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Pio Russo Krauss: Ecolandia: principi, metodologia e didattica dell’educazione ambientale 1 ASL NAPOLI 1 CENTRO COMUNE DI NAPOLI ASSOCIAZIONE MARCO MASCAGNA ECOLANDIA PRINCIPI METODOLOGIA E DIDATTICA DELL´EDUCAZIONE AMBIENTALE Pio Russo Krauss

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Pio Russo Krauss: Ecolandia: principi, metodologia e didattica dell’educazione ambientale 1

ASL NAPOLI 1 CENTRO

COMUNE DI NAPOLI

ASSOCIAZIONE MARCO MASCAGNA

ECOLANDIA PRINCIPI METODOLOGIA E DIDATTICA

DELL´EDUCAZIONE AMBIENTALE

Pio Russo Krauss

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Hanno preso parte alla stesura di questa “Guida all’educazione ambientale”: - Leonarda Acquarone: docente di scienze, Associazione Marco Mascagna onlus - Giovanna Aurino: insegnante scuola elementare - Patrizia Castagna: dirigente medico Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 - Rosanna Cerri: Settore Scuola WWF Campania - Anna Maria Continillo: docente di scienze, Associazione Marco Mascagna onlus - Maria Rosaria Doria: docente di disegno e tecnologia - Anna Esposito: Cooperativa La Locomotiva - Luca Fabbricatore: dottore in biologia - Elettra Forlani: docente di lettere, Associazione Marco Mascagna onlus - Anna Maffia: dottoressa in scienze ambientali - Michele Macaluso: ingegnere, presidente dell’Agenzia Napoletana Energia e Ambiente - Maria Beatrice Martini: docente di italiano e storia, Associazione Marco Mascagna onlus - Davide Petrone, dottore in scienze naturali - Eduardo Petrone: ingegnere sanitario - Pio Russo Krauss: responsabile Settore Educazione Sanitaria ed Ambientale ASL Napoli 1 - Paola Serrato: insegnante scuola elementare - Marilita Sirgiovanni: docente di scienze - Margherita Tozzi: insegnante scuola elementare - Valeria Tripepi: docente di lettere, Associazione Marco Mascagna onlus

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INDICE Prefazione Dott. Gennaro Nasti, Assessore all’Ambiente del Comune di Napoli Pag. 4 Il ruolo della Comunicazione Pubblica nelle politiche per la salute Pag. 5 Introduzione: Come utilizzare ecolandia Pag. 7 PARTE PRIMA: PRINCIPI E METODOLOGIA 1 Ecologia ed ambientalismo scientifico Pag. 9 2 L’educazione ambientale Pag. 15 3 Educare alla complessità Pag. 41 4 La programmazione di un intervento di educazione ambientale Pag. 48 PARTE SECONDA: PROPOSTE DIDATTICHE 5 La mia casa, la mia città Pag. 56 6 I rifiuti solidi Pag. 65 7 L’inquinamento del mare Pag. 79 8 L’inquinamento atmosferico Pag. 90 9 Il problema energetico: quale energia per quale società Pag. 105 10 Le aree verdi Pag. 118 11 L’inquinamento acustico Pag. 128 12 L’acqua potabile Pag. 140 PARTE TERZA: LETTURE - Casa da pazzi Pag. 153 - L’impronta ecologica Pag. 154 - Il consumismo Pag. 156 - Sembrava solo una piccola macchia verdastra Pag. 157 - Da un giornale immaginario: intervista alla prof. Mancuso Pag. 157 - Visione della riciclomania da parte di un abitante dello Shri Lanka Pag. 158 - Anche il mare ha dei limiti Pag. 159 - L’esaurimento delle risorse Pag. 160 - Le città contro il traffico Pag. 161 - Chi è responsabile della deforestazione? Pag. 162 - La risorsa indispensabile: l’acqua dolce Pag. 163 - Il dilemma di Bruno e Gianni Pag. 164 - Il dilemma di Maria e Laura Pag. 165 APPENDICE - “Pagine gialle” per l’educatore ambientale Pag. 166 - Glossario Pag. 169

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PREFAZIONE L’educazione ambientale è un importante obiettivo strategico dell’Assessorato all’Ambiente. Il miglioramento della qualità ambientale, infatti, richiede, oltre ad interventi strutturali e ad una migliore gestione del territorio, anche cittadini che abbiano comportamenti e atteggiamenti ecocompatibili, perché consapevoli del complesso rapporto uomo-ambiente e di come questo rapporto sia oggi diventato problematico, incrinando quell’equilibrio che ha garantito fino ad ora la sopravvivenza della specie Uomo. Cambiare comportamenti e atteggiamenti radicati, dare consapevolezza dei problemi del mondo attuale, fornire le competenze per comprendere la complessità delle relazioni uomo-ambiente non è cosa facile. Ecco perché le iniziative di educazione ambientale possono essere efficaci solo se non sono effimere e superficiali, se vedono impegnate persone che coniughino le competenze disciplinari e metodologiche con la passione civile. E’ per questo che abbiamo deciso di dare alle stampe una nuova edizione di Ecolandia e di rilanciare l’omonimo Progetto: Ecolandia non è un’iniziativa effimera o di facciata, ma un progetto che vuole realizzare gli obiettivi sopra indicati e che ha le carte in regola per riuscirci. Con Ecolandia si è realizzata un’interessante sinergia tra Amministrazione Comunale, Azienda Sanitaria Locale, associazioni ambientaliste e terzomondiste e mondo della Scuola, realizzando buoni frutti. Nel Progetto sono stati coinvolti quasi 4.000 ragazzi, che, per un intero anno scolastico, hanno studiato l’ambiente partendo dalla realtà in cui vivono (il proprio quartiere e la propria città), indagando le sue risorse e i suoi problemi, analizzando le cause e le conseguenze del degrado ambientale, impa rando a formulare ipotesi d’intervento che tengano conto della complessità dei problemi ambientali, impegnandosi inoltre nella difesa attiva dell’ambiente e nella promozione della qualità della vita. Con questa nuova edizione della Guida all’educazione ambientale abbiamo cercato anche di venire incontro alle richieste degli insegnanti, che per svolgere il loro difficile compito hanno bisogno di strumenti sempre più aggiornati. Il nostro obiettivo è quello di estendere sempre più il progetto, rendendolo contemporaneamente sempre più incisivo in profondità. Vogliamo ringraziare la ASL Napoli 1, le associazioni ambientaliste e terzomondiste, gli insegnanti e i dirigenti scolastici e, in particolare, il dott. Pio Russo Krauss, che con passione e competenza dirige il Progetto. Dott. Gennaro Nasti Assessore all’Ambiente

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Il ruolo della Comunicazione Pubblica nelle politiche per la salute

E’ ormai acquisito che è l'intreccio fra più “determinanti” a creare una rete di causalità che ha un impatto significativo sulla salute. In un sistema sociale complesso numerosi sono i fattori che intervengono per “determinare” la salute (fattori ambientali, fattori sociali ed economici, quelli relativi agli stili di vita) e numerosi sono i protagonisti coinvolti nella costruzione e nel mantenimento della salute. In questo processo l’Azienda Sanitaria, proprio per il suo ruolo di istituzione per la salvaguardia del bene comune, ha il compito non solo di garantire la salute ed il benessere dei cittadini attraverso i servizi erogati, ma anche di sviluppare una rete di relazioni tra i vari settori della società, individuati come interlocutori attivi del percorso di costruzione collettiva della salute. Affrontare le tematiche ambientali significa, quindi, per l’Azienda Sanitaria, ideare sinergie operative per diffondere pratiche e comportamenti finalizzati alla salvaguardia dell’ambiente in un ottica di sviluppo sostenibile e di qualità della vita. E’ evidente quanto questo processo sia necessariamente sostenuto da processi comunicativi e quanto la comunicazione pubblica sia una leva e una risorsa strategica per la promozione della salute. La comunicazione pubblica diviene elemento indispensabile alla costruzione e al mantenimento della rete di relazioni tra tutti gli attori coinvolti nel percorso per mettere in comune strategie, obiettivi ed attività. Inoltre è necessario fare una distinzione tra informare e comunicare. Nell’informare si dà forma al mondo, si dà ordine alla realtà, si forniscono i dati (informazioni) che aiutano ad orientarsi nel mondo (es. gli orari degli uffici ecc ), nel comunicare invece si mette in comune una determinata visione del mondo, della realtà. Il soggetto che comunica mira esplicitamente ad ottenere nel soggetto che riceve la comunicazione una condivisione del contenuto della comunicazione. Comunicazione è mettere in comune, creare significati attraverso una negoziazione complessa tra chi emette il messaggio e chi lo riceve. Chi lo riceve, lo innesta nel proprio sistema di valori, credenze, capacità, motivazioni. Comunicare non significa trasmettere informazioni e ciò è tanto più vero se pensiamo alla necessità di indurre un cambiamento comportamentale prolungato nel tempo: per modificare stili di vita nocivi non basta fornire informazioni sugli effetti negativi legati alla sua pratica. Molti sono i fattori all’origine dei comportamenti degli individui. I valori, la cultura le appartenenze ai vari gruppi sociali, le influenze dei mass media sono tutti elementi che entrano in gioco quando l’individuo fa l’analisi della realtà ed attribuisce significati agli eventi, li ordina e cerca di controllarli: in questo processo la comunicazione non può essere considerata come la trasmissione di un messaggio dal mittente al ricevente, ma è un processo in cui i partecipanti costruendo una relazione, mettono in comune un significato. Per costruire cioè un significato condiviso c’è bisogno di una relazione. In questa ottica la comunicazione è quindi uno scambio, un dialogo, in cui entrambi i soggetti - emittente e ricevente - condividono uno spazio comune in cui avviene una negoziazione dei significati: attraverso lo scambio abbiamo così uno spazio condiviso di interpretazione della realtà. Nella misura in cui l’efficacia della politica dell’istituzione pubblica dipende dalle convinzioni, dai comportamenti e dalla condivisione dei valori della comunità di riferimento la comunicazione pubblica assume il ruolo di uno strumento indispensabile. Le amministrazioni pubbliche, quindi, affermano la propria identità non tanto e non solo in quanto attori economici, gestori di risorse pubbliche, ma proprio evidenziando prima di tutto la natura di attori sociali e di istituzioni finalizzate alla salvaguardia di interessi comuni. Gli interessi cui un ente pubblico deve dare voce sono proprio tutti quelli per i quali la propria attività si legittima e acquista un significato di servizio o di politica pubblica, sono cioè gli interessi dei cittadini, delle imprese e delle istituzioni destinatari di servizi e beneficiari di interventi pubblici. La comunicazione crea le condizioni della costruzione di un significato consapevole tra l’istituzione che opera delle scelte per risolvere un problema e la comunità sulla quale queste scelte vanno ad incidere e dalla quale dipende la risoluzione del problema. In questo processo si restituisce un ruolo

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attivo al cittadino e alla posizione da lui occupata nella rete delle relazioni sociali, superando il meccanismo della delega ma anche sollecitando il processo di crescita dei cittadini stessi attraverso percorsi educativi che abbiano l’obiettivo di attivare e di valorizzare potenzialità e risorse.

Dott.ssa Ilaria Cione Dir. Servizio Comunicazione Pubblica Sanitaria

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INTRODUZIONE: COME UTILIZZARE ECOLANDIA Questo testo si rivolge a quegli insegnanti che hanno una concezione alta del loro lavoro, consapevoli di svolgere un compito difficile; che sentono la responsabilità dei ragazzi loro affidati, ai quali vogliono lasciare un segno positivo; persone che si indignano di fronte alle ingiustizie e che sperano in un mondo migliore, per la cui realizzazione vogliono dare il loro piccolo contributo. L’educazione ambientale richiede educatori di tal genere e a loro si rivolge questo testo. Esso nasce dalle esperienze condotte in diverse scuole di Napoli e provincia e da molte letture, da ricerche compiute e da innumerevoli discussioni. In questo impegno ormai lungo (più che ventennale) per un’educazione ambientale efficace, ci siamo sempre più radicati in alcune convinzioni: - l’esperienza è importante, ma anche la teoria (e viceversa); - il metodo è importante, ma anche i contenuti (e la relazione insegnati-studenti); - difficilmente si realizzano le proprie finalità se non si individuano bene obiettivi, strategie, metodi, tecniche, strumenti: occorre un piano d’azione dettagliato e bisogna essere disposti a modificarlo qualora la realtà lo richieda; - è necessario farsi aiutare e utilizzare tutte le risorse disponibili. Queste considerazioni, che tutti troveranno banali per la loro ovvietà, sono spessissimo contraddette nella pratica, per cui l’impegno profuso o viene vanificato o diventa meno incisivo. Sulla base di queste convinzioni, quindi, il libro è stato strutturato in varie sezioni. La prima parte (Principi e metodologia) illustra la “teoria” dell’educazione ambientale, cioè finalità, strategie, metodi, tecniche e perché quelli e non altri. Questa sezione dovrebbe permettere di progettare e/o seguire un piano d’azione coerente e anche di sapersene discostare quando necessario. La sua lettura è fondamentale per poter svolgere le nostre proposte educative. La seconda parte (la parte pratica) riporta otto proposte educative, elaborate sulla base della teoria illustrata nella prima sezione e sperimentate con successo in varie scuole di Napoli e provincia. Questi otto progetti vanno intesi come proposte aperte, da adattare e modellare sulle specifiche situazioni in cui si opera, nonché sulla sensibilità e sugli interessi dei ragazzi e, perché no, dei docenti. I progetti hanno talvolta parti in comune, sempre punti di contatto: è possibile così passare dall’uno all’altro per ritornare eventualmente su quello iniziale. Per favorire il lavoro dell’insegnante alla fine di ogni proposta sono presenti una scheda con alcune minime informazioni sull’argomento in questione, indispensabili per realizzare il progetto; un elenco di dati a cui si fa riferimento nell’itinerario didattico e alcuni consigli bibliografici, così da avere informazioni (i contenuti) provenienti da fonti esperte. La terza parte riporta alcune letture da proporre ai ragazzi, come previsto nelle proposte educative o secondo le scelte che l’insegnante stesso ritiene più opportune. Nell’Appendice, che chiude il testo, sono riportati i nomi di associazioni ed enti, nonché siti web che possono aiutare l’insegnante nel suo impegno. A tale proposito vogliamo ricordare che il Centro di Documentazione e Ricerca sull’Ambiente e la Salute (CEDRAS) della ASL Napoli i organizza corsi di formazione e possiede una biblioteca-mediateca su tale tematica. Pio Russo Krauss

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PARTE PRIMA PRINCIPI E METODOLOGIA

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ECOLOGIA ED AMBIENTALISMO SCIENTIFICO

Pio Russo Krauss 1.1 L’ECOSISTEMA L’ecologia (da oikos = casa e logos = discorso) è la scienza che studia l’ambiente in cui si vive ed in particolare le relazioni che intercorrono tra gli esseri viventi e tra questi e l’ambiente. L’insieme formato dagli esseri viventi delle varie specie presenti in un territorio (comunità biotica o biota) e dall’ambiente viene definito ecosistema. Ciascun ecosistema ha una struttura e delle caratteristiche funzionali proprie (uno stagno avrà una fauna e una vegetazione diversi da quelle di una foresta), ma in ciascun ecosistema sono riconoscibili alcune caratteristiche strutturali e funzionali comuni. In ogni ecosistema è presente un flusso d’energia che ha la sua origine nel sole. I vegetali sono gli unici organismi capaci di utilizzare tale energia convertendo l’energia luminosa in energia chimica, secondo la reazione di fotosintesi

CO2 + H2O + energia luminosa → glucosio + O2

Essi sintetizzano così, a partire da sostanze inorganiche a basso contenuto energetico (CO2 e H2O), composti organici ad alto contenuto energetico (glucosio), che sono quindi utilizzati come fonte d’energia per le funzioni di tali organismi, grazie al processo di respirazione cellulare

glucosio + O2 → energia + CO2 + H2O

Gli altri esseri viventi sono capaci di svolgere solo il processo di respirazione cellulare, utilizzando come fonte energetica l’energia chimica presente nei composti organici, che però sono incapaci di sintetizzare. Essi quindi traggono energia nutrendosi o di vegetali (erbivori) o di animali (carnivori). In ogni ecosistema abbiamo quindi una catena alimentare: vegetali (detti produttori perché producono materia vivente, o autotrofi perché si fabbricano da sé il proprio cibo), erbivori (detti consumatori o eterotrofi di 1° ordine, perché consumano la materia vivente prodotta da altri), carnivori (consumatori di 2° ordine), carnivori di carnivori (consumatori di 3° ordine) ecc. La catena alimentare non è infinita ma, al contrario, ha un numero di anelli piuttosto limitato. La spiegazione di ciò è nel II principio della termodinamica . Gli esseri viventi, infatti, considerati nella loro funzione di macchine che sintetizzano il proprio corpo (per crescere o per sostituire gli elementi usurati), hanno un rendimento energetico piuttosto basso: intorno all’1% i produttori e al 10% i consumatori. Un esempio schematico per chiarire l’importanza e le conseguenze di tale fenomeno è il seguente: un bambino di un anno d’età, per assumere 100 calorie (l’energia può misurarsi in calorie), può assumere 60 g di pollo oppure 28 grammi di mais, ma un pollo, per crescere di 60 g deve mangiare 280 g di mais; le 100 calorie assunte dal bambino lo faranno crescere all’incirca di un grammo (10 calorie), mentre per produrre i 280 g di mais (1000 calorie) sono occorse circa 100.000 calorie di energia solare. Tale flusso d’energia può essere così riassunto: calore a bassa T calore a bassa T calore a bassa T calore a bassa T energia solare → 280 g di mais → 60 g di pollo → 1 g di bambino (100.000 Cal) (1.000 Cal) (100 Cal) (10 Cal)

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Come si vede la gran parte dell’energia è stata dispersa come calore a bassa temperatura, che non potrà quindi mai più essere utilizzata in una qualsiasi macchina, vivente o non vivente. Come afferma il II principio della termodinamica nessuna macchina può avere un rendimento al 100% perché ad ogni trasformazione d’energia una parte viene dispersa sotto forma di calore, cioè l’energia si degrada (da forme concentrate e, quindi, capaci di svolgere un lavoro, a forme disperse e, quindi, non utilizzabili per produrre alcun lavoro), l’entropia aumenta sempre più fino ad arrivare alla morte termica e caotica dell’universo. Ecco perché ogni anello della catena alimentare è sempre meno consistente di quello che lo precede ed ecco perché la catena alimentare ha un limitato numero di anelli. Questo principio dovrebbe essere tenuto sempre presente dall’uomo, nel senso che egli dovrebbe cercare di diminuire il più possibile i processi: ogni processo richiede energia e produce disordine, calore, inquinamento. L’uomo dovrebbe cercare anche di “pesare” meno sulla catena alimentare e, quindi, sugli ecosistemi, non aumentando inutilmente gli anelli della catena alimentare. Ad esempio l’eccessivo consumo di carne presente nelle popolazioni dei Paesi ricchi non solo fa male alla salute (aumento del rischio di contrarre malattie cardiovascolari e tumori) ma incide negativamente sull’ecosistema Terra. Infatti per produrre 100 calorie di carne sono necessarie 1000 calorie di vegetali, quindi più carne si mangia e più terre devono essere coltivate o sempre più bisogna forzare la produttività agricola, la qualcosa si traduce quasi sempre nell’aumento dei processi (cioè maggiore produzione di fertilizzanti e pesticidi, maggiore costruzione di macchine agricole, consumo di petrolio per far funzionare queste macchine ecc. ecc.) e, quindi, nello spreco di energia e nella produzione d’inquinamento ed entropia. La catena alimentare è un modello molto schematico della situazione reale degli ecosistemi. Molti carnivori, infatti, si cibano sia d’erbivori che di carnivori e alcuni anche di vegetali; inoltre le diverse specie di erbivori mangiano solo alcune determinate specie di vegetali e così pure i carnivori: il leone, pur essendo un carnivoro, non preda mosche e zanzare, e la rana, pur essendo anch’essa un carnivoro, non preda gazzelle e gnù. Insomma un modello che rispecchia di più la realtà è quello della rete alimentare. Ma la rete di cui abbiamo fin qui parlato è quella che gli ecologi chiamano rete di pascolo (le diverse specie di vegetali, i diversi erbivori, i diversi carnivori, onnivori ecc.). Nella realtà esiste un’altra rete alimentare connessa con questa rete di pascolo. Infatti molti individui (vegetali e animali) muoiono per cause diverse dalla predazione e anch’essi vengono consumati da altre specie viventi, detti per questo detrivori o decompositori. Questa categoria particolare di consumatori trasformano le sostanze organiche (organismi morti, escrementi, deiezioni ecc.) in molecole via via più semplici, fino a ritornare ai semplici elementi e composti inorganici utilizzati dai vegetali. Esiste quindi una rete di detrito connessa con quella di pascolo che chiude il ciclo delle trasformazioni della materia. In natura, quindi, non esistono rifiuti, perché anche quelli che apparentemente sembrano tali funzionano da risorse per altri elementi del sistema e tutto viene continuamente riciclato. La materia circola in continuazione nell’ecosistema: un atomo di ossigeno dall’aria passa a far parte di una molecola di glucosio di una pianta e da qui a far parte di una molecola del corpo di un erbivoro e poi di un carnivoro, poi la troviamo in qualche molecola organica presente nelle feci del carnivoro e quindi nel corpo di vari microrganismi fino a ritornare all’ossigeno dell’aria pronta a ricominciare il lungo viaggio nella catena alimentare. A tali cicli di specifiche sostanze (carbonio, azoto, acqua, zolfo, fosforo ecc.) contribuiscono anche eventi geologici (evaporazione, condensazione, precipitazioni, fulmini, eruzioni vulcaniche, irradiazione solare ecc.), per questo gli ecologi parlano di cicli biogeochimici: ciclo biogeochimico dell’acqua, del carbonio, dell’azoto ecc. La successione in serie dei vari organismi nella rete alimentare determina un’autoregolazione delle varie specie viventi negli ecosistemi. In questo sistema a serie, infatti, ogni anello è controllato dal precedente e dal seguente, per cui se una o più specie di erbivori aumentasse troppo, ciò porterebbe non solo ad una diminuzione dei vegetali di cui essi si nutrono, ma anche ad un aumento dei loro predatori naturali e questi due fattori porterebbero ad un ridimensionamento degli erbivori nei limiti di compatibilità per l’esistenza di quell’ecosistema. Quindi la catena alimentare funge da

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meccanismo omeostatico, da meccanismo che permette cioè di moderare e neutralizzare eventuali perturbazioni. Quando però tali perturbazioni sono troppo intense, possono superare i limiti di tollerabilità dell’ecosistema e determinare gravi alterazioni dello stesso. L’uccisione del lupo o dei rapaci ha portato, in alcune località, ad uno sproporzionato aumento degli erbivori, che ha causato gravi alterazioni del patrimonio vegetale; inoltre, per la mancata selezione naturale operata dai carnivori, che riescono a predare solo gli animali più deboli o malati, si sono diffuse epidemie che hanno portato fin quasi all’estinzione alcune specie di erbivori. Ogni specie svolge un ruolo nell’ecosistema, occupa un posto funzionale nell’economia della natura: è quello che gli ecologi chiamano nicchia ecologica, che non va confusa con l’habitat, che è l’insieme delle caratteristiche del luogo in cui una specie vive. L’estinzione o l’introduzione di una nuova specie in un territorio può determinare profonde modifiche nell’ecosistema, soprattutto quando questo ha una struttura poco complessa. Generalmente, infatti, quanto più è complesso l’ecosistema, quanto più numerose sono le specie viventi e i rapporti tra essi, tanto più numerosi sono i meccanismi omeostatici e, quindi, maggiore è la stabilità dell’ecosistema. Purtroppo la nostra società ha semplificato notevolmente l’ecosistema Terra, sono state distrutte foreste e paludi, le varietà di piante coltivate si riducono sempre più (attualmente in tutti gli USA si coltivano due sole varietà di piselli), migliaia di specie vegetali e animali si sono estinte negli ultimi decenni. Dopo aver eliminato tante specie ora l’uomo vuole provare ad introdurre nuove specie nell’ecosistema Terra, fabbricate in laboratorio (gli organismi geneticamente modificati). Cosa succederà? Nessuno scienziato serio può rispondere a questa domanda: le nostre conoscenze sugli ecosistemi, sulla dinamica delle comunità biotiche, sugli effetti sull’organismo e sulla sua discendenza di mutazioni geniche indotte sono scarsissime, per cui nessuno scienziato può prevedere con sufficiente margine di probabilità che l’immissione di specie transgeniche nell’ambiente non determinerà alcun problema serio. Chi dice il contrario esprime una sua opinione, una sua fede, ma non esprime una proposizione scientifica, perché quel che dice non ha alcuna prova che la sostenga. Sappiamo invece che ricerche di ecologia hanno dimostrato che può bastare l’introduzione perfino di pochi individui di una singola specie a determinare profonde alterazioni dell’ecosistema, fino a vere catastrofi ecologiche. Per tali motivi bisognerebbe procedere con enorme prudenza e chiedersi sempre se vale la pena rischiare possibili effetti catastrofici per i benefici supposti. Il saggio è cosciente di sapere molte cose ma di ignorarne tante e, quindi, ha un atteggiamento modesto e prudente. L’ignorante crede invece di aver capito tutto, ignora quel che non sa ed ha un atteggiamento presuntuoso e imprudente, comportandosi come l’apprendista stregone, che scatena processi che non sa prevedere né controllare. 1.2 ECOLOGIA ED ECONOMIA Dallo studio degli ecosistemi sono state formulate alcune leggi che spiegano i principi che regolano l’esistenza e il funzionamento degli ecosistemi. Queste leggi sono norme imprescindibili e cogenti alle quali dovrebbero essere subordinate le norme umane. Se l’uomo creasse una norma per cui le navi devono essere fatte di piombo, la conseguenza inevitabile sarebbe il loro affondamento, perché la legge di Archimede (un corpo immerso in un liquido riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del liquido spostato) regola imprescindibilmente e in maniera cogente il galleggiamento dei corpi nei fluidi. L’uomo ha compreso l’esistenza del principio d’Archimede e si comporta in maniera conseguente: progetta e costruisce navi che tengono conto di questo principio, utilizzandolo per calcolare quale peso deve avere la nave, quanto deve essere grande e di che forma, così che l’acqua spostata permetta il suo galleggiamento. Ora sarebbe saggio comportarsi ugualmente con le leggi che regolano l’esistenza e il funzionamento dell’ecosistema Terra, ma così non avviene. Le leggi che regolano il nostro attuale sistema economico contraddicono infatti queste leggi naturali. Analizziamo schematicamente le principali antinomie tra ecologia ed economia.

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1) L’ecosfera è un sistema chiuso, con risorse e capacità di depurazione e di adattamento limitate . Il nostro sistema economico è basato invece sulla crescita illimitata e spesso esponenziale di merci e consumi. Esso, infatti, è strutturato in maniera tale che entra in crisi se la produzione di merci e consumi non cresce. Il nostro sistema economico non può avere limiti, ma deve espandersi sempre più, produrre sempre più, consumare sempre più.

2) La natura funziona a ciclo chiuso, la materia circola in continuazione, perché non esistono rifiuti, in quanto quelli che ai nostri occhi sembrano tali (escrementi, organismi morti, deiezioni ecc.) fungono da risorse per altri elementi del sistema. Il nostro sistema economico è a ciclo aperto, perché basato sulla trasformazione di risorse in merci da consumare e di queste in rifiuti. Il polo delle risorse va quindi sempre più assottigliandosi, mentre quello dei rifiuti va sempre più aumentando e diffondendosi per l’intera ecosfera (l’inquinamento è ormai su scala globale, non risparmiando né gli strati più alti dell’atmosfera, né le profondità oceaniche e interessando l’intero pianeta dai poli all’equatore). La produzione di rifiuti biodegradabili supera le capacità di depurazione del nostro pianeta, mentre l’enorme produzione di sostanze artificiali non può essere smaltita dagli ecosistemi (inquinamento da sostanze non biodegradabili).

3) L’Universo è regolato dal II principio della termodinamica, che ci insegna che in ogni lavoro una parte dell’energia utilizzata viene dispersa sotto forma di calore non più utilizzabile, per cui non esistono processi reversibili. Moltiplicare i processi comporta aumentare la degradazione dell’energia, aumentare il disordine (aumentare l’entropia che è la misura di tale disordine, di tale degradazione dell’energia), avvicinare la morte entropica del sistema. Il nostro sistema economico ignora tale principio, perché basato sull’economia classica, quella che si è andata formando a partire dal pensiero di autori quali Smith, Ricardo, Stuart Mill ecc., in un’epoca in cui non era stato ancora definito il secondo principio della termodinamica e in cui la meccanica newtoniana influenzava tutte le scienze, con i suoi concetti di forza, moto, ciclo, equilibrio, reversibilità, infinito ecc. Per l’economia classica, ancora oggi egemone, il processo economico consiste nella trasformazione di risorse (R) in prodotti (P) tramite il capitale (C) e il lavoro (L): R + C + L → P. Successivamente i prodotti sono distribuiti, acquistati e consumati. Non si tiene conto che il risultato della produzione non sono solo i prodotti ma anche “entropia” (calore a bassa temperatura, disordine, inquinamento, stanchezza dei lavoratori) e che il risultato della distribuzione-acquisto-consumo non è l’estinzione dei prodotti ma altra “entropia” (rifiuti, calore a bassa temperatura, disordine, inquinamento). L’imperativo economico di aumentare sempre più la produzione e il consumo, creando nuovi bisogni, nuovi prodotti, nuovi mercati, determina un enorme aumento dell’entropia in tutte le sue forme, che non solo avvicina la “morte” del sistema, ma inficia il fine del processo economico, che è il ben-essere dell’uomo. La strategia degli economisti di impostazione classica più attenti alle questioni ambientali è quella di considerare i rifiuti come risorse da trasformare in prodotti o come “esternalità negative” (cioè fattori che determinano un danno economico a terzi), che come tali devono essere gravate di una “tassa”. Tale strategia svela l’ignoranza del II principio della termodinamica, prospettando che sia possibile annullare l’ “entropia” generata tramite un appropriato lavoro, mentre la termodinamica ci spiega che tale lavoro, se mai potesse essere compiuto totalmente, determinerebbe la generazione di un’entropia di gran lunga maggiore. L’attuale politica contro l’inquinamento non è basata, quindi, su azioni preventive, cioè non interviene a monte diminuendo la produzione e i consumi e realizzando processi produttivi meno inquinanti (che poi significa meno entropici), ma interviene a valle. Si compie cioè un lavoro di disinquinamento che, in quanto trasformazione di energia in lavoro, inevitabilmente produce nuova entropia e nuovo inquinamento. Tale politica non affronta alla radice il problema ambientale, ma al più tende solo a spostarlo nel tempo o nello spazio. Un’ulteriore dimostrazione dell’ignoranza del II principio della termodinamica viene dal modello energetico della nostra società, attento alla richiesta globale d’energia non disaggregata per usi finali (calore a bassa temperatura, come

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quello per usi domestici; calore ad alta temperatura per usi industriali; usi elettrici obbligati, come quelli per l’illuminazione; ecc.). Si calcola così quanta energia è necessaria, senza chiedersi di quale tipo d’energia si ha bisogno, e si cerca di rispondere al fabbisogno totale soprattutto tramite la produzione di energia elettrica. Ciò ha portato ad un sistema estremamente dissipativo dal punto di vista termodinamico, perché moltiplica le trasformazioni d’energia e, quindi, la produzione di entropia. Si pensi che ancora oggi per produrre acqua calda per usi domestici si attuano le seguenti trasformazioni d’energia: energia chimica (petrolio) → energia termica (combustione del petrolio e riscaldamento dell’acqua della centrale elettrica) → energia cinetica (turbina della centrale) → energia elettrica → energia termica (resistenza dello scaldabagno e quindi produzione dell’acqua calda): il rendimento totale è inferiore allo 0,5%.

4) Mentre in natura tutto è collegato ed ogni cosa dipende ed è in relazione con altre , la floridezza del nostro sistema economico (quello dei paesi in cui il mercato produce ricchezza) è fondata sull’importazione netta di risorse, per cui è possibile solo a scapito del depauperamento di altre regioni e non è generalizzabile: non è possibile, infatti, che tutti i paesi siano importatori netti di risorse. Alcuni indicatori ambientali svelano questa stortura economica ed etica del nostro sistema economico. Ad esempio, l’ “impronta ecologica” degli Stati Uniti d’America è 12,2, quella della Germania è 6,3, quella dell’Italia 5,5; cioè per produrre i beni che tali società consumano e per smaltire gli inquinanti biodegradabili che tali società producono occorrono rispettivamente 12,2, 6,3 e 5,5 ettari di ecosistemi produttivi pro capite. Ma il nostro pianeta dispone solo di 1,8 ettari pro capite di ecosistemi produttivi, per cui il modello di vita degli abitanti di tali paesi è insostenibile. Se tutti gli abitanti della Terra avessero i consumi degli statunitensi occorrerebbero 7 pianeti Terra. Se i consumi petroliferi di tutti i cittadini della Terra fossero come quelli degli statunitensi in 8 anni si esaurirebbero tutti i giacimenti di petrolio oggi conosciuti e l’inquinamento atmosferico e l’effetto serra avrebbero conseguenze catastrofiche sull’intero pianeta (USA compresi).

5) L’evoluzione naturale degli ecosistemi avviene in tempi lunghissimi (centinaia e migliaia di anni), mentre i cambiamenti indotti dal nostro sistema economico avvengono in tempi brevissimi (anni e decenni). I tempi dell’economia si divaricano così sempre più da quelli della natura. L’economia giudica vantaggioso quello che dà un ritorno (spesso meramente economico) in tempi brevissimi e che spesso, ad un’analisi meno miope, si presenta estremamente svantaggioso non solo dal punto di vista ecologico e della qualità della vita umana, ma spesso anche dal punto di vista meramente economico.

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L`EDUCAZIONE AMBIENTALE

Pio Russo Krauss 2.1 PERCHÉ FARE EDUCAZIONE AMBIENTALE Ogni anno vengono immesse nell’ambiente circa 1000 nuove sostanze chimiche, delle quali solo pochissime sono state studiate sotto l’aspetto tossicologico. Di quelle studiate, un discreto numero si è rilevato nocivo per la salute umana o per l’ambiente. Molte di queste sostanze, inoltre, sono praticamente indistruttibili (DDT, diossina ecc.) e tendono, quindi, ad accumularsi sempre più nell’ambiente. Ma l’ambiente, e di conseguenza la nostra salute, viene danneggiato anche dall’enorme aumento della concentrazione nell’acqua, nell’aria e nel suolo di alcune sostanze già presenti in natura (gli ossidi di azoto e di zolfo e i loro derivati, i fosfati ecc.). Un importante ruolo patogeno, inoltre, è svolto dall’ambiente che l’uomo ha creato per vivere: le nostre città chiassose, carenti di aree verdi e di “paesaggio”, congestionate dal traffico veicolare, deturpate dalla presenza invadente di auto in sosta, ecc. Il degrado ambientale è diventato così uno dei principali fattori patogeni:

- l’inquinamento atmosferico è causa di cancro, bronchite cronica e acuta, asma, enfisema, malattie cardiovascolari, infiammazioni delle prime vie aeree. Uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che ogni anno 39.000 persone muoiono in Italia per malattie causate dall’inquinamento atmosferico1

- l’inquinamento delle acque viene correlato con allergie, con il cancro, con varie malattie infettive (tifo, epatite, leptospirosi ecc.), nonché con alcune gravi malattie neurologiche (morbo di Minamata ecc.);

- l’inquinamento acustico determina sordità, cefalea, malattie da stress, disturbi del sonno, irritabilità, noia, diminuzione delle capacità mnemoniche e dell’attenzione, nonché molte altre alterazioni (neurovegetative, metaboliche, endocrine), che potrebbero avere ripercussioni negative sulla salute;

- l’inquinamento radioattivo determina cancro, malattie genetiche, malformazioni, aborti; - le altre forme di degrado ambientale (carenza di spazi verdi, di insolazione, di luoghi

aggregativi ecc.) causano incidenti stradali, incidenti domestici, rachitismo, dismorfismi, malattie da stress, disagio psichico ecc.

Si pensi inoltre che anche alterazioni ambientali, apparentemente non connesse con la salute umana, come per esempio la semplificazione dell’ambiente agrario (distruzione di siepi, cespugli, alberi, fossi ecc.), possono, tramite una lunga catena di effetti, provocare un danno alla salute umana2. Oltre a vere e proprie patologie, le condizioni dell’ambiente in cui viviamo determinano una generale scadente qualità della vita. I bambini hanno insufficienti spazi verdi per correre e giocare; l’inquinamento acustico disturba il riposo e le occupazioni, il traffico fa perdere tempo, innervosisce, si scontra con l’esigenza di mobilità caratteristica della nostra società, l’ambiente urbano e percepito come ostile, estraneo, non a misura d uomo, anche il tentativo di rifugiarsi, almeno nei giorni feriali in luoghi più ameni è spesso fallimentare perché spesso per raggiungere

1 WHO: Health effects of transport related air pollution, 2005. 2 Nel caso della semplificazione dell’ambiente agrario, la catena degli eseguente: distruzione dell’habitat di molte specie utili all’agricoltura → diminuzione dei predatori di specie nocive → aumento delle specie nocive → maggior uso di pesticidi → inquinamento di prodotti agricoli e delle falde da parte di pesticidi → danni alla salute dovuti alla tossicità dei pesticidi ingenti.

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tali luoghi bisogna affrontare il traffico automobilistico oppure code e disservizi dei mezzi pubblici; inoltre, talvolta, i tanto desiderati “luoghi più ameni” sono ormai contaminati (il mare, i fiumi e i laghi sono inquinati o non balneabili, i boschi sporchi, il paesaggio è deturpato da costruzioni di ogni tipo, il silenzio e la quiete restano un sogno). In ultimo vanno considerati i danni economici dovuti al degrado dell’ambiente. I danni alle attività turistiche, agricole, silvo-pastorali, ittiche industriali sono difficilmente stimabili, ma comunque dell’ordine di miliardi di euro all’anno. Con questi andrebbero calcolate le decine di miliardi di euro che ogni anno si dovrebbero spendere per il disinquinamento. Per esempio, uno studio commissionato dal Ministero dei Trasporti stima che l’inquinamento atmosferico in ambito urbano prodotto dai trasporti ha determinato nel solo anno 1999 un danno economico di 17 miliardi di euro. Il degrado ambientale è dunque causa di molte patologie, anche gravi, di una scadente qualità della vita, nonché di un ingentissimo danno economico. Tuttavia gli effetti più preoccupanti del degrado ambientale non sono quelli immediati, ma quelli futuri. La scienza ci insegna che sono bastate piccole modificazioni del clima o della composizione dell’atmosfera del nostro pianeta per dare inizio a profonde trasformazioni, a vere e proprie catastrofi ambientali, con la scomparsa di specie molto diffuse. Se si considera che l’uomo ha distrutto il 42% delle foreste che un tempo coprivano la superficie terrestre, ha bruciato 610.000 miliardi di barili di petrolio, innalzando la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera da 280 ppm a 372 ppm3 e ha inquinato tanto l’aria da aumentare di 10 volte l’acidità delle piogge4, si comprende come il rischio di un’alterazione catastrofica degli equilibri naturali che permettono la vita dell’uomo sulla Terra non sia poi tanto remoto. A fronte di una situazione così drammatica si segnala l’assenza di una chiara inversione di tendenza nelle scelte politiche, economiche, sociali, nonché la scarsa attenzione, sensibilità e conoscenza di questi problemi. Per quanto riguarda le politiche ambientali, i provvedimenti adottati dalle istituzioni nazionali e internazionali sono quasi sempre palliativi, che servono a contenere emergenze o a situare il danno ambientale lontano, spazialmente o temporalmente, da chi lo determina, in modo consapevole o meno. Infatti il danno ambientale prodotto dai paesi dell’occidente capitalistico (che sono anche i paesi con le normative più attente alla tutela dell’ambiente) è enorme. Ciò è dovuto non solo ai consumi enormemente alti 5, ma anche alla mancata percezione del danno prodotto da tali consumi. Manca, quindi, una politica tesa a ridurlo. Di fatto il danno ambientale è per la gran parte scaricato sui paesi poveri: lì vengono impiantate le industrie più inquinanti; lì vengono disboscati milioni di ettari di foresta per fornire di legno, di prodotti agricoli e zootecnici i consumatori dei paesi ricchi; lì vengono prelevate le materie prime; lì vengono coltivati - in latifondi controllati da multinazionali e con tecniche a forte impatto ambientale - caffè, banane, canna da zucchero, cacao, cotone, caucciù per i paesi ricchi; lì viene esportata parte dei rifiuti tossici e nocivi prodotti nell’occidente industrializzato. Per quanto riguarda la conoscenza della questione ambientale c’è da segnalare senz’altro che la consapevolezza del degrado ambientale è molto diffusa. Tuttavia le conoscenze in merito sono lacunose, frammentarie e superficiali. La metodologia d’approccio ai problemi ambientali è inadeguata: non si colgono le connessioni tra i vari fenomeni, si ricercano la causa del problema (il “bandolo della matassa”) e la relativa soluzione, non capendo che l’ambiente è un sistema (un “intreccio di fili), per cui non esiste una singola causa, rimossa la quale il problema si scioglie, ma una complessa rete causale, che richiede un approccio sistemico. Manca una forte richiesta di una

3 ppm: parti per milione. E’ un modo per esprimere la concentrazione di una sostanza in un mezzo. Metà dell’incremento della CO2 è avvenuto negli ultimi 40 anni. 4 La pioggia nel secolo scorso aveva in media un pH (unità di misura dell’acidità) di 5.5. Oggi il pH medio nei paesi industrializzati è 4,5. Poiché la scala del pH è di tipo logaritmico, l’aumento dell’acidità è pari a 10 volte. 5 Si ricordi che 1’86% del reddito mondiale è nelle mani dei paesi ricchi, che comprendono solo il 20% della popolazione mondiale.

