricercando   i   segni   distintivi   che   il   lebbroso   è  costretto  a  portare.  Riflettiamo  inoltre  sulla  situazione  spaziale  in  cui  si  muove  il  malato,    sul   ruolo  assunto  da  altri  attori  sociali  sulla  scena  (immagine  2)    e  sulle  motivazioni  che  obbligano  i  lebbrosi  a  quotidiane  peregrinazioni.    Al   termine   del   lavoro   di   analisi   sarà   quindi   possibile   completare   lo   schema   alla   pagina  seguente.                                                    

                   

 Vincent  de  Beauvais,  Miroir  territorial  (XIV  secolo)  

               

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Il  lebbroso  e  lo  storpio,  esempi  delle  folle  di  diseredati  del  Medioevo.  Vincent  de  Beauvais  (XIV  secolo)      

 Testi  rielaborati  da:  F.  Bériac,  Histoire  des  lépreux  du  Moyen  Age,  Imago,  Parigi,  1988;  P.Borradori,  Mourir  au  monde,  Cahiers  lausannois  d’histoire  médiévale,  Losanna,  1992;  J.  Le  Goff,  L’immaginario  medievale,  Laterza,  Roma-­‐Bari,  2011;  J.  Le  Goff  e  J.  C.  Schmitt,  Dizionario  storico  dell’Occidente  medievale,  Einaudi,  Torino,  2003.  

Segni  distintivi  e  scopo  del  loro  utilizzo:          Segni  evidenti  del  contagio:          Spazio  in  cui  si  muove  il  lebbroso  e  possibile  motivo  dello  viaggio:          Reazione  dei  “sani”  e  altri  “attori”  sulla  scena  (immagine  2):              

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  1  

L’entrata  nel  lebbrosario  e  l’uscita  dal  mondo  dei  sani                  Allegato  4    La   storica   Françoise   Bériac,   attraverso   un   accurato   lavoro   di   ricerca   sulle   fonti,   ha    ricostruito  la  cerimonia  tipica  nel  basso  Medioevo  (suscettibile  di  variazioni  a  dipendenza  dei  differenti  contesti  geografici)  di  allontanamento  del  lebbrosi  dalla  comunità  dei  sani.      Il  giorno  stabilito,  il  prete,  vestito  con  la  cotta  e  la  stola,  andava  a  casa  del  malato,  che  era  stato   avvisato   precedentemente:   lo   benediva   e   lo   conduceva   in   processione   fino   alla  chiesa  cantando  Libera  me1:    

“Libera   me,   Domine,   de   morte   æterna,   in   die   illa  tremenda,   quando   coeli   movendi   sunt   et   terra.   Dum  veneris   iudicare   sæculum   per   ignem.   Tremens   factus  sum  ego  et   timeo,  dum  discussio  venerit   atque  ventura  ira.  Dies  illa,  dies  iræ,  calamitatis  et  miseriæ,  dies  magna  et  amara  valde.  Requiem  æternam  dona  eis,  Domine:  et  lux  perpetua  luceat  eis”.2  

 Là,  il  lebbroso  si  inginocchiava,  se  possibile  su  un  catafalco3,  e  si  celebrava  una  messa.  In  seguito,   il   malato   si   confessava   un’ultima   volta:   il   prete   lo   benediceva   di   nuovo   e   lo  raccomandava   ai   suoi   parrocchiani.   Tutti   i   presenti   si   radunavano   in   un   corteo   per  accompagnarlo  nella  nuova  dimora,  cantando  Libera  me.  Al  termine  della  processione,  il  prete  esortava  il  malato  a  non  più  peccare:  memorare  novissima  tua4  .  Si  procedeva  infine  ad  una  simulazione  di  inumazione  (anche  se  non  si  è  sicuri  dell’effettiva  frequenza  con  cui  è  stata  praticata  questa  parte  della  cerimonia)  gettando  una  manciata  di   terra  sui  piedi  del  lebborso:  Sis  mortuus  mundo,  vivens  iterum  Deo5.      “Il   terzo   Concilio   Lateranense   del   1179,   autorizzando   la   costruzione   di   cappelle   e   di  cimiteri  dentro   i   lazzaretti,   contribuirà  a   farne  dei  mondi   chiusi,   da  dove   i   lebbrosi  non  possono   uscire   se   non   facendo   il   vuoto   davanti   a   sé   con   il   rumore   della   battola   che  devono   agitare,   così   come  gli   Ebrei   fanno   scostare   da   sé   i   buoni   cristiani  mostrando   il  “segno”.   […]   il   rituale  della  separazione  dei   lebbrosi,   […]  si  generalizzerà  nei  XVI  e  XVII  secolo   mediante   una   cerimonia   in   cui   il   vescovo,   con   gesti   simbolici,   taglia   fuori   il  lebbroso  dalla  società  e  ne  fa  un  morto  sulla  terra  […]”.      

Jacques  Le  Goff,  2003,  in  La  civiltà  dell’Occidente  medievale,  p.  345.      Come  spieghi  la  necessità  di  sottoporre  il  malato  a  questa  cerimonia?    

                                                                                                               1  Canto  della  liturgia  funebre.  2  “Liberami,  o  Signore,  dalla  morte  eterna,   in  quel  giorno   tremendo  quando   la   terra  e   il   cielo  si  muoveranno,  quando  tu  verrai  a  giudicare  il  mondo  con  il  fuoco.  Sono  tremante  pieno  di  timore,  in  considerazione  del  giudizio  che  verrà.  Quel  giorno  è  un  giorno  di  ira,  di  calamità  e  miseria,  un  giorno  molto  triste.  Dona  loro  l'eterno  riposo,  Signore:  li  illumini  la  luce  perpetua”.  3  Il  catafalco  è  un'impalcatura   in   legno  o  altri  materiali,   ricoperta  di  parati,  sulla  quale  si  pone   la  bara  o  un  suo  simulacro  durante  le  cerimonie  funebri  e  le  funzioni  religiose.  4  “Ricordati  dei  tuoi  scopi  ultimi”.  5  “Che  tu  sia  morto  per  il  mondo,  ma  vivente  per  Dio”  .  

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  2  

Infine,   leggeva  al  malato,   in   lingua  volgare,   i  divieti  per  evitare   il  contagio.  Un  testo  del  XVIII  secolo  (De  antiquis  ecclesie  ritibus,  Edmond  Martène,  vol.II,  Anversa,  1736)  riporta  un  regolamento  del  XV  secolo6.  Leggiamolo,  traduciamolo  e  commentiamolo  insieme:    

-­‐ Je te défens que jamais n’entre en Eglise, ou moustier, en foire, en moulin, en

marché, ne en compagnie de gens sains.

-­‐ Je te défens que tu ne voises point hors de ta maison sans ton habite de ladre, afin

qu’on te connaisse, et que tu ne voises point deschaux.

-­‐ Je te défens que jamais tu ne lave tes mains ne autres choses d’entour toy en rivage,

ne en fontaine, ne que tu boives, et se tu veulz de l’eau pour boire, puise en ton

baril et en ton escuelle.

-­‐ Je te défens que tu ne touche à chose que tu marchandes ou achètes, jusqu’à tant

que tu qu’elle soit tienne.

-­‐ Je te défens que tu n’entre point en taverne, si tu veulz du vin, soit que tu l’achettes,

ou qu’on te le donne, fais le entonner en ton baril.

-­‐ Je te défens que tu ne habites à autre femme que la tienne.

