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Testo trascritto da Ileana Seikyū - Franco Shihan (24 dicembre 2016) Revisione testo: TEISHO ENGAKU TAINO ANNO 1989 1

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Testo trascritto da Ileana Seikyū - Franco Shihan (24 dicembre 2016)Revisione testo:

TEISHOENGAKU TAINOANNO 1989

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SESSHIN MESE DI GENNAIO 1989 - 13,14,15 GENNAIOSESSHIN KOKUHO 13 Genn. (venerdì sera)------------------------------------------------------------------------------Dopo il periodo delle feste trovarci per un'altra sesshin sembra di ritrovarci dopo tanto tempo, sembra chissà quantimesi siano trascorsi e invece è passato soltanto un mese. Per questa prima sesshin dell'anno che questa volta cominciaun po' più tardi e forse anche a questo è dovuta la sensazione di distanza - ma come noi abbiamo l'abitudine qui aScaramuccia all'inizio di ogni anno, ormai da qualche tempo, di tuffarci al mattino nell'acqua fredda della fontana e poitornati a casa di recitare i sutra a cominciare, come facciamo sempre, da tutti i nomi dei Buddha e dei Patriarchi, è bello- almeno io penso, anche se poi volendoci contare sono pochi quelli che la pensano ugualmente - è bello cominciarel'anno, anche se è già cominciato, invece che con gli spumanti e le fette di panettone, gli abbracci e i baci, gli scoppi e ipetardi, cominciarlo con una sesshin.Una frase che ho letto, che mi è stata spedita qualche tempo fa, dice: "Fare della nostra vita il luogo della pratica forse èfatica", però, a pensarci bene che cosa c'è di meglio di questo, che cosa c'è meglio che praticare, che rendere la propriavita un luogo di pratica, che vivere una vita di pratica? Non c'è niente di meglio! E non è che dobbiate credereciecamente a quanto vi dico se lo affermo, ma potete sicuramente constatarlo da voi stessi adesso, in questo momento oandando avanti nelle vostre esperienze quotidiane e annuali. Non c'è niente altro di meglio che praticare. Purtroppo,come quelli che rimandano sempre tutto al domani, non sono tanti quelli nel mondo che sentono questo bisogno comeun imperativo. Se non sentiamo dentro il nostro cuore una forza che ci spinge a praticare e a lasciare da parte tutte lealtre cose che sono non necessarie, se non altro non indispensabili, non riusciremo ad aprire i nostri occhi alla nostrareale natura di illuminazione, diventare noi stessi a nostra volta dei Buddha. Non ci possono essere diavoli o santitentatori che ci vengono a vendere qualunque altra cosa al di fuori di quella, anche perché questa non può esserevenduta. Tutto l'altro che ci vengono a proporre non vale assolutamente la pena di essere perseguito. Bene, siamo quiper renderci conto di questo se per caso non ce ne siamo ancora resi conto. Una volta resici conto di quanto siaindispensabile realizzare la nostra reale natura di buddha, allora lavorare per scoprirla, per portarla alla luce e, portataalla luce, vivere alla luce di questa. È tutto qui! Sembra che chissà cosa uno venga a fare e invece bisogna fare elavorare per ottenere qualche cosa di semplicissimo che è così a portata di mano, che è così facile da ottenere anche secome dicevo prima, può richiedere qualche fatica. Ma che cos'è questa poca fatica o grande fatica che possiamo fare neiconfronti della immensità della felicità che può derivare dalla comprensione della nostra reale natura. È anche unaquestione di interessi, quando dovremmo essere interessati, invece di starci tanto a preoccupare di quali sono i Buonidel Tesoro o le banche che ci danno più soldi di interessi, o le azioni della borsa o chissà quale altra cosa, dovremmoveramente vedere quello che vale veramente la pena di perseguire.Bene, spero che abbiate la capacità di comprenderlo profondamente, così profondamente da cambiare completamente lavostra vita.

MUMONKANCASO N. I2 - ZUIGAN CHIAMA IL MAESTRO(pag. 95)

KOAN

Ogni giorno il Maestro Zuigan Shigen si chiamava ad alta voce: "Maestro", e si rispondeva: "Sì?". "Seisveglio?", si chiedeva, e si rispondeva: "Sì". "Non farti mai illudere dagli altri, in nessun giorno e in nessun momento"."No, non mi farò illudere".

COMMENTO DI MUMON

Il vecchio Zuigan vende se stesso e compra se stesso. Ha molte maschere di spiriti maligni e demoni con cuigiocare. Perché? Niii! Uno chiama, uno risponde, uno è sveglio e uno non sarà illuso dagli altri. Se pensate che questedifferenti sembianze esistano realmente siete del tutto in errore. Se però vorreste imitare Zuigan, la vostra conoscenzasarebbe come quella di una volpe.

POESIA DI MUMON

Chi cerca la Via non realizza la Verità:conosce solo la sua vecchia coscienza discriminante.è questa la causa del ciclo senza fine di nascita e morte,ma gli ignoranti la confondono con l'uomo originale.

TEISHO 14 Gennaio ’89 (sabato matt.)_______

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Questo, anche se ci si ripete, perché lo sono quasi tutti i koan del Mumonkan, è uno dei koan più famosi eriguarda il maestro Zuigan Shigen, il quale ad alta voce tutte le mattine si chiamava: "Maestro" e da se stesso sirispondeva: "Sì", e poi si chiedeva: "Sei sveglio?". "Sì", e poi ancora: "Non farti mai illudere dagli altri". "Si, non mifarò mai illudere", e così via. Noi abbiamo soltanto queste tre domande e queste tre risposte, ma è probabile che Zuiganse ne facesse anche altre e a quelle altre che si faceva rispondesse a tono così come risponde a tono a queste. Nelcommento il Maestro Mumon lo paragona ad uno che gioca con tante differenti maschere, tanti differenti spiriti malignie demoni con cui giocare. Queste differenti sembianze le chiama maschere, e dice che se noi volessimo imitarlo lanostra conoscenza reale sarebbe come quella di una volpe e cioè come quella di uno spirito maligno; e cioè sarebbesemplice anche per noi metterci di fronte allo specchio, guardarci e chiamarci 'Maestro' e ripetere le stesse cose cheripete Zuigan. Questo vuole dire Mumon, ma questo a noi non servirebbe perché saremmo soltanto degli imitatori e nongli originali; saremmo soltanto una maschera, una marionetta e non l'originale, quello che da dietro realmente muove lamarionetta. Qual'é il senso che vuole esprimere questo koan? Ognuno di noi durante la sua vita rappresenta molti ruoli,e spesso gli stessi dalla nascita fino alla morte; molto più spesso cambia, ne assume di altri e cambia col variare dellecircostanze, cambia col variare della sua età, cambia col variare delle sue responsabilità. Ma fondamentalmente c'è unqualche cosa di noi che non cambia, c'è qualche cosa di noi che è sempre immutabile perché aldilà di tutte lerappresentazioni che noi possiamo dare della nostra bravura di attori. Zuigan si ferma e tutti i giorni dice: "Aldilà di qualunque cosa io abbia fatto, stia facendo o dovrò fare, c'è un punto, c'èun me che è quello che io chiamo maestro, quello che mi risponde quando io lo chiamo maestro, è quello che mi dice dinon farmi ingannare dalle apparenze, di non farmi ingannare dalle varie sembianze che possono assumere questo miocorpo e questa mia mente, ma rimanere ancorato, senza farmi ingannare, a questa reale essenza di me stesso. Spessoinvece ci facciamo illudere dai ruoli che noi stiamo interpretando e pensiamo che tra noi e i ruoli che stiamointerpretando non ci sia realmente differenza. Proprio a questa illusione Zuigan si oppone con questo suocomportamento. Si mette di fronte a se stesso, si chiama, si lascia chiamare - si lascia chiamare nel senso che è semprelui che parla - si chiama e si risponde. In quel momento, al di là di se stesso, non c'è altro; in quel momento non c'è néchi chiama né chi risponde, c’è soltanto l'essenza vera di Zuigan. Così come anche per noi, il momento in cui cisediamo sul cuscino, ci confrontiamo col nostro respiro, ci immergiamo completamente nel nostro respiro, nel nostro'mu', in quel momento c'è il reale noi stessi e non quello che gli altri sono abituati a pensare di noi. C'è un noi stessireale, al di là di tutto quello che possa essere pensato di questo 'noi'.Zuigan è lì a ricordarcelo e a non lasciarci prendere dai ruoli.Quante volte noi e quanti altri che noi conosciamo, si sono così immedesimati nel proprio ruolo da pensare che fosseroquel ruolo, dimenticando che quello era soltanto una recita da fare sul palcoscenico più o meno grande della propriavita, della propria esistenza, di fronte a un pubblico più o meno vasto. Ma è soltanto una recita da portare a termine nelmiglior modo possibile, ma dalla quale poi uscire e togliersi la maschera che ci eravamo messa. Certe volte il mettersi lemaschere – e qui non stiamo a discutere su questo, non dipende dalla nostra volontà – dipende dalle circostanze che ciobbligano a doverci comportare in un certo modo, ma tanto più la nostra immedesimazione, la nostra identificazione piùche immedesimazione, l'identificazione con quel personaggio dovrebbe essere tenuta fuori da noi stessi e invecedovrebbe essere mantenuta la consapevolezza che noi siamo qualche cosa di diverso dalla maschera che ci siamo messi,anche se siamo capaci di recitare bene la maschera che abbiamo.C'è il poema: "Chi cerca la Via non realizza la Verità" - certo! Lo abbiamo detto tante volte - "ma conosce solo la suavecchia coscienza discriminante". Infatti, è uno che cerca la Via e che si confronta con quelli che la Via invece non lacercano o che cercano una via sbagliata. C'è lui che cerca e la via che deve essere cercata. Per cui questo confronto conla coscienza che divide le cose. "È questa la causa del ciclo senza fine di nascita e morte, ma gli ignoranti la confondonocon l 'uomo originale". Appunto, ritenersi cercatori della Via può far sembrare di essere una persona che sta facendoqualche cosa di speciale: sta ricercando se stesso, sta facendo uno sforzo spirituale rispetto agli sforzi materiali che tuttigli altri esseri stanno compiendo. Ma questo qui, in questo modo, non è certo lo sforzo giusto, perché lo sforzo giusto èproprio quello in cui la differenza tra chi cerca e la Via non esiste più e si è in questo caso identificati completamentenella Via e allora, in quel momento, si è la Via e non si cerca la Via perché la si è e basta.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 14 Gennaio ’89 (sabato mattina)----------------------------------____

Alzarsi prima degli altri, quando ancora tutti dormono! Da ragazzo mi succedeva di pensarlo spesso quando lamattina presto partivo per andare in montagna. La domenica, alle cinque o alle sei quando si partiva, o anche primaqualche volta, tutti stavano ancora a dormirsene il proprio meritato riposo e io come un pazzo - non so come dire - cheme ne andavo a scalare le montagne, andavo a cercare chissacchè su quelle rocce.Chissacchè! Tutti quanti noi, secondo gli altri, andiamo alla ricerca di chissacchè e anche per noi, certe volte, è proprioun chissacchè quello che cerchiamo. Ma poi, a poco a poco, si delinea chiaramente o almeno sempre più chiaramente, laforma e la sostanza di quello che andiamo a cercare sulle rocce o, soprattutto, su questi apparentemente morbidi cuscini.Forse la comprensione della natura di Buddha può essere anche di quelli che a quest'ora stanno ancora a dormire. Chi losa! Anche se si dice che chi dorme non raccoglie. Ma noi, con le nostre forze, con la nostra volontà, quello chepossiamo fare lo stiamo facendo. Chissà, alzandoci alle sette o alle otto potrebbe essere la stessa cosa? Me lo sonochiesto tante volte. Non è la stessa cosa! In quel caso comanderebbe il corpo e quando comanda il corpo la natura di3

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Buddha non è mai così vicina. C'è un momento in cui la direzione della nostra vita viene presa in mano da un'altra forzaautonoma: è questa che ci fa alzare alle cinque ma che ci fa decidere in cose apparentemente, forse, importanti.Soprattutto ci fa vedere che alzarsi alle cinque non è poi così terribile come qualche volta può sembrare.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 14 Gennaio ’89 (sabatosera)----------------------------------------------

Il termine inglese 'trip' significa viaggio ed è stato usato in molti sensi, soprattutto nel mondo della droga, persignificare il viaggio che si fa, per qualcuno alla ricerca di se stesso e per altri alla ricerca del piacere soltanto.Quando oggi è venuto l'elettricista sono entrato nello zendo dove non entro durante le sesshin quando è vuoto, e mentrelui stava sula scala ad aggiustare i fili, a trovare il guasto, c'erano i cuscini vuoti come gli scompartimenti di un treno,come le poltrone di un treno o di un pullman pronte per il viaggio (verso la notte) che sarebbe cominciato dopo qualcheora che che ci avrebbe portati attraverso la notte chissà dove fino a domani mattina. Certo i viaggi artificiali per mezzodelle droghe sono più semplici, sono più immediati, così come i viaggi con gli aerei che dalla nostra città rumorosapossono portarci in un luogo di vacanza caldo magari, quando noi lasciamo un posto freddo, o viceversa.Ma viaggiare così come facciamo noi su questo cuscino, per non viaggiare, per rimanere ancorati a se stessi, è più duro.Non si danno i voti in base alla durezza della pratica che uno intraprende. In fondo, i voti non si danno affatto. Ognunoriesce ad ottenere dei risultati in base agli sforzi che produce. E questi valgono soltanto per lui, soltanto per se stessi.Non possono essere paragonati agli altri, come possiamo dire che un chilo pesa di più di mezzo chilo, o che un metro èpiù lungo di mezzo metro. Quello che facciamo ha valore soltanto e unicamente per noi stessi. Allora per viaggiare benedobbiamo utilizzare quel qualcosa di noi stessi, che è poi di un noi stessi da estendere a tutta l’umanità, che è il respiro,ed infilarci in esso. Il respiro fa viaggiare in profondità molto più di un satellite artificiale nel cielo o di un sottomarinonel mare. Immettersi nel respiro, diventare uno col respiro ed anche, successivamente, col nostro koan. Ma il respiroviene prima, il respiro, il 'mu', e allora si scopre l'ebbrezza del viaggio, si scopre come questo nostro cuscino possatrasportarci in mondi non visionari ma in mondi in cui la calma che si riesce ad ottenere è la calma della serenità, lacalma della tranquillità, la calma di star facendo l'unica cosa che valga la pena di essere fatta.

MUMONKANCASO I3° - TOKUSAN PORTA LE CIOTOLE (pag. I03)--------------------------------------------------------------

KOANUn giorno Tokusan scese nella sala da pranzo portando con sé le ciotole. Seppo disse: "Vecchio Maestro, la

campana non è stata ancora suonata e il tamburo non è stato ancora colpito. Dove andate con le vostre ciotole?".Tokusan tornò subito nella sua stanza. Seppo narrò questo episodio a Ganto, che osservò: "Pur essendo un grandeMaestro, Tokusan non ha ancora afferrato l'ultima parola dello Zen". Saputolo, Tokusan mandò il suo attendente achiamare Ganto e gli chiese: "Non mi approvi?" Ganto gli sussurrò la risposta. Tokusan fu soddisfatto e rimase zitto. Ilgiorno dopo Tokusan apparve sulla tribuna. Certamente il suo discorso fu differente dai soliti. Ganto andò davanti almonastero, rise di cuore battendo le mani e disse: "Che grande gioia! Adesso il Vecchio Maestro ha afferrato l'ultimaparola dello Zen. D'ora in poi chiunque al mondo dovrà farvi attenzione".

COMMENTO DI MUMON

Per ciò che riguarda l'ultima parola dello Zen, né Ganto né Tokusan ne hanno mai sentito parlare, nemmeno in sogno.Se li esamino attentamente, sono come dei burattini su una mensola.

POESIA DI MUMON Se capisci la prima parola dello ZenSaprai l'ultima.L'ultima parola o la prima parola:"Ciò" non è una parola.

TEISHO 15 Gennaio ’89 (domenica matt.)

Quella di questo koan rappresenta una scena tipica di un monastero in cui il maestro va nella sala da pranzo(dikijo) e ha sbagliato i suoi calcoli, così il cuciniere, il tenzo, gli dice: "No, guarda non è ancora ora perché i segnalinon sono stati fatti". Poi questo parla con un altro monaco e commenta questo fatto e, a proposito del proprio maestrodice: "Non ha capito ancora l'ultima parola dello Zen, non è ancora arrivato alla comprensione reale dello Zen". IlMaestro lo viene a sapere, lo chiama, gli dice qualche cosa e il giorno dopo quando il maestro fa il discorso, quello dice:"Ecco, finalmente ha capito!"Il koan tratta di questo maestro, Tokusan, i1 quale stranamente si lascia trattare in questo modo quando va nella sala dapranzo, anche se i suoi discepoli - Seppo prima e Ganto dopo - sono due dei grandi discepoli e poi grandi maestri delCh’an. Senz’altro Tokusan è un maestro che è ricordato per le sue parole e il suo bastone sul quale era scritto: "Trenta4

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colpi se non rispondi, trenta colpi se rispondi", perciò un maestro abituato a trattare i suoi discepoli con molta durezza.Qui, invece, il momento in cui entra nella cucina viene trattato, come diremmo noi, una pezza da piedi; anzi, quello sipermette pure di dire a quell'altro, sebbene non in sua presenza: "Il maestro non ha ancora capito l'ultima parola". Quiabbiamo varie interpretazioni. Certamente Tokusan si rende conto della grossolanità di Seppo, il quale vorrebbedimostrare al maestro una sua sicurezza nel comprendere il Ch'an e però è soltanto, in quel caso, maleducato. Cioèavrebbe benissimo potuto dire al maestro che gli dispiaceva, che era arrivato in anticipo, ma che ancora c’era daaspettare un po'. Qui la traduzione dice: "Vecchio Maestro, la campana non è stata ancora suonata e il tamburo non èstato ancora colpito. Dove andate con le vostre ciotole?". Certo che queste sono traduzioni che fanno un po' ridere.Comunque, non è "vecchio maestro" ma letteralmente gli dice "vecchio"; e poi ‘il tamburo’ è la tavola di legno, il kayal,che abbiamo anche noi qui e che assolutamente non si può chiamare tamburo.Comunque, lo tratta molto malamente, anche se a quei tempi era richiesta una certa rudezza per dimostrare la propriacomprensione. Ma in questo caso Tokusan in fondo era il capo del monastero, poteva andarsene in giro per il monasteroquando e come voleva e l'altro non si doveva permettere di dirgli che non era ancora pronto e che se ne tornasse al postosuo perché non erano ancora stati fatti i segnali. Ci mancava altro che, se noi avessimo visto comparire Mumon in unasala in cui stavamo facendo o dicendo qualche cosa, gli dicessimo: "Oh, tu che vieni a fare qua? Non puoi entrare, vainelle tue stanze!" Questo è un fatto saliente che dimostra, in fondo, la gentilezza di Tokusan. La sua paurosa cattiveriadi dare bastonate a destra e a sinistra qui non si rivela, anzi viene fuori una gentilezza nei confronti di questo testone chenon sapeva come comportarsi e che addirittura va a dire a Ganto - che dei due è il più intelligente - : "Sai che Tokusanancora non capisce". Ganto decide di organizzare uno scherzo. Fa sapere a Tokusan quello che è successo, Tokusan glidice qualche cosa all'orecchio. Probabilmente si mettono d'accordo su come organizzare la scena del giorno dopo. Ilgiorno dopo Tokusan parla, più o meno sempre nello stesso modo, perché non vedo come avrebbe potuto parlarediversamente, e Ganto invece dice: "Ecco, ecco! C'è qualcuno che ha capito, qualcuno che finalmente è arrivato."Il commento di Mumon in questo caso è molto attinente. A parte il suo pungente sarcasmo nel dire: "Per ciò cheriguarda l'ultima parola dello Zen, né Ganto né Tokusan ne hanno mai sentito parlare, nemmeno in sogno”.E poi qui dice giusto: "Se li esamino attentamente, sono come dei burattini su una mensola". Infatti si muovono perrecitare qualche cosa nei confronti di questo Seppo che non capisce niente e che forse, in questo modo, potrebbearrivare a capire qualcosa. Mumon qui vuole dire che quei due si sono messi d'accordo, hanno deciso di interpretare unaparte e la parte l'hanno interpretata, sono come due burattini che si sono auto-manovrati. Poi, nel suo poema, Mumondice: "Se capisci la prima parola dello Zen saprai l'ultima. L'ultima parola o la prima parola: "Ciò" non è una parola". Equi c'è un po' un gioco di parole. Nello zen non esistono prima ed ultima parola e parole intermedie. La comprensione èuna e perciò non si può parlare di prima ed ultima parola. Questo è quanto vuole dire Mumon nelle prime due righe.Poi: ·"L'ultima parola o la prima parola non è una parola". La comprensione, la prima o l'ultima comprensione che c'ènello zen non è una parola, non è la parola magica che noi possiamo portare alla mente pensando ai maghi:abracadrabba, o apriti sesamo, etc. etc.. Non è una parola, l'ultima parola. ·Per cui qui stiamo parlando di qualche cosache non è quel qualche cosa.Malgrado non si possa dare un giudizio, ovviamente, mi pare che qui Mumon è molto aderente, è molto comprensibilequello che vuole dire.La scena del koan è tipica, come sempre sono le scene dei koan, questi aneddoti avvenuti nel passato, lontano da noi, inCina o chissà in quale posto immaginario, però non sono avulsi dalla realtà, per cui sono aneddoti che si sarannoripresentati non soltanto in Cina, ma in qualunque altra parte del mondo e chissà quanti altri milioni di volte, e sarannocapitati anche a noi. In Cina, durante il momento in cui si è espanso il mondo dello zen, hanno avuto la forza dirimanere impressi in questi testi che ci sono stati tramandati ed hanno significato qualche cosa. Ma non è detto che nonsignifichino qualche cosa anche adesso; la stessa cosa che succedesse, tipo quella che è successa a Tokusan neiconfronti di un suo discepolo, cioè venir trattato da deficiente soltanto perché non è stato attento a un suono, come seuno debba per forza nella sua vita stare attento a tutti i suoni e non ci debba invece essere, da parte di chi ancora devefare tanta strada per capire, una maggiore comprensione della propria ignoranza. È molto difficile questo, naturalmente.Comprendere la propria ignoranza significa essere già tanto vicini alla comprensione della Verità. Comunque, esempi dicaffonaggine ne abbiamo a ogni piè sospinto, è questo che ci ricordano i cinesi.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 15 Gennaio ’89 (Dom. mattina)----------------------------------------------

Ognuno di noi ha fatto viaggi nella nebbia guidando l'automobile, o anche a piedi, in montagna, o sugli sci. Lanebbia che di questi tempi è diventata un soggetto di conversazione abituale, anche qui da noi nel centro Italia dove finoa poco tempo fa si vedeva veramente poco.Viaggiando nella nebbia ci si rende conto di come si sia in pericolo e di come ci manchino i punti di riferimento ai qualisiamo soliti rivolgerci per trovare la nostra strada, per sapere dove dobbiamo andare.Pensiamo tutti di essere capaci di trovare sempre la nostra via, eppure nel momento in cui ci troviamo nella nebbia conle nostre macchine potenti, rallentiamo e rabbrividiamo di paura ai pericoli ai quali stiamo andando incontro, a quelloche potrebbe succedere.Venire a una sesshin è anche immergersi in un luogo dove i punti di riferimento sono completamente scomparsi, i puntiche noi siamo abituati a conoscere nelle nostre case: i nostri letti, i nostri termosifoni, i nostri pasti in un certo modo, inostri orari. Questo per quanto attiene al mondo fisico. Ed anche, e questo è più importante ancora, il nostro abituale5

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modo di pensare e di essere, il fatto di poter cambiare canale il momento in cui i pensieri che ci assalgono sono troppopesanti e rivolgerci ad una distrazione che possa portarli lontano da noi.Durante la sesshin questo non può avvenire, siamo incatenati sul nostro cuscino e la nostra mente è quella che è e nonpossiamo sfuggirla, così come la nebbia che ci circonda quando siamo sull'autostrada.La sesshin è abituarsi a convivere con questa impossibilità di avere punti di riferimento fissi e rompere questa paura dinon poterci contare, per riuscire a vivere cosi fluttuanti, senza preoccuparci, sapendo che le cose - comunque sia -andranno bene. Comunque sia, anche dopo una notte lunga e fredda, si arriva al mattino e si vedrà il chiaro del giorno,si vedrà il chiaro della nostra vita. Ecco! Portiamoci a casa questa sicurezza, questa tranquillità di poter vivere anche nella insicurezza, nella mancanza ditranquillità.

SESSHIN MESE DI FEBBRAIO 1989 (3, 4, 5 Febbraio)SESSHIN KOKUHO 3 Febbraio ‘89 (venerdì sera)------------------------------------------------

Nel cominciare la sesshin di febbraio non posso fare a meno di ricordare il Maestro Mumon Roshi di cui hosaputo pochi giorni fa della morte avvenuta il 24 dicembre scorso. Ormai sono più di venti anni da qua do sono entratoper la prima volta a Shofuku-ji ed ho incominciato ad imparare sotto la sua guida ed è questa la prima sesshin in cui soche il Maestro Mumon è entrato nel Nirvana.L'incontro con il Maestro, che poi sarà il proprio Maestro, ha per tutti quanti noi un significato importante,naturalmente, e ci fa comprendere o - almeno se non lo comprendiamo immediatamente, lo comprendiamo andandoavanti nella pratica - ci fa comprendere come proprio una vita di pratica possa essere dura, faticosa, certe volte superiorealle nostre forze, ma ci fa comprendere ancora - e questo è importante - che non c'è altro da fare. Che altro si può fare senon praticare? Il Maestro, con la sua presenza, con il suo esempio, con la sua disponibilità, ci fa comprendere in ognimomento che la pratica è l'unica cosa che paghi per un essere umano, la pratica intesa naturalmente come applicazioneper la comprensione della propria reale natura di Buddha.Siamo qui insieme per la sesshin di febbraio che è la seconda sesshin di quest'anno, e siamo per praticare perché cisiamo resi conto che, anche se non veniamo tutti i mesi, anche se non riusciamo a dedicarci completamente, dallamattina alla sera e dalla sera alla mattina alla pratica, ci sono dei momenti in cui dobbiamo farlo e naturalmente, perquelli che sono legati a Scaramuccia, venirlo a fare qui nel suo centro, è il modo migliore per farlo. Se ci guardiamointorno possiamo vedere tanti allettamenti da tante altre parti, di vario genere, ed il nostro corpo così come la nostramente - perché non è solo il nostro corpo debole, la nostra mente lo è ancora di più - sono certe volte portati a rinunciarea fare le cose più importanti che si dovrebbero fare. Una delle cose più importanti da fare è sedersi durante una sesshin,è praticare anima e corpo, con tutta la propria forza perché si possa risvegliare la propria natura di Buddha, la propriareale natura di illuminazione e vivere, finalmente, in maniera completa una vita di Bodhisattva, una vita in cui daBodhisattva si possa portare questo risveglio anche in altri cuori e, come dice Vimalakirti, accendere altre candele conla nostra luce. Siamo venuti alla sesshin, stiamo insieme alla sesshin, perché si possa realizzare questo nostro impegnocontratto chissà quanti milioni di anni fa. Siamo arrivati al punto in cui il fiore di cui è stato gettato un seme nonsappiamo quando, sta per sbocciare. Aiutiamolo, aiutiamoci, naturalmente, perché questo avvenga e avvengapossibilmente anche durante questi pochi giorni in cui stiamo insieme. Ma bisogna mettercela tutta, tutta senza cercaredi risparmiare niente: più si dà e più si riesce ad avere.

MUMONKANCASO N. 14 = NANSEN E IL GATTO =(Pag. III)

KOAN

Quando i monaci della Sala Orientale e quelli della Sala Occidentale si stavano contendendo un gatto.Tenendolo in alto Nansen disse: "Monaci, se sapete dire una parola di Zen, risparmierò 1a vita al gatto. Se non sapetedirla, 1o ucciderò!" Nessun monaco seppe rispondere. Alla fine Nansen uccise il gatto. Quando Joshu tornò, Nansen gliraccontò l'episodio. Joshu si levò i sandali, se li mise in testa e uscì. Nansen disse: "Se tu fossi stato qui, avrei salvato ilgatto!".

COMMENTO DI MUMON

Ditemi: qual' è il vero significato di Joshu che si mise i sandali in testa? Se sapete dire le parole dellatrasformazione, capirete che l'azione di Nansen non fu vana. Se non sapete dirle, state attenti!

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POESIA DI MUMONSe solo Joshu fosse stato presente,Avrebbe agito.Se gli avesse agguantato la spalla,Nansen avrebbe dovuto chiedergli di aver salva la vita.

TEISHO 4 Febbraio '89 (sabato matt.)

Questo koan sicuramente è uno dei più famosi, perché è un episodio particolare ed essendo particolare, è statocitato più volte dai commentatori del ch'an per far risaltare - a torto secondo me - la caratteristica dell'immediatezzadell'azione ed anche, talvolta, la crudeltà con cui i monaci del ch'an, i maestri del passato, possono aver agito siauccidendo animali, come pure picchiando i propri interlocutori.Naturalmente è un koan che ha la ragione di esistere come hanno una ragione di esistere gli altri 47 koan della raccoltadel Mumonkan e tutte le altre centinaia di koan che vengono studiati, praticati e compresi da chi pratica il ch'anattualmente. Certo, un maestro che uccide un anima1e, un gatto - che non è una zanzara, anche se fondamentalmentenon c'è nessuna differenza tra un gatto e una zanzara - di fronte ai propri monaci per dirimere una disputa, non è un fattodi tutti i giorni ed è naturale che poi questo episodio sia rimasto bene impresso a chiunque abbia voluto parlare dello zeno dei suoi metodi cosi diretti, cosi brutali.Però di episodi anche più importanti nell'aneddotica dei koan ce ne sono e noi non dobbiamo rimanere invischiati nelsensazionalismo con il quale, soprattutto all'inizio, il ch'an è stato presentato agli occidentali. Passiamo ad osservare chisono i due protagonisti principali oltre ai monaci, a questa massa di comparse; essi sono, come avviene spesso nelMumonkan, Joshu e Nansen che è il suo maestro. Nansen, questo maestro che Joshu incontra e al quale, ormai ad unacerta età, chiede di essere accettato come discepolo, e Joshu il maestro di cui sono più numerosi i koan del Mumonkan,quello che - a parte questo caso e qualcun altro, naturalmente - è famoso per il suo modo di parlare, modo di parlare chesignifica non tanto l'intonazione o il difetto di pronuncia delle parole, ma le frasi, le parole che dice quando ci sono deicasi che poi sono diventati koan, che meritano di essere commentati o che debbono avere una risposta. In questo casoJoshu non parla, agisce soltanto, compie un atto anch'esso stravagante - se può essere chiamato stravagante quello ditagliare un gatto - e così finisce la sua risposta a Nansen. Nansen, invece, si porta di fronte ai monaci e con veemenza,prendendo l'oggetto della loro disputa, lo distrugge. Praticamente elimina quello per cui i monaci stavano discutendo.Qui si parla di monaci del lato orientale, di monaci del lato occidentale come avveniva nel passato e non più adesso chei monaci nei monasteri sono pochi. Però in Giappone c’è un monastero - almeno io ne ho visto uno - in cui esistono duesale di meditazione: la sala orientale e la sala occidentale, ed è esattamente Sogen-ji nella città di Okayal.Probabilmente c'erano delle rivalità tra questi monaci, sebbene avessero lo stesso maestro, ma succede anche in altreoccasioni agli esseri umani che ci sia una competizione tra vicini.Succede con le squadre di calcio, con le squadre di altri sport, succede tra compagni di scuola, come succede tra unaclasse e un'altra della stessa scuola; soprattutto adesso che vanno a fare l'educazione fisica insieme, naturalmente questacompetizione si può esprimere ancora meglio nelle loro partite che fanno. Ma a quel tempo, a parte un certo numero dimonaci che si convertivano ed entravano in monastero soltanto per avere il cibo assicurato, c'erano dei cercatori chevolevano andare oltre la semplice competizione tra un gruppo e l'altro, tra il dire: "Noi siamo meglio di voi, noifacciamo più ore di meditazione, stiamo più fermi, risolviamo più koan, etc.", ammesso che questo potesse esserequantificato, oppure: "Noi puliamo meglio, lavoriamo di più, cuciniamo meglio" e cosi via.Questa competizione viene fuori un giorno in cui c'è un gatto ed alcuni monaci rivendicano che sia il proprio gatto, altridicono: "No, è nostro!” e naturalmente si accende una disputa. Il maestro arriva e li trova impantanati - ed è propriogiusto dire così - in questa disputa che non ha niente a che fare con i problemi per i quali erano venuti nel monastero,prende l'oggetto della disputa e dice: "Ditemi una parola di ch'an, una sola, ed io libero questo gatto". Non dice se lo dàa chi dice questa parola di ch’an, ma dice: "Ditemi una parola giusta, la parola che deve essere detta in questo momento,che mi dia l'espressione della vostra comprensione, del motivo per il quale siete qua. Se siete venuti qua soltanto perlitigare per il gatto o per gareggiare a chi è meglio a fare una cosa e chi è meglio a farne un'altra, voi avete sbagliatocompletamente. Però mi basta che ce ne sia uno soltanto che sappia il motivo per il quale è qui e io non ucciderò ilgatto". C'è un silenzio assoluto e Nansen allora taglia il gatto, taglia l'oggetto delle loro liti, un oggetto che non ha alcunsignificato intrinsecamente. Ce l'ha perché il gatto, poverino, soffre e naturalmente, recare sofferenza ad un esserevivente non è nella prassi del buddismo e tantomeno dello zen. Non dovrebbe essere nel la prassi di nessun esserevivente. Comunque! Nansen dimostra, uccidendo il gatto, la nullità degli sforzi di questi monaci che si accapigliano perqualche cosa che non ha valore, non ha valore, naturalmente, dopo che è morto e in un certo senso assurge poi a valoreperché rimane questo gesto e acquista valore più che l'oggetto, il gesto di Nansen. Joshu - e qui entra in ballo Joshu - eraappena rientrato, era andato in giro per chiedere le offerte, probabilmente, aveva ancora i sandali di paglia ai piedi, se listava togliendo per pulirsi i piedi e alla domanda di Nansen di dire una parola di zen, prende un sandalo, se lo mettesulla testa e comincia a girare così. Per cui, all'inutilità dell’oggetto per il quale si erano accapigliati i monaci Joshurisponde con l'inutilità di mettersi un sandalo in testa. Un sandalo in testa non significa niente, significa fare una cosache non ha senso, così come accapigliarsi per un gatto significa lottare per qualche cosa che non ha senso. Il gatto è sestesso, il gatto appartiene a sé, il gatto è un essere unico, non può appartenere né ai monaci orientali né a quellioccidentali. E così Joshu dimostra a Nansen di saper dire la parola di Ch'an. "Ditemi: qual’é il vero significato di Joshu che si mise i sandali in testa? Se sapete dire le parole della trasformazione,capirete che l'azione di Nansen non fu vana. Se non sapete dirle, state attenti!". Beh, questa è un'avvertenza classica di7

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Mumon che finisce col suo: "State attenti, state attenti a come vi muovete!". Attenti a come ci si muove, perché nelmondo del ch'an dare una risposta che rimanga nel mondo della discriminazione, naturalmente ci fa commettere unerrore perché parlare di Nansen, come di bene o come di male, parlare di zen come di non-zen a proposito delcomportamento dei monaci, ci porta a dare dei giudizi che non sono quelli che vengono richiesti in una domanda delmondo del ch'an. Il poema dice: "Se solo Joshu fosse stato presente avrebbe agito", e questo mi pare ovvio; "Se gliavesse agguantato la spada, Nansen avrebbe dovuto chiedergli di aver salva la vita”: Se Joshu fosse stato lì naturalmenteavrebbe saputo rispondere e avrebbe tolto la spada – la spada in senso metaforico, probabilmente Nansen aveva uncoltello da cucina, probabilmente non l'ha ammazzato affatto il gatto- ma senz'altro gli avrebbe tolto la spada, la suasuperiorità, la sua arma, di fronte a tutti gli altri monaci e Nansen, di fronte ad uno così preparato come Joshu, avrebbedovuto chiedergli di salvarlo.I koan del ch'an hanno spesso una forma molto complicata, molto difficile da comprendere, ma il momento in cui poisiamo penetrati nella loro verità ci rendiamo conto della semplicità con la quale i grandi maestri del passato hannoagito. Questa semplicità, questa capacità di penetrare nella semplicità dei problemi è quella di cui noi siamo alla ricerca,è quella che si sviluppa ,o nasce, immediatamente dalla nostra continua applicazione. Non c'è niente altro da fare chelavorare, allenarsi a prepararsi per penetrare in questa comprensione che viene richiesta dai koan.Una volta ottenuta questa saremo capaci di agire in maniera diretta così come i maestri ch'an del passato, o come queigrandi maestri quale Mumon, che abbiamo conosciuto, sono stati sempre capaci di agire.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 4 Febbraio ‘89 (sabato matt.)

Qualche giorno fa abbiamo cominciato a scaricare i blocchetti di tufo con cui costruire una piccola casetta nelbosco e oggi abbiamo cominciato a fare il disegno delle fondamenta. Fra un po', fra un mese o qualche mese ancora, cisarà un luogo in cui si potrà rimanere da soli, isolati, a praticare. Non significa questo che la pratica nel monastero cosìcome abbiamo fatto fino adesso non sia sufficiente, ma vuol dire dare una ulteriore opportunità per praticare nel modopiù diretto, più completo, più coinvolgente. Certo, molti vengono da lontano ed anche viaggiare per farsi due giorni quaa Scaramuccia può essere impossibile per il tempo che manca, per i viaggi così lunghi. Ma se si ha la volontà e la forzadi trovare il tempo e di superare il disagio del viaggio, poi si ha la possibilità di praticare, si ha la possibilità almeno diimparare a praticare perché praticare poi diventi un'attitudine del nostro cuore ed ogni luogo della nostra giornata sia poianche un luogo di pratica. Dobbiamo imparare ad essere dei veri praticanti durante ogni momento del giorno. Allora potremo venire aScaramuccia per incontrarci, per stare insieme, per fare qualche cosa insieme, per godere del luogo e della compagnia,ma saremo capaci di praticare dovunque: in mezzo alla folla, in cima a una montagna, sull'autobus per andare alavorare. Certo, il fatto di essere venuti fino a qui, ormai per quasi nessuno è più la prima volta, anzi, significa che lavolontà di penetrare nella pratica e diventare tutto uno con essa da parte nostra non manca altrimenti non ce nestaremmo a gambe incrociate per delle notti intere mentre altri nel mondo le notti le passano in maniera diversa. Non èdetto che quella maniera diversa sia migliore della nostra e non vogliamo assumere un'aria di sacrificio, ma certo, certocon gli occhi spalancati, consapevoli che le cose che valgono veramente si possono guadagnare solamente con il nostrosforzo, proviamo a farlo. E il momento in cui la forza per tenere duro dovesse allentarsi un momento, il momento in cuidecidiamo che non c'è bisogno di lottare tanto perché le cose poi avvengono da sé, in quel momento le cose avvengonoe, come disse il Buddha Sakyamuni nel vedere la stella del mattino, potremo esclamare: ''Che cosa meravigliosa, tuttigliesseri indistintamente possiedono la natura di illuminazione! Noi vediamo la nostra natura di illuminazione e la naturadi illuminazione di tut ti gli esseri".

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 4 Febbraio '89 (sabato sera)----------------------------------------------

Pochi giorni prima di morire Mumon Roshi si è fatto portare pennello e carta per scrivere la sua ultima poesia.Così è scritto in una lettera che è arrivata qualche giorno fa. La sua poesia, che io ho letto in inglese, recita:"Per la liberazione di tutti gli esseri non rimane altro da fare.Tutto quello che c'era da dire è stato detto e non rimane niente altro da dire.Non parole, non forme, soltanto abbandonare ogni cosa da una parte al1 'altra del cielo e della terra".Arrivato alla fine della sua vita e della sua missione, il maestro ha detto che ormai quello che aveva da dire lo ha detto,ma importante è comprendere questo “abbandonare ogni cosa”. Certo, arrivati alla sua età, 89 -90 anni, ormai non sidovrebbe rimanere attaccati a qualche cosa; già soltanto l'età porta da se stessa a un distacco dal mondo che è poi queldistacco che ci fa abbracciare tranquillamente la morte. Però, se l'ha scritta, non l'ha scritta certamente per sé, ma l'hascritta perché ci si possa meditare sopra e comprendere come non ci possa essere salvezza né per noi né per gli altri sec'è l'attaccamento, se c'è la voglia, la volontà di fare presa su qualche cosa. Ogni cosa deve essere lasciata, dice "da unaparte all'altra del cielo e della terra".Nella sua poesia di satori, di illuminazione, il maestro Mumon scriveva:"Tutte le cose sono comprese nella mente universale. Così ha detto la fresca brezza del mattino".

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Alla fine della vita la comprensione che non c'è niente da tenere, tutto deve essere lasciato! All'inizio della vita vera-possiamo dire - c'è una comprensione delle cose come sono veramente: esistono e le si vede che si interconnettonol'una con l'altra in una sola mente universale.Il maestro aveva fatto zazen fino al mattino e il mattino, con la brezza fresca che c'era ormai anche se la notte era statamolto calda, questo fresco: basta una ventata e fa riconoscere, muovendo le foglie degli alberi o dei fiori o delle piantein genere che si stagliano contro l'immobilità degli oggetti fissi qua1i le pietre, i muri e le pareti delle case, fariconoscere come tutto quanto sia compreso in un'unica mente universale. Da questa comprensione viene poi la capacitàdi distaccarci da tutte le cose. Quando noi 'siamo compresi a pieno titolo in tutte le cose,’ siamo tutte le cose, alloraabbandonare non è poi cosi difficile, perché non c’è niente da tenere e non c'è niente da abbandonare, siamo una cosasola con la mente universale che non tiene e che non abbandona.Anche noi proviamo a sederci fino al mattino; non aspetteremo la brezza fresca perché, pur non essendoci il vento, ilfresco c’è ugualmente.Ma per ognuno, il modo di realizzare, di fare il satori, è di verso nella forma esteriore, però qualsiasi sia la formaesteriore, auguriamoci di riuscire anche noi, prima del mattino, a realizzare quello che il Roshi Mumon ha realizzato ecioè vedere come tutte le cose siano comprese in una mente universale, unica, e di conseguenza essere in grado di diretutto quello che possiamo per la salvezza di tutti gli esseri.

SES$HIN MESE DI MARZO 1989 (3, 4, 5 marzo)SESSHIN KOKUHO 3 marzo '89 (Venerdì sera)---------------------------------------------------------------

L'inverno del I989, questo inverno, se non sarà il primo di una lunga serie che preannuncia una catastrofemondiale, lo ricorderemo per la sua siccità, per aver visto in una stagione in cui le montagne dovrebbero essere con laneve e le campagne dovrebbero essere bagnate dalla pioggia, aver visto queste montagne asciutte, completamentesecche e così le campagne, e i fiumi diventati quasi dei ruscelli. Di fronte a un tempo atmosferico che continuava apresentarsi ininterrottamente ugua1e, può averci preso lo sgomento che fosse sempre così, e che le montagne nonsarebbero più state coperte dalla neve e le campagne non sarebbero più state bagnate dalla pioggia. Poi, invece, è cadutala neve, è caduta la pioggia.Quanta, ·se tanta o poca - non l'ho misurata - però quello che voglio dire è che pensiamo che la vita, che la nostraesistenza scorra in un certo modo sempre; siamo abituati a fare i conti con valori secondo noi immutabili: quando siamosani pensiamo che esista soltanto la sanità, quando siamo malati pensiamo che esista soltanto la malattia. E soprattutto,nella cecità in cui viviamo quasi regolarmente, pensiamo che non vederci chiaro, non avere idea di che cosa stiamoveramente facendo su questa terra sia la norma. Invece le cose possono cambiare. Ognuno di noi probabilmente difronte ad un inverno come questo, avrà pensato che ormai la neve non sarebbe più caduta. Mi hanno detto dei vecchidell'Abetone che nel 1946 non nevicò mai, per cui avrebbe potuto succedere ancora.Potrebbe succedere che noi rimaniamo senza risvegliare la nostra natura di Buddha per tutta la vita. È successo, succedecon qualcuno. Ma se si crede fermamente che noi siamo in possesso della natura di Buddha e che questa natura diBuddha si può risvegliare, questo può avvenire da un giorno all'altro. In un cielo completamente sereno, a un certopunto, cominciano ad accumularsi le nuvole e viene la pioggia o la neve, a seconda dei casi. Il paesaggio cambiacompletamente: dalla primavera in cui eravamo immersi, passiamo all'inverno più freddo. Così, come quello che ciinteressa maggiormente, per noi è passare dall'oscurità in cui la nostra natura di Buddha è completamente sommersadagli atti così privi di importanza che ogni giorno compiamo, viene fuori e si risveglia e dà valore a tutti quegli atti cheimprovvisamente assumono importanza e diventano così veri, così creativi, così validi. Il momento in cui cominciamo adisperare completamente che non riusciremo mai a fare qualcosa, in quel momento, se diciamo a noi stessi: "Proviamoancora", ecco, forse proprio allora la nostra natura di Buddha riesce a venire alla luce e a renderci chiara tutta la nostravita. Queste cose avvengono, come hanno insegnato i maestri del passato, istantaneamente. Le nuvole ad accumularsinel cielo impiegano un po' più di tempo. I meteorologi cominciano ad avvistarle da lontano, ce le fanno vedere intelevisione con i loro computer e poi, se tutto va bene, il giorno dopo comincia a succedere quello che era stato previsto.Ma per quello che riguarda la nostra illuminazione, il nostro satori, questo avviene da un secondo all'altro. Un secondostiamo nel buio più completo, il secondo dopo siamo nella luce più meravigliosa. E questo è quello che dobbiamocredere fermamente. Dobbiamo credere nella nostra capacità di aprire la luce nel momento in cui ne abbiamomaggiormente bisogno.