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politica ambientale adeguata, una politica cioè che metta al centro della propria attenzione una questione così grave e che richiede interventi radicali, articolati e urgenti. Siamo dunque in grado di individuare le ragioni per cui è necessario impegnarsi nell’educazione ambientale. Esse sono di tre ordini. Anzitutto è indispensabile suscitare attenzione e sensibilità verso le tematiche dell’ambiente. Rendere consapevoli le persone che l’uomo è parte della natura, che la sua esistenza e la sua qualità della vita sono condizionate dall’ambiente in cui vive, perché l’ambiente è la fonte delle risorse indispensabili alla vita e che ne condizionano la sua qualità. Preservare le risorse dell’ambiente e gli equilibri che ne garantiscono la loro esistenza nel tempo è quindi indispensabile per garantire l’esistenza della specie uomo, nonché la salute e la qualità della vita dei singoli uomini. In secondo luogo bisogna fornire le conoscenze e la corretta metodologia indispensabili per affrontare tale questione, che è uno dei principali problemi della transizione tra secondo e terzo millennio. Infine è opportuno indurre i giovani ad impegnarsi nella difesa dell’ambiente, contro la catastrofe planetaria e per una migliore qualità della vita, propria e di tutto il genere umano. Crediamo che tale impegno sia proprio degli educatori in quanto l’educazione (come attività intenzionale) è quel processo che, attraverso la valorizzazione e lo sviluppo di tutte le potenzialità dell’individuo - cognitive, affettive, operative ecc. - mira ad affinare le capacità interpretative e di intervento sulla realtà, così che l’individuo e la collettività possano migliorare la propria qualità della vita. L’educazione ambientale non è quindi una moda, anche se è un’esigenza di scottante attualità. Non è un semplice espediente per ottenere che i ragazzi partecipino allo studio, anche se, affrontando un problema reale dal quale dipende il loro avvenire, si presenta di particolare interesse. Non è neppure una nuova attività per rompere la routine lavorativa degli insegnanti, anche se è vero che valorizza l’insegnante nella sua funzione di educatore delle nuove generazioni, che le prepara ad operare scelte consapevoli e responsabili, per il bene loro e delle generazioni che verranno. 2.2 L’EDUCAZIONE AMBIENTALE COME EDUCAZIONE PLURIDIMENSIONALE L’educazione ambientale è un’educazione pluridimensionale. Investe infatti non solo la dimensione cognitiva, ma anche quella etica e politica, può inoltre interessare quella estetica e religiosa. LA DIMENSIONE ETICA Affinché si rispetti, si difenda e si gestisca correttamente l’ambiente è necessario che si pratichino alcuni valori etici. Se infatti si fosse mossi da “valori” quali l’egoismo, ci si potrebbe chiedere: “Perché non devo scaricare sui paesi poveri le conseguenze negative del modello di sviluppo della società in cui vivo, così da averne i vantaggi senza subirne danni? Perché noi abitanti dei paesi ricchi dobbiamo rinunciare al vantaggio di avere banane, caffé, cacao e materie prime a basso costo se riusciamo ad imporre le nostre condizioni ai paesi poveri?”. Se si pensasse che il darwinismo sia il sistema che deve regolare e dirigere le nostre scelte ci si potrebbe chiedere: “Perché impegnarsi per difendere la varietà delle specie viventi e dei biotopi, dal momento che l’estinzione delle specie e dei biotopi ad opera di altre specie dominanti (nel nostro caso l’uomo) risponde ad una “legge di natura”, che è in sé buona?”. Se si pensasse che la natura è in sé un valore e che anche la catastrofe ecologica che l’uomo sta determinando è un fatto naturale - potendo essere interpretata come la maniera con cui una specie, eccessivamente prolifera ed invadente, viene drasticamente ridimensionata dagli effetti che essa stessa causa - perché ci si dovrebbe preoccupare dei milioni di

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bambini che oggi muoiono di fame, dell’esaurimento delle risorse, dell’inquinamento e della stessa possibilità di estinzione del genere umano? E’ ovvio allora che ci si impegna in difesa dell’ambiente se si è mossi da altri valori rispetto a quelli sopra citati e che se si vogliono educare i giovani ad un tale impegno bisognerà promuovere determinati valori e non altri. Quali sono allora i valori che inducono a prendersi cura dei problemi ambientali quali oggi si pongono? A nostro parere essi sono la giustizia, la solidarietà, la prudenza e la nonviolenza6. Provocare il degrado ambientale è un’azione eticamente riprovevole, nel significato unanimamente condiviso di azione che va contro altri uomini. Dissipare le risorse, infatti, significa rendere più difficile la loro disponibilità o addirittura sottrarle ad altri soggetti, specie quelli più deboli Inquinare 1’ambiente significa causare malattie, danni, disagi, rischi ad altri uomini ed anche in questo caso i soggetti deboli sono i più esposti. Il degrado ambientale è quindi il frutto dell’egoismo di individui o gruppi; quest’ultimi spesso si esprimono in strutture come aziende, stati e organismi sovrastali. Essi mettono le loro esigenze, il loro utile e il loro piacere al di sopra dei propri simili. Ecco perchè i primi valori da coltivare sono quelli della giustizia e della solidarietà con i soggetti poveri e più deboli. Un altro valore da promuovere è quello della prudenza. Tale valore nasce dalla coscienza dei propri limiti (nelle conoscenze, nelle capacità intellettive, nella propria forza morale ecc.) e si esprime nello sforzo di evitare di determinare con le proprie scelte situazioni difficili per se o per gli altri: non tutto quello che si può fare va fatto, non tutto quello che è lecito fare è giusto farlo. La prudenza, soprattutto oggi, dovrebbe guidare l’azione dell’uomo nei confronti dell’ambiente. Nella

6 Segnaliamo al lettore che esistono posizioni molto diversificate in proposito ed una vasta letteratura di etica ambientale. Riportiamo alcune delle principali posizioni così da offrirne un’idea, rimandando il lettore interessato ai testi citati in bibliografia. In particolare consigliamo i testi di Passmore e Bartolomei, nonché il testo di Jonas e il saggio di Pontara sulla nonviolenza, le cui argomentazioni riteniamo particolarmente acute e convincenti. Possiamo distinguere schematicamente due filoni di pensiero: naturocentrismo e antropocentrismo. I “naturocentrici” ritengono che nella natura esistono valori assoluti, che l’uomo deve riconoscere. Tra chi sostiene questa posizione vi è chi ritiene che tutta la natura e le sue parti hanno un valore in sé, altri (biocentristi) limitano tale valore alla vita, altri ancora agli animali superiori, in quanto esseri che hanno la capacità di soffrire. Altri naturocentrici (come A. Leopold) non condividono questa posizione: “L’uomo è un animale predatore ed è assurdo non accettare questo ruolo”: ritengono pertanto che devono essere salvaguardati non i singoli animali, ma le specie e gli ecosistemi. Alcuni sostengono che la natura ha una sua soggettività, nonché dei diritti; altri riconoscono tale soggettività, nonché i diritti solo agli animali. Gli “antropocentrici” avanzano molte critiche a queste posizioni (“Esse possono essere fondate solo facendo ricorso ad una metafisica non accettabile da tutti”; “Se la natura ha diritti, essa non può tuttavia porli in prima persona: chi è titolato allora a parlare in nome della natura? Non c’è il rischio che chi si sente investito della rappresentanza di tali valori assoluti imponga il proprio volere agli altri?” ecc.) e ritengono perciò che in natura non esistono valori in sé e che l’uomo non ha doveri nei suoi confronti, riguardo a piante ed animali (individui o specie) o agli ecosistemi, ma solo nei confronti di altri uomini. Il dovere di tutelare, difendere e gestire correttamente l’ambiente deriva allora dai doveri che si hanno nei confronti degli uomini (il dovere di “Non fare agli altri quello che non vorresti che gli altri facessero a te” o di “Fa’che il tuo agire possa diventare legge universale” ecc.). Posizioni difficilmente classificabili sono quelle di Jonas, che sostiene che la sopravvivenza della nostra specie è un bene assoluto, che come tale non può essere messo mai a repentaglio e di autori come Hargrove che ritengono che il dovere di difendere la natura deriva dal dovere di salvaguardare e promuovere il bello nel mondo, ponendosi quindi a metà strada tra antropocentrici e naturocentrici (in natura esistono valori intrinseci, ma di tipo estetico, che attengono cioè alla relazione con il soggetto uomo).

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nostra epoca, infatti, l’umanità ha sviluppato un’enorme capacità d’intervento sulla natura. In conseguenza del progresso della tecnica e della consistenza che ha raggiunto la popolazione umana, oggi l’uomo può modificare le condizioni stesse del nostro pianeta. Può alterare, e di fatto sta alterando, i delicati equilibri che permettono la vita dell’uomo sulla Terra. D’altra parte, a tale enorme capacità di intervento sull’ambiente, non corrisponde un’altrettanto grande capacità di prevedere gli effetti di tale intervento sull’ambiente. La limitatezza delle nostre conoscenze e la complessità delle questioni ambientali rende impossibile fare previsioni accurate in tal campo. Esiste quindi una sproporzione tra le possibilità della tecnologia e le possibilità della scienza e l’uomo rischia di comportarsi come “l’apprendista stregone”, che mette in gioco processi di cui non sa prevedere gli esiti e di cui non ha il pieno controllo. Ma esiste un’altra sproporzione: quella tra il bene che può essere messo a repentaglio con la moderna tecnologia (l’esistenza dell’umanità) e il bene per cui tale tecnologia viene adoperata, che qualsiasi esso sia, non può che essere incommensurabilmente inferiore. Per tali motivi la prudenza dovrebbe guidare l’azione dell’uomo sull’ambiente. Per nonviolenza intendiamo l’istanza di ridurre al minimo la pratica della violenza. Non è possibile vivere senza fare violenza, ma nella lotta politica, nella vita sociale, nei rapporti con gli altri esseri viventi e con la natura inanimata, è possibile preferire quelle scelte che comportano un minore uso della violenza. In questa visione sono certamente comportamenti riprovevoli quelli che provocano sofferenza ad esseri viventi o danni ad “enti”, senza che ve ne sia alcuna necessità, quelle azioni, cioè, caratterizzate da violenza gratuita. Siamo convinti che questi valori, più di altri, sono necessari e sufficienti per un impegno fattivo nei confronti dei problemi ambientali oggi presenti. Puntare sulla sacralità della natura, sui diritti degli animali, sulla compassione per le altre specie viventi, sull’amore per la natura, sulla sua bellezza che deve essere tutelata ci sembra, al di là della possibilità o meno di portare una valida fondazione teoretica a tali posizioni, non tenere conto della drammaticità della situazione: il degrado dell’ambiente non minaccia solo qualche specie rara o qualche biotopo o qualche bellezza naturale, ma ha pesanti effetti sull’uomo (causa ogni anno centinaia di migliaia di morti, e milioni di malati, determina una scadente qualità della vita, minaccia l’esistenza del genere umano). Tale situazione drammatica può essere efficacemente affrontata se si è mossi da valori forti e se su tali valori ci sia un consenso unanime (siano cioè “valori universali”) o almeno estremamente ampio. La giustizia e la solidarietà sono valori universalmente professati (anche se non altrettanto praticati); sulla nonviolenza c’è ormai un amplissimo consenso e anche sulla prudenza il consenso è più ampio di quanto si creda (si pensi al consenso che il mito dell’apprendista stregone riscuote). La sacralità della natura, i diritti degli animali, la compassione per le altre specie viventi sono valori su cui il consenso è minimo: essi sono professati solo da una piccola elite di persone. Fondare l’impegno per la difesa dell’ambiente su tali valori riteniamo che sia pertanto anche poco efficace. Che la scuola pubblica li metta al centro del suo progetto educativo ci sembra anche non corretto, proprio perché su di essi non c’è un consenso unanime. LA DIMENSIONE POLITICA Educare ai valori della giustizia, della solidarietà, della prudenza e della non violenza e a concretizzare tali valori in una prassi conseguente, non basta. Chi è stato educato a tali valori potrebbe anche limitarsi ad avere comportamenti più “ecocompatibili” (ridurre i propri consumi, preferire il trasporto pubblico, riciclare i rifiuti ecc.) o a partecipare ad iniziative (piantare alberi, pulire spiagge e boschi ecc.) per “migliorare la qualità ambientale”. Ma tutto questo non è assolutamente sufficiente per risolvere un problema di così vasta portata come quello ambientale. Il degrado ambientale è infatti determinato da tre fattori: la cultura (intesa come insieme di valori, visione del mondo e paradigma scientifico), i comportamenti dei singoli individui ed i fattori strutturali. Questi ultimi giocano un ruolo di primo piano nella questione ambientale.

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Il sistema economico capitalistico oggi presente nell’intero pianeta, è notoriamente basato sul libero mercato, con proprie regole. Esso costringe i soggetti che ne fanno parte (singoli individui e soggetti collettivi) a scelte che obiettivamente determinano il degrado ambientale: la convenienza economica solo raramente coincide con la convivenza ecologica e, nel libero mercato, se si vuole sopravvivere, si è costretti ad optare per la prima. Di fatto oggi si è realizzata un’antinomia tra economia ed ecologia. L’economia (= legge della casa) è quell’insieme di regole che l’uomo si è dato per vivere nella propria “casa”, il mondo. Ma oggi questa economia è in contraddizione con le leggi naturali che governano la “casa” Terra7. Esse sono leggi imprescindibili e cogenti. L’ecologia (= studio della casa) è appunto quel sapere che le ha sottoposte alla nostra attenzione. Da dove si origina quell’antinomia? Mentre la biosfera è un sistema chiuso, con risorse e capacita di depurazione e di adattamento limitate, l’economia liberista ha creato un sistema basato sulla crescita illimitata e spesso esponenziale di merci e consumi. Il limite naturale viene dunque violato e contraddetto dal paradigma di crescita illimitata. D’altra parte mentre la natura funziona a ciclo chiuso8, il sistema economico attuale e a ciclo aperto, perchè basato sulla trasformazione di risorse in merci da consumare e di queste in rifiuti. Il polo delle risorse, quindi, va sempre più assottigliandosi mentre quello dei rifiuti sempre più aumentando. Infine, mentre il mondo naturale è regolato dal secondo principio della termodinamica, l’economia soggiacente al nostro sistema è basata sull’assunto che i processi siano non entropici e, quindi, reversibili9.

7 Si veda il capitolo I “Ecologia ed ambientalismo scientifico”. 8 In natura non esistono rifiuti, perché anche quelli che apparentemente sembrano tali funzionano da risorse per altri elementi dell’ecosistema e così la materia circola in continuazione. 9 Il secondo principio della termodinamica afferma che nessuna macchina può avere un rendimento del 100%. Cioè nessuna macchina riesce a trasformare tutta la propria fonte d’energia (sia essa energia termica, elettrica, cinetica, luminosa o di legame chimico) in lavoro, perché una parte dell’energia si trasformerà in calore, che si disperderà nell’ambiente. La seconda legge della termodinamica ci insegna che c’è una tendenza inevitabile verso il disordine, la dispersione, 1’equilibrio al più basso livello possibile. L’entropia è la misura di tale disordine e dispersione. Per esempio, mettendo in moto un motore elettrico, questo si riscalda, cioè parte dell’energia elettrica, invece di trasformarsi in energia cinetica, si trasforma in calore. Il calore del motore viene ceduto alle particelle d’aria vicine, queste lo cedono ad altre fino a che tutte le particelle d’aria hanno la stessa temperatura. La quantità d’energia rimane costante ma essa è ora più dispersa, più disordinata. Proprio perché l’energia è ormai dispersa, disordinata, non è più utilizzabile per produrre un lavoro ed il processo non è quindi spontaneamente reversibile. Infatti, realizzare il processo inverso (dal calore disperso all’energia elettrica) richiede che il calore disperso si riconcentri, si ordini di nuovo e si trasformi in una forma di energia estremamente concentrata e ordinata come quella elettrica. In ogni processo di trasformazione energetica quindi una parte dell’energia viene dispersa sotto forma di calore. Dal secondo principio della termodinamica consegue che nessun processo è reversibile e che l’entropia dell’Universo aumenta sempre. Il secondo principio della termodinamica può essere spiegato in termini probabilistici. Se facciamo un castello di sabbia questo spontaneamente tenderà a distruggersi, mentre non c’è nessuna tendenza dei granelli di sabbia della spiaggia a creare un castello di sabbia. Questo perché i granelli di sabbia tendono al disordine, all’entropia, a raggiungere una situazione di equilibrio al più basso livello possibile. Ciò avviene perché la disposizione dei granelli di sabbia che determina il castello da noi costruito è una sola, mentre le disposizioni dei granelli di sabbia che determinano la spiaggia sono tendenti all’infinito: per tale motivo la probabilità che le particelle di sabbia si dispongano spontaneamente a determinare il nostro castello sono pressapoco uno sull’infinito . Sia nell’esempio del lavoro prodotto da un motore elettrico sia in quello del castello di sabbia la reversibilità del processo può essere ottenuta solo fornendo altra energia, che svolga il lavoro di riconcentrare l’energia fino a riprodurre energia elettrica o di riordinare i granelli di sabbia così da formare il castello. Ma bisognerà fornire una tale quantità di energia che la sua utilizzazione produrrà una quantità di entropia molto maggiore

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La rimozione del secondo principio della termodinamica è evidente anche nel modello energetico delle nostre società, un modello estremamente dissipativo10, nonché nelle politiche adottate per il controllo dell’inquinamento, basate su interventi a valle e non su interventi preventivi11. Ma c’è un ulteriore aspetto da tenere presente. Esso mette in luce una stretta connessione tra l’economia e l’etica. Mentre in natura tutto è collegato ed ogni cosa dipende ed è in relazione con altre, la floridezza del nostro sistema economico (quello dei paesi in cui il mercato produce ricchezza) è fondata sull’importazione netta di risorse, per cui è possibile solo a scapito del depauperamento di altre regioni e non è generalizzabile: non è possibile, infatti, che tutti i paesi siano importatori netti di risorse12. Alcuni indicatori ambientali svelano questa stortura economica ed etica del nostro attuale sistema economico. Ad esempio, l’ “impronta ecologica” degli Stati Uniti d’America è 12,2, quella della Germania è 6,3, quella dell’Italia 5,5; cioè per produrre i beni che tali società consumano e per depurare gli inquinanti biodegradabili che tali società producono occorrono rispettivamente 12,2, 6,3 e 5,5 ettari di ecosistemi produttivi pro capite. Ma tali Paesi non dispongono di tali estensioni di ecosistemi produttivi, quindi coprono i loro consumi con risorse provenienti da altri Paesi e non di quella si che va a neutralizzare. In sintesi: in ogni processo di trasformazione energetica una parte dell’energia si disperde sotto forma di calore, quindi non può esservi una “macchina” efficiente al 100%; i processi tendono spontaneamente al disordine, al degrado, all’equilibrio al più basso livello possibile: producono inevitabilmente entropia; nessun processo è reversibile; l’entropia di un sistema chiuso aumenta sempre più fino ad arrivare alla “morte” del sistema: aumentare i processi in un sistema chiuso accelera la produzione di entropia e la “morte” del sistema. L’economia classica (quella che si è andata formando a partire dal pensiero di autori quali Smith, Ricardo, Stuart Mill, in un’epoca in cui non era stato ancora definito il secondo principio della termodinamica e in cui la meccanica influenzava tutta la cultura scientifica con i suoi concetti di ciclo, equilibrio, reversibilità ecc.) ignora ancora oggi tale principio. Infatti per l’economia classica il processo produttivo consiste nella trasformazione di risorse in prodotti, tramite il capitale e il lavoro. Non si tiene conto così che ogni processo produce inevitabilmente anche entropia: l’imperativo economico di aumentare sempre più la produzione determina un enorme aumento dell’entropia, avvicinando quindi la “morte” del sistema. Alcuni economisti della seconda metà del 1900 hanno evidenziato questo gravissimo limite dell’economia classica, sottoponendo ad una serrata critica i suoi fondamenti e le sue leggi, cercando una rifondazione della teoria economica a partire da concetto di entropia e di irreversibilità dei processi (si veda l’opera di N. Georgescu-Roegen e degli altri bioeconomisti). Purtroppo il contributo di tali autori non ha pervaso la cultura economica, né tanto meno si è tradotta in scelte politiche, economiche, sociali. 10 I1 modello energetico delle società attuali è attento alla richiesta globale d’energia, non disaggregata per usi finali (calore a bassa temperatura, come quello per usi domestici; calore ad alta temperatura per usi industriali; usi elettrici obbligati, come quelli per l’illuminazione ecc.): si calcola così quanta energia è necessaria, senza chiedersi il tipo d’energia di cui si ha bisogno e si cerca di rispondere al fabbisogno totale soprattutto mediante la produzione d’energia elettrica. Ciò ha portato ad un sistema estremamente dissipativo dal punto di vista termodinamico, perché moltiplica le trasformazioni d’energia e, quindi, la produzione d’entropia. Si pensi che ancora oggi per produrre parte dell’acqua calda per usi domestici si attuano le seguenti trasformazioni d’energia: energia chimica (petrolio) → energia termica (combustione del petrolio e riscaldamento dell’acqua della centrale elettrica) → energia cinetica (turbina della centrale) → energia elettrica → energia termica (resistenza dello scaldabagno e quindi produzione dell’acqua calda). 11 L’attuale politica contro l’inquinamento raramente è basata su azioni preventive. Cioè non si interviene a monte diminuendo la produzione e i consumi e realizzando processi meno inquinanti (che poi significa meno entropici), ma si interviene a valle. Si compie cioè un lavoro di disinquinamento che, in quanto trasformazione di energia in lavoro, inevitabilmente produce ulteriore entropia. 12 Come esempio si consideri l’Olanda. Per soddisfare le sole richieste interne di cibo e di legname, questo paese si appropria delle capacità produttive di 24 milioni di ettari di terreno, pari a 10 volte la sua superficie agricolo-forestale. Il benessere (anche ambientale) dell’Olanda è reso possibile dal degrado provocato da questo paese fuori del proprio territorio. Ma, poiché in natura non esistono confini, l’effetto serra, dovuto ai disboscamenti nei paesi poveri, si farà sentire in maniera particolarmente drammatica proprio nei Paesi Bassi, che rischiano di essere parzialmente sommersi dall’alzarsi del livello del mare, dovuto appunto al parziale scioglimento delle calotte polari.

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riescono a depurare i loro scarichi inquinanti. Ora si consideri che il nostro pianeta dispone solo di 1,8 ettari pro capite di ecosistemi produttivi, per cui il modello di vita degli abitanti dei Paesi prima citati è insostenibile. Se tutti gli abitanti della Terra avessero i consumi degli statunitensi occorrerebbero 7 pianeti Terra. Se i consumi petroliferi di tutti i cittadini della Terra fossero come quelli degli statunitensi in 8 anni si esaurirebbero tutti i giacimenti di petrolio oggi conosciuti e l’inquinamento atmosferico sarebbe a livelli tali da avere conseguenze catastrofiche sull’uomo e sull’intero pianeta. Inoltre, mentre i tempi della natura si misurano in secoli e millenni, l’orizzonte temporale del mondo economico è quello degli anni o, al massimo, di uno o due decenni. Fatalmente l’economia giudica vantaggioso quello che è tale in tempi brevissimi mentre, ad un bilancio meno miope, si presenta estremamente svantaggioso, anche dal punto di vista economico. La conclusione è che, se si vuole risolvere la crisi ambientale, bisogna cambiare il sistema economico, in definitiva incidere sulle strutture della società. E questo è appunto compito della politica. In effetti c’è da evidenziare che al di là del livello delle singole persone, si dà un ulteriore livello, quello dei soggetti sociali e politici. Questi non sono riducibili all’insieme delle singole persone. Ogni individuo, che lo voglia o no, è parte di un soggetto politico, che opera nella storia secondo fini e strategie proprie, che possono anche essere in contrasto con i valori del singolo individuo che ne fa parte, con i suoi bisogni e i suoi desideri. Educare alla politica significa allora diverse cose. Anzitutto maturare la coscienza di questa inevitabile appartenenza ad uno dei diversi soggetti politici (anche disinteressarsi di politica è una scelta politica!). Vuol dire, poi, dare gli strumenti affinché il singolo individuo possa operare scelte pienamente consapevoli e in armonia con i suoi valori, i suoi desideri, la sua analisi della realtà: in primo luogo la scelta di appartenenza ad un soggetto politico, per svolgere al suo interno il ruolo che meglio gli si addice. Cosi intesa, la politica è una delle attività più nobili dell’uomo, quella attraverso cui egli rende operanti e storicamente produttivi i propri valori etici, utilizzando gli strumenti cognitivi posseduti. LA DIMENSIONE COGNITIVA Nel campo della conoscenza il compito dell’educazione ambientale è duplice: promuovere l’acquisizione di determinate conoscenze e al tempo stesso indurre lo sviluppo di una struttura di pensiero capace di affrontare la complessità dei fenomeni ambientali e delle questioni che vi si riconnettono. Per quanto riguarda il primo punto, è ovvio che se non si ha un minimo di conoscenze sulle questioni ecologiche non si potranno operare scelte in grado di affrontare il degrado ambientale. Se si ignora che esiste l’inquinamento com’è possibile impegnarsi per ridurlo? Se non si sa che il nostro sistema economico produce miseria e degrado ambientale nei Paesi poveri, com’è possibile impegnarsi per una politica che sani il divario tra Nord e Sud? Se non si conoscono le cause di questi fenomeni, com’è possibile un impegno efficace? E necessario quindi far acquisire le conoscenze essenziali su tali problemi. Quelle conoscenze, cioè, che permettono di coglierne la gravità e di definire le strategie d intervento adeguate, grazie alla conoscenza dei fattori causali, dei soggetti in gioco ecc. Non è necessario ma anzi è controproducente affollare la mente del discente con nozioni che non sono funzionali al fine che si persegue, che è, ricordiamo, quello di indurre i giovani ad impegnarsi contro la catastrofe planetaria, perseguendo una migliore qualità della vita, propria e di tutto il genere umano. Per quanto riguarda la struttura di pensiero, si deve considerare che i problemi ambientali sono caratterizzati da un’estrema complessità: gli elementi in gioco sono molteplici e di diversa natura e innumerevoli relazioni legano un elemento con l’altro. Tale complessità pone ardui compiti alla nostra ragione, che deve sviluppare schemi di pensiero, modalità di approccio, metodi per l’analisi, l’interpretazione e la previsione dei fenomeni adeguati a tale complessità. Si impone quindi il compito di un cambiamento di paradigma, dell’acquisizione di una nuova struttura di pensiero, che

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definiamo “mentalità scientifica sistemica”. Questa espressione intende sottolineare la sua natura scientifica, razionale, in antitesi a quella mentalità, molto diffusa, che svaluta il ruolo della razionalità e delle scienza. LA DIMENSIONE ESTETICA E RELIGIOSA La dimensione etica, quella politica e quella cognitiva sono indispensabili per realizzare le finalità dell’educazione ambientale: far sì che i cittadini del domani affrontino in maniera adeguata uno dei principali problemi della nostra epoca. Puntare solo sulla dimensione etica sarà fallimentare, perché i problemi ambientali sono così complessi che certo non si può dare un contributo rilevante alla loro soluzione senza la preparazione tecnica necessaria, armati solo di buone intenzioni. D’altra parte, avere la preparazione tecnica non garantisce che la si impieghi e la si impieghi per il bene generale. La politica, non fondata su saldi principi etici, si riduce a lotta per il potere fine a sé stesso. Queste tre dimensioni devono essere quindi tutte promosse nell’educazione ambientale. Esistono però altre dimensioni che, pur non necessarie, possono riguardare l’educazione ambientale, come la dimensione estetica e quella religiosa. Se si impara a cogliere la bellezza della natura si avrà un’ulteriore motivazione per impegnarsi nel suo studio e nella sua difesa. E’ opportuno, allora, avvicinare i soggetti da educare agli elementi che determinano la bellezza della natura: il paesaggio, la varietà delle forme viventi, la “perfezione” dei cicli naturali e dei meccanismi omeostatici, la grandiosità delle molteplici interrelazioni tra i vari elementi dell’ecosfera e le meraviglie dei processi evolutivi. Sollecitando l’attenzione e la conoscenza di questi elementi si sviluppa un atteggiamento di stupore, rispetto, amore per la natura. Tali elementi verranno considerati beni di inestimabile valore, per la loro bellezza, fragilità, unicità. Beni che devono essere pertanto salvaguardati, tutelati, difesi e sui quali, anche per questo, c’è un interesse collettivo preminente, tanto da essere definiti “patrimonio dell’umanità”. Anche la relazione con il divino può influenzare i rapporti tra uomo e ambiente. E’ opportuno, allora, far prendere coscienza ai discenti che credono in Dio che un’autentica esperienza religiosa promuove un impegno fattivo di difesa dell’ambiente, fornendo ulteriori motivazioni a quelle prima illustrate. Un’autentica esperienza religiosa13 comporta una nuova e decisiva chiave di lettura del mondo umano. Anzitutto essa, riconoscendo in Dio l’unico assoluto, depotenzia l’assolutezza di ogni altra istanza e valore umano, riconducendo tale assolutezza ad una “idolatria”. In tal modo nella chiave di lettura credente, questi sono subordinati all’unico e vero assoluto (che è Dio), perdendo la carica “idolatrica” che spesso assumono nella storia umana. Questa deformazione idolatrica è molto diffusa anche nella cultura moderna e postmoderna e nel mondo occidentale. Essa eleva di volta in volta al rango di valore assoluto i diversi valori prodotti dalla società e dagli umani nella loro storia: la crescita economica, la patria, il “progresso” della scienza e della tecnica. In tale evenienza l’essere umano viene facilmente sacrificato ai valori di volta in volta egemoni. Si opera allora un sovvertimento dei valori, un’inversione dei fini nei mezzi e viceversa. Così, la crescita economica diventa il metro di valutazione del benessere di una società e non uno dei suoi fattori condizionali: da condizione previa e relativa, necessaria ma non sufficiente di benessere, diventa criterio ultimo.

13 Ci riferiamo al concetto di “esperienza religiosa autentica” utilizzato per individuare quell’esperienza religiosa che non è riducibile ad un’istanza di identificazione sociale (con un gruppo, una cultura, dei valori, delle credenze) o a fenomeni quali la superstizione, la magia ecc. L’esperienza religiosa autentica è quella che scaturisce da un rapporto vissuto col divino; anche se questo rapporto vissuto può coniugarsi (spesso anzi si coniuga) con processi di identificazione sociale e può perfino essere distorto in forme di alienazione religiosa. Che tale rapporto col divino sia reale (come i credenti interpretano) o illusorio (come i non credenti ritengono) è questione che in questa sede non interessa.

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Il progresso della scienza e della tecnica, assunto come valore assoluto, comporta una distorsione fatale del conoscere e della prassi umana, in quanto si disancorano dal loro orizzonte di senso. Un’autentica esperienza religiosa, inoltre, apre il soggetto all’amore verso gli altri uomini e, quindi, ad un impegno fattivo contro l’ingiustizia, contro le disparità che nella storia e nella società si creano tra i vari soggetti umani. Per colmare questi dislivelli il credente è portato a prendersi cura dei soggetti deboli e marginali, qualunque sia la causa di questa debolezza e marginalità. Questo atteggiamento di compassioni fratellanza, solidarietà, trova terreno di verifica e di impegno proprio nella lotta contro le “idolatrie” che caratterizzano la nostra storia, perché tutte sono alla scaturigine di una competizione tra gli uomini, che crea disparità ed emarginazione. In ultimo si deve considerare che la storia umana si svolge nel contesto della natura e che l’esperienza religiosa ha un’incidenza anche su questo piano. La fede religiosa, richiamando alla coscienza la “presenza” di Dio nella natura, è particolarmente attenta a come la storia umana si inserisce in tale contesto. E’ vero che le varie religioni si diversificano notevolmente nel modo in cui simbolizzano questa presenza del divino nella natura, tuttavia la coscienza di tale presenza, comunque concepita, porta a denunciare le “distorsioni” che si producono nel nostro rapporto con essa. Tali distorsioni derivano appunto sia dall’idolatria dei valori umani sia dall’ingiustizia nei rapporti tra gli uomini. E’ dunque palese che la fede religiosa può offrire ulteriori motivazioni per l’impegno contro il degrado ambientale: l’educazione ambientale, pertanto, può far perno anche su questa componente della nostra esperienza. 2.3 UNA STRATEGIA PER L’EDUCAZIONE AMBIENTALE Un’educazione ambientale veramente formativa non può limitarsi a far acquisire delle conoscenze (sull’ambiente, sugli ecosistemi, sulle varie forme d’inquinamento ecc.) e a far maturare una generica “sensibilità” per le questioni ambientali. Essa deve invece riuscire a perseguire questi altri tre obiettivi: - sviluppare una “mentalità scientifica sistemica” adeguata ai problemi ambientali, ossia una “struttura di pensiero” capace di collegare razionalmente la molteplicità degli elementi, delle interrelazioni e dei processi; - promuovere la maturazione etica dei soggetti a cui ci si rivolge, cioè sviluppare in loro la capacità di “mettersi nei panni degli altri”, l’empatia e il desiderio di cercare soluzioni secondo giustizia ai conflitti, facendo acquisire le competenze basilari per realizzare tale desiderio di giustizia; - indurre una pratica d’impegno civile. Questa pratica deve essere guidata dai valori della giustizia, della solidarietà, della prudenza e della non violenza. Essa deve essere capace di assumersi la responsabilità nei confronti dell’intero genere umano ed anche delle future generazioni. FORMAZIONE DI UNA MENTALITÀ SCIENTIFICA SISTEMICA L’acquisizione di un certo bagaglio di conoscenze è condizione necessaria, ma non sufficiente, per lo sviluppo di una “mentalità scientifica sistemica”. Infatti lo sviluppo cognitivo non avviene per accumulazione, ma con un processo di strutturazione delle conoscenze in insiemi coerenti. L’acquisizione di nuove conoscenze tende a mettere in crisi la “struttura di pensiero” esistente, adattandola ai nuovi concetti acquisiti. Tali momenti di ristrutturazione permettono di superare ostacoli alla conoscenza e di integrare le nuove e le vecchie conoscenze in un quadro coerente, ridefinendo il precedente patrimonio cognitivo. Come esempio analizziamo l’interpretazione che il bambino dà all’alternarsi del giorno e della notte. Egli interpreterà tale fenomeno assimilando i dati d’esperienza (la percezione visiva del movimento del sole, che sorge, raggiunge un apice e poi tramonta; la coincidenza delle ore d’oscurità con quelle del sonno e delle ore di luce con quelle di veglia ecc.) nella struttura di

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pensiero caratterizzata dall’egocentrismo e dal pensiero magico propri della sua età (tra il secondo ed il sesto anno di vita) frutto, tra l’altro, dell’esperienza vissuta di totale dipendenza dalle figure parentali, che soddisfano tutti i suoi bisogni. Egli quindi si darà la seguente interpretazione: “La Terra è ferma e il Sole si muove. Ci illumina di giorno, così che possiamo giocare, uscire ecc. Di notte si nasconde, così da consentire più facilmente il sonno”. Tale interpretazione è ben radicata nel bambino, perché suffragata sia dai dati dell’esperienza che dalla “teoria scientifica” da lui seguita. Sarà quindi abbandonata solo quando altre conoscenze, altre esperienze (in particolar modo le esperienze di frustrazione) metteranno in crisi la sua struttura di pensiero egocentrico, consentendogli una nuova interpretazione dei dati di esperienza ed una ridefinizione del bagaglio cognitivo più adeguata alla realtà. Un processo di ristrutturazione cognitiva non è ovviamente possibile se le nuove conoscenze non vengono ad interagire con quelle già possedute. Purtroppo nel campo della formazione ciò succede spesso. Infatti non è raro il caso dell’educatore che opera come se l’educando fosse una tabula rasa, gli nega la possibilità di esprimere il proprio bagaglio cognitivo o propone un sapere dogmatico e stereotipato. Se infatti il conflitto cognitivo è importante per definire una nuova più adeguata struttura di pensiero, bisogna anche dire che di fronte ad una dissonanza cognitiva il soggetto può reagire in vari modi. Egli può: - interrompere la comunicazione con la fonte di informazioni dissonanti; - svalutare l’emittente e, quindi, rifiutare i suoi messaggi dissonanti; - distorcere il messaggio; - compartimentarlo, cioè sedimentare i messaggi in compatimenti di valore disomogeneo; - assimilarlo e rielaborarlo. Ora ciò che spesso avviene a scuola è proprio un processo di compartimentazione, per cui ciò che si impara in classe (la conoscenza scientifica) non ha alcun rapporto con quel che si è imparato empiricamente. Così l’allievo finisce per aver due sistemi esplicativi paralleli, che non hanno presa l’uno sull’altro. A scuola lo studente applica un sistema, ma nelle vita extrascolastica fa riferimento al suo sapere empirico, che poggia su evidenze e analogie superficiali, non sottoposte a verifica e a falsificazione. Tale sapere è inciso con forza nel soggetto, proprio perché è empirico, suffragato dall’esperienza, dai fatti. Il sapere scolastico, invece, è quasi sempre un sapere non originato dall’esperienza personale, ma acquisito mediante un processo di comunicazione e, quindi, inquadrato come astratto, teorico, estraneo. E’ necessario allora che l’educatore faccia emergere il patrimonio cognitivo dell’alunno e ci lavori sopra, rimuovendo gli ostacoli allo sviluppo di una mentalità scientifica. E’ quindi più opportuno fare domande che dare risposte, suscitare dubbi che fornire certezze, far compiere esperienze che dare spiegazioni. A fondamento della scienza c’è infatti il principio di mettere in discussione (di falsificare) le “verità” acquisite, di cercare più che le conferme alle proprie ipotesi interpretative, le eventuali smentite, così da arrivare ad ipotesi più appropriate. Spesso negli allievi il dubbio si insinua proprio dal confronto paritario tra le diverse interpretazioni che essi stessi danno di un fenomeno e l’attitudine alla “falsificazione” nasce dall’esigenza di dover convincere gli altri che le loro interpretazioni sono errate e le proprie giuste. Occorre allora una prassi educativa fondata sulla ricerca e sul lavoro comune, che porti non a ritenere quante più nozioni è possibile su un dato argomento, ma a maturare una “mentalità scientifica sistemica”, mettendo in crisi gli ostacoli che vi si frappongono. Tali ostacoli possono essere evidenze primarie, pregiudizi, rappresentazioni fallaci, concetti ostacolanti. Un’evidenza primaria, per esempio, è l’apparente moto del sole o l’apparente scomparsa degli inquinanti quando vengono dispersi. Esempi tipici di pregiudizio sono: “la scienza e la tecnologia possono risolvere qualsiasi problema”, “le cose naturali sono buone”. Un esempio di rappresentazione fallace è considerare l’energia un quid misterioso, un vago pneuma e non qualcosa di fisico, di misurabile e di trasformabile. Concetti ostacolanti sono i concetti economici di

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produzione e consumo; essi dovrebbero, con più aderenza alla realtà, essere sostituiti con quello di trasformazione: trasformazione in merci e trasformazione in rifiuti. Il compito dell’educazione ambientale in campo cognitivo è quindi duplice: da un lato minare gli ostacoli ad una “mentalità scientifica sistemica” (le evidenze primarie, i pregiudizi, le rappresentazioni fallaci, i concetti ostacolanti), dall’altro far acquisire i concetti che strutturano una tale mentalità. Tra i principali ostacoli da rimuovere, oltre quelli prima portati ad esempio, possiamo indicare la causalità lineare, il finalismo antropocentrico (che trapela in domande quali: “A cosa servono le zanzare?”), la cieca fiducia nel progresso tecnologico (“Si inventerà un nuovo ritrovato e il problema sarà risolto”), il concetto che la materia (al di là delle reazioni nucleari) può scomparire o trasformarsi in energia (“La candela si consuma perché diventa luce e calore”, “I rifiuti negli inceneritori si trasformano in energia e cenere”) ecc. Tra i concetti strutturanti da far acquisire possiamo indicare quelli di atomo, molecola, ciclo della materia, energia, entropia, sistema, output, retroazione, rete alimentare, risorsa, rifiuto, inquinamento, meccanismo omeostatico, equilibrio dinamico, processo, modello, nonché che in natura nulla si crea e si distrugge, che l’energia ad ogni trasformazione si degrada (il secondo principio della termodinamica), che il nostro pianeta è finito e ha risorse e capacità d’adattamento limitate ecc. L’EDUCAZIONE ALL’ETICA La prescrizione di norme di condotta, gli inviti a comportarsi correttamente, la predicazione dei valori etici hanno ben scarsa influenza sugli studenti, come gli insegnanti ben sanno. E’ necessario allora avere un approccio più scientifico all’educazione morale, ponendosi i seguenti interrogativi: come avviene lo sviluppo morale e come può essere favorito? Abbiamo visto che la conoscenza non avviene per accumulazione ma tramite un processo di assimilazione e strutturazione, cioè di acquisizione di conoscenze tramite schemi interpretativi e di strutturazione di tali conoscenze in schemi interpretativi via via più complessi e più adeguati alla realtà. Anche lo sviluppo morale non avviene tramite accumulazione, tramite l’acquisizione di sempre più norme. Questo è uno dei motivi per cui la prescrizione di norme di condotta, gli inviti a comportarsi correttamente e la predicazione di valori hanno così scarsa influenza. Lo sviluppo morale ha invece un andamento stadiale, dove ogni stadio è caratterizzato da una definita struttura di ragionamento morale, che guida il soggetto a stabilire ciò che si deve fare di fronte ad una scelta etica. Il passaggio da uno stadio ad un altro avviene quando la struttura di quello stadio entra in crisi in seguito ad esperienze che ne dimostrano l’inadeguatezza e che permettono così il passaggio ad uno stadio più evoluto. Piaget, con i suoi studi sulla morale dei bambini, ha individuato due stadi di sviluppo morale nel bambino: un primo stadio “eteronomo”, in cui la morale è fondata sull’obbedienza all’autorità e la giustizia veniva concepita come retributiva (la giustizia consiste nel premiare chi obbedisce e punire chi disobbedisce); un secondo stadio “autonomo”, in cui la morale è basata sulla cooperazione e sulla responsabilità soggettiva e la giustizia è distributiva (consiste nel dare a ciascuno ciò che gli spetta). Kohlberg ha rivolto il suo interesse non solo ai bambini, ma anche agli adolescenti e agli adulti, arrivando a definire 6 stadi di sviluppo morale, raggruppati in 3 livelli:

- Livello preconvenzionale: in questo livello l’azione giusta è quella conforme alla regola, a cui si obbedisce per ottenere un vantaggio o evitare una punizione (obbedienza strumentale). Tale livello comprende gli stadi 1 e 2. Nello stadio 1 buono/cattivo, giusto/sbagliato sono dipendenti dalle conseguenze dell’azione sul soggetto (se il soggetto consegue un vantaggio dalla sua azione, l’azione è buona, se consegue una punizione l’azione è cattiva). Lo stadio 2 è basato sul relativismo strumentale: è giusto soddisfare le proprie necessità, acconsentendo che gli altri facciano altrettanto.

- Livello convenzionale: il giusto viene valutato sulla base delle relazioni con gli altri e dell’appartenenza sociale. Il criterio cardine è la reciprocità. Tale livello comprende gli stadi 3

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e 4. Nello stadio 3 il giusto è soddisfare le aspettative del proprio gruppo e il motivo per comportarsi in maniera giusta è il bisogno di essere considerato bene dal proprio gruppo. Criteri importanti per giudicare ciò che è giusto sono la lealtà e il “non fare agli altri quello che non vorresti gli altri facessero a te”. Nello stadio 4 il criterio fondamentale è il rispetto del patto sociale e, quindi, della legge.

- Livello postconvenzionale: il comportamento morale va al di là della legge e delle convenzioni perché fa capo a principi fondamentali (es. l’uguaglianza dei diritti umani). In particolare nello stadio 6 si considera la concretizzazione dei principi etici un dovere non derogabile, che può portare all’obiezione di coscienza; inoltre, la responsabilità personale non ha più confini temporali e spaziali (“Tutti gli uomini sono miei fratelli e mi stanno a cuore”).

Il passaggio da uno stadio ad un altro, come abbiamo detto, avviene in seguito ad esperienze che mettono in crisi gli elementi che strutturano un dato stadio, consentendo il passaggio allo stadio successivo. La sequenza di stadi, infatti, non è modificabile, non si possono saltare stadi. Se uno studente è allo stadio 3 e si fa guidare dal principio che “bisogna comportarsi in modo da essere considerato ok dal proprio gruppo di amici”, non può arrivare allo stadio 6 se non passando per gli stadi 4 e 5. Per tali motivi Kohlberg ritiene che la strategia migliore per promuovere uno sviluppo morale sia quella di mettere i soggetti di fronte a dilemmi morali, facendo prendere coscienza del perché si ritiene giusto comportarsi in una determinata maniera (prendere consapevolezza del ragionamento morale che si mette in atto e dei suoi limiti) e far confrontare i ragionamenti propri di uno stadio con quelli di stadi successivi (preferibilmente di quelli più prossimi: per i soggetti che sono allo stadio 3, innanzitutto i ragionamenti dello stadio 4, ed eventualmente quelli dello stadio 5). Anche per l’educazione morale è allora più opportuno fare domande che dare risposte, suscitare dubbi piuttosto che fornire certezze, far compiere esperienze che fare appelli e prediche. Sia Kohlberg che altri autori hanno sperimentato con buoni risultati l’utilizzazione di tale strategia e in particolare dell’uso dei dilemmi14 e di contesti morali15 in campo educativo. 14 Un esempio di dilemma utilizzato da Kohlberg per gli adolescenti è il seguente: “Sharon e la sua migliore amica, Jill, entrano in un grande magazzino per fare spese. Jill nota una camicetta che le piace molto e dice a Sharon che la vuole provare. Jill esce dal camerino di prova indossando il cappotto. Cerca Sharon con lo sguardo, le fa cenno di avere la camicetta sotto il cappotto e subito esce dal magazzino. Anche Sharon si avvicina all’uscita, ma viene fermata da un addetto alla sicurezza e da un commesso, che le chiedono di mostrare se ha indumenti nella borsa. Sharon mostra che non ha alcun indumento nella borsa. Essi allora capiscono che è stata l’amica a rubare la camicetta. Chiamano il direttore, che chiede a Sharon il nome e l’indirizzo dell’amica. Il direttore le dice: “Non posso permettere che i ladri la fanno franca. Se non ci dici il nome sarai accusata di favoreggiamento”. Finita l’esposizione del dilemma, si chiede “Sharon dovrebbe dire il nome dell’amica? Cosa è giusto che ella faccia e perché?” Tale dilemma parte dalla considerazione che la maggioranza degli adolescenti si trova allo stadio 3. Le risposte tipiche di questo stadio sono: “Non deve denunciarla perché è la sua migliore amica” oppure “Deve denunciarla perché la famiglia di Sharon si aspetterebbe questo da lei ed ella non può tradirli”, “Deve denunciarla perché Jill, mettendola in quella situazione, ha tradito la sua amicizia”. Gli adolescenti che sono ad uno stadio più basso tenderanno a dare risposte tipo “Non deve denunciarla perché Jill non la tratterebbe più”, “Perché nessuno la tratterebbe più” oppure “Deve denunciarla perché altrimenti passa un guaio”. Gli studenti di stadio superiore daranno risposte tipo: “Deve denunciarla perché rubare è un reato e si deve rispettare la legge”, “Deve denunciarla perché se tutti rubano dove si va a finire?”, “Deve denunciarla perché non è bene rubare e può essere ammesso solo in caso di vita o di morte” ecc. Ovviamente oltre a dilemmi ipotetici è opportuno che l’insegnante utilizzi le reali questioni morali che i rapporti personali, la vita scolastica e quella sociale presentano, non utilizzandole come occasioni per dire la sua posizione in proposito, per fare appelli, inviti e prediche, ma come occasione per invitare i ragazzi a dire cosa secondo loro è giusto fare in quella determinata situazione e perché, per suscitare una franca discussione, per insinuare dubbi che portino a posizioni più avanzate. 15 Ci riferiamo in particolare alle esperienze delle “just community”, attuate in varie scuole, private e pubbliche. Una scuola “just community” è basata su questi punti: la scuola deve porsi come proprio obiettivo prioritario lo sviluppo morale; la scuola deve decidere di essere una comunità in cui si pratica la giustizia e la democrazia, che abbia una forte tensione etica; le regole di funzionamento della scuola devono essere decise

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La proposta di dilemmi su cui discutere ha molti aspetti positivi dal punto di vista educativo, perché tramite essi gli studenti possono rendersi conto della complessità, mettersi nei panni dei diversi attori, apprendere ad esprimere giudizi argomentandoli, chiarirsi i valori e i principi che sottendono opinioni e argomentazioni, sviluppare la capacità di fare previsioni e anticipare le conseguenze delle azioni, imparare ad ascoltare (a capire le posizioni e le argomentazioni degli altri) e a comunicare efficacemente (a farsi capire e a convincere). Le ricerche sull’educazione all’etica hanno evidenziato che è importante fare in modo che gli studenti si mettano nei “panni dell’altro”, sappiano considerare le situazione da punti di vista diversi dai propri e comprendere le ragioni dell’altro. Bisogna allora invitare ad esaminare la realtà dalla parte dell’altro ogni volta che è possibile (nelle discussioni, quando si legge e si interpreta un brano, quando si è di fronte ad una storia ecc.). Molto utili, ovviamente, sono i giochi di ruolo. L’assunzione del ruolo altrui non solo è la base per decidere cosa è secondo giustizia, ma è utile anche per favorire l’empatia, per sentire affettivamente e comprendere razionalmente che si può essere l’altro, che l’altro è ugualmente degno di noi, che l’altro si aspetta da noi ciò che noi ci aspetteremmo se fossimo nella sua condizione, fino a comprendere che siamo tutti fratelli e che il bene dell’altro è il nostro bene. Tutto questo è importante perché il comportamento morale non dipende solo dallo stadio di sviluppo morale (che attiene in sintesi a “Cosa è giusto fare in questa situazione?” e quindi al “ragionamento morale”), ma anche dall’affettività positiva (interesse, empatia, pietà, amore) nei confronti degli altri e dal senso di responsabilità. In riferimento a quest’ultimo elemento è importante dare fiducia agli studenti e far prendere loro delle responsabilità: far sentire/capire che sono soggetti responsabili, che non sono più bambini e che noi li riteniamo persone responsabili, che devono rendere conto delle proprie azioni (e dei motivi che hanno portato a tali azioni) e assumersene le responsabilità e le conseguenze. L’azione morale è in relazione anche con altri elementi, quali:

- le conoscenze sull’argomento: se si ignorano elementi importanti del dilemma morale che si sta affrontando, la scelta potrebbe essere non conforme a giustizia. Per esempio se si ignora che alcuni prodotti hanno un forte impatto ambientale o sono fabbricati grazie allo sfruttamento brutale del lavoro minorile è ovvio che non si possono fare scelte di consumo eticamente responsabili;

- le opinioni, i pregiudizi, gli atteggiamenti: possono determinare una distorsione della realtà e, quindi, della situazione problematica che richiede una nostra scelta etica. Se per esempio si hanno pregiudizi positivi oppure negativi nei confronti dell’autorità costituita (gli Enti Locali, lo Stato ecc.) o nei confronti delle manifestazioni di piazza, si possono fare scelte non conformi a giustizia nelle situazioni di conflitto sociale. Se si ha un atteggiamento fatalistico, ritenendo che le nostre scelte sono irrilevanti e che il bene e il male dipendono dal fato e non dalle azioni degli uomini, verrà meno una delle principali ragioni per mettere in atto comportamenti conformi a giustizia;

- la capacità di ragionamento e di approccio alla complessità: gli studi sullo sviluppo morale hanno evidenziato che esso è fortemente influenzato dallo sviluppo cognitivo. Compiere scelte eticamente responsabili in molti casi richiede l’analisi di situazioni complesse, la capacità di individuare azioni e strategie, di prospettare i pro e i contro delle diverse possibili soluzioni: tutto ciò richiede adeguate competenze cognitive;

democraticamente da tutte le componenti della scuola (dirigente, docenti, studenti, famiglia, personale amministrativo); la scuola deve darsi strutture che garantiscano la partecipazione delle varie componenti e la democraticità delle decisioni; le regole stabilite devono indicare diritti e doveri di ciascuna componente; devono essere istituite commissioni disciplinari e di giustizia, che abbiano come membri sia studenti che docenti, con il compito di decidere le sanzioni per i comportamenti fuori norma e i provvedimenti da prendere per i comportamenti comunque non corretti di studenti e docenti. L’esperienza delle “just community” pone in rilievo il ruolo della scuola come contesto educativo e l’importanza del così detto “curriculum nascosto”, elementi su cui molti autori si sono soffermati.