-­‐ Je te défens que se tu vas par les chemins, et que tu encontre aucune personne, qui

parla à toy, et qui t’araisonne, que tu ne mette au dessous du vent, avant que ce que

tu répondes.

-­‐ Je te défens que tu ne voise point par estroite ruelle, afin que se tu encontres aucune

personne, qu’il ne puisse pis valoir de toy.

-­‐ Je te défens que se tu passe par aucune passaige, tu ne touche point au ouit ne a la

corde, si tu n’a mis tes gans.

-­‐ Je te défens que tu ne touches à enfants, ne leur donne aucune chose.

-­‐ Je te défens que tu ne boives, ne mangeuses è autre vaisseaux que aux tien.

-­‐ Je te défens le boire et le mangier avec compagnie sinon avec mesaux.

             Testi  rielaborati  da:  F.  Bériac,  Histoire  des  lépreux  du  Moyen  Age,  Imago,  Parigi,  1988;  P.Borradori,  Mourir  au  monde,  Cahiers  lausannois  d’histoire  médiévale,  Losanna,  1992;  J.  Le  Goff  e  J.  C.  Schmitt,  Dizionario  storico  dell’Occidente  medievale,  Einaudi,  Torino,  2003.  

                                                                                                               6  Il  testo  è  tratto  da  Françoise  Bériac,  Les  lépreux  au  Moyen  Age,  pp.193-­‐194.  

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  1  

Le  fonti                                  Allegato  5    I   documenti   su   cui   lavoreremo   nel   corso   delle   prossime   lezioni   sono   stati   tradotti   e  riadattati  attingendo  al  meticoloso  lavoro  di  ricerca  di  Piera  Borradori,  Mourir  au  monde,  pubblicato  nei  Cahiers  lausannois  d’histoire  médiévale  nel  1992.    La   storica   ha   repertoriato   tutti   i   comuni   dell’attuale   canton   Vaud   in   cui   è   attestata,  attraverso  le  fonti,  l’esistenza  di  un  lebbrosario  (maladière).      Il  Canton  Vaud  è  situato  nella  parte  sud-­‐occidentale  della  Svizzera  (Svizzera  romanda)  e    la   capitale   è   Losanna.   Il   Vaud   fece   parte   del   regno   burgundo,   di   quello   franco,   della  Lotaringia,   del   secondo   regno   di   Borgogna   e   del   Sacro   Romano   Impero.   Nel   1011   il  vescovo  di  Losanna  ottenne  dal   re  di  Borgogna   la   "contea  di  Vaud",  ossia   le   regalie1  su  questo   territorio.   Il   casato   dei   Savoia   s’insediò   nel   Vaud   all'inizio   del   XIII   secolo.  Appannaggio  dei  cadetti  dal  1285  al  1359,   il  Paese  di  Vaud  tornò  al   ramo  più  antico  dei  conti,   poi   duchi   di   Savoia,   che   lo   persero   in   parte   con   le   guerre   di   Borgogna   e   poi  interamente   nel   1536.   Il   Vaud   divenne   così   un   Paese   soggetto   di   Berna   (di   Berna   e  Friburgo  nei  baliaggi  comuni  di  Orbe-­‐Echallens  e  Grandson)  fino  alla  rivoluzione  vodese  (1798).  Durante   la  Repubblica  elvetica   formò   il  canton  Lemano  e  nel  1803,  con   l'Atto  di  mediazione,  il  canton  Vaud2.                                                

                                                                                                               1  Nel  Medioevo,  diritto  regale  e  imperiale,  costituito  di  tributi  obbligatori  in  denaro  o  in  natura  che  dovevano  essere  corrisposti  dai  sudditi.  2  Il  testo  è  tratto  da  G.  Coutaz,    Vaud,  in  Dizionario  storico  della  Svizzera.  

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  1  

 Laboratorio  storico                              Allegato  6    Obiettivo   del   lavoro:   ricostruire   la   storia   personale   dei   malati   facendo   luce   sulla   loro  situazione  famigliare  e  sociale.    Sulla   base   di   quanto   appreso   nelle   settimane   scorse,   il   documento   deve   venir  contestualizzato  nell’ambito  più  generale  della   situazione  dei   lebbrosi  nel  Medioevo,   in  particolare  dopo  il  XIII  secolo.      Indicazioni  procedurali    -­‐  Tempo  a  disposizione:  4  ore.    -­‐  Ogni  gruppo  riceve  un  documento  tratto  dal  lavoro  di  ricerca  di  Piera  Borradori,  Mourir  au  monde:    

Gruppo  1:  Losanna  (1396)  -­‐  Jean  Giliet;  

Gruppo  2:  Assens  (1406)  -­‐  Christine  Masseleir;  

Gruppo  3:  Colovray(1423)  -­‐  Guillaume  Quiblet  e  Aymara  Sougay;  

Gruppo  4:  Saint-­‐Prex  (1424)  -­‐  Mermette  Bulliod  con  la  figlia;  

Gruppo  5:  Colovray  (1491)  -­‐  Guillaume  Alliod;  

Gruppo  6:  a)  Constantine  (1541)  -­‐  rapporto  del  medico  Claude  Chastellet;    

b)   Yverdon   (1520)   -­‐   rifiuto   da   parte   di   alcuni   appestati   di   accogliere   una  

lebbrosa.    

 -­‐ Lettura     individuale   e   discussione   preliminare   (concetti-­‐chiave,   ricostruzione   del  

“caso”)  all’interno  del  gruppo.  Organizzazione   dell’indagine   con   l’ausilio   della   tabella   allegata   e   ricostruzione            metodica  del  caso  in  esame.    Connessioni  con  eventuali  documenti  visti  in  classe  in  classe.    

 -­‐ Preparazione  di  una  presentazione  orale   (15  minuti)  e  di  una  mappa  concettuale  da  

presentare   ai   compagni   (possibilità   di   redigere   una   scheda   o   una   presentazione    power-­‐point).      

 -­‐ Presentazioni   orali   e   presa   di   appunti   da   parte   degli   compagni   uditori.   Attenzione:  

ogni   membro   del   gruppo   deve   esporre   oralmente   almeno   un   ambito   dell’analisi  effettuata  sul  documento.      

 