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI 4 marzo ‘89 (sab. matt.)-----------------------------------------------

In un'officina, sotto una foto da manifesto di donne nude, il padrone dell'officina dove ci lavorano alcunioperai, ha scritto in grande:"Prima di aprire la bocca accertarsi che il cervello sia acceso!".Dovrebbe essere una frase illuminata che rivolta ai propri dipendenti li stimoli ad agire nel modo migliore per se stessie, di conseguenza, anche nella vita. Ovviamente, malgrado la frase possa essere illuminata, il pensiero del padrone èrivolto alla propria convenienza, ma lasciando da parte le intenzioni del padrone, prendiamo la frase per quello che èproprio perché si possono raccogliere frammenti di saggezza in qualunque angolo di strada, cerchiamo di farla nostra.9

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Accendere il cervello significa in questo caso, per noi, che dovremmo muoverci ad agire come parlare, soltanto quando- e questo lo diceva anche il Maestro Mumon - quando si è aperto il nostro occhio di illuminazione. Se noi, al contrario,volessimo agire con quest'occhio chiuso, provocheremmo soltanto altra confusione nella confusione. Possiamo fare ameno di agire, di parlare, di decidere, di giudicare con il nostro occhio di illuminazione spento? Sembra di no, perchénoi stessi, l'umanità che ci circonda continua a produrre in continuazione, senza che ci sia il cervello acceso e spesso,nella maggioranza dei casi, senza arrivare alla chiarezza che viene dalla natura di Buddha, ma soltanto quella chiarezzache dovrebbe venire da una comprensione logica delle cose che ci sono di fronte. Dobbiamo - viene da dire dobbiamo -anche perché non ci dovrebbe essere altro da fare; sempre questo imperativo di dover cambiare le cose sbagliate che cisi pongono di fronte. Però, che cos'altro fare? Dovremmo? Porlo al condizionale? E per cui lasciare che questocambiamento si prolunghi così come quando diciamo: "Sì, è vero, devo cambiare ma lo farò domani". Sì, dobbiamodircelo chiaramente, c’è da fare qualcosa immediatamente perché il nostro comportamento, il nostro atteggiamento neiconfronti delle cose cambi. Avere la capacità di fermarci prima di aprire la bocca, per accertarci che il nostro occhiochiaro, quello che vede chiaramente le cose, sia acceso, sia realmente chiaro. Allora, con quella chiarezza che ci vieneda questa apertura, parlare, fare e continuare nel fare se questo ci sembra giusto.

MUMONKAN = CASO N. I6IL SUONO DELLA CAMPANA E LA VESTE DA MONACO(pag. 126)-----------------------------------------------------------------------------

KOAN

Unmon disse: "Guardate! Questo mondo è ampio e vasto. Perché indossate la veste da monaco al suono dellacampana?"

COMMENTO DI MUMON

Studiando lo Zen e disciplinandosi in esso bisogna evitare rigorosamente di seguire i suoni e di attaccarsi alleforme. Anche se si può essere illuminati ascoltando un suono, o si può render chiara la propria mente vedendo unaforma, questo fa parte del normale corso delle cose. Nulla da dire nemmeno se un uomo Zen riesce a impadronirsi deisuoni e a controllare le forme, e in questo modo può vedere la realtà di ogni cosa ed essere meravigliosamente libero intutto ciò che fa. Può essere così, ma ditemi: "È il suono che giunge al vostro orecchio o il vostro orecchio che va alsuono? Anche se riuscite a trascendere il suono e il silenzio, come parerete di questo fatto? Se ascoltate con l'orecchionon realmente afferrarlo. Quando sentirete con l'occhio, potrete afferrarlo veramente.

POESIA DI MUMONSe capisci "ciò", tutte le cose sono Uno;Se non lo capisci, sono differenti e separate.Se non capisci "ciò", tutte le cose sono Uno;Se lo capisci, sono differenti e separate.

TEISHO 4 Marzo I989 (Sabato sera)-----------

Questo koan di Unmon, come lo sono tanti di Unmon, è senz'altro uno dei più interessanti perché evidenzial'adattabilità di colui che ha fatto l'illuminazione; e cioè dei monaci zen che sono lì a sedere e che dovrebbero esseredegli esseri completamente liberi, padroni di muoversi come vogliono, si comportano come delle pecore in quanto,quando suona la campana, tutti quanti velocemente si vestono e corrono ad eseguire la cerimonia che la campana hasignificato. Allora ci si potrebbe chiedere: "Dov'è la libertà di questi monaci se si muovono così pecoronamente dietroal suono di una campana? Sono lì veramente per raggiungere l'illuminazione e una volta raggiunta l'illuminazionediventare una sola cosa con la libertà, diventare esseri liberi e perciò in grado di muoversi liberamente in qualsiasidirezione, oppure questa illuminazione serve a renderli dei robot che poi quando vengono chiamati eseguono gli ordinia bacchetta?Il koan vuole proporre questo problema e naturalmente è un problema in qualche modo non risolvibile perché come tuttii koan vive della contraddizione e della separazione. I koan si alimentano per mezzo della separazione tra la realtàassoluta e la realtà relativa. Quando noi viviamo in una realtà, naturalmente eliminiamo l'altra, e viceversa.Il koan si pone in mezzo fra queste due realtà e ci chiede in continuazione: "È bene essere completamente liberi?", e senoi diciamo "Sì" dice: "Allora perché quando suona la campana non siete liberi?". E se invece ci chiede: "Allorabisogna essere completamente ubbidienti, cioè mettere da parte la libertà e immergersi completamente nel mondo dellecampane e degli ordini?". Se noi diciamo "Sì", allora dice: "Ma perché state lì a praticare la meditazione per diventareliberi, se basta diventare dei soldati e i soldati sono addestrati ad ubbidire e non sono addestrati ad essere liberi, apensare liberamente?"Ecco quello che il koan ci pone: la capacità di essere liberi e nello stesso tempo di essere invece inquadrati edubbidienti, ossequienti ad ordini che vengono dall'esterno. Bene, questo lo possiamo mettere nel nostro cuore e lasciare10

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che la risposta, quando sarà pronta, venga fuori. Certamente il praticante del monastero ch'an come era Unmon e comeerano i monaci ai quali si rivolgeva, riesce a vivere sia nel mondo assoluto sia nel mondo della relatività, e perciò sirende conto che ci sono delle azioni da compiere durante la giornata che, avendo un corpo, naturalmente attengono almondo della relatività e vanno fatte: come si mangia, come si va al gabinetto, come ci si riposa, come si lavora, e cosìvia. Naturalmente, entrando in una società gerarchica ci saranno delle regole da seguire e queste regole, una voltaaccettate, vanno osservate per il buon andamento di quella società nella quale si è chiesto di entrare o si è dovutoentrare. Ma tutto questo appartiene a una irrealtà, ad un sogno, ad un mondo che non ha alcun fondamento e continua avivere anche in un mondo in cui tutto questo non esiste, veramente.Ecco, questo è il praticante di ch'an.Mumon nel suo commento dice: "Studiando lo Zen e disciplinandosi in esso bisogna evitare rigorosamente di seguire isuoni e di attaccarsi alle forme. Anche se si può essere illuminati ascoltando un suono, o si può render chiara la propriamente vedendo una forma, questo fa parte del normale corso delle cose. Nulla da dire nemmeno se un uomo zen riesce aimpadronirsi dei suoni e a controllare le forme, e in questo modo può vedere la realtà di ogni cosa ed esseremeravigliosamente libero in tutto ciò che fa. Può essere così, ma ditemi: è il suono che giunge al vostro orecchio o ilvostro orecchio che va al suono? Anche se riuscite a trascendere il suono e il silenzio, come parlereste di questo fatto?Se ascoltate con l'orecchio non potete realmente afferrarlo. Quando sentirete con l'occhio, potrete afferrarlo veramente".È abbastanza chiaro, è abbastanza semplice, anche se Mumon nel suo commento cerca di porci anche lui deitrabocchetti. Quello di volersi chiedere se il suono giunge al nostro orecchio o il nostro orecchio va al suono, questoappartiene al mondo della relatività se noi poniamo una separazione tra noi e il suono. È ovvio che nel mondodell'assoluto tra noi e il suono non c'è nessuna differenza, e per cui non c'è chi va da una parte e chi va dall'altra: c'è ilsuono, ci siamo noi nel suono e il suono è in noi. Nel suo poema dice una cosa e il contrario di quella stessa cosa. “Se capisci "ciò" - se capisci quello che vuole direUnmon - "tutte le cose sono Uno; se non le capisci, sono differenti e separate". Poi dice tutto il contrario: "Se noncapisci ciò, tutte le cose sono Uno; se lo capisci, sono differenti e separate". Siamo sempre nel mondo dellecontrapposizioni e in questo mondo di contrapposizioni noi naturalmente viviamo giornalmente, ci confrontiamogiornalmente e con la nostra mente di praticanti di ch'an dovremmo saperci entrare ed uscire senza esserne bruciati,senza esserne feriti, senza esserne tarpati. Dovremmo ridere quando c'è da ridere, dobbiamo piangere quando c'è dapiangere, ma sempre rendendoci conto che questo ridere e questo piangere appartengono a un mondo che, in effetti, nonè il nostro vero mondo, viverlo completamente eppure viverlo con il distacco che richiede un sogno che noi durante lanotte, mentre riposiamo, viviamo intensamente.

ESORTAZIONI FINALI 5 Marzo ’89 (Domenica matt.)-------------------------------

Era da ottobre forse che, durante la notte della sesshin non si aveva un clima cosi favorevole. Sapendolo,avremmo potuto rimanere seduti di fuori tutta la notte, ma questo non è tanto importante. L'importante è che ci siaqualcuno che ancora ha voglia, forza e determinazione per venire a sedersi dentro o fuori che sia. Sedere dentro o fuorinon è fondamentale. Fondamentale è sedersi, sedersi da soli e poi, durante le sesshin, sedersi insieme agli altri. Forsedopo che si è venuti a qualche sesshin si pensa che il lavoro possa essere proseguito a casa, forse le cose che si fannoqui poi, insomma, una volta fatte si è capito tutto. Non si capisce niente, non si capisce mai abbastanza.Adesso è marzo, è arrivata la primavera e rivediamo delle cose di cui durante l'inverno, c’eravamo dimenticati. Noistessi ci lasciamo prendere con facilità da quello che abbiamo sotto gli occhi dimenticando che quello che abbiamosotto gli occhi è un sogno e non vediamo attraverso quello che abbiamo sotto gli occhi per vedere la realtà intrinseca ditutto. Ci accontentiamo di due gambe che camminano, di due mani che prendono le cose, degli occhi che vedono, dellabocca che mangia, delle orecchie che ascoltano e pensiamo che il mondo sia tutto questo qua. È pieno, è pieno di esseriche, siccome riescono a riprodurre le funzioni di un robot, pensano di essere realizzati, degli esseri umani: “io sono unuomo, io sono una donna", senza sapere qual' è il senso vero da dare a queste parole: "Sono un uomo libero, sono unadonna libera".La cecità, come una cappa di piombo, è intorno alla maggior parte del genere umano. Venendo alle sesshin si prova avoler squarciare questa cappa di ignoranza, ignoranza che è la causa iniziale del nostro essere avviluppati a questomondo di …..L'augurio è che con la primavera e l'avvento di una buona stagione - come si usa definirla - ci sia anche da parte se nonaltro del mondo di Scaramuccia, la voglia e la capacità, oltre alla determinazione, di lavorare con maggiore intensità allapropria chiarificazione.

SESSHIN· MESE DI APRILE 1989 (7, 8, 9 Aprile)SESSHIN KOKUHO 7 Aprile ‘89 (Ven. sera)---------------------------------------------------------------

Mi è capitato spesso di paragonare la sesshin ad una scalata in montagna. Nel passato, in Oriente, spesso laricerca spirituale è stata presentata come l'ascensione a una montagna fino al punto culminante dove non si può piùsalire e dove finalmente si è al cospetto di se stessi. Ma molto più semplicemente, avventurarsi in una sesshinassomiglia un po' ad andare a fare una scalata in un luogo sconosciuto, soprattutto all'inizio e ogni volta, anche se ormai11

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le scalate in luoghi sconosciuti per me non sono una volta alla settimana, però. ogni mese c'è la sesshin che viene edogni mese sento un po' come quando da ragazzo andavo in montagna con i pullman del CAI partendo alle cinque dimattina, sento già dal giorno prima, da due giorni prima, che sta per succedere qualche cosa, che partirò, che farò unviaggio e che andrò in un luogo forse un po' conosciuto, però un luogo che pur conosciuto potrà presentare dellesorprese perché ci si avventura nell'ignoto e allora c'è questo piacere sottile, questa attesa, questa trepidazione dilasciarsi andare all'avventura di attraversare una notte e aspettare poi, pur vivendo la notte come avventura, vivendolamomento per momento, anche, in fondo, un desiderio di arrivare alla fine, così come durante la scalata di una montagnaci si gode ogni momento della scalata e però c'è questa voglia, alla fine, di arrivare in cima, di toccare la cima perché sisa che una volta toccata la cima è finito, poi da lì non si deve fare altro che scendere, che ritornare indietro, quello chedovevamo fare lo abbiamo fatto. L'ultima gita che abbiamo fatto in montagna è stata una gita che, in fondo, è stata comeuna sesshin di kin-hin: si facevano tanti. khin-hin e ogni tanto ci si sedeva, all'incontrario di qua che tante volte si staseduti e ogni tanto si cammina. In una notte abbiamo attraversato la montagna, attraversato la valle, salite duemontagne, percorso delle creste, discesi, fino a che la mattina alle dieci eravamo in fondo, dopo esser partiti alle otto disera, anzi un po' prima. La notte è stata costellata da momenti di paura, da momenti in cui sembrava di non farcela, damomenti in cui abbiamo pensato che forse conveniva tornare indietro, di freddo, di attesa di finire, di faticanaturalmente, di stanchezza , momenti in cui ci saremmo sdraiati a dormire se non fosse stato così freddo. La sesshin èla stessa cosa e, a differenza della scalata in montagna che in fondo è una gita, un qualche cosa in più rispetto a quelloche facciamo nella vita di tutti i giorni, la sesshin è lo sforzo di rendere reale la vita di tutti i giorni, è elevare a potenzala vita di tutti i giorni in modo che da questa elevazione a potenza possa venire fuori quella comprensione che nella vitadi tutti i giorni non riusciamo ad ottenere. Dalla montagna ci aspettiamo il piacere di una avventura, il piacere di vedereluoghi non conosciuti, panorami, e in fondo, il piacere di mettere alla prova il nostro corpo. Qui c’è tutto questo ma c'èanche di più: c'è che deve venir fuori qualche cosa, quel qualcosa di cui siamo alla ricerca più o meno disperatamente,con più o meno determinazione. Allora la sesshin, a differenza della montagna, ha questa mancanza di avventura sportiva, ma senz'altro ci ricompensa con un'avventura mentale che per la nostra vita ha molto più valore di quanto l'abbial'avventura sportiva.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 8 Aprile ’89 (sab. matt.)-----------------------------------------------

In questi ultimi tempi in cui ho ripreso a praticare e ad insegnare yoga e tai-chi qui a Orvieto e a Terni, parlo edinsisto spesso sulla respirazione, su questo ritmo che ci collega direttamente al ritmo dell'universo, di questo soffiovitale, questa che è sia qualcosa che noi sentiamo come una musica ed anche fondamentalmente qualcosa di chimico edi fisico, una reazione come quella di cui abbiamo sentito parlare di questi tempi, di Fleishmann e Pons sulla fusionefredda, una reazione chimica che ci mantiene in vita così come mantiene in vita le stelle ed i pianeti dell'universo. Ma cimantiene in vita come? Perché tutti gli esseri respirano, almeno gli esseri umani, gli animali e le piante.Ma che cosa distingue un essere umano da un animale, da una pianta? Forse il modo in cui respira, il modo in cui è nelrespiro. Essere nel respiro in modo da sentirsi senza separazione con il resto dell'universo. Lo dico agli allievi di yogaricordando il significato del termine yoga che significa essenzialmente unire, affinché concentrandosi giustamente sulrespiro possano sentire questa unione che non si sente se abbracciamo una persona, se ci immergiamo nell'acqua o cifacciamo toccare dal vento. Questo modo di sentirci uniti all'universo attraverso il respiro è, probabilmente, il piùdiretto. Senza dubbio possiamo, cosi con questi pochi mezzi - e qui ritorniamo agli esperimenti artigianali di quei duechimici a differenza dei fisici che invece utilizzano quelle macchine quasi galattiche - con questi semplici mezziartigianali così a portata di mano da poter fare nella cucina di casa nostra, riusciamo a compiere un esperimento che cipermette di avere l'energia, e che energia! A basso prezzo e senza inquinamento e senza soluzione di continuità. Nonfinisce mai! Allora, una sesshin può essere anche l'opportunità per ripetere, ognuno per sé, l'esperimento dell'energiapulita a basso prezzo.

MUMONKAN =CASO I8° - LE TRE LIBBRE DI LINO DI TOZAN (pag. 138)-------------------------------------------------------------------

KOAN

Un monaco chiese al Maestro Tozan: "Cos'è il Buddha?" Tozan disse: "Tre libbre di lino".

COMMENTO DI MUMON

Il vecchio Tozan aveva studiato un po' di Zen-mollusco, e aprendo di poco il guscio mostrò il fegato e gliintestini. Può essere così, ma ditemi: dove vedete Tozan?

POESIA DI MUMON "Tre libbre di lino" sono scagliate!

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Page 13: Testo trascritto da Ileana Seikyū - Franco Shihan (24 ...Questo, anche se ci si ripete, perché lo sono quasi tutti i koan del Mumonkan, è uno dei koan più famosi e riguarda il

Le parole sono essenziali, e ancor più lo è la mente.Chi parla di giusto e sbagliatoÈ un uomo di giusto e sbagliato.

TEISHO 8 Aprile 1989 (sab. sera)-----------

Qui siamo, ovviamente, a una domanda classicissima. Sembra che i monaci, i maestri del passato, si sianoavventati su questa domanda: "Cos’è il Buddha?" più che “Chi è il Buddha?", nello stesso modo in cui i bambini ad unacerta età cominciano a fare domande in continuazione, a chiedere le cose più evidenti, anche quelle che hanno di fronteagli occhi, ma sentono impellente il bisogno di chiedere: "Perché questo? Perché quello?" e naturalmente lo chiedono.Così avviene per un certo periodo per questa domanda. Tutti quanti chiedono: "Cos'è il Buddha?".Le risposte sono innumerevoli ed ognuno dei maestri ai quali è stata rivolta, ha risposto a modo suo. Qui abbiamo larisposta di Tozan, che è una risposta molto classica sulla quale si sono scervellati molti professori: potete leggere icommenti di vari professori nelle varie edizioni del Mumonkan che ci sono state nel mondo e senz'altro ognuno di lorodarà un'interpretazione di questo "Tre libbre di lino".Possiamo anche dire: "tre etti di lino", "tre grammi di lino", etc. Il monaco va da Tozan e gli chiede cos'è il Buddha equello risponde: "Tre libbre di lino". Allora qualcuno si è messo a pensare intorno al fatto che sia tre, e con questovoglio dire che il Buddha è i tre: il Dharmakaya, il Sambogakaya e il Nirmanakaya. Qualcun altro avrà pensato altrecose ancora più cervellotiche.La natura dei koan, in genere, è molto semplice, anzi nasce dalla semplicità, nasce dalla naturalezza con la quale imaestri vivono ed agiscono. Dei due sicuramente il monaco che va a chiedere a Tozan - con tutte le ragioni che puòavere di voler conoscere, di aprirsi all'illuminazione - è sicuramente uno un po' tonto perché, a parte che le domande ingenere ai maestri zen non si fanno, una domanda così è una domanda che non va assolutamente fatta. È ripetitiva perchétanti altri l'hanno fatta prima e poi, che cosa si aspetta che gli risponda Tozan? “Cos'è il Buddha?", e quello che gli dice? Che è una statuetta di Buddha? Gli spiega che il Buddha è quello che qualchecentinaio di anni prima è nato e ha predicato il Dharma che loro stanno ora praticando? È quello che ha fondato lacomunità? Chi è questo Buddha? Che spiegazione gli può dare? E quello vuole il Buddha storico? Vuole sapere checos'è il Buddha immanente? Si riferisce alla natura di Buddha, alla natura di illuminazione che abbiamo tutti? Chevuole?Tozan non si lascia fregare e dice sicuramente la prima cosa che gli viene in mente: "Tre libbre di lino". Il nostro grandissimo maestro Lin-Chi, in altra occasione, a chi gli faceva la stessa domanda rispose: "Il bastoncino pernettare gli escrementi". Beh, insomma, mi pare che ha raggiunta un'altezza mai più toccata. Ecco che cosa è il Buddhaper Lin-chi. Certo! Quando noi cominciamo a parlare di Buddha, questo Buddha è un Buddha che è al di fuori di noi;quando noi lo cerchiamo nella maniera in cui lo cerca il monaco, che Buddha è? Non è il Buddha vero, il Buddha di cuisiamo compartecipi posiamo dire, a cui siamo legati indissolubilmente per mezzo della nostra natura vera; parliamo diun Buddha così, come si parla di un attore, come si parla di un cantante, di un politico o di una persona importante,nota, di successo, ma che comunque con noi non ha niente a che fare.E allora, proprio perché c'è questo nostro parlarne così superficiale - così come avviene per il monaco probabilmente,che rimane sconosciuto – anche Tozan ha il piacere di mettersi sul piano di chi lo interroga e chiamarlo 'Tre libbre dilino'. Avrebbe potuto chiamarlo 'tre mele', ‘’due mele, 'una mela', 'un chilo di mele', e così via."Il vecchio Tozan”, dice Mumon nel suo commento, "aveva studiato un po' di Zen - mollusco, e aprendo di poco ilguscio mostrò il fegato e gli intestini. Può essere così, ma ditemi: Dove vedete Tozan?" Mumon lo paragona adun'ostrica che apre un po' e, naturalmente, aprendosi un’ostrica mostra tutto di se stessa. Qui dice gli intestini e il fegato,ma insomma, dentro l'alveo del mollusco si svolgono tutte le funzioni e certo uno vede tutto. Anche Tozan, secondoMumon, ha mostrato tutto e Mumon con spirito demolitore vuole sapere dove sta Tozan veramente, dove è, che fine hafatto. È rimasto seppellito nelle sue tre libbre di lino o ancora vive?.Il poema dice: ‘"Tre libbre di lino" sono scagliate!'. Cioè: ecco una risposta che è stata scagliata forte perché, comepossiamo vedere, è arrivata fino a qui, per cui la forza con la quale Tozan l'ha spedita è veramente notevole. "Le parolesono essenziali, e ancor più lo è la mente. Chi parla di giusto e di sbagliato è un uomo di giusto e sbagliato." Beh, certo!Chi parla di calcio è uno che si interessa di calcio, chi parla di politica è uno interessato alla politica, è uno di politica edi calcio; chi parla di arrampicata è uno di arrampicata, e così chi parla di giusto e di sbagliato è uno che appartiene alregno del giusto e dello sbagliato, al regno dei burocrati della politica, dei burocrati della religione. Parlare di giusto esbagliato non ha niente a che vedere col giusto e sbagliato! È come il monaco qui che vuole parlare di Buddha o sentirparlare di Buddha. Parlarne così, che senso ha? E così possiamo catalogarlo tra quelli che parlano di giusto e disbagliato.Noi, invece, dobbiamo sviluppare una mente che non sia attaccata al giusto e allo sbagliato, una mente che sia capace-secondo le ore, secondo i giorni: secondo le stagioni- di camminare libera portandosi dietro il proprio corpo, coltivandoquando c’è da' coltivare, divertendosi quando c'è da divertire, lavorando quando c'è da lavorare.

ESORTAZIONI FINALI 9 Aprile 1989 (Dom. matt.)--------------------------------

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Siamo arrivati alla fine della sesshin, alla fine - se stringiamo bene - di poche ore di pratica veramente intensa.Ho visto qualche giorno fa in televisione un'intervista a delle persone che tengono un'azienda di agriturismo e dicevanoche vogliono offrire ai propri clienti cibo sano, aria pura, la possibilità di rilassarsi e di stare tranquilli in mezzo allanatura. È uno scopo giustissimo ed è bene che a poco a poco l'agricoltura si trasformi. Ma a Scaramuccia si è semprerifiutata l'idea che si possa venire qui a trovare l'aria pura, a trovare la tranquillità, a trovare il cibo genuino. Se ci stannobene, ma non è questo lo scopo dell'esistenza di questo posto. Come nel Vimalakirti-Sutra dice chiaramente il Buddha:"L'offerta del Dharma è l'offerta più alta che possa essere fatta". A Scaramuccia, si può trovare il Dharma e tornando acasa, chi più lontano chi più vicino, sarebbe bello, sarebbe un successo, se ognuno dei partecipanti riuscisse a portarsivia un pezzo di Dharma - ammesso che possa essere fatto a pezzetti - possa aggiungere alla sua quantità dicomprensione del Dharma un altro piccolo pezzo. Ecco, questo è l'augurio che può essere fatto, che io mi ripetocontinuamente nel cuore nei confronti di quelli che vengono a praticare a Scaramuccia: trovarci quella quantità diDharma di cui si ha bisogno per poter continuare ad andare avanti fino alla prossima sesshin e fino al momento in cui ilDharma che si ha è sufficiente perché ci siamo immersi completamente in esso, o in essa, tanto da poter viveretranquillamente anche senza Scaramuccia come luogo di ritiro.Non ci sono altri doni che possono essere ricevuti, o fatti, che superino questo qui. Per cui, anche se passare una notteseduti - fortunatamente senza il freddo che c'è stato nei tempi passati - può metterci in crisi, può essere faticoso efrustrante, almeno ci sia la possibilità di portarsi via qualche cosa di inestimabile, qualche cosa di indistruttibile come èappunto la comprensione del Dharma, altrimenti questo luogo non avrebbe alcuna ragione di esistere. Cioè, potrebbefare l'agriturismo, ma non è questo lo scopo per il quale esiste.

SESSHIN MESE DI MAGGIO ( 5, 6, 7 Maggio 1989)

SESSHIN KOKUHO 5 Maggio ‘89 (Ven. sera)--------------------------

Sesshin di maggio! Quest'anno, dopo tanti tentennamenti, la stagione ha deciso di essere quella giusta, anche senon possiamo essere noi a stabilire quando la stagione è giusta o sbagliata. Così il tempo sereno, la temperatura nonfredda, poco vento, il cielo tutto stellato, quasi quasi come mi ricordo bene diceva Mumon nelle sue esortazioni "iltempo migliore per sedersi. Non è caldo, non è freddo. Il corpo, perché è importante che il corpo si possa mettere bene,si situa nella condizione migliore, non è disturbato, perciò la mente può dedicarsi soltanto alla concentrazione, allapratica del koan. Bene, le condizioni del tempo ci sono, noi siamo qua che ormai aspettiamo non tanto che vengano glialtri, ma aspettiamo che venga la sesshin perché siamo già abbastanza per fare una sesshin da noi. Ormai quelli chesiedono nello zendo giornalmente sono più di quanti se ne riescano a mettere insieme durante le sesshin, quasi quasi. Eallora praticamente tutte le sere, tutte le mattine, possiamo sederci e continuare - aspettando quella nuova - la sesshinche si è interrotta il mese prima.I cuori, come dice la parola sesshin, vanno messi insieme e una volta messi insieme, non aspettare che qualche legge cidia il permesso di divorziare. Quando abbiamo deciso di mettere insieme i nostri cuori è bene che questo atteggiamentonon venga abbandonato. Pensiamo che non facendolo questa volta lo potremo fare il prossimo mese, lo potremo fare unaltro mese ancora, ed i mesi passano e in noi si stabilisce una torpidità, una pigrizia che è sempre più difficile superare.Quella pigrizia, solo quella pigrizia, che ci impedisce di rivelarci la natura di illuminazione che è in noi perché poi, allaluce di questa rivelazione, si possa procedere attraverso le tempeste del mondo con il timone ben saldo nelle mani. Chi èqui, il cuore della sesshin probabilmente lo mantiene e continua a tenerlo ben sveglio. E allora, per questi due giorni chestiamo a sedere, a praticare, a lavorare, a mangiare, e quel poco pure a dormire, cerchiamo di far venire fuori la nostravera natura. Così come l'erba che sembrava non dovesse uscire dopo un inverno siccitoso, adesso spinge e si innalza inalto cercando di superare il filo che le è vicino, anche noi cerchiamo di aprirci un varco in mezzo a tutte le difficoltà earrivare a toccare il sole. Chissà? Tutti - quei cinquantasei milioni di italiani - meno dieci - che sono in giro per l'Italia ofuori dell'Italia, avranno un metodo migliore del nostro per trovare la natura di Buddha? Certe volte viene dachiederselo, ma è soltanto un momento e poi non rimane niente altro da fare che sedersi, sedersi e sedersi. E poi,sicuramente, qualche cosa succede. (quelle cose che noi vorremmo scriverci sopra non le potremmo scrivere) non chiaroUna mente vuota, nel senso di libera, capace di liberarsi dalle pastoie in cui di tanto in tanto ci troviamo.E Joshu, così anziano, così svelto, così maestro, senz'altro è una figura che possiamo prendere a modello per potercistimolare ad andare avanti nella nostra pratica.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 6 Maggio ’89 (Sabato sera)----------------------------------------------

Un medico famoso, professore universitario specializzato in autopsie, racconta che spesso viene fermato operlomeno interpellato, da persone che lo conoscono, di trenta, quaranta, cinquant'anni i quali gli chiedono che cosa fareper una certa malattia o per non prendere delle malattie, per mantenersi in buona salute. Il medico risponde loro di nonpreoccuparsi. E perché non preoccuparsi'? "Perché" dice, "sezionando i cadaveri degli esseri umani, dei cani, dei gatti edi altri animali, si può vedere che non c’è nessuna differenza tra questi animali e gli esseri umani. Gli animali vivonotranquillamente la loro vita senza mai starsi a preoccupare di non prendere le malattie, tanto più lo dovrebbero fare gliesseri umani, che sono più avanzati e che hanno più possibilità di questi. Dice: "L'unico modo per non lasciarsi prendere14

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dalle malattie è non pensarci, non pensare di doversi ammalare, andare avanti per la propria vita facendo attenzione cheil corpo faccia tutto quello che deve fare, ci pensa da sé! Meglio del proprio corpo, nessuno sa fare le funzioni che devesvolgere. Anche noi, come quelli che si rivolgono a questo medico, abbiamo avuto nella nostra vita - o avremo se siamomolto giovani - la preoccupazione di non ammalarci o di guarire di qualche malattia che ci ha colpito. Ognuno di noiaffronta queste situazioni secondo il proprio carattere, secondo la propria forza, secondo la propria abitudine che gliviene dall'educazione che ha ricevuto o che si è fatta. Ma il problema del corpo, sebbene sia un problema moltoimportante, potrebbe essere secondario perché noi non veniamo qui per risolvere i problemi del nostro corpo, anche sequesti sono legati a tutto il resto e a tutti i problemi che ci hanno fatto muovere per arrivare fino a qui.Siamo alla ricerca della salute che si chiama illuminazione e allora, parafrasando il medico, potremmo dire "Non cipreoccupiamo!" Non vedete in fondo i Buddha e i Bodhisattva come sono illuminati, e non chiedono come fare adilluminarsi. Basta lasciar fare all'illuminazione stessa.! È l'illuminazione che si preoccupa di farci illuminare se questo èil gradino che dobbiamo superare. Ma se noi siamo - come spesso ci è stato ripetuto - già nell'illuminazione, allora tantovale che non ci preoccupiamo più, lasciamo che l'illuminazione stessa ci illumini e lasciamo da parte tutte lepreoccupazioni che impediscono che questo avvenga. Certo, se fosse cosi semplice, non saremmo qui a gambeincrociate a voler raggiungere questo risultato. Ma il momento in cui riusciamo ad uscire dalla gabbia nella quale cisiamo messi, magari aiutati dall' educazione che abbiamo ricevuto che non è soltanto quella dei nostri genitori, maun'educazione generale, che ci insegna che dobbiamo lottare per raggiungere qualche cosa, se noi riuscissimo a venirnefuori, potremmo vederci, potremmo vedere l'affanno con cui ci muoviamo e constatare come questo affanno sia inutile,superfluo, perché tanto le cose in qualche modo andrebbero bene lo stesso. Dobbiamo cercare di sviluppare questanostra capacità di uscire dalle situazioni contingenti, quelle nel ?????????????????

MUMONKAN = CASO I9 ="LA MENTE COMUNE È IL TAO" (pag. 144 )----------------------------------------------------

Una volta Joshu chiese a Nansen: ”Cos'è il Tao?" Nansen rispose: "La mente comune è il Tao". Alloradovremmo dirigerci verso di esso o no?", chiese Joshu. "Se cerchi di dirigerti verso di esso te ne allontani", risposeNansen. Joshu continuò: "Se non cerchiamo, come possiamo sapere che è il Tao?" Nansen rispose: "Il Tao nonappartiene al sapere o al non-sapere. Sapere è illusione; non sapere è assenza di idee. Se veramente raggiungi il Tao delnon-dubbio, è come il grande vuoto, così vasto e illuminato. Come può allora esserci il giusto e lo sbagliato nel Tao?".A queste parole Joshu fu improvvisamente illuminato.

COMMENTO DI MUMON

Interrogato da Joshu, Nansen mostra immediatamente che la tegola si sta disintegrando, il ghiaccio si stadissolvendo e nessuna comunicazione è possibile. Anche se Joshu può essere illuminato, potrà afferrarlo veramente solodopo altri trent'anni di studio.

POESIA DI MUMONCentinaia di fiori in primavera, la luna in autunno,Una fresca brezza in estate e la neve in inverno.Se non c'è nessuna nuvola vana nella tua mentePer te è una bella stagione.

TEISHO 6 Maggio ‘89 (sabato)----------

Abbiamo questo koan: due grandi protagonisti che sono Joshu e Nansen. Joshu è comparso all'inizio ecomparirà ancora. È senz'altro uno che nei koan ci sguazzava. La sua lingua tagliente e sempre pronta gli ha permessonel lunghissimo arco della sua carriera di insegnante di pronunciare moltissime delle frasi o affermazioni, che sono poisuccessivamente entrate nelle collezioni di koan.Nansen è stato il suo maestro e, naturalmente, ha avuto negli anni che Joshu è stato con lui - circa trenta - l'influenzache ha determinato poi il comportamento successivo di Joshu il quale - vissuto molto a lungo, probabilmente tra imaestri di ch'an che si ricordano quello vissuto di più, perché è morto intorno ai centodiciannove anni. Èstato con il suomaestro fino ai cinquant'anni, dopodiché ha trascorso una parte della sua vita in giro tra tutti i monasteri della Cina, e aottant’anni ha deciso di fermarsi, di insegnare egli stesso e questo lo ha fatto nei quaranta che gli rimanevano ancora davivere.Normalmente a ottant'anni – al meno nell'epoca di Joshu quando la lunghezza della vita era molto minore di quella chec'è attualmente - si era già morti e seppelliti. Tra l'altro, secondo la media italiana, o per non parlare di quella cinese, maanche quella giapponese che è costituita abbastanza da longevi, il limite di età è al di sotto degli ottant'anni. Per cuiabbiamo questo maestro che a ottant'anni, ancora fresco e pimpante, decide di fermarsi in un tempio ad insegnare.È molto bello questo fatto qui e ci dimostra, qualora non ne fossimo ancora convinti, che la vita può cominciare anchemolto in là negli anni e che la misurazione del tempo attraverso gli anni non è valida per tutti nella stessa maniera.15

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Perciò noi potremmo portare ancora più avanti questo limite, il limite di Joshu e il limite di altri che sono esistiti primao dopo di Joshu. Dopo questa breve interruzione riguardo a Joshu, passiamo ad osservare il koan che di per sé è moltosemplice, anche se naturalmente vorremmo, così come Joshu, delle risposte più precise da un maestro come Nansenperché, in fondo, le domande che agitano Joshu sono le stesse che agitano un qualunque praticante. Come si fa a volerottenere una cosa senza avere la volontà di volerla ottenere? E questo, in fondo, è quello che Joshu chiede a Nansen.Infatti, il momento in cui gli chiede che cos'è il Tao e l’altro gli risponde: "La mente di tutti i giorni è il Tao" - qui vienetradotto imprecisamente "la mente comune" - il cuore di tutti i giorni, la mente di tutti i giorni è il Tao, allora Joshuchiede: "Dovremmo dirigerci verso di esso o no?", Nansen risponde: "Se cerchi di andare verso il Tao te ne allontani"; eJoshu, e qui è la domanda fondamentale: "Se non cerchiamo, come possiamo sapere che è il Tao?". Se noi non cisforziamo di comprenderlo, come possiamo sapere se è o non è? Questo sforzo e questo voler comprendere, sono quelliche, naturalmente, Nansen taglia nella sua risposta a Joshu, ma è ovvio che sono anche le nostre domande, le quali nonhanno,spesso, un Nansen a dare risposta. Cioè, come possiamo dirigerci, come possiamo penetrare la nostra natura di

Buddha, arrivare a conoscere la natura di Buddha? E quello dice: "Non si può, perché se ti dirigi verso la natura diBuddha questa si allontana", il che è vero. Nansen in questo momento non sta dicendo delle bugie, sta dicendoesattamente la verità, ma noi vorremmo sapere come fare e le risposte che Nansen dà successivamente non sono dellerisposte illuminanti - illuminanti per Joshu in quel momento perché poi, effettivamente, Joshu fa l'illuminazione - manon sono illuminanti per noi perché noi vorremmo che alle domande molto precise che facciamo ci fosse risposto inmaniera precisa; così come uno che chiedesse: "Se voglio studiare una lingua, che cosa devo fare?" E quello al quale cirivolgiamo risponderebbe molto semplicemente: "Compra questi libri, vai in questa scuola, vai in questo paese stranierodove si parla la lingua che ti interessa e, a un certo punto, la imparerai". Qualcuno che ci dica in quale paese recarci percapire la lingua del Tao, in questo caso, non lo troveremo mai. Cioè, potremmo trovare qualcuno che ci dice: "Faiqueste cose perché queste cose sono buone di per se e se la tua mente si svilupperà nella maniera giusta, a un certopunto, presto o più tardi, comprenderai quello che vuoi comprendere. Per cui devi fare delle cose che ti mettano in unatteggiamento mentale non di ricerca, come quello che hai adesso, ma ti metta in un atteggiamento mentale che siaquello in grado di aprire gli occhi alla visione giusta del Tao." Perciò, non il lavoro diretto per cercare di toccare il Tao,ma aspettare che il Tao si riveli e che noi siamo in grado - essendo sviluppati sufficientemente - di vederlo. Così comese noi volessimo vedere gli elementi di un corpo materiale e volessimo vederli effettivamente, certamente con i nostriocchi normali non potremmo, ci sarebbe per questo bisogno di un microscopio elettronico. Ecco che la nostra pratica, lacapacità di risvegliarci, risiede proprio nell'affinamento di quelle nostre capacità che invece di utilizzare uno strumentoscientifico, ci permettono di utilizzare uno strumento interno a noi stessi, col quale poi vedere nella profondità a cuisiamo interessati.Nansen poi dice: "Sapere è illusione, il Tao non appartiene al sapere o al non-sapere". Ovviamente questo si riferisce alnostro sapere, che è quello che si diceva prima, di chi vuole conoscere una lingua. Certo, per quanto riguarda quelsapere li, ci sono gli strumenti per poter imparare. Il Tao appartiene a un altro tipo di sapere e per quello bisognaabbandonare tutti gli strumenti che abbiamo utilizzato per ottenere il sapere tradizionale, perché: "Sapere è illusione,non sapere è assenza di idee. Se veramente raggiungi il Tao del non-dubbio, è come il grande vuoto, così vasto eilluminato. Come può allora esserci il giusto e lo sbagliato nel Tao?".I maestri di qualunque generazione hanno sempre provato a dimostrare la grandezza del Tao, del Ch'an, della buddhità,ovvero dell'illuminazione, dell'assoluto, e così via. Molti di loro hanno in questo modo, senza saperlo, inventato deikoan sui quali noi ora pratichiamo; altri hanno voluto dare spiegazioni più approfondite, ma comunque le spiegazioninon arrivano mai a noi. Cioè le spiegazioni, per chi le dà, che ha compreso quello di cui sta parlando perché lo harealizzato, hanno un senso, ma per chi ascolta ne hanno tutto un altro. E così il modo in cui Nansen risponde a Joshudando una certa spiegazione, perché dice: "Il Tao del non-dubbio è come il grande vuoto, così vasto e illuminato". Macome è il grande vuoto, così vasto e illuminato? E allora, quello potrebbe risponderci: "Il grande vuoto, vasto eilluminato è il Tao", e noi di nuovo: "Com'è il Tao?", etc. etc. etc. Siamo sempre daccapo! In fondo, anche Nansendicendo che il sapere è illusione, si lascia intrappolare per un momento a volerci dare la spiegazione che in questo casoattiene ancora al sapere che è illusione.Mumon commenta: "Interrogato da Joshu, Nansen mostra immediatamente che la tegola si sta disintegrando, il ghiacciosi sta dissolvendo e nessuna comunicazione è possibile. Anche se Joshu può essere illuminato, potrà afferrarloveramente solo dopo altri trent'anni di studio." E forse ancora di più, perché se Joshu è appena arrivato - non si saesattamente a che punto della sua pratica fece l'illuminazione, probabilmente verso la fine e poi, successivamente, neisuoi trent'anni di pellegrinaggio riuscì a diventare padrone di quello che aveva compreso al tempo di Nansen, talmentepadrone della sua comprensione da potersi fermare e diventare a sua volta un insegnante.Il poema di Mumon sembra proprio attinente alla nostra stagione: "Centinaia di fiori in primavera, la luna in autunno,una fresca brezza in estate e la neve in inverno", e qui ci porta di fronte tutte le stagioni. "Se non c'è nessuna nuvolavana nella tua mente per te è una bella stagione”. Certo, ma la bella stagione come sappiamo …. Per esempio,quest'inverno a gennaio e febbraio che non nevicava mai, non c'era nessuna nuvola in cielo e non era una bella stagione,perché in inverno è una bella stagione quando ci sono le nuvole e nevica, o piove in campagna, cosicchè si possanoformare in campagna le riserve idriche e in montagna quelle riserve che poi a poco a poco, sciogliendosi, inondino ifiumi e le campagne di acqua nuova. Quest'inverno cosi non è stato. C'è stato per mesi un cielo senza nuvole e non èstata una bella stagione! Certo che la mente di cui noi siamo alla ricerca è una mente come una lavagna non ancora scritta, e come una lavagnasu cui si possa scrivere e a nostro piacimento cancellare per averla sempre pronta a ricevere quello che deve ricevere,altrimenti, se fosse già piena di scarabocchi ??????????le quali siamo presi e che proprio perché ne siamo presi, non ci permettono di vedere le cose con distacco.16

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Così come dice il medico a proposito del corpo, del nostro corpo, lasciamo che altri medici dell'antichità, o anche piùrecenti, ci dicano: "Non vi preoccupate dell'illuminazione!". Il Buddha stesso l'ha detto: "Ilnirvana è samsara, il samsara è nirvana." Se viviamo nel samsara siamo, così come siamo, esattamente nel nirvana. Sitratta soltanto di aprire gli occhi, ma sforziamoci- e questo naturalmente è un controsenso – di aprire gli occhi.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 6 Maggio ‘89 (sabato sera)----------------------------------------------

Nel nuovo negozio COOP di Orvieto c'è un reparto abbastanza grande dedicato soltanto all'acqua minerale. Mistupisco sempre quando vedo la gente che compra le cassette di acqua minerale: di plastica, di cartone, di vetro, di tutti itipi di contenitore, però dentro: acqua. Eppure Orvieto non è una città dove l'acqua sia cattiva. Quando si va a comprarequalche cosa da mangiare ci dobbiamo accertare che ci sia stato il controllo, poi dobbiamo leggere la data di scadenzaperché altrimenti quello che ci andiamo a mangiare non sarebbe buono, anche se poi, fondamentalmente, buono non è.Mi ricordo i primi anni che siamo venuti qui a Scaramuccia, i contadini dei dintorni facevano una festa ogni volta cheammazzavano il maiale. Invitavano tutti i vicini e si mangiava. Pensavo con quanta gioia mangiavano gli anni prima,quando c'era un solo maiale che si ammazzava e si mangiava una sola volta all'anno e in quell'occasione si mangiavaper caricarsi un po' di quelle sostanze che poi, durante tutto l'anno, non si sarebbero più potute mangiare o almeno, inpiccolissima quantità, affettando parsimoniosamente il prosciutto o le salsicce.Il cibo che una volta era l'energia degli esseri umani, degli esseri viventi in generale, è diventato il veleno. Prima ci siammalava quando non si mangiava, adesso ci si ammala quando si mangia. Bisogna stare attenti a quello che si mangiae a quello che si beve. Può essere che questo sia una conseguenza del progresso e certamente si vive più a lungo - malemagari - e muoiono meno persone nel mondo, anche se la fame ne fa morire ancora tantissime. Criticare quello che hodetto fino adesso è molto facile e lo possiamo fare tutti quanti senza alcuna difficoltà; ma a noi, più che questa saluteche ci viene dal mangiare cibi sani, interessa una salute che vada al di là di quello che si mangia e di quello che si beve,una salute che non debba essere salvaguardata, ma che si mantenga da sé.Ora, già nel passato - perché la nostra scuola ha una lunga tradizione - e prima del Buddha Sakyamuni altri buddha, altrimaestri avevano proclamato la possibilità di accedere a uno stato di coscienza - possiamo chiamarlo così - superiore, noici dedichiamo alla ricerca di una salute che non dipende da quello che si mangia, né da quello che si beve. C'è lapossibilità di non essere toccati da queste contingenze e se noi ci fermassimo a recriminare sui mali e sui veleni dellasocietà moderna, perderemmo tempo, un tempo prezioso, quel tempo che ci serve per dedicarci alla ricerca di una saluteoltre la salute che ci viene dai cibi giusti, macrobiotici o integrali, sani o perlomeno naturali, per dedicarci alla conquistadi una salute che già c'è e per cui alla scoperta di una salute interiore che ci permetta di andare oltre questi incidenti dipercorso. Si può vivere anche soltanto di aria, se per questo dovessimo tanto temere i veleni della società. Si può vivereanche di niente, anche dell'aria si potrebbe fare a meno, volendo. Non è che stiamo facendo una scuola di fachiri, diquelli che si fanno sotterrare e dopo si fanno ritirare fuori passati alcuni mesi. Non è certamente questo lo scopo dellanostra scuola, ma è un altro, è quello di vedere come tutte queste paure che abbiamo possano essere eliminate trovandoin noi la certezza di appartenere ad una qualità che può fare a meno dell'assumere e del non assumere questi veleni.Abbiamo così poche ore - ormai la notte sta per finire- e come Cenerentola al ballo del principe - mezzanotte si staavvicinando velocemente – cerchiamo in questo poco tempo che restiamo ancora a gambe incrociate, di utilizzarlobene. Chissà! Lo sappiamo per sentito dire, lo abbiamo sperimentato anche per conto nostro qualche volta: le cose nonsi capiscono in base al tempo che misurano i nostri orologi. Quando è il momento di capirle si capiscono e basta, in unlampo. Perciò aspettiamo, prepariamoci, perché questo lampo possa scoccare e illuminarci definitivamente.