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- la percezione dei rischi derivanti dall’azione ritenuta giusta: il soggetto potrebbe non attuare la scelta ritenuta giusta per timore delle conseguenze negative sulla sua persona o sui suoi cari. La percezione di rischio ha una componente cognitiva (la conoscenza dei possibili rischi) e una emotiva (la risonanza che tali rischi suscitano sulla nostra psiche, le emozioni che suscitano), che è fortemente condizionata dalle esperienze vissute;

- l’attitudine al rischio: vi sono persone che amano il rischio, i comportamenti avventurosi, il mettersi alla prova e altre che desiderano sicurezza e tranquillità. L’attitudine al rischio varia da soggetto a soggetto ed è massima nell’adolescenza;

- l’autostima: può essere definita come la valutazione sulle informazioni riguardanti se stessi, informazioni “interne” (i propri comportamenti, i propri desideri, pensieri ecc.) e informazioni “esterne” (i giudizi, le frustrazioni, le gratificazioni ecc.). L’autostima non è una qualità fissa, ma variabile, in continua evoluzione durante tutta la vita. Soggetti con bassa autostima più difficilmente riescono a resistere ai condizionamenti sociali e a prendere decisioni che comportano difficoltà;

- l’autoefficacia: con tale termine si intende la percezione che il soggetto ha delle proprie abilità e della propria efficacia nel sapere attuare un determinato comportamento. Se il soggetto ritiene di non essere capace di attuare un determinato comportamento tenderà ad evitarlo, a non sperimentarlo. L’azione morale può richiedere specifiche competenze (competenze comunicative, abilità motorie, capacità di controllare le proprie emozioni ecc.) e il soggetto può non metterla in atto perché ritiene di non esserne capace. Ciò può alimentare una bassa autostima, che rafforzerà la percezione di scarsa autoefficacia;

- la capacità di reggere la frustrazione e di trovare gratificazioni: spesso fare ciò che è giusto può avere conseguenze negative sul soggetto che si comporta in tal modo oppure può non produrre i risultati sperati. La capacità di reggere la frustrazione o di trovare elementi che comunque gratificano il soggetto della propria scelta sono pertanto elementi importanti per l’agire etico. La fede religiosa, l’adesione ad una ideologia, la relazione con persone che condividano le proprie scelte svolgono un ruolo importante in tal campo;

- la connotazione sociale: cioè come il contesto sociale giudica l’azione che si ritiene giusta. Vi sono comportamenti eticamente corretti che in determinati contesti possono essere giudicati stravaganti, pedanti, “poco virili” (ad esempio non comprare i prodotti ad alto impatto ambientale o sociale, raccogliere in maniera differenziata i rifiuti, non fare rumori che possano disturbare i vicini ecc.) e comportamenti eticamente riprovevoli che possono essere socialmente accettati o tollerati (ad esempio favorire un conoscente o un raccomandato);

- la normativa: è ovviamente più facile mettere in atto un’azione se tale azione è prescritta dalla legge, di contro si può ritenere giusta un’azione che va contro le norme e proprio per questo avere difficoltà a metterla in pratica.

Se il comportamento etico è influenzato da tutti questi elementi si comprende come sia necessaria una strategia complessa per conseguire un’educazione morale. Gli educatori dovrebbero per questo interrogarsi sui loro atteggiamenti e comportamenti nei confronti dei propri ragazzi e sul contesto scolastico per verificare se si passano messaggi di disistima o di stima, di rinuncia o di incoraggiamento, di sfiducia o fiducia, di responsabilizzazione o di deresponsabilizzazione, per verificare se si propongono mete stimolanti o no, raggiungibili o irraggiungibili. La moralità, infatti, attiene alla prassi ed è influenzata molto più dall’esempio, dall’esperienza concreta che non da discorsi, letture, studio. Un insegnante che vuole promuovere un’educazione all’etica non può quindi limitarsi allo svolgimento di una o più unità didattiche, ad un curriculum didattico tradizionalmente inteso, ma deve utilizzare esperienze concrete, curare la relazione con gli allievi e tra questi, essere attento al contesto scolastico e al ruolo educativo che esso svolge. Sia Kohlberg che altri autori hanno richiamato l’attenzione sul così detto “curriculum nascosto”, cioè sulle esperienze a cui il contesto scolastico sottopone i suoi studenti, sui messaggi impliciti che la scuola, nelle sue varie componenti, momenti e articolazioni, invia agli studenti. Il curriculum nascosto è molto più importante del curriculum manifesto nell’educazione all’etica e all’impegno

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politico. L’insegnante con la comunicazione verbale e non verbale, con i suoi comportamenti abituali e con specifici atti può inviare messaggi impliciti, dissonanti con quelli espliciti o comunque negativi ai fini dello sviluppo morale degli studenti. Ad esempio, pronunciare una semplice, banale frase può vanificare l’attività didattica così accuratamente progettata, perché la riduce ad una finzione, ad un gioco delle parti. Un educatore che pronunciasse frasi come “Le cose sono sempre andate così, non ci si può fare niente!”, oppure “Non fare l’avvocato di X! Pensa ai fatti tuoi!”, darebbe un incisivo insegnamento a favore del fatalismo, della deresponsabilizzazione, dell’individualismo, al “menefreghismo”. Tollerare che si copi durante il compito o l’infrazione di altre regole (entrare in orario, uscire di classe solo durante l’intervallo o per l’esistenza reale dei motivi stabiliti ecc.), può vanificare i messaggi sulla necessità del rispetto delle regole e dell’assunzione di responsabilità. D’altra parte un insegnante troppo rigido nel far rispettare le regole può contraddire il messaggio che l’uomo viene prima di tutto, anche della legge (la legge è fatta per l’uomo e non l’uomo per la legge). Ancora, un metodo di insegnamento troppo individualista, dove gli studenti studiano da soli, non devono ricevere o prestare collaborazione ad altri studenti e nei quali la valutazione è individuale e competitiva (una sorta di gara nella quale si compete per arrivare ai primi posti) educa implicitamente all’individualismo, a farsi i fatti propri, a non prendersi cura dell’altro. Viceversa, un reale interesse dell’insegnante per i propri studenti, una tensione etica, una passione per la giustizia sono un potente stimolo per gli studenti e un esempio con cui inevitabilmente dovranno confrontarsi. Ma come abbiamo detto, bisogna considerare non solo l’insegnante ma l’intero contesto scolastico che è un “ambiente educativo implicito”, che deve educare all’assunzione di un comportamento responsabile, alla giustizia, alla democrazia, all’interesse per la res publica, all’impegno in favore degli altri e in particolare dei deboli. E’ necessario, infatti, che lo studente trovi anche stimoli, conferme, gratificazioni e frustrazioni che lo facciano progredire e non arrestare nel suo sviluppo morale. L’esercizio e il non esercizio dell’autorità da parte del personale della scuola, l’organizzazione scolastica e le regole esplicite e implicite che la sottendono hanno un valore enorme in tal senso. Per questo la scuola deve essere democratica e deve coinvolgere il più possibile gli studenti nelle decisioni, trattandoli come soggetti responsabili, ma deve anche pretendere il rispetto delle regole che ci si è dati per fare in modo che la scuola svolga al meglio le proprie funzioni e realizzi i propri obiettivi, deve sanzionare e cercare di recuperare chi contraddice tali regole. Proprio perché la morale ha anche una componente affettiva e sociale è necessario che in classe e nella scuola si crei un’atmosfera morale. La classe, la scuola deve essere sempre più percepita dagli studenti (e dal personale della scuola) come un “noi” fondato su un’identità e su una solidarietà collettiva, su equità, rispetto, fiducia e aiuto reciproco. Un “noi” verso cui siamo responsabili. L’EDUCAZIONE ALL’IMPEGNO CIVILE Come abbiamo visto, essendo il degrado ambientale determinato non solo dai comportamenti dei singoli individui ma anche da fattori strutturali non ci si può limitare a indurre comportamenti più ecocompatibili ma è necessario promuovere l’impegno politico, la difesa attiva dell’ambiente. Ciò sembra anche tatticamente più efficace. A differenza dell’educazione sanitaria, in cui la modificazione dei comportamenti del singolo individuo ha direttamente una ricaduta positiva sulla salute, nell’educazione ambientale la modifica dei “comportamenti antiecologici” del singolo individuo non incide sulla sua qualità della vita. Infatti in educazione ambientale la promozione della salute avviene solo se una quota consistente degli individui modifica i propri comportamenti. In tal caso interessa tutta la collettività, e dunque investe sia colui che ha modificato i propri comportamenti, sia colui che non li ha modificati. Ad esempio, se una persona smette di fumare la sua salute ne beneficerà, per lo meno come diminuzione di rischio di contrarre alcune patologie. Se invece un individuo usa meno la propria auto ciò non determina nessun beneficio diretto per la sua

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salute, a meno che tale scelta non venga adottata da una percentuale consistente della collettività. I comportamenti “antiecologici”, inoltre, sono spesso dovuti a difficoltà oggettive, per cui i cittadini non sono incentivati ad operare scelte alternative. Si pensi, ad esempio, all’abuso dell’auto privata in assenza di un adeguato servizio di trasporto pubblico. Ecco perché non ci sembra opportuno e “vincente” centrare l’intervento sulla responsabilità del singolo individuo e sul conseguente invito a non inquinare. In tale maniera c’è il rischio di colpevolizzare, in fondo ingiustamente, l’interlocutore e, quindi, di poterselo alienare. Peraltro il singolo individuo è consapevole che la modifica dei suoi comportamenti ha scarsa rilevanza sulla sua qualità della vita e sulla situazione ambientale. Anzi i “comportamenti ecocompatibili” spesso finiscono per complicare la vita quotidiana. L’interlocutore, dunque, non è motivato a mutare quei comportamenti che, spesso, rimangono inalterati per il resto della collettività. Può essere allora più efficace una strategia diversa: indurre le persone a prendere coscienza del proprio ed altrui diritto alla salute, ad un ambiente sano, ad una migliore qualità della vita, incentivandole ad intervenire affinché gli “altri” non attentino al patrimonio comune, nonché alla propria e altrui qualità della vita. Questa strategia, vantaggiosamente usata in educazione sanitaria contro il fumo (“Chi fuma avvelena anche te, digli di smettere”) sfrutta la naturale minore indulgenza nei confronti degli altri. Essa appare particolarmente appropriata ad una tematica, quella del degrado ambientale, in cui le maggiori responsabilità non sono da ascrivere al singolo individuo, ma alla collettività e in cui è necessario un impegno civile per incidere sulle strutture che determinano la crisi ecologica. Non è cosa semplice suscitare nei ragazzi l’impegno civile. Secondo le ricerche di alcuni autori l’interesse per la cosa pubblica e l’impegno sembrano favoriti da due diversi ordini di elementi: indiretti e diretti. Tra i primi si segnalano in particolar modo quelli che attengono all’attitudine all’interesse per la cosa pubblica e alla partecipazione. Tali elementi sarebbero fortemente influenzati dalla famiglia e dalla scuola. Se in famiglia e a scuola c’è interesse per la cosa pubblica, se si parla dei problemi sociali e politici, se ne discute, il ragazzo svilupperà facilmente un interesse per questi temi. Se la famiglia e la scuola sono strutture in cui si pratica la democrazia, che promuovono l’autostima e l’autoefficacia del ragazzo (“io sono una persona che può dire la sua e influire sulle scelte”), facilmente si svilupperà nel ragazzo un’attitudine alla partecipazione. Tra i gli elementi diretti si segnala in particolare il contatto con specifici soggetti impegnati socialmente che introducono il ragazzo all’impegno concreto. Un ruolo determinante, quindi, ha la scuola anche in questo campo, perché può favorire il contatto degli studenti con associazioni e persone impegnate, nonché promuovere la nascita di gruppi di impegno studenteschi. Per quanto riguarda l’impegno nella difesa dell’ambiente è, a nostro giudizio, necessario attivare i seguenti momenti: a) favorire la motivazione Si deve cercare di motivare i ragazzi ad interessarsi dei problemi ambientali e ad impegnarsi nella difesa dell’ambiente. Le strategie possono essere varie. Si possono illustrare le conseguenze negative del degrado ambientale per la nostra salute o per quanto ci sta a cuore o per i soggetti deboli della società o per l’intero genere umano, facendo leva sull’affettività (il timore di un danno alla salute o a quanto ci è caro, la compassione, l’empatia ecc.) o su valori quali la giustizia, la solidarietà, la prudenza, la nonviolenza. Ancora, si possono sottolineare gli effetti positivi che una corretta gestione dell’ambiente può avere sulla nostra qualità della vita, sul benessere dell’intera famiglia umana, sull’esistenza di altri esseri viventi, nonché su altri nostri interessi (le finanze personali e collettive, la possibilità di nuova occupazione ecc). Si possono prospettare anche motivazioni più contigenti, ma particolarmente motivanti per gli adolescenti, quali svolgere un ruolo proprio degli adulti, “fare gruppo”, diventare protagonisti, suscitare l’interesse di altri coetanei, di adulti, dei mass-media ecc.

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In ogni caso il risultato deve essere quello di creare un desiderio di cambiamento, una tensione che riesca a far abbandonare l’acquiescenza e la rassegnazione. b) Accettare il conflitto e porsi costruttivamente in esso. Il degrado ambientale non è una fatalità, ma ha precise responsabilità, esso si configura quindi come un conflitto tra soggetti che determinano o favoriscono tale degrado e soggetti che lo subiscono. Impegnarsi nella difesa dell’ambiente significa per questo mettersi in un conflitto. La maggioranza delle persone tende a fuggire i conflitti, anche perché essi sono vissuti con disagio, con inadeguatezza, perfino con un vero e proprio senso di colpa. La nostra cultura e il nostro sistema educativo (famiglia, scuola ecc.) considerano il conflitto come qualcosa di negativo in sé, foriero di violenza e di disordine e contrario a quell’ideale di armonia, serenità, tranquillità di “vogliamoci bene” che propugnano. La tendenza allora è quella di celare i conflitti, di reprimerli e di giudicare negativamente chi li porta in evidenza o vi partecipa. I comportamenti corretti diventano allora quelli di fuga e di rassegnazione, poiché perfino il ricorso all’autorità (i genitori, la maestra, l’insegnante ecc.) viene svalutato, come segno di debolezza e di scarsa autodisciplina, come tentativo di coinvolgimento e d’ampliamento del conflitto o viene semplicemente ignorato o represso (“sbrigatevela tra di voi!”). Inoltre poiché l’ansia derivante dalla coscienza della gravità del degrado ambientale può portare il soggetto alla rimozione del problema e, quindi, del conflitto, devono essere messe in atto delle strategie affinché ciò non avvenga. A tal proposito la ricerca psicologica ha evidenziato la necessità di strutturare un processo la cui efficacia è condizionata tra l’altro dalla sequenza degli stadi e dal principio che nessuno stadio può essere saltato. Un possibile processo è il seguente16: 1) allarme: in questo stadio occorre far prendere coscienza del problema e della sua gravità; 2) dialogo: consiste nell’esprimere le paure e le ansie generate dal problema, riuscendo a

verbalizzarle; 3) interconnessione: in questa fase si deve far prendere coscienza che tali preoccupazioni sono

condivise da altre persone (superando cosi quella “sindrome di Cassandra”, per cui riteniamo di essere gli unici a vedere la catastrofe incombente, di fronte alla quale, per la nostra pochezza, non possiamo nulla). Vanno quindi organizzate riunioni di gruppo i cui poter esprimere l’ansia generata dal problema, nonché i desideri e le aspettative. E’ utile anche far conoscere che nel mondo tantissime persone condividono le nostre preoccupazioni e i nostri desideri;

4) ricarica: in questo stadio si devono ricercare le azioni in nostro potere e di facile attuazione per affrontare il problema; inoltre si deve far acquisire consapevolezza che non si è soli ad impegnarsi contro il degrado ambientale;

5) azione: bisogna iniziare con azioni poco impegnative e con c vi ristretti da aumentare piano piano col tempo.

c) Promuovere la progettualità e l’impegno nella difesa dell’ambiente. L’impegno politico richiede innumerevoli competenze: sapere analizzare la realtà per potervi intervenire; sapere valutare criticamente le diverse idee, posizioni, ideologie; sapere progettare (scegliere obiettivi, reperire le risorse disponibili, definire alleanze, azioni ecc.); sapere comunicare con i membri del proprio gruppo (l’azione politica è un’azione collettiva), con gli alleati, con la controparte, nonché con i soggetti non schierati (possibili alleati, opinione pubblica ecc.); saper stare in gruppo, cooperare, fare gioco di squadra; avere costanza, disciplina, senso di responsabilità. Su alcuni di questi aspetti ci siamo già soffermati (la formazione di una mentalità scientifica sistemica, il senso di responsabilità ecc.), vogliamo soffermarci brevemente sui seguenti punti:

16 Vedi Parknas L. “Dal senso d’impotenza all’azione” in Ponzo E., Tanucci E. “La guerra nucleare: rappresentazioni sociali di un rischio”, F. Angeli, Milano, 1992.

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- Sviluppare il senso critico: cioè “un pensiero razionale e riflessivo orientato a decidere ciò che bisogna credere” (Ennis). Esso richiede che si confronti, si valuti e poi si esprima un giudizio. L’educazione al pensiero critico deve:

- diminuire l’abitudine a esprimere giudizi sulla base di pregiudizi, cioè senza fare la fatica di analizzare la realtà e verificare se le proprie generalizzazioni hanno riscontro nella realtà fattuale, se esistono fatti che le smentiscono (la falsificazione);

- sviluppare la capacità/attitudine a classificare e concettualizzare, cioè a cogliere le differenze e le analogie, a discriminare e omologare;

- identificare i criteri, i ragionamenti che portano a formulare i giudizi; - sensibilizzare al contesto, cioè collocare concetti, situazioni, problemi, eventi in un

determinato contesto e percepire le somiglianze e le differenze di diversi contesti; - autocorreggersi, cioè avere l’attitudine a sottoporre a giudizio i processi mentali e i criteri che

si utilizzano per esprimere giudizi. Dal punto di vista didattico è necessario far affrontare problemi e farli affrontare non superficialmente e con chiavi interpretative semplicistiche e preconcette. Gli studenti devono essere invitati a esprimere le loro posizioni e le loro opinioni e a confrontarsi tra di loro, ma anche ad argomentare le loro posizioni e a verificare che esse siano fondate e veritiere, studiando il problema e confrontandosi con fonti esperte. Il ruolo dell’insegnante è soprattutto quello di presentare problemi, far esprimere le opinioni, chiedere di argomentarle, porre domande e suscitare dubbi, far prendere coscienza dei criteri interpretativi e dei ragionamenti utilizzati, guidare all’approfondimento e allo studio, fornendo le relative informazioni. Solo così si educa all’impegno politico responsabile e fattivo, perché altrimenti si favorisce solo il pressapochismo, la superficialità, il conformismo, l’ideologismo, il pregiudizio. - educare alla progettualità. La progettualità si compone di tre elementi: un elemento immaginativo, fantastico, che sa sollevarsi dalla realtà immediata per rappresentarsi una realtà altra, nuovi scenari, possibili evoluzioni della situazione attuale; un elemento volontaristico - il proposito – tendente a trovare i mezzi per cercare di realizzare quanto immaginato e desiderato; un elemento razionale, orientato ad analizzare l’esistente, ad individuare gli obiettivi a breve, medio e lungo termine e le strategie e gli strumenti per poterli realizzare. Allora è necessario non inibire ma coltivare la fantasia, l’immaginazione, la creatività; far notare che la realtà che ci circonda non è immutabile, che è stata diversa in tempi passati ed è diversa in altre aree geografiche e certamente sarà diversa nel futuro e in questo orizzonte di possibilità, quindi, si può agire per indirizzarla secondo i nostri desideri. E’ importante poi favorire l’autostima e l’autoefficacia, nonché la speranza nella possibilità di cambiamento. Per tali motivi bisogna essere molto attenti al curriculum nascosto. In ultimo va attuato un addestramento alla progettualità e in particolare alla progettazione di interventi in difesa dell’ambiente. Bisognerà addestrare gli allievi a riconoscere le questioni ambientali come conflitti, conflitti che hanno peculiari caratteristiche. In particolare segnaliamo le seguenti: - le parti contrapposte, a differenza di quanto avviene in altri conflitti, come quello tra capitale e forza lavoro, sono difficilmente individuabili. Nei conflitti ambientali spesso “l’inquinato” è a sua volta “inquinatore” o condivide interessi non irrilevanti con chi attenta alla sua qualità della vita; - spesso ciascuna parte contrapposta è disomogenea per valori, ideologia, bisogni, interessi, cultura, classe sociale ecc. oppure più attori sono presenti nel conflitto; - non vi è solo uno scontro di interessi, ma spesso anche di valori e di visioni del mondo (si pensi, per esempio, allo scontro tra fautori ed avversari dell’energia nucleare); - spesso il conflitto verte su argomenti controversi. Come esempio si pensi all’effetto serra o all’introduzione nell’ambiente di nuove specie prodotte dall’ingegneria genetica. Nel primo caso, per la difficoltà di prevedere il comportamento delle variabili implicate in tale fenomeno, si formulano scenari notevolmente differenti (da un aumento della temperatura del pianeta di qualche decimo di grado nei prossimi 50 anni, a scenari che prevedono un aumento di oltre 6° C, con un innalzamento del livello marino di circa 2 metri). Nel caso dell’introduzione di nuove specie, per la

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intrinseca novità della situazione, non è possibile formulare alcuna previsione che sia scientificamente fondata. In tali questioni, quindi, le decisioni non possono essere prese che in condizioni d’incertezza o d’ignoranza. Per tali motivi l’insegnante deve aiutare gli allievi a riconoscere i vari attori presenti nel conflitto, su quali “risorse” i diversi attori possono contare, quali obiettivi realisticamente possono essere perseguiti, quali strategie sono più efficaci. Riguardo agli attori presenti nel conflitto, si deve riconoscere chi è la controparte e chi sono i suoi possibili sostenitori, nonché chi sono i possibili nostri alleati. Per quanto riguarda le risorse, si devono individuare le “risorse” a disposizione dei diversi attori (non solo le risorse umane, finanziarie, strumentali, ma anche la possibilità di riferirsi a normative e regolamenti, di avere audience presso le autorità competenti, l’opinione pubblica e i mass-media ecc.). Per quanto concerne gli obiettivi, questi devono essere realizzabili con le risorse a disposizione, condivisibili dai possibili “alleati” e distinti a breve, a medio e a lungo termine. Nella scelta delle strategie si farà particolare attenzione a quelle che siano più “alla portata” dei ragazzi, più coinvolgenti e gratificanti. Tale addestramento non può che essere teorico-pratico. Si tratterà, quindi, di difendere attivamente l’ambiente, facendo in modo che tale azione sia in qualche misura gratificante, produttiva, così da fungere da rinforzo per l’acquisizione di comportamenti di partecipazione sociale e politica. 2.4 PER UN’ARMONIA TRA CONTENUTI, METODI E RAPPORTI L’azione educativa è il risultato di tre elementi: i contenuti, i metodi e i rapporti. I CONTENUTI Per contenuto intendiamo non solo gli argomenti che vengono presentati, ma anche la loro impostazione. A tale proposito ci sembra opportuno stigmatizzare alcune impostazioni delle questioni ambientali che riteniamo erronee, parziali o riduttive, inclinanti al fatalismo, alla deresponsabilizzazione o ad un impegno politico fuorviante e poco produttivo e non favorenti un corretto rapporto con la natura. a) Impostazione orientaleggiante La natura viene mitizzata quale regno della bontà e dell’armonia, regno in cui l’uomo potrebbe vivere felice se solo ritrovasse la sua naturalità “perduta”. Tutto ciò che è naturale - l’alimentazione, la medicina, le erbe – è buono; l’uomo “moderno”, l’uomo occidentale è distruttore e deturpatore. Questa visione semplifica i complessi processi che hanno determinato la crisi ambientale e non individua gli specifici soggetti storici responsabili del degrado dell’ambiente. Inoltre ha una semplicistica visione di cosa sia la naturalità, quando, invece, è estremamente arduo distinguere tra natura e cultura. L’identificazione naturale/buono, artificiale/cattivo può essere comoda ma purtroppo non corrisponde alla realtà che, con la sua complessità, richiede ben altro sforzo interpretativo per distinguere cosa è buono e cosa è cattivo, cosa è bene fare e cosa è bene non fare. Definiamo questo approccio “orientaleggiante” perché esso si accompagna frequentemente alla mitizzazione dell’Oriente e della sua civiltà, intesi come depositari di un sapere e di una tradizione rispettosi della natura, da acquisire acriticamente. b) Impostazione prometeica E’ una visione fortemente dualistica, drammatica ed “eroica” del rapporto uomo-natura. Un destino inesorabile costringe l’uomo a lottare contro la natura. In tale lotta contro la natura si realizza il progresso, che è in sé un valore. Il degrado ambientale è il prezzo del progresso che la natura ci fa

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pagare. Le possibili soluzioni al degrado ambientale sono da ricercare proprio nel progresso della scienza e della tecnica, cui bisogna ciecamente e fiduciosamente affidarsi. Anche questa visione semplifica i complessi processi che hanno determinato la crisi ambientale e non individua gli specifici soggetti storici responsabili del degrado dell’ambiente. Inoltre il concetto di progresso è ambiguo, perché può indicare il progresso tecnologico, il miglioramento delle condizioni di vita, il miglioramento della qualità della vita, la crescita economica ecc. L’idea che soggiace è poi quella che esiste una strada obbligata su cui “progredire”, mentre la storia delle comunità umane ci mostra che esistono diversi “progressi”: innumerevoli, quindi, sono le possibilità future dipendenti dalle diverse scelte che si fanno. c) Impostazione catastrofista L’attenzione è tutta puntata sulle innumerevoli e terribili insidie di cui è pieno l’ambiente, sulle immani catastrofi cui andiamo incontro, sugli innumerevoli guasti ambientali ormai prodotti e le malattie ad essi conseguenti. Da tale prospettiva si finisce per odiare l’ambiente, considerato un nemico, e la paura, dinanzi a tale ostilità, fa oscillare tra l’ansia nevrotica e la rimozione paralizzante. d) Impostazione elitario-consumistica E’ la classica impostazione offerta da alcune riviste naturalistiche, ricche di foto e descrizioni di luoghi esotici, animali rari, fiori bellissimi. Viene esaltata la valenza estetica della natura e l’ambiente diviene uno svago, una merce, un lusso, che pochi possono consentirsi e che può mantenere la sua integrità solo se i fruitori sono pochi. Da qui la continua ricerca di nuovi “paradisi naturali”, ancora incontaminati, da vedere, fruire e “consumare”. I problemi ambientali, così presentati, finiscono per essere problemi secondari, di scarsa importanza, che possono interessare solo chi ha già soddisfatto bisogni più pressanti (il lavoro, la casa, la salute ecc.). In tale impostazione, quindi, la questione ambientale è estranea ai comuni cittadini, perchè distante dai loro interessi concreti. Anche il modo con cui spesso nella scuola viene affrontato lo studio della storia, delle scienze, della geografia e di altre materie può essere in contrasto con le finalità dell’educazione ambientale. Vogliamo richiamare l’attenzione in particolare sul modo con cui frequentemente viene affrontato lo studio della storia e delle scienze. Per quanto riguarda lo studio della storia, purtroppo, non è raro sottacere la propria impostazione ideologica, finendo per dare una visione deformata della realtà. Spesso, inoltre, l’impostazione è troppo italiocentrica e europocentrica: il colonialismo e il neocolonialismo e in generale la storia del Sud del mondo e del suo impoverimento sono affrontati senza il dovuto approfondimento, mentre altri argomenti, più lontani dai problemi del mondo d’oggi o meno rilevanti, finiscono per essere trattati con dovizia di particolari. Per quanto concerne lo studio delle scienze, talvolta esse sono trattate in modo “dogmatico” e senza un inquadramento storico delle scoperte e delle teorie scientifiche; nei libri di testo talvolta, vengono presentate come dati scientifici condivisi dall’intera comunità scientifica, quelle che in realtà sono opinioni di una parte di essa (interpretazioni, giudizi di valore ecc.). L’insegnante deve essere quindi attento a trattare queste e altre materie in modo tale che favoriscano il raggiungimento degli obiettivi dell’educazione ambientale e non contrastino invece con esso. I METODI La discussione tra studenti guidata dall’insegnante e la ricerca-intervento sono i metodi più in sintonia con le finalità dell’educazione ambientale. Trattando della formazione della mentalità scientifica sistemica, dell’educazione all’etica e della pratica dell’impegno civile, abbiamo già

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illustrato l’importanza di tali metodi. Per di più la metodologia della ricerca-intervento e in grado di superare in una felice sintesi, sia l’eccessiva rigidità e meccanicità spesso presenti nell’applicazione delle teorie curricolari, sia l’improvvisazione e la mancanza di rigore in cui frequentemente si cade quando vengono applicate le metodologie non direttive. Alcune tecniche didattiche, quali il lavoro di gruppo, l’apprendimento cooperativo17, la tempesta di idee18, la scrittura collettiva19 sono particolarmente appropriate all’educazione ambientale, efficaci e gradite. I RAPPORTI Non dovrebbero ormai più esistere dubbi sulla superiorità in campo educativo di uno stile relazionale democratico, rispetto a quello permissivo ed a quello autoritario. Ciò è ormai patrimonio comune degli insegnanti. Si deve però dire che i concetti di “stile permissivo” e di “stile autoritario” si vanno restringendo sempre più; pertanto, di pari passo, si va allargando quello di stile democratico. In tale maniera si rischia non solo l’indefinitezza di tale stile relazionale, ma, cosa più grave, di lasciare gli educatori privi di un modello chiaro e, quindi, oscillanti tra comportamenti autoritari e permissivi. Per tale motivo, nella tabella 1, si riportano i caratteri peculiari di questi differenti stili

17 L apprendimento cooperativo e una tecnica didattica caratterizzata dai seguenti elementi: - lavoro in piccoli gruppi (3-7 persone), possibilmente eterogenei; - interdipendenza positiva tra i componenti del gruppo, per cui ogni membro del gruppo è vincolato agli altri membri in modo tale da non poter avere un pieno successo se anche gli altri non l’hanno (e viceversa). Ciò può realizzarsi in vari modi: perché il compito assegnato non può essere eseguito da solo, ma richiede per sua natura una collaborazione o una suddivisione del lavoro; perché ai vari membri del gruppo vengono assegnati ruoli specifici; perchè la valutazione e personalizzata ma interdipendente (per esempio, si chiede al membro X del gruppo di spiegare o relazionare sul lavoro compiuto dal membro Y dello stesso gruppo, oppure la valutazione del membro X è il risultato della valutazione del suo lavoro e di quello dell’intero gruppo o del suo elemento che ha conseguito il risultato meno soddisfacente); - necessità di sviluppare adeguate competenze comunicative e di risolvere le controversie. Per un approfondimento si veda la bibliografia a fine capitolo. 18 La tempesta di idee si compone di questi momenti: - illustrazione del compito da parte del conduttore (l’insegnante) - pausa di silenzio per riflettere (2-5 minuti) - “tempesta”, nella quale vengono esposte le soluzioni al compito assegnato, tramite una breve frase o anche una sola parola. Tutte le frasi e le parole dette vengono immediatamente trascritte, così come formulate, senza possibilità di commenti o spiegazioni - esame collettivo delle soluzioni per individuare o definire (tramite accorpamenti, modifiche, aggiunte) la migliore. La tempesta di idee è idonea soprattutto ad affrontare compiti creativi (ideare uno slogan, trovare la soluzione di un problema ecc.). 19 La scrittura collettiva e utilizzata per fare in modo che tutti partecipino al lavoro di scrittura di un testo su un piano di parità. Innanzitutto si deve stendere uno schema del testo che sia il più articolato possibile. Quindi si procede alla scrittura dei singoli punti previsti dallo schema. Per fare ciò, ciascun componente del gruppo scrive su un foglietto di carta la sua proposta di trattazione di tale punto. I singoli foglietti (anonimi) vengono raccolti dal moderatore, mischiati, letti e trascritti o posti sul tavolo. Quindi si scartano, si accorpano, si modificano le varie frasi, cosi da arrivare ad un testo condiviso. La scrittura collettiva separa le idee da chi le esprime per cui e particolarmente utile nel caso vi siano giudizi preconcetti su membri del gruppo.

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EDUCARE ALLA COMPLESSITA’

Pio Russo Krauss 3.1 LA COMPLESSITÀ E L’APPROCCIO LINEARE La realtà che ci circonda è estremamente complessa: ogni fenomeno che accade ha innumerevoli cause, aspetti, conseguenze. Se la nostra mente volesse sempre prendere in considerazione tutti questi innumerevoli elementi, sarebbe talmente sovraccarico di informazioni da andare in tilt. Per questo tendiamo a semplificare la realtà, tralasciamo alcuni elementi e ne mettiamo in risalto altri, dandoci quindi criteri interpretativi semplici. Un utile criterio interpretativo è quello della causalità lineare, i cui elementi caratteristici sono: a) La linearità: ogni fenomeno ha una causa che lo determina. Tale causa è a sua volta determinata da un’altra causa e così via, fino ad arrivare alla causa prima (l’origine di tutti i fenomeni) o, procedendo in avanti, alla conseguenza estrema (il fine ultimo).

A → B → C → D → E → F b) I1 determinismo: se A è causa di B, vuoi dire che ogni volta che accade A si determinerà B, e ogni volta che B si verifica A ne è la causa. Cioè tra A e B c’è un rapporto necessario e sufficiente. c) La corrispondenza: al variare della causa varia anche l’effetto da essa determinato. Cioè se A aumenta, B aumenta, se A diminuisce, B diminuisce e così via. La causalità lineare è un criterio interpretativo semplice e di estrema utilità, tanto da diventare il principale e, talvolta, l’unico criterio interpretativo razionale della realtà, a cui si possono contrapporre solo criteri interpretativi di tipo irrazionale (la religione, il mito, la superstizione, l’occultismo ecc.) o il silenzio interpretativo nei confronti di ciò che la causalità lineare non può spiegare. Questo modello interpretativo, però, può anche crearci gravi problemi. Vi sono infatti realtà o fenomeni che per loro natura mal si prestano a tale interpretazione, poiché non possono essere scomposti in nessi causali lineari e, per questo, li definiamo complessi. I problemi ambientali sono forse il campo in cui l’applicazione della causalità lineare ha causato i maggiori danni, tanto che è stato coniato un termine - boomerang ecologico - per indicare il verificarsi dell’effetto contrario a quello previsto dall’analisi lineare. Un esempio: quando gli inglesi introdussero alcune decine di conigli in Australia, non si aspettavano che si sarebbero moltiplicati in modo esponenziale, diventando milioni in poco tempo. Avendo cercato di capire perché in Australia i conigli si moltiplicavano a tale velocità e perché ciò non accadeva in Inghilterra, pensarono che la “causa” fosse la mancanza di predatori del coniglio nel nuovo continente. Decisero allora, per riequilibrare la popolazione di conigli, di introdurre delle volpi. Ma l’introduzione della volpe, invece di far diminuire la popolazione dei conigli, la incrementò, a dispetto delle previsioni ricavate dal modello della causalità lineare (la catena alimentare: vegetali → conigli → volpi), che si dimostrò semplicistico e inadeguato a spiegare un problema complesso. L’incremento della popolazione di conigli era dovuto al fatto che le volpi, invece di cacciare i conigli, preferirono predare altre specie, meno guardinghe e veloci del coniglio, specie autoctone, che d’altra parte erano in competizione con i conigli, poiché si cibavano delle medesime specie vegetali. Se si fossero usate altre categorie interpretative, come quelle di sistema e rete alimentare, tutto ciò poteva probabilmente essere previsto.

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3.2 IL MODELLO SISTEMICO Un sistema è costituito da un insieme di elementi tra loro connessi a rete. Questo determina alcune importanti proprietà, che non possono essere comprese con un’analisi di tipo lineare, ma solo con un altro modello interpretativo, basato sui seguenti punti : - La connessione degli elementi a rete esprime la presenza di nessi causali ricorsivi (i feed-back, negativi e positivi). Ciò rende inadeguata l’applicazione della causalità lineare. Il feed-back negativo consiste in un ritorno dell’output come input inibitorio. Quando tra due elementi, A e B, il primo stimola il secondo e questo inibisce il primo, si realizza un feed-back negativo, che mantiene il sistema A-B in una situazione di stazionarietà, di equilibrio: qualsiasi variazione di uno dei due elementi è infatti subito ricondotta nella norma dalla presenza del nesso stimolatorio e di quello inibitorio.

A B I sistemi naturali sono regolati da numerosi feed-back negativi. Ad esempio, il numero di conigli in Inghilterra è regolato dalla disponibilità di cibo (le molte specie vegetali di cui non solo il coniglio si nutre) e dai suoi predatori (volpi, aquile, falchi, ecc.). Questi però predano anche altri animali (topi, talpe, varie specie d’uccelli ecc.). Sono presenti così un gran numero di feed-back negativi, che garantiscono la stabilità del sistema (fig. 1). Se infatti i conigli aumentassero, si determinerebbe una scarsità relativa di cibo per tale specie e una parte dei conigli sarebbe quindi sottonutrita e meno valida a difendersi dai predatori, che avrebbero per di più maggiori probabilità di predare i conigli rispetto ad altre specie, proprio per la loro abbondanza relativa. La popolazione di conigli sarebbe così riportata alle normali dimensioni ed il sistema avrebbe ristabilito l’equilibrio, neutralizzando l’evento perturbatore.

C1 C2 C3 C4

E1 E2 E3 E4 E5 E6

V1 V2 V3 V4 V5 V6 V7 V8 V9 V10 Fig. 1 Relazioni nella rete alimentare composta da 10 specie di vegetali (V), 6 di erbivori (E) e 4 di carnivori (C). Il feed-back positivo si ha quando l’output rientra come input positivo, determinando un output ancora maggiore. Quando tra due elementi, A e B, il primo stimola il secondo e questo stimola il primo, anche piccole modificazioni di uno dei due elementi determinano una rapida modificazione di entrambi, perché le perturbazioni vengono amplificate dal nesso ricorsivo stimolatorio presente. Il sistema A-B, in questo caso, si discosterà velocemente dalla situazione di partenza e ritroverà una sua stazionarietà ed un suo equilibrio solo quando si instaureranno nuovi feed-back negativi.

A B

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In molti sistemi artificiali sono presenti tali input positivi. Prendiamo come esempio il traffico automobilistico. Se inizia a congestionarsi, molti automobilisti, per sfuggire all’ingorgo, tenderanno a non rispettare più il codice della strada (a passare con il rosso, a posteggiare in divieto di sosta ecc.) determinando ulteriori motivi di traffico. - Ogni sistema è parte di un sistema più ampio. Ogni elemento della realtà è connesso con molti altri in una rete che abbraccia tutto l’universo. Poiché non è pensabile analizzare tutto l’universo, si deve delimitare l’oggetto dell’indagine, cioè non considerare tutta una serie di nessi causali. Tale delimitazione è arbitraria, influenzata da bisogni, desideri, valori, preconcetti, visioni del mondo. L’individuazione di un sistema, quindi, non è che una nostra costruzione, un modello mentale per rappresentare e interpretare la realtà. La realtà viene così “ordinata” dalla nostra attività cognitiva in sistemi e sottosistemi, utili per meglio interpretare i fenomeni e agire nel mondo. I limiti che noi poniamo al sistema, però, influenzano notevolmente le sue caratteristiche. Nell’esempio dei conigli sopra riportato, abbiamo considerato come sistema quello che gli ecologi chiamano “rete alimentare di pascolo” (l’insieme dei rapporti tra vegetali, erbivori e carnivori). Ma tale sistema è una delimitazione arbitraria, anche se utile ai nostri finì, di una realtà più complessa. La disponibilità di vegetali, per esempio, è condizionata dal clima e dalle caratteristiche del terreno. Il primo, a sua volta, dipende dalle correnti marine, dall’attività solare, dalle eruzioni vulcaniche, ma anche dalla concentrazione nell’aria di sostanze come l’anidride carbonica, il metano, i clorofluorocarburi. Questi sono prodotti da attività umane e, quindi, sono dipendenti da fattori economici, culturali, sociali. Le caratteristiche del terreno dipendono da fattori non solo geologici, ma anche biologici, come l’insieme degli organismi che costituiscono quella che gli ecologi chiamano “rete alimentare di detrito” (insetti, larve, vermi, muffe, protozoi e batteri, che si nutrono di organismi morti). Inoltre le caratteristiche del terreno dipendono dall’uso che l’uomo ha fatto di quel suolo, nel corso della storia: se e quando ha abbattuto la foresta che lo ricopriva, se e come lo ha utilizzato (per il pascolo o per l’agricoltura ecc.). Tale uso, infine, è influenzato da motivazioni culturali, politiche, religiose, economiche, sociali. La stessa cosa si può dire, ad esempio, per il traffico, che può essere analizzato a livello di quartiere, città, nazione, continente ed essere considerato come problema tecnologico, urbanistico, economico, sociale, politico, culturale, gestionale. - Il tutto è più dell’insieme delle parti. E’ un po’ come quando si mettono insieme undici bravissimi calciatori: non è detto che la squadra sia invincibile, perché i giocatori potrebbero anche non intendersi tra loro e dare un risultato inferiore a quello di una squadra formata da atleti meno bravi ma che riescono a costruire un insieme, un sistema più efficiente. Fuori di metafora possiamo dire che un sistema non è riconducibile all’insieme degli elementi che lo compongono. In questo senso si parla di “olismo”: il tutto è più dell’insieme delle parti. Ciò avviene perché le proprietà del sistema non sono date tanto dalla somma delle singole proprietà degli elementi che lo costituiscono, ma soprattutto dalle proprietà che si originano dalle relazioni tra tali elementi. Si possono individuare così diversi “livelli gerarchici”. Un insieme è formato da più sottoinsiemi; a loro volta questi sono formati da altri sottoinsiemi e così via. Il comportamento delle società umane (comunità, popoli, nazioni ecc.), ad esempio, non è spiegabile solo in base ai comportamenti degli uomini isolatamente presi: tante persone pacifiche, per esempio, hanno ucciso perché i rispettivi popoli erano in guerra. La società umana presenta quindi caratteristiche e proprietà diverse da quelle dei singoli uomini, così come l’uomo non è riducibile ad un insieme di atomi e molecole (pur essendo formato solo da atomi e molecole) e non sono certo la fisica e la chimica che ci possono illuminare compiutamente sulle caratteristiche dell’uomo e del suo comportamento.