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  1  

Allegato  7        Documento  1  

 Losanna,  1396-­‐1400  

 L’ufficiale  della  corte  di  Losanna  al  curato  o  al  vice-­‐vicario    di  Saint-­‐Laurent  o  a  colui  che  sarà   implicato,   vi   saluto   nel   nome   del   Signore.   Ci   è   stato   esposto,   da   parte   dei  parrocchiani   della   parrocchia   di   Santa   Croce   di   Losanna,   così   come   da   parte   del   loro  curato  della   curia  di  Santa  Croce,   che   Jean  Giliet  di  Cors  1  sotto  Losanna,  appartenente  alla   parrocchia   di     Santa   Croce   (…)   era   sospettato   di   lebbra,   infatti     si   stavano  diffondendo     il   sospetto   e   le   voci   (suspectum  quodque   vox)   nella   città   di   Losanna   e   nei  luoghi   vicini,   che   Jean   Giliet   fosse   corrotto   e   infettato   dalla   lebbra   (corruptum   et  infectum).   Per   questo,   se   lo   stesso   Jean   avesse   frequentato   persone   sane,   queste  avrebbero   potuto   essere   infettate   dalla   stessa  malattia,   e   ciò   sarebbe   stata   una   grave  perdita   per   la   comunità.   Per   questo  motivo,   gli   stessi   parrocchiani   e   il   curato   di   Santa  Croce,   ci   hanno   umilmente   supplicato   di   dichiarare   che   Jean   Giliet     era   un   lebbroso,  infettato  e   corrotto  dal  male  della   lebbra  e   che,   inoltre,  bisognava   separare   Jean  Giliet  dalla   comunità   dei   sani   e   che   noi   potevamo   costringerlo   per   legge,   dichiarando  comunque   di   vegliare   affinché   per   le   cose   scritte   sotto   si   trovasse   la   soluzione  conveniente:  Jean  Giliet  fu  citato  in  nostra  presenza,  davanti  al  nostro  ufficio,  all’ora  e  al  giorno  indicati,    ed  egli  disse  che  voleva  comparire  (…)  a  proposito  delle  accuse  esposte  dai  parrocchiani  e  del  curato  di  Santa  Croce.    E  noi   (…)  volendo  procedere  dopo  un’accurata  riflessione  ma  con  una  procedura  rapida  (in   premissis   mature   et   summarie   tamen   procedere   volentes)   a   proposito   delle   accuse  esposte  sopra  e  per  cui  sarebbe  stato  esaminato,  abbiamo  affidato  Jean  Giliet  al  maestro  (magistro)  Pierre  di  Saint-­‐Amour,  licenziato  in  medicina,  rettore  delle  scuole  di  Losanna,  e     a   Perrod,   barbiere   di   Losanna,   che   sono   i   giurati   affiancati   alla   nostra   corte   per  indagare  le  malattie  di  questo  genere  (…).    Compiuto   l’esame   con   accuratezza,   ciò   che   sarebbe   stato   scoperto   avrebbe   dovuto  esserci  comunicato  in  maniera  veritiera  (viridice  referendum).  I  commissari  esaminarono  e  indagarono  se  il  suddetto  Jean  Giliet  fosse  infettato  o  corrotto  dalla  malattia  della  lebbra  (…).  Dopo  aver   ricevuto   il   rapporto  del  maestro  Pierre  e  dal  barbiere  Perrod,  cioè  dopo  che   il   suddetto     è   stato   esaminato   e   ispezionato  minuziosamente   dal   nostro  maestro  Pierre,     secondo   gli   usi   che   si   praticano   per   queste   malattie,   secondo   l’arte   della  medicina,  si  è  rivelato  che  Jean  era  lebbroso  e    affetto  e  corrotto  dalla  lebbra  (…).                    

                                                                                                               1  Cours,  quartiere  di  Losanna.  

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     Documento  2  

   

Assens,  18  settembre  1406    

L’ufficiale   della   corte   di   Losanna   al   curato   o   vicario   di   Assens,   vi   saluto   nel   nome   del  Signore.   Siccome   Christine,   moglie   di   Jean   Massaleir,   di   Assens,   sarebbe   fortemente  stata   sospettata  di   lebbra  dagli   abitanti  di  Assens,  alcuni  abitanti  di  questo   luogo  sono  comparsi  davanti  a  noi  e  reclamano,  a  loro  nome  e  in  nome  degli  assenti,  e  domandano,  che   noi   ricerchiamo   la   verità   a   proposito   della   malattia   della   lebbra;   siccome   lei  (Christine)  è  così  debole  che  non  potrebbe  in    nessun  modo  essere  condotta  alla  nostra  presenza,  e  poiché  questa  malattia  deve  essere  dichiarata,  volendo  essere  dovutamente  informati  sulle  cose  sopra  dette,  abbiamo  affidato  un  esame  del  corpo  di  Christine  e  della  sua   malattia   a   Perrod   Cottier   e   Jean   Lieu,   barbiere   losannese.   Questi,   dopo   aver  diligentemente  effettuato  un  esame  delle  zone  del  corpo,  attraverso  esperimenti  diversi  (examinacione  per  diversa   loca  sui  corporis,  mediantibus  pluribus  et  diversis  experimentis),  avendo  prestato  giuramento  davanti  a  noi  sui  santi  vangeli  di  Dio,  hanno  confermato  che  Christine   era   infetta   dalla   lebbra   e   che   andava   separata   dalla   comunità   dei   sani.   Per  questo  noi  (…)  abbiamo  dichiarato  Christine,  e  noi  la  dichiariamo  e  affermiamo  che  lei  è  ed  era  lebbrosa  e  infetta  dalla   lebbra  e  che  bisognerà  separarla  dalla  comunità  dei  sani.  Per  questa  ragione,  vi  incarichiamo  di  annunciare  pubblicamente  che  Christine  è  lebbrosa  e  infetta  dalla  lebbra  e  che  bisogna  separarla  e  cacciarla  dalla  compagnia  dei  sani  (…).                                                  

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     Documento  3  

     

Colovray,  28  febbraio  1423    

Noi,  Henri  Favre,  licenziato  in  diritto,  baccelliere  in  diritto  canonico,  cavaliere  della  chiesa  di  Lione,  ufficiale  di  Ginevra,  noi  salutiamo  nel  nome  del  Signore   i  cappellani  di  Nyon  e  tutti  gli  altri.  Siccome  Guillaume  Quiblet  e  Aymara,  moglie  di  Raymond  Sougay,  di  Nyon,  erano  incolpati  di  lebbra  e  a  causa  di  ciò  dovevano  essere  scartati  dalla  comunità  dei  sani  dal   sindaco   della   città   di   Nyon   e   dovevano   essere   alloggiati   e   reclusi   nei   luoghi   del  lebbrosario   (…)   e   siccome   vogliamo   essere   informati   in   modo   veritiero,   abbiamo  commissionato   una   visita   e   un   esame   di   Guillaume   e   Aymara   agli   onorevoli   maestri  Nicolas   de   Metz,   chirurgo,   Antoine   Michael   e   Pierre   Chapelleri,   barbieri   ed   esperti  dell’arte  della  chirurgia,  per  esaminarli  e  per  sapere  se  Guillaume  e  Aymara  erano  infetti.  Questi  (…)  hanno  visitato  Guillaume  e  Aymara  (…)  e  in  seguito  alla  visita  ed  esame,  dopo  aver   giurato   toccando   i   santi   Vangeli   di   Dio,   ci   comunicarono   di   aver   scoperto   che  Guillaume  e    Aymara  erano  infetti  dal  male  della  lebbra.  A   causa   di   ciò   e   con   le   presenti   lettere,   noi   decidiamo   e   dichiariamo   che   Guillaume   e  Aymara  devono  essere  separati  dalla  compagnia  dei  sani  ed  essere  spediti  nel  lebbrosario  di  Colovray.  Ordiniamo,  per  questa  ragione,  a  voi  cappellani  di  Nyon  e  a  tutti  coloro  che  sono   implicati   con  questa  decisione,   pena   la   scomunica  di   cui   vi  minacciamo   in  questa  lettera  se  non  obbedite  ai  nostri  ordini  (…)  di  spedire  senza  ritardare  Guilaume  e  Aymara  come   lebbrosi   e   infettati   dalla   lebbra   nel   lebbrosario   di   Colovray,   con   la   croce,   lo  stendardo   e   l’acqua   benedetta,   secondo   il   costume.   Là,   si   farà   loro   sincerità   carità   nel  Signore  Dio  (…)  e  si  vieterà  a  Guillaume  e  Aymara  di  frequentare  da  quel    momento  i  sani  (…).                                        