MUMONKAN = CASO 21 °=IL BASTONE PER LA MERDA DI UNMON(pag. I58)--------------------------------------------------------

KOAN

Un monaco chiese a Unmon: "Cos'è il Buddha?". Unmon disse: "Un bastone per la merda!" (kan-shiketsu!).

COMMENTO DI MUMON

Di Unmon bisogna dire che è così povero da non potersi nemmeno preparare del cibo frugale, e che è cosìaffaccendato da non poter scrivere correttamente. È probabile che mostrino il bastone per la merda per sostenere laporta. Il risultato è del tutto ovvio.

POESIA DI MUMON17

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Un lampo di luce!Scintille accese da una pietra focaia!Se batti le palpebreLo perdi.

TEISHO 7 Maggio ’89 (Dom. matt.)----------

Ecco, questo è senz'altro uno dei koan più citati, perché questo paragone del Buddha a un bastoncino che a queltempo in Cina faceva le veci della carta igienica, senz'altro è un paragone scioccante che balza agli occhi con una certaforza. Di tanti paragoni di cui è stato fatto segno il Buddha, questo qui del bastoncino per gli escrementi senz'altro èquello più forte.Qui abbiamo l'incontro classico: Un monaco chiese a Unmon: "Cos'è il Buddha?". Unmon rispose: "Un bastoncino pergli escrementi! " (kan-shiketsu!). Questo kan-shiketsu è proprio il nome di questo attrezzo. Unmon sicuramente è uno dei più grandi maestri dell'epoca in cui visse, ma anche di epoche successive, ed è unagrandissima figura. Di lui sono rimasti moltissimi koan rappresentativi. A differenza di altri maestri - ognunonaturalmente aveva la propria - la sua caratteristica era quella di dare risposte molto brevi con un solo carattere, due otre caratteri.Qui sono due caratteri: kan-shiketsu. Usava spesso il grido KA! e comunque non fu ricordato per il grido, motivo per ilquale ricordiamo maggiormente Lin-Chi. Unmon (in cinese Wu-men) risponde sempre naturalmente con la sua forza econ una sola parola: kan-shiketsu.Qui ci troviamo di fronte a questo maestro e a questo monaco che, probabilmente, molto stupito non deve essere rimastoperché si aspettava da parte di Unmon una risposta senz'altro particolare. Ma che cos'altro avrebbe potuto rispondereUnmon a uno che chiede: "Che cos'è il Buddha?" Già altri nel passato, o successivamente a Unmon, avevano chiesto:“Cos'è il puro Dharmakaya?" E quello rispose anche ….. Qui Unmon vuole dare con forza l'idea sia della impossibilità di definire il Buddha e, nello stesso tempo, vuole faraprire gli occhi al proprio interlocutore e mostrargli come il Buddha non stia soltanto nelle cose più alte, più pure, mapossa essere trovato anche negli oggetti più sporchi, più immondi, come quello che poteva essere, appunto, ilbastoncino per pulirsi. Ecco! Come gliela presenta questa risposta?Certo il modo di essere delle risposte dei maestri del tempo, e comunque dei maestri del Ch'an, doveva essere un modoin cui chi domandava potesse più che ascoltare, vedere, sentire la risposta che il maestro dava. E qui non c'è il seguito incui il raccoglitore dei koan dice: "E il monaco fece l'illuminazione". Si vede che malgrado la forza, malgradol'estremizzazione della risposta, quello che ascoltava, quello che ha fatto la domanda, non è stato in grado di arrivare afare il satori. È una risposta, questa di Unmon, certamente forte. Però, se noi pensiamo bene, anche a noi sarà capitato odi dare o di ascoltare risposte forti in merito a domande che non potevano avere una risposta descrittiva, che nonpotevano avere neanche una risposta, domande di per sé inutili alle quali noi così, non so se in un momento dinervosismo o in un momento di illuminazione, abbiamo dato risposte avventate possiamo dire, cioè stravaganti. Anchequella di Unmon è una risposta stravagante, ma dietro a Unmon c'è una forza che gli permette di essere stravagante.Noi, certe volte, probabilmente abbiamo anche avuto questa forza quando abbiamo dato risposte stravaganti, altre volteci saremo basati sull'intuizione del momento e abbiamo dato delle risposte magari meno stravaganti, ma forse con menoforza dietro. Oppure, a tutti noi capita di dover rispondere in maniera stravagante a domande che non dovrebbero essereposte, così come quella del monaco che chiede cos'è il Buddha. Cosa si aspettava che gli dicesse? Che cosa avrebbepotuto rispondergli? È stato bello che gli abbia risposto in questa maniera.Nel suo commento, Mumon dice: "Di Unmon, bisogna dire che è così povero da non potersi nemmeno preparare delcibo frugale, e che è così affaccendato da non poter scrivere correttamente". Questo che dice Mumon è unacontraddizione, come al solito; gioca sulle parole tanto che dice: "È talmente povero che non può prepararsi del cibopovero", come uno che è talmente ricco che non può fare qualcosa alla sua portata. Naturalmente, se è così povero,Unmon mangerà soltanto del cibo frugale, che altro può mangiare? Ma riferito al koan, la povertà non è assolutamente,perché Unmon è ricco di possibilità e ''non può contentarsi di cibo frugale" significa che deve per forza fare qualchecosa di straordinario. Lì forse, dice Mumon, sarebbe bastata una risposta più ovvia."È probabile che mostrino il bastone per la merda per sostenere la porta. Il risultato è del tutto ovvio.". Potrebberoutilizzare questa risposta per sostenere una porta: e qui noi non siamo al corrente di quello che avveniva in Cina intornoal milleduecento. Cioè potrebbe essere che la scuola di Unmon non fosse così sana, così forte come invece era forte ilmaestro e allora una risposta così bella, così da potersi vendere, avrebbe potuto aiutarli ad essere conosciuti, ad attiraredi più l'attenzione degli altri.Il poema dice: "Un lampo di luce!" e va bene, "Scintille accese da una pietra focaia!" va bene, "Se batti le palpebre loperdi."Certo, le scintille della pietra focaia, se noi battiamo soltanto appena le palpebre, non le vediamo. E così sono questilampi che Unmon manda.Se noi non abbiamo la nostra attenzione al massimo, se non siamo pronti, preparatissimi, perdiamo questa sua capacitàdi sprizzare la luce.Questi koan, proprio perché koan, sono strani e proprio perché sono strani sono validi in quanto ci permettono disuperare la nostra capacità soltanto logica, ci permettono di riuscire ad attingere ad una qualità che è quelladell'intuizione, quella di capire le cose direttamente, senza passare attraverso il ragionamento che, certamente, è validoin altre occasioni, ma non per dare risposte di questo genere.

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ESORTAZIONI FINALI 7 Maggio ‘89 (Dom. mattina)-------------------------------

Una canzone di un cantante che piace molto ai ragazzi, o che perlomeno molti seguono, dice: "È qui la festa?".Una sesshin, così come una festa, deve essere un momento in cui noi viviamo qualche cosa che non viviamo nellegiornate ordinarie. Non che debba essere una festa, ma secondo il significato che noi diamo a questa parola, può ancheessere una festa. È la festa del nostro spirito, se vogliamo fare una divisione, ma una festa anche del nostro corpo. Unafesta perché il nostro corpo, la nostra mente, tutto di noi stessi è impegnato in maniera completa, fino allo spasimo, percercare di ottenerne il massimo. Questa è una festa. Ma le feste hanno maggiore significato quando si è in tanti. Ingenere non si festeggia da soli, ma si festeggia in tanti. Più si è e più si dice: "oh che bella festa! Che bella festa che èstata. Che festa riuscita! Vorrei dirlo a quelli che sono venuti, che naturalmente capiscono quanto vado dicendo, perchénon ho voglia di scriverlo sul notiziario, in quanto verrebbe compreso male, che voi che venite vi sentiste la voglia divenire il più spesso possibile perché c'è bisogno a Scaramuccia della presenza degli allievi, che si facciano sentire vicinie che non stiano soltanto lontani a leggere il notiziario e pensare che ci stanno ugualmente, perché tanto le notizie leleggono dal notiziario.Come in una coppia, come in una famiglia, come in un rapporto di ufficio, c’è bisogno di tanto in tanto, e anche spesso,di dirsi : "Ti voglio bene", "Sei un bel bambino", o "Sei bravo, hai fatto una cosa giusta", oppure il capo-ufficio dice alsuo impiegato: "Bravo! Hai lavorato bene" anche se sembra evidente che quel capo-ufficio abbia stima dell'impiegato,anche se è evidente che un padre voglia bene al proprio figlio, un marito alla propria moglie e viceversa; però ce ledobbiamo dire queste cose. Così come anche se quelli che ricevono il notiziario o quelli che sono vicini a Scaramucciasanno di essere vicini a Scaramuccia: "Io so che sono vicino a Scaramuccia", però c'è anche bisogno, certe volte divenirlo a dire con la propria presenza.Bene, la sesshin finisce. Ormai in questi quindici o sedici anni che sono passati da quando abbiamo cominciato, disesshin che sono finite sono tante. I volumi che raccolgono i discorsi delle sesshin cominciano ad essere un bel mucchioed essendo tanti, forse fra un po' di tempo alla gente verrà anche la voglia di leggerli. Questo non significa che noismetteremo di parlare o smetteremo di fare le sesshin.Noi, qui a Scaramuccia, abbiamo voglia e piacere di farne e di partecipare, come ho detto prima, a questa festa.Spero che voi riusciate a portarvi nel vostro cuore questo senso di festa che la sesshin dovrebbe essere e che maturi ecresca talmente da farvi avere la voglia e la forza di continuare.

SESSHIN DEL MESE DI GIUGNO 1989 : 2, 3, 4 giugnoSESSHIN KOKUHO 2 Giugno '89 (Ven. sera)-----------------------------------------------------------------------

È la sesshin di giugno! Ultimamente mi è capitato di leggere un libro di un maestro che ebbe molta importanzauna trentina di anni fa, almeno nei miei confronti, e mi ha fatto ripensare a quanto diceva spesso il mio maestro Mumonnei suoi discorsi e cioè che se non si risveglia l'occhio dell'illuminazione, l'occhio del satori, qualunque cosa facciamonella nostra vita, non ha alcun valore. Qualunque cosa si faccia non serve. Più o meno, l'altro maestro, Krishnamurti perl'esattezza, dice che se non si comprende chiaramente qual’é la propria reale natura, che cosa si è veramente, tuttoquanto facciamo non ha senso, non porta che confusione, disgrazia e sofferenza. Questo per dire che la sesshindovrebbe essere proprio il momento in cui riuscire a mettere a fuoco quali sono le nostre reali esigenze, quelle esigenzeche ci portano a praticare, a lavorare per risvegliare la nostra reale natura, per aprire il nostro vero occhio, l'occhiodell'illuminazione, quello che ci permette di vedere chiaramente e di camminare attraverso la vita in maniera umana,altrimenti se questo non avviene siamo - come dice il maestro Mumon nel Mumonkan - siamo come dei fantasmi che siaggirano nelle paludi. Ecco che cosa è la sesshin: un momento in cui tutti quanti insieme, uno con l'aiuto dell'altro,lavoriamo nella maniera giusta, nella maniera vera, a liberarci, a risvegliarci. Capito questo, capito che lo scopoprincipale della nostra vita è quello di risvegliarci alla realtà, alla verità, allora non dobbiamo fare altro che applicarcicon determinazione, con concentrazione, con attenzione, con tutta la nostra forza a questo lavoro. Lavorare, lavorare,senza pensare a niente altro, lasciando fuori da questa stanza, fuori da questa collina, tutto quello che ci lega alla realtàdei luoghi da cui veniamo e lasciare che con la nostra mente spoglia da qualunque attaccamento si possa penetrare nellarealtà. Ecco! Questo è l'augurio, questa è l'esortazione affinché tutti quanti insieme si lavori nel migliore modo possibile inqueste poche ore che stiamo insieme. È una fortuna che ogni tanto nella nostra vita ci possa essere questa possibilità:sfruttiamola al meglio delle nostre forze!

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 3 Giugno 189 (Sabato matt.)----------------------------------------------

Ed è proprio Krishnamurti, il quale per tutta la sua vita ha evitato accuratamente di dare tecniche dimeditazione, metodi per raggiungere la liberazione, a dire a un certo punto - quasi nascosto in uno dei suoinumerosissimi libri, di registrazioni - "andate in campagna in un posto tranquillo, sedetevi sotto l'ombra di un albero

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comodamente, con la spina dorsale ben eretta, e poi osservate passivamente i vostri pensieri. Non interferite nel flussodei pensieri e cercate così, rimanendo passivamente attivi, di comprendere il cosa è." In fondo, anche Krishnamurti - che non lo ha mai voluto dire - ha imparato stando seduto e alla posizione seduta agambe incrociate è ritornato in qualunque momento di bisogno per sé o per gli altri. Non si può fare a meno nella propria vita di sedersi, anche in senso metaforico, e cioè lasciar calmare la propria menteosservando, passivamente attenti, i propri pensieri.Nella nostra scuola, così come ci hanno trasmesso i maestri del passato, ci concentriamo sul nostro respiro e per mezzodel suo supporto, osserviamo, alla fine, i nostri pensieri. Osserviamo i pensieri che vengono, come vengono, comevanno, come sorgono e come spariscono.Il respiro è molto importante. Quando siamo seduti tranquillamente a gambe incrociate, od anche camminando, anchestando soltanto fermi in piedi, praticando un qualche sport, una qualche attività fisica od anche una qualche attivitàartistica, quando siamo ben attenti sentiamo che durante l'espirazione ci sciogliamo nell'universo, sentiamo comeattraverso la respirazione assorbiamo dall'universo e ci sciogliamo in esso. Abbiamo una percezione immediata, reale,di essere realmente parte dell'energia dell'universo, ovverossia dell'universo stesso. È strano che ci siano pochi Krishnamurti che ci dicono queste cose che sono quelle più importanti, però, se noi abbiamole orecchie ben aperte e stiamo ben attenti, ne basta anche uno solo.

MUMONKAN =CASO 22 =KASHO E L'ASTA DELLA BANDIERA(pag. 162 )---------------------------------------------------

KOAN

Una volta Ananda disse a Kasho: "L'Onorato nel Mondo vi ha trasmesso il manto di broccato. Cos'altro vi hatrasmesso?". Kasho chiamò ad alta voce: "Ananda!". Ananda rispose: "Sì, Signore". Kasho disse: "Abbatti l'asta dellabandiera alla porta".

COMMENTO DI MUMON

Se sapete dire le esatte parole della trasformazione a questo koan, vedrete che l'incontro del Monte Grdhrakutaè chiaramente presente qui.Se non sapete dirle, sappiate allora che il Buddha Vipasyin non riesce ancora a raggiungere la Verità pur avendoiniziato la sua ricerca nell'antichità remota.

POESIA DI MUMON La chiamata è buona, ma ancora migliore è la risposta.Quanti hanno aperto i loro veri occhi?Il fratello maggiore chiama a voce alta, il fratello minore risponde,la vergogna della famiglia è rivelata.Questa è la primavera che non appartiene allo Yin né allo Yang.

TEISHO 3 Giugno ‘89 (sabato sera)----------

Questo colloquio tra Ananda e Mahakasyapa naturalmente segue quello che avvenne - seppure non fu uncolloquio ma soltanto un mostrare un fiore da parte del Buddha, un sorriso da parte di Mahakasyapa e poi un annuncioda parte del Buddha di trasmettere il proprio occhio del Dharma a Mahakasyapa - segue, appunto, questo precedente: ilmomento in cui il Buddha trasmette a Mahakasyapa il proprio occhio del Dharma, la comprensione della Legge che ilBuddha ha ottenuto attraverso la propria illuminazione.Ananda chiede a Mahakasyapa, che qui viene accorciato in Kasho – come noi lo leggiamo durante il 'Tei dai denpo' lamattina - che cosa il. Buddha ha trasmesso oltre ai suoi segni esteriori della trasmissione che sono il suo manto enaturalmente, qui non è citato, anche la ciotola con la quale raccoglieva il cibo. Ananda si preoccupa di sapere, infondo, qual’é l'effettiva comprensione. Possibile che il Buddha abbia trasmesso a Mahakasyapa soltanto un manto eduna ciotola? Non c'è altro? È tutto lì? Quasi quasi con una punta di delusione, perché se è tutto lì, per un veroricercatore avere una ciotola ed un manto non è che rappresenti molto; molto o poco: non rappresenta quello che si vacercando. Allora Mahakasyapa risponde: "Ananda!" e Ananda risponde: “Sì”. Kasho disse - qui ci stanno certetraduzioni che fanno veramente pena – “Abbatti 1' asta della bandiera alla porta." Normalmente nei monasteri,probabilmente anche cinesi e indiani, nel momento in cui c'era il maestro o un discorso del maestro, del capo di quellacomunità, si innalzava una bandiera. Questa bandiera la troviamo anche nel caso in cui Hui Neng sta per entrare nelmonastero in cui poi verrà riconosciuto e dal quale poi comincerà la sua 'carriera' di insegnante, possiamo dire.C'è la bandiera che sventola fuori perché significa che il maestro sta dando l'insegnamento. Allora qui il significato diMahakasyapa che dice ad Ananda :"Abbassa la bandiera" è perché non c'è più niente altro da dire; ormai il discorso chedoveva essere fatto dal maestro di questo luogo, che è Mahakasyapa, il quale ha ricevuto dal Buddha la trasmissione,del vero occhio, il sigillo della trasmissione, e che naturalmente dopo la sua morte diventa il maestro di tutti gli altri, il

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discorso che doveva fare Mahakasyapa è terminato dicendogli: "Ananda!" e con la risposta di Ananda che dice: "Sì,Signore."Intorno a questo caso ci sono delle opinioni, delle idee controverse, comunque il successore di Mahakasyapa, nella listadei patriarchi che succedettero al Buddha Sakyamuni, Ananda viene dopo. Infatti noi al mattino recitiamo: 'Makakashosonja, Anan sonja, ….., che sono il Patriarca Mahakasyapa e il Patriarca Ananda.In questo colloquio tra i due non si vede in alcun modo come Ananda possa avere compreso quello che Kasho gli vuoledire, perché Mahakasyapa con un semplice richiamo a cui Ananda risponde: "Sì" e Mahakasyapa gli dice: "Abbassa labandiera", avrebbe dovuto concludere e Ananda fece l'illuminazione. Da quanto se ne sa in questo koan, Ananda nonfece l'illuminazione e avrebbe dovuto farla, così come invece succede in tanti altri casi e come non succede in tanti altri,quando ad un comando così esplicito, così vago per tutti gli altri che non appartengono alla categoria di comprensioneche dovrebbe aver avuto uno come Ananda, ci dovrebbe essere stato da parte dell'interlocutore - in questo caso Ananda- una presa di coscienza immediata da fargli fare l'illuminazione e comprendere che, in fondo, Mahakasyapa avevaricevuto dal Buddha Sakyamuni soltanto la ciotola e la roba, perché non c'era alcuna cosa da trasmettere.Mumon dice: "Se sapete dire le esatte parole della trasformazione a questo koan, vedrete che l'incontro del MonteGrdhrakuta è chiaramente presente qui", e questo, per quanto riguarda il Monte Grdhrakuta, è il momento in cui ilBuddha - durante l'assemblea dei monaci - ha in mano un fiore, lo innalza di fronte ai monaci e 1'unico che sappiacomprendere il gesto del Buddha è Mahakasyapa il quale sorride al Buddha e il Buddha allora dice che gli trasmette ilsigillo del Dharma, lo fa suo diretto discendente. Per cui qui: "Se sapete dire le parole esatte della trasformazione" staavvenendo la stessa cosa che avvenne sul Monte Grdhrakuta, "Se non sapete dirle, sappiate allora che il BuddhaVipasyn non riesce ancora a raggiungere la Verità pur avendo iniziato la sua ricerca nell'antichità remota". Perciò perMumon c'è una discriminazione molto netta tra la comprensione di quello che viene detto tra Mahakasyapa e Ananda ela non-comprensione. Se si capisce, si capisce tutto quanto quello che c'è stato prima, se non si capisce, allora il BuddhaVipasyin – un Buddha dell'antichità che è quello che noi chiamiamo all'inizio del Tei dai denpo 'Bibashi butsu’, il primodella lunga lista che leggiamo la mattina - questo Buddha che è talmente lontano nell'età da non poter quantificare iltempo del suo inizio, questo Buddha, secondo Mumon, non ha ancora raggiunto l'illuminazione. Queste sono leesagerazioni in cui si diletta Mumon per farci drizzare le antenne e farci comprendere quello che realmente vuole dire.Nella poesia dice: "La chiamata è buona, ma ancora migliore è la risposta. Quanti hanno aperto i loro veri occhi? Ilfratello maggiore, chiama a voce alta, il fratello minore risponde, la vergogna della famiglia è rivelata. Questa è laprimavera che non appartiene allo yin né allo yang."La famiglia si riferisce, naturalmente, alla famiglia del sangha, la famiglia della comunità. I due si chiamano e sirispondono. Da questo colloquio possiamo vedere rivelato, non che siano i panni sporchi ma, come si dice, i pannisporchi vanno lavati in famiglia, questi due, pur essendo panni puliti, li mostrano a tutti quanti in maniera moltoappariscente e non è certamente la vergogna della famiglia, è soltanto quello che avviene all'interno di una comunitàperché ci si comprenda gli uni con gli altri e si comprenda l'insegnamento per il quale quella comunità è stata fondata esebbene i personaggi non siano quelli normalmente presenti in queste raccolte di koan e cioè i grandi maestri cinesi,soprattutto dell'epoca intorno a Joshu e a Mumon, si ha un'immersione in questo mondo in cui, se sono comprensibili ledomande, sono spesso incomprensibili le risposte, o viceversa. Se c'è una domanda strana, c'è una risposta che noipossiamo comprendere, ma come presa a sé, separatamente dal contesto della domanda; però, riferita alla domanda, èsempre inintelleggibile. Il mondo di questi rapporti tra i maestri, e questi maestri naturalmente cinesizzati, chanizzatipossiamo dire, è un mondo in cui ci si chiede di lasciare da parte le categorie normali con le quali siamo soliti ragionare,per cercare di smuovere qualche altra cosa dal nostro profondo e, più che rispondere con le parole e con i ragionamenti,rispondere con quanto viene dal profondo della nostra reale natura di illuminazione.Questi koan hanno questo significato, oltre naturalmente ad avere il senso di volerci far comprendere in maniera diversadalla erudizione e dallo studio sui libri, quanto il Buddha ha voluto rivelarci nei suoi discorsi, nei suoi insegnamenti equanto questi discorsi ed insegnamenti siano utili per affrontare poi i problemi che la vita ci presenta tutti i giorni.

ESORTAZIONI DURANTE IL JUNKEI 3 Giugno '89 (sab. sera) --------------------------------------------------

Questo anno, dal novembre o dicembre scorso, ho ripreso ad insegnare yoga e tai-chi in maniera regolare.Questo mi ha portato a dover ripassare certi esercizi e, naturalmente, la ripetizione dell'insegnamento ha riportato allaluce le difficoltà, da parte degli allievi, che avevo già riscontrato le volte precedenti quando andavo ad insegnare in altrecittà. Può sembrare che imparare un'arte sia difficile perché il nostro corpo non è più così agile, oppure anche la nostramente, le nostre capacità di apprendimento sono decadute o non sono sufficienti. Non è affatto così. L'errorefondamentale è quello di pensare che ci sia un essere, un individuo, o ancora peggio una persona che sta lì ad imparareun'arte, a praticarla, e che debba allenare il proprio corpo e la propria mente per diventarne un bravo praticante.Da parte degli allievi vi è l'incapacità di capire che non c'è separazione tra sé stessi e l’arte, in generale, ma soprattuttotra se stessi e la coscienza molto più ampia in cui dovremmo immetterci attraverso quell'arte. Rimaniamo noi chestiamo a praticare qualcosa, non riusciamo a lasciarci andare per diventare una cosa sola con una coscienza possiamochiamarla cosmica, in cui non c'è più la separazione tra noi e questa coscienza. Anche qui veniamo perché dobbiamo, uno per uno, risvegliare la nostra coscienza di illuminazione, risolvere i nostriproblemi, diventare migliori, più forti, più liberi. Il momento in cui capiamo veramente, ci rendiamo conto che non c'èassolutamente differenza tra noi e i problemi, tra noi e la libertà, e tra noi la libertà e l'universo intero. La libertà èproprio quella di renderci conto di essere noi stessi l'universo, magari una piccola parte, se vogliamo rimanere nelmondo in cui si contano le cose con i pesi e con le misure, ma tra noi e l'universo non c'è alcuna differenza. Questo è21

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quello che dobbiamo comprendere. Si pensa che fare lo yoga, il tai-chi, o l'arrampicata, o lo sci - per quanto riguarda learti di cui io sono un insegnante - sia diventare perfetti in quella disciplina: saper fare gli esercizi bene, saper scalare ledifficoltà più alte alla perfezione, saper scendere con gli sci da qualunque parte. Sì, certo, da un punto di vista tecnicosenz'altro è così. Ma se uno rimane a quel livello lì, non ha alcun valore. Queste arti servono a un altro scopo. Questaperfezione che raggiungiamo possiamo chiamarla animalesca, limitata soltanto ai movimenti del corpo. Certo, anche lanostra mente deve essere svelta, ma bisogna andare oltre la mente ed il corpo, sebbene la mente e il corpo sianoimportanti. Quando siamo seduti sul cuscino, dobbiamo andare oltre le nostre gambe, il nostro respiro, i nostri pensieri eil nostro cuscino. Come si fa ad andare oltre? Intanto bisogna accettare l'idea che non stiamo praticando per noi. Intantodobbiamo cominciare ad accettare l'idea che ciò a cui teniamo maggiormente e cioè a noi stessi, non è così importante.Possiamo cominciare a pensare che potremmo fare a meno di essere così attaccati a noi stessi e da quel momentocomincia ad avvenire una qualche rivoluzione e comincia ad avvenire la vera pratica. Ci stanno un po' di ore: pensando che dobbiamo stare seduti fino a domani mattina può coglierci il terrore o l'ansia dinon riuscirci, ma nello stesso tempo dovremmo essere contenti perché i problemi che abbiamo da risolvere sono tanti epiù tempo abbiamo, più possiamo dedicarci ad essi. Cerchiamo di lavorare bene.

ESORTAZIONI FINALI 4 Giugno ‘89 (domen. matt.)------------------------------

Quando incontriamo qualcuno che non vediamo da un po' di anni, ci accorgiamo che è cambiato ed èinvecchiato. Ma la sensazione del tempo che passa anche per noi nel vedere gli altri, non è così forte. Quando però si hanno dei figli e si scorrono gli album delle fotografie, o si ritorna per caso o di proposito nelle scuoleche hanno frequentato quando erano ancora bambini: 1'asilo, le scuole elementari, ci rendiamo conto di quanto sianolontani quei tempi e di quanto tempo - il tempo dell'orologio - sia passato. Ce ne accorgiamo ancora di più quandoornai, anche se a noi sembrano sempre piccoli, cominciano a viaggiare per conto proprio e ad avere dei segreti. Fino adun certo punto si sa tutto di loro, poi arriva il momento in cui non si sa tutto: alcune cose non ci vengono dette.Questo passaggio del tempo ci dovrebbe far rendere conto, far realizzare chiaramente come non ci sia qualche cosa acui attaccarsi. I figli, che sono qualcosa di così vicino a noi, di nostro - almeno siamo abituati a pensarlo- arriva ilmomento in cui si liberano, fortunatamente, e noi rimaniamo con le mani vuote. Pensavamo di possedere qualcuno equesto possesso si rivela invece inesistente. Se da questa comprensione dell'inesistenza di un possesso riusciamo adallargare il nostro sguardo e a vedere come effettivamente non c'è alcuna cosa che noi possediamo, neanche il nostrocorpo, neanche i vestiti che indossiamo, che ci sono così attaccati; il nostro corpo ci sta attaccatissimo, ci calzaperfettamente. Ebbene, se riusciamo a vedere anche questo, allora siamo sulla strada della comprensione, sulla stradadel distacco dal possedimento e ci vediamo integrati in un mondo molto più vasto, molto più libero possiamo dire, dovenon esiste alcun possedimento e dove, non esistendo questo possedimento, non esiste neanche l'idea del tempo chepassa e che ci porta via le cose che fino a un certo punto e fino a un certo momento pensavamo di avere posseduto.Allora, rendendoci conto di questo, siamo. Siamo quel che siamo e basta, senza più l'idea di possedere, senza più l'ideadi voler tenere fermo qualche cosa che invece per la sua natura, per la natura di tutte le cose, fermo non ci può stare.

SESSHIN DEL MESE DI LUGLIO 1989 (dal 2 all' 8 luglio)SESSHIN KOKUHO 2 Luglio 1989 (Dom. sera)---------------------------------------------------

Finalmente siamo arrivati alle sesshin estive. Con questa di luglio comincia quel breve, pure così importante,ciclo delle sesshin di una settimana. In questo nostro posto ne facciamo soltanto due all'anno e forse per questo -almenoper quanto mi è dato di capire e di sentire - sentiamo di più, perché la sesshin di una settimana è quella che ci permettedi lavorare con quella gradualità che le altre sesshin non permettono. Anche le altre, con le scosse che danno, hanno laloro importanza.Questa di una settimana permette di entrare lentamente e forse chissà, più profondamente, all'interno del nostro cuore,di vederci chiaramente, in profondità, e realizzare - perché questo è lo scopo per il quale siamo qui - la nostra veranatura. Partecipare a una sesshin, come ho detto altre volte, è salire su un treno senza sapere la destinazione, entrare inuno scompartimento e trovarci delle persone che non conosciamo e con le quali stiamo insieme per un certo periodo e,nello stesso tempo, dobbiamo preoccuparci di vedere che la direzione che questo treno prende sia quella giusta, senzalasciarci distrarre né dalle parole delle persone con le quali stiamo, né dal paesaggio che possiamo vedere di fuori. Seintraprendiamo un viaggio è per raggiungere una destinazione, anche sapendo che non c'è alcuna destinazione daraggiungere. Lo ripetiamo giornalmente nella Prajina Paramita: Non c'è alcuna verità da realizzare. Ma questo locomprendiamo il momento in cui siamo capaci di aprire gli occhi. A parole possiamo dirlo tutti, lo abbiamo sentitoinfinite volte, ci sono miliardi di maestri che si affannano per farcelo capire, eppure noi siamo qui, tutti quanti seduti,perché, purtroppo, ma non direi purtroppo, perché, vogliamo vederci ancora più chiaro di quanto siamo riusciti avederci fino a questo momento.Ce la dobbiamo mettere tutta! Abbiamo fatto tanti o pochi chilometri per arrivare fin qui, abbiamo - qualcuno potrebbedire- sacrificato giorni di vacanza che forse qualcuno dei nostri amici pensa potrebbero essere impiegati meglioandandocene in quelle isole meravigliose tanto propagandate; dal momento in cui siamo qui dobbiamo lavorare contutta la nostra forza per realizzare lo scopo per il quale ci siamo mossi; dalla mattina alla sera, dalla sera alla mattinanon c'è un'interruzione.22

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La sesshin dura ventiquattro ore per sei giorni, non ci sono momenti in cui dobbiamo rilassarci e lasciare che la nostramente vaghi per conto proprio. Ogni momento, ogni attimo - per utilizzare questa parola strausata - ogni attimo deveessere utilizzato e può essere quello buono perché la nostra mente si spacchi come una noce di cocco e lasci uscire lachiarezza del suo interno. Non perdiamo tempo! Potremo dormire quanto vorremo quando torneremo in città o quandoandremo nel nirvana del sonno. Adesso non ci facciamo mettere sotto dal nostro corpo, non ci facciamo mettere sottodalla nostra mente, ma diventiamo noi stessi padroni del nostro corpo e della nostra mente. Di tempo per dormire ce nesarà più in là, non siamo venuti qui per dormire, ci sono altri posti dove si dorme anche meglio. Siamo venuti qui perpraticare e dal momento in cui ci alziamo fino al momento in cui andiamo a dormire e ci rialziamo siamo in continuo apraticare, praticare, praticare, praticare in qualunque momento. Non pensiamo che ci sia qualche cosa di più importantedell'altra, qualunque cosa facciamo stiamo praticando. Bene! Vi esorto a mantenere questa retta presenza, questa consapevolezza durante le azioni di ogni giorno, affinchéogni giorno, ogni momento di ogni giorno, ci sia per noi la possibilità di rispecchiarci e di viverci nella nostra realenatura che è una natura di illuminazione.Come hanno sempre detto i maestri del passato e del presente, l'illuminazione è intrinseca in ognuno di noi, basta apriregli occhi per vederla. La sesshin, se ci siamo con le giuste intenzioni, oppure queste giuste condizioni si risveglianopraticando, ci sta proprio per questo motivo. Insieme, aiutandoci gli uni con gli altri: abbiamo bisogno dell'aiuto di tuttigli altri che sono qui. Anche se lo sforzo è nostro, personale, individuale, però insieme possiamo fare di più e insieme viesorto a utilizzare tutte le energie che abbiamo, quelle visibili e quelle invisibili. Ma mettiamocela tutta, altrimentisiamo venuti a perdere tempo.

MUMONKAN = CASO 23°="NON PENSARE NÉ AL BENE NÉ AL MALE"(pag. I68)-------------------------------------------------------------

KOANUna volta il VI Patriarca fu inseguito dal monaco Myo fino a Daiyurei. Il Patriarca, vedendo Myo avvicinarsi,

depose il manto e la ciotola su una roccia e disse: "Questo manto simboleggia la fede: come si può lottare con la forzaper averlo? Te lo lascerò perché tu lo prenda".Myo cercò di sollevare il manto, ma era immobile come una montagna. Fu atterrito ed esitò. Disse: "Sono venuto per ilDharma, non per il manto. Vi prego di istruirmi, fratello laico!"· Il Sesto Patriarca disse: "Non pensare né al bene bè almale. In quel momento, qual’é il Vero Sé del Monaco Myo?". A queste parole Myo fu subito illuminato. Tutto il suocorpo grondò sudore. In lacrime si inchinò e disse: "0ltre a queste parole e a queste idee segrete, ci sono altri significatio no?". Il Patriarca disse: "Quello che ti ho appena detto non è segreto. Se realizzerai il Vero Sè, ciò che è segreto saràin te stesso". Myo disse: "Sebbene a Obai abbia seguito gli altri monaci nell'addestramento, non mi ero risvegliato almio Vero Sè. Grazie al vostro insegnamento, che è diretto, sono come uno che ha bevuto dell'acqua e ha fatto concretaesperienza se sia fredda o calda. Siete veramente il mio Maestro, fratello laico."Il Patriarca disse: "Se ti sei così risvegliato, tu e io abbiamo entrambi Obai come nostro Maestro. Vivi secondo la tuarealizzazione e abbi cura".

COMMENTO DI MUMON

Del Sesto Patriarca bisogna dire che in un momento di emergenza ha fatto qualcosa di straordinario. Le suepremure sono fin troppo paterne; è come se avesse sbucciato un litchi fresco, avesse tolto il seme e poi te lo avessemesso in bocca cosicché tu debba solo ingoiarlo.

POESIA DI MUMONPuoi descriverlo, ma invano; rappresentarlo, ma senza risultati.Non puoi mai lodarlo in pieno: smettila di brancolare e di usare stratagemmiIn nessun luogo si può nascondere il Vero Sè.Quando il mondo crolla, "ciò" è indistruttibile.

TEISHO 3Luglio I989 (Lunedì matt.)

Questo, insieme al poema che scrisse Hui Neng ( qui viene usata la traduzione giapponese del suo nome, Eno,ma il vero nome è Hui Neng), quello che lo mostrò al proprio maestro come il suo reale successore, e ad un'altradomanda che fece, e cioè di mostrare il proprio vero volto qui non lo dice, lo dice in maniera corretta, perché chiede :"Qual' è il Vero Sè del Monaco Myo?", mentre le parole esatte sono: "Qual’é il proprio vero volto prima che i nostrigenitori fossero nati?". Insieme a questo abbiamo i due aneddoti che concernono la vita di Hui Neng più conosciuti.23

Page 24: Testo trascritto da Ileana Seikyū - Franco Shihan (24 ...Questo, anche se ci si ripete, perché lo sono quasi tutti i koan del Mumonkan, è uno dei koan più famosi e riguarda il

All'interno del Mumonkan c'è ancora un koan in cui Hui Neng ormai sta per essere riconosciuto come reale successoredel V° Patriarca, cioè come VI° Patriarca, ed è l'episodio in cui alla disputa dei due monaci su chi muove effettivamentela bandiera, se è il vento che muove la bandiera o è la bandiera che fa muovere il vento, Hui Neng risponde: "È la vostramente che è agitata perché la bandiera non è affatto agitata". Questo lo abbiamo già nel Mumonkan, ma il koan chepresenta qui Mumon come ventitreesimo caso è certamente quello fondamentale. Tra i molti punti di questo lungo,caso, certamente quello più importante è che Myo vedendo che effettivamente Hui Neng possiede un potere - e certevolte sembra che si debba mostrare questo potere, infatti il momento in cui Myo vuole prendersi la ciotola e il manto,non riesce a staccarli- allora, da quel momento si rende conto che quella ciotola e quel manto hanno unpotere, quel potere è stato trasmesso a Hui Neng e, automaticamente, il suo rispetto nei confronti di Hui Neng che avevainseguito fino a quel momento quasi per ucciderlo, per togliergli il segno della trasmissione, cambia completamente:adesso Hui Neng potrebbe essere il suo maestro. Gli chiede di ricevere l'insegnamento e Hui Neng, moltosemplicemente, gli dice - come già Bodhidharma aveva detto a Huikko il momento in cui, dopo aver bussato invano allacaverna viene ammesso e quello gli dice: "Non riesco a pacificare la mia mente", Bodhidharma gli risponde: "Portamiqua la tua mente e io te la pacificherò", - così, nello stesso modo, a Myo che chiede istruzione, il VI Patriarca gli dice:"Non pensare né al bene né al male. In quel momento qual’é il Vero Sè del Monaco Myo?". Senza pensare né al bene néal male! In quel momento! Certamente che uno può mostrare il proprio vero sé soltanto il momento in cui non pensa néal bene né al male. Se stesse a pensare al bene o al male, e per cui se usasse una mente discriminante, che soppesa lecose, che ragiona, il Vero Sè non potrebbe venire fuori. Allora, in quel momento, Hui Neng gli chiede: "Mostrami il tuovero volto", addirittura, per essere sicuro che questo volto venga realmente dal profondo di Myo e non sia soltanto unvero volto inventato, gli dice: "prima che i tuoi genitori fossero nati", per cui quello che viene da lontano, quello chec'era già chissà quando, non un volto che si può essere costruito negli ultimi tempi. Prima di nascere c'era Un Vero Sè.Che cos'è questo Vero Sè? "Mostramelo qua e, naturalmente, mostrami il Vero Sè che venga fuori da se stesso, non chetu lo prendi e lo porti fuori, perché se tu lo prendessi e lo portassi fuori, già ci sarebbero due entità: uno che prende euno che viene portato. Questa separazione deve sparire, per cui ci deve essere qualche cosa che viene, che sorge -possiamo dire - che sorge da sé e si mostra. Naturalmente in quel momento, il momento in cui Myo era così affannatodalla corsa, pregustava già la soddisfazione di diventare il possessore della roba che si diceva fosse stata trasmessadirettamente dal Buddha a tutti i Patriarchi fino a quel momento, vedere che questa roba non riesce a staccarla e per cui,insomma, Hui Neng qualche cosa l'aveva; poi gli chiede l'insegnamento e quello lo pone di fronte ad un problema cheera probabilmente lo stesso che aveva sempre scosso Myo, perché se Myo comprende quando Hui Neng gli fa questadomanda, vuol dire che c'era un terreno già preparato, già lavorato, gli mancava poco per fargli sbocciare questacomprensione. Allora cerano tutte le condizioni per cui Myo - così come era avvenuto per Huikko che aspettava fuoridalla grotta di Bodhidharma - riuscisse a fare il satori, a fare l'illuminazione. Infatti, questa domanda che Hui Neng glipone è proprio quella che fa traboccare il suo vaso e comprende. A questo punto bisognerebbe dire qualcosa sul fattodei koan che spesso quando ne parlano quelli che ne hanno soltanto letto o ne hanno sentito parlare, li definiscono comeuno dei mezzi che c'è nella scuola Lin-Chi per fare l'illuminazione. Non è così, perché questo koan di Hui Neng è uno dei koan fondamentali, uno dei koan che permettono di vedere lapropria reale natura, uno dei koan Kensho, come vengono classificati. Ma questo non significa che poi, una volta vistala propria reale natura, una persona possa avventurarsi per il mondo con la comprensione che gli permette di affrontarequalunque situazione nella maniera giusta. Per fare questo ci vuole l'addestramento, ci vuole lo studio, ci vuolel'approfondimento di tutto l'insegnamento del Buddha, e questo avviene attraverso i koan, per comprensioni successiveche possiamo chiamare ancora illuminazioni, ma sono illuminazioni di un problema, quello che ogni koan rappresenta. Per cui, la comprensione di un koan non ci dà il satori assoluto, finale, definitivo. Noi dobbiamo continuare sempre,koan dopo koan , ad approfondire ed a comprendere e a farci quella esperienza di comprensione che, come dicevo, cipermetta di affrontare tutti i problemi che ci si presentano. Questo tanto perché almeno quelli che frequentano la nostrascuola e che i koan li praticano, capiscano; gli altri se non capiscono, beh ! sono affari loro.Successivamente, c'è un altro punto molto importante che è quando Myo, visto che la comprensione l'ha ottenutatramite l'aiuto di Hui Neng, chiede a Hui Neng di diventare suo discepolo. Dice: "Io sono stato lì tanti anni a praticare enon avevo mai capito una cosa del genere, per cui significa che se l'ho capita con te, tu sei il mio maestro". Moltogiustamente, onestamente, Hui Neng riconosce che il Maestro di tutti e due è il Quinto Patriarca, Gunin Daiman, quellodal quale Hui Neng ha ricevuto il sigillo della trasmissione, dal quale fino a quel momento Obai ha ricevutol'insegnamento che gli ha permesso poi, quando Hui Neng gli ha chiesto qual' era il suo vero volto, di capire, quello chedoveva capire.Ma se non ci fosse stato prima l'insegnamento e lo stimolo che provenivano dal Quinto Patriarca, Myo non avrebbepotuto capire.Capita spesso a noi stessi, ad altri, di vedere la facilità con cui si passa da un maestro all'altro, da un'amicizia all'altra, daun insegnante all'altro, rinnegando - questo è il grave perché non è detto che uno non debba fare dei passaggi di qualità,però non è detto che debba rinnegare quello che fino a quel momento ha ricevuto dai maestri precedenti.Questo è quello che Hui Neng vuole ricordare a Myo. A parte che in quel momento lui non può ricevere discepoliperché ha altri problemi da risolvere, ma gli ricorda che il suo maestro è ancora Obai. Forse con l'insegnamento di HuiNeng è riuscito a comprendere qualcosa che con il maestro che sta su1 monte Obai non era ancora riuscito, ma questonon significa che debba essere dimenticato, messo da parte. Noi ci innalziamo sulle ceneri, sulle ossa degli altri, diquelli che ci hanno preceduto, e questa gratitudine - il fatto che ci sia stato qualcuno prima di noi che ci ha permesso dicapire quello di cui avevamo bisogno - che quello prima di noi lo abbia fatto per proprio interesse, perché non potevafare altro, è un'altra faccenda; noi comunque, senza quell'aiuto, non saremmo quello che siamo. E questo dobbiamomantenercelo bene nel cuore perché è importante per sentirci veramente membri di questa - comunità universale di cuiappunto siamo membri.24

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Il commento di Mumon è molto breve e sembra che voglia toccarlo con leggerezza, con simpatia, senza lasciarsicoinvolgere troppo. In fondo, c'è una sorta di rispetto per il primo grande maestro cinese e allora si avverte questorispetto. "Del Sesto Patriarca bisogna dire che in un momento di emergenza ha fatto qualcosa di straordinario". Senti tecome è incensante: "Le sue premure sono fin troppo paterne; è come se avesse sbucciato un litchi fresco", un frutto chepossiamo pensare sia un'albicocca, "avesse tolto il seme e poi te lo avesse messo in bocca cosicchè tu debba soloingoiarlo". Quasi quasi come le madri che, almeno nell'antichità, masticavano il cibo prima di darlo ai figli. Quello dellamadre che si comporta premurosamente nei confronti del figlio è un esempio che ricorre spesso nei testi ch'an. Mumon dice successivamente, nel poema: "Puoi descriverlo, ma invano; rappresentarlo, ma senza risultati. Non puoimai lodarlo in pieno: smettila di brancolare e di usare stratagemmi. In nessun luogo si può nascondere il Vero Sè.Quando il mondo crolla, "ciò" è indistruttibile". In nessun luogo si può nascondere il Vero Sè: questo è moltoimportante. Il momento in cui noi ci rendiamo effettivamente conto che il Vero Sè, la vera natura, l'illuminazione, nonsi può nascondere, significa che è visibile, significa che ogni volta che noi posiamo lo sguardo – metaforicamente - daqualche parte, lo possiamo vedere. E allora, perché non lo vediamo? Ecco, questo dipende dal fatto che lo sguardo non èabbastanza penetrante, o non si ferma sufficientemente? O noi non guardiamo con la giusta intensità? Questo è unproblema che ha affannato molti già prima di noi e che, naturalmente, vi lascio perché è il problema per cui siamo ancheriuniti qua tutti quanti. Il Vero Sè è a portata di mano, a portata di vista, a portata dei nostri sensi, perché proprio non si può nascondere. Ècome l'aria. L'aria non si può nascondere. E dove la nascondi? Si vede, si respira. Quando tira vento ci sbatte sullafaccia con tanta intensità che ci dà pure fastidio! Questa difficoltà nel vedere quello che si dovrebbe vedere e cheappunto non è nascosto, è la difficoltà non-difficoltà della pratica interiore, della pratica reale, della pratica che permettedi diventare dei realizzati esseri umani.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 3 Luglio 1989 (lunedì sera)

Nel Mumonkan abbiamo già avuto occasione di incontrare l'episodio in cui c'è il maestro Gutei, famoso perchéad ogni domanda che gli facevano rispondeva in silenzio e alzando un dito, sempre lo stesso dito della stessa mano. Èun maestro cinese. Non so adesso il nome cinese, lo pronuncio alla maniera giapponese e questo non è realtà. Il Ch’ancosì com’è, è ?????????? quello che noi abbiamo conosciuto in occidente e che andiamo a conoscere in Giappone è untipo di ch'an, ma giapponese. ll tipo Chi-Ch'an effettivo, reale, è quello dei maestri come Gutei, come Lin-Chi e via diseguito. A parte questo, Gutei è molto importante perché sta a rappresentare colui che vuole dimostrarci come tutte lecose siano fondamentalmente giuste come sono, come tutte le domande abbiano in se stesse la propria risposta e,naturalmente, come aspettando il tempo in cui si possa capire, si riconosca che Gutei a quella domanda non poteva faraltro che rispondere alzando il dito.Se ci ricordiamo, durante l'inverno scorso abbiamo aspettato per mesiche il tepore primaverile di gennaio e febbraio si trasformasse nel freddo e nella neve sulla quale poi avremmo dovutosciare, quella neve che poi avrebbe dovuto sciogliendosi, riempire i laghi, i fiumi, i pozzi. Ma la natura ha deciso da séquando doveva nevicare, così come decide da sé quando deve venire l'estate. Ma se noi ci lasciamo coinvolgere inquesto tempo, in questi giorni leggendoli sul calendario, certamente non sappiamo trovare una risposta al perché dellanatura che agisce in questo modo. Ma invece dovremmo saperla trovare perché noi siamo capaci di star seduti insilenzio e vederci trascorrere sia il caldo dell'inverno, strano, come lo strano freddo o eccessiva piovosità dell'estate.Noi, seduti così sul cuscino, siamo come il dito di Gutei, siamo la risposta uguale a tutte le domande. Vuol dire che tuttele domande che facciamo sono anche uguali. Se riusciamo a vedere Gutei col suo dito alzato, a vedere l'unicità delledomande e delle risposte, allora questo star seduti silenziosamente, come un dito alzato, ha una ragione di essere.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 4 Luglio 1989 (Martedì matt.)----------------------------------------------

Nella nostra scuola di buddismo c'è la pratica dei koan, di questi esami che si debbono passare volta per volta.Ma gli esami sono in ogni momento della nostra vita, ed anche i bambini già quando praticano uno sport, nella scuola,hanno gli esami di quinta, di terza media, poi successivamente vengono rimandati o bocciati.Anche il semplice esercizio di un'attività sportiva come il karatè, ha richiesto per Alvise di studiare, di dimostrare peraccedere ad un grado superiore. Per rimanere nell'ambito del karatè, di questi gradi che vengono dati, simbolizzati dalcolore della cintura - in Italia e così nel mondo ci sono tante scuole - ci sono luoghi in cui dopo pochi mesi di pratica giàsi riesce ad ottenere un colore di cintura migliore, nuovo; altri dove invece, per ottenere quel passaggio, viene richiestamolta pratica e una conoscenza giusta nella disciplina. Quale è buona di queste scuole? Quella severa o quella invecepiù prodiga di riconoscimenti? Anche Mumon ripeteva spesso che se lo zen fosse soltanto praticare per superare deikoan, lui avrebbe potuto insegnare tutti i koan in una notte. Sarebbe bastato un registratore, uno li avrebbe potutiregistrare tutti e diventare pappagallescamente uno che sa tutti i koan. Ma lo scopo della nostra pratica è forse quello?Come lo scopo del praticante di karatè o di Aikido è quello di prendere i kyu? O pratichiamo per qualche altra cosa?Intanto pratichiamo per praticare: questo deve essere capito ed è fondamentale. E poi, come dice anche Vimalakirti aSariputra il momento in cui lo va a trovare: "Sei venuto qui per una sedia o per il Dharma?". Perché se uno è venuto quaper la sedia, non c'è certamente bisogno di arrivare fin qui: di sedie è pieno il mondo. Di luoghi dove sedersi o dovesalire un po' più su ce ne sono tantissimi, oggetti e luoghi. Ma se noi si.mo per riconoscere il Dharma, allora è diversò.25

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Riconoscere il Dharma è una investigazione molto difficile da fare. Difficile perché richiede un coinvolgimentocompleto di tutte le nostre facoltà e questo, per chi è abituato a frequentare i luoghi in cui si ricevono titoli conprodigalità, è un esercizio impossibile.Nella pratica vera, nell'investigazione del Dharma, nessuno ci regala qualcosa, ci arriva soltanto quello che cimeritiamo. E questo, il riconoscere che ci arriva poco o tanto, non deve naturalmente abbatterci o inorgoglirci. In quelriconoscimento, nel vedere quello che riusciamo a fare, già c'è il riconoscimento del Dharma che stiamo ricercando.