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- La realtà ci si presenta sotto vari aspetti, secondo gli strumenti interpretativi utilizzati. Ogni strumento interpretativo coglie solo alcuni aspetti della realtà. Quindi, per comprendere meglio la realtà, è importante utilizzare più strumenti interpretativi. Abbiamo visto prima che il traffico dipende da problemi tecnologici, urbanistici, economici, sociali, politici, culturali, gestionali. Considerare tale questione secondo tutti questi approcci disciplinari ci aiuta a capirla e ad affrontarla meglio, così come la possibilità di utilizzare tutti e cinque i nostri sensi ci permette di muoverci meglio nell’ambiente. - Nella visuale sistemica le previsioni sono difficili e, comunque, sono di tipo probabilistico. La presenza di innumerevoli connessioni tra gli elementi di un sistema, con i conseguenti feed-back negativi e positivi, e la difficoltà di coglierne tutti gli aspetti rendono ardue le previsioni. L’applicazione del metodo induttivo tramite tecniche statistiche, quando possibile, permette previsioni di tipo probabilistico a probabilità nota. L’applicazione del metodo deduttivo, tramite modelli matematici, presenta invece ampi margini d’incertezza, per la difficoltà di considerare nella giusta misura tutti i nessi causali presenti. Per tali motivi è preferibile scegliere quegli interventi che, nel caso risultassero inefficaci o dannosi, possono essere facilmente rimossi, convertiti o modificati. Al criterio della massimizzazione del vantaggio e minimizzazione del danno e del costo va associato il criterio della flessibilità: il primo è quello dell’efficacia-efficienza, tipico dell’ap-proccio lineare, il secondo è quello derivante dall’approccio sistemico. Il modello interpretativo sopra delineato non ha niente a che vedere con approcci non scientifici, irrazionali, misticheggianti o esoterici, di tanta letteratura pseudoscientifica che, spesso richiamandosi a tradizioni religiose e filosofiche orientali, fa ampio uso di termini come “pensiero della complessità”, “approccio olistico”, “modello sistemico”, “approccio globale” ecc. Il modello qui proposto è invece un modello interpretativo razionale e scientifico. Esso impegna la nostra ragione e non il nostro sentire, accettando il metodo scientifico, basato sul principio di falsificabilità20

20 Un’ipotesi può essere falsificabile o non falsificabile. Nel primo caso è un’ipotesi scientifica, nel secondo no; in tal caso può essere riconducibile ad un mito, a una credenza ecc. Le ipotesi falsificabili possono essere falsificate o non falsificate. Nel primo caso sono considerate false, cioè distanti dalla verità, imprecise, non corrispondenti ai fatti. Nel secondo vere, cioè più corrispondenti ai fatti, più precise. Sia la teoria tolemaica (la terra è ferma e il sole e i pianeti vi ruotano intorno) sia la teoria copernicana (la terra e gli altri pianeti si muovono intorno al sole) sono teorie scientifiche. Esse, infatti, sono entrambe falsificabili (se si dimostra il movimento della terra, come è avvenuto, la prima teoria e falsificata, se si dimostrasse che la terra e gli altri pianeti non ruotano intorno al sole, la teoria copernicana sarebbe falsificata). La teoria dello ying e yang, che spiega la realtà come unione di due principi opposti, non è una teoria scientifica, bensì una credenza, perché non è falsificabile, non ha cioè enunciati che, se si dimostrano falsi, smentiscono la teoria. Così, qualsiasi cosa accada, la teoria è sempre confermata. La verità scientifica non si basa quindi sulla possibilità di portare prove che verificano le nostre proposizioni, perché non è un sufficiente criterio di verità e spesso è anche impossibile fattualmente. Per esempio la proposizione “tutte le pietre sono dure” è inverificabile, perché per verificarla si dovrebbero esaminare tutte le pietre. La scienza si basa invece sul fatto di resistere alle prove di falsificabilità delle nostre proposizioni. La verità scientifica non è quindi “dogmatica”, ma è sempre in cerca della verità più “vera”.

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3.3 UNO SCHEMA PER AFFRONTARE I PROBLEMI COMPLESSI Dal modello interpretativo sistemico possono essere ricavati degli schemi procedurali per affrontare problemi complessi, come sono quelli ambientali. Un possibile protocollo è il seguente: I FASE PROGETTUALE a) Delimitare il problema. Scegliere cioè quali nessi causali considerare e quali tralasciare, ponendoli nello sfondo. Nell’esempio riguardante il traffico, delimitazioni possibili potrebbero essere una zona della città, l’intera area urbana, l’area metropolitana o i paesi industrializzati. b) Ipotizzare i possibili fattori causali e le loro connessioni. E’ conveniente ipotizzare i fattori causali secondo i vari ambiti disciplinari, così da far risaltare il carattere complesso del problema e la necessità di un approccio pluridisciplinare. Nell’esempio riguardante il traffico le ipotesi causali possono essere divise in cause urbanistiche, gestionali, culturali, economiche ecc. Tra le prime rientreranno l’eccessiva presenza di attrattori di traffico e la loro inopportuna distribuzione nell’area urbana, l’inadeguata rete viaria, l’insufficiente presenza di mezzi di trasporto alternativi all’auto ecc.; tra le cause gestionali saranno comprese l’inadeguata regolamentazione della mobilità, la carenza di vigili urbani o la loro cattiva utilizzazione ecc.; tra le cause culturali la scarsa propensione ad usare il mezzo pubblico, ad andare a piedi, a rispettare il codice della strada ecc., e così via. c) Verificare la veridicità delle ipotesi causali. Si deve indagare se vi sono ricerche, esempi, prove che falsificano le ipotesi formulate. Per esempio, se si ipotizza un importante ruolo degli attrattori nella genesi del traffico, si deve cercare se vi sono ricerche, esempi, prove che dimostrano che la delocalizzazione degli attrattori riduce il traffico mentre la loro presenza lo incrementa. d) Produrre quante più ipotesi di intervento possibili. Per i motivi già esposti al punto b, è opportuno che anche le ipotesi d’intervento siano divise secondo i vari ambiti disciplinari. Ad esempio, per affrontare il traffico, ci si chiederà quali sono i possibili interventi di competenza urbanistica, quali quelli di carattere gestionale, quali quelli di tipo educativo ecc e) Ipotizzare vantaggi e svantaggi dei vari interventi proposti. Si devono ipotizzare gli esiti a breve e lungo termine, in ambito locale e generale e secondo vari aspetti disciplinari del problema. Per esempio, considerando la limitazione del traffico automobilistico, i possibili vantaggi sono: netta riduzione dell’emissione di rumori ed inquinanti e, quindi, delle conseguenze ad essa collegate (miglioramento della vivibilità, riduzione dei danni provocati alla salute, ai manufatti e agli ecosistemi dall’inquinamento acustico e atmosferico, riduzione della spesa per prevenire o riparare tali danni ecc.); riduzione dei costi di gestione del traffico, maggiori entrate per le aziende dei trasporti ecc. I possibili svantaggi sono: disagi a chi ha veramente necessità di usare l’automobile (agenti di commercio, persone anziane ecc.) o deve raggiungere zone mal servite dal mezzo pubblico; danni al commercio; cattiva accoglienza da parte di tutti coloro che ritengono un diritto usare la propria auto; ecc. f) verificare la veridicità delle ipotesi di vantaggi e svantaggi degli interventi proposti. Vanno raccolte ricerche, esempi, prove che falsificano le ipotesi formulate. g) Definire una strategia d’intervento. Tale strategia deve essere individuata in base al criterio della massimizzazione del vantaggio e minimizzazione del danno o del costo (criterio dell’efficacia-efficienza), nonché in base al criterio della reversibilità e mutabilità in caso di insuccesso. h) Istituire un sistema di controllo per verificare l’esito dell’intervento. Si devono individuare le variabili da rilevare e le procedure e gli strumenti di rilevazione così da poter verificare gli esiti negativi e positivi che possono derivare dall’intervento.

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Il FASE ATTUATIVA Durante tale fase andrà sperimentato l’intervento e se ne controlleranno gli esiti. III FASE VALUTATIVA Si valuteranno vantaggi e svantaggi dell’intervento e si individueranno gli aspetti che dovrebbero essere modificati. Nel caso l’intervento debba essere modificato, si utilizzerà il medesimo schema procedurale.

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LA PROGRAMMAZIONE DI UN INTERVENTO DI EDUCAZIONE AMBIENTALE

Patrizia Castagna, Pio Russo Krauss

E’ estremamente importante programmare accuratamente l’intervento educativo, specie quando questo è attuato da più persone. Lo schema usualmente seguito è il seguente: 1° scelta del tema; 2° analisi della letteratura sull’argomento e confronto con altre esperienze: 3° ricognizione delle risorse; 4° “fotografia” dell’esistente; 5° individuazione degli obiettivi; 6° definizione del programma e dei tempi; 7° definizione delle procedure di controllo. 4.1 SCELTA DEL TEMA L’argomento dell’intervento deve essere scelto sulla base dei seguenti criteri: - deve risultare gradito agli studenti, nonché favorire il loro interesse e coinvolgimento; - deve risultare gradito ai docenti, nonché favorire il loro interesse e coinvolgimento; - deve prestarsi agli obiettivi che ci si è prefissi per perseguire le finalità dell’educazione ambientale - deve essere realizzabile con le risorse a disposizione (dove per risorse intendiamo non solo quelle finanziarie e strumentali, ma anche le conoscenze e le competenze degli insegnanti, le agenzie educative presenti sul territorio ecc.); - deve offrire la possibilità agli studenti di spendere sul piano personale/politico le conoscenze/competenze che saranno acquisite. 4.2 RICOGNIZIONE DELLE RISORSE E DELL’ESPERIENZE Dalle risorse disponibili (finanziarie, umane, strumentali ecc.) dipendono, in buona parte, tutti gli altri punti della programmazione. Inutile lanciarsi in ambiziosi programmi se non si hanno gli strumenti, le competenze e soprattutto le persone per portarli avanti: ciò non serve a realizzare le finalità dell’educazione ambientale e può al contrario determinare frustrazioni e discredito. E’ necessario allora fare un inventario delle risorse a disposizione del soggetto che fa l’intervento, di quelle presenti “sul mercato” (es. sussidi didattici acquistabili o ottenibili gratuitamente), nonché delle risorse presenti sul territorio (altre agenzie educative, associazioni di volontariato, aziende ed enti che possono contribuire economicamente ecc.). 4.3 ANALISI DELLA LETTERATURA SULL’ARGOMENTO E CONFRONTO CON ALTRE ESPERIENZE Già in fase di ideazione e programmazione dell’intervento è opportuno approfondire il tema scelto, leggendo pubblicazioni a riguardo e consultando fonti esperte. Oggi è molto più facile che in passato reperire informazioni. Grazie ad Internet è possibile accedere a siti e banche dati nazionali e internazionali su tematiche ambientali (si veda la sitografia a fine volume). E’ utile anche studiare le esperienze già svolte sullo stesso tema e/o nello stesso ambito, nonché consultare esperti per avere suggerimenti, pareri, osservazioni.

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4.4 “FOTOGRAFIA” DELL’ESISTENTE Conoscere il punto di partenza è necessario per orientarsi e muoversi nella direzione voluta. E’ importante indagare sul livello medio di conoscenza degli studenti, conoscere il loro patrimonio cognitivo sull’argomento, rilevare i loro comportamenti e atteggiamenti ecc. In tale maniera si può adeguare il programma ai destinatari e valutare, attraverso il confronto, i cambiamenti intervenuti e attribuibili al programma educativo. 4.5 INDIVIDUAZIONE DEGLI OBIETTIVI Deve essere definito con chiarezza cosa si vuole, individuando quali conoscenze, quali competenze, quali comportamenti, quali atteggiamenti ci si propone di far acquisire agli studenti. Gli obiettivi devono essere: - concreti e precisi; - realizzabili con le risorse a disposizione; - accettabili in rapporto alla cultura dei destinatari e al contesto in cui si svolge l’intervento; - condivisi da tutti gli educatori coinvolti nel progetto. 4.6 DEFINIZIONE DEL PROGRAMMA E DEI TEMPI Devono essere definiti dettagliatamente l’itinerario didattico, la struttura organizzativa i sussidi da utilizzare, le eventuali iniziative pubbliche o di coinvolgimento della popolazione, i momenti di confronto tra gli educatori, le incombenze e gli incarichi. Per quanto riguarda l’itinerario didattico può essere utilizzato il seguente schema: 1) Guadagnarsi l’attenzione. Bisogna presentare l’argomento in maniera interessante, stimolare il desiderio di saperne di più. 2) Fornire motivazioni allo studio dell’argomento proposto. Riteniamo che bisogna fornire ai ragazzi motivazioni alte, di carattere etico: si studia per promuovere efficacemente la giustizia, la pace, la libertà, per aiutare con più competenza e incisività chi ha bisogno della nostra solidarietà, per vivere con consapevolezza e responsabilità, per essere realmente “cittadini sovrani”. Al tempo stesso va fatto intuire che lo studio potrà anche essere impegnativo ma sarà sicuramente gratificante: valorizzerà le loro attitudini e competenze; creerà “spirito di gruppo”: affrontando questi temi ci si sentirà adulti; non sarà solo uno studio, ma un modo per incidere sulla realtà; i risultati del lavoro saranno presentati in un’iniziativa pubblica che sarà fonte di gratificazione ecc. 3) Far emergere il bagaglio cognitivo e l’eventuale ansia derivante dal problema ecologico. Ciò è indispensabile sia per capire quali sono gli ostacoli da rimuovere (preconcetti, evidenze primarie, rappresentazioni fallaci, opinioni, valori ecc.) e così creare le premesse per un esito positivo della dissonanza cognitiva, sia per evitare che l’ansia derivante dalla coscienza del problema ambientale porti ad una rimozione dello stesso e, quindi, ad uno studio non proficuo. L’insegnante può utilizzare varie tecniche (far comporre un disegno o un tema, completare delle frasi ecc.) ma è importante soprattutto stimolare delle discussioni in classe: il suo compito, in questa fase, non è quello di prendere posizione, né di dare informazioni, ma di facilitare la discussione (parlare uno alla volta, far parlare tutti, discutere con reciproco rispetto ecc.), di fare l”avvocato del diavolo (suscitare dubbi, evidenziare difficoltà o incongruenze determinate dal1’impostazione del problema o dalla sua analisi o proposta di soluzione ecc.), di stimolare i ragazzi ad essere più chiari (“Non ho capito, puoi spiegarmi meglio?”). Tramite varie discussioni si affronteranno i seguenti punti: come impostare e delimitare il problema; quali sono le cause e le loro connessioni; di chi sono le responsabilità; quali sono le conseguenze; quali sono le possibili soluzioni.

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4) Trarre conclusioni dalla discussione svolta. In particolare l’insegnante deve svolgere le seguenti considerazioni: - riguardo alla delimitazione del problema, si farà notare che essa è sempre arbitraria, per cui è necessario conservare la consapevolezza dello sfondo, da cui il problema è stato delimitato e che - di tanto in tanto - va riportato al centro della considerazione; - per quanto riguarda lo svolgimento del problema, si divideranno in categorie le varie cause, conseguenze, responsabilità, soluzioni presentate, distinguendo categorie disciplinari (es. cause economiche, culturali, gestionali, geografiche ecc.), spaziali (es. conseguenze in ambito locale, nazionale, mondiale ecc.), temporali (conseguenze e soluzioni a breve, medio e lungo termine ecc.) ecc.; - per quanto riguarda le soluzioni, in una prima fase è preferibile che si ipotizzino quante più soluzioni possibili, senza preoccuparsi della loro fattibilità e dei loro eventuali effetti collaterali; successivamente si analizzerà ogni soluzione ipotizzata, valutandone la fattibilità, i vantaggi e gli svantaggi, tenendo in considerazione che nella società sono presenti diversi soggetti, con diversi bisogni ed interessi, e che le previsioni possono essere fallaci: va quindi articolata una strategia risolutiva che da una parte cerchi di rispondere ai vari bisogni in conflitto, contemperando gli interessi degli uni con quelli degli altri. In questo senso è necessario prestare una particolare attenzione ai bisogni delle categorie più deboli, perché più difficilmente possono trovare ascolto e soddisfazione. Dall’altra è necessario trovare soluzioni che rispondano, oltre che al criterio di efficacia-efficienza, anche a quello di flessibilità-reversibilità; - in ultimo si farà notare che tutto quanto detto e definito è solo un’ipotesi di soggetti privi di competenze specifiche sull’argomento, per cui è necessaria una verifica tramite il confronto con esperti (consultando testi, guardando un video o incontrando di persona gli esperti) o tramite ricerche o esperienze ad hoc (interviste, rilievi, esperimenti ecc.). 5) Verificare le ipotesi formulate. Si tratta di intraprendere un vero e proprio studio, consultando testi, confrontandosi con esperti, analizzando o compiendo ricerche ed esperienze volte a falsificare le ipotesi formulate. 6) Trarre le conclusioni dallo studio svolto. Da una parte si ridefiniranno le conoscenze sull’argomento, formalizzandole tramite una relazione scritta, dei cartelloni o altro. In tali elaborati si dovranno riportare: la definizione del problema; l’inventario delle cause e/o la rete causale; le responsabilità; l’elenco delle conseguenze e/o la rete delle conseguenze; le possibili soluzioni, specificando per ogni soluzione i pro e i contro e quali soggetti sarebbero favoriti o danneggiati; le soluzioni proposte. Dall’altra parte si deciderà come spendere le conoscenze acquisite per contribuire a migliorare la situazione. Si deciderà, quindi, non solo e non tanto quali comportamenti non ecocompatibili dovranno essere modificati, ma quali azioni devono essere messe in atto per ottenere cambiamenti strutturali, iniziando da quelle di più facile attuazione. Ad esempio: informare altri soggetti per incrementare il consenso alle proprie posizioni; aprire una vertenza con i responsabili individuati; rivolgersi alle autorità competenti; ecc. In questa fase è assolutamente necessario collegarsi con gli eventuali altri soggetti che perseguono gli stessi obiettivi, come associazioni ambientaliste, gruppi, movimenti ecc. 7) Mettere in atto le azioni stabilite. Si metterà in pratica quanto deciso al punto precedente.

4.7 DEFINIZIONE DELLE PROCEDURE DI CONTROLLO La valutazione è un’attività estremamente importante in campo educativo: senza valutazione non si possono formulare giudizi fondati (cioè non si può determinare il valore, non si può dire se una cosa è buona o cattiva), senza giudizi fondati non si possono correggere gli errori e implementare i successi. La valutazione è quindi uno strumento fondamentale per il miglioramento dell’attività didattica. Valutare un intervento di educazione ambientale, però, non è cosa semplice e richiede

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specifiche competenze ed esperienza. Qui cercheremo di dare solo una brevissima panoramica, soffermandoci soprattutto su quegli aspetti che crediamo meno conosciuti dagli insegnanti. In qualsiasi attività di valutazione, pur diversificando finalità, strumenti e metodi, può essere individuato un processo comune con le seguenti tappe: 1) determinazione dell’oggetto del controllo: cioè decidere cosa si vuole valutare e perché. Per esempio decidere di controllare se gli studenti hanno acquisito determinati contenuti cognitivi perché li si ritiene importanti per specifici motivi; 2) misurazione, che si compone dei seguenti elementi: scelta di uno strumento di misurazione, utilizzazione dello strumento mediante procedure, registrazione dei risultati, lettura dei risultati. Per esempio l’interrogazione o la somministrazione di un questionario o di un test sono forme di misurazione in cui si scelgono strumenti di misura (per es. determinate domande), si utilizzano procedure (si dà un tempo per rispondere ecc.), si registrano i risultati (si ricorda o si segnano le risposte date), si leggono i risultati (si considerano le risposte date); 3) valutazione propriamente detta: essa consiste nel confronto dei risultati ottenuti con criteri, per arrivare ad esprimere un giudizio argomentato. Ognuno di questi momenti presenta vari problemi (per esempio le questioni relative alla validità, riproducibilità, fedeltà, precisione, accuratezza ecc.) la cui trattazione esula dagli scopi del nostro testo. La valutazione ha varie finalità: capire come gli studenti stanno seguendo il percorso didattico, quali competenze hanno, quali stanno acquisendo e quali no, quali sono i punti di forza e di debolezza dell’attività educativa svolta o in via di svolgimento, quali i suoi pregi e quali gli errori, quali sono i costi dell’attività e se tali costi sono congrui rispetto alle attività svolte e ai risultati ottenuti, quale è il gradimento dell’attività da parte degli studenti, degli insegnanti, delle famiglie ecc. A seconda delle finalità possiamo distinguere la valutazione di processo, d’esito, economica, di gradimento. - La valutazione di processo non è interessata a analizzare i risultati dell’intervento educativo ma a capire come effettivamente si è svolto o si sta svolgendo l'intervento. Essa è quindi una valutazione interna e, solitamente, si svolge in itinere, controllando se le varie azioni previste si stanno svolgendo così come programmate (modalità, tempi, soggetti ecc.), se gli obiettivi di processo si stanno raggiungendo, in modo da registrare eventuali scostamenti e mettere in atto azioni correttive. Tale attività è quindi indispensabile per avere il controllo dell’attività educativa. Nella valutazione di processo andranno verificati vari elementi quali, ad esempio: sono state svolte le riunioni programmate? Quante persone vi hanno partecipato? Cosa hanno prodotto? E’ stato preparato il materiale nei tempi e modi previsti? Se no per quali motivi? Le unità didattiche sono state svolte nei modi e tempi previsti? Se no per quali motivi? E' stato distribuito il materiale didattico? Gli allievi hanno partecipato alle discussioni? Tutti gli allievi hanno letto i brani assegnati? Si sono tenuti gli incontri con gli esponenti delle associazioni ambientaliste? Negli incontri si sono trattati gli argomenti definiti? ecc. In tale maniera si possono avere anche importanti elementi sulla fattibilità delle varie parti dell’intervento, scoprire i punti problematici e cercare di porvi rimedio. - La valutazione d'esito è la verifica dei risultati conseguiti, quindi è una valutazione “esterna”, degli esiti, appunto. Bisogna verificare se gli obiettivi educativi perseguiti sono stati raggiunti. Un progetto di educazione ambientale ha innumerevoli obiettivi e di diversa tipologia: vi sono obiettivi di tipo cognitivo, obiettivi comportamentali, obiettivi di atteggiamento, ecc. Inoltre gli obiettivi cognitivi sono di diverso ordine gerarchico, dalla conoscenza di termini e fatti all’acquisizione di modelli interpretativi e di giudizio propri degli stadi di sviluppo cognitivo più elevati. Per tali motivi la valutazione di esito presenta aspetti ancor più complessi e richiede particolari competenze psicologiche e pedagogiche. Per valutare quali modelli interpretativi e di giudizio utilizza il soggetto si può fare ricorso alle stesse discussioni di gruppo utilizzate per fare acquisire tali modelli oppure a colloqui con singoli

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studenti utilizzando il metodo della “intervista centrata sull’intervistato”21, oppure utilizzare specifici test22 . Per misurare i comportamenti possono essere utilizzati i seguenti metodi: 1) chiedere al soggetto informazioni sui suoi comportamenti. Ciò avviene tramite interviste, questionari, test e relative procedure di somministrazione, che devono dare garanzie rispetto a validità, riproducibilità, omogeneità ecc. 2) rilevare il comportamento tramite un osservatore, di cui il soggetto può essere a conoscenza (“osservatore visibile”) o no (“osservatore nascosto”). Nel primo caso può verificarsi il cosiddetto “effetto cavia”: la mancanza di spontaneità e quindi di validità dello strumento di misura. D’altra parte non sempre è fattibile o etico nascondere l’osservatore. 3) rilevare il comportamento tramite tracce (indicatori). Per esempio si può misurare il quantitativo di rifiuti deposti in maniera differenziata negli appositi contenitori, i gas di scarico emessi dai motocicli/ciclomotori (per verificare la corretta manutenzione dei veicolo) ecc. Per quanto riguarda la valutazione degli atteggiamenti23, si può fare ricorso al test della domanda singola (es. “Qual è il tuo atteggiamento nei confronti degli ambientalisti? Molto positivo. positivo, né positivo né negativo, negativo, molto negativo”) o a test tipo Likert, cioè a una serie di affermazioni nei confronti delle quali l’intervistato deve esprimere il proprio favore. Possono essere formulate domande singole che indaghino, oltre che sulla direzione e intensità dell’atteggiamento (come la domanda prima formulata), anche sulla centralità e sull'impegno comportamentale. Per esempio: “Quanto influirebbe sul tuo voto la promessa di un candidato ad adottare provvedimenti drastici che limitano la circolazione di auto e moto?” (domanda che indaga sulla centralità); “Hai mai espresso la tua volontà (tramite petizioni, lettere, interventi ecc.) a favore di provvedimenti che limitano l’uso di auto e moto?” (domanda che indaga sull’impegno comportamentale). Altre tecniche sono l’intervista centrata sull’intervistato, le tecniche proiettive (interpretazione di disegni o storie ambigue), il differenziale semantico, i test tipo Gutman ecc. La valutazione economica si interessa di verificare i costi sostenuti e di rapportarli ai risultati conseguiti per verificare l’efficienza dell’intervento, cioè il rapporto esiti/costi. L’efficienza è alta quando tale rapporto è alto. L’efficienza è un concetto relativo, perché non esiste l’efficienza in assoluto ma solo interventi più o meno efficienti di altri. In campo educativo non è possibile avere un’unità di misura unica dell’esito educativo (come comparare tra loro le diverse acquisizioni in campo cognitivo, comportamentale, d’atteggiamento?), per cui la valutazione di efficienza è fortemente influenzata dai giudizi di valore dei singoli soggetti. La valutazione di gradimento indaga l’accoglienza di un’iniziativa sia da parte dei soggetti

21 L’intervista centrata sull’intervistato è un particolare strumento di valutazione basato sulle teorie di Piaget e di Rogers. In tale intervista l’esaminando può parlare liberamente di diversi argomenti che ritiene pertinenti con il tema generale dell’intervista (espresso con dizioni estremamente vaghe tipo “l’ambiente”, “il rapporto uomo-ambiente”, “il problema ambientale” ecc.), può saltare da un discorso ad un altro, può esprimere liberamente qualsiasi opinione in proposito ecc. L’intervistatore non pone domande dirette (quelle che presumono una risposta precisa, ad es. “Cos’è l’ambiente”, “l’ambiente è solo quello naturale? Ecc.) ma favorisce la comunicazione tramite l’ascolto attento, la riformulazione, l’empatia. 22 Per l’indagine degli stadi di ragionamento morale ricordiamo il Moral Judgment Interview (MJI), consistente nel presentare alcuni dilemmi morali seguiti da un certo numero di domande codificate, il Social Reflection Measure (SRM) simile ma ideato per potere essere somministrato anche in gruppo, il Defining Issues Test (DIT), consistente nella presentazione di alcuni dilemmi morali seguiti da 20 argomentazioni per definire la scelta, nonché da domande per il controllo della validità e della coerenza. Il DIT è di più facile utilizzazione e può essere somministrato anche a gruppi. Per indagare i modelli di interpretazione dell’ambiente segnaliamo i test basati su questionari a domanda aperta, sul completamento di disegni e su stesure di mappe concettuali. 23 L’atteggiamento può essere definito come un “costrutto che guida il comportamento umano, risultante da una dimensione cognitiva (le credenze), da una affettiva (la disposizione) e da una conativa (la tendenza all’azione)” (Fishbein).

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coinvolti che degli operatori e della “committenza”. Il gradimento di un intervento è solitamente una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per l’efficacia educativa. L’apprendimento è infatti condizionato dalla motivazione e dall’attenzione. Se un intervento non mostra contenuti informativi nuovi, se non offre nuove competenze oppure se non convince i destinatari dell’importanza delle competenze che vuole fare acquisire non riuscirà a motivare all’ascolto e all’apprendimento. Se è poco interessante, noioso, sciatto, poco attraente e coinvolgente non susciterà l’attenzione e il coinvolgimento attivo necessari all’apprendimento.

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BIBLIOGRAFIA - Pellai A.: Educazione sanitaria, F. Angeli, Milano, 1998. - Seppilli A., Modolo MA.: Educazione Sanitaria, Il Pensiero Scientifico, Roma, 1985. - Vertecchi B.: Manuale della valutazione, Editori Riuniti, Roma, 1987. - Gattullo M., Giovannini ML: Misurare e valutare l’apprendimento, Mondadori, 1989. - Pilot L.: Atteggiamenti dei bambini verso l’ambiente: suggerimenti per la verifica di progetti

educativi, A.R.P.A. Friuli Venezia Giulia, Palmanova (UD), 2005. - Centro de Experimentacion Escolar de Pedernales: Ideas previas y educacion ambiental, Bilbao,

1998. - Kuhmerker L.: L’eredità di Kohlberg: intervento educativo e clinico, Giunti, Firenze, 1995. - Trentin R.: Gli atteggiamenti sociali, Bollati Boringhieri, 1991. - Ercolani A.P., Areni A., Mannetti L.: La ricerca in psicologia, NIS, 1990. - Nanni C.: La ricerca pedagogico-didattica, LAS, 1997.

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PARTE SECONDA

PROPOSTE DIDATTICHE Come già detto nell’introduzione, i progetti riportati vanno intesi come proposte aperte, da adattare e modellare sulle specifiche situazioni in cui si opera, nonché sulla sensibilità e sugli interessi dei ragazzi e, perché no, dei docenti. I progetti hanno talvolta parti in comune, sempre punti di contatto: è possibile così passare dall’uno all’altro per ritornare eventualmente su quello iniziale. Essi sono tutti basati sulla metodologia della ricerca-intervento e prevedono l’utilizzazione di diverse tecniche didattiche — apprendimento cooperativo, tempesta d’idee, scrittura collettiva ecc (vedi pag. 36 ) — oggi patrimonio della maggioranza degli insegnanti. Per favorire il lavoro dell’insegnante in questa ricerca-azione alla fine di ogni proposta sono presenti una scheda con alcune minime informazioni sull’argomento in questione, un elenco di dati a cui si fa riferimento nell’itinerario didattico e alcuni consigli bibliografici, così da avere le conoscenze indispensabili alla realizzazione del progetto. Si sono divisi i testi (con qualche forzatura) in tre categorie: la prima riporta i testi monografici sull’argomento, la seconda quelli che per la loro chiarezza e semplicità possono essere utilizzati anche dai ragazzi, la terza altri testi utili per affrontare specifici aspetti del problema o per inquadrarlo in un ambito più vasto.

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LA MIA CASA, LA MIA CITTÀ

Pio Russo Krauss PREMESSA “Ecologia” - in senso letterale - significa “studio della casa”. Abbiamo pensato, pertanto, che era possibile accostare i ragazzi a questa disciplina proprio attraverso lo studio della casa, l’ambiente a loro più vicino e meglio conosciuto. Lo studio della casa, e di come essa viene “amministrata”, ci è sembrato interessante anche perché permette di avvicinare gli studenti ad alcuni concetti di economia, che letteralmente significa appunto “regola della casa”. Si possono così introdurre i ragazzi ai rapporti tra ecologia ed economia, tra le leggi della natura e le leggi dell’attuale sistema economico. Questo è il nodo centrale per capire e affrontare la questione ambientale. Dallo studio della propria casa si passa poi ad affrontare lo studio della propria città, come sistema ambientale, così da avere anche uno sguardo d’insieme sui principali problemi ambientali di Napoli (l’inquinamento atmosferico, il problema urbanistico, i trasporti, i rifiuti solidi). Volendo è possibile allargare ulteriormente il campo d’indagine allo studio del nostro pianeta (la nostra unica casa comune), partendo dal problema dell’esaurimento delle risorse e della continua immissione dì inquinanti.

FINALITÀ - Comprendere finalità, problemi, metodi dell’ecologia. - Maturare una concezione dell’ambiente come sistema dinamico, suscettibile, quindi, di cambiamenti. - Acquisire il metodo scientifico nell’analisi dei problemi ambientali. - Acquisire coscienza delle principali problematiche ambientali, con particolare riferimento a quelle della nostra città. - Avere un atteggiamento di attenzione per i problemi ambientali e di rispetto per l’ambiente e la collettività. - Sviluppare la capacità di immaginare una realtà diversa da quella attuale, di prospettare diversi scenari, di elaborare progetti. - Sviluppare un atteggiamento responsabile e partecipativo (impegno civile). OBIETTIVI COGNITIVI - Acquisire i concetti di input, output, risorsa, rifiuto, biodegradabilità, riciclaggio, inquinamento, lavoro, energia, entropia, processo, bisogni, ecologia, economia, sistema, produzione, consumo, sostenibilità ambientale, impronta ecologica. - Acquisire che nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma; che ogni cosa è collegata ad altre, per cui l’ambiente costituisce una rete di relazioni; che il tutto non è riducibile all’insieme delle parti; che le leggi di natura sono immutabili e cogenti, mentre quelle umane sono convezioni vincolanti. - Conoscere i principali problemi ambientali della propria città, in particolare l’inquinamento atmosferico, i rifiuti solidi, la congestione abitativa e la carenza di verde. OBIETTIVI DI COMPORTAMENTO - Corretta utilizzazione degli spazi (ordine, pulizia, ecc.); appropriata gestione delle risorse; utilizzazione efficiente dell’energia; gestione ecocompatibile dei rifiuti (riutilizzo e riciclaggio).

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ITINERARIO DIDATTICO PARTE PRIMA: LA MIA CASA 1) SITUAZIONE STIMOLO a) Discussione. Si legge un articolo di giornale su una questione ambientale d’attualità o un brano su un problema ecologico. Si chiede agli studenti se conoscono il significato di “ecologia”, se sanno cosa studiano gli ecologi e con quali metodi. Si spiega il significato etimologico della parola “ecologia” e si mette in evidenza che gli ecologi studiano in maniera scientifica e sistematica l’ambiente, analizzando com’è fatto e come funziona. Si propone di fare finta di essere degli ecologi che hanno deciso di studiare un particolare ambiente: la propria casa. 2) MORFOLOGIA DEL “SISTEMA CASA” a) L’ambiente fisico della mia casa. Si propone di descrivere la propria casa partendo dalla porta d’ingresso e di disegna a matita, su un foglio millimetrato, una cartina della propria casa. E’ importante che le cartine siano disegnate a matita, perché spesso i ragazzi dimenticano elementi strutturali essenziali, per esempio finestre e balconi. A tal proposito consigliamo di non correggere tali errori, ma solo di invitare gli alunni a guardare la propria casa con attenzione e ad essere precisi nel descriverla. E’ bene infatti che il ragazzo si accorga da solo, proseguendo l’itinerario didattico, degli eventuali elementi dimenticati e delle imprecisioni.

b) Gli esseri viventi della mia casa. Si invitano gli studenti a scrivere chi sono gli abitanti della propria casa: familiari, parenti, animali domestici, animali ospiti, come mosche, formiche ecc.

3) FISIOLOGIA DEL “SISTEMA CASA” a) Quali sono i bisogni di ciascun abitante della casa? Per far acquisire il concetto di bisogno, conviene partire dai bisogni vitali (“di cosa abbiamo bisogno per non morire?”), proseguendo poi con gli altri (“di cosa abbiamo bisogno per stare bene?”). Spesso i ragazzi non sanno risalire dalle loro azioni ai bisogni. Quindi diranno che hanno il bisogno di vedere la televisione o di usare il computer. E’ opportuno allora chiedere: “Perché vedi la televisione?”, “Perché usi il computer?”. Si risale così ai bisogni che tali strumenti soddisfano: bisogno di svago, di socialità, di stimoli, di autorealizzazione. Essi, però, possono essere soddisfatti anche in altro modo: giocando, praticando sport, leggendo un libro ecc. Si propone di fare un elenco dei bisogni di ciascun abitante della casa, precisando i bisogni comuni (mangiare, dormire ecc.) e quelli particolari (giocare, studiare ecc.).

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b) Che rapporto c’è tra la morfologia della casa e i bisogni? Si invitano gli studenti a indicare quali attività si svolgono in ciascuna stanza, ossia qual è la funzione di ciascuna stanza della propria casa.

c) Analizziamo gli input. Si assegna il seguente compito: “Per soddisfare i bisogni è necessario introdurre in casa molte cose. Facendoti aiutare dai tuoi familiari segna su un foglio tutto quello che è entrato in casa tua (mobili, televisore ecc.) o vi entra periodicamente (alimenti, detersivi ecc.), acquistato da te o dai tuoi familiari”. Si leggono e si discutono in classe le risposte date dai ragazzi. Si compone un cartellone con tutti gli input della casa, divisi per categorie: beni strumentali (arredi, elettrodomestici, utensili ecc.), beni di consumo (alimenti, acqua, detersivi, quaderni, penne ecc.), energia (elettricità, gas, pile, luce solare ecc.), altri input (aria ecc.). Si suddividono ulteriormente gli input a seconda del bisogno che soddisfano, sottolineandoli con tratti di diverso colore e segnando accanto una “E” se quell’input è essenziale, ed una “V”, se è voluttuario. d) Il valore e il prezzo degli input. Si segna il prezzo approssimativo dei vari input. Si fa notare che gli input hanno un diverso “valore” economico ed ecologico: input di necessità vitale, come l’aria e l’acqua, hanno uno scarso valore dal punto di vista economico (l’aria addirittura non ha alcun valore commerciale). Si spiegano il significato e l’etimologia di economia. e) Approfondiamo la morfologia della casa. Si invitano i ragazzi a segnare sulla cartina i vari arredi ed elettrodomestici presenti.

f) I processi di trasformazione Si fa notare che alcuni input vengono utilizzati come tali, mentre altri (gli alimenti) richiedono una trasformazione per poter essere utilizzati. Per avere qualcosa da mangiare a pranzo, occorre non solo acquistare alcune cose (la pasta, la verdura ecc.), che chiameremo risorse, ma anche preparare le pietanze (pulire la verdura, sorvegliare la cottura ecc.), cioè del lavoro. Questo richiede l’utilizzazione di attrezzi e macchinari (le posate, i fornelli, il lavandino ecc.), che chiameremo beni strumentali. Tutti i prodotti che utilizziamo (vestiti, arredi ecc.) sono il frutto della trasformazione di risorse naturali (piante, minerali ecc.), tramite il lavoro, con l’ausilio di beni strumentali. Si spiega la funzione di produzione: R+L+S=P. Si fa notare che in economia si usa parlare di produzione (produzione agricola, industriale ecc.), come se il sistema economico producesse realmente delle cose. L’ecologia ci fa capire che in realtà non c’è vera produzione (non si crea nulla), ma solo trasformazione di risorse naturali in beni commerciali. g) Quali sono le fonti di energia che consentono le trasformazioni che avvengono nella casa? Si assegna il seguente compito: “Per lavorare c’è bisogno d’energia, sia che il lavoro venga svolto da una persona, sia che venga svolto da una macchina. Cerchiamo qual è l’energia utilizzata dalle persone e dalle varie macchine presenti a casa”. Si fa notare che le persone utilizzano come fonte d’energia gli alimenti, che provengono tutti dal mondo vivente; questo ha come primo anello della catena le piante, che “funzionano” ad energia solare, trasformandola e racchiudendo l’energia nelle sostanze di cui sono costituite (fotosintesi). Le macchine utilizzano invece energia elettrica (per lo più prodotta in centrali a petrolio o a metano) o gas (scaldabagno, fornello), sfruttando quindi una fonte d’energia esauribile.

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h) Discussione. Si chiede agli studenti: “Che fine fa l’energia elettrica che entra in casa? Che fine fanno le cose che entrano in casa? Formulate delle ipotesi”.

i) Studio del destino dell’energia e delle cose. Si verificano le ipotesi formulate. Si tenga presente che non tutti i ragazzi hanno acquisito profondamente che le cose non possono consumarsi, scomparire, disintegrarsi (es. “La candela si consuma perché diventa energia luminosa”). E’ opportuno allora mettere in crisi eventuali evidenze primarie con appropriati esempi ed esperienze. Bisogna far capire che i termini “consumare, “scomparire”, “disintegrare”, indicano particolari trasformazioni: nulla, quindi, si crea e nulla si distrugge, ma ogni cosa va a finire da qualche parte. E’ opportuno fare vari esempi, quali: - Gli alimenti nel nostro corpo sono trasformati in altre sostanze, che vanno a rimpiazzare quelle “non più buone”, che vengono espulse con le feci, l’urina, il sudore, la desquamazione della pelle, la caduta dei capelli, l’anidride carbonica e il vapor acqueo emessi con la respirazione. Il loro peso complessivo, quindi, è pari a quello dell’insieme dei cibi, delle bevande e dell’ossigeno che introduciamo nel nostro organismo. - La benzina nell’automobile non si disintegra, ma viene trasformata nei gas di scarico emessi dal tubo di scappamento ed il cui peso è maggiore di quello della benzina, perché questa, bruciando, si combina con l’ossigeno, che a sua volta ha un peso. Se la materia veramente scomparisse, come appare ai nostri sensi (la candela accesa pian piano si consuma e scompare), nei milioni di anni del nostro pianeta, si sarebbe già tutta esaurita. Ciò, invece, non è avvenuto, perché essa, in realtà, non si distrugge, ma solo si trasforma continuamente. E’ opportuno anche fare degli esperimenti, come il seguente: “Poniamo una candela accesa in un recipiente, chiuso ermeticamente e collegato con un palloncino. Vedremo che il palloncino si gonfierà man mano che la candela brucia, segno che la materia non si è distrutta ma si è trasformata da solida a gassosa”. Il docente svolge le seguenti considerazioni: “Non solo la materia ma anche l’energia non si distrugge ma si trasforma: l’energia elettrica nella lampadina diventa energia luminosa ed energia termica; l’energia degli alimenti si trasforma in energia muscolare e in calore (infatti, più si mettono in azione i muscoli e più il nostro corpo si riscalda); l’energia elettrica nel frullino si trasforma in energia motoria e calore. Sia la materia che l’energia non si creano e non si distruggono, ma solo si trasformano. La differenza tra l’una e l’altra è che la materia può essere riutilizzata in continuazione (i cibi si trasformano in deiezioni, questi in concime ed il concime in nuove piante, che possono essere mangiate; così il ciclo ricomincia) mentre l’energia non può essere riutilizzata se non in parte. Infatti l’energia elettrica nella lampadina viene trasformata in energia luminosa; questa può essere trasformata in energia elettrica, tramite una cellula fotoelettrica, ma l’elettricità prodotta da quest’ultima sarà molto minore di quella consumata dalla lampadina, perché una parte dell’energia si è dispersa nell’ambiente come calore. In effetti, non solo la lampadina sarà più calda, ma anche l’aria circostante e perfino la cellula fotoelettrica, e questo calore non può essere più trasformato né in energia elettrica né in un altro tipo d’energia. E’ quanto enuncia il secondo principio della termodinamica: ad ogni trasformazione l’energia si degrada, si disperde come calore. Le continue trasformazioni che da milioni d’anni avvengono nel nostro pianeta possono verificarsi solo grazie al fatto che il Sole ci manda continuamente nuova energia. Esiste cioè un flusso continuo d’energia, mentre non esiste un flusso di materia. Malgrado questo flusso continuo d’energia tra il Sole e la Terra, questa non ha una temperatura elevata, perché disperde il proprio calore negli spazi siderali Anche la nostra casa si comporta secondo questo modello. Essa ha, continuamente bisogno di nuova energia e continuamente disperde il calore nell’ambiente circostante (quando in casa fa caldo apriamo le finestre per farlo disperdere più velocemente). La differenza è che la nostra casa ha anche bisogno di un flusso continuo di cose”.

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l) Analizziamo il destino di ogni singolo input. Si divide la classe in gruppi: ogni gruppo seguirà il destino di alcuni input. Dovrà cioè evidenziare le trasformazioni cui va incontro e quale esito ha. Si stende un elenco di tutti gli output della casa. Si possono approfondire, volendo, alcuni aspetti del tema “rifiuti” (solidi, liquidi o aeriformi: vedi le relative proposte didattiche). Si evidenziano le conclusioni dello studio svolto: nella casa entrano risorse o prodotti che vengono trasformati in rifiuti i quali vengono allontanati da casa; tutte queste operazioni richiedono sempre nuova energia, che si degrada sotto forma di calore, disperdendosi dalla casa all’ambiente circostante.

4) CONSIDERAZIONI a) Le leggi dell’ecologia. Si traggono alcune considerazioni sul funzionamento della casa e della Terra: - nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma; - ogni lavoro o trasformazione richiede energia; - sulla Terra la materia circola in continuazione, garantendo il perpetuarsi del nostro pianeta; nella casa, invece, essa viene trasformata in rifiuto, che viene allontanato, per cui c’è una continua necessità di nuove risorse; - l’energia invece non circola in continuazione, ma ce ne vuole sempre di nuova, perché si degrada sotto forma di calore. La natura utilizza l’energia solare, che continuamente arriva sul nostro pianeta. La casa, invece, utilizza soprattutto combustibili fossili, che si sono formati in migliaia d’anni e sono, quindi, esauribili. La casa, quindi, presenta delle sostanziali differenze con la Terra (è a ciclo aperto di materia e utilizza energia che si esaurirà in tempi brevi), per cui le sue “leggi” sono in contraddizione con quelle della natura b) Le leggi della natura e le leggi dell’economia. Si fa notare che il nostro sistema economico è in contraddizione con la natura e le sue leggi. Esso, infatti, sembra quasi ignorare che nulla si crea e nulla si distrugge. Non solo la produzione è in realtà una trasformazione, ma anche il consumo (in economia si parla di consumo di materie prime, consumo di prodotti, beni di consumo ecc.) non è tale, ma solo una trasformazione di prodotti in rifiuti, che vanno a finire da qualche parte. Il nostro sistema economico, quindi, è a ciclo aperto, a differenza di quello della natura che è chiuso, per cui ha bisogno sempre di nuove risorse e produce sempre nuovi rifiuti. Così, a lungo andare, le risorse scarseggiano o si esauriscono (il petrolio, all’attuale ritmo di consumo, tra 50 anni finirà) e i rifiuti aumentano a livelli non più tollerabili (inquinamento).

c) Cosa succede quando si infrangono le “leggi della natura”? Si legge la lettura “Casa da pazzi!” (pag. 153) o si fa inventare una storia analoga ai ragazzi con opportuni stimoli. Nella casa vi sono leggi non scritte che, qualora infrante, fanno sì che la casa vada a rotoli. Si riflette sul fatto che se si aumentano gli input, aumentano anche i rifiuti; che se i rifiuti non vengono allontanati, la casa diventa inabitabile; che, poiché i vari input sono collegati tra loro, intervenire su uno di essi influisce anche sugli altri; che mettere ordine in casa significa “pompare disordine” all’esterno di essa; che ogni stanza ha particolari funzioni; che il benessere di ciascun abitante del condominio dipende dal comportamento di tutti gli altri suoi abitanti.