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     Documento  4        

Saint-­‐Prex,  10  agosto  1424      

Io,  Mermette,   figlia   di   Etiennet   Estoenarez   di   Saint-­‐Prex   e  moglie   di   Jaquier   Bulliod   di  Etoy,  comunico  a  tutti  i  presenti  e  futuri  che  io,  senza  costrizioni  di  sorta,  stratagemma  o  minaccia,   né   ingannata   da   qualche   manovra   fraudolenta,   al   contrario,   con   completa  cognizione  di   causa,  di  mia  volontà,   totalmente   informata  dei  miei  diritti   e   soprattutto  con   l’accordo,   l’autorità,   la   volontà   e   l’acconsentimento   espresso   da   suddetto   Jaquier,  mio  sposo,  ho  donato,  dono,  ho  ceduto  e  cedo,  concedo  e  riconosco,  nel  mio  nome  e  in  quello  dei  miei  eredi,  di  aver  donato,  ceduto  e  concesso  nella  sostanza  di  una  donazione  perpetua   totale  e   irrevocabile,   che  deve  essere  compiuta   tra  vivi   (inter  vivos   facta),   che  non  può  essere  revocata  in  nessun  modo,  al  lebbrosario  di  Saint-­‐Prex  e  ai  lebbrosi  che  vi  risiederanno  in  futuro,  così  come  al  curato  della  chiesa  parrocchiale  di  Saint-­‐Prex,  che  era  presente  e  stipulava  in  favore  e  per  il  bene  del  lebbrosario  e  dei  lebbrosi  che  vi  risiedono,  il  ricavato  di  un  taglio  di  buon  frumento,  coltivato  nel  modo  consueto  dai  contadini  (…),  che  deve  essere  pagato  ogni  anno  alla  festa  di  San  Michele  da  me,  Mermette,  e  dai  miei  eredi,  ai   lebbrosi  che  in  futuro    risiederanno  nel   lebbrosario  o  nella  chiesa  di  Saint-­‐Prex,  nel  caso  in  cui  nessun  lebbroso  risieda  nel  lazzaretto  (maladiera).  Ho  fatto  questo  dono,  affermo,  a  condizione  che  il  suddetto  curato  di  Saint-­‐Prex  sia  tenuto  –  e  l’ha  promesso!  –  con  l’accordo  di  Nicod  Escavanes  e  Thobie  Bullienchy,  rettori  del  comune  di  Saint-­‐Prex  e  anche   con   l’accordo   di   Philippe   Costini,   Girard   Bevat,   Antoine   Bullienchy   e   molti   altri  uomini  onesti  del  comune,  di  ricevere  me,  Mermette,  così  come  mia  figlia,  affette  tutte  e  due  dalla   lebbra  di  accoglierci  e  alloggiarci  nel   lebbrosario  di  Saint-­‐Prex.  Ho  assegnato,  assegno,  pongo  e  destino  il  ricavato  del  raccolto  di  frumento  in  favore  dei  lebbrosi  o  del  curato  (…),  cioè  i  guadagni  derivanti  da  una  parte  di  prato  di  una  superficie  falciata  che  mi  appartiene,  che  si  trova  sul  territorio  di  Saint-­‐Prex,  in  località  En  Crascha  (…).    Io,   Mermette,   prometto   anche   in   nome   dei   miei   eredi,   attraverso   un   giuramento   e   il  pegno  di  tutti  i  miei  beni,  di  pagare  il  suddetto  raccolto  di  frumento  ogni  anno  alla  data  fissata  (…)  e  di  garantire  il  rimborso  degli  interessi.  Questa  donazione  e  tutte  le  altre  cose  formulate  in  questa  lettera,  io  e  il  sopranominato  Jaquerius  Bulliod  (…)  le  riconosciamo  e  ratifichiamo,  e  noi,  sopradetti  sposi,  giuriamo  sui  santi  Vangeli  di  Dio  di  non  opporci  mai  a  quanto  promesso  e  scritto  (…).                    

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     Documento  5      

Colovray,  19  giugno  1491    Lettere   testimonianti   del   venerabile   Antoine   Goncerrut,   cappellano,   rettore   del  lebbrosario   di   Colovray.   Nell’anno   del   Signore   1491   (…).   In   mia   presenza,   io,   notaio  designato,  e   in  presenza  dei   testimoni  citati  più   in  basso,  a  Colovray,  davanti  alla  croce  che  si  trova  a  est  (a  parte  boree),  sotto  le  tactas2  di  Boyron,  in  presenza  e  con  il  consenso  di  un  gran  numero  di  borghesi  della  città  di  Nyon,  il  venerabile  Antoine  Goncerrut  (…)  ha  ricevuto  Guillaume  Alliod  come  lebbroso,  con  e  sotto  (cum  et  sub)  i  diritti,   i  privilegi  e  le  libertà  di  cui  beneficiano  e  approfittano  abitualmente  e  hanno  approfittato  fino  a  oggi  gli  altri  lebbrosi  del  lazzaretto.  Infatti,  in  questo  luogo  Guillaume  ha  giurato  in  ginocchio,  sui  santi  Vangeli  di  Dio,  nelle  mani  del  suddetto  Antoine  in  qualità  di  rettore,  di  essere  fedele  e  obbediente  al  rettore  e  ai  suoi  successori  nel  lebbrosario.    Ha  pure  giurato  di  mettere  a  disposizione  del  rettore    e  di  tutti  gli  altri  lebbrosi  le  offerte  che  riceverà  all’interno  dei  confini  del  lebbrosario  e  di  depositare  fedelmente  i  soldi  delle  offerte  nella   cassa   comune  del   lebbrosario.  Ha  giurato  di   non  uscire  dalle   frontiere  del  lebbrosario   (a   confinibus   dicte  maladerie   exire)   se   non   con   il   permesso  del   rettore   e  dei  suoi   successori,   e   in   generale   di   fare   tutte   le   altre   cose   che   i   lebbrosi   sono   tenuti   a  compiere   e   che   praticano   nel   lebbrosario.   In   testimonianza   di   ciò,   Antoine   (…)   fece  redigere   a   me,   notaio   designato,   queste   lettere   testimonianze,   datate   come   scritto  sopra,  in  presenza  dell’onesto  François  Ruffy,  rettore  delle  scuole  di  Nyon,  Jean  Perruys,  borghese  di  Nyon,  e  molti  altri  testimoni  degni  di  fiducia  (…).                                          