MUMONKAN = CASO N. 24 ="ABBANDONA LE PAROLE E I DISCORSI"(pag. I76)---------------------------------------------------------

KOAN

Una volta un monaco chiese al Maestro Fuketsu: "Sia il parlare che il silenzio riguardano la relatività ri-bi. Inche modo possiamo essere liberi e non trasgredire? Fuketsu disse:

Con quanta tenerezza ricordo Konan in marzo! Le pernici chiamano e i fiori sono profumati".

COMMENTO DI MUMON

Lo zen di Fuketsu è come un lampo. Egli ha la propria via e procede su di essa. Ma perché si affida alla linguadel poeta antico anziché liberarsi di essa? Se riuscite a capirlo chiaramente potrete raggiungere la libertà assoluta.Abbandonate le parole e i discorsi, e dite una parola!

POESIA DI MUMONNon usò parole grandiose:Prima di aprire la bocca, "ciò" è rivelato.Se continui a chiacchierare in bella maniera,Sappi che non afferrerai mai "ciò".

TEISHO 4 Luglio 1989 (Martedì matt.)----------

Questo di Fuketsu, un nome che noi recitiamo tutti i giorni subito dopo Rinzai-Gigen, Nanin Egyo, FuketsuEnsho; per cui è uno dei maestri che appartengono direttamente alla nostra scuola, subito dopo Rinzai, nel momento incui le scuole di ch'an in Cina raggiunsero il massimo fulgore.Questo koan è proprio un classico della risposta alla Joshu, possiamo dire, e cioè: il monaco pone un problema,fondamentale naturalmente, e il maestro risponde con una divagazione. Ce ne sono altri di maestri che a domande cosìdirette rispondono in maniera poetica. Questo di Fuketsu, nel citare un poeta del passato e nel citare una zona moltobella della Cina. Lo stesso potremmo dire noi se qualcuno ci domandasse: "Com'è il Ch'an? Che cos'è questa pratica incui non si deve né parlare né stare zitti?". Allora potremmo dire:" Che bello le Dolomiti con i loro fiori quand'è laprimavera e quando le nevi ormai si sono sciolte. La primavera con i suoi fiori parla - pur rimanendo in silenzio.Abbiamo un modo diverso di esprimere quanto si comprende.Il monaco qui, da Fuketsu vuole con le parole qualche cosa che vada al di là delle parole e, nello stesso tempo, che vadaanche al di là del silenzio. Potremmo dire: "Ma insomma, questo qui che cosa vuole?".Eppure di questi casi nella nostra pratica ne abbiamo già incontrati e sappiamo che c'è un modo di poter penetrare nellaloro comprensione e, una volta compresi, sappiamo che possono ricevere una risposta adeguata alla loro situazione. Sipuò, come dice il monaco, parlare e il silenzio che riguardano la relatività, la discriminazione, possiamo esserne liberi?Possiamo andare oltre questi senza trasgredire, senza commettere un errore? Sì, possiamo. Perché con le parole Fuketsuevoca un'immagine che non è legata soltanto alle parole, è un'immagine che appartiene alla nostra ancestralità che c'èprima che noi cominciassimo ad inventare le parole e che non ha bisogno di essere espressa soltanto con le parole. Ilmomento in cui noi ricordiamo, diciamo le note o le parole di una canzone, o anche fischiettiamo un motivo di unacanzone conosciuta da tutti, per ognuno di noi quel motivo, quella musica rappresenta qualche cosa e ci fa rivivere unasituazione, ci ricolloca in un contesto immediatamente, per cui noi siamo capaci di viaggiare, siamo capaci di starefermi, senza per questo dover usare o non usare le parole, senza esserne legati. Quello delle parole e del parlare è unproblema continuamente dibattuto all'interno della scuola del buddismo in generale e del ch'an in particolare. I maestrihanno sempre saputo, attraverso questo loro rievocare immagini poetiche, ovvero essere a loro volta dei poeti, sonosempre riusciti ad andare oltre questa discriminazione e saltare la trappola in cui avrebbero voluto far li cadere. Lapoesia, quando è poesia, seppure usi le parole, riesce a compiere qualche cosa che non è soltanto delle parole. Cosìcome qualunque altro artista il momento in cui è all'opera nella sua arte, non è limitata la sua manifestazione all'arte chesta compiendo: è arte e basta, di qualunque genere essa sia. Nel commento, Mumon dice che lo zen di Fuketsu è come26

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un lampo: "Egli ha la propria via e procede su di essa". Certo! Tutti i maestri di ch'an hanno la propria via e procedonosu quella via. Su quale altra potrebbero procedere? Però Mumon qui fa un appunto a Fuketsu e dice: "Perché usa leparole dei maestri del passato e non lo dice con le proprie parole?". Ma come dicevo prima, se noi suoniamo o cantiamoun motivetto conosciuto da tutti e che non abbiamo inventato noi - potremmo anche averlo inventato noi - però se èprecedente alla nostra invenzione, se è un motivetto che appartiene alla tradizione delle persone con le quali siamoinsieme, quello sicuramente suscita delle emozioni che altrimenti un motivo nuovo, inventato da noi in quel momento,non susciterebbe.E perciò questa è la ragione per cui Fuketsu si affida alle parole dei poeti del passato.Mumon finisce dicendo: "Abolite le parole e i discorsi, e dite una parola!". Per cui: "Esprimete la vostra arte senzabisogno degli strumenti con i quali siete abituati a lavorare".Nel poema, Mumon dice: "Non usò parole grandiose: Prima di aprire la bocca, "ciò" è rivelato. Se continui achiacchierare in bella maniera sappi che non afferrerai mai "ciò"." Le parole sono importanti, ma il momento in cui cispecchiamo, ci guardiamo allo specchio con le parole, come purtroppo spesso si fa, filosofeggiando, allora in quel modonon riusciremo ad afferrare la realtà ultima. Le parole vanno adoperate bene. Se nei ci mettessimo a scolpire una statuacosì come parliamo, continuando a scalpellare, a scalpellare e a scalpellare, ci troveremmo senza più il nostro legno o ilnostro marmo che stiamo lavorando.Andando avanti con le parole ci troviamo senza niente, vuoti, ma non il vuoto del buddismo - che poi non è delbuddismo, è il vuoto da evocare per mezzo della pratica buddista - ci troveremo con niente e questo, naturalmente, nonè quello che noi vogliamo perseguire. È molto bello che qua Fuketsu evochi un'immagine attraverso la sua poesia chepoi, perché detta attraverso la sua poesia, è poetica.Quello del recitare poesie nella tradizione ch'an risale all'inizio, già a Hui Neng e ad ancora prima. Per cui sappiamo cheusare le parole in maniera poetica non è qualche cosa che appartiene soltanto agli specialisti. Il momento in cui noiusiamo le parole bene allora, in quel momento, siamo anche noi dei poeti, stiamo utilizzando uno strumento al megliodelle possibilità umane e il momento in cui noi siamo al meglio delle possibilità umane, essendo poeti, esprimiamo lavera natura delle cose, così come fa Fuketsu in questo poema.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 4 Luglio 1989 (Martedì sera) ----------------------------------------------

Ho riletto quanto ha pubblicato 'Incontro con lo zen', quel piccolo scritto sulla fede e sulla fiducia; ho ripensatoad una volta che scrissi sul notiziario a proposito della politica dicendo che gli esseri umani,potremmo far l'esempio di un gruppo di persone che si trovano insieme su di un'isola e che su quell'isola debbonovivere, e siccome sono tutti che provengono da paesi cosiddetti civilizzati, debbono democraticamente ognunooccuparsi di qualcosa, dividersi i compiti, chi fa un lavoro, chi ne fa un altro perché tutti quanti possano vivere almeglio. A ripensare a quanto ho detto sulla politica, come quello che ho scritto su 'Incontro con lo Zen', mi sembra diessere stupido, stupido perché nei confronti di come ne parlano invece altri che anche su 'Incontri con lo Zen' comeanche su altre riviste di buddismo, per non parlare di quelli che parlano di politica, sembra che io sia a uno stadioinfantile perché uso delle parole molto semplici, dei concetti facilmente comprensibili e gli altri invece salgono molto dipiù sulle vette della filosofia e della dialettica.Ma se noi ci rifacciamo a uno dei testi più importanti del ch'an, quello delle sei o delle dieci figure della ricerca dellamente, o del bue, dell'uomo che va alla ricerca del bue che è scomparso - che rappresenta la sua mente - poi loraggiunge, poi lo doma e poi si vede quest'uomo che torna al villaggio, distaccato da tutti come l'ultimo cretino delvillaggio. E quello, per il ch'an, è il massimo della comprensione, è l'uomo, l'essere realizzato che vive bene aqualunque livello.Tutti questi preamboli per dire che anche una sesshin, o un luogo di pratica, senza per questo rifarsi ad organizzazionied a riti molto più complicati, si può semplicemente vedere come un certo gruppo di persone che di propria volontànaufragando in un'isola, sanno che ci staranno per un certo numero di giorni soltanto, e si danno delle regole:ad ognuno vengono assegnate delle funzioni e per il mantenimento …..

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 5 Luglio 1989 (Merc. matt.)----------------------------------------------

Recentemente, in un corso per allenatori sportivi -maestri di arrampicata- a cui ho partecipato a Roma, al Coni,dei professori hanno parlato dei ritmi circadiani. Il ritmo circadiano è il ritmo che ognuno di noi ha, per cui ognuno dinoi dalla nascita preferisce svegliarsi tardi al mattino e andare a dormire tardi la sera, o al contrario, la sera sente prestosonno e al mattino si alza con più facilità.Comunque sia, questi esperti dicevano che l'atleta dovrebbe capire qual’é il proprio ritmo e tendere ad effettuare leproprie prestazioni sportive da sveglio, e cioè alzarsi il tempo sufficiente per arrivare alla gara ben sveglio e riscaldato,tenendo presente che a seconda del suo ritmo circadiano, c'è chi ci mette di più e chi ci mette di meno per arrivarci.Nei monasteri zen - noi conosciamo quelli giapponesi - di questi ritmi circadiani non si tiene conto, ma anzi, si cerca diproposito di arrivare al punto in cui il sonno o la stanchezza stanno per prendere il sopravvento, intervenendo anche27

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dall'esterno per vincerli attraverso il tè, oppure attraverso il keisaku o le grida degli anziani, perché il momento in cui sicomincia a dormire, il momento in ·cui ci cominciamo a svegliare si sta in un dormiveglia in cui è più facile che sirisvegli - qui il termine risvegliare ha un altro significato - che venga alla luce la nostra intuizione diretta che cipermette di vedere chiaramente nella nostra reale natura. Nel momento in cui noi stiamo in questo stato di non completorisveglio fisico dal sonno, oppure che stiamo entrando nel sonno, in quel momento i nostri sensi, la nostra volontà, sonorilassati e c’è, come dicevo, più facilità perché la comprensione venga più che da un nostro sforzo, che c'è statonaturalmente; e che ha provocato la condizione giusta, questa comprensione venga da un altro serbatoio. Per cui è veroche si dorme poco, ma questo dormire poco ha una sua ragione perché noi non dobbiamo compiere delle prestazionisportive per battere record che, come ho già detto, hanno senso se noi vogliamo diventare più bravi degli animali.Il praticante, e con questo intendo chi cammina sulla Via, chi vuole risvegliarsi alla Verità assoluta, è alla ricerca di altrirecors e, naturalmente, conoscendo i suoi ritmi circadiani, va a mettersi nelle condizioni peggiori per potersi risvegliarea questa Verità assoluta.

MUMONKAN = CASO N° 25 =IL DISCORSO DEL MONACO DEL TERZO TRONO(pag. 183)

KOANIl maestro Gyozan fece un sogno. Andava nella dimora di Maitreya e gli veniva assegnato il terzo trono. Un

monaco venerabile colpì il tavolo con un martello e annunciò: "Oggi il discorso sarà fatto dal monaco del terzo trono".Gyozan colpì il tavolo con il martello e disse: "Il Dharma del Mahayana va oltre le Quattro Proposizioni e trascende leCento Negazioni. Ascoltate attentamente!"

COMMENTO DI MUMON

Ditemi: fece un discorso o no? Se aprite la bocca perderete "ciò". Nemmeno se chiudete la bocca afferrerete "ciò". Edanche se non aprite né chiudete la bocca, siete lontani centottomila miglia.

POESIA DI MUMONChiara luce sotto il cielo azzurro!In sogno parla di un sogno.Inganno! Inganno!Ha illuso l'intera assemblea.

TEISHO 5 Luglio 1989 (Mercol. Matt.)======

In questo koan in cui il maestro Gyozan parla di un suo sogno, possiamo ricordare Chuang-tze e un episodiomolto simile che non riguarda l'aver partecipato all'assemblea dei Bodhisattva, ma si riferisce sempre a un sogno, e cioèChuang-tze dice: "Ieri ho sognato di essere una farfalla. Ma ero io a sognare di essere una farfalla o era una farfalla chesognava di essere uno che sogna di essere una farfalla?".Siamo qui di fronte allo stesso problema. Per cui, dobbiamo chiederci Gyozan che cosa vuole dire con questo suo diredi aver sognato.Quando alla fine battendo sul tavolo dice: "Il Dharma del Mahayana va oltre le Quattro Proposizioni e trascende leCento Negazioni. Ascoltate attentamente!". Spesso dagli scrittori o dai poeti, da altri artisti e naturalmente dai mistici,dai maestri di qualunque epoca e di qualunque scuola è stato detto e ripetuto che tutto quello che stiamo vivendo èsoltanto un sogno, non è assolutamente la realtà. Ecco!Tutti quanti noi, naturalmente, abbiamo sognato; sogniamo in continuazione e ci rendiamo conto di come il mondo deisogni sia un mondo nello stesso tempo che appartiene alla fantasia e ugualmente reale, perché il momento in cui loviviamo non sempre ci rendiamo conto di stare vivendo in una dimensione diversa da quella che crediamo reale, cioè dauna dimensione in cui non stiamo dormendo; e non soltanto i sogni che viviamo provengono da uno stato di sogno, altrevolte provengono anche da uno stato di veglia. Ci sono molti di noi che si lasciano trasportare da questi viaggi neglistati di sogno nei quali vivono meglio che nella realtà di tutti i giorni.Uno scienziato e scrittore ancora vivente, Labory, ha scritto un libro: "L’elogio della fuga" nel quale consiglia, di frontealle grandi difficoltà che possono presentarsi, di scapparcene, andarcene in un'altra dimensione che può essere quelladel sogno, può essere la dimensione di distacco, può essere la dimensione di astrazione, potremmo anche chiamarla.Distaccarci completamente dalle cose cosiddette reali e immergerci in un altro mondo in cui le cose sono regolate moltopiù facilmente dalla nostra volontà. Il mondo che noi sogniamo, il mondo dei sogni nel quale entriamo quandodormiamo, non è così regolabile, no è così controllabile come invece è il mondo dei sogni nel quale possiamo decideredi entrare a nostro piacimento quando non stiamo dormendo, il mondo dei sogni ad occhi aperti. Labory proprio vuoleinvitarci ad entrare in questo mondo di sogni ad occhi aperti, cosicchè non ci lasciamo travolgere dalla realtà che spesso

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è cosi cruda e molto difficile da vivere. Ecco che cosa vuole dirci Gyosan senza voler discutere su questo mondosimbolico in cui c'è Maitreya e il significato che ha il terzo trono, o primo o secondo.I koan vogliono portarci con i piedi sulla terra e Gyozan vuole stimolarci a trovare quel mondo, quella dimensione incui noi siamo padroni delle nostre azioni, possiamo entrare ed uscire dal mondo della realtà a quello dei sogni eritornare, con assoluta padronanza, sempre rendendoci conto di quale sia il mondo della realtà e quello dei sogni esapendo che anche il mondo della realtà come noi lo intendiamo e come viene inteso da tutti quanti, è un mondo disogni.Ricordiamoci di quanto dice Chuang-tze: "Oppure ero una farfalla che sognava di essere un uomo che sognava di essereuna farfalla?".Mumon dice: "Fece un discorso o no? Se aprite la bocca perderete "ciò". Nemmeno se chiudete la bocca afferrerete"ciò". Ed anche se non aprite né chiudete la bocca, siete lontani cento-ottomila miglia". Comunque sia, per Mumonsiamo sempre lontani dalla comprensione ed è bene che egli sia così duro, così critico nei nostri confronti. Però non èquestione né di aprire né di chiudere la bocca, è questione di penetrare in questo cosiddetto mistero con la nostracomprensione vera e vedere oltre il sogno e la realtà. C'è sempre una terza via, possiamo dire, c’è sempre un terzo mododi porsi tra quello che pensiamo sia la realtà e quello che pensiamo sia il sogno, e questo ci permette di afferrarel'essenza, afferrare la realtà. Nel poema Mumon dice: "Chiara luce sotto il cielo azzurro! In sogno parla di un sogno. Inganno! Inganno! Ha illusol'intera assemblea". Ecco qua: è proprio così. È la farfalla che sogna di essere un uomo che sogna di essere una farfalla.Ma noi non dobbiamo lasciarci ingannare. È inutile che Mumon gridi "Inganno! Inganno!", non c'è nessun inganno. C'èsoltanto uno sforzo di Gyozan di volerci proporre i suoi dubbi, le sue perplessità, e naturalmente attraverso questo,presentandoceli, dare la possibilità a noi di andare oltre ai nostri dubbi, alle nostre perplessità, che è la ragione per laquale Gyozan parla e noi siamo qui a praticare. Bisogna stare attenti, molto attenti, a imparare a uscire ed entrare nelmondo dei sogni perché altrimenti, come dice Mumon in un'altra occasione, si vaga come fantasmi nelle paludi. Pertutto c'è un tempo che è quello della veglia e c’è quello del sonno. C'è il tempo in cui osservia.mo la realtà come unsogno e c'è il tempo in cui osserviamo la realtà come una realtà solida contro la quale scontrarci e con la qualeconvivere. Questo è molto importante, non deve essere trascurato da coloro che vogliono vivere nella maniera migliore,nella maniera di esseri umani liberi e consapevoli della propria umanità.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEJ 5 Luglio 1989 (Mercol. sera)------------------------------------------------

Osservandoci è già difficile; osservando gli altri, perché è più facile, leggendo o sentendo parlare delle vite deimaestri o anche di pseudo maestri, veniamo a conoscenza di episodi che tendiamo a giudicare secondo il nostro punto divista, bene o male. Abbiamo le nostre idee sul bene e sul male, sµ ciò che è giusto e ciò che à sbagliato e, naturalmente,di fronte alle situazioni che osserviamo, diamo il nostro giudizio. Un mio amico guida alpina, che ha scritto un libropubblicato recentemente, una volta che eravamo a fare un corso come istruttori, io ero direttore del corso, presi unadecisione nei confronti degli allievi, molto tollerante secondo gli altri istruttori, mi disse che io ero troppo buono e io glirisposi che in fondo non valeva la pena infierire: il tempo avrebbe messo a posto tutte le cose.Il tempo, il passare dei giorni, dei mesi, degli anni, dei secoli, mette a posto le cose. Potremmo dire che certe volte nonabbiamo il tempo di aspettare che il tempo metta a posto le cose. È vero, ma possiamo entrare in un altro tempo: vederele cose in un modo così diverso dal luogo in cui ci immergiamo che siamo capaci di vedere come quelle cose sarannotra dieci, venti anni, cento anni.Un cantante, Battiato, di cui mi hanno dato una cassetta già tanto tempo fa e che ho risentito recentemente, in una suacanzone intitolata "Oceano di silenzio" in fondo parla come un mistico, un mistico che ha avuto una visione, che hasperimentato uno squarcio di realtà - poi quanto questa sia potuta diventare sua, non lo so - certo le parole sono belle edanno l'idea che in quel momento in cui l'ha scritta abbia effettivamente capito qualcosa. Questo 'oceano di silenzio',prendo a prestito le parole da lui, questo universo di silenzio, perché l'oceano è già limitato, anche se noi siamo piccoli el'oceano certamente è qualche cosa di talmente vasto, però non ci dobbiamo fermare agli oceani, dobbiamo andare oltre- se riusciamo ad immergerci in questo universo di silenzio vediamo come il tempo effettivamente possa darci ragione,possa cancellare, possa smussare quegli angoli e possa farci vedere le cose sotto un altro aspetto, un aspettocompletamente diverso, facendoci lasciare da parte i nostri giudizi che hanno un senso anch'essi e in quel momento,quando dobbiamo scegliere tra il sì e il no, tra il bianco e il nero, tra il verde e il rosso del semaforo, però in questomondo di relatività e dei rapporti, possiamo anche viverci immersi nel l'universo di silenzio, che è il mondodell'assoluto, e per cui non lasciarci toccare.Sapere che in fondo, in fondo, in fondo, questa risposta poi non ha tanta importanza.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEJ 5 Luglio 1989 (Mercoledì sera)------------------------------------------------

Capita ad ognuno di noi di trovarci di fronte a qualcosa: una lingua straniera, un esercizio fisico, uno strumentomusicale, una legge matematica, qualunque cosa, e dire: "È difficile", o addirittura dire: "È troppo difficile per me".Anche nell'arrampicata, fino a qualche anno fa, si passava sotto le pareti e si diceva: "È impossibile!".Adesso non si dice più. Quando diciamo: "È impossibile" o "È troppo difficile", senza aggiungerci "per me" ma lasciatocosì, in senso generico, già significa che noi stiamo passando a qualche altra cosa, stiamo passando oltre, non ci

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soffermiamo a sufficienza su quel problema per vedere se veramente ci riusciamo o non ci riusciamo, se siamo capaci didire "ancora non ci riesco", "non sono ancora in grado ·di farlo, di capirlo". Ma cosa significa 'difficile', 'facile'?Significa che se qualcuno è riuscito a fare quel qualcosa prima di noi, c'è una possibilità, o chissà quante altre possibilitàanche per noi, di riuscire a compierlo. La bellezza di questa nostra pratica si basa sull'insegnamento, anche se tutti prima di lui avevano detto: "È diffici1e, èdiffici1e. È impossibile!!” e quello che è molto importante è che questo insegnamento ci dice che è possibile, èpossibile, così come colui che lo ha iniziato, anche noi arrivare a comprendere quello che duemilacinquecento anni faSakyamuni ha compreso diventando Buddha. Non ci siamo ancora riusciti? Però ci stiamo provando! Non è chedobbiamo rendere conto a qualcun altro, che ci sia un carceriere dietro di noi il quale ci chiede continuamente a chepunto siamo, ma siamo noi stessi che ci chiediamo se stiamo facendo lo sforzo giusto e se stiamo veramente mettendocitutta la forza che possiamo sprigionare e ancora di più. Bisogna mettercela tutta. Non bisogna lanciarci con una tatticache ci dice: "Be, risparmiati un po', lascia stare, non mettere tutta la forza che hai, lasciane un po' da parte perchépotrebbe servirti chissà quando".Questo è un modo di ragionare che ci farà sempre rimanere magari con le cartucce non completamente scariche, ma nonci farà penetrare nel punto più profondo. Allora, cominciamo a cambiare da queste piccole cose la nostra mentalità: "Perquanto sia difficile, io ci provo e se non ci riesco, ci provo ancora".

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 6 Luglio 1989 (giov. matt.) ----------------------------------------------

In Inghilterra c’è una grande comunità mussulmana e ho letto sul giornale che un mussulmano ha ucciso lapropria figlia perché questa voleva diventare testimone di Geova. L'appartenenza ad una religione dovrebbe rendere gli esseri più comprensivi, più vicini a Dio -come dicono- poiavvengono di questi fatti perché non permettono che ci possa essere un Dio migliore o diverso da quello che hannodeciso di fare proprio. Il proprio Dio è il migliore, gli altri valgono di meno. Per cui un padre, che ha il potere sopra ipropri figli, decide a quale Dio debba appartenere il proprio figlio. A parte la questione religiosa, possiamo vedereanche in Italia, pur senza uccidere i propri figli, sicuramente le scelte che i giovani fanno nella scuola italiana aproposito dell'ora di religione, non sono fatte dagli studenti ma vengono fatte dai loro genitori. Per cui i genitoridecidono, per convenienza o per credo, che tipo di religione debbano seguire i propri figli. Questo per quanto riguardaproprio la religione, ma i genitori decidono anche che tipo di vita debbano fare i propri figli, non soltanto di religione.Che tipo di alimentazione, che tipo di scuola, che tipo di vestiti, che tipo di lingua debbano parlare, con quale idea dellasocietà e della politica debbano crescere. Tutto questo senza renderci conto che questi giovani potrebbero avere vogliadi avere idee differenti da quelle nostre, senza farci passare per la testa che potrebbero decidere di avere un altro Dio daquello che abbiamo scelto noi. Certo, si dice "quando ci sono dei bambini c'è pericolo che, lasciati nell'anarchia,possano scegliere in maniera sbagliata". Questo è anche vero. Chi ha avuto a che fare con dei giovani, con dei proprifigli o i figli degli altri, senz’altro sa che in qualche modo questi giovani menti devono essere indirizzate, ma debbonoessere indirizzate verso la comprensione della libertà, deve essere fatta crescere in loro la forza che permetta di decidereliberamente, capendolo, a quale tipo di Dio appartenere - se vogliono appartenere a un Dio - ancora di più sarebbemeglio se decidessero di appartenere soltanto a se stessi, senza così creare nuovi adepti alle religioni e a queste credenzeche sono attecchite in tante parti dell'umanità.Anche un maestro ha a che fare con questo problema. Abbiamo l'esempio così fulgido del Buddha Sakyamuni, il qualedice: "Non credete neanche a quello che dico io se prima non l'avete sperimentato da voi stessi". Certamente chi si rivolge ad un maestro intende ricevere l'insegnamento da quel maestro. Se così non facesse, sarebbesoltanto perdere il tempo, ma quel maestro deve dargli quegli insegnamenti che siano adatti alla sua crescita e alla suaforza affinché quel discepolo sviluppi da se stesso la propria forza che gli permetta poi di capire da se stesso quello chedeve realmente fare. E se quel discepolo, una volta che gli abbiamo fatto crescere questa forza, decide che ci possanoessere altri maestri o che potrebbe non aver bisogno di altri maestri e starsene per conto suo, non c'è bisogno di prendereil coltello - come ha fatto quel padre in Inghilterra - e sgozzare la propria figlia di fronte al resto della famiglia.

MUMONKAN = CASO N. 26 =DUE MONACI ARROTOLANO LE TENDINE DI BAMBU'(pag. 189)---------------------------------------------------------------------------KOAN

I monaci si riunirono nella sala per ascoltare il Grande Hogen di Seiryo che dava il Teisho prima del pasto dimezzogiorno. Hogen indicò le tendine di bambù. Subito due monaci andarono alle tendine e le arrotolarono allo stessomodo. Hogen disse: "Uno lo ha, l'altro non lo ha".

COMMENTO DI MUMON

Ditemi: quale lo ha e quale non lo ha? Se avete l'occhio Zen aperto su questo punto, saprete perché il MaestroSeiryo ha sbagliato. In ogni caso siete severamente avvisati di non discutere su "ha" o "non ha".

POESIA DI MUMON 30

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Quando sono arrotolate il grande vuoto è chiaro e limpido.Il grande vuoto non eguaglia ancora il nostro insegnamento.Perché non getti via il vuoto e ogni cosa?In quel momento è così limpido e perfetto che non passa nemmeno il vento.

TEISHO 6 Luglio 1989 (Giovedì matt.)======

Ci sono già dei casi, in altri koan, in cui il maestro dica: "Quello ha capito, l'altro non ha capito", così, senzauna ragione apparentemente chiara. Due persone fanno la stessa azione, come in questo caso i due monaci chearrotolano le tendine, oppure in un altro caso con Joshu che va a visitare due eremiti e tutti e due rispondono allo stessomodo, eppure anche Joshu nel loro caso dice: "Uno sta perdendo tempo perché non ha niente; l'altro invece stapraticando nella maniera giusta e ha capito quello che doveva capire", cioè: "Uno ce l'ha e l'atro non ce l'ha". Ce l'ha onon ce l'ha che cosa? Certamente si riferisce alla comprensione, allo zen, alla realizzazione della propria reale natura.Tutte queste cose, anche se poi Mumon nel suo commento e nella sua poesia ci prende gusto a demolire quello che noipensiamo di aver capito. Il caso è molto semplice e si potrebbe indagare su questo fatto che il maestro decida di fartirare su o giù le tendine ai monaci che stanno ascoltando il suo discorso e di trovare due monaci che faccianoesattamente le stesse cose, perché sicuramente uno dei due sarà più alto dell'altro, uno dei due si muoverà più in fretta opiù lentamente dell'altro nell'andare a eseguire l'ordine del maestro e noi non vediamo una persona allo specchio, nonvediamo l'immagine esatta di quello che stanno facendo due persone. Ma prendiamo per buono che tutte e duecompiono la stessa azione nella stessa maniera, certamente Hogen a metà del suo Teisho, forse perché i monaci si eranotutti addormentati e non riusciva a tenerli sufficientemente svegli, decide di indicare all'assemblea che uno capisce el'altro non capisce. Di fronte a questa assemblea in cui i due monaci sembrano uguali, e forse neanche li hanno guardati,Hogen vuole dire che lui sa distinguere chi ha lo zen e chi non lo ha. Potrebbe essere azzardato, ma non dovrebbe esserecosì azzardato. Anche dai fatti insignificanti si riesce a vedere chi in quella disciplina, in quell'arte, è addentro per età,per esperienza e per capacità, senz'altro riesce a vedere se gli altri sono anche loro ad un livello di bravura, a un livellodi perfezione sufficiente, altrimenti non lo sono; cioè vede gli scarti come vede i buoni.C'è un mestiere che adesso viene pagato molto in Italia e che viene fatto dai giapponesi - non lo sapevo, l'ho letto suigiornali non so quanto tempo fa - adesso mi viene in mente che è quello, mi pare, dei sessatori. Sessare non so se vieneda sesso, oppure viene da separare. Tori va per uccello, ma generalmente tutti i volatili vengono appellati tori e poi conil proprio nome specifico. Qui tori sono le galline.Comunque, questi uomini dividono il sesso dei pulcini appena nati, per cui li mandano chi da una parte a fare le uova,chi invece a diventare un pollo di allevamento per poi fare la sua fine. È molto importante che sappiano riconosceresubito la femmina dal maschio. Questi pulcini sono piccolissimi, gli organi genitali penso siano appena appenaaccennati e quelli, con un movimento molto rapido, perché ne devono testare migliaia al giorno, riescono a capire subitoqual è uno e qual’é l'altro, così come un maestro di musica può capire se una nota di uno strumento è stata fatta bene ono, cosa che a noi, naturalmente così come avviene per la separazione del sesso dei pulcini, se non siamo esperti dimusica potrebbe sfuggire facilmente. Tanti altri esempi potrebbero essere portati a significare che l'esperto è in grado divedere dove gli altri invece non si accorgono di niente. Hogen, senza dubbio, era un esperto per cui dice: "Quello làarrotola la tendina in una maniera in cui si esprime il suo ch'an. Quell'altro invece sta soltanto arrotolando la tendina,non si vede niente, è cosi moscio in una maniera qualunque. Magari ci mette anche energia, però quell'energia che cimette non significa che stia dimostrando il suo ch'an.Io direi di passare al commento di Mumon perché dice: "Quale lo ha e quale non lo ha?". Intanto noi non possiamo direquale lo ha e quale non lo ha, perché Hogen non dice "Quello di destra ce l'ha e quello di sinistra non ce l'ha", dice:"Uno ce l'ha e l'altro no". Noi non conosciamo neanche i nomi per cui non potremmo dire che tizio ce l'ha e caio non cel'ha, o viceversa. Per cui mi pare che con questa domanda Mumon si avventuri in territori dove le trappole sononumerose e corre rischio di caderci spesso anche lui. "Se avete l'occhio Zen aperto su questo punto, saprete perché il Maestro Seiryo ha sbagliato. In ogni caso sieteseveramente avvisati di non discutere su "ha” o "non ha''. In quale punto il maestro di Seiryo ha sbagliato? che fa dire aMumon di non mettersi a discutere su "ha" e su "non ha"? Forse potrebbe essere stato un eccesso di protagonismo, forsea noi quei due monaci avrebbero potuto benissimo andare avanti ad arrotolare tendine e il fatto di dire agli altri: "Uno cel'ha e l'altro non ce l'ha" senza dimostrare quale ce l'ha e quale no e perché, in che cosa si vede se ce l'ha o se non cel'ha, sta a significare soltanto un'espressione di virtuosismo possiamo dire, o perlomeno un'espressione di vanità nel direagli altri: "Io sono uno che ha l'occhio che vede le cose e voi altri invece non lo avete. Forse è questo quello che vuoledire Mumon e sicuramente da parte di Hogen un po' di questo ci può essere. Certamente i maestri, come Hogen, sonoalla ricerca di ogni mezzo per stimolare la comprensione dei propri discepoli, per cui, come dicevo, in un'assembleamezzo addormentata dire una cosa del genere può essere servito a stimolarli e a far loro riprendere il filo del discorso.Nel poema, qui siamo già più sul generico, "Quando sono arrotolate il grande vuoto è chiaro e limpido. Il grande vuotonon eguaglia ancora il nostro insegnamento. Perché non getti via il vuoto e ogni cosa? In quel momento è cosi limpido eperfetto che non passa nemmeno il vento”. Ecco, questo qui, da parte di Mumon lo trovo molto bello. La nostra capacitàdi gettare il vuoto, quel vuoto a cui siamo tanto attaccati, perché così saremo in grado di vedere il cielo limpido - quanon si tratta del cielo, comunque ammettiamo che sia il cielo - di vedere l'aria così limpida e perfetta, di vederci inmaniera così limpida e perfetta da non lasciarsi smuovere per niente, neanche dal vento.Hogen è talmente legato alla sua funzione e invece Mumon dice che qualche volta bisognerebbe metterla da parte pernon stare a vedere sempre la bottega. Sapete come gli esperti in qualche disciplina, poi alla fine, stanno sempre a parlare31

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delle cose che la riguardano e spesso non sono capaci di lasciare da parte tutto questo e vedere le altre cose così comesono, perché anche le altre cose al di fuori della propria disciplina sono piene di ch'an, sono piene di vita, hanno unaragione per essere viste, per poterne parlare. Questo è quello che ci vuole dire Mumon: di non rimanere rintanati semprenel nostro gergo, nelle nostre cose, nelle nostre parole, nei nostri attaccamenti.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 6 Luglio 1989 (Giovedì sera) ---------------------------------------------

Nell'esercizio delle mie svariate attività, ma soprattutto nell’insegnamento dello sci o dell'arrampicata enaturalmente qui a Scaramuccia, spesso ho dovuto dire agli allievi: "Provaci ancora", "Fai di nuovo quell'esercizioperché non è venuto bene", "La risposta di questo koan non è quella giusta", e mi viene in mente il maestro di Milarepache gli diceva di buttare giù la casa e di costruirne un'altra.A Milarepa sembrava che la casa fosse giusta, al maestro no e lo obbligava a buttare giù la casa costruita e acominciarne un'altra.Sembra che questi maestri siano crudeli perché non accettano quello che agli allievi sembra tanto fatto bene, osembrano crudeli perché l'allievo sa che pur non avendo fatto tanto bene, almeno ci ha messo la buona volontà. Ma se ilmaestro è il proprio maestro, e per cui c'è un rapporto di fiducia, si accorge della buona volontà, ma la buona volontànon è tutto, non può sopperire alla comprensione. Ci vuole la volontà buona per sforzarci di arrivare alla perfezione. Unmaestro che si accontentasse di qualcosa meno della perfezione non sarebbe un bravo maestro, non sarebbe buono neiconfronti dei propri allievi. Ci sono delle volte in cui si accontenta perché sa che in quel momento è meglio prendereperché altrimenti l'allievo si sentirebbe troppo demoralizzato e ha bisogno invece di essere sollevato, aiutato, ed allora siaccontenta anche di una casa con il tetto storto. Ma questo non significa che debba essere sempre così e non significache il maestro debba fare violenza a se stesso per costringersi a non accettare le case che Milarepa di volta in volta glicostruisce. Se il rapporto tra maestro e allievo non è un rapporto commerciale in cui si guarda al guadagno, a quanto cirende, a quanto ci costa e per cui se la resa è superiore al costo, allora l'allievo deve capire che questa "cattiveria" delmaestro nei suoi confronti può avere un senso, anche se in quel momento non lo si capisce. Andando avanti lo si capirà,così come le sculacciate che i genitori danno ai propri figli quando con le parole e con l'esempio non può essereinsegnato loro che cosa è bene per i figli stessi. Bisogna insistere, non lasciarsi abbattere dalle prime difficoltà, neanchedalle seconde, e neanche dalle terze. Anche perché se siamo arrivati alle terze difficoltà vuol dire che abbiamo superatole prime, le seconde, e naturalmente siamo già in grado di capire che una difficoltà per quanto dura sia, si può superare

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 7 luglio 1989 (Vener. matt.) ----------------------------------------------

In ogni sesshin così lunga, per noi, come faceva il mio maestro Mumon a Shofukuji, arrivati a metà, mi sonosempre ricordato di esortare i partecipanti perché ormai si era superato il punto più duro della settimana. Questa voltanon è stato detto, forse perché ormai quasi tutti si sono ben abituati allo sforzo fisico che una sesshin comporta e ledifficoltà che si trovavano prima ormai non sono più così grandi.Tranquillamente, un giorno dopo l'altro si pratica e si accetta tutto quello che viene superando le difficoltà con una certafacilità.Forse ora le difficoltà - visto che ci addentriamo di più nella pratica del koan - sono cambiate e non sonospecificatamente del secondo o del terzo giorno, ma sono a seconda del koan sul quale ci tocca praticare. Però oggi, chesiamo all'ultimo giorno, conviene dire qualche cosa per raccogliere tutta la nostra attenzione e fare questo ultimo sforzonel modo migliore possibile; poi domani, sabato, si penserà ad altro e poi ci lasceremo e poi, per chi potrà, bisogneràaspettare un mese o altri mesi, per chi non potrà, prima di poter restare insieme.Non bisogna allentare la presa, pensare che ormai siamo arrivati. Ci sono molti corridori, ciclisti, maratoneti, o di altrogenere che a pochi metri dal traguardo rallentano, si guardano intorno e in quel momento arriva uno che li supera per laloro distrazione. Noli non corriamo contro avversari che ci possono superare alla fine, però abbiamo sempre il problemache la nostra mente si rilassi e che entrino in noi motivo di pensieri superficiali non attinenti alla pratica che siamovenuti a fare e per la quale ci siamo preparati. Ogni momento è buono per risvegliarsi alla natura di illuminazione, all'illuminazione, per prendere coscienza dellapropria buddhità, del proprio essere budda, illuminato. Non disperdiamo questi momenti ma cerchiamo, proprio perchéormai stanno per finire, di sfruttarli tutti, centellinandoli, al meglio possibile.

MUMONKAN = CASO N° 27 =NÉ LA MENTE NÉ IL BUDDHA(pag.197)-------------------------------------------KOAN

Una volta un monaco chiese al maestro Nansen: "C'è qualche Dharma che non è stato ancora insegnato agliuomini?". Nansen disse di si.Il monaco chiese: "Qual’é il Dharma che non è Stato ancora insegnato agli uomini?". Nansen disse: "Non è la mente, néil Buddha, né gli esseri".

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COMMENTO DI MUMONQuando gli fu posta la domanda, Nansen dovette fare immediatamente uso di tutte le proprie risorse. Come fu

debole e goffo!

POESIA DI MUMONLa troppa cortesia indebolisce la tua virtù:Il silenzio è certamente efficace.Lascia che sia così. Anche se il mare azzurro dovesse cambiare,"Ciò" non ti sarebbe mai comunicato.