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PARTE SECONDA: LA MIA CITTÀ

1) FISIOLOGIA DELLA CITTÀ a) Da dove vengono gli input delle 250.000 case di Napoli? Il docente chiede agli studenti: “Napoli ha un milione di abitanti, circa 250.000 case, come quella che abbiamo esaminato prima. Da dove vengono tutte le risorse utilizzate nell’intera città (alimenti, fonti d’energia, metalli ecc.)?” Al termine della breve discussione l’insegnante conclude che la città preleva risorse da un’area molto più vasta della città medesima, un’area che si estende a quasi tutto il mondo, per cui le nostre scelte si ripercuotono sull’intero pianeta. b) Qual è il destino dei rifiuti solidi delle 250.000 case? Si chiede: “Che fine fanno i rifiuti solidi? Che quantità se ne produce al giorno? Stimala moltiplicando la quantità prodotta da una casa x 250.000. Dove vanno i rifiuti? Segui il loro percorso? Che conseguenze comporta tutto ciò?” Si segnano le conseguenze individuate su un foglio, quindi si suddividono in categorie: conseguenze economiche, ambientali ecc. Si chiede agli studenti se loro ipotizzano sistemi migliori di smaltimento dei rifiuti. Si invitano i ragazzi a cercare i pro e i contro delle soluzioni proposte e a ipotizzare se è possibile realizzare qualcuna delle soluzioni proposte. Ci si confronta con “fonti esperte” (insegnante, letture, video, esperti). (Si veda la proposta didattica sui rifiuti solidi).

c) Qual è il destino dei rifiuti aeriformi? Il docente chiede se si può stimare la quantità di inquinanti atmosferici presenti a Napoli moltiplicando quella prodotta da una casa per 250.000. Quindi evidenzia che ciò non è possibile, perché la città è più dell’insieme delle 250.000 case. Le persone, per esempio, si spostano da una parte all’altra della città e le auto emettono gas di scarico. A Napoli vi sono circa 600.000 automobili. Si chiede se, secondo loro, inquinano di più le auto o le case; se conoscono gli inquinanti presenti nei gas di scarico delle auto e le caratteristiche che hanno; se vi sono altre fonti d’inquinamento atmosferico; dove vanno a finire gli inquinanti presenti nell’aria; che conseguenze determinano quando vanno a finire nei nostri polmoni o si depositano sui palazzi, sui monumenti. sulle foglie, sui frutti, o vengono trascinati dalla pioggia nel mare e nei fiumi o volano in alto nell’atmosfera. Si segnano su un foglio le opinioni dei ragazzi su tali argomenti. Si suddividono in categorie le conseguenze ipotizzate. Si chiede quali interventi, secondo loro, dovrebbero essere adottati per ridurre l’inquinamento. Si segnano su un foglio gli interventi individuati e si ipotizzano i pro e i contro delle soluzioni proposte. L’insegnante chiede se, secondo loro, è possibile realizzare qualcuna delle soluzioni proposte e se è possibile dare un contributo perché sia realizzata. Ci si confronta con fonti esperte (insegnanti, testi, video, esperti). (Si veda anche la proposta didattica sull’inquinamento atmosferico).

d) Il rapporto tra la mia città e il mondo. La città non solo preleva le sue risorse da tutto il mondo, ma diffonde anche i propri rifiuti in un’area molto più vasta del proprio territorio, estesa a quasi tutto il mondo. Le scelte che si compiono a Napoli, le nostre scelte, si ripercuotono sull’intero pianeta.

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Si assegna il seguente compito: “Ricerca alcuni esempi delle scelte che si compiono qui a Napoli ed effetti che si realizzano lontano nel mondo”. e) L’impronta ecologica. Si legge la lettura ‘L’impronta ecologica” (pag. 154). Si invitano gli studenti a calcolare la propria impronta ecologica e/o quella della propria famiglia. f) Il dilemma di Maria e Laura L’insegnante legge il dilemma di Maria e Laura (pag. 165). Successivamente stimola la discussione secondo le indicazioni riportate a fine lettura. 2) MORFOLOGIA DELLA CITTA’

a) I bisogni dei cittadini, le funzioni della città e la sua morfologia. Il docente chiede: “Quali sono, a vostro parere, i bisogni dei napoletani? Nella casa ci sono varie stanze, ognuna delle quali ha determinate funzioni per determinati bisogni dei propri abitanti. Nella città ci sono “stanze”, posti per ciascun bisogno? Vi sono aree con specifiche funzioni per i vari bisogni?”. Si traggono le conclusioni: anche la città ha delle “stanze” (zona industriale, zona ospedaliera. centro direzionale, zona commerciale, quartieri dormitorio).

b) Studio e verifica delle ipotesi sulle funzioni della città e sul modo migliore per svolgerle attraverso una morfologia appropriata. Si consultano fonti esperte (insegnanti, testi, esperti, siti Internet). c) La città non è un insieme di case. L’insegnante chiede: “Abbiamo visto che la città è più dell’insieme delle 250.000 case: cosa c’è oltre le abitazioni?” Si suddividono in categorie le risposte date. Ad esempio: - sistemi di trasporto (strade carrozzabili e pedonali, funicolari, metropolitane , ecc.); - aree verdi; - attività produttive, inquinanti (fabbriche) e non inquinanti; - servizi (ospedali, commercio, attività ricreative, scuole, chiese, musei, biblioteche, sedi dei servizi

per far funzionare la città: VV.UU, polizia, N.U., Uffici comunali ecc.). Si segna su una cartina della città il verde pubblico, gli ospedali, i luoghi per attività ricreative (cinema, teatri, pub), le attività produttive inquinanti. L’insegnante invita gli studenti a svolgere proprie considerazioni sulla morfologia della nostra città?

d) Esaminiamo meglio la rete cittadina dei trasporti. Il docente chiede: “La città è tutta attraversata da una fitta rete di strade carrozzabili: conosci strade o percorsi esclusivamente pedonali? Segna sulla cartina le vie di trasporto non destinate alle automobili (strade pedonali, scale, scale mobili, funicolari, treni, tapis-rulant, ascensori). Come funziona il sistema che permette gli spostamenti? Il sistema garantisce il diritto a soddisfare i vari bisogni (svago, lavoro, riposo, salute ecc.) a tutti i cittadini? Quali considerazioni puoi fare? Quali conseguenze determina un tale sistema della mobilità cittadina?” Si formulano le ipotesi sulle conseguenze.

e) Verifica delle ipotesi. Si consultano fonti esperte.

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f) Una città più a misura d’uomo. L’insegnante invita gli studenti (possibilmente suddivisi in gruppo) a ridisegnare la città, cioè a ridistribuire le funzioni, a ridefinire il sistema dei trasporti, progettando nuove funicolari, treni, vie pedonali, eventualmente anche abbattendo qualche palazzo (che non abbia un particolare valore culturale). Gli studenti devono illustrare i vantaggi e gli svantaggi che si determinerebbero dal loro progetto di nuova Napoli. Si discute sui vari progetti. Si invita uno o più esperti per confrontarsi. 3) CONCLUSIONI a) Allestimento di una mostra di cartelloni. Si allestisce una mostra di cartelloni con le analisi e le proposte formulate. Tale mostra può essere esposta a scuola o nel quartiere, in occasione di una manifestazione per una città più vivibile.

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CONSIGLI BIBLIOGRAFICI

- Janovy J.: Ecologia essenziale: 20 domande chiave, 20 risposte chiare. Edizioni Ambiente,

Milano, 2000. - Wackernagel M., Rees W.E.: L’impronta ecologica: come ridurre l’impatto dell’uomo sulla terra,

Edizioni Ambiente, Milano, 2000. - Hinterberger F., Luks F., Stewen M..: Economia, ecologia, politica: come rendere sostenibile il

libero mercato attraverso la riduzione delle materie, Edizioni Ambiente, Milano, 1999. - Carley M., Spapens P.: Condividere il mondo: equità e sviluppo sostenibile nel XXI secolo

Edizioni Ambiente, Milano, 1999. - Fourcans A.: L’economia raccontata a mia figlia: dalla ricchezza delle nazioni all’economia

dell’amore, ETAS, Milano. - Daly H.E., Cobb J.B. jr: Un’economia per il bene comune: il nuovo paradigma economico

orientato verso la comunità, l’ambiente e un futuro ecologicamente sostenibile, Red, Como, 1994. - Krunica H.: Ecologia urbana: tutto ciò che occorre sapere sull’ambiente in cui viviamo, CUEN,

Napoli, 2000. - Pallante M.: Discorso sulla decrescita. Manifesto per una felice sobrietà, Sossella, 2007. - Pallante M.: La decrescita felice, Editori Riuniti, 2005. - Wines J.: Il pianeta lo salvo io! In 101 mosse, Edt, 2007. - Bologna G.: Manuale della sostenibilità - Idee, concetti, nuove discipline capaci di futuro,

Edizioni Ambiente, 2005.

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I RIFIUTI SOLIDI

Leonarda Acquarone, Elettra Forlani, Maria Beatrice Martini, Luca Fabbricatore, Pio Russo Krauss

PREMESSA Abbiamo preferito prevedere un itinerario didattico articolato su tre anni per la trattazione del problema dei rifiuti solidi. In tale maniera ci sembra più facile conseguire una reale consapevolezza e interiorizzazione del problema, mettendo eventualmente a fuoco specifici temi, come l’ecosistema, l’energia, atomi e molecole, la rivoluzione industriale, il colonialismo e il neocolonialismo, i paesi extraeuropei ecc. Nell’itinerario didattico si è seguito il seguente schema: dal vicino al lontano, dal vissuto al generale, dal semplice al complesso.

FINALITÀ - Essere consapevoli del problema dei rifiuti e della sua complessità. - Essere consapevoli delle relazioni tra produzione, consumo, rifiuti. - Superare l’atteggiamento passivo (“lo che c’entro?”, “Io che ci posso che ci fare are?», “Tanto

non cambia niente!”). - Sviluppare un impegno politico inteso come contributo alla risoluzione dei problemi. - Strutturare una mentalità scientifica sistemica. - Acquisire comportamenti più ecocompatibili e più solidali con le popolazioni povere del mondo.

FASE PRIMA (APPROCCIO AL PROBLEMA)

OBIETTIVI - Percepire e riconoscere la presenza dei rifiuti nella vita quotidiana. - Individuare il problema dei rifiuti. - Acquisire i concetti di riuso, riciclo, degradabilità, organismi decompositori, consumatori e produttori, catena alimentare di pascolo e di detrito, ciclo, flusso d’energia, degradazione dell’energia. - Distinguere i rifiuti in base alla loro degradabilità. ITINERARIO DIDATTICO 1) RILEVAZIONE DELLE PRECONOSCENZE E DELLE RAPPRESENTAZIONI MENTALI a) La rappresentazione mentale di rifiuto L’insegnante assegna i seguenti compiti: - “Indica 6 parole, frasi o immagini che ti vengono in mente pensando a ciascuno dei seguenti termini: rifiuto, ambiente, nuovo”; - “Disegna un rifiuto, cioè la tua idea di rifiuto o qualcosa che ti ricorda questa parola”.

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2) FAR PERCEPIRE E RICONOSCERE LA PRESENZA DEI RIFIUTI NELLA VITA QUOTIDIANA a) I rifiuti a casa Il docente invita ad esaminare il contenuto dei sacchetti dei rifiuti di casa (oppure si può l’esame può essere svolto a scuola). Consigliamo di pesare ogni sacchetto e poi di aprirlo su un telo di plastica per rilevare i rifiuti presenti, la loro funzione originaria, se erano veramente inutilizzabili, il materiale di cui sono costituiti, il volume e il peso approssimativo). Si invitano i ragazzi a censire gli altri rifiuti prodotti a casa (quelli che non vengono raccolti nel sacchetto, ad esempio olio usato, rifiuti che sono gettati nel water ecc.). Si riportano i dati rilevati su un foglio o su una scheda appositamente predisposta (con le medesime voci indicate prima). b) Elaborazione dei dati Si confrontano i rilievi fatti dai vari ragazzi. Si dividono le diverse voci di rifiuti (per tipologia di materiale o altro). Si sommano i singoli dati, stimando il quantitativo totale di rifiuti che potrebbero avere ancora un’utilizzazione. c) Indagine sui contenitori ed imballaggi degli alimenti. L’insegnante assegna il seguente compito: “Facendoti aiutare dai tuoi genitori, segna il peso totale ed il peso, il materiale ed il volume del contenitore o imballaggio degli alimenti acquistati. d) Elaborazione dati. Si confrontano e si sommano i dati. Si invitano i ragazzi ad esprimere le loro osservazioni. e) I rifiuti nella strada. Il docente invita a segnare su un foglio gli eventuali rifiuti che si incontrano lungo l’itinerario casa-scuola.

3) IL PROBLEMA: CHE FINE FANNO I RIFIUTI?

a) Discussione: che fine fanno i rifiuti? L’insegnante pone le seguenti domande: “Se lasciassi sul posto i rifiuti di un picnic (una lattina, un panino, un frutto, un tovagliolo di carta, le posate di plastica e un contenitore di vetro, che fine farebbero? Dopo un anno quali degli oggetti elencati sarebbero intatti, quali deteriorati e quali scomparsi?” b) Esperimento. Si sotterrano in alcuni vasetti i rifiuti elencati prima, annaffiamoli ogni settimana e si osserva dopo un mese, due mesi e quattro mesi il loro stato. Si definiscono le ipotesi per spiegare cosa è successo ai vari rifiuti collocati nel terreno. c) Verifica delle ipotesi. Si verificano le ipotesi formulate tramite il confronto con “fonti esperte” (insegnanti, letture, video, esperti). In questa fase è opportuno introdurre alcuni concetti: alcune sostanze sono degradabili, altre no (si può far vedere un elenco di varie sostanze con i loro tempi medi di degradazione); la degradazione in tempi brevi avviene attraverso organismi viventi (i pomodori in lattina non vanno a male perché sono sterilizzati tramite il calore, mentre se si lasciano dei pomodori non sterilizzati in un boccaccio

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di vetro, si decompongono in alcuni giorni); il terreno è ricco di tali organismi (la carta nel terreno si decompone); gli esseri viventi possono essere classificati in decompositori, consumatori e produttori, che strutturano una rete alimentare di pascolo e una di detrito; la materia circola in continuazione grazie al flusso d’energia che proviene dal sole; tale energia viene in parte immagazzinata in sostanze (se si brucia il legno l’energia racchiusa viene resa nuovamente disponibile) e in parte si disperde (l’energia non circola ma si degrada, per cui ce ne vuole sempre di nuova, e tende inevitabilmente ad esaurirsi). 4) FORMALIZZAZIONE E SINTESI DI QUANTO APPRESO a) Stesura di una relazione. Si stende una relazione su quanto studiato e appreso, eventualmente sotto forma di ipertesto.

FASE SECONDA: CONOSCENZA E ANALISI DEL PROBLEMA OBIETTIVI - Definire il problema rifiuti. - Padroneggiare i concetti di riuso, riciclo, degradabilità, organismi decompositori, consumatori e produttori, catena alimentare di pascolo e di detrito, ciclo biogeochimico, flusso d’energia, degradazione dell’energia. - Conoscere l’impatto dei rifiuti sull’ambiente, sulla salute e sull’economia. - Conoscere il sistema di raccolta, recupero, riciclo e smaltimento dei rifiuti, nonché le principali modalità di smaltimento.

ITINERARIO DIDATTICO 1) RILEVAZIONE DELLE PRECONOSCENZE E DELLE RAPPRESENTAZIONI MENTALI a) Discussione sul problema dei rifiuti. Si legge il brano “La città di Leonia” di Calvino (da “Le città invisibili”). Si apre la discussione sull’entità del problema, l’origine dei rifiuti, le conseguenze, le soluzioni. 2) ENTITÀ DEL PROBLEMA E ORIGINE DEI RIFIUTI a) La produzione dei rifiuti a Napoli. Si invitano i ragazzi a stimare la produzione di rifiuti a Napoli, moltiplicando la produzione familiare (in Kg e volume) per 312.000 (il numero delle famiglie presenti in città). Si confronta la stima ottenuta con i dati ufficiali. Perché c’è uno scarto (i dati ufficiali sono maggiori)? b) I produttori di rifiuti a Napoli. Si invitano gli studenti a individuare i produttori di rifiuti solidi, che non siano famiglie, presenti nella nostra città.

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c) Il costo dello smaltimento. Si sollecitano i ragazzi a fare una ricerca per sapere quante persone sono occupate nell’agenzia che si interessa dei rifiuti e quanto è il costo dello smaltimento dei rifiuti della nostra città, nonché quanto spende ogni anno una famiglia per lo smaltimento dei rifiuti. d) I rifiuti in Italia. L’insegnante illustra i vari tipi di rifiuti solidi (vedi D.Lgs 22/97) e le quantità prodotte a Napoli e in Italia. 3) DESTINO DEI RIFIUTI E IMPATTO SULL’AMBIENTE, SULLA SALUTE E SULL’ECONOMIA a) L’inquinamento da rifiuti solidi. L’insegnante chiede: “Conoscete la parola “inquinamento”? Dove e quando l’avete incontrata? Cosa significa? Elenca almeno tre rifiuti che, secondo te, inquinano; elenca almeno tre rifiuti che, secondo te, sporcano ma non inquinano”. Si leggono e discutono le risposte scritte dai ragazzi b) Il destino dei rifiuti. Il docente pone questo quesito: “Dove vanno a finire i rifiuti? In particolare dove vanno a finire i rifiuti raccolti nelle varie campane e cassonetti? Dove quelli lasciati per strada?”. Si formulano ipotesi e successivamente si consultano fonti esperte (l’Agenzia dei Rifiuti, testi, siti, esponenti delle associazioni ambientaliste ecc.). L’insegnante riassume le attività relative alla gestione dei rifiuti solidi urbani (spazzamento, raccolta, prelievo, trasporto, recupero o riciclo, smaltimento). c) Lo smaltimento dei rifiuti. L’insegnante illustra le principali modalità di smaltimento, con i loro vantaggi e svantaggi d) Discussione. Si chiede: “Qual è, secondo voi, l’impatto dei rifiuti sull’ambiente, sull’uomo e sull’economia?”. Si discute e si raccolgono su un foglio le ipotesi formulate. e) Studio dell’impatto dei rifiuti sull’ambiente, sulla salute, sull’economia. Ci si confronta con fonti esperte (insegnanti, testi, video, esperti). f) Esperimento. L’insegnante chiede: “Perché i rifiuti puzzano?”. L’insegnante fa eseguire il seguente esperimento: si mettono dei fagioli lessati alcuni in un barattolo e altri sotto terra. Si verifica dopo alcuni giorni cosa sta succedendo. Si chiede: “Perché i fagioli conservati nel barattolo puzzano e quelli sotto terra no?”. I ragazzi formulano ipotesi. g) Verifica delle ipotesi: il ciclo della materia. Il docente spiega che i cattivi odori originano dalla degradazione delle sostanze di cui sono fatti i fagioli ad opera degli organismi decompositori, che trasformano macromolecole, come le proteine, gli amidi e i grassi, in micromolecole, alcune delle quali possono avere un cattivo odore. Nel terreno, per la presenza di numerosi e diversificati microorganismi decompositori, la decomposizione è più spinta. Le micromolecole più piccole (fosfati, nitrati, ecc.) sono utilizzate dalle piante per costruire il proprio organismo. Le sostanze naturali, quindi, si degradano e gli

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elementi che le costituiscono circolano in continuazione (es. ciclo biogeochimico del carbonio e dell’azoto, mosso dall’energia solare). Le sostanze artificiali generalmente non sono biodegradabili o lo sono parzialmente, per cui tendono ad accumularsi (es. le materie plastiche). La natura funziona a ciclo chiuso, mosso dall’energia solare. Il nostro sistema economico funziona a ciclo aperto, mosso da fonti energetiche esauribili: il petrolio, il carbone, il gas naturale, che originano dalle piante preistoriche. Queste hanno “racchiuso” l’energia proveniente dal sole in sostanze che, nei millenni, si sono trasformate in questi prodotti. Per tali motivi, nel nostro sistema economico, le risorse vanno ad esaurirsi e i rifiuti vanno ad aumentare sempre più. Ad esempio, entro 50 anni il petrolio dovrebbe esaurirsi, mentre la plastica inquinerà ancor più sia il mare che la terra ferma. Si legge la lettura «L’esaurimento delle risorse» a pag. 160 h) I rifiuti e l’esaurimento delle risorse. L’insegnante invita a ricerca le stime dei tempi di esaurimento di alcune materie prime (stagno, piombo, zinco, rame, ferro) e le loro principali utilizzazioni. i) Proviamo a produrre concime dai rifiuti (compost). Per produrre del compost si mette in un contenitore (in giardino il contenitore può essere realizzato anche con una rete metallica infissa nella terra) strati alternati di terreno e rifiuti organici preferibilmente sminuzzati (consigliamo verdure, frutta, resti di caffè, fiori e foglie secche). Non ammassare eccessivamente e tenere il tutto sempre moderatamente umido. In un tempo variabile tra due mesi e 8 mesi il compost sarà pronto (il tempo di maturazione dipende dalla temperatura, dalla natura dei rifiuti e dal loro volume, nonché dal tipo di terreno utilizzato). l) Quanta ricchezza c’è nei rifiuti? Si invitano gli studenti a fare una ricerca per sapere quanta energia è occorsa per produrre un kg di plastica, carta, vetro, alluminio, nonché il costo della carta da macero, dei rifiuti plastici, del vetro e dell’alluminio (è possibile reperire tali dati consultando i relativi consorzi di riciclaggio). m) Visita ad una cartiera o ad una vetreria. Si visita una cartiera o una vetreria E’ possibile, (esempio Cartiera Partenope, Corso D’Amato, Arzano) o una vetreria (per esempio Eurovetro Meridionale, Via Palazziello, Volla). 4) FORMALIZZAZIONE E SINTESI DI QUANTO APPRESO. a) Stesura di una relazione. Si stende una relazione su quanto studiato e appreso, eventualmente sotto forma di ipertesto. b) Il dilemma di Bruno e Gianni L’insegnante legge il dilemma riportato a pagina 164. Successivamente stimola la discussione secondo le indicazioni riportate a fine lettura. FASE TERZA: I RIFIUTI COME PROBLEMA STRUTTURALE DELLA SOCIETÀ DEI

CONSUMI. STRATEGIE DI RISOLUZIONE. OBIETTIVI - Comprendere che il problema dei rifiuti è tipico della società dei consumi. - Acquisire i concetti di produzione, consumo, consumismo, obsolescenza, obsolescenza pianificata, sviluppo sostenibile, impronta ecologica.

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- Formulare proposte per affrontare e risolvere il problema dei rifiuti, tenendo conto della sua complessità. - Conoscere la divisione delle competenze tra Stato, Regione, Provincia, Comune.

ITINERARIO DIDATTICO 1) PRIMO APPROCCIO AL PROBLEMA a) Discussione. Si legge il brano: “Visione della riciclomania da parte di un abitante dello Shri Lanka” (pag 158). Si apre la discussione su quanto letto. b) Qual era la situazione nella prima metà di questo secolo? Si invitano gli studenti a intervistare i nonni o qualche persona anziana: “Qual era la durata di beni come capi d’abbigliamento, arredi, macchinari ecc.? V’erano beni usa getta? Dove andavano a finire gli scarti dei cibi e i beni deteriorati? Quali erano le riutilizzazioni più comuni dei vari oggetti, prima di diventare rifiuto? Descrivi una giornata di quando avevi la mia età. Quali sono le maggiori differenze tra la tua epoca e la mia riguardo a questo aspetto? Ci sono oggetti della tua giovinezza che hai conservato?”. c) Discussione. Si pone la seguente discussione: “Perché nella nostra società si producono molti più rifiuti che nei paesi del Terzo Mondo o della stessa Italia di 50-60 anni fa? Di chi è la responsabilità? Cosa si può fare per ridurre i rifiuti o perché abbiano un minore impatto sull’ambiente e sulla salute?”. d) Formulazione di ipotesi sui precedenti quesiti. Si segnano su un foglio le ipotesi scaturite dalla discussione effettuata. Si dividono in tipologie le proposte di soluzione ipotizzate secondo il seguente schema: I) soluzione tecniche

- proposte tese a produrre meno rifiuti - proposte tese alla riutilizzazione dei rifiuti - proposte tese al riciclaggio - proposte tese a rendere più facile e meno inquinante lo smaltimento

II) soluzioni politiche e culturali - proposte realizzabili con cambiamenti strutturali (norme, tasse ecc.) - proposte realizzabili con attività educative (cambiare i comportamenti).

2) STUDIO DEL PROBLEMA PER VERIFICARE LE IPOTESI DI SOLUZIONE a) La società dei consumi. Si raffronta il consumo pro capite di alcune risorse nei paesi ricchi e nei paesi poveri. Si raffrontano i dati di produzione negli anni 50, 75, 90, nel nostro Paese confrontandoli poi con il numero di abitanti negli stessi periodi di tempo. Si disegna un grafico della produzione e della popolazione. b) Discussione. Si legge la lettura “Il consumismo” (pag. 156) per poi aprire una discussione sul tema: avevate mai riflettuto su questo tema? Che ne pensate? Quali sono le conseguenze negative del consumismo?

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Che rapporto c’è tra il consumismo e il problema dei rifiuti? Che rapporto c’è tra il consumismo e il sottosviluppo? c) L’impronta ecologica Si legge la lettura “L’impronta ecologica (pag. 154) e si chiede ai ragazzi cosa ne pensano. Si invitano gli studenti a calcolare la loro impronta ecologica. d) La crescita esponenziale in un sistema finito. Il docente pone il seguente quesito: “Il nostro sistema economico ha l’esigenza di produrre sempre di più: cosa determina una crescita illimitata che avviene in un pianeta finito, con risorse e capacità di depurazione e di adattamento limitate?” Si legge il brano: “Sembrava solo una piccola macchia verdastra” (pag. 157). Si assegna il seguente compito: “Rappresenta graficamente la situazione descritta nella lettura, disegnando 5 rettangoli di 8x4 cm e colorando in verde l’area occupata dalla macchia verdastra al 21°, 25°, 28°, 29° e 30° giorno. Disegna su un asse cartesiano la curva relativa allo sviluppo della macchia verdastra. Confronta tale grafico con quelli della produzione e della popolazione”. e) Alcune verifiche di come l’attuale produzione di beni determina il problema dei rifiuti. Si assegna il seguente compito: “Stila un elenco di oggetti di durata breve ed uno di oggetti che non possono essere riparati o sostituiti in parte (es. giocattoli, rasoio usa e getta), indicando per ogni elemento se potrebbe essere sostituito da altri durevoli”. Si smontano in classe alcuni oggetti non riparabili. Di quali materiali sono fatti? Sono facilmente smontabili e rimontabili? Quali accorgimenti potevano essere presi nella loro produzione per renderli più durevoli, con maggiore possibilità di utilizzare le parti ancora integre (mercato dei ricambi usati) o di recuperare i materiali costituenti per riciclarli? f) Cambiare l’economia, ma cambiare anche se stessi. Si legge la lettura: “Intervista alla Prof. Mancuso” (pag. 157). Si apre una discussione sui nostri comportamenti e atteggiamenti. g) I soggetti impegnati per risolvere il problema dei rifiuti. Si stende un elenco dei soggetti impegnati a risolvere questo problema (associazioni, gruppi, enti ecc.) e delle più interessanti iniziative intraprese. A tal proposito può essere opportuno contattare le associazioni ambientaliste. 3) PRATICHIAMO ALCUNE DELLE SOLUZIONI PROPOSTE a) Definizione di una strategia per affrontare il problema rifiuti L’insegnate invita i ragazzi a definire una strategia per affrontare il problema dei rifiuti. La strategia deve essere articolata sul piano politico e sul piano personale. Suggeriamo alcuni possibili impegni. I) Impegno politico:

- Sensibilizzazione della popolazione: si può stampare un piccolo dossier da distribuire o vendere; si può preparare una mostra di cartelloni da esporre nella piazza o via principale del quartiere; si può organizzare la giornata del riutilizzo e del riciclaggio, in cui verranno distribuiti volantini; si possono inviare messaggi via Internet, ecc. - Si può aprire una vertenza affinché sia praticata una delle soluzioni proposte: consigliamo di scegliere quella che sembra più facilmente praticabile. Si potranno scrivere lettere ai responsabili della gestione dei rifiuti o ai giornali; organizzare una petizioni o un boicottaggio del/dei prodotti più inquinanti (es. vaschette di polistirolo, prodotti usa e getta ecc.); coinvolgere amministratori,

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politici e intellettuali ecc. Prima di aprire la vertenza è utile conoscere, anche succintamente, la normativa in proposito e se questa è applicata dai vari soggetti interessati (Regione, Comune, Agenzia per i rifiuti, cittadini ecc.) e contattare le associazioni per definire delle azioni comuni. E’ utile anche ricercare tramite Internet se vi sono campagne già organizzate.

II) Cambiare alcuni comportamenti: - Elaborare un codice di comportamento - Sottoscrivere alcuni impegni personali - Organizzare la riutilizzazione o il riciclaggio di alcuni prodotti o materiali.

b) Il dilemma di Maria e Laura L’insegnante legge il dilemma riportato a pagina 165. Successivamente stimola la discussione secondo le indicazioni riportate a fine lettura.

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SCHEDA INFORMATIVA I rifiuti solidi sono caratterizzati dalla facilità con cui possono essere separati dall’ambiente, trovandosi in forma solida o semisolida. Essi possono essere divisi in urbani (a loro volta suddivisi in ingombranti, come i mobili, e non ingombranti, come la spazzatura) speciali (materiali edili, apparecchiature, veicoli, fanghi di depurazione ecc.) e pericolosi (contenenti amianto, policlorofenoli ecc.). La quantità di rifiuti prodotta è andata sempre più aumentando negli ultimi decenni (in media del 5% all’anno). Di pari passo è andata cambiando la loro composizione: sono diminuiti i residui alimentari ed aumentati i contenitori e gli imballaggi. Di conseguenza, a parità di peso, è andato aumentando il volume dei rifiuti (del 30% in più negli ultimi 10 anni). IMPATTO DEI RIFIUTI SOLIDI URBANI (RSU) I RSU sono un’ottima fonte di nutrimento per molti vettori di malattie (cani, topi, mosche, blatte ecc.), per cui possono essere messi in correlazione con varie patologie: la rabbia, la toxoplasmosi, la leptospirosi, le tossinfezioni alimentari, le parassitosi ecc. Essi, inoltre, sono fastidiosi a causa dell’esalazione di odori sgradevoli. I rifiuti solidi, degradandosi e disperdendosi nell’ambiente, possono provocare l’inquinamento delle falde idriche, del suolo, dell’aria, dei corsi d’acqua e del mare. Determinano scadimento dei luoghi, con un danno economico difficilmente stimabile ma ingente, e, inoltre, possono essere causa di alterazioni della comunità biotica. Alcune specie, quelle che possono cibarsi di scarti alimentari (topi, ratti, gabbiani, cornacchie ecc.), sono favorite dalla presenza dei rifiuti, per cui la loro numerosità aumenta, finendo per occupare nicchie ecologiche di altre specie. SMALTIMENTO I principali sistemi di smaltimento sono: - Discarica controllata. Consiste nell’interrare o accumulare i rifiuti secondo rigorosi criteri (impermeabilizzazione del fondo, sistema di drenaggio del percolato e di captazione del gas prodotto ecc.), in modo che i microrganismi del terreno possano degradare le sostanze degradabili senza che si determinino danni all’ambiente ed all’uomo. Gli aspetti negativi dello smaltimento in discarica sono l’occupazione di vaste aree, le esalazioni maleodoranti, i rischi di proliferazione di animali nocivi e di inquinamento. - Incenerimento/termovalorizzazione. Consiste nel bruciare in forni ad alta temperatura i rifiuti, producendo contemporaneamente energia elettrica o vapore da utilizzare per riscaldamento. Deve essere inviata alla termodistruzione solo la frazione con maggiore potere calorifico (plastica carta ecc) che costituisce il cosiddetto combustibile da rifiuti (CDR). Il CDR viene prodotto in speciali impianti dove è conferita la frazione non umida dei rifiuti. I vantaggi di tale tecnica sono l’inertizzazione dei rifiuti in ceneri con riduzione del volume (30-10 %) e del peso (30%) rispetto a quello iniziale dei rifiuti; un altro vantaggio e il parziale recupero dell’energia presente nei rifiuti. Si ricordi pero che il CDR ha un basso potere calorifico (1.000-3.000 Calorie/Kg) e che il riciclaggio permette un risparmio di energia di gran lunga maggiore (per produrre 1 Kg di plastica occorrono 14.000 Cal, per produrlo tramite riciclaggio solo 2.000, quindi 1 Kg di plastica riciclata fa risparmiare 12.000 calorie). Gli aspetti negativi sono l’emissione di inquinanti atmosferici e la produzione di scarichi liquidi da depurare, la necessita di discariche per le ceneri e per i fanghi di depurazione, gli alti costi degli impianti che rendono poco reversibile la scelta operata. Particolari tecnologie di “incenerimento” (“recupero energetico”) sono la gassificazione e la

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pirolisi. In queste tecnologie i rifiuti sono “trattati” in condizioni particolari (carenza di ossigeno ecc.) in modo tale da non "incendiare i rifiuti" ma trasformarli in miscele di gas, che poi vengono bruciati. In tale maniera il processo dovrebbe essere più controllato e produrre meno inquinanti (ma spesso anche meno energia utilizzabile). Il problema di tutte queste tecnologie di recupero energetico è la estrema pluralità di sostanze presenti nei rifiuti e la loro variabilità nel tempo, per cui è difficile determinare condizioni che non producano o producano basse quantità di sostanze inquinanti, presenti nei fumi o nelle ceneri. - Compostaggio. Consiste nella produzione di compost (concime organico) dalla frazione umida dei rifiuti (residui alimentari, materiale vegetale ecc.) in appositi impianti. Il compost è di buona qualità e, quindi, utilizzabile in agricoltura se proviene dal trattamento della sola frazione umida, se insieme a questa sono presenti altre tipologie di rifiuto (giornali, prodotti chimici di sintesi ecc.) il compost si presenta “inquinato” e non può essere utilizzato nei terreni destinati alla produzione di prodotti alimentari ma solo in quelli per la florovivaistica. - Biodegestione. Consiste nella fermentazione controllata della frazione organica dei rifiuti in modo che si produca un carburante (biocarburante oppure metano) che può essere utilizzato per produrre energia o per i trasporti. - Riciclaggio Il riciclaggio può essere realizzato tramite impianti ad hoc oppure tramite la raccolta differenziata. Col primo sistema l’immondizia viene portata in impianti che separano le varie frazioni dei rifiuti. In tal modo si possono riciclare il materiale cellulosico, la plastica, i materiali ferrosi, il materiale inerte e si possono produrre compost o biogas dal materiale biodegradabile. Per quanto riguarda la raccolta differenziata, si può raccogliere separatamente la frazione umida dei rifiuti (materiale organico) da quella secca, così da produrre un compost di migliore qualità rispetto a quello prodotto in impianti. Inoltre si possono raccogliere e riciclare il vetro, la carta, l’alluminio, alcune plastiche, gli oli usati, le pile, il ferro, il cuoio. - Pressatura. E’ possibile ridurre il volume dei rifiuti tramite processi di pressatura. La riduzione del volume va da un terzo a fino un settimo del volume iniziale, in quest’ultimo caso viene operata anche una blanda termo-essiccazione. La pressatura comporta la produzione di scarichi liquidi che devono essere depurati, nonché, ovviamente, il definitivo smaltimento dei rifiuti pressati (e dei fanghi di depurazione) in discarica. MODALITÀ PER RIDURRE LA PRODUZIONE DI RIFIUTI La riduzione del quantitativo di rifiuti, soprattutto di quelli più difficili da smaltire o più preziosi, può essere attuata in vari modi: - contrastando la pratica dell’usa-e-getta; - diminuendo all’essenziale gli imballaggi (il 40% in peso e il 60% in volume dei rifiuti) e contrastando l’uso della plastica e del polistirolo, che sono difficili da smaltire; - riducendo l’obsolescenza delle merci e favorendone la riparazione ed restauro; - producendo prodotti che, una volta deteriorati, siano facilmente smontabili, così da favorire il recupero dei pezzi ancora integri e dei materiali presenti; - adottando quei processi produttivi e quelle tecnologie industriali che portano alla formazione di minori quantità di rifiuti o di rifiuti più facilmente smaltibili; - riducendo la produzione e il consumo, in particolare di prodotti non essenzia1i e inquinanti. Tali azioni possono essere realizzate tramite divieti, tasse (la tassa di 100 lire introdotta nel 1988 e in seguito abrogata, sui sacchetti di plastica ne ha ridotto il consumo del 30%), incentivi (sgravi fiscali, prestiti, premi per chi produce, vende o compra prodotti più “ecocompatibili”), campagne educative.

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NORMATIVA L’Unione Europea ha emanato direttive che impongono ai paesi membri di limitare la produzione dei rifiuti, di favorire il riciclaggio e il recupero energetico fissando precisi obiettivi da raggiungere entro determinate scadenze. La legislazione italiana sui rifiuti è in continua evoluzione (principale norma attualmente è il decreto legislativo 22/97 “decreto Ronchi” che recepisce le direttive europee) per tale motivo consigliamo di consultare la relativa voce nelle “Leggi italiane nel testo vigente” o una banca dati online (vedi Appendice). Qui diamo solo alcune indicazioni sulla divisione delle competenze: - Stato: predispone i criteri generali sulla gestione dei rifiuti e sulle metodologie di smaltimento, volti anche a limitare la formazione e a favorire il riciclaggio dei rifiuti; indica gli obiettivi di qualità dei servizi di gestione dei rifiuti; disciplina e rilascia le autorizzazioni per le spedizioni transfrontaliere dei rifiuti, elabora il piano di bonifica delle aree inquinate di interesse nazionale. - Regioni: elaborano i piani di gestione dei rifiuti e di bonifica delle aree inquinate; approvano i progetti di nuovi impianti di gestione; regolamentano l’attività di gestione, delimitano gli ambiti territoriali ottimali (a.t.o.) per lo smaltimento dei rifiuti urbani. - Province: predispongono il Piano di gestione dei rifiuti urbani (se corrispondono agli a.t.o.); hanno compiti di conoscenza. - Comuni: curano la gestione dei RSU; emanano i relativi regolamenti. Sono stati istituiti consorzi nazionali per il riciclaggio del vetro, della plastica, degli oli usati, delle batterie esauste, degli oli e grassi vegetali e animali, dei beni in polietilene e degli imballaggi. I consorzi hanno specifici obblighi e obiettivi di riduzione, recupero e riciclaggio (es. il CONAI, Consorzio Nazionale Imballaggi, entro il 2000 doveva recuperare almeno il 50% in peso e riciclare almeno il 25% in peso degli imballaggi prodotti e/o importati). Con il decreto legislativo 22/97 sono stati fissati obiettivi minimi di riciclaggio dei RSU da attuare in ciascuna Provincia o a.t.o.: 15% entro il 1999, 25% entro il 2001 e 35% entro il 2003. Inoltre sono stati disciplinati il conferimento, recupero e smaltimento dei veicoli e dei beni durevoli (frigoriferi, lavatrici, televisori, computer ecc.). Per la tutela dall’inquinamento da rifiuti solidi si può fare riferimento anche al codice penale. L’art. 674 (getto pericoloso di cose) afferma che “chiunque getta o versa, in luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone (....) è punito con l’arresto fino a un mese o con un’ammenda. L’art. 635 (danneggiamento) punisce con la reclusione fino a un anno e con una multa, a querela della persona offesa, “chiunque distrugge, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili cose mobili o immobili altrui”. Si procede d’ufficio (cioè anche senza querela della persona offesa) e la pena è da 6 mesi a 3 anni, se il fatto è commesso “sopra opere destinate ad irrigazione; sopra piante di viti, di alberi o arbusti fruttiferi o su boschi, selve o foreste”. ALCUNI DATI - Produzione di rifiuti urbani pro capite in Italia nel 1973, 1998 e 2004 (Kg/abitante): 1973 270,

1998 466, 2004 538 (UNDP e APAT). - Produzione di rifiuti urbani pro capite in alcune regioni nel 2004 (Kg/abitante): Toscana 693,

Emilia 657, Lazio 597, Lombardia 510, Sicilia 508, Campania 481, Veneto 465, Calabria 470, Molise 382 (APAT).

- Produzione di rifiuti speciali in Italia (milioni di tonnellate): 1997 60 (37 speciali non pericolosi, 20 materiali da costruzioni e demolizioni, 3 pericolosi), 2003 101 (52 speciali non pericolosi, 43 materiali da costruzione e demolizione, 6 pericolosi).

- Produzione di rifiuti solidi urbani in Campania nel 2005 (migliaia di tonnellate): Campania 2.806, Napoli 1.616, Avellino 181, Salerno 457, Caserta 438; Benevento 114 (APAT).

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- Produzione di rifiuti solidi urbani pro capite in Campania nel 2005 (kg\ab\anno): Campania 485, Napoli 523, Caserta 494, Benevento 396, Avellino 413, Salerno 419 (APAT).

- Rifiuti raccolti in maniera differenziata a Napoli nel 2005 (tonnellate): frazione umida e verde 4.050; Carta e cartone 13.110; Vetro 4.140; plastica 40; metallo 240; ingombranti 17.640; tessili 1.130 (ASIA).

- Percentuale di rifiuti riciclati, trattati con recupero energetico e smaltiti nel 2003: Italia 51% (riciclo), 7% (recupero energetico), 42% (smaltimento); Austria 64%, 13%, 23%; Germania 71%, 16%, 14%; Olanda 62%, 29%, 8%; Francia 48%, 16%, 36%; Regno Unito 47%, 6%, 47% (European Topic Centre on Resource and Waste Management).

- Percentuale di imballaggi riciclati o recuperati energeticamente in Italia nel 2004: carta 72%, legno 60%, vetro 56%, metalli 55%, plastica 54% (oltre la metà della plastica finisce in termovalorizzatori) (APAT).

- Tipologia di smaltimento dei rifiuti solidi urbani in Italia: 1999 discarica 74%, incenerimento 7%, compostaggio 3%, biogas 0, CDR e biostabilizzati 8%, altre forme di recupero 8%; 2004 discarica 51%, incenerimento 10%, compostaggio 7%, biogas 0,3, CDR e biostabilizzati 20%, altre forme di recupero 10, frazione secca stoccata in Campania 2% (APAT).

- Tipologia di smaltimento dei rifiuti speciali in Italia: 2003 recupero di materia 54%, discarica 25%, incenerimento 1%, biogas 3%, altre 17% (APAT).

- Percentuale di vetro di imballaggi riciclato (migliaia di tonnellate e % sulla quantità immessa al consumo): 1998 740 (39%), 2004 1.203 (56%).

- Percentuale di alluminio di imballaggi riciclato (migliaia di tonnellate e % sulla quantità immessa al consumo): 1998 7 (12%), 2004 39 (58%).

- Percentuale di acciaio di imballaggi riciclato (migliaia di tonnellate e % sulla quantità immessa al consumo): 1998 740 (39%), 2004 1.203 (56%).

- Percentuale di rifiuti urbani raccolti in maniera differenziata in alcuni comuni italiani sopra i 10.000 abitanti (2004): Roncade (TV) 82%, Mercato San Severino (SA) 60%, Verbania 52%, Lecco 51%, Monza (MI) 45%, Bergamo 41%, Torino 31%, Milano 30%, Roma 13%, Napoli 5% (Istituto Ambiente Italia).

- percentuale di rifiuti solidi urbani raccolti in maniera differenziata in Italia nel 2000 e nel 2005: 2000 14%; 2005 25% (APAT).

- numero di lattine vendute in Italia (anno 2001): 1,65 miliardi lattine (Italia Imballaggio) - Composizione merceologica dei rifiuti urbani italiani: materiali organici (residui alimentari ecc.)

30%, carta e cartone 23%, plastiche e gomma 11%, vetro 6%, tessuti e legno 9%, lattine 1%, altri metalli 3%, sottovaglio (frazione fina ricca di materia organica) 11% (WWF).

- Tempo medio di degradazione di alcuni prodotti: fazzoletti di carta 3 mesi resti di frutta e verdura 4 mesi, giornali 7 mesi, filtro di sigaretta 1.5 anni lattina di alluminio 50 anni, plastica 500 anni, polistirolo 1000 anni, card di plastica 1000 anni (WWF).

- Calorie occorrenti per produrre 1 Kg di alcuni materiali, utilizzando materie prime (primo dato) e materiali di recupero (secondo dato): vetro 4800.e 2.900, alluminio 48.000 e 2.000, rame 12.000 e 1.700, ferro 4000: e 1.400, carta 6.000 e 2.400, plastica 14.000 e 2000 (CISPLEL).

- Potere calorifico medio dei rifiuti e di altre fonti di energia (Cal/Kg): rifiuti 1.000-3.000; carbone 7.000; petrolio 10.000 (Istituto Ambiente Italia).

- Produzione mondiale in vari anni (PIL globale in miliardi di dollari 2001 1950 6.300; 1990 31.000; 2000 42.000 (World Bank).

- Prodotto nazionale lordo pro capite annuo in dollari/ab aggiustato in base al potere di acquisto (2006): USA. 43.444, UK 35.051, Giappone 32.647, Germania 31.095, Italia 30.732, Francia 30.693, Arabia Saudita 16.744, Romania 9.869, Brasile 9.108, Ucraina 7.637, Cina 7.598, Filippine 5.314, Nicaragua 3.844, Senegal 2.007, Haiti 1.835, Nigeria 1.213, Burundi 680 (Fondo Monetario Internazionale)

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- Persone denutrite (2003): paesi ad alto reddito 9 milioni (2%); ex URSS ed Europa est 28 milioni (7%); America Latina 53 milioni (10%); Asia e Pacifico 519 milioni (16%); Africa sud sahariana 230 milioni (33%) Mondo 854 milioni (14%) (FAO).