                                                                                                               2  Si  tratta  dell’attuale  quartiere  Tattes  a  Colovray.  

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     Documento  6    

 Constantine,  18  settembre  1541  

 Attestazione  di  lebbrosi.  Nell’anno  del  Signore  1541,  il  18  settembre.  Comunico  che  io,  Claude  Chastellet,  medico,  inviato   dall’illustrissimo   principe,   il   signore   Charles   di   Savoia,   duca   etc.,   per   visitare   e  palpare   i   lebbrosi   attraverso   il   paese   (ad   visitandum   leprosos   et   palpandum   per   totam  patriam),  come  lo  provano  i  decreti  (ut  constat  litteris  patentibus),  io  medico  suddetto,  ho  visitato  e  palpato  nella  parrocchia  di  Constantine  (…)  e  ho  constatato  lebbrosi,  prima  di  tutto  perché  portano  i  segni  delle  quattro  lebbre,  leonino,  tyire,  alopetie  et  elephantie,  poi  a  causa  della  perdita  delle  sopracciglia,  dei  loro  gonfiori  e  rotondità  (grossitie  eorum  atque  rotonditate  eorum),  delle  ulcere  interne  delle  difficoltà  respiratorie:  è  come  se  parlassero  dal   naso.   Il   loro   colore   è   pallido,   cadaverico   (mortifficatus)   e   giallastro,   il   loro   viso   è  terribile  con  le  sue  tinte  giallastre  e  brunastre,  con  le  palpebre  e  le  orecchie  consumate,  così  come  il  muscolo  che  si  trova  tra  il  pollice  e  l’indice,  nei  piedi  come  nelle  mani.  Inoltre,  ho   notato   che   le   labbra   sono   gonfie   e   tuberose,   i   loro   occhi   sono   rossi   e   le   palpebre  rovesciate  (inversantur).  Questi  sono  segni  manifesti  che  attestano  che  i  pazienti  devono  essere  separati  dalla  popolazione.  Oltre    a  ciò,  hanno  numerose  nodosità  in  tutto  il  corpo.  Per  me,  commissario,  i  segni  che  si  vedono  sul  viso,  come  le  pustole,  le  escrescenze  del  corpo   e   le   macchi   cutanee,   così   come   gli   altri   segni,   sono   sufficienti.   Io,   medico,   ho  firmato  queste  lettere  testimoniali  e  confermo  la  verità  delle  cose  citate  più  in  alto,  etc.  Claude  Chastellet,  medico.        

   

 Documento  7  

   

Yverdon,  5  aprile  1520    

Giovedì  suddetto,  il  consiglio  ha  pagato  tre  soldi  e  sei  denari  Pierre  Gendroz,  carpentiere  di   Yverdon,   per   una   giornata   di   lavoro,   compiuta   il   giorno   stesso,   per   terminare   una  casetta  destinata  ad  accogliere   la   lebbrosa  d’Yverdon,  poiché  coloro  che  sono  malati  di  peste  non  vogliono  più  vivere  con  lei,  a  causa  della  sua  malattia  (propter  suum  malum).  E  questo  avviene  su  ordine  del  consiglio.    

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 Analisi  delle  fonti  –  schede  per  gli  appunti                      Allegato  8    Doc.  1:  Alice,  Patrizio,  Etienne,  Theo;  Doc.  2:  Nadine,  Aurelio,  Matteo  S.,  Yannick;  Doc.  3:  Manuela,  Lia,  Nico,  Christopher;  Doc.  4:  Laura,  Raffaele,  Matteo  P.,  Kirill;  Doc.  5:  Estrella,  Matteo  B.,  Pablo;  Doc.  6  e  7:  Anna,  Julien,  Sacha.      

         

 Presentazione  del  documento  1    Data:  

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 Presentazione  del  documento  5    Data:  

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 Gli  emarginati  nell’Occidente  medievale         Allegato  9  

 Testo  di  Jacques  Le  Goff,  tratto  da  Il  meraviglioso  e  il  quotidiano  nell’Occidente  medievale,  Roma-­‐Bari,  Laterza,  1983.    

[…]  È  importante  che  si  studino  gli  emarginati  in  maniera  storica,  ossia  dinamica.  Si  tratta  di   individuare   e   di   analizzare   dei   processi   piuttosto   che   degli   stati.   La   realtà   storica   è  costituita  da  fenomeni  di  emarginazione  che  possono  portare  tanto  all’esclusione  quanto  al  recupero  o  reintegrazione  (quello  che  certi  etnologi  e  sociologi  chiamano  paginazione:  il  ritorno   dei   margini   verso   il   centro   della   pagina).   La   marginalità   è   una   condizione  instabile,  fragile,  in  genere  effimera  […].  

 

1. Tipologia  della  marginalità  

Benché   non   ci   siano   frontiere   precise   fra   le   categorie   sopra   indicate,   e   i   processi   di  emarginazione  consentano  agli  individui  e  ai  gruppi  di  passare  da  una  categoria  all’altra,  si  possono  tuttavia  distinguere:  

a) gli   esclusi   o   destinati   all’esclusione:   sono   i   criminali   (ladri   e   banditi,   fures   e  latrones),  gli  erranti,  gli  stranieri,  le  prostitute,  i  suicidi1,  gli  eretici;  

b) i   disprezzati:   i   mestieri   “disonesti” 2  come   quelli   di   macellaio,   di   tintore,   di  mercenario,  ecc.,  i  malati,  gli  infermi  e  i  poveri,  le  donne3,  i  bambini4,  i  vecchi,  i  bastardi;  

c) gli   emarginati   propriamente   detti:   i   declassati   (per   esempio   i   cavalieri   poveri),   i  folli,  i  mendicanti,  gli  usurai  (molto  prossimi,  questi  ultimi,  alla  categoria  degli  esclusi);  

d) gli  emarginati   immaginari:   le  meraviglie  geografiche5,   i  mostri   (definiti  da  Bruno  Roy,  Aspects  de  la  marginalité  au  Moyen  Age,  p.  71,  come  gli  extra-­‐terrestri  del  Medioevo),  l’uomo  selvaggio6.    

       

                                                                                                               1  J.  Cl.  Schmitt,  Le  suicide  au  Moyen  Age,  «  Annales  E.S.C  »,  1976,  pp.  3-­‐28.    2  Cfr.  J.  Lestocquoy,  Inhonesta  mercimonia,  in  Mélanges  Louis  Halphen,  1951,  pp.  411-­‐5,  e  J.  Le  Goff,  Métiers  licites  et  métiers  illicites  dans  l’Occident  médiéval,  «  Et.  Historiques  »,  Ann.  De  l’Ecole  des  Hautes  Etudes  de  Gand  V,  pp.  41-­‐57  [trad  it.  in  Tempo  della  Chiesa  e  tempo  del  mercante  cit.,  pp.  53-­‐71].    3  Si  veda,  infine,  la  pubblicazione  nei  «  Cahiers  de  Civilisation  médiévale  »,  1977,  pp.  93-­‐263,  degli  atti  del  simposio  su  La  femme  dans  les  civilisations  du  XIe  au  XIIIe  siècle,  Poitiers  1976,  con,  in  conclusione,  una  critica  femminista  del  simposio.    4  Ph.  Ariès,  L’enfant  et  la  vie  familiale  sous  l’ancien  régime,  Paris  1960,  nuova  ed.  1973  [trad.  it.  Padri  e  figli  nell’Europa  medievale  e  moderna,  Laterza,  Roma-­‐Bari  1976];  Enfants  et  sociétés,  numero  speciale  delle  “Annales  de  Démographie  Historique”,  1973;  The  History  of  Childhood,  a  cura  di  Lloyd  de  Mause,  New  York  1974.    5  Cfr.  J.  Le  Goff,  L’Occident  médiéval  et  l’océan  Indien.  Un  horizon  onirique,  in  Mediterraneo  e  Oceano  Indiano,  Atti  del  VI  Colloquio  Internazionale  di  Storia  Marittima,  Firenze  1970,  pp.  243-­‐63  [trad.  in  it.  Tempo  della  Chiesa  e  tempo  del  mercante,  cit.,  pp.  257-­‐77].    6  Cfr.  R.  Bernheimer,  Wild  Men  in  the  Middle  Ages,  Cambridge  1952.    