TEISHO 7 Luglio 1989 (venerdì. mattina) ======

C'è da parte di tutti i praticanti una ricerca continua ed una insoddisfazione fin quando non hanno compresorealmente la natura di ciò che stanno cercando. Il monaco in questione è un cercatore - tutti quanti si è cercatori -benchè si possa aver raggiunto la conoscenza che può aver raggiunto Nansen. Nansen è uno che cerca il modo miglioredi esprimere la conoscenza e la realizzazione che ha ottenuto, mentre il monaco è alla ricerca di quella conoscenza e fadi tutto per ottenerla. Per cui, fra i due, che si possono definire ugualmente due cercatori, due che sono a praticare - epraticare significa in qualche modo voler comprendere qualche cosa di nuovo – c’è questa fondamentale differenza ecioè uno cerca di ottenere qualche cosa, l'altro cerca di dare qualche cosa. Uno cerca di avere il più possibile e l'altrocerca i modi per dare il più possibile. Per cui si possono chiamare tutti e due "che vogliono migliorarsi" ma, comepotete vedere, la differenza tra questi due che vogliono migliorarsi è fondamentale.Il monaco chiede a Nansen che cosa c'è oltre. Abbiamo avuto anche Ananda che a un certo punto chiede aMahakasyapa se oltre a quello che il Buddha aveva insegnato a tutti i suoi discepoli c'era qualche cosa di speciale cheaveva invece trasmesso soltanto a Mahakasyapa, il suo discendente, e Mghakasyapa dice ad Ananda: "Vai a togliere 1abandiera del tempio". Non c’è niente che sia rimasto non detto. Qui però Nansen contraddice questo assunto. È ovvioche non ci sia nessun altro Dharma che non è stato insegnato agli uomini. Tutti quanti noi siamo sempre alla ricerca diqualche sistema migliore di quello che stiamo sperimentando. Se vogliamo imparare una 1ingua e viene fuori quello chedice che si può imparare mangiando, allora ci interessiamo di que1 metodo. Oppure si può imparare in qualche manieraancora più diretta e più semplice e, ovviamente, vorremmo impararla, sperimentare quel metodo che è più semplice.Così, soprattutto di questi tempi in cui nei paesi sviluppati si mangia troppo e la gente si è resa conto che deve dimagrire- deve, deve perché cosi è la moda, poi adesso è estate e si deve mettersi in costume - allora c’è un fiorire di diete.Naturalmente 1a dieta migliore è quella che ci dovrebbe far dimagrire continuando a mangiare e a non fare niente comeabbiamo sempre fatto. Il monaco è uno che appartiene a questa categoria di cercatori. Forse ai tempi di Nansen, siccomec'erano tanti maestri c'erano anche tanti viaggiatori da un maestro all’altro e per cui c' era il tam-tam della conoscenzache stabiliva quale era il maestro dal quale si poteva fare il satori prima, quello più svelto ad insegnare, quello da cui sicapivano meglio i discorsi e naturalmente, c'era sicuramente un'atmosfera di fare presto per prendere il meglio. Questomonaco si trova nelle stesse condizioni: aveva sentito altri maestri, era stato in giro, aveva letto i sutra che dovevaleggere e poi al maestro chiede: "Ma insomma, non è che ci sia qualche altra cosa, non è che tra voi maestri Nansen,Mumon, Lin-Chi, etc. etc., vi tenete le cose per voi, avete un gergo ristretto e a noi monaci qualsiasi non ce lo dite?Come fate ad essere così tanti e così bravi e noi invece a girare di qua e di là e ancora non capiamo bene? C'è qualchealtra cosa?". Naturalmente non ci crede che ci sia qualche altra cosa, ma in fondo a noi c'è sempre questa speranza chese non siamo riusciti a fare qualcosa dipende dal fatto che non ci hanno detto tutto, che siamo stati tenuti all'oscuro diqualche cosa oppure ci sono stati degli ostacoli che ce l'hanno impedito. Come Alberto Sordi in un fi1m antichissimo silamentava che a lui l'aveva fregato la malattia. Ecco, abbiamo sempre una scusa.Il monaco va da Nansen chiedendogli se c'è qualche altra cosa. Nansen dovrebbe dirgli che no, non c'è altro, così comedice Mahakasyapa ad Ananda, perché andare a togliere la bandiera non significa che il Buddha gli abbia detto più cheagli altri soltanto quello di andare a togliere la bandiera. Nansen pure potrebbe dire: "No, non c'è altro. Che altro vuoi?Pratica di più e vedrai che poi capirai anche tu. Non stare qui a dire queste stupidaggini!". O come Joshu, gli avrebbepotuto rispondere: "Mu!". Oppure, se fosse stato Unmon, un grido qualunque; o Tokusan, un po' di bastonate e ilmonaco se ne sarebbe andato via zitto zitto e mogio mogio. Invece Nansen, per lasciarci questo koan - certo non sapevache dopo più di mille anni, così lontano dalla Cina, ci sarebbero state delle persone a leggerlo e a commentarlo, e chesarebbe diventato un koan - gli risponde: "Sì sì, c'è". E quello tutto rinfrancato, dice: "Vedi, vedi! Io ad andare in giro, anon volermi accontentare della prima risposta! Se tu insisti con questi maestri alla fine riesci a tirargli fuori quello chesennò direttamente non ti direbbero. Bisogna fare così: insistere, insistere e poi loro, alla fine, te lo dicono".Allora, tutto trepidante, aspetta che Nansen gli dica il segreto, magari in un orecchio, zitto zitto perché non sentanessuno. Nansen gli dice: "Non è la mente, n'è il Buddha, né gli esseri" questo Dharma che non è stato ancora insegnatoagli uomini e lo lascia peggio di prima perché lo lascia con le mani ancora più vuote di quelle che aveva quando èarrivato. "Non è la mente, non è il Buddha, non sono gli esseri", e allora cos'è? E questo "allora cos'è" che sta sempre incima alla nostra pratica e che ci permette poi la risoluzione dei nostri koan il momento in cui noi lo abbiamo capito, eche ci permette la risoluzione della nostra vita, che è molto più importante dei koan, se posssiamo fare una distinzione,ma potremmo anche non farla.Comunque, che cos'è questo che non è né mente, né Buddha, né esseri? Uno potrebbe dire: è dharma, è sangha, ci sonotanti altri simboli! A parte che non mente intende la Legge, con Buddha e con esseri potrebbe intendere i tre gioielli:Buddha, Dharma e Sangha. Ma Nansen. vuole proprio scoperchiare la testa di questo monaco e una volta scoperchiata,33

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toltagliela dal collo, mostragliela davanti e dirgli: "Guarda, guarda! Che ci vedi qua dentro?".Anche a noi certe volte verrebbe voglia di staccarci la testa e di andarci a vedere dentro per capire esattamente che cosac’è. Nansen, metaforicamente, fa questo con il suo monaco questionante.Mumon nel suo commento è molto stringato questa volta: "Quando gli fu posta la domanda, Nansen dovette fareimmediatamente uso di tutte le proprie risorse. Come fu debole e goffo!". Eh, insomma, debole e goffo! A parte cheMumon dice sempre il contrario di quello che pensa, abbiamo un Nansen che tiene benissimo in mano la situazione eche non si lascia sfuggire l'occasione per aiutare quello che lo va a intervistare perché, appunto, come dicevo all'inizio,la ricerca della perfezione di Nansen è la ricerca del modo migliore per aiutare quelli che lo vanno a trovare.Il poema di Mumon dice: "La troppa cortesia indebolisce la tua virtù". Certamente in questo sforzo di rendere agli altripiù comprensibile la verità, si può senz'altro trovare un momento di debolezza. Appunto perché siamo alla ricerca dellaperfezione non è detto che tutte le volte questa perfezione si estrinsechi, la stiamo cercando! "Il silenzio è- certamenteefficace. Lascia che sia così. Anche se il mare azzurro dovesse cambiare, "Ciò" non ti sarebbe mai comunicato ". QuiMumon si rivolge al monaco: "Lascia che le cose vengano e non ti aspettare che qualcuno ti dica come sono andateveramente le cose, perché te le devi capire da solo". Per cui, lo sforzo di Nansen non è tanto quello di dire: "le cosestanno così e così e così". Lo sforzo di Nansen è quello di fare in modo che quello, se il mare non è più azzurro, se lodebba vedere da solo. Tutt'al più, se quello fa autostop pe andare verso 11 mare, lo può caricare sulla sua macchina.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 7 Luglio 1989 (Venerdì sera)----------------------------------=====

Quando faccio lezione di yoga, alla fine ripeto una formula in cui chiedo agli allievi di sperimentare la paceche dovrebbe essere sopravvenuta alla fine del rilassamento, il savasana, la pace con sè stessi, con i compagni che sono-nella stanza e con tutti gli esseri.Yoga significa unire, però mi piace usare questa parola 'pace’ perché la sento più rispondente per un praticante - ma leparole in ognuno di noi risuonano in modo diverso e provocano diverse ricezioni - però la pace di cui si parla non ècerto la pace dell'assenza della guerra - anche questa è una pace - come una pace che viene dall'assenza di conflitti, nonè neanche soltanto la pace dei sensi: in quel momento il nostro corpo non reclama qualcosa. Non è la pace delle nostrebrame soltanto, ma è pace e basta; significa un momento in cui ci sentiamo - se possiamo usare un'immagine fisica - piùleggeri e ancora, usando un'immagine che viene dai nostri ricordi della scuola di catechismo, ci sentiamo più simili agliangeli eterei.C'è una pace che ci fa sentire uniti e nello stesso tempo distaccati, e forse è questa la pace vera. Quando si dice: " Ilbuddismo predica il distacco", allora ci chiedono: "Ma allora come fai ad amare i figli con distacco? E come si fa adamare una moglie, o un marito, o una madre, o un padre, un discepolo, il mondo con distacco? O lo ami o non lo ami.L'amore provoca attaccamento!”Quando siamo in pace ci accorgiamo che non esistono le parole attaccamento e distacco, non esiste la brama dipossedere e neanche l'orgoglio di essere separati. Praticare zazen, applicarci con continuità, applicarci tanto attraverso leore, attraverso il male alle gambe, attraverso il sonno e la stanchezza, ci porta ad uno stato in cui l'esasperazione diqueste difficoltà ci fa entrare in uno stato quasi irreale, quello a cui aspirano coloro che si iniettano delle droghe.Praticare zazen è viaggiare guidando da se stessi, senza bisogno di nessuna droga esterna. Dobbiamo rompere qualchecosa però, dobbiamo lasciarci andare e non dobbiamo ritirarci quando ci viene chiesta dal nostro corpo, dalla nostramente, dall'ambiente in cui siamo, la prova in cui andare oltre la mente e oltre il corpo; superare questa paura e poi sipuò sperimentare questo stato, altrimenti continuiamo a chiederci: "Ma che cosa stiamo a fare?", mentre invece quelloche stiamo facendo è veramente ….

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 8 Luglio 1989 (Sabato mattina)

La tradizione ci dice che il Buddha Sakyamuni, seduto sotto l'albero dell'illuminazione, dopo lunghe settimanedi pratica fece l'illuminazione, diventò Buddha, un mattino vedendo la stella del mattino.La prima stella che noi vediamo - che poi sembra che non sia una stella ma un pianeta- è chiamata stella del mattino efu quella che il Buddha vide quando fece l'illuminazione. O si accorse di quella stella dopo aver fatto l'illuminazione? Onel vedere la stella fece l'illuminazione? L'aveva vista tutte le mattine, altri giorni prima, proprio quella mattina specialedoveva fare l'illuminazione! Su questo non ci sono chiarimenti.Anche noi qui, come in Giappone, ci sediamo fino al mattino e nel vedere 1a stella anche noi dovremmo scoppiarenell'illuminazione. Forse non succede come 1'illuminazione che fece diventare Buddha Siddharta Gautama, ma anchenoi, dopo una settimana, dopo una notte passata all'aperto, a meditare, qualche cosa possiamo dire di averlo visto,possiamo dire di averlo capito, anche se sappiamo che dovremo vedere altre stelle del mattino, stelle della notte diquelle che brillano così lucenti in queste notti d'estate, dovremo superare tanti altri ostacoli e ognuno di questi saràquella piccola illuminazione o grande illuminazione, che ci farà comprendere qual' è il nostro posto in questo cielo, nonsolo su questa terra, ma nel cielo che ci gira sopra la testa quando la sera ci mettiamo a sedere all'aperto. Bisogna saperlo bene che la stella de1 mattino c’è tutte le mattine, per cui se questo non è avvenuto questa mattinadell'otto luglio 1989, ci sarà un nove luglio, un dieci luglio, ci saranno altri luglio, altri agosto, altri giorni di mattina odi sera, ma quello che dobbiamo avere ben stretto nel cuore è questa determinazione, la stessa che ha avuto il BuddhaSakyamuni, di sapere che se si vuole si può vedere la stella del mattino, vederla con gli occhi dell'illuminazione.

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MUMONNKAN = CASO N° 28 =IL FAMOSO RYUTAN(pag. 202)----------------------------------======

KOAN

Una volta Tokusan andò da Ryutan per chiedere insegnamenti e si trattenne fin quando venne la notte. Ryutandisse: si sta facendo tardi, faresti meglio ad andare". Alla fine Tokusan salutò, sollevò la tenda del1a porta e uscì.Accorgendosi che era buio tornò indietro e disse: "È buio fuori". Allora Ryutan accese una candela e gliela porse.Quando Tokusan stava per prenderla, Ryutan la spense con un soffio. Tokusan fu improvvisamente illuminato e siinchinò. Ryutan chiese: "Qual’é la tua realizzazione'?". Tokusan rispose: "D'ora in poi non dubiterò dei detti di nessunodei grandi Maestri Zen del mondo". Il giorno dopo Ryutan salì sulla tribuna e dichiarò: "Tra i monaci qui presenti ce n'è uno i cui canini sono come spade ela cui bocca è come una coppa di sangue. Potete colpirlo con un bastone, ma non piegherà la testa. Un giorno, in futuro,procederà con sicurezza su un picco ripido ed elevato."Allora Tokusan prese i suoi appunti e i suoi commenti sul sutra del Diamante, e davanti alla sala del monastero tenendoin mano una torcia accesa disse: "Anche se si conoscono a fondo varie e profonde filosofie, è come mettere un solocapello nel grande cielo; anche se si ottiene tutta la conoscenza essenziale del mondo, è come gettare una goccia d'acquain una gola profonda". Prendendo i suoi appunti e i suoi commenti li bruciò tutti. Poi partì con riconoscenza.

COMMENTO DI MUMON

Quando Tokusan non aveva ancora lasciato la sua casa, la sua mente era irritata e la sua lingua affilata. Pienodi fiducia andò a sud allo scopo di distruggere la "trasmissione speciale al di fuori delle scritture". Quando raggiunse lastrada per Reishu parlò con una vecchia che vendeva il tenjin. La vecchia disse: "Venerabile monaco, che libri hai nellatua cassetta'?" Tokusan disse: " Ho appunti e commenti sul Sutra del Diamante". La vecchia disse: "Nel sutra è dettoche ‘la mente passata è irraggiungibile; la mente presente è irraggiungibile; la mente futura è irraggiungibile’.Venerabile monaco, quale mente illuminerai'?" Tokusan non riuscì a rispondere a questa domanda e dovette tenere labocca chiusa. In ogni caso, alle parole della vecchia non fece esperienza della Grande Morte, e alla fine chiese: c’è unMaestro Zen in questi dintorni?". La vecchia rispose: "Il Maestro ·Ryutan vive a cinque miglia da qui". Quando arrivòal monastero di Ryutan fu interamente sconfitto. Bisogna dire che le parole di prima e le parole di dopo non sono inaccordo. Ryutan è come la madre che amando troppo il figlio non capisce quanto sia importuna. Trovando un pezzettodi carbone acceso in Tokusan versò rapidamente su di lui dell'acqua fangosa. Osservandola con calma, direi che tuttaquesta storia è solo una farsa.

POESIA DI MUMONÈ molto meglio vedere la faccia che udire il nome;È molto meglio udire il nome che vedere la faccia.Pur avendo salvato il naso,Ahimè, ha perso gli occhi.

TEISHO 8 Luglio 1989 (Sabato mattina}=======

Quello di Tokusan è un episodio molto importante, sia quello dell'illuminazione a causa dello spegnimentodella candela di Ryutan, che il resto. Ryutan anche ebbe un episodio in cui fu scelto dal suo maestro per dare unarisposta: il maestro doveva scegliere chi sapeva dare una risposta e lui, a differenza degli altri, invece di darespiegazioni sulla bottiglia che era li. in mezzo alla sala, le dette un calcio e vediamo che adopera sempre mezzi fisici.Lo stesso Tokusan, quando poi diventerà maestro, sarà conosciuto da tutti per colui che dice: "Se non rispondi trentacolpi, se rispondi trenta colpi", per cui anch’egli usava il bastone in continuazione per il risveglio dei propri discepoli.Bene, Tokusan va da Ryutan a parlare. Ryutan vede che il proprio discepolo è pronto, le parole non sono valse a farglisuperare la barriera che gli impedisce di vedere chiaramente, usa un ultimo stratagemma, quello di lasciarlo nel buio nelmomento in cui ha bisogno della candela per andare a casa. Quello per dimostrargli che la luce di cui noi abbiamobisogno non è una luce elettrica o quella di candela, ma è qualche cosa che sta in noi, che noi abbiamo la possibilità difar scaturire e che ci permette di guardare non soltanto con gli occhi ma di guardare con tutto il nostro essere. Allora,quando Tokusan gli chiede una candela per attraversare il buio, Ryutan gli vuole mostrare che il buio che lui vuoleattraversare, il buio della propria mente, non ha bisogno di una candela, deve essere attraversato in un'altra maniera, conaltra luce che non è quella della candela. Poi c'è il discorso di Ryutan al quale non c'è niente da aggiungere. Questetraduzioni andrebbero riviste tutte quante perché ognuno usa delle parole diverse. "D'ora in poi non dubiterò dei detti dinessuno dei grandi Maestri Zen del mondo" non è così, il testo dice: " D'ora in poi non dubiterò più di quello che ilmaestro Ryutan dirà" e c'è un po'di differenza tra tutti i maestri zen e Ryutan. Comunque!Quello che è importante è che poi, alla fine, bruciò tutti i suoi commenti sul Sutra del Diamante. Dice: "Anche se siconoscono a fondo varie profonde filosofie, è come mettere un solo capello nel grande cielo", e cioè non giunge nienteal grande cielo. "Anche se si ottiene tutta la conoscenza essenziale del mondo è come gettare una goccia d'acqua in una35

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gola profonda", nessuno se ne accorge proprio. "Prendendo i suoi appunti e i suoi commenti li bruciò tutti. Poi partì conriconoscenza".Tutto quello a cui era attaccato, come si vedrà poi successivamente nel commento che Mumon fa a questo caso, lobrucia e si stacca completamente da quello dal quale pensava non si sarebbe mai potuto staccare.L'illuminazione fa ottenere questo distacco. Non è detto che poi avrebbe dovuto per forza bruciarli, se li poteva tenere.Questo è un gesto estremo che sta a dimostrare che ora non dipende più da quelli. Non è che si debba sempre bruciaretutto. Il momento in cui uno ha letto un libro e ha capito quel libro non è detto che lo debba bruciare, potrebbe serviread altri, poi può sempre andarselo a rileggere e poi può sempre trovarci qualche cosa di successivo, perché il Sutra delDiamante e la sua comprensione si vede che è stata soltanto letterale, ma il Sutra del Diamante può essere letto incontinuazione e trovarvi sempre dei nuovi e profondi significati.L'episodio che racconta dopo Mumon è molto interessante perché Tokusan, così sicuro di sé, con questi scrittiammucchiati sulle sue spalle, si presenta dalla vecchietta che stava lì un po' prima del monastero a dare il tenjin, chevuol dire ristoro della mente. Praticamente uno beve una tazza di tè e mangia un dolcetto e non è che ristori tanto: ècome 1' area di servizio quando ci andiamo a prendere il caffè durante i viaggi in autostrada. I lunghi viaggi a queltempo si facevano a piedi e ogni tanto c'erano di questi posti, perlopiù tenuti da vecchiette, in cui si prendeva,metaforicamente, un ristoro per la mente, ma era un ristoro per tutto il corpo perché ci si sedeva, si stava tranquilli e poisi aveva la forza per continuare. Tokusan chiede alla vecchietta un ristoro per la mente e la vecchietta, che stava lì echissà quanti monaci avrà visto, si sarà accorta di questa baldanza che sprigionava da Tokusan e gli chiede: "Checos'hai?". Quello le risponde: "Il Sutra del Diamante" e lei dice: "Ah, proprio il Sutra del Diamante, il sutra che mi piacedi più. Senti, ma non c'è quel punto nel Sutra dove il Buddha dice che la mente del passato non è ottenibile, la mente delpresente non è ottenibile e così la mente del futuro pure è irraggiungibile? Stando così le cose, quale di queste tre mentitu vuoi ristorare?".Naturalmente Tokusan rimane interdetto, non sa rispondere, va alla ricerca di un maestro di zen e poi lo trova.Mumon qui dice poi: “Ryutan è come la madre che amando troppo il figlio non capisce quanto sia importuna. Trovandoun pezzetto di carbone acceso in Tokusan, versa rapidamente su di lui dell'acqua fangosa. Osservandola con calma, direiche tutta questa storia è soltanto una farsa".Naturalmente Mumon vuole essere sarcastico su questi maestri del passato che facevano l'illuminazione in questo modoe fa il solito paragone della madre che per troppo voler bene al figlio, a un certo punto poi gli fa del male. Che Ryutanabbia fatto del male a Tokusan non ci sembra; Tokusan diventò poi un maestro grande, famoso, sicuro di sé. Chissà!successivamente, nella poesia, Mumon dice: "È molto meglio vedere la faccia che udire il nome; è molto meglio udire ilnome che vedere la faccia. Pur avendo salvato il naso, ahimè, ha perso gli occhi".Qui Mumon gioca sulle parole, è vero che è molto meglio guardare la faccia che sentire il nome: questo è un vecchiodetto cinese che dice "molto meglio un'immagine che cento descrizioni"; però Mumon è un maestro di Ch'an e allorasulle parole ci vuole ricamare e le contrappone, le capovolge, perché vuole che noi non ci fermiamo alla sicurezza delleaffermazioni, ma che dobbiamo invece sempre mettere in discussione tutto così come Mumon mette appunto indiscussione. Vediamo come Tokusan si sia liberato di questo fardello che portava sulle spa11e, bruciandolo.Anche noi, spesso, facciamo come la barzelletta di quello che era andato a caccia di frodo ed aveva ammazzato l'orso:quando le guardie forestali e tutta la gente che aveva saputo del fatto gli vanno incontro con le torce accese, perché eradi notte, lui era tutto sporco di sangue e aveva quest'orso sulle spalle, gli dicono: "Eccolo qua, è stato lui che haammazzato l'orso, è stato lui!". Quello dice: "Chi, io?""Si, sei stato tu! Non vedi che hai l'orso sulle spalle?". Si rivolta tutto impaurito e dice: "0 Dio, l'orso!".Anche noi siamo cosi, abbiamo sulle spalle un fardello pesantissimo e speriamo che venga qualche guardiacaccia oqualcun altro, quando è il momento, a dirci di levarci quel peso che c’è sulle nostre spalle.A proposito del cacciatore, aveva commesso anche un delitto ammazzando una specie protetta noi di delitti, se necommettiamo, ne commettiamo nei confronti nostri e non delle specie protette. Ma anche noi, come esseri umanidetentori della capacità di illuminazione, siamo delle specie altamente protette, perciò non dobbiamo essere trattatimale.

ESORTAZIONI FINALI 8 Luglio 1989 (Sabato mattina)

Ripensando al primo giorno che ci siamo visti, si ha l'immagine di un momento lontanissimo, eppure il tempo ètrascorso così veloce. Sembrerebbe che per avere un'esperienza avventurosa uno debba andare a fare la Parigi-Dakar,Camel-Trophy o chissà quale altra avventura in terre lontane e sconosciute, o isolato sul mare, o in cima a qualchemontagna impervia. Eppure, sono pochi quelli che l'hanno capito, ma quei pochi sanno che basta sedersi su un cuscino,fare il silenzio in noi stessi, e si è pronti per vivere l'avventura più entusiasmante che coinvolge completamente tutto ilnostro essere. Ed è proprio perché è cosi entusiasmante e che coinvolge tutto il nostro essere, sono pochi quelli che sonodesiderosi di vivere questa avventura vera; gli altri sono tutti giochetti, sono delle gratificazioni per i nostri sensi, per lanostra vanità, per la nostra brama di conquistare e di rimanere attaccati a qualcosa. Un'avventura come la sesshin è quella che ci permette di staccarci da tutto e realmente camminare liberi sulla crosta delmondo. Può durare un giorno, può durare sei giorni, come questa che abbiamo portato a termine, ma il senso è proprioquello dell'immersione in un mondo in cui si esperimenti il distacco e la libertà da qualunque attaccamento. Però lasesshin non finisce qµi, anzi! Questa è soltanto una tappa perché la nostra vita, al di là delle regole che ci possiamo darein un momento particolare come questo, è una sesshin ovvero la capacità di essere pronti a mettere insieme i cuori con

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gli altri, a veder dentro i nostri cuori e procedere sulla via della realizzazione con la stessa determinazione con la qualeveniamo a praticare qua. Non bisogna sprecare tempo, ammesso che si possa dire, però in senso lato possiamo anchedirlo, visto che le parole ci sono e visto che il senso di certe parole è quello. Certe volte sprechiamo il nostro tempo,potremmo fare qualcosa di meglio. Certo, alla fine quando si fanno i conti, se uno è vissuto diecimila anni, se ha persoqualche ora della propria vita è un dato insignificante, un granello di polvere nella sabbia del mare. Però dobbiamo stareattenti ugualmente, perché non sappiamo se vivremo diecimila anni, anzi dobbiamo essere consapevoli di vivere inquesto esatto preciso momento e questa consapevolezza è quella che ci immette direttamente nella consapevolezzadell’eternità. Viviamola, sperimentiamola e portiamocela sempre dietro. I momenti in cui pensiamo di non averla,dovremmo essere capaci di guardare nelle nostre tasche e tirarla fuori. Questo è il modo di vivere dell’essere libero.

SESSHlN MESE DI AGOSTO 1989 (Dal 6 al 12 Agosto)

SESSHIN KOKUHO 6 Agosto '89 (Dom. sera)================

È arrivata anche la sesshin di agosto, quella che tutti aspettano per un anno, quelli che alcuni per poterlapraticare hanno lunghi chilometri. È arrivata questa sesshin e, sicuramente, per tutti quanti noi sarà l'occasione per poterlavorare a fondo su noi stessi, non perché questa sesshin di agosto sia speciale rispetto alle altre: sono sicuramente piùadatte le sesshin di lunga durata, di sette giorni che quelle di soltanto due giorni. Ma, il fatto stesso di venire, di sedersiinsieme, di decidere per un’ora o per qualche giorno di dedicarsi soltanto allo scoprimento della misteriosa eintrasmettibile via dei Buddha e dei Patriarchi, come recita Kozen Daitokoku, è l'atto più importante che possiamo farenella nostra vita. Avere scelto di venirlo a fare qui a Scaramuccia significa che pensiamo di trovare in cima a questacollina le opportunità e gli insegnamenti perché questo avvenga.Ma perché questo realmente avvenga e cioè noi riusciamo a penetrare in questa misteriosa e intrasmettibile via, ci deveessere la nostra dedizione totale. Non si può venire qui con una gamba dentro e un'altra fuori, con un pensiero al koaned un altro alle cose che sono nella nostra città, che sono con le persone che abbiamo lasciato. La nostra dedizione deveessere totale. Entrati in questa sala, entrati nell'area di questa collina, di questi boschi che ci circondano, tutto quelloche rimane fuori deve rimanere fuori e soltanto osservare noi stessi, il nostro respiro, il nostro koan, perché questasettimana valga veramente la pena di essere vissuta. Diversamente, stiamo qui a perdere tempo. Fino a un'ora o due orefa possiamo avere giocato. Come quando andiamo a vedere la costruzione di un teatro: tutti quanti sembrano dellepersone normali, ma il momento in cui il teatro è pronto, si apre il sipario, le persone che sono sul palcoscenico sonodelle persone trasformate, stanno facendo qualche cosa che le impegna completamente. Ci sono delle regole qui aScaramuccia da rispettare perché queste regole sono state pensate per tutti noi, perché la nostra pratica possa avvenirenel modo migliore, perché il dedicarci completamente anima e corpo alla nostra ricerca possa avvenire nel modo piùcompleto.Non perdiamo tempo. Sembra che sei giorni siano tanti e pensiamo che quello che non siamo riusciti a fare oggi lofaremo domani. Non è vero. Dobbiamo fare tutto adesso e subito. Ogni istante che stiamo seduti è l'istante che ci puòpermettere di aprire i nostri occhi alla vera realizzazione, è quell'istante che può far uscire alla luce la nostra reale naturadi Buddha, la nostra natura di illuminazione. Ogni istante è un istante della nostra vita e l'istante dell'eternità in cuiviviamo.Dimentichiamoci del corpo, dimentichiamoci di qualunque cosa e vi viviamo completamente questi sei giorni di sesshine vedremo che sicuramente avverrà una trasformazione, momento per momento, giorno per giorno, e alla fine dei seigiorni non saremo più quelli che sono venuti qui il primo giorno. Per fare questo c'è bisogno dell'aiuto di ognuno di noi,dell'osservazione delle regole, nell'osservazione de1 silenzio degli altri, del tempo degli altri, del corpo degli altri, dellapratica degli altri. Cerchiamo di non essere ingombranti, cerchiamo di usare le cose nella maniera giusta, di usare iltempo nella maniera giusta, gli spazi nella maniera giusta.In questi ultimi tempi si parla tanto di ecologia, di salvaguardia dell'ambiente; qui a Scaramuccia sono ormai quindicianni, in Giappone sono centinaia di anni che si è attenti all'acqua, si à attenti alla natura, si è attenti a noi stessi e così siè attenti agli altri. Siamo attenti! Tutto qui. Una sesshin è fare attenzione, vivere insieme ag1i altri con attenzione, con la nostra piùcompleta attenzione.Ci saranno sicuramente tanti episodi durante questa settimana, cerchiamo di viverli completamente, cerchiamo diparteciparvi perché, in fondo, anche se può sembrare che in quello che dico ci sia una vena di severità, vivere unasesshin deve essere una gioia, deve essere un momento alto della nostra vita, deve essere la capacità di penetrare in unacoscienza più ampia della coscienza limitata nella quale, almeno molti di noi, sono abituati a vivere.Immettiamoci, immergiamoci in questa coscienza universale e questa immersione provoca gioia e felicità. Viviamo conimpegno e felicemente questa sesshin.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 7 Agosto ‘89 (Lunedì matt.)----------------------------------======

Tutti conosciamo il detto: "Siediti sulla riva del fiume e vedrai passare il cadavere del tuo nemico". Questeparole vengono usate spesso, anche a sproposito, anche da tanti che non sanno neanche che cosa significhi sedersi. Non

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significa certo prendere una sedia e nei momenti liberi andare a guardare verso il fiume aspettando di veder passare unqualche cadavere, come avviene probabilmente ancora nei fiumi dell'India. Sedersi ha un significato diverso cheprobabilmente quelli che usano spesso questa frase neanche conoscono. Sedersi significa, realmente, sedersi e cioè,fermarsi, perché se noi continuiamo a correre insieme a tutte le altre cose della vita, non ci accorgeremo di quello chepassa. Per cui, sedersi significa fermarsi per vedere bene, per vedere, noi da fermi, quello che ci passa di fronte;fermarsi, perché continuando a correre così come ci costringe la società in cui viviamo, a un certo punto , non si capiscepiù che cosa stiamo realmente facendo, continuiamo a dare risposte veloci a domande sempre più insistenti e nonsappiamo più chi è che dà le risposte, chi siamo noi e che cosa stiamo a fare. Allora, davvero sedersi per veder passarenon il cadavere del nostro nemico, ma gli innumerevoli nemici - perché se attentano alla nostra sicurezza si possonochiamare anche nemici - che non sono affatto cadaveri e che continuano ad attaccarci.Ma sedersi come? Anche questo è importante. Intanto fermarsi e fermarsi significa avere la possibilità di vedere gli altriche si muovono, osservarli meglio. Ma anche il nostro modo di fermarsi non deve essere quello di uno che si sdraia inun prato, si mette a dormire e in qualche modo si ferma, questo fermarsi è diventare ancora di più preda del propriocorpo, dei propri sogni, delle proprie fantasticherie.Fermarsi significa fermi, ma nello stesso tempo completamente attenti, e questo modo di fermarsi lo dà soltanto laposizione seduta, la posizione a gambe incrociate con la spina dorsale ben eretta perché questa, pur mantenendo unaposizione di immobilità, nello stesso tempo mantiene la nostra mente in maniera completamente attiva e calma.La posizione che i maestri del passato ci hanno lasciato, che hanno fatto arrivare fino a noi, è qualche cosa di cui nondovremmo mai stancarci di essere loro grati, perché veramente è la chiave che ci permette di aprire la porta per entrarein un mondo diverso, in un mondo di calma. Come citano spesso i maestri, se noi vogliamo vedere in fondo allo stagno, non dobbiamo certamente agitare le acque omuovere 1a terra, perché altrimenti non potremo mai vedere attraverso l'acqua. Dobbiamo lasciare che l'acqua si calmi eallora la limpidezza dell'acqua ci permetterà di vedere fino in fondo. Per cui dobbiamo essere consapevoli di questapossibilità che abbiamo per una settimana di poterci fermare e naturalmente, a differenza di quelli che parlano tanto diquesto fermarsi sulla riva del fiume, noi sappiamo come fermarci e come sederci per poter realmente osservare, daquesta posizione di silenzio, il rumore che continua ad agitarsi intorno a noi e anche, purtroppo, dentro di noi. Maconoscendo il modo, possiamo sicuramente riuscire a fare quella calma di cui il mondo ha bisogno.

MUMONKAN = CASO N° 29 ="NÉ IL VENTO NÉ LA BANDIERA"(pag. 2IO)------------------------------------------------KOAN

Il vento agitava una bandiera del tempio. Due monaci né stavano discutendo. Uno diceva che si muoveva labandiera, l'altro diceva che si muoveva il vento. Continuando a discutere non riuscivano a trovare un accordo. Il SestoPatriarca disse: "Non si muovono né il vento né la bandiera. È la vostra mente che si muove". I due monaci sispaventarono.

COMMENTO DI MUMON

Non si muovono né il vento, né la bandiera, né la mente. Dove vedete il cuore del Patriarca? Se riuscite avedere chiaramente saprete che i due monaci ebbero dell'oro quando intendevano comprare del ferro, e saprete ancheche il Patriarca, non potendo reprimere la sua compassione fece una goffa figura. ·

POESIA DI MUMON

Il vento si muove, la bandiera si muove, la mente si muove:Tutti lo hanno perduto.Pur sapendo aprire la bocca,Non si accorge di essere stato preso dalle parole.

TEISHO 7 Agosto ‘89 (Lunedì mattina)

Il personaggio che compare in questo koan è Hui Neng, in giapponese Eno-Taikan. Noi lo recitiamo tutte lemattine: dopo Bodai Daruma daishi ci sono gli altri quattro Patriarchi cinesi e poi Eno-Taikan, e da li comincia la sfilatadei maestri cinesi, fra i quali c’è quello che noi recitiamo Rinzai Gigen, Lin-Chi, il fondatore della nostrascuola. Hui Neng è molto importante nel Ch'an perché, malgrado il passaggio dall'India alla Cina sia avvenuto permezzo di Bodhidharma, è Hui Neng quello che trasforma il Dyana, la pratica di Bodhidharma fondata sullameditazione, in Ch'an. E poi, anche se non lo sappiamo tutti - però potremmo saperlo - è dopo Hui Neng, proprio nelperiodo contemporaneo di Lin-Chi, che assistiamo alla trasformazione del ch'an, che è - poi quello arrivato fino a noi. IlCh'an di cui noi parliamo, di cui leggiamo, di cui noi pratichiamo, è quello del tempo di quei maestri contemporanei diLin-Chi a cominciare dal suo maestro Obaku, Huan Po, e poi gli altri sia precedenti che come dicevo, contemporanei.38

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Comunque è da Hui Neng che cominciamo a parlare veramente di ch'an. Fino a Hui Neng non si può ancora parlare diun ch'an cinese. Per cui, come possiamo renderci conto, anche se a quel tempo ovviamente il progresso di qualunquegenere non camminava veloce come avviene nel nostro tempo, sebbene questa velocità sia dovuta soprattutto ad unavelocità tecnologica, ci sono voluti quattro patriarchi -potremmo anche dire sei come viene detto ufficialmente - pertrasformare un insegnamento indiano in un insegnamento cinese. Un modo di praticare che con Bodhidharma è ancoraindiano diventa cinese dopo cinque maestri cinesi. Dal quinto maestro cinese in poi abbiamo la possibilità di praticareun qualche cosa che con Bodhidharma non era stato ancora possibile. Questo è importante comprenderlo perché anchenoi siamo in occidente a dover assimilare degli insegnamenti che vengono da terre diverse dalla nostra in cui cultura etradizioni sono completamente diverse. È ovvio che questo trapianto richieda del tempo e, sebbene da parte di tuttiquanti si faccia uno sforzo perché questa immissione in questo corpo diverso avvenga nel modo migliore possibile eforse anche il più veloce possibile, certamente si richiede tempo e sforzi continui perché questo avvenga.Ecco! Speriamo che il trapianto del ch'an in Italia non debba aspettare tutti gli anni che ci son voluti in Cina daBodhidharma fino a Hui Neng, per non parlare poi di Lin-Chi che è ancora molto più avanti. Ma poi il tempo - e qui ciimmettiamo direttamente nel koan di Hui Neng- anche se non si parla di tempo si parla di vento, di qualche cosa cheagita la bandiera, perché poi, in fondo, non è così importante che ci vogliano cinque patriarchi per passare dal buddismoindiano a quello cinese, ce ne potrebbero volere anche quaranta! L'importante è che si abbia la possibilità, ognuno dinoi, di stare li a praticare e fare di questo insegnamento il proprio insegnamento.Per quanto riguarda Hui Neng, senza farla lunga sulla sua storia, prima di essere riconosciuto come il Sesto Patriarca,passava di fronte a questo monastero dove era esposta all'esterno la bandiera che stava a significare che il maestro stavadando una lettura sul Dharma.È strano che questi due monaci siano fuori, forse erano due monaci guardiani, non avevano niente da fare e così come imilitari stanno in garrita o stanno a fare la guardia al milite ignoto in Piazza Venezia a Roma, questi due discutevano traloro. A quel tempo non si poteva parlare di calcio, di canzoni o di altro e naturalmente, come avveniva anche a noiquando si era bambini e ci si affacciava magari da un ponte e l'uno diceva all'altro: "Ti butteresti per mille lire?".Quell'altro rispondeva: "No, per mille lire no, magari per cinquemila".Così questi due se la prendono con la bandiera e siccome sono monaci e naturalmente devono filosofeggiare, discutonoda dove viene la spinta perché la bandiera si muova. Allora abbiamo uno che dice: "È il vento che muove la bandiera", el'altro dice: "No, è la bandiera che fa muovere il vento". Questa tesi è abbastanza fragile, naturalmente, come sappiamobene, però certamente possiamo senz'altro prenderla in considerazione perché spesso anche noi ci troviamo di fronte adover decidere se comincia prima una cosa o ne comincia invece un'altra, quando la verità sta, come dice poi Hui Neng,nell'agitazione della mente. Se la mente è agitata vede un prima e un dopo, se la mente è calma veda un trascorrere· simultaneo, per cui il vento e labandiera si muovono agitati l'uno dall'altro. Questa necessità di lasciare che l’agitazione della mente si calmi èfondamentale perché altrimenti saremmo sempre a discutere se è cominciata prima una cosa o ne è cominciata primaun'altra. Invece le cose non sono cominciate una prima dell'altra. Il momento in cui decidiamo di immetterci nel flussoreale delle cose vediamo che le cose avvengono di per sé. Tra l'altro, anche le ultime scoperte della fisica stannoarrivando a queste conclusioni che non c'è un qualche cosa che ne muova delle altre; ognuno è padrone di se stesso inquesto immenso universo come è padrone di se stesso all'interno degli atomi, in questi immensi atomi - immensirispetto alla piccolezza delle particelle che si muovono all'interno.Mumon naturalmente si stacca, vede tre persone che stanno a discutere, non ne vede più due come faceva Hui Neng, ese la prende con tutti e tre. Se venisse un altro potrebbe dire: "Non si muove neanche Mumon che scrive queste cose". Epoi ne potrebbe venire ancora un altro e direbbe: "Non si muove né Caio, né Mumon, né la mente, né la bandiera, né ilvento”, e via dicendo. Mumon, siccome viene dopo gli altri ha la possibilità di giudicare anche gli altri, vedere il koandall'esterno e prendersela con tutti quelli che sono all'interno del koan. È un modo giusto di fare perché permette anchea noi di staccarci dal problema contingente e di uscirne fuori.Tanto tempo fa ho letto un libro di uno psicologo americano, Paul Watslawick, intitolato 'Change' in cui dice chespesso, per risolvere i nostri problemi che ci prendono e dai quali naturalmente siamo presi e ci lasciamo coinvolgere,basterebbe uscirne un momento, avere la capacità di uscirne, vederli dall'esterno e comprendere così che questiproblemi poi non sono tanto importanti e non sono poi così coinvolgenti: basterebbe poco per poterli risolvere.Anche questo problema dei monaci agitati: intanto arriva Hui Neng e dice loro semplicemente: “Guardate che vi statesbagliando tutti e due".Addirittura poi arriva Mumon e dice: "Si sbaglia pure Hui Neng" e potrebbe avere ragione anche Mumon. Infatti poidice: "E sapete anche che il Patriarca non potendo reprimere la sua compassione fece una goffa figura". E si! Poi:"Questo qui, pur sapendo aprire la bocca non si accorge di essere stato preso dalle parole". Il Patriarca, senza parlare,avrebbe potuto benissimo mostrare loro che si sbagliavano tutti e due. "Il vento si muove, la bandiera si muove, lamente si muove: tutti lo hanno perduto". Si, tutti e tre questi personaggi, ha ragione Mumon, hanno perduto, con tutto ilrispetto che possiamo avere nei confronti del maestro Hui Neng, tutti e tre si sono lasciati prendere dalla discussione. Infondo Hui Neng sarebbe potuto passare, fare un piccolo gesto e proseguire; se i monaci volevano capire avrebberocapito perché dicendo loro che è la mente che si agita e non è né la bandiera né il vento, i monaci, visto che discutevanodi quelle cose, rimarranno sempre senza avere capito, anche perché vedono che la bandiera e il vento si muovonoancora.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 7 agosto '89 (Lunedì sera) ----------------------------------------------39

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Ogni sesshin ha la sua storia per ognuno di noi, personalmente, come gruppo e sotto vari altri aspetti. Macertamente ogni sesshin di sei o sette giorni, come quella che stiamo vivendo, ha i suoi momenti in cui qualcuno si sentemeno forte, soprattutto di quelli che sono all'inizio, e si chiede già quali sono gli interessi che può ricavare da tutta laforza, da tutto lo sforzo che ha messo nella banca della sesshin.Purtroppo molti di noi hanno ormai dei rapporti- anche con le cosiddette cose spirituali - di carattere commerciale, percui se si fa un certo sforzo si deve ottenere un certo risultato e il risultato deve essere visto subito, all'inizio, perchéaltrimenti ….. Così come i BOT o i CCT danno degli interessi ben chiari, ogni anno si può ricavare già un po' di soldi,anche le sesshin giorno dopo giorno dovrebbero darci dei risultati. Ma non sempre è così, anzi! Spesso quelli chevengono con questa mentalità risultano delusi e abbandonano appena possibile. I risultati già sono il fatto cheimpariamo a stare seduti, che impariamo a vivere isolati dagli altri, con gli altri, che impariamo a mangiare in silenzio,impariamo ad osservare la natura e a sentire la natura.Un sociologo ha scritto qualche giorno fa sul giornale che in un'inchiesta presso gli scugnizzi di Napoli ha scoperto chequattro su dieci di questi ragazzi non sapevano descrivere la luna, cioè non erano in grado di dire esattamente che cosa èla luna, malgrado ne avessero sentito parlare innumerevoli volte nelle canzoni e, una sera di plenilunio che lui li haportati a vederla, sono rimasti strabiliati.Tanti anni fa, uno dei primi discepoli che è stato residente qui a Scaramuccia, mi disse che qui per la prima volta avevaveramente guardato la luna. Certo! Si viene qui a Scaramuccia per fare l'illuminazione, e che altro? E questo, se siriesce, è come vincere al totocalcio. Uno gioca mille lire e vince uno o due miliardi. Io lo dico sempre: quando si devegiocare conviene cercare di vincere tanto. Cosi come se uno dovesse andare ad assaltare una banca: faccia un furto dadieci miliardi e non da trenta milioni. Però, non bisogna andare con gli occhi fissi al punto: illuminazione,illuminazione, illuminazione e avere i paraocchi che ci impediscono di vedere intorno a noi, perché: l'illuminazione nonè un punto fisso avanti a noi, è tanti punti vicini a nostro stretto contatto. Dobbiamo stare attenti, l'ho detto già subitoall'inizio: attenzione, attenzione! Attenzione a come si mangia, attenzione a come si beve, attenzione a come sicammina, attenzione anche a come si fa il bagno; qualcuno potrebbe imparare anche da come si fa il bagno, tutti noinaturalmente. Attenzione a quello che si legge la mattina durante i sutra e come si recitano. Attenzione a come si staseduti, naturalmente! Uno può dire: "Eh, tutta questa attenzione!" Certo, se uno deve fare le cose le deve fare bene. InGiappone, l'ho detto altre volte, ma è un po' che non lo dico, nel monastero si dice sempre: "Quando si lavora si lavora,quando si scherza si scherza, quando si dorme si dorme, quando si mangia si mangia". Non mischiamo le cose!Bisogna saper fare tutto bene.Se uno quando sta scherzando pensa che invece dovrebbe fare zazen non gli riesce bene ne l'una né l'altra. Le cose vengono e dobbiamo avere una fiducia in questo e un’assoluta fede in noi stessi: tra noi e i maestri del passatonon c’è nessuna differenza. Avevano due mani e due piedi come noi. Quando Dogen andò in Cina e gli chiesero alritorno che cosa aveva imparato, disse: "I cinesi hanno gli occhi orizzontali e il naso verticale", esattamente come noi,per cui: quello che hanno imparato loro lo possiamo imparare anche noi.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 8 Agosto ‘89 ( Martedì mattina)----------------------------------------------

Quando eravamo a Shofuku-ji, all'inizio delle grandi sesshin, il primo giorno c'erano delle cerimonie e passavache quasi non ci accorgevamo di essere a fare la sesshin. Ma già dalla sera del primo giorno, che si andava a dormiretardi, dopo l'una di notte e la sveglia era alle quattro, il secondo giorno si cominciava a sentire che era cambiatoqualcosa, era cominciata una settimana diversa dalle altre.La prima grande sesshin che io feci a Shofuku-ji, molto dura. Mi ricordo benissimo: sembrava quasi che io dovessimorire. Adesso non ricordo che cosa pensavo per tirare avanti. Certo, li in Giappone non ci si poteva muovere durantele ore di meditazione che duravano anche abbastanza a lungo, i kin-hin non erano frequenti e c'erano tante altredifficoltà da superare. Però i giorni passano, purtroppo potremmo dire.Durante la giornata ci sono dei momenti che vorremmo fermare, invece, perché in quel momento ci si apre la nostracomprensione. Può essere anche un momento in cui si allentano tutte le tensioni; anche il momento in cui il nostro fisicosi rilassa, contemporaneamente anche la nostra mente si rilassa. Cerchiamo di catturarli questi momenti, di prenderli efarli nostri, sapere che esistono e sapendo che esistono possiamo produrli da noi stessi per prolungarli durante tutta lagiornata.Ci hanno detto, in questa nostra società in cui si vive con la speranza del paradiso, che siamo su questa terra per soffrire.Non è vero! Non è vero che dobbiamo stare su questa terra per soffrire; dobbiamo starci per essere felici e se c’èqualche piccola sofferenza dobbiamo esserne coscienti e da questa deve venirne fuori, una crescita che ci permetta diavere una maggiore gioia. Non esiste un Dio cattivo che ci ha messi sulla terra per soffrire.