- Percentuale di cereali utilizzati come mangime per gli animali (2004): 37% (FAO) - Consumo di cereali annuo pro capite in varie regioni del mondo (2000): Asia 175 Kg/ab, Africa

144 Kg/ab, Europa 132 Kg/ab, Nord America 112 Kg/ab (FAO). - Consumo di carne annuo pro capite in varie nazioni del mondo (2000): USA 124 Kg/ab, Italia 91

Kg/ab, Albania 29 Kg/ab, Perù 22 Kg/ab, Nigeria 8 Kg /ab, India 5 Kg/ab, Rwanda 5/kg ab, mondo 38 Kg/ab (FAO).

- Litri di petrolio consumati annualmente pro capite (2006): USA 3.980; Giappone 2.360; Francia 1920; Italia 1820, Brasile 720; Cina 344, India 148; BP Statistical Review of World Energy

- Popolazione mondiale in vari anni (in miliardi): anno 1600 0,5; 1800 1; 1900 1.5; 1950 2,5; 1975 4; 1990 5.2; 2000 6 (ONU).

- Tempo di esaurimento, agli attuali tassi di consumo, dei giacimenti conosciuti di alcune materie prime: stagno 25 anni, zinco 25 anni, petrolio 40 anni, piombo 35 anni, rame 45 anni, ferro 400 anni (N. Myers).

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CONSIGLI BIBLIOGRAFICI - Bologna G.: Italia capace di futuro, EMI, Bologna, 2000. - Gruppo Ambiente FNISM: I rifiuti: un problema di tutti. Gioco di ruolo sullo smaltimento dei

rifiuti, Gruppo Abele, Torino, 1993. - Russo Krauss P., Castagna P.: Educare alla difesa dell’ambiente, Gruppo Abele, Torino, 1993. - Russo Krauss P., Castagna P.: Progetto di educazione ecologica: resoconto di un’esperienza, kit

didattico, USL 39, Napoli, 1990. - Centro Nuovo Modello di Sviluppo: Nord Sud: predatori, predati e opportunisti, EMI, Bologna,

1993. - Montalto M.: La guerra dei rifiuti. Da Korogocho a Napoli, edizioni Allegre, 2007. - Istituto di Ricerche Ambiente Italia: Il riciclo ecoefficiente: potenzialità ambientali, economiche

ed energetiche. Edizioni Ambiente, 2006. - Ficco P.: Rifiuti: quesiti risolti, Edizioni Ambiente, 2007. - Baldo G.L., Marino M., Rossi S.: Analisi del ciclo di vita (LCA). Materiali, prodotti, processi,

Edizioni Ambiente, 2005. - Ruzzenenti M.: L'Italia sotto i rifiuti, Jaca Book, 2004. - Pallante M.: La decrescita felice, Editori Riuniti, 2005. - Wines J.: Il pianeta lo salvo io! In 101 mosse, Edt, 2007. - Hinterberger F., Luks F., Stewen M.: Economia, ecologia, politica: come rendere sostenibile il

libero mercato attraverso la riduzione delle materie, Edizioni Ambiente, Milano, 1999.

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L’INQUINAMENTO DEL MARE

Luca Fabbricatore, Giovanna Aurino, Paola Serrato, Margherita Tozzi, Pio Russo Krauss PREMESSA Tra i vari temi di educazione ambientale l’inquinamento del mare è senza dubbio uno dei più vasti ed articolati, con possibilità di approcci diversi ed innumerevoli collegamenti con altri temi. L’itinerario proposto parte da un’esperienza particolarmente gradita ai ragazzi (i bagni di mare), per affrontare lo studio del mare con cui si è a contatto (il Golfo di Napoli) ed inquadrare i problemi del Golfo di Napoli come un caso particolare di una situazione globale. L’itinerario può essere svolto in modo compatto o diviso in più anni scolastici, stabilendo riferimenti agli argomenti trattati dalle diverse discipline nelle varie classi. FINALITÀ - Acquisizione di una “mentalità scientifica sistemica”. - Capacità di “attenzione critica” riguardo all’inquinamento del mare. - Adozione di atteggiamenti e comportamenti di protagonismo e progettualità. - Impegno politico, inteso come contributo alla risoluzione dei problemi e come promozione della giustizia, della solidarietà, della prudenza e della nonviolenza. OBIETTIVI GENERALI - Sviluppare le capacità percettivo-osservative. - Sviluppare la capacità euristica. - Sviluppare il “senso d’appartenenza”. - Sviluppare la stima di sé e la fiducia nella capacità di incidere sulla realtà. - Comprendere il valore della salute. - Stimolare la capacità progettuale. - Sviluppare la capacità di discutere e di argomentare. - Sviluppare la capacità di lavorare in gruppo. - Acquisire un metodo per affrontare i problemi complessi. - Acquisire la consapevolezza che anche il mare, che sembra infinito, è in realtà limitato ed ha capacità di produzione e di depurazione limitate. OBIETTIVI DI CONOSCENZA - Acquisire i concetti di catena e rete alimentare, ciclo, energia, entropia, input, output, risorsa, rifiuto, ecosistema, degradabilità, feed-back, inquinamento, magnificazione biologica, eutrofizzazione. - Conoscere le principali cause e conseguenze dell’inquinamento del mare. - Conoscere quali sono gli enti che hanno competenza sulla tutela del mare ed i principali riferimenti normativi. OBIETTIVI DI COMPORTAMENTO - Acquisire comportamenti più ecocompatibili (deporre i rifiuti negli appositi contenitori, ridurre i consumi inutili ecc.).

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ITINERARIO DIDATTICO 1) SITUAZIONE STIMOLO L’insegnante chiede ai ragazzi dove hanno trascorso le vacanze, cosa piace e cosa non piace del mare, dove hanno fatto i bagni, se l’acqua e la spiaggia erano pulite o no, se hanno mai fatto il bagno nel mare antistante Napoli, se sanno che alcuni tratti di mare del Golfo di Napoli e dell’Italia non sono balneabili e perché, se a loro piacerebbe che essi fossero balneabili. 2) PROPOSTA DI UNA RICERCA-INTERVENTO - Si propone di fare una ricerca per capire perché alcuni tratti di mare non sono balneabili, se ciò comporta anche altre conseguenze negative, oltre quella di non avere la possibilità di fare i bagni, se è possibile fare qualcosa per migliorare la situazione del nostro mare. 3) COS’È L’INQUINAMENTO DEL MARE E QUALI SONO LE SUE CAUSE a) Discussione L’insegnante pone le seguenti domande: “Cosa significa che il mare non è balneabile? Quali sono gli indicatori dello “stato di salute” del mare? Quali sono le cause del suo inquinamento?”. Si traggono le conclusioni della discussione. Si delimita il problema (l’inquinamento del Golfo di Napoli), si scrivono su un foglio le ipotesi sugli indicatori dello “stato di salute” e sulle cause e responsabilità dell’inquinamento del mare. b) Verifica delle ipotesi sugli indicatori dello “stato di salute” e sulle cause dell’inquinamento del mare. Il docente tramite lezioni, proposta di letture e/o di ricerche fa affrontare agli studenti i seguenti argomenti: - i fattori inquinanti (biologici, chimici, fisici), delle condizioni di balneabilità secondo la normativa vigente (DPR 470/82). - le fonti di inquinamento: • industrie: gli inquinanti prodotti; l’ubicazione delle industrie che inquinano il Golfo di Napoli

(evidenziare che tramite i fiumi anche industrie situate molto lontano dal mare finiscono per inquinarlo);

• insediamenti civili: inquinanti contenuti nei liquami fognari; ubicazione dei principali scarichi fognari civili;

• agricoltura e zootecnia: inquinanti originati dalle produzioni agricole e zootecniche; il problema dei fertilizzanti e dei pesticidi;

• trasporti: inquinanti scaricati da barche a motore e navi; inquinanti emessi dai trasporti di terra e dilavati a mare dalle piogge.

Il docente spiega che i fiumi trasportano nel mare gli inquinanti: è opportuno allora considerare quali fiumi sfociano nel Golfo di Napoli o nelle zone vicine e qual è il loro stato lo stato. Si invitano gli studenti ad intervistare i nonni su com’era il mare quando loro erano giovani? c) Visita ad un tratto di litorale. L’insegnante invita ad osservare la spiaggia (è sporca o pulita? Da cosa è composta la sabbia? C’è catrame? Sono presenti scarichi?), la linea tra mare e terra (c’è presenza di schiuma - segno della presenza di tensioattivi - o di inquinanti?), le numerose forme viventi presenti sulle rocce nella fascia compresa tra 20 cm sotto e 20 cm sopra il pelo dell’acqua (alghe, piante, crostacei, molluschi

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pesci), il mare (com’è la superficie? Vi sono macchie, sostanze galleggianti, schiuma ecc.? E’ limpido?). Eventualmente si può raccogliere un poco d’acqua presente in una pozza per osservarla al microscopio: è possibile vedere vari microorganismi (fitoplancton, distinguibile per la presenza di clorofilla, e lo zooplancton, privo di clorofilla) ed aprire così il discorso sul fatto che la gran parte della materia vivente presente nel mare è invisibile ai nostri occhi, ma fondamentale per tutte le forme viventi nel mare ed anche per l’intero pianeta. Infatti il fitoplancton è il primo anello della catena alimentare, produce ossigeno e fissa l’anidride carbonica. d) Visita ad un tratto di fiume. L’insegnante invita ad osservare le sponde (sono naturali o artificiali? Che tipo di comunità biotica è presente? Sono presenti rifiuti o schiuma?), l’acqua (com’è la superficie? Vi sono macchie, sostanze galleggianti, schiuma ecc.? E’ limpido? Qual è il colore dell’acqua? Vi sono esalazioni maleodoranti? Se si vede il fondo, com’è? Vi sono rifiuti? Quali forme viventi sono presenti?). 4) IL DESTINO DEGLI INQUINANTI E LE CONSEGUENZE DELL’INQUINAMENTO a) Discussione. Il docente precisa agli studenti che la non balneabilità è solo una conseguenza di una particolare situazione di inquinamento, quella evidenziata dalle analisi previste del DPR 470, che indica i limiti superati i quali il mare viene considerato non balneabile. Si chiede: “E’ giusta tale legge? Quali problemi evidenzia? Quale destino hanno gli inquinanti immessi nel mare? Quali sono le conseguenze dell’inquinamento marino?”. Si traggono le conclusioni della discussione, segnandole su un foglio: ipotesi sul destino degli inquinanti e sulle conseguenze dell’inquinamento marino in ambito locale e generale, a breve e medio termine e per varie categorie (conseguenze sanitarie, ambientali, economiche ecc.). b) Verifica delle ipotesi Per sapere che fine fanno i vari inquinanti immessi nel mare, bisogna conoscere com’è strutturato e come ‘ funziona” il mare. Si dovranno trattare quindi vari argomenti: l’ecosistema marino; la catena alimentare e la rete alimentare; l’habitat e la nicchia ecologica; il flusso d’energia nell’ecosistema e la sua degradazione; gli inquinanti degradabili e non degradabili; i limiti della capacità di degradazione dell’ecosistema; l’eutrofizzazione (come una particolare conseguenza dell’eccesso di sostanze biodegradabili); la magnificazione biologica (come una particolare conseguenza dell’eccesso di sostanze non biodegradabili). Il docente assegna una ricerca sulle conseguenze dell’inquinamento marino: danni alla salute: danni all’ambiente, danni sulle attività dell’uomo collegate al mare (pesca, turismo ecc.); danni economici. c) Visita alla Stazione Zoologica Dohrn. Si faccia notare in particolare la grande varietà delle forme viventi e quindi l’estrema complessità della rete alimentare marina, al cui vertice è situato l’uomo. d) Il dilemma di Bruno e Gianni L’insegnante legge il dilemma riportato a pagina 164. Successivamente stimola la discussione secondo le indicazioni riportate a fine lettura.

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5) DAL VICINO AL LONTANO, DAL LOCALE AL GLOBALE a) Discussione. Il docente pone il seguente tema ai ragazzi: “Ora abbiamo un’idea dello stato di salute del nostro mare. Secondo voi è un caso particolare oppure tutti i mari del mondo sono in una condizione simile? Come giustificate le vostre opinioni in proposito? Vi sono specie marine a rischio di estinzione?”. b) Lettura: “Anche il mare ha dei limiti” Si legge la lettura di pag. 159. c) Visione di un video sulla condizione generale del mare. Si a vedere il filmato e si fanno esprimere le impressioni dei ragazzi. 6) QUALE STRATEGIA CONTRO L’INQUINAMENTO MARINO a) Tempesta d’idee: quali interventi per salvare il mare? L’insegnante propone un brainstorming su “Quali interventi per salvare il mare”. Si discute sulle soluzioni proposte. L’insegnante fa notare che tali proposte devono essere vagliate confrontandosi con fonti esperte. b) Formulazione di ipotesi di soluzione. Si segnano su un foglio le soluzioni prospettate. L’insegnante invita a vagliare le ipotesi sulla base dei criteri di fattibità, efficacia/efficienza, reversibilità/mutabilità. Egli, inoltre, invita a suddividere le varie proposte in categorie, quali: - proposte tese a produrre meno rifiuti e sostanze inquinanti - proposte per riciclare rifiuti e sostanze inquinanti - proposte per depurare gli scarichi inquinanti - altre. O anche a suddividerle così: - soluzioni tecnologiche - soluzioni politico/gestionali. Si fa notare che ciascuna soluzione proposta ha dei pro e dei contro e richiederà “sacrifici” ad alcune categorie di persone (industriali, consumatori, pescatori, proprietari di barche a motore ecc.). Quali sono le soluzioni di minore “impatto sociale” e che non danneggiano le categorie più deboli? c) Studio per verificare le ipotesi di soluzione proposte. Si consultano fonti esperte (insegnanti, testi, video, esperti). d) Ricerca: i soggetti impegnati contro l’inquinamento marino. Si stende un elenco dei soggetti impegnati a risolvere il problema dell’inquinamento marino (associazioni, gruppi, enti ecc.) e delle più interessanti iniziative intraprese. A tal proposito può essere opportuno contattare le associazioni ambientaliste. e) La normativa sulla tutela del mare e delle acque. Si illustra la normativa vigente nel mare e nell’acqua f) Visita ad un depuratore. Si può visitare un impianto di depurazione (es. l’impianto di Depurazione di San Giovanni a Teduccio, si veda la voce nell`appendice).

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7) QUALE IMPEGNO PERSONALE a) Discussione. Si pone il seguente tema in discussione: “Cosa possiamo fare noi contro l’inquinamento del mare?”. b) Praticare alcuni interventi proposte. Si invitano gli studenti a mettere in pratica alcune delle azioni individuate. Per esempio: I) Impegno politico:

- adozione di un tratto di litorale (vedi schema a pag. 83); - sensibilizzazione della popolazione tramite volantini, dossier, mostre di cartelloni, dibattiti, manifestazioni pubbliche; - vertenza per far ridurre o eliminare una fonte d’inquinamento o per far applicare norme disattese. E’ utile a tal proposito contattare le associazione ambientaliste e ricercare su Internet se sono in corso campagne o vertenze.

II) Cambiare alcuni comportamenti: - elaborazione di un decalogo (vedi pag. 147); - sottoscrizione di alcuni impegni personali.

b) Il dilemma di Maria e Laura L’insegnante legge il dilemma riportato a pagina 165. Successivamente stimola la discussione secondo le indicazioni riportate a fine lettura. Schema per l’adozione di un tratto di litorale 1) Come era: interviste ad adulti e anziani; raccolta di foto e articoli. 2) Come è: sopralluogo; rassegna fotografica; raccolta dati sullo stato del litorale e del mare; ricerca delle fonti d’inquinamento. 3) Come potrebbe essere: esame delle proposte e dei progetti. 4) Impegno per la tutela del litorale: attività di sentinelle ambientali; denuncia di situazioni di degrado o di illeciti; controllo sulla balneabilità (sono affissi i cartelli di non balneabilità? E’ rispettato il divieto?); sensibilizzazione della popolazione sulla situazione del litorale e sulle strategie per migliorare la qualità del mare; inoltro di proposte e richieste alle autorità competenti; gemellaggio con altre scuole impegnate a tutelare il mare, tramite Internet, scambi epistolari e visite.

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SCHEDA INFORMATIVA PRINCIPALI INQUINANTI Gli inquinanti possono essere divisi in naturali e artificiali, in fisici e microbiologici oppure secondo il grado di biodegradabilità Seguendo la seconda classificazione abbiamo: - Inquinanti fisici: l’acqua calda può alterare la struttura della comunità biotica, favorendo alcune specie ed eliminando o riducendone altre. - Inquinanti chimici : i sali di azoto e di fosforo sono nutrienti fondamentali dei vegetali, potendo cosi determinare effetti sia positivi (aumento del pescato) che negativi (eutrofizzazione). Il petrolio, come altre sostanze oleose, si spande sulla superficie impedendo gli scambi aria-acqua; esso è dannoso anche per varie forme viventi, compreso l’uomo (allergie, tumori). I metalli pesanti (mercurio, piombo, cromo, cadmio ecc.) sono tossici, indistruttibili e tendono ad accumularsi - lungo la catena alimentare - in alcuni animali, provocando gravi intossicazioni in chi se ne ciba (per esempio la malattia di Minamata). I detergenti, diminuendo la tensione di superficie, determinano la formazione di schiuma e possono solubilizzare sostanze nocive. Altri inquinanti sono i pesticidi, i radioisotopi ed un gran numero di altre sostanze con varie proprietà (acidi, alcali, ossidanti, riducenti ecc.), nonché inquinanti inerti, come carcasse di automobili o imbarcazioni, lattine, bottiglie, buste di plastica materiali di risulta. - Inquinanti biologici: sono biodegradabili in tempi variabili a seconda della natura dell’organismo e dalle condizioni dell’acqua (salinità, temperatura, irraggiamento ecc.). Un’alterazione sempre più consistente e preoccupante dei nostri mari è costituita dalla presenza di specie esotiche (alghe, piante, molluschi vermi, crostacei, pesci) moltiplicatesi dopo essere state introdotte grazie allo svuotamento di acque di zavorra delle navi, ad impianti di acquacoltura, alla presenza del Canale di Suez, al diffondersi di acquari ornamentali e per effetto anche dell’aumento della temperatura del Mediterraneo. FONTI D’INQUINAMENTO E DI DEGRADO A livello mondiale il 44% degli inquinanti del mare deriva da scarichi liquidi provenienti dalla terraferma (direttamente o tramite corsi d’acqua): il 33% dall’inquinamento dell’aria; il 12% dalla navigazione, il 10% dello scarico di rifiuti in mare e l’l % da trivellazioni. Le principali fonti sono: - industrie: con caratteristiche di effluenti molto diversificate; - insediamenti civili: sono fonte soprattutto di inquinanti biodegradabili (deiezioni, detersivi ecc.); - attività agricole: sono un’importante fonte di composti azotati e fosforici (fertilizzanti) e di pesticidi; - attività zootecniche: producono liquami (in Italia 152 milioni di mc), paragonabili a quelli degli insediamenti civili; - trasporti: rilasciano soprattutto prodotti petroliferi; anche il trasporto su terra è un importante fonte di inquinamento marino. - pesca: è causa di degrado tramite un eccessivo prelievo di pescato o la modificazione degli habitat (pesca a strascico); - impianti di acquacoltura: possono essere fonte di inquinanti (mangimi, antibiotici ecc.), di specie esotiche, di microrganismi; - trivellazioni marine: causano onde sismiche e inquinamento da varie sostanze (petrolio, sabbie ecc.).

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INDICATORI DI INQUINAMENTO I metodi chimici, fisici e microbiologici (ricerca degli inquinanti o misurazione della temperatura, pH, trasparenza ecc.) sono molto sensibili e specifici, danno indicazione sulle cause dell’inquinamento e permettono un giudizio puntuale sull’inquinamento (cioè relativo a quell’istante e a quel luogo). I metodi ecologici (ricerca della presenza o assenza di specie spia; stu-dio della comunità biotica ecc.) sono meno specifici e permettono un giudizio non puntuale (essi possono svelare fenomeni d’inquinamento saltuari o avvenuti in un passato più o meno recente). EFFETTI SULLA SALUTE L’inquinamento del mare può causare danni tramite la balneazione, l’ingestione di alimenti contaminati, l’esposizione all’aereosol marino. Le principali patologie sono: - malattie infettive: tifo, epatite, enteriti ecc. - intossicazioni: alcune estremamente gravi, come la malattia di Minamata (neuropatia dovuta all’ingestione di pesce contaminato da mercurio); non si conoscono i possibili effetti dell’assunzione cronica di piccole dose di tossici; - tumori, malattie genetiche e malformazioni: dovuti alla presenza di sostanze cancerogene e mutagene; - allergie e infiammazioni: congiuntivite, dermatite, vaginite ecc. dovute a sostanze irritanti o allergizzanti. EFFETTI SULL’AMBIENTE Il mare controlla il clima del nostro pianeta ed è coinvolto in tutti i cicli biogeochimici. Le alghe del mare, per esempio, producono oltre un terzo dell’ossigeno atmosferico e sottraggono anidride carbonica all’atmosfera (il mare contiene 20 volte più carbonio che tutte le foreste della Terra). Per questo il suo inquinamento desta particolare preoccupazione. Talvolta l’inquinamento danneggia selettivamente alcune specie (pesci, mammiferi marini, uccelli). Altre volte è l’intera comunità biotica ad essere interessata. Un esempio di questo genere è l’eutrofizzazione. Questo fenomeno è dovuto ad un eccesso di nutrienti (nitrati e fosfati), che determina, in una prima fase, una rapida proliferazione delle alghe e, in una seconda fase, conseguente alla loro morte, un crollo nella produzione d’ossigeno (dovuto anche all’eccessivo consumo da parte di microrganismi che decompongono le alghe morte). La conseguenza è la morte delle specie aerobie (pesci) dovuta alla carenza d’ossigeno ed alla presenza di composti tossici generati dalla putrefazione delle alghe. MISURE CONTRO L’INQUINAMENTO - Riduzione della produzione di inquinanti: si può ottenere modificando i processi produttivi industriali o agricoli (ad esempio l’agricoltura biologica riduce l’immissione di nitrati, fosfati e pesticidi) oppure modificando le merci e i consumi (detersivi senza fosforo; automobili più efficienti e, quindi, meno inquinanti; riducendo gli imballaggi; abolendo o tassando le buste di plastica e i contenitori a perdere; limitando l’uso di barche a motori; ecc.) oppure adottando sistemi più sicuri per il trasporto via mare di sostanze inquinanti. - Riciclaggio: l’acqua calda di industrie e centrali può essere utilizzata per riscaldare serre e abitazioni; il vetro e la plastica possono essere riutilizzati per produrne di nuovi; alcuni prodotti

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chimici possono essere riutilizzati nei cicli produttivi; il materiale organico può essere trasformato in concime. - Depurazione degli scarichi: la depurazione può essere di tipo primario (separazione dei solidi, eliminazione della schiuma, del grasso e dei sedimenti), secondario (degradazione biologica degli inquinanti biodegradabili) o terziario (eliminazione di tutti gli inquinanti). Quasi sempre la depurazione è di tipo secondario per le difficoltà tecniche ed economiche del processo terziario. Gli impianti di depurazione vanno considerati come un’industria, che produce rifiuti (fanghi di depurazione) ed emissioni inquinanti (esalazioni ecc.). - Intervento sulle modalità di scarico: è possibile scaricare inquinanti biodegradabili in acque oligotrofiche perché queste sopportano bene il carico inquinante, con la possibilità di avere addirittura effetti positivi, come un aumento del pescato. - Altri provvedimenti : controllo della pesca (proibizione delle reti a maglie fitte o a strascico; proibizione della pesca in alcuni periodi ed in alcune zone; divieto d’introduzione di specie esotiche; istituzione di tasse per l’uso delle zone di pesca ecc.); limitazione e controllo dell’importazione di pesci tropicali, di coralli, di conchiglie; proibizione dell’uso di mangimi a base di pesce; ecc. LA SITUAZIONE DEL GOLFO DI NAPOLI Il Golfo di Napoli si caratterizza per una estensione della piattaforma continentale molto limitata, per una notevole profondità e per l’assenza dell’apporto di fiumi (con l’eccezione del Sarno, che è un piccolo fiume). Per tali caratteristiche le sue acque sono caratterizzate da una tendenza naturale all’oligotrofia e ad una naturale notevole capacità di “resistenza” agli agenti inquinanti, che si disperdono in una gran massa d’acqua. Purtroppo l’enorme urbanizzazione, quasi sempre al di fuori di qualsiasi disegno pianificatorio, se non abusiva, la pesca ed il turismo hanno inquinato, in alcuni punti gravemente le acque del Golfo. La concentrazione di nitrati nell’acqua è tripla rispetto al Tirreno, quella dei fosfati 10 volte maggiore. Anche le concentrazioni di metalli pesanti, pesticidi, idrocarburi sono aumentate: nei sedimenti v’è una concentrazione di cromo da 2 a 9 volte maggiore di quella naturale; il piombo ed il rame sono aumentati da 3 a 5 volte. Le zone più inquinate sono la foce del Sarno e l’area orientale di Napoli. Mentre a largo l’acqua si mantiene oligotrofica, nella zona più vicina alla costa essa è spesso eutrofica, con una presenza di colibatteri, in alcuni tratti, superiore alla norma. E’ stata segnalata inoltre una riduzione delle praterie di posidonia, dei ricci di mare e della pescosità. Un particolare problema è la distruzione delle rocce calcaree e della relativa comunità biotica, operata dai pescatori di datteri di mare: si stima che ogni anno tale pesca illecita distrugge una fascia lunga 3-5 Km e larga 15 metri. I liquami raccolti nel sistema fognario di Napoli sono scaricati in mare dopo essere stati trattati in due impianti di depurazione: quello di Cuma e quello della zona orientale. Per quanto riguarda le riserve marine in Campania è stata istituita una riserva marina (Punta Campanella), altre quattro riserve sono in via d’istituzione: quelle dell’Isola di Capri, Costa degli Infreschi e Regno di Nettuno (Procida-Ischia) sono già in fase istruttoria, mentre la quarta, l’aria di Santa Maria di Castellabate, è in via di reperimento. NORMATIVA Numerose sono le norme che attengono alla tutela del mare: esse riguardano l’inquinamento delle acque, la difesa del mare, la difesa del suolo, la balneazione, i parchi marini ecc. L’Unione Europea ha emanato direttive che impongono ai paesi membri specifici compiti e obiettivi da raggiungere

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entro determinate scadenze; l’Italia inoltre ha sottoscritto e ratificato varie Convenzioni Internazionali. Come tutta la legislazione ambientale italiana anche quella sugli argomenti prima citati è in continua evoluzione, per tale motivo consigliamo di consultare le relative voci nelle “Leggi italiane nel testo vigente” o una banca dati online (vedi Appendice). Qui diamo solo alcune indicazioni sulla divisione delle competenze. - Stato: redige il Piano generale di risanamento del mare e della costa; fissa limiti e obiettivi inerenti la qualità delle acque e degli scarichi, emana direttive per la definizione dei Piani regionali per il censimento, il monitoraggio, la protezione dall’inquinamento e la corretta gestione dei corpi idrici, autorizza gli scarichi in mare di navi e aerei, definisce i criteri di contenimento dell’impatto ambientale dell’acquacoltura. - Regione: redige il Piano regionale di risanamento delle acque e delimita gli Ambiti Territoriali Ottimali dei Servizi Idrici Integrati; coordina l’attività di Comuni e Province; individua le zone idonee alla balneazione; definisce una specifica disciplina per gli scarichi fognari prodotti da insediamenti con popolazione variabile in relazione alla stagioni. - Provincia: organizza e gestisce il Sistema Idrico Integrato in collaborazione con i Comuni, autorizza gli scarichi non in fognatura. - Comune: organizza, in collaborazione con la Provincia, il Sistema Idrico Integrato; autorizza gli scarichi in fognatura; delimita le zone non idonee alla balneazione, pubblicizzando i divieti. ALCUNI DATI - Balneabilità della costa italiana (anno 2006): controllata e balneabile Km 4.041 (68%), costa con

divieto permanente di balneazione per motivi indipendenti all’inquinamento Km 882, costa non balenabile per inquinamento Km 247, costa non controllata Km 1.072 (Ministero della Salute).

- Percentuale di acque marine costiere italiane con stato trofico mediocre o scadente (estati 2003 e 2004): 7% (Ministero dell’Ambiente).

- Km di tratti costieri campani non balneabili per inquinamento: 1990 134 Km (27%), 2005 55 Km (11%).

- Km di costa campana occupata da porti (anno 2005): 28 Km. - Numero di barche da diporto in Italia nel 2005: a vela: 14.844; a motore: 58.294, totale: 73.138;

(Ministero dei Trasporti). - Posti barca sul territorio nazionale nel 2005: 130.696 (Ministero dei Trasporti). - Percentuale di coste in fase di erosione (anno 2003): Italia 30%, Europa 20% (Istituto Ambiente

Italia). - Percentuale di corsi d’acqua con indice di stato ecologico (SECA) ottimo, buono, sufficiente,

scarso e pessimo nel 2004: ottimo 2%, buono 37%, sufficiente 43%, scarso 14%, pessimo 4% (ARPA).

- Percentuale di impianti di depurazione conformi alla normativa vigente nel 2004: conformi 80%, non conformi 8%, dati non trasmessi 12% (ARPA).

- Percentuale di abitanti serviti da impianti di depurazione per giorni di funzionamento (2006): Torino 100%, Bologna 98%, Roma 92%, Milano 77%, Napoli 60%, Firenze 42%, Catania 20% (Istituto Ambiente Italia).

- Fertilizzanti azotati sparsi per ettaro in Italia: 63 Kg per ettaro nel 1995; 93 Kg per ettaro nel 2004 (+47%) (ISTAT).

- Riduzione del consumo di pesticidi in Svezia dopo 6 anni dall’introduzione di una tassa dell’8%: 65% (Worldwatch Institute).

- Percentuale di superficie agricola coltivata biologicamente (2005): 7% (Istituto Ambiente Italia). - Numero di edifici abusivi costruiti in Italia: 1982-86 411.000, 1987-91 244.000, 1992-96 286.000,

1997-2000 140.000, 2001-2005 140.000. Totale 1.221.000 edifici abusivi pari a oltre il 20% degli edifici edificati (Istituto Ambiente Italia).

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- Numero di specie esotiche nel Mediterraneo nel 2006: pesci 99, crostacei 63, molluschi 137 (Commissione Internazionale per l’Esplorazione Scientifica del Mar Mediterraneo).

- Aree marine protette in Italia (2006): Aree Marine Protette 24, 184.000 ettari di mare e 580 km di costa (Ministero dell’Ambiente).

- Il 10% delle scogliere coralline è stato distrutto; il 60% è a rischio di distruzione (Worldwatch Institute).

- Le scogliere coralline, pur rappresentando lo 0.17% dell’oceano, ospitano il 25% di tutte le specie marine (Worldwatch Institute).

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CONSIGLI BIBLIOGRAFICI - Clover C.: Allarme pesce. Una risorsa in pericolo, Ponte alle Grazie, 2005. - Greco S., Scaffidi C.: Guarda che mare: come salvare una risorsa, Slow Food, 2007. - Russo Krauss P., Castagna P.: Educare alla difesa dell’ambiente, EGA, Torino, 1993. - Savarese A., Iuliano, Chiavazzo, Maffia A. “Studio per la rinaturalizzazione del Sarno e per

interventi di acquacoltura”, Legambiente, Napoli, 2000. - Matthey W., della Santa E., Wannenmacher C.: Guida pratica all’ecologia, Zanichelli, Bologna,

1987.

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L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO

Pio Russo Krauss, Anna Esposito PREMESSA L’inquinamento dell’aria di Napoli, come quello di quasi tutte le città, è dovuto in grandissima parte al traffico automobilistico. La seguente proposta didattica, quindi, si sofferma soprattutto su questo problema. Siamo consapevoli che tale impostazione soffre di una certa parzialità, ma riteniamo che questo rischio possa essere corso, perché sostenuto da motivazioni ecologiche, politiche e didattiche. I trasporti, infatti, sono la principale fonte di emissione d’inquinanti non solo nella nostra città, ma nell’intera Italia, come negli altri paesi industrializzati. L’attuale modello di trasporto, centrato sull’auto privata e sul trasporto su gomma, è “insostenibile”. Se tale modello, infatti, fosse esteso all’intero pianeta, determinerebbe un rapidissimo esaurimento dei pozzi di petrolio e un catastrofico inquinamento atmosferico globale. Inoltre, a livello urbano, se si considerano la velocità media dei trasporti e tutti gli effetti negativi determinati dal traffico, si tale sistema è fallimentare anche dal punto di vista dell’efficacia e dell’efficienza. In ultimo crediamo che sia didatticamente più corretto partire da un problema vicino, esperibile quotidianamente (purtroppo) e fortemente avvertito, per arrivare a comprendere un problema globale, difficilmente esperibile con i propri sensi ed estremamente complesso. Crediamo che sia utile, infine, partire da un problema molto avvertito, ma soprattutto per i diretti risvolti personali (“perdita di tempo”, “nervosismo”, difficoltà di programmare il proprio tempo ecc.), per far capire che tale problema ha altre più gravi conseguenze, coinvolge altre persone, anche molto lontane da noi, e che quindi deve essere affrontato con una visuale più ampia. Crediamo che in tale maniera si educhi anche al rispetto dell’altro e alla democrazia, FINALITÀ - Sviluppare una “mentalità scientifica” adeguata ad affrontare la complessità del reale. In particolare saper utilizzare il metodo scientifico nell’analisi del proprio territorio: delimitazione del campo della ricerca, osservazione del fenomeno, ricerca dei dati, formulazione di ipotesi causali, verifica delle ipotesi (falsificazione). - Saper utilizzare una corretta metodologia d’intervento: fase conoscitiva (vedi punto precedente), fase progettuale (indicazione delle finalità, ricognizione delle risorse, analisi delle compatibilità, scelta degli obiettivi a breve, medio e lungo termine, definizione dei possibili interventi e previsione dei possibili risultati, scelta dell’intervento secondo il criterio congiunto dell’efficienza - in caso di successo - e della reversibilità in caso di fallimento), fase attuativa (monitoraggio dell’intervento per operare correzioni secondo l’emergere di ostacoli o di opportunità). - Indurre all’impegno civile, cioè ad essere cittadini-sovrani, che hanno quindi il diritto-dovere di dare il proprio contributo alla soluzione dei problemi della “comunità”. - Acquisire la capacità di gestire i conflitti e risolverli in positivo, tenendo conto delle ragioni delle varie parti in gioco. OBIETTIVI COGNITIVI E OPERAZIONALI - Far acquisire i concetti di sistema, causalità lineare e sistemica, feed-back, risorse, rifiuti, energia, entropia, atomo, molecola, ciclo biogeochimico, inquinamento, ecosostenibiità, impronta ecologica, bisogni, richieste, interessi, soggetto sociale, conflitto. - Conoscere cause, caratteristiche e conseguenze dell’inquinamento atmosferico.

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- Acquisire la consapevolezza che anche l’aria, che sembra infinita, è in realtà limitata e ha capacità di depurazione limitate. - Conoscere il proprio territorio e in particolar modo le sue risorse (presenza di spazi liberi, di percorsi pedonali, nonché gli enti e le associazioni che operano sui problemi dell’ambiente). - Saper elaborare proposte per l’inquinamento atmosferico, che tengano conto della complessità del problema, nonché della necessità di dover rispondere ai diversi bisogni della popolazione, considerando i differenti interessi delle varie categorie sociali.

ITINERARIO DIDATTICO 1) SITUAZIONE STIMOLO a) Discussione in classe. Si pongono ai ragazzi le seguenti domande: “Sapete cosa sono l’asma e la bronchite cronica? Qualcuno di voi ne soffre o conosce qualcuno che ne soffre? Se una persona soffre di asma, a chi vi rivolgereste per risolvere questo problema: a un medico, ad un meccanico, ad un ingegnere, ad un politico o ad un urbanista?”. Dopo una prima fase di discussione l’insegnante pone quest’altra domanda: “A Napoli circa il 25% della popolazione infantile soffre d’asma, o di iperattività bronchiale, mentre in montagna o in campagna è circa il 15% della popolazione infantile che ne soffre. Secondo voi, come si spiega questo fatto?”. Durante la discussione l’insegnante deve svolgere solo il ruolo di facilitatore della comunicazione e di “avvocato del diavolo”, dubitando di tutte le ipotesi interpretative e allargando il campo delle ipotesi (per esempio: “Forse non è vero che i pollini causano l’asma”; “Forse in città ci sono più pollini che in campagna”; “Siete proprio sicuri che in campagna l’aria non è inquinata?” “E se fossero in causa altri fattori?”; ecc.). b) Si definiscono le varie ipotesi. Si segnano su un foglio le ipotesi scaturite dalla discussione. 2) IMPOSTAZIONE DELLA RICERCA a) Proposta di una ricerca intervento sull’inquinamento atmosferico. L’insegnante informa approssimativamente i ragazzi sull’inquinamento atmosferico a Napoli e sulle cause dell’asma e della sua diversa incidenza tra città e campagna. Egli, però, non è un esperto di tale problema. Sarebbe pertanto interessante saperne di più, per capire perché a Napoli l’aria è inquinata e cosa si può fare per migliorarla, così da ridurre il numero delle persone che soffrono d’asma e bronchite cronica. Si propone pertanto di intraprendere un lavoro di ricerca-intervento sull’inquinamento atmosferico. b) Raccogliamo informazioni sull’inquinamento atmosferico. Si divide la classe in piccoli gruppi (3-4 persone), ogni gruppo dovrà stendere una breve relazione sulle cause dell’inquinamento atmosferico, sui principali inquinanti e i loro effetti. Per tale lavoro l’insegnante può utilizzare le tecniche dell’apprendimento cooperativo. I ragazzi relazionano alla classe e all’insegnante su quanto hanno appreso.

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c) Discussione. L’insegnante propone una discussione per far capire come l’inquinamento atmosferico è un problema complesso, che richiede un approccio pluridisciplinare e sistemico. “Dire che a Napoli il 25% della popolazione infantile soffre d’asma e iperreattività bronchiale vuol dire che oltre 50.000 bambini e ragazzi ne soffrono. Ora che sapete molte più cose sull’asma e sull’inquinamento dell’aria, per risolvere il problema dell’asma a Napoli chi chiamereste: un medico, un meccanico, un ingegnere, un politico o un urbanista? Dopo avere sentito le opinioni degli studenti, l’insegnante prosegue su questa linea: “Ora è più difficile rispondere, perché siamo di fronte ad un problema complesso, in cui sono presenti, cioè, diversi elementi collegati tra loro a rete da varie relazioni causali. Per questo la soluzione dipende da come delimitiamo il problema, cioè dagli elementi e dai nessi causali che vogliamo considerare. Così se focalizziamo l’attenzione su “gas di scarico”, bisogna chiamare un meccanico o un ingegnere, perché la soluzione sarà “dotare le auto di marmitta catalitica” o “fabbricare auto non inquinanti”; se focalizziamo l’attenzione sul traffico bisogna chiamare altri esperti e le soluzioni saranno diverse. Se si risolve il problema del traffico, non solo si dà un grande contributo a risolvere il problema dell’inquinamento, ma anche ad affrontare tutti i problemi ad esso connessi”. L’insegnante, in tale fase, può spiegare i concetti di sistema, di causalità lineare e sistemica, di feed-back. d) Le conseguenze dell’eccessivo traffico automobilistico. Il docente propone una tempesta di idee sul seguente tema: “Quali sono le conseguenze del traffico?”. Quindi si dividono in tipologie e categorie gli effetti del traffico (conseguenze in ambito locale e a livello generale; effetti sanitari, ambientali, economici, sociali ecc.) e si ricercano le conseguenze delle conseguenze e le loro interconnessioni. L’insegnante informa i ragazzi sugli effetti del traffico. Si scrive su un cartellone la rete delle conseguenze del traffico. e) Delimitazione del campo d’indagine. L’insegnante svolge le seguenti considerazioni: “Per affrontare e risolvere un problema dobbiamo innanzitutto delimitarlo: una cosa è affrontare l’inquinamento atmosferico a livello planetario e un’altra farlo per Napoli, una cosa è ridurre il traffico in una singola strada, un’altra è ridurlo in tutta Napoli e un’altra ancora ridurlo in Europa. Solo dopo che l’abbiamo delimitato possiamo analizzarlo e conoscere le sue caratteristiche e le sue cause”. Si delimita l’ambito della ricerca (per esempio il traffico nel quartiere o a Napoli). Il docente prosegue così: “Visti gli innumerevoli effetti negativi del traffico conviene affrontare a questo livello il problema dell’inquinamento atmosferico nella nostra città o quartiere, perché, diminuendo il traffico, diminuiranno anche molti altri problemi. Bisognerà però tener conto che vi sono altre fonti d’inquinamento atmosferico (soprattutto riscaldamento domestico, centrali elettriche e industrie), che incidono poco nella nostra città, ma che danno un contributo rilevante all’inquinamento dell’intera atmosfera”. Si segnano su un cartellone le fonti di inquinamento atmosferico che non verranno prese in considerazione dalla ricerca perché incidono poco sull’aria inquinata di Napoli. 3) LA SITUAZIONE DELL’INQUINAMENTO ATMOSFERICO A NAPOLI a) Rileviamo l’inquinamento atmosferico. Si propone ai ragazzi di stendere ad un balcone della propria casa una federa bianca di cotone per alcune settimane. Al termine del periodo di rilevamento le federe verranno portate a scuola e confrontate tra loro e con una uguale che non è stata esposta all’aria. In tale maniera ci si potrà fare un’idea dell’inquinamento da polveri. Si noterà che la polvere è di colore scuro: ciò significa che

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origina da processi di combustione (la combustione della benzina e del gasolio nel motore dei veicoli). Si farà notare che l’inquinamento da polveri è maggiore in alcune strade rispetto ad altre e che è presente in quantità maggiore nei piani bassi. Questo dipende dal fatto che le particelle, avendo un peso maggiore dell’aria, tendono a ricadere a terra e, se non dilavate con le precipitazioni atmosferiche, ad essere risollevate dai moti d’aria. Altri inquinanti sono più leggeri e non visibili. Essi possono essere rilevati con opportuni apparecchi. Si possono portare i ragazzi in un’officina di autoriparazione e far controllare i gas di scarico di alcune auto (CO e idrocarburi). Può essere interessante mettere un stoffa bianca (una federa o altro) a circa 50 cm dal tubo di scappamento di un’auto in moto o di un motorino, per vedere come diventa nera in pochi secondi. b) Stimiamo le quantità dei veri inquinanti emessi dalle automobili. Per calcolare la quantità dei vari inquinanti prodotti da una singola automobile in un’ora, si moltiplica la concentrazione degli inquinanti per il numero di litri di gas di scarico emessi in un’ora. Per calcolare il quantitativo di gas di scarico emessi si utilizza la formula: numero di giri x cilindrata (litri) x tempo (minuti) x 0.5 (fase attiva). Per un’auto di 1000 cc di cilindrata sono circa 90.000 litri all’ora (3000 x i x 60 x 0.5) Moltiplicando tale dato per la concentrazione dei vari inquinanti in un litro di gas di scarico (le concentrazioni per le varie tipologie di auto sono riportate sul sito www.sinanet.apat.it/it/sinanet/fetransp), si ottiene il quantitativo di tali inquinanti emessi da un auto nell’unità di tempo. Si moltiplica il valore trovato per il numero di automobili circolanti a Napoli (600.000) e per il numero medio di ore di percorrenza (2 ore). c) Stimiamo quanto si inquina percorrendo 1 Km con vari mezzi di trasporto. Si visita il sito www.sinanet.apat.it/it/sinanet/fetransp per reperire i dati sulle quantità di inquinanti emessi dai vari veicoli per percorrere 1 Km. Si trascrivono i dati che interessano (ad esempio quelli relativi ad auto a benzina tipo euro 1 ed euro 4, di cilindrata tra 1,4 e 2 litri, moto, autobus euro 1 ecc.) e si dividono per il numero di persone che detti veicoli possono portare o che mediamente trasportano (in Italia 1,2 persone per auto, 1 per le moto, 15 per autobus). In tale maniera si ricava il quantitativo di inquinanti emessi per trasportare una persona per 1 Km con vari tipi di veicoli, secondo la possibilità massima di trasporto di quel veicolo (cioè se il veicolo viaggia a pieno carico) e secondo l’indice di occupazione effettiva del veicolo. d) La concentrazione dei maggiori inquinanti atmosferici a Napoli Si chiedono al Servizio Controllo Inquinamento Atmosferico dell’ARPAC (oppure al WWF o alla Legambiente) i dati sull’inquinamento atmosferico a Napoli (numero di superamenti dei limiti massimi ammessi dalla legge, giorni e ore in cui si è verificato un superamento dei limiti di legge ecc.). 4) IL DESTINO DEGLI INQUINANTI a) Discussione. L’insegnante pone la seguente domanda agli studenti: “Che fine fanno gli inquinanti?” Si definiscono le relative ipotesi b) Verifica delle ipotesi. Si segnano su un foglio le ipotesi scaturite dalla discussione. Si verificano le ipotesi confrontandosi con fonti esperte (insegnanti, libri, video, esponenti di un’associazioni ambientaliste, esperti della materia). In tale fase si potranno affrontare alcuni argomenti, quali: i cicli biogeochimici (ciclo

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dell’azoto, del carbonio e dell’acqua) e la loro alterazione ad opera dell’uomo; la catena alimentare e gli inquinanti degradabili e non degradabili (per esempio i fluoroclorocarburi e le diossine); l’effetto serra; le piogge acide; il buco dell’ozono; le reazioni chimiche (ossidazione, acidificazione, salificazione ecc.); alcuni concetti di fisica (conservazione della materia e dell’energia, seconda legge della termodinamica, cambiamento di stato ecc). c) L’insostenibilità del modello di trasporto fondato sull’auto privata. Si legge la lettura “L’impronta ecologica” (pag. 154) e si forniscono i dati sul numero di vetture in vari paesi e nel mondo, nonché sulle emissioni inquinanti emesse dai vari mezzi di trasporto (vedi dati a fine capitolo). Si invitano i ragazzi a trarre conclusioni da questi dati e da quanto studiato. d) Il dilemma di Bruno e Gianni L’insegnante legge il dilemma riportato a pagina 164. Successivamente stimola la discussione secondo le indicazioni riportate a fine lettura. 5) LE CAUSE DEL TRAFFICO a) Tempesta di idee: “Le cause del traffico”. L’insegnante, terminata la “fase di tempesta”, analizzerà con gli studenti le ipotesi causali individuate, suddividendole in varie tipologie e categorie (per esempio: cause generali e locali; cause comportamentali, gestionali, urbanistiche, geografiche, economiche, culturali). Si individueranno poi i nessi causali presenti tra i vari fattori causali individuati. Per esempio, se viene detto che la causa del traffico sono le auto parcheggiate in seconda fila, si chiederà perché si parcheggia in seconda fila. Se si risponde perché mancano i parcheggi, si farà notare che la carenza è un concetto relativo: i parcheggi sono carenti rispetto alle auto che sono troppe. Perché le auto sono troppe? E così via. In caso di risposte generali (perché tutti hanno l’automobile, perché vi sono pochi mezzi pubblici ecc.), si porteranno i ragazzi a ricercare anche le cause particolari: “Perché però vi sono più auto nel nostro quartiere rispetto ad altri quartieri? Perché c’è più traffico lungo determinati percorsi rispetto ad altri? Perché v’è ne è di più in determinati giorni ed ore? Perché in alcuni punti vi sono spessissimo auto in seconda fila?”. b) Verifica delle ipotesi causali. Ci si confronta con fonti esperte (insegnanti, testi, esponenti di associazioni ambientaliste, urbanisti, enti preposti); si effettuano verifiche sul campo (ad esempio: quanto tempo si impiega per percorrere un dato percorso in determinate ore del giorno; per quante ore al giorno il traffico è congestionato; quali sono i luoghi e le ore di maggior congestionamento del traffico ecc). Tale lavoro può essere svolto in gruppi di 3-4 persone, che dovranno stendere una relazione sulle cause del traffico. c) Stesura della rete causale del traffico. Si leggono le relazioni dei vari gruppi e si disegna su un cartellone la rete causale del traffico: si segnano, cioè, i più importanti fattori causali del traffico, le loro cause e interconnessioni. 6) LE POSSIBILI SOLUZIONE AL PROBLEMA DEL TRAFFICO a) Quali rimedi contro il traffico? Il docente propone un brainstorming sul seguente tema: “Quali rimedi contro il traffico?”.