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 2. Le  basi  ideologiche  della  marginalità  

In  generale   si   tratta  di   controllare  o  di  escludere  quelli   che  sembrano   rappresentare  un  pericolo  per  la  “comunità  sacra”7.    

Questa  comunità,  nonostante  i  movimenti  missionari,  è  una  cristianità  chiusa.  Essa  vive  in   un   clima   di   insicurezza   materiale   e   mentale   che   mira   alla   semplice   riproduzione8  e  sospetta   di   tutti   quelli   che,   consciamente   o   inconsciamente,   sembrano   minacciare  questo   fragile   equilibrio.   Tale   insicurezza   genera   un   modo   di   pensare   manicheo   che  annulla   tutte   le   sfumature,   i  grigi,   e   condanna   le  posizioni   intermedie,  producendo  alla  fine  un  autoritarismo  che  sacralizza  le  autorità  (auctoritates)  e  un  senso  gerarchico  che  di  ogni  tentativo  di  sfuggire  alle  situazioni  fissate  dalla  nascita  fa  un  peccato  contro  l’ordine  voluto   da  Dio.    Negli   emarginati   è   all’opera   il   nemico   del   genere   umano,   il   Diavolo.   In  caso   d’imprudenza   o   di   sciagura,   una   parte   notevole   della   società   scivola   verso   la  marginalità:  la  mendicità,  il  vagabondaggio  o  il  crimine.  La  società  medievale,  per  le  sue  strutture  economiche,  sociali  e  ideologiche,  è  grande  produttrice  di  emarginati.    

Questa   paura   di   individui   o   di   gruppi   pericolosi   si   cristallizzava   intorno   ad   alcune  ossessioni:  

a) la  religione,  che  dilatava  il  campo  dell’eresia  e  faceva  degli  eretici  gli  emarginati  e  più  ancora  gli  esclusi  per  eccellenza;  

b) la  malattia   e   il   corpo,   luogo  di   incarnazione  del   peccato;   tutto   questo   trasforma  automaticamente  gli   infermi  e   i  malati   in  poveri,   fa  dei   lebbrosi   le   immagini  viventi  del  peccato,  porta  a  condannare  severamente  le  prostitute9;  

c) l’identità,  donde  la  fobia  degli  ebrei  e  degli  stranieri;  d) il  rifiuto  di  quanto  appare  contro  natura:  sodomiti,  mostri;    e) il   bisogno   di   stabilità   fisica   e   sociale.   Di   qui   la   condanna   dei   vagabondi,   degli  

erranti,  delle  persone  senza  arte  né  parte,  degli  individui  senza  fissa  dimora10,  come  pure  degli  instabili  sociali,  dei  declassati  e  dei  decaduti;  

f) il   lavoro   che,   dopo   essere   stato   disprezzato   come   conseguenza   del   peccato  originale,  viene  riabilitato,  diviene  uno  dei  valori  di  una  società  che  si  sta  lanciando  nella  crescita   economica   e   in   cui,   a   partire   dal   XIII   secolo,   le   espressioni   di   ozioso   e   di  mendicante   valido   diventano   etichette   ingiuriose   affibbiate   a   certi   emarginati.   Da  quest’ultimo  esempio  si  vede  come  vi   sia  una  congiuntura  della  marginalità  medievale:  incremento   o   decremento   del   numero   dei   poveri   e   dei   mendicanti,   preponderanza  episodica  di  questo  o  quel  tipo  di  emarginati,  mutamento  dei  criteri  di  marginalità  e  dei  processi  di  emarginazione.    

Un   importante   movimento   nel   senso   del   recupero   si   può   osservare   nel   XIII   secolo   a  proposito   dei   mestieri   leciti   e   illeciti.   Questi   ultimi   rivelano   qualcuno   dei   tabu  fondamentali  della  società  medievale:  quello  del  sangue  (che  emargina  anche  i  soldati),  

                                                                                                               7  Cfr.  G.  Van  Der  Leeuw,  La  Religion  dans  son  essence  et  ses  manifestations,  ed.  fr.,  Paris  1970,  pp.  237  sgg.    8  Cfr.  G.  Bois,  Crise  du  féodalisme.  Economie  rurale  et  démographie  en  Normandie  orientale  du  début  du  XIVe  siècle  au  milieu  du  XVIe  siècle,  Paris  1976.    9  Cfr.  M.  C.  Pouchelle,  Représentations  du  corps  dans  la  «  Légende  dorée  »,    «  Ethnologie  française  »,  1976,  pp.  293-­‐308.    10  B.  Gemerek,  Les  marginaux  parisiens,  cit.,  p.  311.  

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quello   del   denaro   (che   affossa   l’usuraio),   quello   della   sporcizia   (sogno   di   impurità)   che  condanna  i  folloni,  i  tintori,  i  cuochi,  i  lavandai.    

Ma,   a   partire   dalla   seconda   metà   del   XII   secolo   si   delinea   una   movimento   –   che   ben  presto  si  allarga  -­‐,  il  quale  giustifica  e  poi  riabilita  un  gran  numero  di  mestieri  fino  a  quel  momento   disonesti11.   Contemporaneamente   l’aldilà   accoglie   un   numero   crescente   di  emarginati.  Se  gli  esclusi   sono  probabilmente  clienti  dell’inferno,   il  purgatorio  che   fa   la  sua  solenne  comparsa  nel  XIII   secolo  è  un  grande  recuperatore  di  emarginati,  compresi  gli  usurai12.    

 

3. I  processi  di  emarginazione  e  di  esclusione  

I  processi  che  danno   luogo  ad  etichette,  a  segni,  a  gesti,  a   rituali  e  cerimonie  non  sono  stati  studiati  a  sufficienza.    

a) Le  etichette  

Sono   abbastanza   ben   conosciute   le   qualifiche   di   segregazione   o   peggiorative   imposte  agli  eretici13.  Sarebbe   interessante  uno  studio  preciso  dei  nomi  di  animali  attribuiti   agli  emarginati   e   agli   esclusi   (per   gli   eretici,   ad   esempio,   volpe,   lupo,   serpente,   scimmia,  ragno).  

B.   Gemerek,   studiando   le   ingiurie   rivolte   agli   emarginati   nella   Francia   del   XV   secolo,  elenca   “vizioso”,   “mascalzone”,   “ruffiano”,   “pezzente”,   “ladro”,   “vagabondo”,  “delinquente”,  “pappone”  e,  per  le  donne  “ribalda”,  “vagabonda”,  “viziosa”,  “puttana”14.    

b) I  segni  

I  segni  distintivi  possono  essere  sia  segni  di  protesta  e  di  provocazione  volontariamente  messi  in  mostra  dagli  stessi  emarginati,  oppure  segni    non  voluti,  segni  infamanti  imposti  agli  emarginati  e  agli  esclusi.    

Fra   i   prima   vanno   ricordati   i   vestiti   larghi   o   magari   miserabili   e   cenciosi.   Un   ordine  mendicante,   soppresso   dal   II   concilio   di   Lione   nel   1274,   sarà   chiamato   correntemente  ordine  dei   sacchetti   (saccati)  per   l’abito  a   forma  di   sacco  che  essi   indossavano15.  E  poi,  altro  segno,  i  capelli  lunghi  e  la  barba16.    

Fra  i  segni  segregativi  o  infamanti  sono  noti  la  rotella,  imposta  agli  ebrei,  la  raganella  per  i  lebbrosi,  ecc.  A  certi  eretici  pentiti  –  per  esempio  ai  valdesi  nel  XIV  secolo  –  si  imponeva  di  portare  due  croci,  una  davanti  e  l’altra  dietro17.    