MUMONKAN = CASO n° 30 =LA MENTE È IL BUDDHA(pag. 215)----------------------------------------KOAN

Una volta Taibai chiese a Baso: "Cos'è il Buddha?". Baso rispose: "La mente è il Buddha".

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COMMENTO DI MUMON

Se riuscite subito ad afferrare "ciò", indossate le vesti di Buddha, mangiate il cibo di Buddha, pronunciate leparole di Buddha e vivete la vita di Buddha: voi stessi siete un Buddha. Anche se questo può essere vero, Taibai hasviato un gran numero di persone facendo loro credere in una bilancia con la lancetta fissa. Non sai che bisognasciacquarsi la bocca per tre giorni se si pronuncia la parola "Buddha"? Chi è un vero uomo Zen si tapperà le orecchie ecorrerà via se sente dire "La mente è il Buddha".

POESIA DI MUMON Una bella giornata sotto il cielo azzurro!Non cercare stupidamente qua e là.Se chiedi ancora "Cos'è il Buddha?"Sarà come dichiararti innocente mentre hai in mano delle merci rubate.

TEISHO 8 Agosto ’89 (Martedì mattina) ======

Sono arrivati fino a noi una serie di koan e molti più aneddoti – perché i koan sono limitati mentre gli aneddotisono molto più estesi - in cui c'è una domanda di questo genere: "Che cos'è il Buddha?" e il maestro risponde a modosuo. Qui abbiamo la risposta di Baso; abbiamo visto sia nella nostra pratica che negli altri commenti, altre risposte e cene saranno ancora, ma è certo che questa domanda doveva essere quella che agitava in continuazione le menti deipraticanti della Cina del tempo di questi grandi maestri.Cos'è: il Buddha? Uno va da un maestro e gli chiede che cos'è il Buddha. Come uno che andasse dal vescovo dellapropria città e gli chiedesse: "Cos’è Dio?" Quello, naturalmente, gli risponderebbe a modo suo. Certamente la rispostache potrebbe dare il vescovo si rifarebbe a quanto ha studiato e cioè direbbe: "Dio è l'essere onnipotente che ha creato ilcielo e la terra", finito lì. Baso invece, di fronte alla domanda "Che cos'è il Buddha?" risponde: "La mente è il Buddha".Bene! Che cos'è la mente? Allora un altro potrebbe dire: "La mente è il Buddha" e potremmo andare avanti così pertutta la giornata.La mente a cui si riferisce Baso è il Buddha a cui si riferisce il monaco. Il Buddha di cui vuol sentire parlare e di cuivuole avere spiegazioni Taibai, che Buddha è? Perché se noi chiedessimo del Buddha, quello - che duemilacinquecentoanni fa - per noi, per loro era un pò meno - ha dichiarato che tutti gli esseri sono intrinsecamente nello stato diilluminazione e cioè dei Buddha, se noi volessimo notizie su quel Buddha lì, allora potremmo dire: "Il Buddha è unapersona che è nata in una certa famiglia, in un certo luogo geografico e che ha fatto certe cose fino poi a morire in uncerto posto." Quel Buddha lì è un Buddha. Per la mente, potremmo benissimo leggere uno dei tanti libri che ci sonosulla mente, siano essi scientifici o di tipo parapsicologico, oppure di quelli che scrivono gli americani per addestrare lapropria mente per diventare un uomo di successo, e da questi potremmo avere un altro tipo di esposizione circa lamente. La mente è pure quella che ci dicono: "Imparare a mente i numeri del telefono, o imparare a mente una poesia,imparare a mente una canzone". È questa mente qui quella di cui parla Baso nella risposta che dà a Taibai? Tutti quantiutilizziamo le stesse parole: mettiamo la parola Buddha se la scriviamo con i caratteri latini. Ci sono queste certeconsonanti e vocali; se la scriviamo nella maniera cinese o giapponese è un carattere e basta. E così per la parola'mente’. Ma poi, quando ognuno di noi vuole capire il significato reale - ammesso che ci sia un significato reale, perchéil significato è quello che gli viene dato dai testi ai quali noi ci rifacciamo - che cosa significa veramente "mente" e"Buddha"?

Qui noi ci dobbiamo interrogare e questa interrogazione naturalmente, ci porta a dover capire da noi stessi che cosa èveramente il Buddha o la buddhità. Nel buddismo ci sono varie denominazioni di Buddha. Noi stessi quando la mattina recitiamo il "Te dai Denpo", la lista di tutti i patriarchi, ne recitiamo già cinque prima diarrivare al Buddha Sakyamuni. Per i giapponesi c’è il buddha storico, ci sono i buddha che fanno parte del panteonmitologico e c'è il Buddha Utokè che è il Buddha cosmico, quello che noi potremmo definire come il Dio onnipotenteche ha creato il cielo e la terra. A quale di questi Buddha si riferisce Taibai quando chiede che cos'è il Buddha?Certamente, dopo tutta questa confusione che può essere stata fatta circa questi due termini, la nostra domanda che puòessere come quella di Taibai, è: "Come si fa ad essere Buddha?” Perché Mumon poi nel suo commento, dice proprio:"Se riuscite subito ad afferrare “ciò” indossate le vesti di Buddha, mangiate il cibo di Buddha, pronunciate le parole diBuddha e vivete la vita di Buddha: voi stessi siete un Buddha".Ecco, questo allora è quello che interessa a Taibai: trovare nella risposta che si aspetta da Baso, la capacità di realizzarein se stesso questo Buddha. È quello che interessa anche a noi. Il Ch'an attira e noi ci sentiamo portati a questa pratica proprio perché, al di là delle spiegazioni, come disseBodhidharma recandosi dall'India alla Cina, si punta direttamente alla nostra reale natura, la nostra reale natura che èuna natura di illuminazione, una natura di buddhità. E questo è quello appunto che interessa a noi. Nella risposta che Baso dà a Taibai: "La mente è Buddha", noi come ci troviamo? La mente è quella che pensa? Quandonoi pensiamo alla mente pensiamo a quella parte di noi che decide della nostra vita? Quella che ragiona secondo quelloche dobbiamo fare nella nostra vita, quella che ci permette di vedere e di discernere il mondo intorno a noi: questa è lamente? Oppure c'è un momento in cui noi ci rendiamo conto che 1a nostra mente limitata fa parte di un sistema di unagrande mente molto più ampia che racchiude tutto quanto: è forse a questa mente che si riferisce Baso? Siamo di nuovodaccapo perché se noi non sappiamo come si può essere Buddha e dobbiamo imparare ad essere mente ed essere mente

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significa non essere soltanto questa piccola mente limitata nostra che ci fa vedere a pochi metri di distanza, siamo dinuovo a fare la domanda a Baso e dire: "Che cos’è la mente ? ". E quello dice: "La mente è Buddha". Ci troviamosospesi tra questi due termini tutti e due ugualmente, con i nostri mezzi limitati raziocinanti, irraggiungibili.Vediamo cosa dice Mumon, a parte il fatto già detto che: "Se riuscite subito ad afferrare "ciò" allora si diventa così. Poidice: "Anche se questo può essere vero, Taibai ha sviato un gran numero di persone facendo loro credere in una bilanciacon la lancetta fissa". Cioè Baso dice: "La mente è il Buddha", "Un chilo è un chilo", "Un chilo costa mille lire". Noivogliamo delle risposte esatte. Qui "la mente è Buddha", basta, al di fuori di questo non c'è niente. Ma questo ci porta adiventare dogmatici, per cui Mumon dice: "Taibai ha sviato un sacco di gente", e poi dice ancora: "Bisogna sciacquarsila bocca per tre giorni se si pronuncia la parola Buddha" perché un vero uomo Zen si tapperà le orecchie e correrà via sesente dire "la mente è il Buddha".Eh si! Perché quando uno dice "la mente è il Buddha" non ha detto niente. È come se uno dicesse: "Le nuvole sono lenuvole, il mare è il mare, il mare è fatto di acqua". Bene, uno che non ha mai visto il mare che non sappia che cosa èl'acqua, che vive in un deserto dice: "Va bene, quello sicuramente ha detto una cosa giusta, ma io che ne so che cos’èquesto mare, che cos'è l'acqua?". È come un altro che dicesse: "Un miliardo di dollari sono tanti dollari", si va bene, maquello che non ha mai posseduto più di cento dollari , pensare a un miliardo di dollari tutti messi insieme diventaveramente una cosa un po’ strana.Sono le risposte che non dicono niente, ma non possono dire qualche cosa, perché a una domanda del genere "Che cos'èil Buddha?" non si può dare che una risposta di questo tipo: "Buddha è Buddha". Avrebbe fatto molto più semplice adire così Baso, probabilmente."Una bella giornata sotto il cielo azzurro! Non cercare stupidamente qua e là. Se chiedi ancora "Cos'è il Buddha?" saràcome dichiararti innocente mentre hai in mano delle merci rubate". Possiamo soltanto fermarci di fronte all'immaginedella natura. Ho detto già che la comprensione dello zen, la comprensione dell'illuminazione, non è soltantoconcentrarsi sui massimi sistemi. Certo, potremmo stare dalla mattina alla sera a ripeterci "Buddha, Buddha", comenaturalmente stiamo a ripeterci in continuazione il nostro koan. Ma questo significherebbe mettere la lancetta su unpunto fisso, come dice Mumon. La lancetta può stare su un punto fisso, ma non è detto che un litro d'acqua sia sempreun litro d'acqua, che un chilo di pane sia sempre un chilo di pane. Il giorno dopo il chilo di pane si sarà seccato, se n’èandata via l'acqua che c'era e sarà di meno. Anche l'acqua sarà evaporata e non sarà più un litro. Per cui le certezze,come ben sappiamo nel buddismo e come ha ben predicato il Buddha, non esistono e allora tanto vale che ci guardiamointorno per trovare nelle cose che si muovono, che passano, che cambiano in continuazione, quella mente e quel Buddhache sono anche lì continuamente in azione.E infatti Mumon dice semplicemente: "Una bella giornata sotto il cielo azzurro!". Potrebbe anche essere: una bruttagiornata sotto il cielo scuro, sarebbe la stessa identica cosa. Non pensiamo che il Buddha si trovi soltanto sotto il cieloazzurro in una bella giornata, il Buddha c'è anche sotto il cielo grigio in una brutta giornata. Bisogna rendersi conto chequesto può essere visto da noi stessi e naturalmente dobbiamo tenere gli occhi ben aperti perché non ci sfugga.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 8 Agosto ’89 (Martedì sera) ----------------------------------------------

Qualcuno si ricorderà che l'anno scorso per pulire le erbacce che sono qui di fronte allo zendo, ci fu chi pensò di usare ilgas e bruciarle. Sembrava una soluzione radicale: ormai in quella maniera, bruciando le radici, non sarebbe più venutofuori niente. Invece quest'anno ancora, già un mese o due mesi fa durante la sesshin e ancora prima, abbiamopulito in mezzo ai tufi e di nuovo le erbacce sono cresciute.Si potrebbe dire che la lotta contro il male da parte degli esseri µmani - quelle sono delle erbe infestanti cheinfastidiscono il nostro passaggio ed esteticamente, ricoprendo tutti i tufi, rendono più brutto il pavimento - siaperdente. Per quanto lottiamo, di nuovo il male ricresce.E allora tutti i nostri difetti? Tutte le nostre debolezze? Tutti i nostri allenamenti per diventare più bravi, più buoni, piùgentili, più forti, più magri, più grassi, più belli, più abbronzati? Non servono a niente? Un insegnante non dovrebbedire che gli sforzi che si fanno non servono perché altrimenti gli allievi, a qualunque livello essi siano, siano gli allievidi scuola, gli allievi di uno sport, gli allievi di una disciplina spirituale, potrebbero pensare: "Allora, tutte queste faticheche facciamo a che cosa servono?". Nella canzone dello zazen Hakuin-Zenji dice nella prima strofa "Gli esseri umani cosi. come sono, sono già Buddha".Ma se uno non se ne accorge di essere Buddha? Se uno viene da noi e ci dice: "Tu sei Buddha", che possa essereHakuin-Zenji o il Buddha Sakyamuni stesso o un Gesù sorto in cima a qualche montagna, che cosa cambia per noi chequalcuno ci dica che siamo dei Buddha? Nello stesso tempo non cambia che qualcuno ci dica che essendo dei Buddhaqualunque sforzo facciamo è superfluo, tanto siamo dei Buddha! Che cosa ci può succedere? Però è giusto che ci siaqualcuno che ci dica che essendo dei Buddha non abbiamo niente da temere: questo potrebbe sviluppare nel nostrocuore una certa fiducia che, se noi sviluppiamo questa mentalità ottimistica, comunque vadano le cose, potremmo anchefarcela. Poi soprattutto la pratica, qualunque tipo di pratica noi intraprendiamo deve servire a farci capire che quellecose che ci può aver detto Hakuin-Zenji sono vere, ma capirle non con la nostra mente, capirle in un'altra maniera. NelVimalakirti Sutra troviamo il Buddha che dice, all'inizio, che le terre del Buddha sono intrinsecamente pure. AlloraSariputra pensa: "Ma quando il Buddha non era ancora Buddha, era un bodhisattva, le terre erano già pure oppure nonerano pure, sono diventate pure successivamente?". E il Buddha dice a Sariputra, lo abbiamo letto in questi giorni: "Se42

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un cieco non vede la luce del sole o della luna, da che dipende: dalla luna, dal sole o dal cieco?". Sapere, attraverso lapratica, il modo di aprire gli occhi, il modo di aprire i nostri occhi e vedere che le terre del Buddha sono da sempreintrinsecamente pure, malgrado noi vediamo dei rovi, malgrado noi vediamo le erbacce che crescono, malgrado noivediamo i nostri difetti che ci sopraffanno. Intrinsecamente è la purezza, è la chiarezza, è la buddhità. Ecco la pratica ache cosa serve, anche se talvolta ci sentiamo di dire, quando siamo al colmo della felicità, che tutto quanto è bello, chetutto andrà sempre bene, che tutto è bene, che non c'è da fare alcuno sforzo perché le cose così come sono sono giàperfette.Sì, Hakuin-Zenji ce lo dice da centinaia di anni, il Buddha Sakyamuni da migliaia di anni, ma se non lo capiamo da noistessi, tutto quello che ci possono dire a qualcosa serve - a qualcosa sì - ma fondamentalmente lo dobbiamo scoprire danoi.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 9 Agosto ‘89 (merc. matt.)

La prima volta che ho fatto zazen in un monastero giapponese fu, penso, ai primi del 1968 all'Enkaku-ji diKamakura nel Koji-rin, non proprio dove facevano i monaci, ma dove si riunivano i laici (Koji significa laico). Era unasesshin di tre giorni, tutti laici diretti da un monaco anziano. Ricordo benissimo che io ero seduto dalla parte deljikijitsu, del monaco, in fondo: se giravo gli occhi lo vedevo lì in fondo così tranquillo e io avevo un disperato male allegambe e alla schiena. Quella sesshin riuscì a farmi rendere conto che c'erano cose più difficili delle scalate che avevofatto fino a quel momento o delle discese difficili con gli sci, e vedendolo nella sua tranquillità, mi resi conto che diqualsiasi cosa avessi avuto bisogno, quel dolore alle gambe lui non poteva fare niente per eliminarlo. Se io volevocontinuare a rimanere seduto mi dovevo tenere il male alle gambe e alla schiena e lui, così tranquillo, a me non potevafare niente. Renderci conto dell'impossibilità di fare noi qualcosa per gli altri o di ricevere dagli altri qualcosa, è l'iniziodi una certa comprensione che è quella di sapere che le cose in qualche modo si fanno da sé.Spesso abbiamo visto scene di dolore - spesso o non spesso, comunque abbiamo assistito a scene di dolore - e perquanto amore, comprensione e compassione possiamo avere per la persona che soffre accanto a noi, non possiamo farealcuna cosa per lenire quel dolore. Il dolore è di quella persona e se lo deve tenere, noi possiamo soltanto assistervi. Mase noi sappiamo, essendoci passati, che quel dolore poi passa o quel dolore può essere assorbito in qualche modo, allorapossiamo anche essere tranquilli e la nostra compassione può diventare una compassione vera, la compassione di chi sache comunque sia, il dolore può passare. Ci troviamo molte volte, nei confronti delle persone a cui vogliamo bene oanche di sconosciuti, a voler fare qualche cosa, ma sappiamo che gli unici che possono fare qualche cosa siamo noistessi, sono gli individui di per sé. Ora, questo poter fare qualcosa di un individuo di per sé, se si rende conto di far partedi un sé più grande, di un sé che comprende tutti e di un sé che in fondo non vuole il dolore ma vuole che le cosevadano bene, vadano per il loro verso, allora ecco che possiamo cominciare a capire la compassione. La compassionenon è quella di eliminare il dolore degli altri. La compassione è capire che gli altri, o noi stessi naturalmente, attraversoil dolore possiamo capire il dolore, superarlo e trasformarci.Se noi vogliamo fare una spada che tagli - ammesso che la vogliamo fare, perché le spade poi servono per uccidere -dobbiamo batterla e dobbiamo farla soffrire tantissimo. Da questa sofferenza - come se noi vogliamo fare una statua,dobbiamo scalfire la pietra e trarne fuori un oggetto; come se vogliamo fare un mobile dobbiamo segare, piallare einchiodare il legno, - da questa sofferenza del legno viene fuori una trasformazione e viene fuori qualcosa di bello.La nostra compassione non consiste nel dire: "No, l'albero deve rimanere albero perché altrimenti tagliandolosoffrirebbe". La nostra compassione consiste nel capire che il dolore trasforma e che dal dolore può venire una vitanuova, diversa, migliore.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 10 Agosto ‘89 (Giov. matt.)-----------------------------------------------

Si è sperimentato, si sperimenta, quanto sia relativa la lunghezza del tempo: a seconda delle situazioni, ungiorno pare un mese oppure un mese pare cortissimo. Così anche la sesshin: quando la si vive, probabilmente nonfinisce mai, quando è finita sembra che sia passata in un lampo, oppure siano trascorsi anni.Noi già siamo a giovedì, ormai già ci si sente leggeri perché ci si comincia ad abituare; come i gatti che si strofinanoalle persone per scaricare o caricare la propria energia, anche noi cominciamo a passare vicino agli alberi o sull'erba delterreno sentendoci più carichi.Giovedì, un altro giorno … come in una scalata, si deve anche vivere qualunque momento della scalata. L'aspettativa diuna cima sulla quale debba succedere l'illuminazione non è né, un punto fisico o spaziale o temporale, ma è immanente.I maestri che hanno inventato il "susokan", cioè il conteggio dei respiri da uno a dieci, sono stati molto intelligentinaturalmente, perché hanno posto degli obiettivi vicini. Io ho l'abitudine di partire per la cima di una montagna dicendo: "Intanto camminiamo un'ora e arriviamo fino sotto laparete e poi vedremo, poi saliamo un po' e vediamo come va. Arrivati in cima bisognerà scendere e penseremo anchealla discesa". Se noi andiamo, dobbiamo assolutamente fare tutto: il momento in cui decidiamo di scendere dalla metàc’è un senso di sconfitta e di frustrazione e poi, naturalmente, non ci godiamo quel pezzetto sul quale stiamo lavorando.Se noi contassimo i respiri fino a cento sarebbe meglio: uno che arriva a contare i respiri fino a cento è più concentratodi uno che lo fa fino a dieci. Però dieci volte dieci è cento. Intanto arriviamo fino a dieci, poi si vede, poi ne faremo altridieci. Dobbiamo predisporci degli obiettivi che siano a portata e che non ci impediscano di vederci intorno.Naturalmente dobbiamo pensare grande e il nostro obiettivo fondamentale è quello di raggiungere l'illuminazione, di

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andare sulla cima più alta di questo mondo. Per cui, praticamente pensare al piccolo ma idealmente pensareall'immensamente grande.

MUMONKAN = CASO 32 =IL NON BUDDISTA INTERROGA IL BUDDHA(pag. 230) --------------------------------------------------------------

KOAN

Una volta un non buddista chiese all'Onorato nel Mondo: "Non chiedo parole né chiedo non-parole". L'Onoratonel Mondo rimase seduto. Il non buddista lo lodò dicendo: "La grande compassione dell'Onorato nel Mondo ha dispersole nuvole della mia ignoranza permettendomi di essere illuminato". Fece un inchino di ringraziamento e se ne andò.Allora Ananda chiese al Buddha: "Che realizzazione ha avuto il non buddista per lodarvi in questo modo?". L'Onoratonel Mondo rispose: "È come un cavallo di grande tempra che parte alla sola ombra del frustino."

COMMENTO DI MUMON

Ananda è un discepolo del Buddha, ma la sua comprensione è molto lontana da quella del non buddista.Adesso ditemi in cosa sono differenti il discepolo del Buddha e il non buddista.

POESIA DI MUMON Cammina sul filo di una spadaE corre sulla cresta di un banco di ghiaccio.Non c'è bisogno di fare passi,Lascia il tuo sostegno sul dirupo!

TEISHO 10 Agosto ’89 (giov. matt.)

Nel buddismo, anzi il buddismo stesso è una pratica che rompe con la tradizione esistente in India a1 tempo delBuddha, che lascia accesso a chiunque all'illuminazione. Non è che si lasci l'accesso all'illuminazione: il Buddhadimostra che chiunque a differenza di quanto avveniva prima - può raggiungere l'illuminazione, può mettersi in contattocon la coscienza cosmica. Questo, per quanto riguarda il tempo del Buddha in India, era riservato soltanto ai bramini.Naturalmente, essendoci un'apertura di questo genere, nel corso dei secoli e dei millenni, episodi di persone che pur nonessendo buddisti, pur non essendo monaci, raggiungono, l'illuminazione o hanno una realizzazione della comprensionedel Dharma, ce ne sono stati parecchi. Quello che riporta qui il Mumonkan è uno di questi e in qualche modo contrastacon quanto è stato detto e cioè che il maestro non possa dare l'illuminazione a un altro. Da quanto leggiamo qui questapersona non buddista riceve qualche cosa dal Buddha. Che poi, in fondo, non è che lo riceve, riceve un insegnamentoche nel suo interno si trasforma. Così come se noi riceviamo un pezzo di pane da qualcuno perché questo pezzo di panevenga poi trasformato in carboidrati e in energia per il nostro organismo, questo lavoro deve essere fatto e può esserefatto soltanto da noi, sol tanto dagli organi del nostro corpo. Perciò senz'altro c 'è questa benevolenza, questo riceverequalche cosa, ma è ovvio che il lavoro deve essere fatto da noi stessi. Dobbiamo avere degli organi già pronti per poterassimilare quanto ci viene dato.In questo caso è bastato poco perché il non buddista ricevendo dal Buddha una risposta così semplice, per nienteelaborata, riesca a fare l'illuminazione, illuminazione che non è ancora riuscito a fare Ananda il quale - dopo anni chestava col Buddha - non ancora riusciva a capire il Buddha in ogni sua manifestazione.Ho letto su una rivista di un grande uomo italiano d'affari di questi tempi, il quale scende dall'elicottero e poi va datutt'altra parte di quello che si aspettavano i suoi accompagnatori, segretari e guardie del corpo. Il giornalista che neparla dice: "Il dottore vuole essere capito al minimo segno". Ora, la vicinanza col dottore in questione è una vicinanzache poi dà come risultato la possibilità di vivere, di mangiare la minestra, quella di cui abbiamo bisogno tutti quanti.Senz'altro quelli che gli stanno vicino, oltre la minestra, si mangeranno anche il companatico, si compreranno i vestiti ela casa al mare. Ma tanto più dovrebbe essere attento uno che vive vicino al Buddha perché la minestra che devecomprarsi con quello che riceve dal Buddha è una minestra molto più importante, è la minestra che dà vita, che dàalimento alla nostra vita vera, reale, spirituale.Ananda, da quanto risulta dalla lettura di questo koan, non riesce così come riesce il non buddista, e allora il Buddha glidice: "Un cavallo di razza si muove soltanto a vedere il frustino, non c'è bisogno di essere colpito né leggermente, néfortemente". Questo del cavallo di razza che non ha bisogno di essere battuto col frustino lo ritroviamo ancora nel Mumonkan edanche in altre raccolte. Che cosa significa essere cavalli di razza? Significa, appunto, avere sviluppato la capacità dicapire al volo. Questa comprensione al volo va sviluppata. C’è un altro episodio del Mumonkan che parladell'insegnante nazionale il quale chiama il suo assistente e questo assistente non risponde nella maniera giustaimmediatamente.Chi ha avuto la fortuna di vivere a stretto contatto con un maestro - io ho avuto questa possibilità per un anno di essere acontatto con Mumon sa che gli esami non finiscono mai, sa che ogni movimento del maestro è un esame per il suoassistente. Il maestro non ha un assistente qualunque al quale alla fine del mese dà lo stipendio come lo si dà a chi ci fa44

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le pulizie, a chi guarda i bambini o a chi ci tiene la corrispondenza. Un monaco che fa l'assistente del maestro ci staperché è lì per l'illuminazione e allora questa illuminazione avviene si spontaneamente, come noi sappiamo, però vapredisposto il terreno perché poi sbocci. Ogni contatto col maestro può essere l'occasione per far sbocciare questo fioredell'illuminazione. Il maestro, naturalmente, ci osserva attentamente ed ogni suo sguardo, ogni suo movimento, ogni suosuono di campanello, ogni sua intonazione di voce va capita non soltanto per quello che dice, ma per quello chevorrebbe che fosse fatto, per vedere fino a che punto noi comprendiamo le sue intenzioni e fino a che punto noiriusciamo a metterci sul suo livello di comprensione. Questo, naturalmente, non riguarda soltanto il rapporto con ilmaestro, riguarda i rapporti stretti con qualunque altra persona o anche animale, tanto che qui il Buddha fa l'esempio delcavallo che capisce al muoversi del frustino. Con questa attenzione non ci si nasce: ci sono quelli più svelti alla nascitae quelli più lenti, ma il momento in cui noi decidiamo di voler intraprendere il cammino che porta alla realizzazionespirituale dobbiamo esercitarci in questo modo, un esercizio che naturalmente non è poi limitato soltanto a quello là.Mumon diceva che la pratica del koan gli era servita poi, successivamente, in qualunque altra attività della sua vitaperché l'aveva abituato a cambiare il suo modo di porsi di fronte ai problemi, il suo modo di ragionare, se così possiamodire.Certo, una persona che sviluppa l'attenzione poi questa attenzione ce l'avrà pronta per qualunque altra occasione.Mumon dice: "Ananda è un discepolo del Buddha ma la sua comprensione è molto lontana da quella del non buddista.Adesso ditemi in cosa sono differenti?". Sicuramente nel fatto che Ananda, vivendo a contatto del Buddha, perde laconsapevolezza di quale grande fortuna sia la sua, oppure, nello, stesso tempo, Ananda sa che tanto, comunque vadanole cose, lui il Buddha ce l'ha vicino, lo può vedere tutti i giorni e se gli serve qualcosa gliela può chiedere in ognimomento. Questa è quella pigrizia che si instaura in noi quando siamo a portata di mano delle cose.Il non buddista vede il Buddha per una volta, poi non lo vedrà più e in quella volta mette insieme tutte le sue aspettative,per cui in quella volta vuole ottenere il massimo e naturalmente, cosi volendo lo ottiene. Dobbiamo renderci conto dellesituazioni in cui stiamo e, naturalmente, se dovessimo trovarci nella posizione di Ananda non dovremmo lasciarciprendere dalla pigrizia di pensare che "tanto se non ho capito oggi capirò domani" e poi, in fondo, anche questo non ècriticabile.Questo passo di Mumon è abbastanza oscuro nei confronti di quello che è stato detto prima, ma sicuramente ilpraticante, sia che si trovi in una situazione di tranquillità di un Ananda, che si trovi in una situazione di apprensionepossiamo dire, di fretta - questo non buddista che si presenta dal Buddha è uno che guarda spesso l'orologio e dice: "Hopoco tempo a disposizione, bisogna fare in fretta. Mi dica subito quello che mi può fare perché devo prendere l'aereoche parte tra mezz'ora dall'aeroporto.". Bisogna lasciare da una parte sia questa fretta del viaggiatore non buddista, sia latranquillità e per certi versi, l'ottusità di Ananda. Ma nello stesso tempo bisogna lasciarci prendere dalla tranquillità diAnanda e bisogna farci stimolare dalla fretta che agita questo viaggiatore non buddista. Le circostanze - spesso lo ha detto il maestro Lin-Chi - richiedono di entrarvi e di uscirvi con rapidità, a nostropiacimento e con la sicurezza che ci viene dalla comprensione della situazione in sé. Dobbiamo essere svelti: questosicuramente è una cosa importante. Svelti nel dormire, come fa Ananda che dorme, e svelti nell'agire come fa nelchiedere il non buddista. E sicuramente la sveltezza è una qualità del praticante di ch'an.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 10 Agosto 1989 (Giov. sera)

La frase che era da scrivere nella poesia della sesshin dell'agosto di due anni fa era "La luna non è più rotondacome ieri". Ci trovavamo in una fase di luna calante e, se dovessimo fare la stessa poesia, questa volta dovremmo dire:"La luna di vanta più rotonda ogni giorno".In quella frase dell’87 c'era la constatazione di qualcosa che cresce. Anche la poesia dell'anno scorso - che poi eranodue - delle due una si rivolgeva all'interno e l'altra si rivolgeva invece all'esterno.Nell'osservare la luna questa sera e nel ripensare a due anni fa quando cioè scrivevamo sulla luna, possiamo immaginarealtre decine di migliaia di righe di poesia: il nostro che non è più magro o se non altro giovane come due anni fa, con lenostre gambe che fanno meno male di ieri o più male di domani, con il nostro koan che è più chiaro di quanto lo era ierio è più oscuro di quanto lo era ieri.Questa relatività delle cose che cambiano con noi che siamo al centro - ognuno di noi è al centro in un mondo che glicambia intorno e dentro se stesso - deve darci un senso di malinconia certe volte, perché vediamo come tutto passa, manello stesso tempo un senso di potenza sapendo che fondamentalmente … al centro di queste cose ci stiamo bene se,appunto, siamo consapevoli della relatività delle cose che passano e anche se sappiamo come entrare in questa relativitàin maniera assoluta.Quando nell'ultimo notiziario viene citata la scrittrice che parla se non ci sia qualcosa che ha senso, dice, più o menocito a memoria:"Quando l'universo respira e noi respiriamo con lui". Noi siamo in comunicazione col respiro dell'universo, abbiamo lapossibilità di respirare insieme all'universo.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 11 Agosto ‘89 (Venerdì matt.)

Con l'espandersi della televisione, dei suoi tantissimi programmi e per cui del bisogno di coinvolgere semprepiù persone, sono molti quelli che, intervistati e partecipando a delle trasmissioni, raccontano fin nei minimi particolaridella propria vita, dei rapporti con gli altri, dei propri sogni, dei propri desideri, delle proprie perversioni addirittura. Cisi apre, ci si confida, di fronte a migliaia e milioni di persone, ovviamente stimolati da un giornalista capace di non

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lasciarsi scandalizzare, e questo fa pensare che ci sia, da parte della società attuale, la capacità di aprirsi agli altri, diaprire se stessi, di mostrare se stessi per quello che si è.Da un osservatorio molto più limitato rispetto a quello della televisione, come può essere la stanza di sanzen, invece poici si accorge che si va da un estremo all'altro. Di fronte a quei milioni di persone uno dovrebbe tenersi le cose per sé enon essere così espansivo perché in fondo, a parte i motivi scandalistici, agli altri che stanno ad ascoltare non interessaniente di chi parla ed aspettano soltanto il proprio turno per parlare se stessi, in una stanza di sanzen in cui veramentec’è bisogno che uno tiri fuori tutto se stesso, si trovano invece tante resistenze. La pratica del koan richiede abbandono,richiede che ci si abbandoni completamente al nostro vero sé, senza paura che vengano fuori delle cose che possonodisturbare, che ci si abbandoni al nostro vero sé con tutta la nostra forza e con tutto il coraggio di passare da unaposizione alla posizione opposta, di pensare completamente in maniera diversa da quella in cui si poteva aver pensatofino a quel momento, eliminare tutte le certezze che abbiamo avuto fino a quel momento per abbandonarci in un mare dicompleta incertezza. Invece noi pensiamo di aver qualcosa e continuiamo ad essere attaccati a quel qualcosa cheabbiamo capito, mentre invece la comprensione avviene soltanto quando lasciamo tutto e, lasciando tutto, si puòprendere molto di più di nuovo, ammesso che ci sia qualche cosa da prendere, forse da apprendere. Non c’è, a sanzen,un rapporto in cui uno voglia sopraffare l'altro. Se noi ci andiamo con questo atteggiamento, naturalmente, anche seriusciremo a passare qualche koan, questo non significherà molto. Noi lavoriamo per noi stessi su noi stessi e, qualchevolta, contro noi stessi. Chi è dall'altra parte, nella stanza di sanzen, non è niente altro che un notaio talvolta, qualchevolta forse un poliziotto, altre volte forse uno specchio. Ma non è contro lo specchio, contro il poliziotto o contro ilnotaio che dobbiamo combattere. Questi personaggi o queste cose di volta in volta sono lì a porci di fronte a quello chein quel momento non siamo stati capaci di fare o a dimostrarci la giustezza di quello che abbiamo compreso. Non ècertamente facile, ma dobbiamo continuamente ripeterci che cosa si va a fare di là, che cos'è questo koan sul quale si stapraticando, che cosa si vuole attraverso i koan che stiamo praticando, che cosa mi hanno dato fino adesso, che cosa miaspetto che mi dia e, naturalmente, scartare tutto quello che di superfluo può esserci in queste nostre aspettative.Noi siamo qua per realizzare la nostra reale natura, per diventare dei Buddha, degli esseri illuminati. Al di fuori diquesto grande, unico progetto, non ci deve essere altro. Non ci sono pagelle per chi supera più koan, non ci sono premifinali per chi arriva primo in graduatoria come c'è in tanti concorsi: venti punti, mille punti; non si ricevono premi acasa o direttamente qui, questo lo dobbiamo capire da noi stessi.Normalmente lo capiamo tutti.Dobbiamo buttarci nel koan completamente, con tutte le nostre forze, con tutte le nostre energie, con tutta la nostravolontà per trasformarci, perché altrimenti, mosciamente, come qualche volta capita di presentarsi, si riuscirà a farepoco. Il fatto di stare svegli a lungo, di dormire poco, di non avere i tempi di recupero, servono proprio a stimolarequesta possiamo dire rabbia contro noi stessi, contro la nostra incapacità, contra la nostra debolezza, contro la nostrapigrizia e che questa rabbia si possa sfogare nella pratica del koan, nella esplicazione, nel confronto, della pratica delkoan.

MUMONKAN = CASO N. 33 =NESSUNA MENTE, NESSUN BUDDHA(pag. 236)

KOANUna volta un monaco chiese a Baso: "Cos'è il Buddha?". Baso rispose: “Nessuna mente, nessun Buddha".

COMMENTO DI MUMON

Se riuscirete a capire ciò, i vostri studi Zen sono terminati.

POESIA DI MUMONSe per strada incontri uno spadaccino, dagli una spada; Solo se incontri un poeta, offri una poesia.Nel parlare alla gente dì solo i tre quarti:Non far mai avere loro l’altra parte.

TEISHO 11 Agosto ’89 (Venerdì matt.) _______

Questi koan, oltre ad avere delle contraddizioni nel proprio interno, sono in contraddizione anche con quelloche viene detto in altri koan. Lo stesso maestro a Taibai che gli chiedeva: "Cos'è il Buddha?", aveva risposto: "La menteè il Buddha", stavolta invece dice: "Non mente, non Buddha". Allora qualcuno potrebbe dire: "Ma allora, che c'è?".Certo, senz'altro viene da dire che cosa c'è se non c'è né la mente né il Buddha. Il commento di Mumon anche in questocaso è illuminante perché a differenza di tutti gli altri, addirittura qualcuno lunghissimo come quello del primo koan delMu di Joshu, questo è stringatissimo: "Se riuscite a capire ciò, i vostri studi Zen sono terminati", basta, chiudete, andatea casa, ormai potete prendere l'acqua dal pozzo e spaccare la legna, non c'è niente altro da fare. E invece non è cosìsemplice.

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A parte che dopo questo koan ce ne sono altri e per cui la fine non è certo data da questo qui, come non è data da unaltro qualunque degli altri koan: dipende da che cosa si capisce esattamente da "Non Buddha, non mente". E che altro?Se eliminiamo mente ed eliminiamo il Buddha, che altro rimane? Dobbiamo sempre vederci nel contesto in cui ilmonaco chiede e il maestro risponde. E certamente la risposta dipende da chi chiede, se sia Taibai, se sia un monacoqualsiasi, se sia magari un altro maestro col quale sta discutendo, è ovvio.Prima di uscire, cinque minuti fa, Francesco che ha sei anni, vedendomi forse per la prima volta che mi mettevo ilkoromo, ha detto: "Che ti metti?". "Mi metto questo kimono" ho risposto, perché se uno dice koromo magari noncapisce, kimono invece forse riesce a capirlo. E poi ha detto: "E da che ti vesti?", perché uno si deve vestire da qualchecosa, secondo i bambini. Sono abituati al carnevale in cui uno quando si mette qualcosa di strano si veste da indiano, siveste da pagliaccio, si veste da cow-boy, per dire le maschere più ricorrenti. Visto che non è carnevale, non gli potevodire: "Mi maschero da … " chè? "da buddista"? Quello che ne sa cos'è un buddhista?. "Da bonzo"?, ma! Allora bisognadirgli qualcosa che capisca e per cui gli ho detto: "Mi vesto perché devo andare giù a fare la meditazione", che poi luimi pare non abbia neanche fatto il battesimo, perciò non va neppure in chiesa e non conosce neanche i preti, per cui laspiegazione sarebbe veramente lunga.Allora, anche le risposte di Baso, come le risposte di tutti gli altri maestri circa la domanda: "Cos'è il Buddha?", quellafamosissima di Rinzai è, secondo me, la migliore. Ce ne sono di tutti i maestri, ma certo quella di Rinzai che dice: "È ilbastoncino per nettarsi gli escrementi", il Buddha è un bastoncino come usavano quelli che non avevano la cartaigienica, mi pare veramente illuminante. Solo Lin-Chi poteva dire questa cosa. Per cui, a seconda di chi ci sta davanti, aseconda di quello che vuole che noi gli diciamo circa questo Buddha di cui lui è alla ricerca, allora la risposta delmaestro è una risposta adeguata alla persona e al momento. Lo stesso maestro, alla stessa persona, il giorno dopopotrebbe dire una cosa diversa, perché già è alla seconda domanda. E così anche il bambino che mi chiedesse di che mivesto, già averlo visto per la seconda volta, potrei cominciare a fargli capire qualcosa di più.E così siamo di nuovo a Baso che risponde a questo monaco sconosciuto: "Niente mente, niente Buddha"! Certo, secome ha detto a Taibai che già era abbastanza avanti: "La mente è Buddha", uno ha qualche cosa a cui attaccarsi, percui presuppone che quello al quale si dice: "La mente è il Buddha" sia già abbastanza distaccato per non attaccarsiulteriormente a qualche altra cosa. A questo monaco sconosciuto deve spazzare via qualunque certezza e probabilmenteil monaco era arrivato che già sapeva che Baso a chi gli chiedeva: "Cos'è il Buddha?" rispondeva: "La mente èBuddha", aspettandosi una risposta del genere, quando quello gli dice: "Niente mente, niente Buddha", rimanesconcertato e forse, malgrado qui non lo dica come capita qualche volta nelle raccolte dei koan, "E il monaco fecel'illuminazione", qui non l'ha fatta, però potrebbe senz'altro essere stato all'inizio del cammino verso l'illuminazioneperché Baso ha tolto, con la sua risposta, le stampelle sulle quali il monaco pensava di poter camminare ancora perchissà quantoCi avviciniamo ad un maestro, ad una pratica meditativa, a una pratica spirituale, comunque ad una pratica diliberazione e continuiamo a giudicare il maestro e la pratica di liberazione con il nostro metro, con una mentalità che èquella che noi abbiamo imparato fino a quel momento. Quando vogliamo confrontarci con il maestro dovremmo fare unsalto, innalzarci - e questo non si può dire perché i1 professionista dello zen, usiamo questa espressione, non parlavamai di zen. Il momento in cui c'era il Teisho, saliva sul suo seggio e parlava, poi tornava nella sua stanza e quando c'erasanzen andava, a fare sanzen e poi, chiunque lo andava a trovare, non sentiva mai una parola della dottrina o dellapratica zen. Ogni sua parola ovviamente era zen. Se qualcuno gli chiedeva qualcosa gli rispondeva, però non era mai luiche cominciava a parlare di qualcosa di questo genere. Aspettava; anzi Mumon possiamo dire che parlava alla gente sì,ma normalmente non parlava alla gente.Se stiamo molto attenti, vediamo che quelli che sono veramente padroni della propria disciplina non ne parlano mai. Sevengono interrogati rispondono, ma se non vengono interrogati noi non possiamo scoprire che uno sia medico, che unosia specialista di una certa cosa o maestro di un'altra cosa, se lo incontriamo per la prima volta. Alla fine ci verrà vogliadi chiedergli: "Che cosa fai esattamente? Che cosa insegni?", quello ce lo dirà e poi finirà lì. Però se un maestro di zenentra in un gruppo e si comincia a parlare di qualche cosa, non dirà agli altri "Voi dovete fare più meditazione, doveteseguire di più questa dottrina, dovete fare queste altre cose perché altrimenti la vostra non sarà una vita felice. Se ne stazitto e buono, se c’è da parlare di pastasciutta parlerà di pastasciutta, sennò parlerà del tempo o di altre cose, ma senessuno glielo domanda, non darà certamente indicazioni circa la propria specializzazione. E questo significa esseremaestri di una disciplina. In genere, quelli invece che ci riempiono di consigli sono i dilettanti i quali hanno capito unamilionesima parte di qualche cosa e, appena l'hanno capita, vanno subito in giro a dire alla gente: “Mangia così perchéquesto ti fa bene, bevi questo perché ti fa dimagrire, fai meditazione perché sennò camperai poco, etc. etc."Naturalmente chissà quanti ne conosciamo, chissà quanti ne avremo incontrati.E invece Mumon dice: "Date solo tre quarti: Non far mai avere loro l'altra parte", aspettate che con molta fatica, conmolta determinazione e con molto spirito di sacrificio vengano a chiedervi pure l'altra parte e allora, in quel momento, ilmomento in cui parlerete saranno pure in grado di capire."Né mente, né Buddha! ". Speriamo, in tutta la notte che ci rimane davanti, di capire che c'è; se non è mente né Buddha,che sarà?

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 11 Agosto ‘89 (Venerdì sera)----------------------------------------------

Mia madre che racconta o che legge le favole al nipotino, mi ha ricordato quando fino a qualche anno fa, primache lei andasse a studiare a Roma per la scuola media, anch'io le leggevo ai miei figli.47

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Scendendo, vedendo il cielo così stellato di questa sera e la luna, mi è venuto in mente di una favola nordica, pensodella Scandinavia, in cui il Dio viene cavalcando e saltando da una stella all'altra tanto che guardando fuori il cielo,invece di dire come ho sentito una volta un ragazzo - anche grande - che guardando uno spettacolo naturale, un cielocon un tramonto, fattogli notare da un suo amico, ha esclamato: "È bestiale!". Potremmo benissimo dire che è una seratafavolosa, una serata in cui anche noi, pur non vivendo nel mondo delle favole e non cavalcando animali magici,possiamo sentirci così leggeri, cosi svuotati da qualunque attaccamento e preoccupazione da camminare in questa nottee saltare gioiosamente da una stella all'altra. Dopo un po' di giorni di una sesshin si ha un senso di leggerezza, si ha un senso di stacco da qualsiasi cosa. È già unasettimana che il mondo in cui siamo abituati a vivere è lontano da noi, va avanti per conto suo; forse c'è ancora,dovrebbe esserci perché altrimenti io che leggo il giornale vi avrei potuto dire qualche cosa e noi leggeri, sempre piùleggeri in questa ultima notte, sicuramente, se volessimo invece che camminare come tutti gli altri, potremmo giàcamminare sollevati e diventare una cosa sola con le stelle, con le nuvole, con la luna.Sono notti queste in cui possono succedere anche delle favole come questa.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 12 Agosto '89 (Sab. matt.) ----------------------------------------------

La pratica del koan, se siamo lontani dal nostro maestro, certamente ha delle difficoltà e soprattutto per alcunikoan si tende a metterli da parte perché è ovvio che se non abbiamo spesso il riscontro di quello che abbiamo trovatocome soluzione quella soluzione rimane sempre così … galleggiante. Se noi avessimo la possibilità di portare la nostrarisposta e ricevere l'approvazione o il rifiuto allora potremmo passare a una nuova ricerca, mentre invece così nonsappiamo mai se quello che sentiamo come giusta risposta sia giusto o no. Questo è per la maggior parte dei koan tranneche quelli dell'inizio che hanno invece un lavoro di immedesimazione, un lavoro sul diventare uniti alla natura diBuddha, come dice proprio il loro nome "kensho koan" dove kensho significa vedere la propria reale natura. Per questikoan dell'inizio il lavoro può essere fatto anche a distanza, lontani dal proprio maestro, perché ce ne accorgiamo che lanostra identificazione, la nostra completa unità con la nostra vera natura diventa sempre migliore. Ma si richiedeapplicazione, si richiede che si pratichi.Quanti allievi, che adesso non frequentano, sono venuti a chiedere il koan come se fosse l'ultima spiaggia e poi, adesso,che ne sarà del loro koan? Sicuramente avranno intrapreso altre vie che mi auguro li abbia portati a risultati eccellenti.L'importante è capire che il koan lavora da sé se noi lo mettiamo dentro di noi, però va alimentato.Anche il fuoco brucia da sé, ma se noi non gli portiamo la legna quello a un certo punto si spegne. Allora, ricordiamocidi portare continuamente la legna al nostro koan, di vivere con il nostro koan in continuazione, di chiamarlo e ognitanto, quando durante qualche momento della giornata ci fermiamo, chiedersi mentalmente: "Come sto col koan? Comesto con la pratica? Che cosa sto praticando? Quanto sto praticando? Quanto sto praticando? Come sto praticando?"Diversamente, non siamo dei praticanti e non essere dei praticanti è grave. Non essere degli esseri che camminano sulsentiero della realizzazione significa essere dei fantasmi che si aggirano di notte per le paludi, come la maggior partedegli esseri umani, purtroppo!