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Successivamente assegna ad ogni studente alcune delle soluzioni proposte. Gli studenti dovranno indicare su un foglietto i vantaggi e gli svantaggi della soluzione proposta. I foglietti, anonimi, devono essere consegnati all’insegnante, che li legge. Si discute sulle soluzioni proposte e sulle loro possibili conseguenze b) Categorizzazione delle soluzioni proposte. Le soluzioni proposte vengono suddivise in tipologie e categorie Per esempio: I Fattibilità

- rimedi facilmente praticabili - rimedi difficilmente praticabili

II Negatività - rimedi con possibili effetti negativi poco consistenti - rimedi con possibili effetti negativi consistenti

III Positività - rimedi con possibili effetti positivi poco rilevanti - rimedi con possibili effetti positivi rilevanti

IV Tempi d’attuazione - breve termine - medio termine - lungo termine

c) Studio sulle ipotesi di soluzioni prospettate. Ci si confronta con fonti esperte: insegnanti, testi, esperti ecc. Si legge il brano: “Le città contro il traffico” (pag. 161). d) Applicazione di alcune delle soluzioni al quartiere in cui si vive Si verifica la possibilità di realizzare nel quartiere alcune delle soluzioni prospettate (per esempio: costruire un parcheggio d’interscambio, una linea di trasporto su ferro, delocalizzare un attrattore, interdire alle auto alcune strade, creare percorsi pedonali o un’area vérde ecc.). Si effettueranno sopralluoghi, si intervisteranno gli abitanti della zona, si consulteranno esperti e autorità competenti. e) Gioco di simulazione: “Un’assemblea di quartiere”. Si assegnano i seguenti ruoli: presidente della Circoscrizione; consigliere di maggioranza; consigliere di opposizione; rappresentante dell’associazione “Una città a misura di bambini”; presidente dell’associazione commercianti; comandante dei VV.UU.; esponente di un’associazione ambientalista; presidente della sezione “Automobil club”; rappresentante dei pensionati; pubblico (formato dal resto degli studenti, che impersonano sé stessi e dagli ulteriori seguenti personaggi: una casalinga; un “maniaco dell’automobile”; un disfattista; un anziano; un ambientalista, un commerciante). Il compito dell’assemblea è quello di prendere una decisione su alcuni interventi contro il traffico (alcuni di quelli prospettati nel punto precedente). La riunione si svolgerà una settimana dopo aver assegnato i ruoli, così che ciascun personaggio possa preparare la sua linea d’intervento. Alla fine dell’assemblea il presidente e i due consiglieri si apparteranno per prendere una decisione, che sarà poi sottoposta alla votazione del pubblico. g) Riflessioni sul gioco di ruoli. L’insegnante chiede ai ragazzi di esprimere le proprie impressioni e opinioni sull’“assemblea”. Egli farà notare che i diversi soggetti sociali (bambini, commercianti, casalinghe, giovani, anziani ecc.) hanno diversi bisogni e interessi, spesso in contrasto tra loro. I problemi ambientali sono la

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conseguenza di questi conflitti. Come affrontare i problemi ambientali? Come possono essere risolti questi conflitti? Quali sono i soggetti forti e deboli in questo conflitto? Come fare in modo che i bisogni dei soggetti deboli non siano sacrificati agli interessi dei soggetti forti? Tale discussione può essere l’occasione per spiegare i criteri con cui devono essere prese le decisioni (criterio dell’efficacia-efficienza, criterio della reversibilità in caso di fallimento); per soffermarsi sulla differenza tra bisogni, richieste e interessi; per far notare come i soggetti deboli, se non sono informati e organizzati, possono “fare il gioco” dei soggetti forti e avanzare richieste contrarie ai loro bisogni; per illustrare i possibili strumenti di partecipazione democratica e le istituzioni che gestiscono la cosa pubblica. 7) DALLA RICERCA ALL’INTERVENTO a) Definizione di una strategia d’intervento. I ragazzi, sotto la guida dell’insegnante, devono definire una strategia contro l’inquinamento atmosferico. Si individueranno gli obiettivi e le risorse disponibili, si analizzeranno le compatibilità, si sceglieranno i campi d’intervento (per esempio: sensibilizzazione della popolazione; organizzazione o collegamento con alcuni soggetti sociali; apertura di una vertenza affinché vengano realizzate alcune delle proposte individuate; ecc.), le modalità d’intervento, i tempi, ecc. E’ importante contattare le associazioni ambientaliste e ricercare, tramite Internet, se vi sono campagne contro l’inquinamento atmosferico e per una diversa mobilità. b) Attuazione della strategia definita. Si attuerà la strategia d’intervento elaborata. c) Il dilemma di Maria e Laura. L’insegnante legge il dilemma riportato a pagina 165. Successivamente stimola la discussione secondo le indicazioni riportate a fine lettura.

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SCHEDA INFORMATIVA PRINCIPALI INQUINANTI E LORO EFFETTI - Polveri (particolato solido): le particelle di polvere possono essere di varie dimensioni e di varia natura. Il 70-80% delle polveri sospese nelle nostre città ha un diametro inferiore a 10 micron. Le più pericolose sono quelle molto piccole (1 micron), che si depositano negli alveoli polmonari; quelle di media grandezza (2 - 15 micron) si depositano in trachea e bronchi, causando tosse; quelle più grandi, pur essendo le più fastidiose, sono le meno dannose, perché vengono arrestate a livello del naso. Nelle polveri si possono trovare sostanze cancerogene, irritanti tossiche, allergizzanti. Le polveri sono tra le cause del cancro polmonare, della bronchite, dell’asma, dell’enfisema, dell’infiammazione delle prime vie aeree, della congiuntivite ecc. - Ossido di carbonio (CO): è un gas inodore, incolore e insapore. Legandosi saldamente all’emoglobina, interferisce sul trasporto dell’ossigeno alle cellule, determinando indebolimento delle funzioni mentali, aumento del rischio di ischemia cardiaca e infarto. In tempi più o meno brevi si trasforma in anidride carbonica (CO2). - Anidride carbonica (CO2): è un gas non tossico, ma responsabile dell’effetto serra. - Ossidi d’azoto (NO e NO2): il primo è un gas incolore e in odore, il secondo ha un colore brunastro e un odore pungente. Sono causa di congiuntivite, di infiammazione delle vie aeree, di broncocostrizione. Mentre negli strati più bassi dell’atmosfera possono causare un aumento dell’ozono, in quelli più alti ne causano la distruzione (buco d’ozono)., - Ossidi di zolfo (SO2 - SO3): gas incolori, di odore pungente ad azione irritante (infiammazione, broncocostrizione ecc.). Sono i principali responsabili del fenomeno delle piogge acide. - Idrocarburi : rientrano in questo gruppo varie sostanze, come gli idrocarburi aromatici (benzene, benzopirene, butadiene ecc.) e i clorofluorocarburi (freon). I primi sono cancerogeni e mutageni, i secondi, usati nella fabbricazione del polistirolo, nei frigoriferi e nelle bombolette spray24, sono tra i principali responsabili del buco d’ozono e dell’effetto serra. - Metalli (piombo, cadmio, vanadio, nichel, mercurio, manganese ecc.): hanno diversa origine ed effetti. Il piombo può causare danni a molti organi e apparati (sistema nervoso, sangue, rene ecc.) ed è particolarmente pericoloso per i bambini, che hanno una capacità d’assorbimento molto maggiore degli adulti e sono più sensibili ai suoi effetti. Nei bambini il piombo può determinare riduzione della crescita e del quoziente intellettivo, malformazioni, danni cardiovascolari e all’organo dell’udito. Altri metalli possono avere effetti cancerogeni, tossici, irritanti ecc. - Acidi alogenidrici (fluridrico, cloridrico, bromidrico) hanno effetto irritante. - Ozono: gas bluastro con odore agliaceo ad azione irritante. - Diossine e dibenzofurani sono composti molto stabili ad azione mutagena, cancerogena e tossica. - Composti organici volatili (C.O.V.): rientrano in questa definizione un gran numero di composti del carbonio che hanno la caratteristica della volatilità (vari idrocarburi, formaldeide ecc.). In questa frazione si trovano cancerogeni, tossici, sostanze irritanti. SORGENTI D’INQUINAMENTO Le principali fonti di inquinamento atmosferico in Italia sono i trasporti, le industrie, le centrali elettriche, il riscaldamento. A Napoli è innanzitutto il traffico di auto e moto, poi la presenza del porto e dell’areoporto. (tab. 1).

24 Il Trattato di Montreal ne vieta la produzione

Pio Russo Krauss: Ecolandia: principi, metodologia e didattica dell’educazione ambientale 98

Tabella 1 - Origine dei vari inquinanti atmosferici presenti a Napoli

fonti di emissione

polveri ossidi di

azoto ossidi di

zolfo ossido di carbonio

benzene C.O.V.

trasporto su gomma

30% 30% 1% 67% 78% 40%

altri trasporti (aerei, navi ecc.)

36% 60% 97% 5% 14% 5%

industrie 5% 7% 2% 0% 0% 2% riscaldamento 24% 3% 0% 0% 0% 7%

altro (rifiuti ecc) 3% 0% 0% 28% 8% 45% ISPRA Ministero dell’Ambiente. Dati relativi al 2008 Malgrado gli inquinanti emessi per veicolo sia considerevolmente diminuito negli ultimi 30 anni, il peso dei trasporti sull’inquinamento atmosferico è andato aumentando sia per l’enorme aumento dei veicoli circolanti (da 14 milioni del 1970 a 51 milioni nel 2011), sia per la riduzione dell’inquinamento negli altri settori. Infatti l’uso di combustibili meno inquinanti (metano, gasolio a basso tenore di zolfo ecc), di tecnologie più avanzate e di sistemi di abbattimento degli inquinanti ha ridotto l’inquinamento per unità di prodotto nell’industria, nella produzione di energia e nel riscaldamento domestico. Inoltre il peso dell’industria si è ridotto anche per via della deindustrializzazione, perché le produzioni più inquinanti sono state trasferite nei Paesi poveri. Nella provincia di Napoli il ruolo dei trasporti è maggiore che in Italia. I mezzi di trasporto più inquinanti sono quelli su gomma, in particolare i ciclomotori, se si considera l’inquinamento emesso per potenzialità di passeggeri trasportati (tab. 2), e le auto, se si considera invece i passeggeri effettivamente trasportati per veicolo (in media in Italia un auto trasporta 1,2 persone) (tab. 3) Tabella 2 Inquinanti emessi per passeggero trasportato per Km sulla base di fattore di occupazione teorico (4 per auto, 40 per autobus, 1 per ciclomotore) (APAT 2004)

mg di CO ossido di carbonio

mcg di NO ossidi di azoto

mcg di PM10 polveri sottili

mcg di COV composti organici

volatili auto benzina non

catalitica 15 0,4 0,02 1,7

auto benzina euro 1 4,5 0,2 0,01 0,45 autobus gasolio convenzionale

1,1 0,1 0,015 0,6

autobus gasolio euro 1

0,05 0,08 0,01 0,5

ciclomotori 14,5 * * 8,8 ciclomotori

euro 1 5,2 * * 4,0

treno (dati 1992) 0,3 10 * 0,1 * dato mancante Tabella 3 Inquinanti emessi per passeggero trasportato per Km sulla base di fattore di occupazione effettivo (1,2 per auto, 15,5 per autobus, 1 per ciclomotore) (APAT 2004)

mg di CO ossido di carbonio

mcg di NO ossidi di azoto

mcg di PM10 polveri sottili

mcg di COV composti organici

volatili auto benzina

convenzionale 50 1,3 0,7 5,6

auto benzina euro 1 15 0,6 0,2 1,5 autobus gasolio convenzionale

2,8 0,2 0,04 1,5

autobus gasolio euro 1

1,3 0,2 0,2 1,3

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ciclomotori 14,5 * * 8,8 ciclomotori

euro 1 5,2 * * 4,0

treno (dati APTA 1989) 1 * * 0,2 * dato mancante DANNI ALLA SALUTE L’inquinamento atmosferico è tra i fattori causali di vari tumori (cancro polmonare, leucemia ecc), dell’asma bronchiale, della bronchite cronica, dell’infiammazione delle vie aeree. DANNI ALL’AMBIENTE Possono essere di tipo locale (imbrattamento e corrosione dei manufatti, danni alla vegetazione ecc.) o di tipo globale. Tra questi ultimi ricordiamo - l’effetto serra, determinato soprattutto da CO2 (55%), clorofluorocarburi (24%), metano (15%), NO (6%); - le precipitazioni acide, determinate soprattutto da SO, NO, CO2; - la diminuzione dello strato d’ozono atmosferico, determinato soprattutto da NO e clorofluorocarburi. INTERVENTI CONTRO L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO La strategia ideale è quella di ridurre la produzione d’inquinanti. Ad esempio, si può ridurre la necessità di mobilità di uomini e di merci e il conseguente inquinamento, distribuendo meglio sul territorio le attività produttive, i servizi e le residenze. Un’attenta politica urbanistica, che contrasti l’urbanizzazione diffusa dei suoli agrari periurbani (la cosiddetta “città spruzzata”), riqualifichi le periferie, impedisca la terziarizzazione dei centri storici, l’eccessiva presenza di attrattori in alcune zone, va nella stessa direzione. Si possono, inoltre, privilegiare i mezzi di trasporto meno inquinanti (cabotaggio, ferrovia, tram, filobus, funicolari) e in generale quelli collettivi, che determinano un minore inquinamento e una minore occupazione di spazio, a parità di persone trasportate, nonché disincentivare l’uso dei mezzi di trasporto più inquinanti (motocicli, moto, auto, camion, TIR), impedendone la circolazione in determinate zone o in particolari orari, aumentando il costo dei parcheggi, la loro tassazione ecc. Possono essere utili anche la creazione di parcheggi periferici d’interscambio e di altre connessioni intermodali tra i vari sistemi di trasporto, di piste e aree di sosta per biciclette, di percorsi pedonali. Anche l’adozione di limiti di velocità più bassi ha effetti positivi sulla diminuzione delle emissioni inquinanti. Nella produzione d’energia, si possono non solo scegliere le fonti energetiche meno inquinanti (idroelettrico, solare, eolico, metano) ma anche evitare gli sprechi e utilizzare le fonti e le forme d’energia più appropriate agli usi finali (per esempio: isolamento termico degli edifici, cambiamento dei processi produttivi energeticamente poco efficienti; cogenerazione, teleriscaldamento, adozione di scaldaacqua solari e di lampade ad alta efficienza ecc. (si veda pag 137). Altre possibili strategie sono la depurazione delle emissioni tramite varie metodiche (filtri, precipitatori ecc.) e la dispersione degli inquinanti.

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LA SITUAZIONE A NAPOLI La principale sorgente d’inquinamento è il traffico di auto e moto, altre importanti fonti sono i fumi delle navi presenti nel porto e le emissioni degli aerei. Le altre fonti, dopo la deidustrializzazione e la trasformazione a metano della centrale elettrica di Vigliena e del riscaldamento domestico, sono diventate pressoché marginali (vedi tab 1). Il controllo dell’inquinamento atmosferico è attuato dal Servizio Controllo Inquinamento Atmosferico (SCIA) della ARPAC. NORMATIVA Numerose sono le norme che attengono alla tutela dell’inquinamento dell’aria (tra cui anche il Codice della Strada). La normativa italiana è condizionata dalle direttive europee, che impongono precisi impegni e limiti alle emissioni. L’Italia ha inoltre firmato Convenzioni internazionali quali quella di Montreal sulla protezione della fascia d’ozono e di Kyoto sui gas serra. Per avere il quadro aggiornato della normativa consigliamo di consultare le relative voci nelle “Leggi italiane nel testo vigente” o una banca dati online (vedi Appendice). Qui diamo solo alcune indicazioni di carattere generale. La normativa definisce valori limite di qualità dell’aria (cioè le concentrazioni di alcuni inquinanti nell’aria che non devono essere superate), valori limite di emissione (cioè le concentrazioni di alcuni inquinanti negli scarichi aeriformi che non devono essere superate), valori guida (finalizzati alla prevenzione a lungo termine). Sono stabiliti, inoltre, i livelli di attenzione e di allarme di vari inquinanti, quali SO2, NO2, CO, O3, polveri con diametro inferiore a x micron (es. PM10 diametro inferiore a 10 micron), benzene, idrocarburi policiclici aromatici ecc. Qualora tali livelli siano superati, l’autorità competente adotta i provvedimenti adottati. Le competenze sono così divise: - Stato: fissa e aggiorna i valori limite di qualità e d’emissione e i valori guida, nonché i livelli d’attenzione e d’allarme; stabilisce i metodi di prelievo e d’analisi; emana le linee per l’elaborazione dei piani di prevenzione, conservazione e risanamento; rilascia le autorizzazioni per le centrali elettriche e l’omologazione per la produzione dei veicoli. - Regione: emana i piani di rilevamento, prevenzione, conservazione e risanamento dell’aria; individua le aree di particolare interesse in cui devono essere rispettati limiti più severi; coordina il controllo e il rilevamento dell’inquinamento; rilascia le autorizzazioni per gli impianti industriali e artigianali, elabora la relazione annuale sulla qualità dell’aria. - Provincia: elabora il Piano della mobilità extraurbana; ha funzioni di conoscenza, verifica e controllo. - Comune: adotta le misure per prevenire e ridurre le emissioni inquinanti in caso di probabile o accertato superamento dei limiti di qualità, di attenzione o di allarme; elabora il Piano urbano della mobilità per ridurre 1’inquinamento. ALCUNI DATI - Stima del numero di morti annuali per inquinamento atmosferico Italia: 30.000 – 40.000, Napoli

1.400 – 2.000 (elaborazione sui dati dello studio Kunzli et al. pubblicato su The Lancet 2000). - Stima degli effetti sanitari dell’inquinamento atmosferico a Napoli (anno 2004): ricoveri per

malattie respiratorie 850, ricoveri per malattie cardiache 1.600, episodi di bronchite acuta nei bambini sotto i 15 anni 24.500, attacchi di asma negli adulti sopra i 25 anni 28.500, attacchi d’asma nei bambini sotto i 15 anni 12.000 (elaborazione sui dati dello studio Kunzli et al. pubblicato su The Lancet 2000).

Pio Russo Krauss: Ecolandia: principi, metodologia e didattica dell’educazione ambientale 101

- Percentuale di alberi con oltre il 25% di foglie danneggiate da piogge acide in Italia: 1997 36%, 2005 33% (Corpo Forestale dello Stato).

- Emissione di inquinanti atmosferici dai trasporti passeggeri e merci nel 1990, 1995 e 2004 (migliaia di tonnellate): 1990: NO passeggeri 597, merci 321, COVNM passeggeri 556, merci 77, PM10 tot 69, benzene 35, CO2 104.000 (di cui 65% per passeggeri, 32 per merci e 3 nautica). 1995: NO passeggeri 626, merci 319, COVNM passeggeri 603, merci 85, PM10 tot 66, benzene 27, CO2 115.000 (di cui 69% per passeggeri, 28 per merci e 3 nautica). 2004: NO passeggeri 326, merci 330, COVNM passeggeri 372 (di cui il 37% da parte di ciclomotori, merci 70, PM10 tot 55, benzene 8, CO2 135.000 (di cui 65% per passeggeri, 32 per merci e 3 nautica) (APAT).

- Composti organici volatili emessi nell’atmosfera per la verniciatura di ogni autovettura fabbricata: 10 Kg (9).

- Produzione di PM10 in Italia per macrosettori nel 1990 e nel 2003 (tra parentesi la variazione percentuale): industria 62, 46 (- 36%), produzione di energia, 45, 8 (-82%), trasporti 98, 85 (-13%), incendi forestali 12, 3 (-12%), combustione non industriale 14, 18 (+28%), incenerimento rifiuti agricoli 10, 13 (+30%) (APAT).

- Autovetture per 100 abitanti nel 2004: Italia 58 auto, Unione Europea 48, Cina 1, India 0,8 (Ministero dei Trasporti e Worlwatch Institute).

- Km di strade per Kmq in Italia e in Campania (anno 2000): Italia: autostrade 2, strade statali 15, strade provinciali 38; Campania autostrade 3, strade statali 19, strade provinciali 51 (Regione Campania).

- Autovetture immatricolate in Italia 2004: 2,3 milioni (Ministero dei Trasporti). - Veicoli circolanti in Italia nel 1970: autovetture 10 milioni, ciclomotori/motocicli 3,5 milioni,

autocarri 0,8 milioni (Ministero dei Trasporti). - Veicoli circolanti in Italia nel 2004: autovetture 34 milioni, ciclomotori/motocicli 9 milioni,

autocarri 4 (in totale: 47 milioni di veicoli) (Ministero dei Trasporti). - Autovetture per 100 abitanti in Italia negli ultimi 35 anni: 1970 19; 1980 31; 1990 48; 2000 56;

2004 58 (Ministero dei Trasporti). - Superficie occupata da autovetture in Italia (2004): 250 Kmq (Ministero dei Trasporti). - Energia necessaria per trasportare un passeggero per 1 Km in auto, in treno e in aereo (anno

2003): automobile 0,032; treno 0,013; aereo 0,037 (Istituto di Ricerche Ambiente Italia). - Energia necessaria per trasportare una tonnellata per 1 Km in camion, in treno e in nave (anno

2003): camion 0,054; treno 0,026; nave 0,005(Istituto di Ricerche Ambiente Italia). - Stima dei costi esterni del trasporto in Italia nel 1999 (milioni di euro): trasporto su strada 94.980

(autovetture 52.560, motocicli 2.950, ciclomotori 5.850, autobus 2.740, camion e TIR 30.880), trasporto su rotaia 3.049, aerei 2.421 (Amici della Terra).

- Stima dei costi esterni del trasporto di un passeggero per un Km nell’anno 1999 (centesimi di euro): autovettura 8, treno 3 (Amici della Terra).

- Stima dei costi esterni del trasporto di una tonnellata per un Km nell’anno 1999 (centesimi di euro): 8 camion, 5 treno (Amici della Terra).

- Costi esterni delle emissioni inquinanti dovute al trasporto passeggeri su strada in ambito urbano nel 1999 in Italia (centesimi di euro per passeggero per Km): autovetture a benzina non catalizzate 3,1; autovetture diesel 18,2; autovetture a benzina catalizzate 1,6; autovetture GPL 1,4; motocicli 1,6; ciclomotori 2,5; autobus urbani convenzionali 5,7 (Amici della Terra).

- Costi esterni dell'inquinamento atmosferico dovuto ai trasporti in ambito urbano in Italia nel 1999 (milioni di euro e valori percentuali): autovetture+motocicli+ciclomotori 8.170 (48%), autobus+pulman 1.019 (6%); trasporto merci 7.967 (46%); totale 17.156 (Amici della Terra).

- Tempo medio che i napoletani trascorrono in auto: 2 ore al giorno (Istituto di Ricerche Ambiente Italia).

- Velocità media urbana effettiva delle autovetture in Italia: 7 Km/ora (Istituto di Ricerche Ambiente Italia).

Pio Russo Krauss: Ecolandia: principi, metodologia e didattica dell’educazione ambientale 102

- Numero di morti per miliardo di passeggeri per km + tonnellate di merci per km: strada 7,8; ferrovia 0,3; aereo 0,4 (Amici della Terra).

- Percentuale di città che hanno superato i limite di legge per il PM10 nel 2004: Italia 78%, Europa 53% (Istituto Ambiente Italia).

- Produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili in Italia nel 1990 e nel 2004 (1000 t equivalenti di petrolio): solare termico 7, 18; fotovoltaico 3, 6; geotermico 969, 1.409; idroelettrico 8.312, 9.404, legna 1.976, 3.000, biogas 29, 335; rifiuti solidi urbani 97, 1.305, biocombustibili 65, 288; eolico 2 (1995) 406 (2004) (Istituto Ambiente Italia).

- Consumi elettrici coperti da fonti rinnovabili (tutte): 1995 8,2%, 2004 8,4% (APAT). - Metri quadri di scaldaacqua solari per 1000 abitanti: Austria 297, Grecia 264, Germania 75,

Olanda 31, Francia 13, Spagna 11, Italia 8, Regno Unito 3 (EurObserv'ER, Solar Thermal Energy Barometer 2005).

- Watt prodotti dal solare fotovoltaico per abitante (Wc/abitante) nel 2004: Germania 9,6; Olanda 2,9; Austria 2,4; Spagna 0,9; Italia 0,5; Grecia 0,4; Francia 0,3; Regno Unito 0,1 (Photovoltaic Energy Barometer).

- Energia elettrica da solare fotovoltaico in diversi paesi nel 2003 (MWatt): Germania 398, Olanda 49 Spagna 27, Italia 26, Francia 22, Austria 17, Gran Bretagna 5, Grecia 3 (EurObserv’ER).

- Energia elettrica d’origine eolica in diversi paesi nel 2003 (MWatt): Germania 14.609, Spagna 6.202, Danimarca 3.110, Italia 904, Olanda 873, Gran Bretagna 649, Austria 414, Grecia 375, Francia 239 (EWEA).

- Concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera: in epoca pre-industriale 280 ppm; nel 1990 353 ppm; nel 2004 372 ppm (IPCC).

- Perdita della fissazione di CO2 dovuta alla deforestazione (milioni di tonnellate): 1990 61, 1995 86, 2000 82, 2003 82 (APAT).

- Emissioni di gas serra in Italia nel 1990 e nel 2003 (milioni di tonnellate di CO2 equivalenti): 1990: CO2 370, metano 38, N2O 40, fluorogas 2; 2003: CO2 405, metano 35, N2O 42, fluorogas 6 (APAT).

- Contributo percentuale di vari paesi alle emissioni di anidiride carbonica (CO2) nel 2002: USA 23%, Cina 14%, Russia 6%, Giappone 5%, India 4%, Germania 3%, Canada 2%, Gran Bretagna 2%, Italia 2% (Earth Policy Institute from U.S. Department of Energy).

- Ripartizione percentuale del trasporto merci per mezzo di trasporto (anno 2004): mezzi su gomma 71%; navi 24%; treno 4%; aereo 0,5% (ISTAT).

- Spesa per investimenti in conto capitale in infrastrutture di trasporto tra il 1970 e il 1995 in Italia (a prezzi 1995) e ripartizione percentuale per tipologia: 165.000 miliardi; strade 56%, ferrovia 25%, porti 8%. aeroporti 11% (7).

- Km di rete tranviaria presente a Torino, Roma, Milano, Trieste nel 1960 e nel 1999: 1960 700 Km; 1999 420 Km (Ministero dei Trasporti).

- Metri quadri di isole pedonali per abitante in varie città italiane (2004): Firenze 0,8, Bologna 0.3, Siena 0,2, Napoli 0,2, Roma 0,14, Milano 0,1 (Istituto Ambiente Italia).

- Metri quadri di zone a traffico limitato per abitante in varie città italiane (2004): Siena 31, Firenze 10, Bologna 8, Napoli 3, Roma 2, Milano 0,1 (Istituto Ambiente Italia).

- Metri equivalenti di piste ciclabili per abitante in varie città italiane nel 2000 e nel 2004: anno 2000: Napoli 0, Genova 0, Roma 0,01, Milano 0,03, Firenze 0,05, Bologna 0,06; anno 2004: Napoli 0, Genova 0, Roma 0,7, Milano 1,9, Firenze 3,0, Bologna 6,9(Istituto Ambiente Italia).

- Offerta di trasporto pubblico in alcune città di Italia (Km/vettura/abitante/anno 2004): Milano 80, Roma 66, Torino 61, Napoli 33 (Istituto Ambiente Italia).

Si vedano anche i dati del successivo capitolo “Il problema energetico: quale energia per quale società”

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- Costo approssimato per la realizzazione di alcune opere pubbliche: parcheggio a raso 5-10 milioni a posto auto; parcheggio a piani sopraelevati 10-20 milioni a posto auto; parcheggio sotterraneo 25-40 milioni a posto auto; una scala mobile (m 6 di dislivello) 400 milioni; i km di tangenziale 10-30 miliardi; i km di tapis roulant 5-6 miliardi; i km di funicolare 6-14 miliardi. - Numero di veicoli che ogni giorno entrano a Napoli: 500.000 (12).

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CONSIGLI BIBLIOGRAFICI

- Bologna G.: Italia capace di futuro, EMI, Bologna, 2000. - Russo Krauss P., Castagna P.: Educare alla difesa dell’ambiente, Gruppo Abele, Torino, 1993. - Krunica H.: Ecologia urbana: tutto ciò che occorre sapere sull’ambiente in cui viviamo, CUEN,

Napoli, 2000. - Budoni A.: Tutti in tram: trasporti collettivi e progetto della città, CUEN, Napoli, 1997. - Donati A.: Ambiente e politica dei trasporti: le analisi e le proposte di WWF Italia e Legambiente

per la mobilità sostenibile, Edizioni Ambiente, Milano, 1999. - Amici della Terra: Valutazione delle esternalità delle modalità di trasporto in Italia, Roma, 1997. - Amici della. Terra: I costi ambientali e sociali della mobilità in Italia, Roma, 1999. - Amici della Terra: I costi ambientali e sociali della mobilità in Italia: produzione, esercizio e

smaltimento dei veicoli, Roma, 2000. - Mezzetti A.: Inquinamento atmosferico e vegetazione, Edagricole, Bologna, 1987. - VAS per le Generazioni Future: L’ambiente in bolletta: 30 azioni semplici per usare bene

l’energia e salvare la Terra, Editoriale Verde Ambiente, Roma, 1994. - Godrej D.: I cambiamenti climatici, Ed. Carocci. - Hosea J.: L'imperialismo dell'auto, Jaca Book, 2004. - Ferrara V., Farruggia A.: Clima: istruzioni per l'uso. I fenomeni, gli effetti, le strategie, Edizioni

Ambiente, 2007. - Pasini A.: Kyoto e dintorni. I cambiamenti climatici come problema globale, Franco Angeli, 2006. - Schibel K.L., Zamboni S.: Le città contro l’effetto serra. Cento buoni esempi da imitare, Edizioni

Ambiente, 2005. - Lorenzini G., Nali C.: Le piante e l'inquinamento dell'aria, Springer Verlag Italia, 2005. - Iacobelli C.: L'ambiente confinato. Rischio chimico fisico biologico, Università Telematica

Guglielmo Marconi, 2005. - Crutzen P.J.: Benvenuti nell'Antropocene. L'uomo ha cambiato il clima, la Terra entra in una

nuova era, Mondadori, 2005. - Bortolato C., Cento e più rimedi per difendersi dall'inquinamento, Mediterranee, 2004. - Di Pietro P., Come difendere i nostri figli dall'inquinamento, Red Edizioni, 2004. - Tartaglia M.: L'inquinamento dell'aria da traffico stradale, Bios, 1999. - Wines J.: Il pianeta lo salvo io! In 101 mosse, Edt, 2007.

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IL PROBLEMA ENERGETICO: QUALE ENERGIA PER QUALE SOCIETÀ

Eduardo Petrone, Pio Russo Krauss, Michele Macaluso

PREMESSA La seguente proposta didattica si compone di due distinti itinerari. In ambedue gli itinerari abbiamo preferito non trattare gli argomenti relativi all’energia presenti nei libri di testo in uso nelle scuole, soffermandoci, invece, su aspetti meno considerati, in particolare sui rapporti tra energia, ambiente e società. Poiché però non è possibile parlare del problema energetico senza conoscere concetti basilari quali quelli d’energia, lavoro, leggi della termodinamica ecc., è necessario integrare la nostra proposta con quella del libro di testo. FINALITÀ - Acquisire una “mentalità scientifica sistemica”. - Prendere coscienza del nesso tra scienza, tecnologia e società. - Essere attenti a considerare il fattore energia nei vari aspetti della realtà, così da adottare comportamenti meno dissipatori. - Indurre all’impegno politico, inteso come contributo alla risoluzione dei problemi e come promozione della giustizia, della solidarietà, della prudenza e della nonviolenza. OBIETTIVI COGNITIVI - Acquisire i seguenti concetti: energia, lavoro, entropia, atomo, molecola, fotosintesi, respirazione, produttori, consumatori, decompositori, ciclo biogeochimico, flusso d’energia, risorse, rendimento, efficienza, tecnologie dure, dolci e appropriate - Conoscere i principi della termodinamica. - Conoscere le unità di misura dell’energia. - Conoscere le caratteristiche delle principali fonti d’energia. - Conoscere i principali interventi per risparmiare energia. OBIETTIVI COMPORTAMENTALI - Acquisire comportamenti meno dispendiosi d’energia (ridurre i consumi, evitare i prodotti con imballaggi eccessivi ecc.)

ITINERARIO DIDATTICO N° 1 LA STORIA DELL’ENERGIA E DELLE SUE APPLICAZIONI

Riteniamo particolarmente utile lo studio della storia dell’energia e delle sue applicazioni per prendere coscienza dei nessi esistenti tra natura e società, tra potere, scienza e tecnologia e tra cultura e struttura di una società. Riguardo al rapporto tra natura e società, si veda, per esempio, come lo sviluppo demografico ed il fiorire delle “civiltà” vadano di pari passo con l’aumentata disponibilità di cibo, dipendente a sua volta da fattori naturali e tecnologici. Per quanto riguarda il rapporto tra potere, scienza e tecnologia, si consideri per esempio, che l’energia idraulica era ben nota ai greci ed ai romani, ma le sue applicazioni erano scarse, perché si preferiva utilizzare gli

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schiavi. Un ulteriore esempio di tale rapporto è quello relativo al “nucleare di pace”, che è stato implementato perché funzionale al blocco militare-industriale, ossia per ridurre i costi del nucleare militare, per migliorare l’immagine dell’energia atomica, perché le sofisticate tecnologie nucleari sono appannaggio pressoché esclusivo delle grandi potenze ecc. Infine per quanto concerne il rapporto tra la cultura e la struttura di una civiltà, si consideri ad esempio la liceità della schiavitù o delle guerre per il controllo delle risorse in rapporto alla loro “necessità” per le classi dominanti. Questo studio della storia dell’energia potrebbe essere intrapreso dopo lo studio dell’ecosistema (cioè quando l’allievo ha già acquisito i concetti di catena alimentare, flusso d’energia, rendimento energetico, piramide ecologica, ciclo della materia ecc.) e dell’energia (concetto d’energia e di lavoro, conservazione dell’energia e trasformazioni energetiche, rendimento ecc.) oppure tali argomenti potrebbero essere trattati nel corso dell’itinerario (quando si parla degli uomini primitivi, l’ecosistema; quando si parla della scoperta delle macchine termiche, i principi della ter-modinamica ecc.). Elenchiamo gli argomenti che a nostro giudizio andrebbero affrontati: - L’uomo primitivo, come qualsiasi altro animale, si procura l’energia dall’alimentazione e, per procurarsi il cibo, impiega un certo quantitativo d’energia (energia muscolare), che, ovviamente, deve essere inferiore a quella che va ad acquisire. - La scoperta del fuoco e l’addomesticamento degli animali. - La rivoluzione neolitica e la necessità di legno da bruciare e di lavoro per azionare i mantici delle fucine. - Le civiltà antiche e la schiavitù. - Alcune scoperte scientifiche rimaste per secoli prive di applicazioni pratiche: il mulino, la vela, gli specchi d’Archimede, la macchina di Erone. - Il medioevo e l’utilizzazione dell’energia idraulica ed eolica. - La scoperta dell’America ed il rifiorire della schiavitù: l’Europa cresce sfruttando l’Africa e l’America. - La crisi energetica dell’Inghilterra e la conversione dal legno al carbone. - Il problema dell’acqua nelle miniere e l’invenzione delle macchine termiche. - La rivoluzione industriale: dall’utilizzazione di fonti energetiche rinnovabili all’utilizzazione di fonti energetiche non rinnovabili. - Il colonialismo come strumento di importazione netta di risorse (=energia). - L’uso dell’energia elettrica e del petrolio. Lo sviluppo degli USA. - Il controllo dei giacimenti di petrolio. - L’energia nucleare: il “nucleare di guerra” e quello di “pace”. - La crisi energetica ed ambientale, le tecnologie dolci, dure e appropriate. - L’incidente di Cernobyl e la crisi del nucleare. - Verso la domanda di petrolio superiore all’offerta, l’aumento del prezzo del greggio e le guerre del petrolio - Quali scenari per il futuro. ALCUNI SPUNTI DIDATTICI: a) Disegniamo su degli assi cartesiani i seguenti grafici: popolazione mondiale dall’età della pietra ad oggi; popolazione europea, africana e americana (indigeni) dal 1500 ad oggi; consumi energetici, pro capite e totali, dall’età della pietra ad oggi; consumi d’energia e tassi d’inquinamento negli ultimi 100 anni. b) Intervistiamo i nonni o qualche persona anziana su: consumi energetici negli anni 40-50 e negli anni 60; quantità e durata dei beni di consumo; le differenze tra la loro epoca e la nostra riguardo ad abitudini di vita connesse col problema energetico.

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c) Lettura di brani: ‘Il consumismo’ (pag. 156), “L’esaurimento delle risorse (pag. 160) e successiva discussione. d) Visione di film. Ad esempio: “La guerra del fuoco”, “Mission”, “Sindrome cinese”. Consigliamo come testo da utilizzare con i ragazzi la prima parte di “I limiti dell’energia” (vedi bibliografia).

ITINERARIO DIDATTICO N° 2: L’ENERGIA NELLA NOSTRA SOCIETA’

1) SITUAZIONE STIMOLO a) Discussione. Si legge il brano: “L’esaurimento delle risorse” (pag. 160) Si apre la discussione: “Perché si è creato questo problema? Come lo si può affrontare?”. Al termine della discussione si segnano su un foglio le ipotesi formulate. Si decide di affrontare uno studio per saperne di più e per definire una strategia di risoluzione. 2) IL PROBLEMA ENERGETICO SECONDO L’IMPOSTAZIONE USUALE a) Fabbisogno d’energia e sua copertura. Si affronta dapprima il problema come viene impostato dagli enti preposti (Ministero dell’Industria, Enel ecc.): di quanta energia l’Italia ha bisogno (cioè: quanta energia in totale si consuma in Italia)? Come coprire questo fabbisogno? Si ricercano i dati da fonti oppure li fornisce l’insegnante (vedi “Alcuni dati” a fine capitolo). b) Le fonti d’energia. Gli studenti esaminano le varie fonti d’energia: quantità attualmente utilizzata in Italia ed in Europa; provenienza e proprietà della fonte e della tecnologia; se richiede la presenza di nuovi impianti per la sua utilizzazione; costo della fonte e degli impianti e costo per unità d’energia prodotta; impatto sull’ambiente; gradimento da parte del consumatore; tempi d’esaurimento. c) Gioco di simulazione: “Una riunione del Consiglio dei Ministri”. Si assegnano i seguenti ruoli: Presidente del Consiglio, Ministro dell’Industria, Ministro dell’Economia, Ministro dell’Ambiente, Ministro egli Esteri, Ministro del Lavoro. Ciascun “Ministro” può essere affiancato da un “sottosegretario”, gli altri studenti sono i “cittadini”, che assi-stono alla riunione esprimendo, a fine gioco, il proprio giudizio sulle decisioni prese e sul comportamento dei vari Ministri. Il compito della riunione è il seguente: decidere come soddisfare i fabbisogni d’energia del Paese, tenendo conto dell’attuale situazione italiana, in particolare di quella economica. La riunione si svolgerà 10 giorni dopo l’assegnazione dei ruoli, così che ciascun Ministro (e sottosegretario) potrà prepararsi per sostenere le sue ragioni e anche i cittadini potranno informarsi per giudicare con cognizione di causa i propri governanti.

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3) L’USO EFFICIENTE DELL’ENERGIA a) Discussione. Il docente pone queste domande: “Il dato su quanta energia si consuma in Italia è equivalente a quanta energia occorre all’Italia? Cosa altro bisogna considerare per conoscere il reale fabbisogno energetico italiano?” La discussione deve servire a mettere in crisi l’impostazione del problema energetico adottata nel punto 2. I consumi d’energia, infatti, esprimono il bisogno d’energia per svolgere il “lavoro” (riscaldamento, produzione di luce, movimento ecc.) effettuato dall’insieme delle “macchine” (impianti termici, lampade, mezzi di trasporto ecc.) presenti in Italia, “macchine” che hanno un certo rendimento energetico. Se tali “macchine” fossero più efficienti potremmo svolgere il medesimo lavoro con meno energia. La discussione deve servire anche ad introdurre il concetto di “tecnologia appropriata” (vedi pag. 112). b) Il rendimento delle macchine. L’insegnante affronta con i ragazzi il seguente tema: “Dalla macchina di Newcomen alle moderne macchine: come è cambiato il rendimento energetico” Si invitano i ragazzi a ricercare il rendimento delle automobili confrontando quanti Km i diversi modelli fanno con un litro. In ultimo i ragazzi devono confronto l’efficienza energetica di un’automobile e di un autobus, in termini fisici (% di energia convertita in lavoro) ed “ecologici” (energia consumata per trasportare x persone per 1 Km) che dipende anche dal numero di persone che il mezzo trasporta (si consideri che in Italia ogni auto trasporta in media 1,2 persone, mentre un autobus 15 persone). c) Il rendimento totale. Si invitano gli studenti ad allargare ulteriormente il campo d’analisi, compiendo una ricerca per arrivare ad una stima del rendimento energetico per scaldare l’acqua con il sole (tramite scaldaacqua solare) e con l’energia elettrica (tramite scaldabagno elettrico), calcolando l’energia occorrente per costruire le varie apparecchiature necessarie (da una parte lo scaldaacqua e dall’altra lo scaldabagno, i fili elettrici, i tralicci, la centrale elettrica, gli oleodotti, le petroliere, le trivellatrici) e per farle funzionare. d) Gli usi elettrici obbligati. Si invitano gli studenti a ricercare dati per stimare i consumi elettrici obbligati in Italia e confrontarli con i consumi elettrici effettivi. e) L’impronta ecologica Si legge la lettura “L’impronta ecologica” (pag. 154), chiedendo ai ragazzi cosa ne pensano. Si invitano gli studenti a calcolare l’impronta ecologica delle loro famiglie. f) Il dilemma di Bruno e Gianni L’insegnante legge il dilemma riportato a pagina 164, successivamente stimola la discussione secondo le indicazioni riportate a fine lettura. 4) QUALE STRATEGIA PER AVERE MINORE BISOGNO D’ENERGIA a)Tempesta d’idee. L’insegnante propone una tempesta di idee sul seguente tema: “Come avere minore bisogno di energia?”. Si segnano su un foglio le ipotesi di intervento.