                                                                                                               11  Cfr.  J.  Le  Goff,  Métiers  licites  et  métiers  illicites,  cit.  12  Cfr.  J.  Le  Goff,  L’usurier  et  le  purgatoire,  in  The  Dawn  of  Banking,  Atti  del  Colloquio  di  Los  Angeles,  1977.    13  Cfr.  J.  Le  Goff,  Comment  devenait-­‐on  hérétique  dans  l’Occident  médéval  ?  Les  processus  d’exclusion,  in  Non  conformisme  et  modernité  en  France  du  Moyen  Age  à  nos  jours,  Atti  del  colloquio  di  Haifa,  1978.    14  B.  Gemerek,  Les  marginaux  parisiens,  cit.,  pp.  306  sg.    15  Cfr.  B.  Van  Luijk,  Gli  eremiti  neri  nel  Dugento,  Pisa  1968.  Un  giovane  storico  ungherese,  M.  Klaniczai,  prepara  uno  studio  su  Eresia  e  abbigliamento  nel  Medioevo.    16  Cfr.  H.  Platelle,  Le  problème  du  scandale  :  les  nouvelles  modes  masculines  aux  XIe-­‐XIIe  siècles,  «  Revue  Belge  de  Philologie  et  d’histoire  »,  LIII/4,  1975,  pp.  1071-­‐96.  17  Cfr.  G.  Mollat,  Introduzione  a  Bernard  Gui,  Manuel  de  l’Inquisiteur,  vol.  I,  Paris  1926,  pp.  LIV-­‐LV.    

Storia  2013-­‐2014  ⏐classe  I     gp  

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c) I  gesti  

Quelli  degli  emarginati  –  e  in  particolare  degli  eretici  –  sono  spiati  e  notati  con  cura  dagli  agenti  dell’ideologia  ufficiale.  I  manuali  per  gli  inquisitori  e  i  processi  di  inquisizione  fanno  una  lista  dettagliata  dei  gesti  di  preghiera,  di  saluto,  ecc.,  praticati  dagli  eretici18.  Esiste  tutta   una   gestualità   dell’eretico,   del   ladro,   del   mendicante,   dell’uomo   selvaggio,   della  donna,  che  costituisce  un  mezzo  per  individuarli  e  isolarli.    

d) I  rituali  e  le  cerimoni  

Le  esposizione  e   le  esecuzioni  di   criminali   danno   luogo  a   cerimonie   che   rappresentano  uno   dei   torbidi   piaceri   della   società   medievale.   La   condanna   o   la   riconciliazione   degli  eretici  dà  altresì  luogo  a  precisi  rituali  di  esclusione.  

 In  certi  casi  le  punizioni  inflitte  agli  emarginati  simbolizzano  in  particolare  l’esclusione  di  cui  essi  sono  oggetto:  eretici  che  vengono  murati  vivi,   lebbrosi  che  vengono  rinchiusi   in  tombe.    

 

Conclusione  

Michel  Mollat,   sottolineando   la   “contraddizione   interna”  della   carità  medievale,   cita  un  passo  della  Vita   di   sant’Eligio   in   cui   si   dice:   “Dio   avrebbe  potuto   creare   tutti   gli   uomini  ricchi,   ma   ha   voluto   che   nel  mondo   ci   fossero   anche   i   poveri,   per   offrire   ai   ricchi   una  occasione  di  riscattarsi  delle  loro  colpe”19.    

In  una  società  combattuta  fra  la  paura  della  contaminazione  ideologica  e  l’esitazione  ad  escludere  coloro  che  potrebbero  concorrere  contraddittoriamente  alla  salvezza  dei  pur,  quello   che   prevale   è   un   atteggiamento   ambiguo   nei   confronti   degli   emarginati.   La  cristianità  medievale   “sembra   detestarli   e   ammirarli   ad   un   tempo,   ne   ha   paura   in   una  mescolanza  di  attrazione  e  di  terrore.  Li  tiene  a  distanza,  ma  fissa  questa  distanza  a  un  livello  abbastanza  vicino  tanto  da  averli  alla  propria  portata.  Quella  che  chiama  carità  nei  loro   confronti   somiglia   molto   al   comportamento   del   gatto   che   gioca   col   topo.   Così   i  lebbrosari,  che  devono  essere  situati  a  un  “tiro  di  pietra  dalla  città”,  in  modo  che  la  “carità  fraterna”   possa   esercitarsi   verso   i   lebbrosi.   La   società  medievale   ha   bisogno   di   questi  paria  messi   al  margine   perché   pericolosi,  ma   visibili,   perché,   grazie   alle   cure   che   essa  dispensa  loro,  possa  formarsi  una  buona  coscienza;  e  più  ancora  proietta  e  fissa  in   loro,  magicamente,  tutti  i  mali  che  essa  allontana  da  sé”20.    

 

   

                                                                                                               18  Per  esempio,  a  proposito  dei  beghini,  in  B.  Gui,  Manuel  de  l’Inquisiteur,  Vol.  II,  Paris  1927,  pp.  116-­‐9  ;  cfr.  Pure  G.  Gonnet  in  G.  Gonnet  e  A.  Molnar,  Les  Vaudois  au  Moyen  Age,  Torino  1974,  p.  203.    19  Migne,  PL,  87,  533,  citato  in  M.  Mollat,  Les  pauvres  au  Moyen  Age,  p.  61  [trad.  it.  I  Poveri  nel  Medioevo,  Laterza,  Roma-­‐Bari  1982,  p.  52].    20  J.  Le  Goff,  La  Civilisation  de  l’Occident  médiéval,  cit.,  p.  388  [trad.  it.  cit.].    

Storia  2013-­‐2014  ⏐classe  II  ⏐  lavoro  scritto  II  N                  17  dicembre  2013  ⏐gp  

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         Allegato  10        

1-­‐ Argomenta  l’affermazione  seguente:  “Nel  Medioevo,  la  lebbra  è  una  malattia  del  corpo  e  dell’anima”.    

2-­‐ Analizza  l’immagine  (Vincent  de  Beauvais,  Miroir  territorial,  XIV  secolo).                                            

3-­‐ Analizza  il  documento:    

Colovray, 19 giugno 1491

(…) Nell’anno del Signore 1491 (…). In mia presenza, io, notaio designato, e in presenza dei testimoni citati più in basso, a Colovray, davanti alla croce che si trova a est (a parte boree), sotto le tactas1 di Boyron, in presenza e con il consenso di un gran numero di borghesi della città di Nyon, il venerabile Antoine Goncerrut (…) ha ricevuto Guillaume Alliod come lebbroso, con e sotto (cum et sub) i diritti, i privilegi e le libertà di cui beneficiano e approfittano abitualmente e hanno approfittato fino a oggi gli altri lebbrosi del lazzaretto. Infatti, in questo luogo Guillaume ha giurato in ginocchio, sui santi Vangeli di Dio, nelle mani del suddetto Antoine in qualità di rettore, di essere fedele e obbediente al rettore e ai suoi successori nel lebbrosario.  Suggerimenti:  a)  tipo  di  fonte;  b)  contesto  geografico;  c)  scopo  del  documento;  d)  attori  sociali;   e)   elementi   particolarmente   interessanti   nell’ottica  dello   studio  della   lebbra  nel  Medioevo.  