ESORTAZIONI FINALI 12 Agosto ‘89 (Sabato mattina)

Quest'estate, alla fine di una gita molto faticosa durata dodici o quattordici ore, a qualche allievo di quelliparticolarmente provati, ho detto: "Hai visto? Se uno comincia una cosa, poi ci sarà pure una fine, no?" Tutte le coseche cominciano finiscono; beh, certo, in qualche modo tautologico, però certe volte pensiamo che questo non avvenga eperdiamo la speranza che il cammino che abbiamo cominciato possa arrivare poi al compimento che abbiamo sperato.Invece si comincia e, se ci si mette un po' di buona volontà, si arriva in fondo e camminando si fanno diversi incontri,con noi stessi soprattutto e con gli altri.Se ci fermiamo a pensare che in un posto così piccolo con così poche persone, ci sono stati tanti incontri tra noi e glialtri, possiamo immaginare quanto grande sia il mondo al di fuori di questo, al di fuori e, allo stesso tempo, all'interno.Se ci fermiamo a pensare al nostro corpo e vediamo in una notte stellata la lontananza delle stelle e delle galassie, ciperdiamo in questo infinito. Nello stesso tempo, quando prendiamo in mano un microscopio elettronico o strumentimolto più sofisticati che vanno molto in profondità, vediamo quale profondità ci sia all'interno di un atomo, quantimiliardi di corpuscoli - se vogliamo chiamarli così - si agitano all' interno di una cosa così piccola come un atomo.Allora, se questo atomo di questa sesshin per noi è stato cosi vario, così importante, così nuovo, figuriamociestendendolo a una molecola e poi a una cellula, e poi a un organismo, e poi a un universo come può essere quello dellanostra terra e di tutti i pianeti e di tutte le stelle che compongono la nostra galassia. Allora dobbiamo pensare a questoinizio e pensare che camminando si può, come abbiamo potuto incontrare trenta persone, possiamo incontrarne tremiliardi perché il cuore degli esseri umani è uguale che siano trenta o che siano tre miliardi. Per cui possiamo realizzarequello che dice il Buddha: "In un chicco di senape si rispecchia tutto l'universo". Le sesshin, come ho detto all'inizio,cominciano e finiscono però, sicuramente se la sesshin, il venire qui ha un senso, lasciano nel nostro cuore la gioia diavere fatto qualche cosa, di essere vissuti in un modo e la fede di poter ripetere a nostro piacimento esperienze cosìimportanti come questa. È sperabile che questo seme che la sesshin ha messo dentro di noi riesca a far germogliare in continuazione, inqualunque stagione, i fiori più belli che ci possono essere.48

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SESSHIN MESE DI SETTEMBRE 1989 ( 1,2,3 )SESSHIN KOKUHO 1° Settembre ‘89 (Ven. sera) --------------------------------------------------------------

"Zazen" sembra un suono onomatopeico. Certo, la lingua è una lingua straniera, lontana dalla nostra, eppure atradurla è semplice da dire anche, fino a un certo punto, semplice da fare, ma non così semplice come sembra. Starseduti in concentrazione. Ognuno di noi la prima volta, ed anche le volte successive, si è reso conto di quanta difficoltàsi incontri nel voler controllare la propria mente, ma noi riusciamo a controllare la nostra mente quando non lavogliamo controllare.Siamo abituati a pensare che quando vogliamo ottenere qualche cosa dobbiamo lavorare per l'ottenimento di quellacosa. Così come se vogliamo andare fino a Orvieto la strada da fare è davanti alla casa, a piedi, con l'automobile o conqualunque altro mezzo; senza pensare ci incamminiamo per questa strada. Ma per quanto riguarda altri traguardi daottenere, che non sono da ottenere o da raggiungere, il modo di comportarci deve essere completamente diverso. Per cuinon possiamo sederci a fare zazen per ottenere il controllo della mente, dobbiamo entrare in un altro modo di pensare edi essere. Dobbiamo lasciar stare la presa, qualunque essa sia, e fare in modo che zazen - per usare la parola quasioriginale - si pratichi da sé, zazen pratichi zazen per mezzo del nostro corpo e della nostra mente. Come si fa a farequesto? Ecco che di nuovo chiediamo in che modo fare. Non c'è un modo, perché se ci fosse, la spiegazione per poterfare questo sarebbe la stessa spiegazione che potremmo dare a qualcuno che vuole andare a Orvieto: percorrere la stradadi fronte a casa a piedi, in automobile, in bicicletta, a cavallo o chissà come, e poi, dopo un certo numero di minuti o diore, arrivare a Orvieto. Queste spiegazioni non sono possibili, non sono assolutamente possibili. Si può soltanto dire chec'è questo modo di percorrere un cammino, lasciando che il cammino percorra se stesso senza che noi dobbiamomuoverci nella maniera in cui siamo abituati. Ma per fare questo l'unica cosa che dobbiamo fare è essere più attenti, piùattenti ai movimenti della nostra mente. È strano, uno può chiedere: "Ma come si fa con la mente a stare attenti allamente?".Allora bisogna, non so dire come, diventare passivi, lasciare che la mente si riveli. Come si può fare questo? Se noipensiamo che la mente sia un qualcosa separato da noi stessi, questo, naturalmente, non si verificherà mai. Non c'è unqualche cosa di separato dalle nostre cellule, dalle nostre molecole, dai nostri atomi. C'è un punto in cui questi nostriatomi, cellule, organi, noi stessi atomo, molecola e cellula, ci sciogliamo e - posso usare questa espressione - ciimmergiamo? ci amalgamiamo in altre molecole, atomi e cellule. In quel momento siamo zazen.C'è il respiro che può aiutarci a far questo e i maestri ce l'hanno sempre indicato come un mezzo per ottenerlo. Si puòandare anche oltre il respiro, però finché non riusciamo, rimaniamo attaccati al nostro respiro e per mezzo del nostrorespiro, respiriamo con i nostri atomi, molecole e cellule, perché non c'è differenza tra questi nostri atomi e gli atomipiù grandi dell'universo.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 2 Sett.’89 (Sab.matt.)----------------------------------------------

Le stanze dove dormono Alvise e Lea sono a mansarda e ieri, quando è cominciato a piovere, Alvise ha detto:"Che bello, così quando sto a letto potrò sentire la pioggia che batte sul tetto!".È bello sentirsi al sicuro quando ci sono degli elementi naturali avversi. A tutti noi è capitato di gioire del caldo delfuoco mentre fuori è freddo, tira vento o nevica, di sentire la pioggia sul tetto o dentro la tenda sicuramente al riparo;così come è bello, ci fa sentire tranquilli sapere che quando sarà il momento possiamo mangiare, quando fa freddo cipossiamo vestire, quando abbiamo sonno normalmente possiamo dormire. Se però vogliamo penetrare in un’altradimensione, spirituale, questa possibilità di rifugiarci dobbiamo lasciarla da parte. Dobbiamo essere capaci diavventurarci in luoghi in cui non sia più possibile il ritorno, in cui ci sia soltanto da andare avanti senza vedere il luogodove arrivare e, in caso di incapacità di proseguire, rendersi conto di non avere neanche la possibilità di tornare indietro.Alcuni maestri hanno chiamato questo stato "la Grande Morte" ed è appunto questa Grande Morte che dà la possibilitàdi sperimentare una nuova nascita. Soltanto in questo modo si può capire, si può penetrare sperimentando questaGrande Morte. Non è detto che se in un giorno di pioggia c'è stata la possibilità di ascoltarla battere sul tetto sotto alquale dormiamo questo debba essere rifiutato, così come quand'è il momento di mangiare e c'è del cibo, nessuno ciproibisce di mangiarlo. Ma il momento in cui pratichiamo, in cui entriamo nella Via, dobbiamo essere pronti a lasciaretutto, a lasciarci andare completamente a quello che la pratica in quel momento ci richiede.Non significa fare qualche cosa di particolarmente ascetico, ma c'è sicuramente da morire a tutte quelle condizioni cheabbiamo accumulato fino a quel momento, a tutto quello di buono che noi riteniamo di noi stessi e vedere esattamenteper quello che siamo in una maniera completamente diversa. Anche questi discorsi su un'esperienza che può esserecapita soltanto il momento in cui la si fa, sono discorsi certamente non capaci di esprimere veramente quello di cui siparla, ma dobbiamo sapere quello a cui andiamo incontro e per questo prepararci a sapere che il cammino ci riserva diqueste prove.

MUMONKAN = CASO N° 34 = LA SAGGEZZA NON È IL TAO (pag. 239) 49

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KOAN

Nansen disse: "La mente non è il Buddha; la saggezza non è il Tao".

COMMENTO DI MUM0N Di Nansen bisogna dire che invecchiando si è perduto nel disonore.

Aprendo un po' la sua fetida bocca svela il disonore della sua famiglia.Ma anche allora pochissimi gliene sono grati.

POESIA DI MUMON Il cielo è limpido e appare il sole;La pioggia cade e la terra si inumidisce.Senza ritegno ha spiegato tutto,Ma come son pochi coloro che sanno afferrarlo!

TEISHO 2 Sett. '89 (Sabato sera)

In questi ultimi koan abbiamo il n. 33, che è il precedente, in cui un monaco chiede a Baso che cos'è il Buddhae quello risponde: "Nessuna mente, nessun Buddha", e poi il n. 30 in cui viene chiesto a Baso che cosa sia il Buddha equello dice: "La mente è il Buddha ", e poi altri. Ma per rifarsi proprio a quelli immediatamente precedenti, abbiamospesso i maestri che vengono interrogati su queste questioni: "Che cos'è il Buddha?", "Che cos'è, la mente?", "Che cos'èla natura di Buddha?".E poi ne abbiamo altri che devono rispondere a: "Che cos'è il Puro Dharmakaya?", "Che cos'è l’eterno Dharmakaya?" evia dicendo, e i maestri spesso rispondono in maniera molto concisa. Addirittura qui Nansen non attende neanche ladomanda di qualcuno perché da se stesso, viene riportato che disse: "La mente non è il Buddha; la saggezza non è ilTao".Noi potremmo anche invertire questi termini e dire: "Il Buddha non è la mente e il Tao non è la saggezza", oppurepotremmo dire: "Il Buddha non è la saggezza; la mente non è il Tao", e ancora avanti così con tutte le combinazioni chesi possono immaginare. Forse, se avessimo adesso a portata di mano un calcolatore, potremmo sapere quante sono lecombinazioni che potremmo ottenere e tutte queste combinazioni avrebbero lo stesso valore della sentenza di Nansenche dice: "La mente non è il Buddha; la saggezza non è il Tao". Perché questo? Perché intanto si pontifica su alcunitermini che non sono così chiari ad ognuno di noi perché per ognuno di questi ci sono varie interpretazioni e noi stessi, aseconda della nostra comprensione della realtà, ma anche a seconda della pratica, a seconda dell'interesse che abbiamonella pratica, a seconda anche della cultura buddista, possiamo dire che abbiamo, diamo ad ognuno di questi terminisignificato diverso, diverso uno dall'altro.Due stesse persone sedute qua in questo zendo, interrogate, possono dare una definizione di mente o di Buddha, di Taoo di saggezza, completamente differente. Per cui, quanto dice Nansen noi come possiamo prenderlo? Possiamoprenderlo in due modi: o come qualcosa che viene dall'alto, per cui l'ha detto Nansen e così è giusto. Non attaccarsi alledefinizioni che danno per scontato che la mente sia il Buddha e che la saggezza sia il tao, perché c'è qualcuno che diceche la mente non è il Buddha e la saggezza non è il tao e per cui, se siamo attenti, dobbiamo essere attenti a nonattaccarci a delle definizioni dette da altri maestri perché, prima o dopo, ce ne possono essere stati o ce ne saranno, altriche possono dire l'incontrario di quelli. Questo è un modo di prendere queste definizioni. Un altro modo è quello di dire"le parole sono tante. Per definirle, se noi siamo attaccati alle parole che definiscono, non comprenderemo mai perchécon le parole non possiamo arrivare a dare una definizione della realtà e per cui queste parole sono esattamente ugualiad altre parole". Più o meno, è lo stesso comportamento che si è tenuto prima, comunque qui basato sulla non veridicità delle parole, sull'impossibilità delle parole di dare una definizione della realtà, mentre prima sull'impossibilità diattenerci a quanto detto da qualcuno perché ci può essere poi un qualcun'altro che dice un'altra cosa.Ma detto tutto questo rimane il problema di Nansen che dice: "La mente non è il Buddha; la saggezza non è il Tao".Certo! Noi sappiamo che per dare una risposta vera ad un koan non possiamo attaccarci alle definizioni, ma dobbiamodare delle dimostrazioni che riportino quanto all'epoca in cui il koan è stato inventato era lo stato d'animo e lacomprensione del maestro o comunque della persona che l'ha fatto scaturire. Il momento in cui Nansen se n'è venutofuori con questa frase, aveva in mente - qui diciamo mente ma non è la mente di cui parla lui quando dice: "La mentenon è il Buddha"- aveva una comprensione della realtà, per cui di fronte a qualcuno che stava discutendo di questitermini, ha voluto spazzare via quanto gli altri dicevano e dire: "No, no, io vedo chiaramente le cose come stanno: lamente non è il Buddha, la saggezza non è il tao". Ma quella comprensione che ha Nansen come riusciamo noi adottenerla? Questo è molto importante. E poi, quella comprensione che ha Nansen che riesce a dire "La mente non è ilBuddha, la saggezza non è il tao", è una comprensione che realmente ci interessa, oppure noi possiamo rimanere cosìcome siamo senza preoccuparci di quanto Nansen vada dicendo e d'aspettare anche di comprendere che la mente è ilBuddha e la saggezza è il tao.Se noi andiamo avanti nella nostra pratica e guardiamo indietro a quanto era la nostra comprensione nella stessa praticaun anno, cinque anni o dieci anni fa, vediamo che qualche cosa è cambiato. È cambiata la mente e il Buddha?, lasaggezza e il tao? No, quelli non sono certamente cambiati; è cambiata però la comprensione che noi abbiamo di questitermini. Per cui, un'affermazione che ci veniva da una certa comprensione e che ci faceva affermare due o cinque anni

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fa che la mente è il Buddha, adesso potrebbe benissimo capovolgersi perché sappiamo che sì, la mente è il Buddha,certo, non può essere altrimenti, però potremmo anche dire che la mente non è il Buddha.Ecco, questo è molto importante: riuscire a vedere questa verità e non verità di certe affermazioni, ed i maestri zen inquesto sono naturalmente maestri, perché troviamo il maestro che ci dice: "La mente è il Buddha" e quell'altro che cidice: "La mente non è il Buddha". E tutti e due hanno ragione, a noi sta il compito di vedere per quale motivo hannotutt'e due ragione. Intanto vedere esattamente cos'è la mente e vedere anche che cos'è il Buddha. Il momento in cuiquesto lo abbiamo visto e compreso, poi possiamo dire quello che ci pare. Per uno abituato all'umidità di un paesenordico, una giornata come quella di oggi può essere una giornata tranquilla e di sole. Per altri, abituati al sole asciuttodi un paese mediterraneo e del sud, potrebbe sembrare una giornata umidissima. Sicuramente, se noi prendiamo lostrumento, sappiamo dire quanta umidità c’è: ma per qualcuno è tanta e per qualcuno non è neanche umidità.Passiamo a vedere che cosa dice Mumon: "Di Nansen bisogna dire che invecchiando si è perduto nel disonore. Aprendoun po' la sua fetida bocca svela il disonore della sua famiglia. Ma anche allora pochissimi gliene sono grati".Le parole di Mumon vanno sempre interpretate all'incontrario, anche perché se cita spesso Nansen fra i quarantotto casidel suo libro vuol dire che ne ha un grande rispetto, per cui leggiamo pure completamente al contrario e diciamo: "DiNansen bisogna dire che invecchiando diventa sempre più onorato. Aprendo un pò la sua bocca di miele svela l'onoredella sua famiglia. Ma anche allora questo potrebbe essere giusto: pochissimi gliene sono grati perché pochissimi locomprendono. Però potrebbero anche essere tantissimi ad essergliene grati".Se tutti quanti fossero in grado di capire il cielo limpido e 1'apparire del sole, la pioggia che cade e inumidisce ilterreno, non ci sarebbero monasteri e maestri, non ci sarebbero predicatori, non ci sarebbero guerre, e chissà ancora checosa non ci sarebbe. Non ci sarebbe questo grande caos, questa grande confusione apparente che è la nostra terra, einvece quelli che comprendono l'apparire del sole e l'inumidirsi della terra sono pochissimi. Ha ragione Mumon inquesto.Sono, pochissimi quelli che sanno afferrare la bellezza e la realtà che ci sono in questo essere tutti i giorni sempre nellostesso modo: la pioggia è sempre la pioggia e il sole è sempre il sole, il vento è il vento, le foglie verdi degli alberi o lefoglie gialle che cadono.Siamo sempre a parlare delle stesse cose: la luna che sorge e il sole che tramonta e non c'è altro di nuovo sulla terra damiliardi di anni e sono queste le cose che dovrebbero farci capire eppure, eppure, quelli che capiscono sono veramentepochi, ha ragione Mumon.Forse perché non c’è niente da capire? Forse perché non si ha voglia di capire? Forse perché capire non porterebbe aniente e rimarremmo sempre nelle stesse condizioni? Chi lo sa? Si sa e non si sa. Però la realtà delle cose è scoperchiatadavanti ai nostri occhi. Ci sono quelli che si ritirano dentro le grotte in solitudine per meditare, quelli che vanno neimonasteri, quelli che si sottopongono ad altre pratiche ancora più penose, altri che invece dicono che tanto, qualunquecosa si faccia non si capisce e in fondo, quello che ci ha messi sulla terra sarà pure lui che ci dovrà giudicare e direcome ci siamo comportati.Certo· che il mondo è quello che è di fronte ai nostri occhi e da questo mondo che è così di fronte ai nostri occhi,dovremmo essere in grado di capire come conformarci, come adeguare la nostra vita. Per fortuna ci sono dei maestricome Nansen che vengono a ricordarcelo con le loro semplicissime, normalissime e senza alcuna originalità parole: "Lamente non è il Buddha; la saggezza non è il Tao". E allora il Tao che è? La saggezza che è? Parole stra-abusate, chesono? Sta a noi. Abbiamo tutta la notte davanti, speriamo di capirle.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 2 Settembre ‘89 (Sabato sera) ----------------------------------------------

Nelle società più evolute, quelle che vanno come zona del 'mite occidente’, tra i tanti problemi uno moltoimportante è quello della solitudine delle persone anziane. Qualche giorno fa parlavo di genitori, dei genitori cherimproveravano ad una figlia di non andare più spesso a trovarli, di andare a visitare persone estranee invece che ipropri parenti, e questa figlia diceva a noi, a se stessa: "Ma in fondo io i genitori e i parenti, soprattutto, me li sonotrovati e invece sto meglio con degli amici perché me li sono scelti da me". Finché si è bambini si gioca con i fratelli, con i cugini, ma poi dopo quando si diventa grandi, questo legame di sangue -come viene definito - non ha più quella forza, come non ce l'aveva neanche all'inizio probabilmente, ma il fatto chenascendo e vivendo tutti quanti sotto lo stesso tetto con gli stessi genitori, ovviamente si stabilisce un rapporto moltopiù stretto che con gli altri, un rapporto che a quel livello lì io definisco animalesco, non tanto in senso dispregiativo maproprio perché appartiene a un livello iniziale dell'evoluzione umana. Il bisogno di stare insieme, di sentirsi in unafamiglia, di sentire sicurezza con i propri parenti, di sentirsi in una stessa città legati con quelli che parlano la stessalingua, è ancora un momento di evoluzione animalesca. Per cui questo problema della solitudine degli anziani è unproblema e nello stesso tempo è anche una dimostrazione che il mondo va verso la solitudine. Il rimanere da soli,almeno spiritualmente, è una condizione di evoluzione. Quando noi siamo seduti in questa sala, pur essendo tuttiinsieme, siamo soli. La solitudine che io voglio dire che è un segno della evoluzione, cioè del distacco dal sentirsi inclan, in tribù, in branco, che ancora appartiene al momento dell'animalità, non è una solitudine negativa di dispregiodegli altri, ma è una solitudine che con gli altri cerca una comunione, una comunicazione superiore, diversa, perchénegli altri non vede una separazione: quelli vicini i parenti e gli altri, lontani, i non parenti; quelli che parlano la mialingua e gli stranieri che non la parlano.Gli altri sono uguali a noi stessi, tutti, di qualunque lingua, di qualunque colore, di qualunque razza, perché si scorge, sicomprende che tutti quanti siamo permeati dalla stessa natura. Noi nel buddismo la chiamiamo la natura di Buddha, la51

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natura di illuminazione. Questa natura di cui tutti gli esseri sono portatori è quella che ci fa salire nella scaladell'evoluzione e ci fa distaccare dall'animalità che, invece, ci fa ricercare la vicinanza di quelli di cui ci sentiamo sicuri.E questa ricerca di sicurezza, che naturalmente genera attaccamento, dipende dalla paura di rimanere soli. Ma rimaneresoli è una condizione di sviluppo. Rimanere soli è la condizione dell'essere libero, perché sa che non è solo, è solo inuna famiglia molto più ampia, la più ampia che possa esistere, l'unica famiglia vera, le altre sono le famiglie dellapaura, questa è la famiglia della libertà.Per cui comprendiamo benissimo il senso della sesshin: mettere insieme i cuori. Degli estranei che non si sono mai visti,forse non si vedranno più, decidono, da soli, di mettersi insieme per un certo periodo della propria vita, per un giorno,per una settimana, per un anno, ed insieme fare uno sforzo comune. Ma i cuscini sono sempre i cuscini di unaindividualità e lo sforzo comune aiuta a sviluppare al meglio questa individualità. Ecco la sesshin!

ESORTAZIONI FINALI 3 Settembre '89 (Dom. matt.) ------------------------------

Un personaggio di un libro letto recentemente, quello che narra la storia, è una persona anziana; nel rivedere ilpersonaggio principale che si mantiene molto bene, gli dice:" Quanto siete invecchiato!".E quello gli dice: "Ma lei non s’è visto?". Quello che parla per primo dicendo' all'altro che è invecchiato è quello deidue che invecchia di più, quello che mostra più dell'altro i segni del tempo.Il tempo è stato definito in tanti modi, ma è, certo che noi siamo legati all'oggi, al domani e a quello che sarà, è statoieri. Siamo costretti a regolare la nostra vita su un orologio e l’orologio, il calendario, ci danno dei giorni in cuipossiamo fare certe cose e altri giorni in cui non le possiamo fare. La nostra vita è regolata secondo degli schemi daiquali più si va avanti e più è difficile uscirne.Se noi non ci rendiamo conto che sia il tempo dell'orologio come quello del calendario, come gli schemi sonoinesistenti, la nostra vita sarà una vita da schiavi in cui continueremo a correre come delle formiche per accumularequalche cosa dentro un buco che basterà il piede di una persona per schiacciarlo e distruggere tutto. Allora, uscire daquesto schema di orologio- calendario è fondamentale. Dobbiamo trovare in questo schema il buco, il vuoto che cipermetta di restare soli con noi stessi affinché questa solitudine con noi stessi possa sviluppare la capacità di distruggeretutti gli schemi.La sesshin può essere uno di questi momenti. Certo, non ha il monopolio di questi momenti, non lo vuole avere perchéaltri luoghi, altre persone, altri momenti della nostra vita possono riuscire ugualmente a procurare in noi questocambiamento. Però è certo che qui a Scaramuccia volendo, si può ottenere la capacità di uscire dalle costrizioni, dellanostra vita. Bene, cerchiamo di comprendere chiaramente questo punto, di farlo nostro e tornati nelle nostre città, farlosviluppare e guardare ai nostri impegni, alle nostre cose importanti con occhi diversi.Non c'è bisogno di rinchiudersi solitari, o in gruppo, per tutta la vita o per un tempo minore. Certe volte può essere unamisura drastica necessaria, ma sappiamo bene che ci si può curare anche a casa. Ci sono anche i day-hospital, quelli incui uno va lì, fa qualche cosa e poi ritorna a casa. Come ci sono i luoghi in cui bisogna andare a fare delle operazioni eci si deve stare dei giorni. Dobbiamo essere capaci noi stessi di usare il metodo migliore a seconda del momento in cuiviviamo, ma dobbiamo essere noi stessi a capire che abbiamo bisogno, vogliamo diventare liberi. Senza questa sete dilibertà la nostra vita sarà sempre e continuamente un correre come dei conigli inseguiti dalla volpe o dai cacciatori. Enon è che diventando volpe o diventando cacciatori migliori. Dobbiamo uscire da questi schemi, dal diventare volpe odal diventare cacciatori; queste trasformazioni non apportano alcun cambiamento, anzi, peggiorano la nostra situazione.Dobbiamo riuscire a vedere questo.

SESSHIN MESE DI OTTOBRE 1989 ( 6, 7, 8 ottobre)SESSHIN KOKUHO 6.10.'89 (Ven. sera) -----------------------------------------------------------------------

Finalmente è ottobre, quando anche in Giappone comincia il periodo invernale di ritiro, cento giorni delperiodo più importante dell'anno, quello che arriva fino al due febbraio, con l’autunno e l'inverno più freddo in mezzo.Anche qui da noi l'odore dell'aria, il colore del cielo, sono cambiati, ci dicono che è autunno e con l'autunno verrannoanche l'inverno e il freddo, il momento in cui ci sono le condizioni migliori, per arrivare poi a quell'otto dicembredell'illuminazione del Buddha, per lavorare su noi stessi.Stare seduti in meditazione, come diceva Mumon Roshi, è il periodo migliore in cui non c'è né caldo né freddo. Puòsembrare strano che dei monaci o dei praticanti zen si preoccupino del caldo e del freddo, ma le condizioni in cuisediamo sono molto importanti perché oltre a poter avere male alle gambe, ci dobbiamo preoccupare anche dellezanzare e dei moschini, del sudore che ci cola addosso, mentre invece quest'aria così secca e così asciutta, è quella cheasciuga e secca anche i nostri pensieri perché per praticare in una sesshin bisogna lasciare fuori della nostra testa, fuoridi questa stanza tutti i pensieri che ci siamo portati dietro, per decidere qui, insieme, di praticare con la più grandedeterminazione. Non si può raggiungere l'illuminazione se non si ha la volontà che avrebbe un nuotatore che volesseandare da qui a New York a nuoto. Dobbiamo pensare l'impossibile, dobbiamo pensare che riusciamo a fare così comeil Buddha fece duemilacinquecento anni fa, la più grande illuminazione, quella che ci permetta di diventare anche noidei Buddha, pur essendoci già dall'inizio; risvegliarci alla nostra reale natura di Buddha che è quella nella quale siamosempre stati dall'inizio. La sesshin può permetterci questo o ci può dare quello stimolo per cui noi cominciamo veramente a vivere in uno statodiverso. Lo stato dell'illuminazione, a guardarlo da fuori, dalle persone che non sono illuminate, è uno stato uguale a

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tutti gli altri, ma il momento in cui noi ci viviamo dentro e ci rendiamo conto che viviamo in una coscienza diversa,quella coscienza alla quale dobbiamo arrivare se vogliamo che la nostra vita valga veramente qualcosa.La nostra vita, che non è soltanto la nostra vita, è la vita in sé. Diventare uno con la vita, diventare uno con la natura,diventare uno con l'universo, sentirsi uniti completamente a tutte le forze dell'universo. Forse può sembrare che sidicano parole troppo grandi, ma è così. Il momento che facciamo l'illuminazione sappiamo che siamo uno con tuttol'universo. Qui in cima a questa collina, dove i duecentocinquanta metri a livello del mare non ci permettono di alzarcicosì tanto nel cielo, tanto da sentirci in mezzo al cielo e all'universo, si può - a parte l'altezza così modesta - si puòrealizzare questa "utopia" e veramente immergerci completamente in tutta l'energia che ci circonda e sentirci energianell'universo, sentirci Buddha uguale al Buddha Sakyamuni di duemilacinquecento anni fa, senza aspettare l'ottodicembre, e vedere la stella del mattino.Mettiamoci tutte le nostre forze, tutte, tutte, tutte, tutte. Non lasciamo che neanche un solo grammo della nostra forzavenga risparmiato; soltanto così riusciremo ad arrivare veramente al fondo di noi stessi.Allora, insieme, mettiamocela tutta!

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 7 Ottobre '89 (sab. matt.) ================

Nel cuore del sutra della Prajna Paramita recitiamo: "Il Bodhisattva praticando la Prajna Paramita supera tuttigli ostacoli ed è libero. Essendo libero non esiste più paura. Gli errori e le illusioni vengono allontanati …". Questo"non esiste più paura" vorrei puntualizzare, ripensando alle parole che una ragazza ha detto qualche giorno fa dopo aversuperato un record di immersione nel mare. Questa ragazza che ha compiuto un'impresa eccezionale, superiore a quellecompiute anche da uomini più grandi e robusti di lei, ha detto: "Il non aver paura non è questione di coraggio, è avereuna tranquillità interiore", la tranquillità interiore che proviene dal fatto che non si pensa a se stessi ma si pensa agli altrie da questo non essere attaccati a se stessi ma preoccuparsi degli altri di conseguenza viene questa tranquillità interiore,questa tranquillità interiore che procura l'assenza di paura. Per cui il Bodhisattva praticando la Prajna Paramita, ci arrivaalla libertà e all'assenza di paura. Questa ragazza ci è arrivata per mezzo di questa capacità di distacco dall'attaccamentoa se stessa e alle proprie cose per rivolgersi agli altri, un distacco che noi possiamo anche chiamare in un altro modo.Distacco in francese lo chiamano 'détachement', ma dicono detachement anche per dire rilassamento e cioè undistaccarsi - lo possiamo usare noi- dalle nostre tensioni. Le nostre tensioni sono le tensioni che vogliono ottenerequalcosa o che hanno paura di non poter ottenere o di non poter mantenere.Il Buddha quando ha enumerato le dodici cause del dolore, ha messo al centro proprio la brama, l'attaccamento. Noi lorecitiamo nei nostri voti: "Voto di eliminare tutte le brame", ma questo lavoro avviene il momento in cui ci si risvegliaalla nostra reale natura in maniera improvvisa, come tanti maestri del ch'an ci hanno fatto sapere, ma naturalmenterichiede anche un allenamento, un dedicarcisi anche nelle più piccole cose.Spesso in questi ultimi tempi che ho ripreso ad insegnare lo yoga ed il tai-chi, mi sono soffermato su questa attitudinenei confronti del rilassamento fisico. Questo è sicuramente un inizio dal quale possiamo capire, sperimentare e partireper comprendere il rilassamento in cui vive l'universo. Rilassamento inteso come distacco, come assenza diattaccamenti.In una conferenza che ho fatto pochi giorni fa ad Orvieto, a proposito dell'ecologia, ho avuto occasione di dire, maormai lo dico da chissà quanti anni e il maestro Mumon non fa altro che confermare questo quando diceva: "Se non c'èl'occhio del satori non si fa niente di giusto”. Non possiamo dedicarci all'ecologia se prima non abbiamo fattoun'ecologia della nostra mente, se prima non abbiamo schiarito bene la nostra mente. Se la nostra mente non è chiaranon possiamo essere ecologici, saremo sempre attaccati alla nostra voglia di aria più pulita e di cibo più sano. Questodistacco che ha così chiaramente specificato questa ragazza e che molto più chiaramente naturalmente avviene nellarecitazione della Prajna Paramita, è molto importante. Dire molto importante è un eufemismo, naturalmente, èfondamentale.Liberarsi anche dall'attaccamento alla sesshin. Quando si dice 'sedersi per sedersi', 'fare zazen e lasciare che zazenfaccia zazen' significa proprio questo, significa proprio mettere da parte la nostra idea di ottenere qualche cosaattraverso zazen, già questa idea di ottenimento dimostra attaccamento. Lavoriamo fortemente su questo compito. Naturalmente non significa che non dobbiamo fare le cose che abbiamo davanti. Questo passaggio dal distacco assolutoalla vita di tutti i giorni deve essere vissuto in maniera comprensibile, deve essere compreso e non fare i distaccatiquando c'è un compito che ci aspetta, facendo confusione fra la vita relativa in cui siamo con i1 nostro corpo e i nostrisensi e una vita assoluta da nirvana, da regno dei Bodhisattva.E questo anche è molto difficile.

MUMONKAN = CASO N° 35 =SEN-JO E LA SUA ANIMA SONO SEPARATE(pag. 245 )-----------------------------------------------------------

KOAN

Goso chiese a un monaco: "Sen-jo e la sua anima sono separate: qual’é quella vera?".

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COMMENTO DI MUMON

Se sei illuminato nella verità di questo koan, saprai che uscire da un guscio ed entrare in un altro vuol direessere come un viaggiatore che alloggia in albergo. Se non sei ancora illuminato, non trascinarti alla cieca. Quando laterra, l'acqua, il fuoco e l'aria saranno decomposti, sarai come un granchio caduto nell'acqua bollente che si divincolacon le sue sette braccia e le sue otto gambe. Non dire allora che non ti ho messo in guardia.

POESIA DI MUMON Sempre la stessa è la luna tra le nuvole;Differenti l'una dall'altra sono la montagna e la valle.Com'è meraviglioso e beato!È una o due?

TEISHO 7 Ottobre ’89 (sabato sera)----------

Nel suo commento Shibayama Zenkei Roshi dice che questo è uno dei koan più difficili, perché appartiene allacategoria dei koan Nanto che significa 'difficili da passare’. Il problema che Goso - questo maestro che noi recitiamo nel"Tei Dai Denpo" - presenta al monaco è - quello che in giapponese si chiama 'Sen-jo Rikon', la separazione di Sen-jo(Rikon=divorzio). Sen-jo è una ragazza che si era allontanata da casa, non era più tornata, e però il padre aveva tantodesiderato di vederla e lei si fece vedere dal padre. Nella sua domanda Goso vuole sapere qual’é la Sen-jo vera: quellache ha visto il padre o quella che se n’è, andata?Questo problema apparentemente relegato al fatto di una cinese vissuta chissà quanti anni fa potrebbe, se fosserealmente così, interessarci relativamente. In fondo, se il padre ha visto il fantasma della figlia e con quello è rimastocontento di averla vista, potremmo anche dire che sono affari suoi. Ma non è questo il problema che Goso ci vuoleproporre; il problema è ben un altro, cioè quello che siamo e quello che appariamo. Qual’é quello vero di noi? Ognunodi noi è ed appare differentemente a seconda delle situazioni, a seconda delle persone con le quali è in rapporto e conqueste c’è una differenza di comportamento.Siamo sempre gli stessi nel fisico; certe volte cambiamo anche come siamo vestiti, perché certe volte ci presentiamoanche sotto abiti diversi, con persone diverse, per sembrare diversi, ma non tanto per sembrare diversi perché ci piacciasembrare diversi agli altri quanto quelli con i quali andiamo a confrontarci si aspettano da noi, o almeno noi pensiamoche essi si aspettino da noi un certo comportamento e noi proviamo a di mostrare quel comportamento. Per cui, qual’édi noi il vero? Spesso gli insegnanti si sentono chiedere dai genitori come si comportano i propri figli a scuola e nelsentire dagli insegnanti certi tipi di comportamento si stupiscono e dicono: "Ma a casa quelle cose non le fa mai! Nonpensavo che facesse così!". Nel bene e nel male, naturalmente.E così anche quando alcuni ragazzi o anche persone grandi vengono in montagna ad arrampicare o a sciare, oppure inaltre situazioni, hanno un modo di essere che è completamente diverso da quello che poi si verificanella propria professione, nel proprio lavoro o in famiglia.Goso vuole sapere qual’é quella vera di queste nostre rappresentazioni. È come se chiedesse all'attore se è vero quandoè sulla scena o se è vero quando è nel camerino a struccarsi o ancora se è vero quando va al bar e chiede un caffè, comefanno tutti quanti. È una domanda velenosa questa di Goso, che ci pone di fronte ai nostri cambiamenti, ci pone di fronte alle situazioninelle quali noi ci muoviamo pensando di essere sempre gli stessi, ma invece non siamo sempre gli stessi o, perlomeno,non appariamo sempre gli stessi. Non siamo quindi sempre gli stessi. Possiamo dire quale dei volti che presentiamo èvero? Non possiamo dirlo. Noi pensiamo che siano veri tutti. Per cui è vero quando siamo con i nostri genitori, è veroquando siamo con i nostri insegnanti, è vero quando siamo con i nostri amici, è vero quando siamo in una situazione dirischio, è vero quando siamo in una situazione di rilassamento. Siamo sempre gli stessi o forse, guardandoci, vorremmoessere diversi da quelli che siamo ma comunque, non possiamo far altro che comportarci nel modo in cui gli altri siaspettano che noi ci comportiamo. E allora, dalla realizzazione, dalla comprensione di questi cambiamenti che noifacciamo che cosa si deve dedurre? Vivere questi cambiamenti con un senso di frustrazione, cioè come una costrizione a cui dobbiamo sottoporci perchéaltrimenti gli altri non hanno una buona impressione di noi stessi e per cui essere schiavi delle convenzioni, oppurerendercene conto e come l'attore sale sul palcoscenico o esce sulla scena, e senza alcun motto di vergogna si cala in unpersonaggio - e tra l'altro da quello trae anche il sostentamento spesso pure munifico per la propria vita - ci caliamo nelnostro personaggio e lo viviamo di nostra scelta, cioè siamo quello che siamo consapevolmente per averlo scelto eperché così ci piace di essere. E allora in queste situazioni entriamo ed usciamo - ci rifacciamo sempre a quanto Lin-Chiha detto più volte - a nostro piacimento, con la padronanza di ogni situazione nella quale entriamo o dalla qualeusciamo.Per cui, quale siamo, chi siamo veramente? Siamo quelli che siamo in questo momento. In questo momento siamoseduti in questa stanza a gambe incrociate in silenzio, ecco chi siamo, questo è quello vero. Se fra un'ora noi dovessimoessere al volante di un'automobile oppure in un cinema, oppure a mangiare la pizza da qualche parte, saremmo quelliche stanno mangiando la pizza o che stanno guidando la macchina, o che stanno chissà che cos'altro facendo. Non siscappa da questo qui.

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Mumon, come al solito, getta i suoi avvertimenti dicendo: "Se sei illuminato nella verità di questo koan, saprai cheuscire da un guscio ed entrare in un altro vuol dire essere come un viaggiatore che alloggia in albergo." E infatti, checosa siamo se non viaggiatori? Me lo disse questo un lama che visse a Roma per tanto tempo e che è morto da poco. Midisse: "Gli esseri umani pensano che la vita sia come uno che entra in casa, tira fuori tutta la sua roba, comincia adattaccare i quadri, poi sistema gli armadi, cambia la carta, cambia anche le piastrelle del pavimento, mette le tendine allefinestre, senza sapere che il luogo in cui sta dormendo e passando per qualche giorno è un albergo e per cui tutti questisforzi che fa per abbellire quel luogo sono sforzi vani e superflui in quanto gli alberghi, proprio perché alberghi, sonocostruiti, esistono, perché ci viva la gente di passaggio per qualche tempo.Noi, invece, pensiamo di viverci chissà per quanto tempo. Se noi pensassimo di portarci dietro tutte le maschere deipersonaggi che interpretiamo in qualunque nostra situazione, questo sarebbe un tale carico sulle nostre spalle da nonpoterci neanche muovere."Se non sei ancora illuminato, non trascinarti alla cieca". Certo! Mumon certe volte dice delle cose veramente … E unoche non è illuminato come si può trascinare? L'unica cosa che può fare è prendere una lampada tascabile, ma se ha gliocchi chiusi, per quante lampade tascabili possa prendere, sempre alla cieca si dovrà trascinare. "Quando la terra, l'acqua, il fuoco e l'aria saranno decomposti, sarai come un granchio caduto nell'acqua bollente che sidivincola con le sue sette braccia e le sue otto gambe. Non dire allora che non ti ho messo in guardia". Sì, grazie che cihai avvertiti. "Sempre la stessa è la luna tra le nuvole. Differenti l'una dall'altra sono la montagna e la valle. Com'è meraviglioso ebeato! È una o due?" Questa non avrebbe bisogno di commento. Certamente, la montagna è la montagna e la valle è la valle. Coloro checonfondono la montagna con la valle e la valle con la montagna sono naturalmente a soffrire di questa confusione nellaquale vivono. Dice Lin-Chi: "Quando ti presenti dal maestro di spada non andare con il libro di poesie, quando vai dal poeta non tipresentare con la spada in mano". Il guaio, purtroppo, la difficoltà nostra è quella di non aver la capacità di scoprire, disapere le situazioni nelle quali stiamo entrando, addirittura le situazioni nelle quali viviamo e così ci presentiamo daipoeti con le spade e dagli spadaccini con i libri di poesie. Può darsi che da qualche poeta è meglio andarci con la spadaperché dice che è un poeta e invece è meglio che le sue poesie siano tranciate dalla spada e buttate nel fuoco, ma questinon sono problemi nostri, sono problemi dei poeti: finché le poesie, se le scrivono e se le godono per se stessi, fannobenissimo. E così certe volte si potrebbe andare dal maestro di spada con le poesie, non è detto che non le accetti. Ma aparte queste possibilità che possono avvenire, cerchiamo di camminare con gli occhi aperti."Se non sei illuminato non trascinarti alla cieca" Mumon dice. Sì, appunto! Allora rendersi conto di non essereilluminati; per cui fare tutti gli esercizi adatti perché ci si aprano gli occhi. Questo è la prima cosa. Una volta che uno hagli occhi aperti, certo sa vedere da sé qual’é la situazione in cui si trova e si saprà adeguare col vestito, col viso, con leparole, con i gesti e con tutti i comportamenti richiesti, pur sapendo che sta sulla scena a recitare di fronte a uno o'chissà quanti spettatori. Le cose in fondo, in fondo in fondo, non sono realmente così, ma per questo deve aprire ancoraun altro occhio.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 7 Ottobre ‘89 (Sabato s.)----------------------------------------------

Quando· sono andato in Finlandia, nel sesshin kokuho che c'è stato all'inizio di sesshin, a quelli che eranovenuti ho detto che ero arrivato da un paese lontano tremila chilometri ma che non avevo portato con me qualcherimedio miracoloso ed il fatto di stare seduti lì in quello stanzone non avrebbe risolto i problemi dei partecipanti. Nonero il santo che arriva in Finlandia a fare i miracoli, anzi. Per quanto potevo vedere io, il posto era già abbastanzatranquillo e con un po' di buona volontà le cose da capire, se si fossero lasciati conquistare un po' dalla naturacircostante, le avrebbero potute capire benissimo anche da se stessi. Tutt'al più potevo servire, stando insieme, comescintilla per accendere il proprio fuoco.Ancora di questi tempi ci sono persone che si radunano in luoghi in cui qualcuno dice di aver visto la Madonna oqualche altro santo e luoghi che si reputano carichi di influenze positive. Altri vanno da maestri e da guide spiritualiperché hanno forza, carisma e capacità di dare loro le ordinazioni che possono cambiare anche la loro vita.Ai finlandesi volevo proprio dire che da parte mia non c’era alcuna cosa di queste. Certe volte mi chiedo se non sidebba fare come nelle arti marziali dove, man mano che l'allievo procede nella sua bravura e nella sua esperienza, gli sidà la cintura di colore sempre più scuro e poi i gradi: primo dan, secondo dan, e così via. Altre scuole usano altri modidi graduare così come la nostra scuola statale, quella che dobbiamo frequentare tutti, che alla fine ci dà la licenza media,il diploma, la laurea, etc … Qui a Scaramuccia non si dà niente di questi riconoscimenti. In altri posti si usa dareordinazioni, si usa dare nomi, si usa dare tutto questo. Ma io mi chiedo se una madre e un padre che crescono un figlioogni anno che passa e che il figlio diventa più maturo, gli debbano dare qualche grado: quando comincia a parlare primodan, quando comincia a scrivere secondo e terzo dan, quando comincia ad andare a scuola da solo quarto, e così via.Certo che di modi per prenderci in giro tra noi stessi ce ne sono tanti. Le convenzioni si dice abbiano il loro senso e laloro importanza perché alcuni vi sono attaccati e reputano che possano migliorare la propria vita; ma qui a Scaramucciai gradi non si ricevono, e per questo mi riferisco a Suzuki Shunryu, quando ha scritto il suo libro o se lo ha scritto havoluto dire "mente zen mente di principiante", ognuno deve sentirsi sempre come un principiante, deve sentirsi semprepronto ad imparare qualche altra cosa perché sta a praticare per se stesso, non perché possa poi andare in mezzo aglialtri e dire: "Io sono di questo grado, sono di quest'altro grado". La comprensione è qualche cosa che serve a noi. Siamo55

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noi per noi stessi che veniamo qui, perché siamo qui in questo momento, perché pensiamo che qui insieme con tutti glialtri, con le parole che si possono dire e con le suggestioni che possono arrivarci, possiamo dare più senso alla nostravita. È tutto qua. Il momento in cui abbiamo dato senso alla nostra vita, che siamo diventati maturi e che cidistacchiamo dai nostri genitori, abbiamo fatto quello che dovevamo fare e non per questo i nostri genitori ci darannoun attestato di avvenuto distacco dai propri genitori. La maturità è qualche cosa che non cresce da un giorno all'altro, di cui certe volte non ci accorgiamo neanche deimovimenti in avanti, ma cresce, diventiamo più maturi, diventiamo più grandi, sesshin dopo sesshin, recitazione deiquattro voti dopo recitazione dei quattro voti, sentiamo che essi lavorano dentro di noi, sentiamo che ci immedesimiamonel nostro essere dei Bodhisattva. Il momento che noi stessi, da noi stessi, ci sentiamo Bodhisattva, non c’è, bisogno chequalcuno ci venga a dare il certificato di Bodhisattva. Si è sviluppato da se stesso in noi, si è risvegliato da se stesso innoi, e noi siamo gli unici in grado di sapere se c’è o non c'è questo risveglio e, naturalmente, godercelo e vivercelopienamente.

ESORTAZIONI FINALI 8 Ottobre ‘89 (Dom. matt.)------------------------------

Siamo passati attraverso l'umido della notte, il sonno, il male alle gambe. Alla fine si arriva ed è di nuovo ilmattino, la domenica, dopo essere passati attraverso questa avventura. L'ultima sera che sono stato in Finlandia, quandoandammo a fare la sauna in un posto solitario, prima che facesse notte, c'era una barchetta e volli andare un po' inmezzo al lago da solo. Ci vuole poco, basta una barchetta, un lago e un po' di alberi intorno senza nessuna casa, le trepersone che c 'erano erano chiuse in una baita nascosta, e uno si sente all'inizio del mondo. Questo sentirsi all'inizio delmondo ha fatto scaturire la comprensione di non essere solo, di essere in un luogo abitato col lago che ha una sua vitapropria, vera, come può essere la vita di una città, e sentire che vive in quel modo.Mi ricordo di una volta che lessi una favola ai bambini che parlava di un ragazzo cinese che cadde in un lago o in unfiume, e in fondo venne accolto da un mondo con un imperatore, con altre persone, e lui continuò a ballare e venneassunto lì per ballare di fronte all'imperatore.Quello che voglio dire parlando di questa esperienza finlandese, di questo lago e di questo sentirsi, sentire come tutte lecose abbiano una vita propria: il lago, il bosco, e all'interno del bosco ogni albero, all'interno di ogni albero ogni fibra,ogni cellula, per arrivare poi in fondo ad ogni atomo e come questo sia vivo e reale, lo si possa sentire, basta cheabbiamo i nostri mezzi di ricezione ben aperti per dire che non siamo soli e che non ci sono solo alcuni posti o alcunepersone con le quali dove trovarsi e parlare. Siamo soli come individui, come persone, ma facciamo parte di un grandeuniverso di altre persone, di altri individui nei quali ci possiamo fondere, nei quali possiamo immergerci.Per cui, in qualunque punto ci troviamo - come hanno sempre detto i maestri del passato - possiamo fare di quel luogola nostra patria. Può esserci che ci sia bisogno di ritrovarsi, e questo è vero, ogni tanto così come ci troviamo in cima aquesta collina e ci scambiamo, ci strofiniamo uno con l'altro per lucidarci, per toglierci di dosso le residue polveri che sisono accumulate. Ma non dobbiamo vivere nell'attesa di tornare qui o di ritrovare una shangrillà dove poter viverefelicemente.Scaramuccia è nel nostro cuore e in ogni luogo dove noi andiamo possiamo averla con noi, perché ogni luogo puòessere una Scaramuccia. Questo la sesshin dovrebbe farcelo capire. Una volta appreso questo si può continuare a venirealle sesshin, naturalmente, come si continua a mangiare e come si continua a dormire pur sapendo che mangiare edormire non sono indispensabili, però cominciamo a sentire il profumo di quella libertà di cui costantemente siamo allaricerca. Portiamoci dietro con noi questo profumo e ogni tanto, invece di attaccarci alla bottiglia, di prendere la sigarettao di annusare o di siringarci come fanno altre persone meno fortunate di noi, tiriamo fuori la nostra scatoletta deiprofumi e risentiamo il profumo di libertà che abbiamo potuto sperimentare qua sopra.

SESSHIN MESE DI NOVEMBRE 1989 (3, 4 ,5 Novembre)

SESSHIN KOKUHO 3 Nov. ’89 (Ven.sera)

I boschi colorati dell'autunno ci dicono che cominciano le sesshin invernali, quelle con il freddo, quandouscendo dallo zendo dobbiamo mettere le giacche e andare senza calzini si ha freddo ai piedi. Ma col freddo o col caldo,ogni mese ci può essere il suo problema. Se pensiamo che i problemi siano soltanto quelli atmosferici o meteorologicinon siamo sulla strada giusta. I problemi atmosferici e meteorologici, sebbene gravi e importanti, possono essere risolticoprendosi di più o di meno, mettendosi la crema per le zanzare, o qualche altra cosa.

La sesshin si propone per un momento, in un luogo, con certe persone, per risolvere problemi che attengono alla nostrasfera più importante, problemi veri, problemi per i quali siamo disposti a fare chilometri e siamo disposti a sacrificareanche tutta la nostra vita. Il momento in cui viviamo la sesshin è quello in cui possiamo realmente - anche se non è ilsolo - mettere le mani sulla nostra reale natura, portarla alla luce e vivere alla luce di questa, una luce giusta, l'unica lucevera che ci permette di vedere chiaro nella oscurità di questa nostra esistenza circondata da avvenimenti e da persone

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che giorno dopo giorno dimostrano la loro inconsistenza, la loro pochezza, il loro attaccamento alle cose materiali chenon hanno alcuna sostanza.La nostra chiarezza può farci vedere come dietro a tutto quello che appare di fronte ai nostri occhi non ci sia sostanza enon ci sia perciò ragione per noi di attaccarci al teatro che vediamo giornalmente.Con la sesshin dobbiamo riuscire a sviluppare quella vista che ci permetta di vedere questo e di liberarci da qualunqueattaccamento cosicchè, realizzato il secondo dei quattro voti del bodisattva: "Per estirpare tutte le brame", siamo ingrado poi di salvare tutti gli esseri, come pure di realizzare la nostra natura di Buddha e realizzare la conoscenza dellaLegge. A vedere quello che succede nel mondo, certe volte, possono anche cadere le braccia. A leggere di quello chesono capaci gli "uomini"' tra virgolette perché neanche gli animali si comporterebbero così, c'è da rimanere inorriditi,eppure noi ci sentiamo esseri umani, noi ci sentiamo parti integranti di questo mondo di cui siamo cittadini e dobbiamocontribuire con la nostra illuminazione a schiarire un pochino le tenebre che ci avvolgono tutti.Mettiamocela tutta per noi e per gli altri. Per noi, perché se non siamo in grado di guarire noi stessi, non siamo in gradodi portare aiuto ali altri. Per cui, cerchiamo di risolvere prima di tutto i nostri problemi, e il problema principale èproprio quello di comprendere chi siamo realmente e cioè vedere la nostra reale natura. Forza!

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 4 Nov. ‘89 (Sabato matt.) -----------------------------------------------

Di questi tempi alla COOP, se uno compera qualcosa, alla cassa gli danno una cartolina e partecipa ad unconcorso per vincere un'automobile ed altre cose così. Qualunque giornale si compri ormai regalano qualche cosa: uninserto, un libro, una cassetta. Il fatto di scambio ultimo e più importante, è quello che è avvenuto a Roma durante leelezioni, dove la compravendita del voto è stato un fatto normale ormai, e senza voler giudicare come sono andate leelezioni, a parte il fatto che hanno dimostrato che Roma appartiene ormai a un paese del Sud America, questo doverdare una contropartita visibile, sonante, in denaro od oggetti a chiunque si avvicina ad una qualche attività, che puòessere inizialmente un'attività da allievo ma che poi automaticamente diventa cliente, ormai c’è, soprattutto in America,anche nel campo della spiritualità. Nel campo dello sport ormai è scontato che chi partecipa ad uno sport riceva dallosponsor o dalla società cui appartiene, o dal pubblico, il pagamento per le maglie, per l'equipaggiamento e così via. Mache uno debba ricevere qualche cosa magari anche andando a praticare zazen, a partecipare a una sesshin, forse non ci sidovrebbe arrivare.Eppure anche in questi casi si danno attestati, si danno diplomi, si è i primi o i più anziani, o i migliori. Tutto questo perinvogliare la gente a partecipare, a portare poi naturalmente, con la propria presenza, il denaro ed anche il fatto di poterdire: "Io ho mille allievi, diecimila allievi, un milione di fedeli". Il metro che ci deve far giudicare sulla bontà di unapratica è quella pratica in cui noi riconosciamo che non vi è alcuno scambio mercantile, perché non si può regalarealcuna cosa, non si può vendere alcuna cosa.L'insegnamento, così come l'apprendimento, non sono oggetti di scambio-merci. Nessuno è in grado di regalarel'illuminazione, nessuno – fortunatamente - è in grado di comperare l'illuminazione. In questo campo siamo veramentetutti uguali: il ricco, il povero, il miserabile, il malato, il sano, il nero, lo sfruttato e il padrone.Ora che si estende sempre più a macchia d'olio questa mentalità che qualunque cosa si voglia si può comprare, o si devecomprare, la pratica spirituale, la ricerca dell'illuminazione rimane, probabilmente, l'unico luogo in cui questo scambiomercantile non può avvenire anche se le religioni organizzate, in qualche modo, hanno sempre provato a farsi tramitetra gli esseri umani e le divinità, facendosi naturalmente pagare per questo. Ma se noi andiamo a vedere nella praticavera, nella realizzazione vera, quella di cui noi siamo alla ricerca, questo non può avvenire. Quando siamo seduti agambe incrociate sul nostro cuscino, non c'è alcun Dio, alcun prete che possa darci l'illuminazione; se questa arriva, sequesta nasce in noi, dipende soltanto da noi, soltanto dai nostri sforzi, dalla nostra volontà, dalla nostra determinazione,dalla nostra capacità di immergerci, di rimanere uniti al nostro respiro, alla nostra pratica. Penso che la consapevolezzadi questa pulizia che c'è nel nostro stare seduti debba renderci ancora più convinti, ancora più consapevoli, ancora piùdeterminati di stare sulla strada giusta a praticare nella maniera giusta e, se possibile, anche nel posto giusto.Certamente, se stiamo qui in questo momento a fare questo, questo è quanto abbiamo voluto e vogliamo fare, almenofino a questo momento.

KUMONKA.N = CASO N. 36 =INCONTRARE UN UOMO DEL TAO SULLA VIA(pag. 252 ) -----------------------------------------------------------------

KOAN

Goso disse: "Se incontrate un uomo del Tao sulla via non salutatelo né con le parole né col silenzio. Adessoditemi: in che modo lo saluterete?"

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COMMENTO DI MUMON

Se sapete dare una risposta appropriata a questa domanda, meritate certamente le congratulazioni. Se ancoranon sapete darla, state in guardia in ogni aspetto della vostra vita.

POESIA DI MUMONSe incontri un uomo del Tao sulla viaNon salutarlo né con le parole né col silenzio.Col pugno gli darò il colpo più forte possibile:Afferralo subito, afferralo immediatamente!

TEISHO 4 Novembre ‘89 (Sabato sera) ----------

Abbiamo avuto in precedenza un caso in cui si chiede se la Via non ha bisogno né di parole né di silenzio. Cosìpure ogni volta che abbiamo letto il Vimalakirti sutra abbiamo letto dei Bodhisattva che accompagnano Manjusrinell'andare a visitare Vimalakirti e ognuno di essi espone la propria visione del modo di entrare nella non dualità e, allafine, domandando a Vimalakirti come la espone lui stesso, Vimalakirti risponde rimanendo in silenzio.Qui Goso chiede ai suoi monaci di non rispondere né con le parole né con il silenzio. Con i gesti, forse? O con qualchealtro atto? Abbiamo avuto spesso casi in cui ai monaci cui veniva chiesto di dire una parola di ch'an, oppure di rispondereimmediatamente senza parole né silenzio, hanno risposto dando calci, gridando, facendo gesti, togliendosi qualche cosao mettendosi addosso qualche cosa, e tutte queste risposte, in quel momento particolare, hanno avuto una loro ragione diessere. Ma se noi vogliamo la risposta a questo koan, certamente deve essere una risposta che ha senso nella nostra vita.I koan non sono lo studio di testi del passato per capire che cosa pensavano e che cosa credevano quelli che ci hannopreceduto. La pratica del koan non è uno studio archeologico per mezzo del quale comprendere i modi di vita, le lingue,che avevano i popoli del passato. Questo a noi non interessa; per questo ci sono le enciclopedie, ci sono i libri su cuiuno può leggere tutto quello che lo interessa. Noi, nella pratica del koan, del ch'an, non siamo alla ricerca di unaconoscenza libresca, vogliamo capire quello che può essere utilizzato nella nostra vita di tutti i giorni. Infatti quiMumon, nel suo commento, dice: "Se ancora non sapete darla, state in guardia in ogni aspetto della vostra vita". Maquesto stare in guardia in ogni aspetto della nostra vita è qualche cosa che dovrebbe avvenire comunque. Sta in guardiasoltanto chi è capace di stare in guardia. Gli altri che non sono capaci di stare in guardia naturalmente vengono assalitiperché vengono colpiti alle spalle, o di fronte, o di fianco, in quanto non sono in grado di stare in guardia.Sapere stare in guardia è una maestria che noi dobbiamo apprendere nel corso della nostra pratica e, naturalmente,utilizzarla durante la nostra vita. Allora i koan servono per darci esperienze da utilizzare come risposte, o anche comedomande, comunque come strumenti nei nostri confronti quotidiani. Ci confrontiamo quotidianamente con le personeche ci circondano, con i nostri pensieri, con il nostro corpo, con la natura. Tutto questo richiede risposte adeguate equeste risposte adeguate vengono soltanto da chi ha fatto esperienza, da chi è passato attraverso una pratica che gli hapermesso di vedere quali sono le risposte o le azioni da compiere. I koan servono proprio a questo. Per cui, sapere che un maestro del passato, ad una domanda come quella di Goso, harisposto ad esempio dando un calcio ad una bottiglia o a un sasso; od un altro tipo ,Joshu, quando il suo maestro Nansenha tagliato in due il gatto perché i monaci ai quali aveva chiesto di dire una parola di ch'an non erano stati capaci dirispondere e poi, a sua volta Joshu, nel sentire la domanda fatta dopo il taglio del gatto, si mette una ciabatta in testa eva in giro così, beh, a noi interessa fino a un certo punto. A noi interessa fino a un certo punto. A noi interessa, ilmomento in cui siamo nella nostra stanza di sanzen, dire qual’é la nostra risposta e il valore di questa risposta. Il valoredi questa risposta significa che noi, di fronte ad una situazione del genere, siamo capaci di far venire fuori dalla nostraprofondità la risposta giusta, che non è solo le parole o solo i gesti o solo le grida che possiamo fare, ma è quellacapacità di tirare fuori la nostra forza e di metterla di fronte a quello con il quale ci stiamo confrontando. Questo ciinsegnano i koan.Allora, che risposta dare alla domanda di Goso? Certo! Abbiamo già Lin-Chi che dice: "Quando ti presenti dal maestrodi spada non andare col libro di poesie e dal poeta non andare con la spada". Il senso è questo. Dal maestro di spadadobbiamo andare con la spada, dal maestro di poesie dobbiamo andare con il libro di poesie. Con ognuno dobbiamoadeguarci. Se quello con il quale ci confrontiamo non è capace di stare alla nostra altezza siamo noi che dobbiamoscendere alla sua bassezza o, viceversa, cercare di alzarci alla sua altezza. Questo è quello che noi dobbiamo fare equesto dimostra la capacità che Lin-Chi appunto richiede ai suoi monaci: di entrare ed uscire a proprio piacimento dallesituazioni. Questa capacità ci viene dalla comprensione della Via. Infatti, qui Goso parla di "un uomo del Tao", unuomo della Via, cioè colui che vive nella Via, colui che ha compreso, che ha realizzato, che si è risvegliato alla Via, chesi è risvegliato al Ch'an, che si è risvegliato all'insegnamento dei maestri, a cominciare dal Buddha Sakyamuni. Ecco,questo uomo della Via è capace di dare le risposte. Ma uomo della Via - o donna della Via - non ci si nasce, sebbeneognuno di noi abbia alla nascita delle possibilità, delle capacità diverse l'uno dall'altro, ma uomo o donna della Via sidiventa; ci si risveglia a questa Via attraverso una pratica continua, interminabile. Entrare nella Via non significa che aun certo punto uno metta il pilota automatico e lasci andare l'aereo, o l'automobile, o il treno che sia, per conto suo e sibutti da una parte a dormire o a leggere un libro, o a guardare la televisione. Entrare nella Via significa, appunto, esserecapaci di stare in guardia. Bene, il momento in cui noi siamo capaci di stare in guardia, siamo capaci di dare le risposte58

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che ci vengono richieste. Per cui è ovvio che quello che sa stare in guardia, se l’avversario gli arriva con il coltello, cosìcome chi pratica un'arte come l'aikido o qualche altra cosa, saprà rispondere a un attacco di coltello. Se quello viene a portargli una poesia saprà discutere di poesia o parlare di qualche altra cosa, oppure bere insieme il tèo il caffè, a seconda dei casi. Dobbiamo sviluppare questa capacità di essere in ogni momento con quelli con cuiabbiamo a che fare.Quando nella Bibbia, nel Vangelo, i discepoli di Gesù Cristo scrivono che malgrado quelli che si radunavano intorno almaestro fossero di diversa provenienza sociale e linguistica, però tutti quanti capivano, significa proprio che GesùCristo era capace di diventare uno di loro, di tutti loro, uno per uno, e quelli che ascoltavano erano in grado, proprioperché quello che parlava era uno di loro, di capirlo.Questa qualità carismatica - così viene definita - non è qualche cosa che deve essere perseguita dai politici perché poipossano racimolare più voti quando non riescono a farlo dando i pacchi di pasta o qualche altra cosa del genere. Questacapacità carismatica è qualche cosa che ci proviene nel momento in cui noi siamo persone della Via, è la Via che parlaattraverso noi, è la Via che bagna - così come la pioggia bagna tutti quanti nello stesso modo - è la Via che entra nelleorecchie e, soprattutto, nel cuore di quelli che ci stanno ascoltando e sa dare le risposte adeguate."Se sapete dare una risposta appropriata a questa domanda, meritate certamente le congratulazioni", sì, non sappiamoche farcene, comunque grazie. "Se ancora non sapete darla, state in guardia in ogni aspetto della vostra vita", e questo loabbiamo già visto. Poi, nel poema, Mumon dice: “Se incontri un uomo del Tao sulla via non salutarlo né con le parolené col silenzio", va bene. "Col pugno gli darò il colpo più forte possibile: afferralo subito, afferralo immediatamente!".Certo, le risposte devono essere date subito. Subito non significa che non debba passare neanche un centesimo disecondo tra la domanda e la risposta. Le risposte debbono essere date con il cuore, anche se certe risposte devono esseredate col cervello. Ma questo è proprio importante: capire quando si deve rispondere col cervello e quando si deverispondere col cuore. Questa è comprensione. Non dobbiamo, così come dice Lin-Chi, andare con la spada dal poeta ecol libro di poesie dal maestro di spada. Quando c'è da parlare con il cervello dobbiamo parlare col cervello, quando c'èda capire con il cuore dobbiamo capire col cuore e, spesso purtroppo, facciamo confusione. Questa mancanza di tempo,questa discrasia, è quello che naturalmente ci mette nel mondo della confusione, della non comprensione.Bene, allora ricordandoci di queste parole dei grandi maestri del passato che, malgrado siano del passato, riesconoancora a suscitare in noi interesse per quello che dicono perché è bello e importante, ci interessa, ci veniamo apposta; ilibri tipo il Mumonkan li compriamo proprio per leggerli e per capirci qualcosa. È bello leggere di uno come Goso checosì, papale papale come si dice, ti mette di fronte a questo problema: "Rispondi senza usare le parole, senza usare ilsilenzio", così come: "Arrivati in cima alla pertica di cento piedi, continua a salire", così come: "Rispondi al suono diuna mano sola".Ma sono questi problemi impossibili che danno la misura della comprensione di un essere umano, il resto lo lasciamo aquelli che a questa qualità di essere umano non sono ancora arrivati e, forse, neanche aspirano.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 4 Novembre '89 (sab. sera) ----------------------------------------------

Leggendo le riviste patinate, guardando la televisione, ci si presenta un mondo di persone giovani, felici, inpossesso delle cose che desiderano, cose che non finiscono mai situate in case belle, spaziose, con prati verdi ed alberiall'esterno e belle montagne sullo sfondo, denaro, viaggi. Se qualcuno va a dire - ripetendo parole di un grande maestrocome il Buddha - che tutto questo non è vero, è senza sostanza, è relativo, è portato a decadere, a deperire, si può esserevisti come iettatori o come snob. E invece le cose stanno proprio così.Ci sono aerei che precipitano con trecentocinquanta persone a bordo, con il loro strascico di lutto che si ripercuote su unaltro migliaio di persone; altre che nel paese più progredito del mondo muoiono schiacciate per il terremoto sotto ilcemento di un'autostrada; altre ancora che si ammazzano per stupidi motivi, se non per lotte di mafia, in città che sonocosì vicine a noi: Napoli, Catania, Palermo. Allora potremmo anche pensare che il dolore e la sofferenza esistono.Eppure, come scrive Eugenio Montale in una poesia che non posso dimenticare: "Purchè queste cose succedano lontanoda noi. Può succedere tutto. Potrebbe staccarsi tutta la terra ed essere sommersa da tutto il mare che c'è nel mondopurchè rimanga questo piccolo pezzo di isola nel quale stiamo noi."In fondo, sì, ci dispiacerebbe un po', ma gli esseri umani fortunatamente sono dotati di una capacità di sopportazione deldolore talmente forte che dopo un po' si dimenticherebbe tutto. Però succede anche che qualche volta questo dolorevenga dalle persone che ci sono vicine e questo, in quel momento tutti quanti, anche quelli che leggono le rivistepatinate e pensano che la vita sia tutta così bella, anche quelli lì debbono fermarsi un momento a pensare e dire: "Maperché proprio a me, perché è successo proprio a me questo? Adesso che avevo tutto, adesso che finalmente mi sonocomprato la casa che desideravo, che mi sono sposato con l'uomo o la donna più belli del mondo, che ho il lavorosicuro, che ho la macchina bella, perché succede questo?". Succede a tutti, non solo a quelli lontani da noi e quandoqualcuno ci telefona che, appunto, una persona che ci è vicina è stata colpita da una malattia e sappiamo quale trafila disofferenza dovrà sopportare per andare avanti in un cammino che molto probabilmente ha poche speranze di arrivare auna fine positiva e sentire la debolezza, l'incapacità di poter fare qualche cosa. Non possiamo curare il dolore degli altri,o raramente. Di fronte ai dolori veri, grandi, che investono tutta la vita, non possiamo fare niente. E allora, possiamosenz'altro, liberandoci dai complessi di colpa che possono averci messo addosso quelli che stupidamente ci chiamanosnob o iettatori, possiamo rivolgerci alle parole del Buddha, dei maestri, e dire: "C'è la possibilità di uscire da questasofferenza!".

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Intrinsecamente siamo al di là della sofferenza. Non è vero che siamo nati per soffrire, siamo nati per essere felici,siamo nati per vivere nella gioia, siamo nati per vincere la sofferenza, per andare oltre e fermare questa spirale edottenere la buddhità. La buddhità è a portata di mano, possiamo ottenerla e questa buddhità è quella che realmente cipermette di fare qualche cosa per noi e per gli altri, per quelli che non ci vedono come iettatori, ma ci vedono comeportatori di pace.

ESORTAZIONI FINALI 5 Novembre ’89 (Dom. matt.) ------------------------------

Ognuno, di noi, nella vita di tutti i giorni così come nella vita in generale - perché possiamo anche vedere lanostra vita con quello che si fa tutti i giorni per vivere e quello che invece pensiamo sia la nostra vita vera, quellagrande, quella che ci deve portare all'illuminazione - in ognuna di queste due parti in cui pensiamo di vivere abbiamodei momenti e delle azioni quotidiane , o che ripetiamo in tempi stabiliti e che cerchiamo di fare sempre, comesappiamo di venire ad una sesshin, come sappiamo di fare la meditazione tutti i giorni o una volta alla settimana, comesappiamo di mangiare qualche cosa, di prendere o non prendere una medicina, di fare o non fare un certo allenamento;così succede certe volte che dimentichiamo di fare quella certa cosa o che non ne abbiamo voglia. Se ci pensiamo benee guardiamo indietro nella nostra vita, a quella volta in cui dovevamo fare una certa cosa e non l'abbiamo fatta, ciaccorgiamo che in fondo non è cambiata la nostra vita. Se noi avevamo deciso di fare dieci chilometri di corsa tutti igiorni e un giorno non li abbiamo fatti, non è che la nostra vita sia cambiata per quello, non è che i nostri muscoli sianosviluppati di meno, forse un milionesimo di chissà quale unità di misura di meno, ma questo non ha influito. Se ungiorno invece di alzarci alle cinque ci alziamo alle sei o alle sette, nel calcolo complessivo, nella somma totale dellanostra vita non influisce grandemente. Ma non sappiamo neanche quando incomincia ad influire, se quando due volte otre volte non ci alziamo alle cinque, o non facciamo quella certa corsa, o non leggiamo quel certo libro, o non studiamoquella certa musica, e così via. Chi lo sa! Non si sa da quando comincia il momento in cui quella pratica non lafacciamo più, la stiamo abbandonando.Quello che voglio dire è che c'è un decadimento da parte nostra. Il momento in cui ci accorgiamo che una cosa non lafacciamo più o cominciamo a perdere dei colpi, significa che stiamo invecchiando. Invecchiare significa lasciare che lecose vadano come devono andare, ma non nel senso buddista; lasciare, perché ormai le cellule del nostro corpo e dellanostra mente che tendono a voler morire cominciano a prendere il sopravvento su quelle che invece vogliono vivere.Non so come spiegarlo questo. Altri hanno parlato dell'istinto di morte che c'è in ognuno di noi e che a un certo puntoprende il sopravvento ma, senza per questo avere paura della morte alla quale tutti e quanti naturalmente dobbiamoarrivare, quello che voglio sia un avvertimento è: non lasciare che ci sia questa morte precoce della nostra attenzione. Sipuò fare tutto. Sappiamo benissimo che i dieci chilometri che non abbiamo fatto venti anni fa non hanno influito sulnostro record di maratona o sulla nostra salute generale, ma dobbiamo sapere che quei dieci chilometri che non abbiamofatto venti anni fa, e o qualunque altra cosa non abbiamo fatto ieri o un mese fa, è stata fatta coscientemente, losapevamo, sappiamo che stiamo attenti e che non vogliamo che questo si ripeta.È un discorso che non si riesce a concludere bene, però riguarda la perseveranza. Il momento in cui cade un po' la nostradeterminazione di essere perseveranti, in quel momento cominciamo a perdere i colpi e che portano alla vecchiaiaprecoce, portano alla nostra morte spirituale. Di questo vi prego di stare attenti e di portarvi dentro questo pensiero dameditare, ora che la sesshin è finita, ora che ognuno, se ne torna alla propria casa, ora che il cielo sereno che questanotte è brillato sopra Scaramuccia, ha dato di nuovo spazio alle nuvole, al vento e alla pioggia. Il sereno c'è, anche sequalche volta c'è la pioggia, ma sopra, le stelle brillano in continuazione.

SESSHIN MESE DI DICEMBRE 1989 ( 8, 9, 1O Dicembre)

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 9 Dicembre '89 (Sab. matt.) ----------------------------------------------

Il libro che Timo mi ha mandato in fotocopia dalla Finlandia parla del maestro Yamaoka Teshu, un samuraidell'epoca Meji e anche un grande calligrafo e maestro di zen. Il libro, scritto da un americano, riporta la sua vita, deglianeddoti, e una parte minima di tutte le calligrafie che Yamaoka Teshu ha fatto durante la sua vita non lunghissima.Dotato di una grande forza fisica e spirituale, si dice che quando faceva zazen sparivano i topi dalla sua casa, i topi chefino a quel momento erano andati in giro, avevano fatto rumore e infastidito, appena si sedeva a fare zazen,immediatamente tacevano, sparivano, e se lui ne vedeva qualcuno questo cadeva fulminato dal suo sguardo.Certe volte piacerebbe anche a tutti noi avere queste qualità e, proprio come Yamaoka Teshu, quando si entra in unastanza apportare sollievo e felicità a tutti quelli che sono lì dentro, così come si dice che facesse anche il BuddhaSakyamuni. Così come è capace di fare la natura: il momento in cui, dopo giorni di tempo brutto, guardiamo fuori e ciaccorgiamo che le stelle brillano in cielo e forse una giornata di sereno ci si presenta all'inizio della nostra giornata.Purtroppo non è sempre così. Non ci sono maestri Yamaoka Teshu o Sakyamuni Buddha che illuminano la nostragiornata e, anche se ci fossero, non potrebbero rimanere sempre con noi, ma dovremmo essere noi stessi il Buddha o gliYamaoka Teshu capaci di illuminarci, capaci di renderci la giornata bella anche se fuori invece delle stelle ci sono lenuvole, c'è la pioggia o la neve, il vento o la bufera. Aspettarci che qualcuno venga dal cielo, ci metta una mano sulla60

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testa e ci trasformi, non porta tanto lontano: dopo un po' ci stanchiamo anche di aspettare. La trasformazione dellanostra vita, la rivoluzione – di cui purtroppo sembra che abbiano cessato di parlare anche quelli che dopo aver letto estudiato Marx, si erano proposti di cambiare la condizione delle masse - è molto importante. La parola rivoluzionesignifica cambiare, significa avere il coraggio di non fermarsi di fronte a quello che i nostri occhi vedono, a quello chele consuetudini hanno stabilito. Significa cambiare tutto questo, non accontentarsi di quello che vedono i nostri occhi, diquello che gli altri hanno detto che è vero, ma riuscire a trasformarci completamente per vedere con i nostri occhi, perstabilire altre consuetudini che possano essere di nuovo trasformate. Ed allora, il momento in cui siamo capaci diapportare queste trasformazioni in noi e così realizzare questo stato di tranquillità interiore, allora anche gli altrisentiranno questo, e come faceva Yamaoka Teshu, anche noi essere capaci di riscaldare un po' l'ambiente attorno a noi.Purtroppo - ma se il mondo è così non possiamo farci tantissimo - purtroppo ci si accontenta di quello che si ha, ci siguarda indietro e si dice: "Beh, in fondo stiamo un po’ meglio di come stavamo prima. Adesso abbiamo la casa piùbella, la macchina più grande, lo stipendio è migliore, ci possiamo comperare più vestiti ed ora che c'è la tredicesimapossiamo fare anche qualche altra cosa", mentre invece il nostro pensiero dovrebbe essere rivolto a quello che si puòfare di noi. L'acquisizione di beni materiali, di una certa tranquillità materiale - a parte il fatto che non è assolutamente tranquillità,in quanto può essere spazzata via da un qualunque ciclone da un momento all'altro – non è quello che un vero praticantedovrebbe tendere ad attuare. La tranquillità materiale lasciamola a quelli che si accontentano di questo. In fondo, comegli animali cercano una tana e quando l'hanno trovata si fermano lì; quando hanno mangiato e hanno la pancia piena sirimettono nella propria tana; se c'è un fuoco ci si mettono vicino come i cani e i gatti. La loro vita finisce lì.Cerchiamo di non essere come gli animali! Qualcosa c'è da imparare anche da loro, ma non ritorniamo indietro edessere come gli animali.

MUMONKAN = CASO N° 37 =L'ALBERO DI QUERCIA NEL GIARDINO PRINCIPALE(Pag. 259 )-------------------------------------------------------------------------

KOANUna volta un monaco chiese a Joshu: "Qual’é il significato della venuta del Patriarca dall'occidente?". Joshu

rispose: "L'albero di quercia nel giardino principale".

COMMENTO DI MUMON

Se sapete afferrare saldamente l'essenza della risposta di Joshu, per voi non c'è nessun Sakyamuni nel passato enessun Maitreya nel futuro".

POESIA DI MUMON Le parole non comunicano le realtà;Le lettere non incarnano lo spirito della mente.Chi si attacca alle parole è perduto;Chi dimora nelle lettere rimarrà nell'ignoranza.

TEISHO 9 Dicembre ‘89 (Sab. sera)

Joshu è quello che compare più spesso nel Mumonkan. Chao Chou, questo grande maestro cinese ha lasciatodei koan che hanno inciso - possiamo usare con sicurezza questo termine - sulla vita spirituale, che poi è la vita vera, diognuno di noi. Senza Chao Chou, o Joshu come siamo abituati a chiamarlo, il ch'an in Cina, così come in Giappone epoi in Occidente, avrebbe avuto un altro sapore. Naturalmente si sarebbe sviluppato lo stesso, ma questa vecchiaquercia di essere umano - a proposito, parla di una quercia nel giardino principale - arrivata fino alla venerabile età diduecentoventi anni, con quanta e quale pazienza e capacità di sopportazione nei confronti di quelli che da tutte le partidella Cina andavano ad interrogarlo, ha dato il sale. Certo, noi ci riferiamo spesso a quell'altro grande maestro che èLin-Chi, come pure prima a Hui Neng. Senz'altro anche Mumon ha avuto una grandissima parte nello sviluppo del ch'ancinese, ma le parole di Joshu sono più speciali. Mumon aveva la caratteristica di gridare risposte brevissime, Lin-Chiaveva la caratteristica di essere Lin-Chi e basta leggere il suo libro per rendercene conto; altri hanno avuto altrecaratteristiche. Joshu parlava, rispondeva con le parole alle domande dei suoi visitatori, con le parole - e guardate chebello- in una maniera impensabile.Un vero praticante di ch’an avrebbe potuto pure fare a meno di fare una domanda così, ma ammettiamo che ci sia statala spinta di farla e Joshu risponde in questo modo così rispondente non-rispondente perché la risposta la dà pero,ovviamente, la risposta è nella domanda che il visitatore pone a Joshu. "Qual' è la ragione della venuta di Bodhidharmain Oriente? (o dall'occidente)". Questa domanda viene fatta spesso, ne abbiamo parlato anche durante il tè, non sapevoche oggi ci sarebbe stato questo koan. Cioè, quali sono i motivi che spingono un asceta, un praticante del Dharma chevive in India, a farsi migliaia di chilometri per andare a rintanarsi in una caverna dove - a detta degli storici – rimane pernove anni, ad accettare un unico discepolo che per essere accettato si deve tagliare un braccio, e poi sparire non si sabene come e dove. Altri storici dicono che abbia insegnato le arti marziali nel tempio chiamato Shao-Lin, quell'arte61

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Shao-Lin dalla quale poi sarebbero derivate tutte le altre. Ma in India non stava bene? Chi gliel'ha detto di venire inCina? Chi l'ha chiamato? A Roma, di gente venuta così, a proporre cose strane, si usava chiedere: "Ci sei venuto o ti cihanno mandato?". Lo stesso i cinesi si saranno chiesti a proposito di Bodhidharma: "C'è venuto o ce l'hanno mandato?".Beh, le cose potrebbero essere anche tutte e due. Per “c'è venuto" significa che c’è venuto di sua spontanea volontà. Èarrivato ed, a posteriori, non possiamo dire niente. È questo quello che dicevo prima: perché uno dovrebbe fare unadomanda del genere? "Qual’é il senso della venuta del Primo Patriarca dall'Occidente?", non c'è un senso. A un certopunto basta! Per cui non è che possiamo impedire la sua venuta. Se avete già visto quel film divertente di Benigni eTroisi che, scaraventati stranamente nel 1492, decidono di andare in Portogallo per impedire a Cristoforo Colombo dipartire e così scoprire l'America, se quello che fa la domanda a Joshu si trovasse nella stessa situazione di Benigni e diTroisi, allora la sua domanda potrebbe avere anche avuto un senso. Ma dal momento che ormai Bodhidharma c'èvenuto, così come Colombo ormai in America c'è andato, non possiamo far altro che prenderne atto. Bodhidhanna èvenuto, è stato nove anni nella caverna a meditare: ne è venuto fuori qualche cosa di buono? Vediamo, forse si, forseno. Qual’é quello buono? Utilizziamolo! Qual’é quello che non va? Scartiamolo! Una mente pratica come quella deiCinesi avrebbe dovuto soltanto comportarsi in questa maniera e, in effetti, la maggior parte di essi così ha fatto. Ma noiabbiamo questo, la nostra pratica della scuola Lin-Chi prevede che noi passiamo un certo numero di koan, questo koanfa parte della nostra pratica e allora noi ci troviamo di fronte alla domanda del monaco il quale chiede:" Che c'è venutoa fare Bodhidharma in Occidente?" Joshu risponde: "L'albero che sta nel cortile". L'albero che sta nel cortile! Gli alberinon si muovono; è venuto a vedere l'albero nel cortile? No! perché con questo albero nel cortile Bodhidharma nonc'entra niente. E allora che è questa risposta? Allora questo maestro Joshu dà delle risposte campate in aria? Sì, ad unadomanda campata in aria si può dare solo una risposta campata in aria. Se con questa risposta campata in aria, quelloche ha fatto la domanda se ne rende conto, bene, sennò! Già la sua domanda non ha senso, in più se non riesce a capirequello che il maestro gli risponde, allora!Spesso veniamo interrogati da persone che non si rendono conto di quello che dicono, di quello che vogliono e ancorapiù grave, di quello che sono. Beh! non sapendo quello che sono, ovviamente poi quello che dicono e quello che fannoha origine da questa ignoranza. Ma cosa si potrebbe dire? Quando ero a Torino qualche giorno fa, un ragazzo mi hafermato perché mi ha riconosciuto per l'articolo che era uscito su un giornale sportivo e mi ha detto: "Ma lei la conosco,è uscito sul giornale così, così. Senti, posso darti del tu?". Io gli ho risposto: "Non parlo con le persone che nonconosco. Arrivederci". Che cosa si può dire a uno così? Lui non mi conosce, mi ha visto su un giornale, mi vuole daredel tu per farmi le domande se sono stato in Giappone o se non ci sono stato, se pratico lo zen o se pratico qualche altraarte di cui lui non sa niente. Che cosa gli si può dire a uno così? "Cresci"? "Impara l'educazione"? "Ripassa domani"?.Joshu risponde: "L'albero che sta nel cortile"! Quanti sono quelli che ci fanno le domande ai quali vorremmorispondere: "L'albero che sta nel cortile"? Mumon dice: "Se sapete afferrare saldamente l'essenza della risposta di Joshu per voi non c'è nessun Sakyamuni nelpassato e nessun Maitreya nel futuro". Ma questo non soltanto se sappiamo afferrare 1' essenza della risposta di Joshu.L'essenza di qualunque risposta di Joshu ci fa vedere che non c’è Sakyamuni nel passato e un Maitreya nel futuro.Per cui questa volta, di fronte alla bellezza e all'arte di Joshu, mi pare che Mumon sia un po' perdente. Vediamo la poesia: "Le parole non comunicano la realtà. Le lettere non incarnano lo spirito della mente. Chi si attaccaalle parole è perduto; chi dimora nelle lettere rimarrà nell'ignoranza". Beh, è un bel compitino sul quale non c'è nienteda dire, possiamo soltanto approvare. Però potremmo dire al contrario: "Le parole comunicano la realtà; le lettereincarnano lo spirito della mente. Chi si attacca alle parole è salvo; chi dimora nelle lettere rimarrà nella conoscenza", eavrebbe la stessa forza, lo stesso senso di quanto dice Mumon, proprio perché - per rimanere nella lettera di questo koanche è nel non senso - non senso la domanda, non senso la risposta che dà Joshu.Allora, Mumon ci fa il compitino scritto - naturalmente si può vedere in questo una vena di umorismo perché non ci siaspetterebbe mai da Mumon che dica delle cose così ovvie - e di fronte a Mumon che fa il suo compitino, che guardafuori e dice: "Oggi sono nove gradi sopra zero e il cielo è leggermente nuvoloso, per domani chissà, cinquanta per centotempo brutto e cinquanta per cento tempo bello, forse un po' brutto e un po' bello", grazie!Ogni tanto bisognerebbe prendere a piccole dosi - e noi siamo tutti per l'omeopatia - qualcuna di queste frasi di Joshu,darebbero un po' di senso alle nostre giornate soprattutto nei momenti in cui ci sentiamo un po’ abbattuti, un po' stanchidella lotta che dobbiamo sostenere nei confronti delle difficoltà, e questa è sicuramente una delle migliori.

ESORTAZIONI FINALI 10 Dicembre '89 (Dom. matt.)-------------------------------

Voglio: parlare della pratica del Koan ma partendo dall’arrampicata sportiva. Nel gergo dell'arrampicatasportiva ci sono delle scalate che vengono fatte a vista: si va sotto una parete che non si conosce e si cerca di arrivare incima in una maniera pulita. Se si arriva e si fa, vuol dire che quella via è stata salita giusta. Se noi facciamo un errore, ciattacchiamo al chiodo, quella via per noi, a vista, è persa. Se noi scendiamo e poi ripartiamo e la facciamo bene, la volta successiva non è più a vista, è un'altra cosa. Ho detto qualche tempo fa, ad un amico col quale si parlava dei figli, in generale, che anche con i figli si va a vista. Senoi commettiamo un errore, pur con tutta la buona volontà, con tutto l'amore che bisogna avere, con tutta lapreparazione, però quell'errore basta. Siccome nell'educazione dei figli andiamo sempre a vista in quanto non possiamoaverlo imparato prima, è ovvio che il terreno sul quale ci muoviamo è molto difficile. Quando ci presentiamo nellastanza di sanzen ci deve essere la stessa determinazione con la quale andiamo a fare una via a vista. La differenza tra unbravo arrampicatore a vista - che è la parte più difficile dell'arrampicata - e un altro non bravo, è proprio nelladeterminazione e nella capacità di tenere fino all'ultimo, senza mai mollare. Sfruttare l'aderenza delle mani e dei piedifino all'ultimo, sentire che si sta per cadere e nello stesso tempo provare a fare ancora un altro movimento, un altro62

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passo, cercando di arrivare a quell'appiglio che poi ci fa risolvere la situazione. Mai dire: "Se non lo faccio adesso lofarò domani". Nella via a vista questo non può succedere. Se noi andiamo a provare una via che già conosciamo, anchemolto difficile che già abbiamo provato altre volte, questo lo possiamo anche dire: "Se non ci riusciremo oggi ciriusciremo domani, tra un mese, tra un anno, nessuno ci corre dietro. Ma nella via a vista non possiamo più dirlo, perchéil momento in cui abbiamo sbagliato, quella via per noi non esisterà più.Anche con i koan potremmo dire: "Va bene, se non lo risolvo adesso lo risolverò domani. Se non faccio l'illuminazionequesto otto dicembre, la farò in un altro otto dicembre della mia vita. Se non la faccio in questa sesshin, ci sarà un'altrasesshin". Se veniamo alla sesshin, se andiamo a sanzen con questo atteggiamento, la stella del mattino che ci faràschiarire la vista, come è successo al Buddha Sakyamuni, nel nostro cielo non comparirà mai. Esiste solo questasesshin, esiste soltanto il momento in cui entriamo nella stanza di sanzen. E questo non soltanto per chi venendo dalontano fa una spesa, un sacrificio di tempo - chiamiamolo sacrificio ma spero che non ci sia questa mentalità - ecomunque spende dei soldi per venire, per viaggiare, per muoversi, ed allora dovrebbe impegnarsi di più di chi inveceavendo la possibilità di praticare il koan anche durante la settimana, potrebbe essere portato a prenderlo più alla leggera.L'impegno ci deve essere da parte di chi viene da lontano e da parte di chi viene da vicino. Si può morire tra cinqueminuti, tra un'ora. Il praticante di ch'an è come un samurai del tempo antico, che si alzava la mattina, si metteva lemutande più pulite, la camicia più pulita, si rasava bene perché sapeva che se fosse morto, non voleva fare brutta figura.Dobbiamo essere pronti a tutto, in qualsiasi momento della nostra giornata e avventarci con tutte le nostre forze inqualunque situazione che possa farci risolvere il nostro problema esistenziale, il problema della nostra esistenza, siaesso sanzen, sia l'arrampicata, sia nel guidare la macchina, sia nel lavorare, in qualunque situazione.Il fatto di sederci nella stanza di sanzen, commentare un koan come quello di Joshu che è appena stato fatto, se noivolessimo osservarlo dall'esterno, potremmo anche pensare che siano dialoghi tra pazzi. Se uno spettatore con la Kandi-kamera potesse riprendere quello che avviene nella stanza di sanzen, potremmo anche arrossire nel vedere che stiamo lìa recitare come attori dilettanti. Ma noi siamo d'accordo della convenzione, tra noi, che chi è là dentro, anche se si recitada dilettanti, sta recitando la propria vita. E allora, siccome si tratta della nostra vita, bisogna recitarla bene. Anche lanostra vita è una convenzione: i nomi che abbiamo, gli abiti che mettiamo, le parole che usiamo, la lingua con la qualecomunichiamo, tutto quanto appartiene ad un essersi messi d'accordo prima. Ci mettiamo d'accordo su queste certeparole che significano questo, questo e questo.Anche prima di entrare a sanzen ci siamo messi d'accordo che durante sanzen ci saranno queste convenzioni. Ma questonon significa, così come l'attore sale sulla scena e sa che sta interpretando qualche cosa che non è vero - potrebbe ancheessere in sé vero quello che invece impersona - con lo spettatore c'è un accordo: "Io faccio l'attore, ti faccio vederecerte cose, le impersono al meglio delle mie possibilità, tu mi ascolti e mi dici se sono bravo o se non sono bravo".Nessuno ha niente da ridire su questo fatto. Esistono uno spettatore e un attore. A sanzen queste parti non sono cosìstabilite, possono invertirsi, possono pareggiarsi, ma comunque anche le parti che noi viviamo nella stanza di sanzenderivano da una convenzione che abbiamo fatto prima. Ma cerchiamo di essere veramente rappresentativi e non solo ditener fede alla convenzione, cerchiamo di metterci veramente tutta la nostra forza per far venire fuori tutto noi stessi.

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