                                                                                                               1  Si  tratta  dell’attuale  quartiere  Tattes  a  Colovray  (Canton  Vaud).  

   

 

 

Testi  degli  studenti                                    Allegato  11    Osservazione:   le   parti   in   corsivo   sono   le   correzioni   ortografiche   o   i   suggerimenti   del  docente.    

1-­‐ Argomenta  l’affermazione  seguente:  “Nel  Medioevo,  la  lebbra  è  una  malattia  del  corpo  e  dell’anima”.  

 La   lebbra   è   una  malattia   infettiva   che  porta   a   lacerazioni   del   corpo,   interpretate   come  un’anticipazione  della  condizione  in  cui  il  corpo  sarebbe  stato  dopo  la  morte.  Era  inoltre  il  chiaro  segnale  di  un  animo  corrotto.  (Riferimento  alla  teoria  umorale?)  L’Antico  Testamento  interpreta  la  lebbra  come  un  castigo  divino,  il  Nuovo  testamento  lo  presenta   come   il  marchio  del  peccato.  Nell’alto  Medioevo   sono  presenti   (si   diffondono)  una   serie   di   significati   allegorici,   i   quali   vedono   nella  malattia   la   punizione   dei   peccati  terreni.  Si  credeva  infatti  che  comportandosi  in  maniera  scorretta  e  scandalosa  si  potesse  contrarre  la  lebbra  (Riferimento  alla  lussuria  e  alla  credenza  del  contagio  nei  ceti  popolari).  Nel  corso  del  Medioevo  si  etichettavano  come  lebbrosi  non  solo  coloro  che  contraevano  la  malattia  nel  corpo,  con  segni  ben  visibili,  ma  anche  chi  commetteva  gravi  peccati  (e  si  ammalava   quindi   nell’anima):   ad   esempio,   in   alcune   fonti,   ebrei   ed   eretici   vengono  definiti  lebbrosi  in  quanto  rifiutavano  il  battesimo,  cioè  la  medicina  in  grado  di  purificare  l’anima  dai  peccati.  I   lebbrosi  rappresentano  quindi  una  categoria  temuta  ed  emarginata  che  racchiude  una  serie   eterogenea   di   persone,   che   (accomunate   dal   fatto   che)   sono   prima   di   tutto  considerate   malate   nell’anima.   I   segni   del   corpo   sono   una   conseguenza   della   lebbra  interiore.  I  preti  erano  visti  come  medici  dell’anima,  in  quanto  attraverso  la  penitenza  (di  chi?)  erano   in  grado  di  purificare   l’anima  dai  peccati,  guarendola  dalla   lebbra  spirituale.  Per  proteggersi  da  quella  del  corpo,  i  malati  vengono  invece  chiusi  nei  lebbrosari.      

Laura      

2-­‐ Analizza  l’immagine  (Vincent  de  Beauvais,  Miroir  territorial,  XIV  secolo).    L’immagine  dell’opera  di  Vincent  de  Beauvais,   fonte   iconografica  del  XIV  secolo  giunta  integralmente,   rappresenta   una   persona   affetta   dalla   malattia   della   lebbra,   ritratta   ai  margini  di  una  città:  ciò  è  un  netto  indicatore  dell’emarginazione  di  cui  soffrivano.  Il   fatto   che   la   persona   ritratta   sia   effettivamente   un   lebbroso   è   visibile   (deducibile)   da  diversi  elementi  specifici  associabili  alla  lebbra.  Innanzitutto  esso  porta  sulla  pelle  (mani  e  viso)   i   segni   che   la   malattia   lascia:   escrescenze,   pustole   e   pelle   coriacea.   In   secondo  luogo,   la   presenza     di   un     vestiario   specifico,   da  malato   (?),   che   comprende   cappello,  mantello  lungo,  cappuccio  e  dovrebbe  contenere  (dovrebbero  figurare)  anche  guanti  allo  scopo  di  nascondere  e  coprire  i  sintomi  terrificantu  per  non  “spaventare”  e  contagiare  la  comunità.  Troviamo  poi  una  bisaccia  sotto  il  mantello  che  contiene  i  beni,  il  cibo  e  i  soldi  mendicati,   una   cliquette   (semplice   strumento   che   fa   rumore)   che   serve   ad   avvisare   il  popolo  (i  passanti)  dell’arrivo  di  un  lebbroso  e  mettersi  quindi  “in  salvo”.    

 Sacha  

   

 

 

   

3-­‐ Analizza  il  documento:    Si  tratta  di  una  fonte  scritta  datata  19  giugno  1491  (r.  1)  redatta  da  un  “notaio  designato”  (r.  2)  a  Colovray  (r.  3),  nei  pressi  di  Nyon  (r.  5),  nell’attuale  canton  Vaud,  un  cantone  nel  quale  è  stata  provata  la  presenza  di  una  grande  quantità  di  lebbrosari.    La  fonte  è  un  atto  ufficiale   ed   è   stata   scritta   con   lo   scopo   pratico   di   testimoniare   l’entrata   di   Guillaume  Alliod  nel   lebbrosario  di  Colovray.  Per   lo  stesso  motivo  vengono  nominati  dei  testimoni  che   assistono   alla   cerimonia   (“in   presenza   e   con   il   consenso   di   un   gran   numero   di  borghesi   della   città   di   Nyon”,   rr.   4-­‐5   e   “testimoni”,   r.   3).   Questo   testo   permette   di  ricostruire  (fa  riferimento)  la  tipica  cerimonia  dell’entrata  di  un  lebbroso  nel  lebbrosario  e  il  giuramento  che  deve  prestare.    Si   nota   subito   l’importanza   del   contesto   religioso   e   della   Chiesa   (r.   2   “nell’anno   del  Signore”,  r.  3  “croce”,  r.  8  “giurato  sui  santi  Vangeli  di  Dio”)  che  effettivamente    è  l’entità  che  ha  avuto  per  lungo  tempo  il  controllo  dei  lebbrosari  (anche  se  nel  XV  secolo  comincia  un   processo   di   laicizzazione   dei   lebbrosari),   amministrando   i   beni   ceduti   dai   malati   e  donati   dalla   comunità.   Si   sa   inoltre   che   era   compito   della   Chiesa   annunciare  pubblicamente  un  caso  di  lebbra  e  preparare  il  malato  all’abbandono  della  comunità.  Un  prete   eseguiva   (impartiva)   benedizioni   e   cerimonie   (“davanti   alla   croce”,   r.   3)   che  rappresentavano  simbolicamente  la  sua  morte  agli  occhi  della  comunità.  Il  malato  veniva  accompagnato   da   un   corteo   funebre   fino   alla   sua   nuova   dimora,   dove   egli   prestava  giuramento  di  obbedienza.  La   fonte   è   incentrata   sul   giuramento     che   il   lebbroso   deve   compiere:   “essere   fedele   e  obbediente   al   rettore”   (r.   9)   e   rispettare   i   divieti   che   gli   vengono   imposti   per   evitare   il  contagio.   Questo   mostra   che   i   lebbrosi,   seppur   esclusi,   devono   sottostare   alle   leggi  imposte  dalla  comunità.   Il  malato,  però,  gode  anche  di  “diritti,  privilegi  e   libertà”   (r.  6),  come  la  possibilità  di  essere  accolto,  nutrito  e  curato  (per  quanto  possibile)  senza  pagare  un  affitto.  Deve  però  cedere  i  suoi  beni  al  lebbrosario.      

Alice    

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