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b) I molti legami dell’energia. Il docente propone agli studenti di individuare i legami tra energia e rifiuti, energia e trasporti, energia e agricoltura, energia e pubblicità, energia e consumismo, energia e occupazione ecc. Se si sono individuate altre ipotesi di intervento si segnano sul foglio già compilato. c) Le ipotesi d’intervento. L’insegnante propone di raggruppare le ipotesi di intervento per risparmiare energia prima nelle seguenti tipologie: a) soluzioni tecnologiche b) politiche c) culturali e poi in interventi a breve, medio e lungo termine. Egli inoltre invita gli studenti a indicare i pro ed i contro di ogni intervento e su quali soggetti ricadrebbero tali vantaggi e svantaggi. Un’ulteriore classificazione può essere la divisione degli interventi per settori: industria, agricoltura, trasporti, commercio, domestico ecc. d) Verifica delle ipotesi. Ci si confronta con fonti esperte (insegnanti, testi ecc.) per verificare quali sono gli interventi possibili e più vantaggiosi per risparmiare energia (es. razionalizzazione dell’uso delle fonti sulla base degli usi finali; miglioramento dell’efficienza delle macchine e dei processi; cogenerazione; teleriscaldamento; centrali idriche a recupero; interventi nel settore trasporti; interventi in agricoltura; marchi di qualità per apparecchiature a basso consumo energetico; tariffe elettriche articolate per fasce orarie e per fasce di consumo ecc.). e) Gioco di simulazione: “Il vertice regionale dell’energia”. Il docente assegna i seguenti ruoli: Presidente della Regione, Assessore all’Energia e Industria, esponente delle associazioni ambientaliste, Presidente dell’Unione Industriali, sindacalista, Sindaco del Comune X. Ciascun esponente può essere affiancato da un consulente. Gli studenti rimasti sono i “cittadini”, che assistono alla riunione esprimendo il proprio giudizio sulle decisioni prese e sul comportamento dei vari partecipanti al vertice. Compito della riunione è il seguente: decidere quale parere la Campania deve dare al Governo in merito alla costruzione di una centrale a petrolio, da 1000 MW, nel Comune X, per soddisfare i fabbisogni d’energia dell’intera Regione. La riunione si svolgerà dopo 10 giorni, così che ciascun partecipante potrà adeguatamente prepararsi. f) Cosa si fa in Italia per ridurre i consumi energetici? Intervista ad un funzionario dell’ENEL, dell’ENEA, della Legambiente e del WWF. Visita ai siti web delle precedenti organizzazioni, nonché di altre impegnate in questo campo. 5) IMPEGNO PERSONALE a) Pratichiamo alcune delle soluzioni proposte. Il docente invita a mettere in pratica alcune degli interventi individuati o a impegnarsi affinché si realizzino. Possibili azioni sono: I) Impegno politico: - sensibilizzazione della popolazione: si può stampare un piccolo dossier da distribuire o vendere; si può preparare una mostra di cartelloni da esporre nella piazza o via principale del quartiere; si può organizzare la giornata del risparmio dell’energia, in cui verranno distribuiti volantini; si possono inviare documenti o messaggi tramite Internet ecc.

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- apertuta di una vertenza affinché sia praticata una delle soluzioni proposte: consigliamo di scegliere quella che sembra più facilmente praticabile. Si potranno scrivere lettere ai responsabili o ai mass media; inviare petizioni; organizzare un boicottaggio di eventuali prodotti; coinvolgere amministratori, politici e intellettuali ecc. II) Cambiare alcuni comportamenti: - Elaborare un codice di comportamento - Sottoscrivere alcuni impegni personali - Organizzare la riutilizzazione o il riciclaggio di alcuni prodotti o materiali. b)Il dilemma di Maria e Laura L’insegnante legge il dilemma riportato a pagina 165, successivamente stimola la discussione secondo le indicazioni riportate a fine lettura.

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SCHEDA INFORMATIVA PRINCIPALI FONTI D’ENERGIA: - Combustibili fossili. Si sono originati in milioni di anni dalla trasformazione delle piante preistoriche. Presentano, per tali motivi, due grandi inconvenienti: sono esauribili e rilasciano nell’atmosfera l’anidride carbonica che le piante preistoriche, nell’arco di milioni di anni, hanno sottratto all’atmosfera e racchiuso nel loro organismo, tramite la fotosintesi. Il petrolio è usato sia come carburante che per la produzione di energia elettrica, nonché per la fabbricazione di sostanze sintetiche (plastica, fibre ecc.). I principali giacimenti si trovano nella regione del Golfo Persico (2/3 delle riserve, esauribili in 100 anni agli attuali ritmi di estrazione) e in Sud America. I giacimenti degli USA, della Russia e del Mar del Nord sono ormai in via di esaurimento (10-15 anni). Mantenendo costante l’attuale consumo mondiale di petrolio, tutti i giacimenti attualmente conosciuti dovrebbero esaurirsi in 50 anni. Il petrolio è quasi interamente controllato da 9 multinazionali (Exxon, Mobil, Texaco, Chevron, Shell, BP, Agip-Phillips, Elf, Amoco). La tecnologia petrolifera (ricerca dei giacimenti, impianti di captazione, trasporto in oleodotti o petroliere ecc.) è complessa e richiede ingenti capitali, compensati dall’enorme quantità d’energia che può essere venduta sul mercato mondiale. L’impatto sull’ambiente è notevole e riguarda tutte le fasi del ciclo del petrolio (produzione, trasporto, consumo), che causano inquinamento atmosferico (ossidi di carbonio, di zolfo, di azoto, polveri, idrocarburi ecc.), delle acque (inquinamento termico, idrocarburi ecc.), acustico ecc. Il carbone è abbondantemente presente in molti paesi, richiede minori investimenti e, quindi, è più economico. I principali difetti sono la minore trasportabilità (essendo solido non può essere trasportato in condutture) e l’impatto ambientale ancora più rilevante (in particolare le emissioni di ossidi di zolfo e polveri ed il problema delle ceneri). Sono in corso numerose ricerche e sperimentazioni per ridurre l’impatto ambientale. Il gas naturale è costituito in gran parte da metano e - in minor misura - da etano e da propano. Negli ultimi anni si è verificato un notevole incremento sia nei consumi che nello sfruttamento, con la scoperta di nuovi giacimenti. L’impatto sull’ambiente è considerevolmente minore rispetto agli altri combustibili fossili. Il 60% del gas consumato in Italia è di importazione. - Energia nucleare. E’ possibile ricavare energia dalla fissione di elementi radioattivi o dalla fusione di elementi a basso numero atomico (idrogeno, elio, trizio). I reattori a fissione possono essere ad uranio naturale (come i reattori ad uranio-deuterio), ad uranio arricchito, cioè con una maggiore percentuale dell’isotopo 235 dell’uranio ed a plutonio, un elemento non presente in natura, ma che viene prodotto nella stessa centrale, grazie alla trasformazione dell’uranio, in seguito alla cattura di un neutrone (si chiamano centrali autofertilizzanti perché possono produrre più plutonio di quanto ne consumano). A quest’ultima categoria appartiene il Superphenix francese. I problemi del nucleare sono legati soprattutto all’estrema pericolosità delle sostanze radioattive, sia per la salute (effetti cancerogeni, teratogeni, genetici, tossici ecc.), sia per l’ambiente. I principali problemi sono: il rischio di incidenti catastrofici (massimo per i reattori autofertilizzanti); lo smantellamento del nocciolo radioattivo della centrale e la gestione delle scorie, che restano radioattive per migliaia di anni; l’emissione di piccole quantità di radionuclidi anche nel normale funzionamento; il rischio di utilizzazione del materiale fissile per produrre ordigni nucleari; la sicurezza degli impianti in caso di attacchi terroristici e di guerra; l’ingente costo degli impianti e la lunghezza dei tempi di costruzione. Essendo la tecnologia nucleare estremamente sofisticata e strettamente connessa al nucleare militare, essa è controllata dalle grandi potenze. La fusione è stata realizzata solo nelle bombe H. Da vari anni la ricerca scientifica sta studiando la sua utilizzazione a scopi pacifici ma con scarso successo, soprattutto per la necessità di “contenere”

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l’enorme calore sprigionato dalla fusione (100.000.000° C). La fusione non può dare incidenti come quelli che si realizzano nelle centrali a fissione, ma ha problemi analoghi riguardo alla gestione di elementi radioattivi (il trizio e la radioattività indotta nei materiali costitutivi del reattore). Le centrali a fusione, richiedendo una tecnologia estremamente sofisticata, sarebbero estremamente costose e appannaggio soprattutto delle grandi potenze. - Energia idroelettrica. E’ una fonte d’energia rinnovabile e priva di emissioni inquinanti, che può avere un impatto ambientale variabile (modesto, perfino positivo, per le piccole centraline inserite in contesti adatti, notevole per le grandi dighe). - Energia geotermica. Si possono distinguere 3 tipi di fonti geotermiche: i giacimenti di vapore secco ad alta pressione e temperatura (>250 C), che possono essere convogliati direttamente in turbina per produrre energia elettrica (vedi le centrali di Larderello e Monte Amiata); giacimenti di vapore misto ad acqua (tra i 150 e 250° C), che vengono utilizzati generalmente per produrre elettricità e calore; giacimenti di acqua calda (50-100° C) da utilizzare in agricoltura (serre) o in abitazioni civili (vedi impianti di Abano Terme). - Energia solare. L’energia solare può essere sfruttata per produrre energia elettrica o calore. L’elettricità può essere prodotta per trasformazione diretta della luce in elettricità (effetto fotoelettrico) in cellule fotovoltaiche, senza intermediazioni meccaniche ed emissioni inquinanti. Tali cellule sono raccolte in “pannelli” di varia dimensione (da alcuni cm, come quelli delle calcolatrici tascabili, a vari metri). Il fotovoltaico ha inoltre il pregio di permettere la produzione di energia elettrica li dove serve, senza bisogno di centrali, reti di distribuzione, costi di gestione ecc. Gli unici difetti sono la bassa potenza (130 W per mq) e l’alto costo dei pannelli. Per le “utenze disperse” (quelle situate in isole, montagne, zone poco accessibili) è già economicamente conveniente. Si spera che la ricerca scientifica e la produzione in serie riescano ad abbatterne il costo. L’energia solare può essere utilizzata anche per climatizzare gli ambienti, tramite particolari accorgimenti architettonici (“solare passivo” o “architettura solare”) e per produrre acqua calda a bassa temperatura (40-80° C), tramite scaldaacqua solari, già ora economicamente convenienti per gran parte delle utenze. Tramite opportune tecniche è possibile anche produrre calore ad alta temperatura (3.500° C), come nell’impianto di Odeillo sui Pirenei francesi. - Energia eolica. Tramite moderni mulini (aeromotori) si può sfruttare l’energia del vento per produrre energia elettrica o pompare acqua per usi agricoli. I migliori risultati si ottengono con l’impiego di “parchi eolici” in aree con venti pressoché costanti, sopra i 4 m/s (il 15% del territorio nazionale presenta tali caratteristiche). L’impatto ambientale è modesto (inquinamento acustico fino a circa 200 m di distanza). - Energia delle biomasse. E’ possibili produrre carburante (alcol) dalla degradazione di prodotti vegetali contenenti zuccheri semplici, amido o cellulosa. Dalle deiezioni animali o dalla frazione organica dei rifiuti è possibile produrre biogas (a base di metano) o, tramite la loro combustione, energia elettrica o calore. - Energia delle maree. Nelle insenature in cui esiste un grande dislivello tra alta e bassa marea è possibile costruire un impianto in cui le turbine sono mosse dal periodico ed alternato moto dell’acqua. METODI, PROCESSI E TECNOLOGIE PER RISPARMIARE ENERGIA Il modo più efficiente e razionale per risparmiare energia è quello di evitare il più possibile le trasformazioni d’energia, che comportano inevitabilmente una dispersione. E’ necessario allora modellare l’offerta d’energia sulla base degli usi finali, mediante tecnologie appropriate. Così, per soddisfare la richiesta di calore a bassa temperatura (riscaldamento degli ambienti, acqua calda per usi domestici ecc.), non è razionale ed efficiente offrire una forma pregiata d’energia, come quella elettrica (spesso proveniente da centrali termoelettriche, dove il combustibile brucia a 1500° C). Si

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dovrà invece fare ricorso a fonti meno concentrate d’energia, come la radiazione solare o l’energia geotermica a bassa temperatura. Un altro criterio da seguire è quello di aumentare l’efficienza energetica rispetto allo scopo per cui l’energia viene richiesta. Se il bisogno da soddisfare è quello della mobilità delle persone, non è conveniente associare ad ogni persona da trasportate il peso di oltre una tonnellata di veicolo: è per tale motivo che il sistema dei trasporti deve essere centrato sui mezzi pubblici. Ancora, se lo scopo è quello di avere un contenitore per un liquido, non è razionale offrire la lattina d’alluminio o il contenitore di plastica, la cui fabbricazione richiede grandi quantità d’energia (rispettivamente 48.000 e 14.000 Cal/Kg) e che non possono essere riutilizzati. E’ ragionevole invece offrire contenitori di vetro, la cui fabbricazione richiede minor energia (4.000 Cal/Kg) e che possono essere riutilizzati. Nel concetto di tecnologie appropriate sono compresi tutti quegli accorgimenti (scelta dei materiali ecc.) che permettono di avere un minore bisogno d’energia. Per esempio, un palazzo di vetro o male orientato avrà maggiori richieste d’energia per la climatizzazione, mentre la costruzione e la ristrutturazione secondo criteri di risparmio energetico (coibentazione, solare passivo ecc.) permettono di risparmiare molta energia (per es. in Svezia per riscaldare 1 mq di un appartamento si utilizzano in media 5 mc di metano, in Italia 20); l’agricoltura industriale, a parità di produzione, utilizza tecniche molto più energivore dell’agricoltura tradizionale o dell’agricoltura biologica (per produrre una tonnellata di grano si consuma attualmente un quantitativo d’energia che è circa il triplo di quello che si usava negli anni 50). E’ possibile inoltre, grazie al progresso scientifico, produrre energia in modo più efficiente o migliorare il rendimento delle macchine. Alcuni esempi sono la cogenerazione, il teleriscaldamento e le nuove lampade a fluorescenza. La cogenerazione consiste nella produzione combinata di energia elettrica e calore. Gli impianti di cogenerazione recuperano parte di quel 50-60% dell’energia, che in una normale centrale termoelettrica viene dispersa nell’ambiente come calore: tale calore viene invece utilizzato per riscaldare ambienti o in processi industriali. Viceversa si può recuperare il calore prodotto in un processo produttivo e utilizzarlo per ricavarne energia elettrica. E’ possibile così portare il rendimento al 90%. Il teleriscaldamento consiste nel riscaldamento centralizzato di un’area urbana, così da consentire impianti più efficienti, l’utilizzazione di particolari fonti d’energia e minori costi d’esercizio. Le lampade fluorescenti (tubolari, compatte o integrate elettroniche) durano da 8 a 12 volte di più di quelle tradizionali e consumano fino al 70% di elettricità in meno. Risparmiare energia quindi non comporta la riduzione del proprio tenore di vita, ma la riduzione dei consumi inutili. Ciò significa ristrutturare l’economia, acquisire nuove abitudini, riscoprire antichi comportamenti, utilizzare meglio le nostre conoscenze scientifiche per passare da una società paleotecnica ad una neotecnica, attenta ai reali bisogni di tutti gli uomini del nostro pianeta, della presente e della futura generazione. LA SITUAZIONE DELLA CAMPANIA Le principali centrali elettriche della Campania sono quella di Napoli levante, di Maddaloni (turbogas), di Presenzano (centrale di pompaggio, che produce energia elettrica di giorno e ne consuma di notte), di Tusciano (idroelettrica), del Matese (idroelettrica), di Serre Persano (fotovoltaica). La Campania consuma più energia elettrica di quanta ne produce, per cui è tributaria della rete elettrica nazionale. Per quanto riguarda il riscaldamento domestico, negli ultimi anni si è sempre più diffuso l’uso del metano. La rete di distribuzione di questo gas ha raggiunto ormai gran parte della regione e copre tutta Napoli.

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NORMATIVA Numerose sono le norme attinenti l’energia (produzione e distribuzione di energia, risparmio energetico, incentivi alle energie rinnovabili ecc.) condizionate dalle direttive europee (per esempio la UE indica che per il 2010 il 22% dell’energia elettrica deve essere prodotta da fonti rinnovabili) e da trattati sottoscritti dall’Italia (es. il trattato di Kyoto). Poiché la normativa è in continua evoluzione consigliamo di consultare le relative voci nelle “Leggi italiane nel testo vigente” o una banca dati online (vedi Appendice). ALCUNI DATI - Offerta di energia (produzione e importazione) in Italia in milioni di tonnellate equivalenti di

petrolio (2006): petrolio 113, gas 73, carbone 17, rinnovabili 14, importazioni di energia elettrica 10, totale 227 (Ministero delle Attivitá Produttive).

- Consumi di energia in Italia nel 1990 e nel 2005 e ripartizione percentuale per settori: anno 1990: industria 34, trasporti 31, residenziale e terziario 32, agricoltura 3, totale 108; anno 2005: industria 30, trasporti 33, residenziale e terziario 35, agricoltura 2, totale 134 (Ministero Attività Produttive).

- Usi finali di energia in Italia (2005): alta temperatura (>250) 17%, media temperatura (100-250° C) 6%, bassa temperatura (<100 ° C) 31%, elettricità 14%, carburanti 32%.

- Produzione di energia elettrica in Italia per fonti nel 1995 e nel 2005: 1995 petrolio 42%, gas naturale 17%, carbone 9%, idroelettrico 15%, importazioni 13%, geotermico 1%, altri combustibili 3%, totale 241.000 GWh; 2005: petrolio 10%, gas naturale 42%, carbone 12%, idroelettrico 12%, geotermico 1,5%, eolico 0,7%, solare 0,02%, importazione 14%, biomasse e rifiuti 5%, 3% gas derivati, 304.000 GWh (ENEA).

- Costo attuale e previsione per il medio periodo della produzione di un kWh da diverse fonti (centesimi di euro/kWh): attuale: idroelettrico 1-2, olio combustibile 3-7, eolico 3-10, carbone 5-6, nucleare 5 (non sono considerati i costi di smaltimento delle scorie), solare a concentrazione 5, carbone pulito 10, fotovoltaico 20-80; previsione a medio periodo: idroelettrico 1-2, olio combustibile 4-10, eolico 3-7, solare a concentrazione 5, carbone 10-11, nucleare 8-9 (non sono considerati i costi di smaltimento delle scorie), carbone pulito 14-15, fotovoltaico 15-30 (ENEA e REA).

- Quantità di energia impiegata per unità di prodotto interno lordo (PIL) in Italia (tonnellate equivalenti di petrolio/milioni di euro 95): nel 1990 189, nel 1995 187, nel 2000 183, nel 2004 187. (ENEA).

- Consumi di energia nel settore residenziale per uso negli anni 1990 e 2003 (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, Mtep): 1990: riscaldamento 17,3; acqua calda 2,8; usi cucina 1,6; usi elettrici obbligati 3,4; anno 2003 riscaldamento 19,1; acqua calda 2,9; usi cucina 1,5, usi elettrici obbligati 4,4 (ENEA).

- Energia elettrica utilizzata nel settore residenziale per usi impropri nel 1990 e nel 2003 (migliaia di tonnellate equivalenti di petrolio): anno 1990: riscaldamento 134, acqua calda 906, usi cucina 125; anno 2003: riscaldamento 162, acqua calda 907, usi cucina 113 (ENEA)

- Variazione delle emissioni di gas serra in Italia tra il 1990 e il 2003 per settori economici: trasporti +25%, produzione di energia +16%, terziario e agricoltura +10%, totale +14% (col protocollo di Kyoto l’Italia si è impegnata a realizzare una riduzione 6,5% rispetto al 1990 entro il 2008-2012) (APAT).

- Produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili in Italia nel 1995, 2000 e 2004 (GWh): anno 1995: idroelettrico 37.781, eolico 10, geotermico 3.435, biomasse (biogas) 103, fotovoltaico 13; anno 2000: idroelettrico 46.800, eolico 563, geotermico 4.705, biomasse (biogas) 918,

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fotovoltaico 16; anno 2004: idroelettrico 42.744, eolico 1846, geotermico 3.437, biomasse (biogas) 1170, fotovoltaico 27 (Rete Elettrica Nazionale).

- Rendimento medio delle centrali elettriche a in Italia e in Europa (2004): Italia 40%, Europa 48% (Istituto Ambiente Italia).

- Consumi energetici pro capite nel 1990 e nel 2003 (Kg equivalenti di petrolio/abitante): Italia 3007 (1990) 3494 (2003); Europa occidentale 3539, 3807; CSI e Europa orientale 4723, 3527, USA 8550, 8566, Cina 589, 879, America Latina 1035, 1253, Africa 389, 395, mondo 1669, 1681 (Enel e Worldwatch Institute).

- Consumi di petrolio in alcuni Paesi nel 1990 e nel 2004 (milioni di tonnellate): anno 1990: USA 770, UE25 588, Cina 110, India 63, America Latina 244, Africa 91; anno 2004: USA 941, UE25 651, Cina 308, India 126, America Latina 319, Africa 123 (Enerdate).

- Metri quadri di scaldaacqua solari per 1000 abitanti (2004): Austria 297, Grecia 264, Germania 75, Olanda 31, Francia 13, Spagna 11, Italia 8, Regno Unito 3 (EurObserv'ER, Solar Thermal Energy Barometer).

- Watt prodotti dal solare fotovoltaico per abitante (Wc/abitante) nel 2004: Germania 9,6; Olanda 2,9; Austria 2,4; Spagna 0,9; Italia 0,5; Grecia 0,4; Francia 0,3; Regno Unito 0,1 (Photovoltaic Energy Barometer).

- Energia elettrica da solare fotovoltaico in diversi paesi nel 2003 (MWatt): Germania 398, Olanda 49 Spagna 27, Italia 26, Francia 22, Austria 17, Gran Bretagna 5, Grecia 3 (EurObserv’ER).

- Energia elettrica d’origine eolica in diversi paesi nel 2003 (MWatt): Germania 14.609, Spagna 6.202, Danimarca 3.110, Italia 904, Olanda 873, Gran Bretagna 649, Austria 414, Grecia 375, Francia 239 (EWEA).

- Consumo di elettricità di frigoriferi di diversa classe di efficienza energetica (kWh annui): classe A <274, classe B 275-299, classe C 300-351, classe D 352-403, classe E 404-455, classe F 456-507, classe G >507.

- Risparmio annuo ottenibile passando da un frigorifero di 300 litri di classe C ad uno di classe A: tra 268 e 363 kWh/anno pari a 48,24 e 65,34 euro/anno.

- Risparmio di investimenti in impianti di produzione e trasmissione di energia elettrica ottenibile per ogni euro investito in apparecchiature elettriche piú efficienti 2,2 euro (ENEA 2007).

- Risparmio in importazioni di petrolio per ogni euro investito in veicoli piú efficienti 2,4 euro (ENEA 2007).

- Consumo medio di energia per riscaldare un abitazione in Italia e Germania (anno 2005): Italia 170 kWh/m2 anno, Germania 70 kWh/m2 (WWF).

- Energia occorrente (in Tep tonnellate equivalenti di petrolio) per produrre 1 tonnellata di alcuni materiali in Italia (anno 2003): carta 309, acciaio 270, cemento 0,067 (Istituto Ambiente Italia).

- Principali consumi di elettricità in ambito domestico (anno 2006): 30% per frigorifero e congelatore, 25% per piccoli elettrodomestici, 13% per la lavastoviglie, 16% per lavatrice e asciugatrice, 12% in cucina, 4% per l’illuminazione (APAT).

- kWh consumati in un anno da un televisore di 100 W di potenza in stand-by per 20 ore al giorno: 105 kWh (130kWh per le 4 ore che in funzione, quindi consumo annuo totale 235kWh) (WWF).

- Consumo d’energia per vari mezzi di trasporto passeggeri, espresso in grammi equivalenti di petrolio per trasportare un passeggero per un Km (gep/p/km): automobile 20-70, autobus 10-20, treno 5-15 (Transport Enviroment).

- Consumo d’energia per vari mezzi di trasporto merci (gep/t/km): camion 35-150, ferrovia 15, navi 5-15 (Transport Enviroment).

- Variazione percentuale del traffico passeggeri in Italia 1990-1998 in totale e per vari mezzi di trasporto: totale + 19%; traffico stradale ± 24%, ferrovia e tranvie +4%, aereo +40%, mezzi pubblici urbani —5% (Ministero dei Trasporti).

- Variazione percentuale del traffico merci in Italia 1990-1998 in totale e per vari mezzi di trasporto: totale +22%; ferrovia +15%, autocarri +20%, nave +22% (Ministero dei Trasporti).

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- Per ogni 10.000 Km percorsi, un’auto guidata “grintosamente” consuma 200-250 litri di benzina in più (VAS Verdi Ambiente e Società).

- Popolazione umana in varie epoche (in milioni): nel paleolitico 3-5; nel 4000 a.C. 80; anno 0 250; anno 1000 280; anno 1500 420; anno 1750 730; anno 1900 1670; anno 1950 2500; 1975 4000; 1990 5200; 2000 6.000 (Tiezzi-degli Espinosa).

- Variazioni del consumo mondiale di energia (anno 1900 = 100): anno 1930 260; anno 1960 630; anno 1990 1600 (Tiezzi-degli Espinosa).

- Consumo energetico pro capite in varie epoche storiche (1000 Cal/uomo): uomo primitivo cacciatore 5; uomo primitivo agricoltore 15; evo antico e medioevo 25; uomo contemporaneo 230 (Tiezzi-degli Espinosa).

- Consumo energetico mondiale in agricoltura nel 1950 e 1985 (milioni di barili di petrolio): anno 1950 270; anno 1985 1903 (Worldwatch Institute).

Si vedano anche i dati dei precedenti capitolo “L´inquinamento atmosferico” e “I rifiuti”.

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CONSIGLI BIBLIOGRAFICI - Palazzetti M., Pallante M.: L’uso razionale dell’energia, Boringhieri Torino, 1997. - Scalia M.: Energia fredda: un programma energetico per lo sviluppo sostenibile, pagg. 143,

supplemento a ERBA, n. 18, anno VIII, 21/29 maggio 1999. - Libro verde 2001 della Commissione Europea “Energia e Trasporto”, Fogli Verdi, 1999. - Degli Espinosa P., Tiezzi E.: I limiti dell’energia, Garzanti, 1987. - Bologna G.: “Italia capace di futuro” EMI, Bologna, 2000. - VAS per le Generazioni Future: L’ambiente in bolletta: 30 azioni semplici per usare bene

l’energia e salvare la Terra, Editoriale Verde Ambiente, Roma, 1994. - Weizsacher E.U., Lovins A.B., Lovins L.H.: Fattore 4: come ridurre l’impatto ambientale

moltiplicando per quattro l’efficienza della produzione, Edizioni Ambiente, Milano, 1998. - Perlin J.: Dal sole: l’energia solare dalla ricerca spaziale agli usi sulla Terra, Edizioni Ambiente,

Milano, 2000. - Libro verde 2001 della Commissione Europea “Energia e Trasporto”. - Giovannelli F.: La Natura nel conto: contabilità ambientale: uno strumento per lo sviluppo

sostenibile, Edizioni Ambiente, Milano, 2000. - Silvestrini V.: Che cos’è l’entropia. Ordine, disordine ed evoluzione dei sistemi, Editori Riuniti,

Roma, 1985. - Bettini V.: La casa del sole: architettura e risparmio energetico, CUEN, Napoli, 1995. - Bartolazzi A.: Le energie rinnovabili, Hoepli, 2006. - Korn G.: Uso razionale dell´energia nella casa, Muzzio, 2003. - Tozzi M.: L'Italia a secco. La fine del petrolio e la nuova era dell'energia naturale, Rizzoli, 2006. - Scheer H.: Il solare e l'economia globale, Edizioni Ambiente 2004. - Wines J.: Il pianeta lo salvo io! In 101 mosse, Edt, 2007.

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LE AREE VERDI

Maria Rosaria Doria, Marilita Sirgiovanni, Pio Russo Krauss PREMESSA La tutela del verde è certamente l’argomento di educazione ambientale più affrontato. La nostra proposta si differenzia da altre perché cerca di inquadrare il problema della carenza di aree verdi in due ambiti più vasti: il problema urbanistico e quello della deforestazione planetaria. FINALITÀ - Prendere coscienza dell’importanza del verde per il nostro benessere psicofisico e per la salvaguardia degli equilibri ecologici planetari. - Acquisire una mentalità scientifica sistemica. - Avere un atteggiamento propositivo e cooperativo. - Praticare l’impegnò politico come contributo alla risoluzione dei problemi e come promozione della giustizia, della solidarietà, della prudenza e della nonviolenza. - Sviluppare la capacità di osservazione, di ascolto, di concentrazione, di analisi, di empatia, di critica, di immaginare una realtà diversa. OBIETTIVI COGNITIVI - Acquisire i concetti di sistema, ecosistema, fotosintesi clorofilliana, ciclo biogeochimico, piano regolatore. - Acquisire il concetto di natura come sistema, rete di elementi e relazioni in cui è compreso anche l’uomo. - Saper distinguere le vere e proprie aree verdi (i giardini, i parchi, le foreste) dalle aree “a verde attrezzato” per lo sport e le attività motorie, che svolgono funzioni completamente diverse (qualche albero in un’area attrezzata a gioco non fa un giardino ed il giardino è distrutto dal diradamento necessario per l’area di gioco). - Conoscere le funzioni svolte dal verde sulla nostra salute e nella biosfera. - Conoscere il problema della deforestazione, le sue cause e le sue conseguenze. - Conoscere funzioni e competenze dello Stato e degli Enti Locali in merito alla gestione del territorio. OBIETTIVI DI COMPORTAMENTO - Sviluppare comportamenti più rispettosi nei confronti del verde - Frequentare più spesso e in modo più appropriato le aree verdi esistenti. - Acquisire l’abitudine di rivolgersi alle autorità competenti per inoltrare segnalazioni e richieste.

ITINERARIO DIDATTICO 1) SITUAZIONE STIMOLO a) Discussione. L’insegnante chiede ai ragazzi dove hanno trascorso le vacanze, quanto tempo hanno passato all’aperto, se nel luogo di villeggiatura c’era un parco pubblico o altra area verde, se

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desidererebbero che anche qui a Napoli vi fossero più possibilità di vivere all’aperto, se desidererebbero più verde nel quartiere in cui vivono. Oppure l’insegnante chiede ai ragazzi di descrivere esperienze di contatto con il verde in città e fuori città (durata, frequenza, distanza del luogo dalla propria abitazione, compagnia ecc.) o, ancora, si può chiedere come sono soliti passare il tempo libero e se gradirebbero avere vicino casa un’area verde attrezzata. b) Proposta di una ricerca sul verde a Napoli. Si propone di fare uno studio per scoprire qual è la situazione del verde a Napoli, se vi sono progetti per allestire nuove aree verdi nel quartiere, se è possibile migliorare lo stato delle aree verdi presenti o crearne di nuove. 2) LE CARATTERISTICHE DELLE AREE VERDI a) Descrizione di un ‘area verde conosciuta. L’insegnante invita gli studenti a descrivere in modo particolareggiato un’area verde (un parco, un giardino, un’area incolta ecc.) in cui è solito andare o in cui gli è piaciuto stare: estensione, orografia, tipologia del verde, essenze, animali, attrezzature, elementi artificiali di abbellimento, possibilità di gioco e di socializzazione, condizioni di conservazione e/o degrado, proprietà, sensazioni visive, sonore, olfattive, tattili e sensazione complessiva. b) Visita ad un’area verde. Si visita uno dei luoghi descritti dai ragazzi (scelto sia in base ai desideri della maggioranza sia in base alla facilità di raggiungimento). Guideranno la visita gli alunni che lo conoscono. Durante la visita i ragazzi saranno divisi in gruppi: I) gruppo geologi-pedologi: questo gruppo rileverà l’orografia (livelli altimetrici, pendenze, solchi di ruscellamento), l’esposizione, le caratteristiche del suolo (altezza della lettiera, pietrosità, natura del terreno, pH); II) primo gruppo botanici: rileverà il numero degli alberi, le diverse specie presenti e la loro distribuzione, le loro caratteristiche; III) secondo gruppo botanici: rileverà gli arbusti e le altre piante presenti (numero, specie, distribuzione, caratteristiche); IV) gruppo “altre caratteristiche”: rileverà gli animali presenti, le condizioni di degrado, le eventuali attrezzature, la situazione circostante ecc. 3) IL VERDE A NAPOLI E LA SUA FRUIZIONE a) Le aree verdi conosciute dagli studenti. Ogni studente stende un elenco delle aree verdi di Napoli di cui conosce l’esistenza indicando quante volte le ha visitate. b) Analisi della conoscenza e della fruizione del verde da parte degli studenti. Si disegna un ortogramma della frequenza e della conoscenza delle aree verdi della città da parte degli alunni. c) Le caratteristiche delle aree verdi conosciute. Si stende una scheda su ciascuna area verde conosciuta (estensione, orografia, tipologia del verde, essenze, eventuali animali, attrezzature, elementi artificiali di abbellimento, possibilità di gioco e di socializzazione).

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4) A CHE SERVE IL VERDE CITTADINO? a) Discussione. Il docente pone le seguenti domande: “A che serve un’area verde cittadina? A chi serve? Ha un valore economico? Vale più un’area verde o un palazzo? Vale più un suolo edificabile o non edificabile? E’ giusto che i suoli valgano in base al prezzo commerciale, se è il Comune che decide l’edificabilità di un suolo e rilascia la concessione edilizia? Che conseguenze determina il fatto che vale di più un suolo edificabile? Cosa si potrebbe fare per risolvere questo problema?” b) Analisi delle conseguenze della carenza di verde. Si studiano le conseguenze locali e generali, immediate e future, per tipologie (conseguenze ecologiche, economiche, sociali ecc.) della carenza di verde in città. Si studia anche su quali soggetti ricadono in particolare modo le conseguenze individuate. c) Preparazione di un cartellone. Si sintetizzano su un cartellone le funzioni svolte dalle aree verdi e in generale dalle piante. 5) LE CAUSE DELLA CARENZA DI VERDE a) Discussione. Il docente presenta i dati sulla dotazione di verde pubblico di varie città italiane ed europee (vedi “Alcuni dati a pag. 127). Quindi si stimola la seguente discussione: “Perché c’è una tale disparità nella dotazione di verde pubblico?”. Si raccolgono su un foglio alcune ipotesi causali (es: alcune città hanno più verde pubblico perché tutto il verde esistente è pubblico; le città hanno poco verde perché si è costruito dappertutto; le città straniere hanno più verde perché le loro nazioni sono scarsamente popolate ecc.). b) Verifica delle ipotesi causali. Studio del verde (pubblico e non) nella città di Napoli e nella sua provincia in varie epoche storiche. Si vedranno cartine storiche, stampe, quadri, si intervisteranno i nonni sulla situazione del verde nel quartiere, a Napoli e nella provincia, si segneranno su varie cartine il verde pubblico e le aree edificate negli anni 50, 60, 70, 80 e 90. Si confronteranno le ipotesi causali formulate dai ragazzi con le “conoscenze esperte” (letture, filmati, incontri con studiosi dell’argomento ecc.). c) Ridefinizione della rete causale. Si stende la rete causale della carenza di verde a Napoli. 6) LA DEFORESTAZIONE a) Discussione. Il docente pone le seguenti domande: “A che servono i boschi e le foreste? Hanno un valore economico? Vale più una foresta, un suolo agricolo o un suolo urbanizzato?” Quindi riassume le posizioni emerse nella discussione.

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b) Analisi delle conseguenze della deforestazione e della scomparsa dell’agricoltura. Si verificano le ipotesi scaturite nella discussione confrontandosi con fonti esperte. Si studiano le conseguenze locali e generali, immediate e future, per categorie (conseguenze ecologiche, economiche, sociali ecc.) della deforestazione e della scomparsa dell’agricoltura. Si studia anche su quali soggetti ricadono in particolare modo le conseguenze individuate. In tale fase si possono affrontare o richiamare alla memoria i concetti cardine dell’ecologia: la sintesi clorofilliana, la catena alimentare, i cicli biogeochimici (in particolare quello del carbonio e dell’acqua), l’energia nell’ecosistema, l’entropia. Si potranno inoltre approfondire anche alcuni fenomeni connessi con la deforestazione, quali l’effetto serra, la perdita di suolo, i dissesti idrogeologici. 7) LE CAUSE DELLA DEFORESTAZIONE a) Discussione Si pongono le seguenti domande: “La deforestazione è un fenomeno rilevante? Dov’è maggiore? Perché è maggiore in alcuni paesi? Perché si abbattono i boschi e le foreste? Di chi è la responsabilità?” Si definiscono le varie ipotesi. b) Verifica delle ipotesi causali Si confrontano le ipotesi causali formulate dai ragazzi con le “conoscenze esperte” (letture, filmati, incontri con studiosi dell’argomento ecc.) Si legge il brano “Chi è responsabile della deforestazione?” (pag. 162). In tale fase si potrà affrontare il tema dello squilibrio tra Nord e Sud del mondo (geografia della povertà, storia dei paesi sottosviluppati, la finanza e il commercio internazionale ecc.) oppure i concetti fondamentali di economia (i fattori della produzione, il mercato, il profitto, la domanda e l’offerta, le concentrazioni di imprese, l’inflazione, la recessione ecc.) oppure si potranno fare riferimenti tra la situazione economica del Meridione d’Italia e quella del Sud del mondo (il latifondismo, la riforma agraria, lo sviluppo dipendente ecc.). c) Definizione della rete causale. Si stende la rete causale della deforestazione. L’insegnante farà notare come i problemi economici siano connessi con quelli ecologici, come la povertà del Sud del mondo dipenda dai paesi sviluppati, nonché come le nostre scelte abbiano ripercussioni su scala planetaria. d) L’impronta ecologica. Si legge la lettura “L’impronta ecologica” (pag. 154), chiedendo ai ragazzi cosa ne pensano. Si invitano gli studenti a calcolare l’impronta ecologica delle loro famiglie. e) Il dilemma di Bruno e Gianni L’insegnante legge il dilemma riportato a pag. 164, successivamente stimola la discussione secondo le indicazioni riportate a fine lettura. 8) UNA STRATEGIA a) Discussione. L’insegnante pone le seguenti domande agli studenti: “Cosa si può fare contro la deforestazione e per salvaguardare e aumentare la dotazione di verde?” Si definiscono le rispettive ipotesi d’intervento.

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b) Verifica delle ipotesi di soluzione. Si confrontano le ipotesi formulate con “conoscenze esperte”. In tale fase l’insegnante farà notare come tante persone, gruppi, associazioni, movimenti in tutto il mondo si impegnano, con azioni le più varie, contro la deforestazione e per aumentare la dotazione di verde. c) Definizione di una strategia. Si definiscono le azioni che si dovrebbero intraprendere e, in particolare, quello che dovrebbero fare i cittadini, le amministrazioni locali e gli organismi statali e internazionali. Si decide di praticare alcune soluzioni proposte. Per esempio: I) Impegno politico: - adozione di un’area verde - sensibilizzazione della popolazione - vertenza per far creare un area verde o riforestare un suolo - adesione ad iniziative di consumo equo e solidale - adesione a campagne di non cooperazione contro aziende implicate in dinamiche di sottosviluppo II) Cambiare alcuni comportamenti: - elaborazione di un decalogo di buoni comportamenti per difendere e promuovere il verde - sottoscrizione di alcuni impegni personali. d) Il dilemma di Maria e Laura L’insegnante legge il dilemma riportato a pag. 165 , successivamente stimola la discussione secondo le indicazioni riportate a fine lettura. 9) ADOTTIAMO UN’AREA VERDE a) Individuazione dell’area verde da adottare. Il docente propone di adottare un area verde del quartiere. Si inizia con i seguenti passi: - Si fa una ricognizione delle aree verdi o “verdibili” del quartiere (vedi punto 3c). - Si valutano vantaggi e svantaggi di una loro riqualificazione o trasformazione in area verde. - Si contattano gli enti locali per conoscere gli eventuali progetti previsti per le aree individuate. - Si sceglie l’area da adottare in base ai criteri di efficacia, efficienza e reversibilità. b) Elaborazione di un progetto d’intervento. - Si rilevano i bisogni e le richieste dei ragazzi e della popolazione tramite interviste o questionari. - Si elaborano i dati raccolti. - Si definiscono gli obiettivi da raggiungere e i requisiti che l’area dovrebbe avere. - Si disegna un progetto di massima per riqualificare l’area (piantumazione di nuove essenze; risistemazione degli accessi, dei percorsi e degli spazi di sosta; creazione di “servizi”; definizione di “percorsi natura” o di cartelli illustrativi/didattici ecc.). - Si contattano esperti per un confronto sul progetto di massima. - Si definisce un progetto più dettagliato. c) Definizione e attuazione di una strategia per realizzare il progetto. - Si individuano gli enti competenti, le controparti e i possibili alleati. - Si ricercano le risorse occorrenti. - Si definiscono gli obiettivi a breve e medio termine. - Si individuano gli strumenti e le procedure per realizzare gli obiettivi (contatti con gli enti locali, volantinaggio, mostra di cartelloni, manifestazione, realizzazione di parte dell’intervento proposto, funzione di “guida” per la visita dell’area, coinvolgimento degli organi di informazione ecc.).

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- Si mette in pratica il percorso strategico definito. d) Divulgazione del lavoro svolto. Si stende una relazione o si allestisce una mostra di cartelloni sul problema del verde e sulle proposte di intervento elaborate. Si presenta in una manifestazione pubblica il testo scritto o la mostra.

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SCHEDA INFORMATIVA Le aree verdi rivestono una notevole importanza per innumerevoli ragioni, tra cui: - Mantengono la normale composizione dell’atmosfera. Le piante infatti forniscono ossigeno e sottraggono anidride carbonica all’aria, svolgendo quindi una funzione opposta a quella dei processi di respirazione e di combustione. - Impediscono il dilavamento del terreno provocato dalle piogge e l’erosione del suolo provocata dai venti: la chioma degli alberi e l’erba, infatti, attenuano l’impatto delle precipitazioni sul suolo e moderano i venti. - Sono il mezzo più economico e efficace per prevenire alluvioni, frane, valanghe. Le radici delle piante, infatti, trattengono le pietre e il terreno; il manto verde modera la pioggia e ne trattiene gran parte dell’acqua, impedendone l’azione erosiva. - Fungono da filtro e da depuratore di molti inquinanti, migliorando la qualità dell’aria, delle acque superficiali e di quelle delle falde freatiche. Le piante, infatti, assorbono e inattivano vari inquinanti presenti nell’aria, nell’acqua e nel terreno. - Attutiscono i rumori perché hanno proprietà fonoassorbenti. - Temperano il clima. A causa della traspirazione ed evaporazione dell’acqua dalle foglie, durante il giorno, in estate la temperatura è più bassa nelle aree verdi che nelle aree spoglie; durante la notte e in inverno la temperatura è maggiore che nelle aree spoglie, perché il terreno coperto dagli alberi cede più lentamente il calore accumulato. - Moderano i venti. - Sono l’habitat necessario per numerose specie vegetali e animali. - Possono svolgere funzioni ricreative e/o economiche. CAUSE DI DEGRADO DEL VERDE - Inquinamento atmosferico: l’eccessiva acidità delle precipitazioni e diversi inquinanti (ozono, ossidi d’azoto, ossidi di zolfo ecc.) possono danneggiare, anche gravemente, le piante, sia per azione diretta sulle foglie sia per azione indiretta, cioè mobilizzando metalli pesanti nel terreno (per esempio l’alluminio) o altre sostanze nocive. - Incendi: la maggioranza degli incendi sono di origine dolosa (per indurre a rinnovare i contratti del personale che dovrebbe prevenire e contrastare gli incendi, per disboscare velocemente un territorio, per vandalismo ecc.) o colposa (contadini che bruciano le stoppie in giornate ventose, gitanti che non controllano il fuoco o i suoi resti, fumatori che buttano le cicche sull’erba secca ecc.), mentre è estremamente raro il fenomeno dell’autocombustione. - Disboscamenti: le ragioni per abbattere il manto vegetazionale di un’area sono diverse. Nelle aree urbanizzate il motivo principale è la costruzione di nuove opere edili (case, strade, industrie, impianti turistici ecc.), mentre nelle aree non urbanizzate a tale causa si affiancano la creazione di nuovi pascoli e di nuovi terreni agricoli, il prelievo del legname, l’estrazione mineraria. La distruzione delle foreste tropicali è dovuta soprattutto alle prime due cause; si stima inoltre che in media ogni 10 alberi c’è un albero di valore commerciale, ma che il suo abbattimento ne causa il danneggiamento di altri 3-10. LA SITUAZIONE A NAPOLI Lo sviluppo urbanistico di Napoli è avvenuto per gran parte al di fuori di qualsiasi disegno pianificatorio, lasciando di fatto mano libera alla speculazione edilizia. Per tali motivi il cemento e l’asfalto hanno saturato quasi tutto il suo territorio, mentre non sono stati creati nuovi parchi e

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giardini. Le cause di questa situazione sono molteplici e vanno ricercate sia a livello nazionale che locale. Per una loro trattazione rimandiamo ai testi citati in bibliografia Con la ricostruzione post-terremoto del 1980 si è avuta un’inversione di tendenza nella città di Napoli. Per la prima volta, infatti, si è pianificato e realizzato un sistema di aree verdi e si sono poste sotto tutela le aree verdi comunque presenti sul territorio comunale (delib 382/95 e Piano Regolatore 2004). Purtroppo si è verificata contemporaneamente una drastica riduzione delle aree verdi (soprattutto agricole) della provincia di Napoli. NORMATIVA Molte sono le norme attinenti al verde e alla gestione del territorio in genere (legge urbanistica, beni ambientali, difesa del suolo, aree protette, ecc.), condizionate dalle direttive europee e da trattati sottoscritti dall’Italia. Per avere il quadro aggiornato della normativa consigliamo di consultare le relative voci nelle “Leggi italiane nel testo vigente o una banca dati online (vedi Appendice). ALCUNI DATI - Superficie boscata in Italia nel 1985 e nel 2003 (ettari): anno 1985 8.675.000; anno 2003

10.528.000 (+ 21%) (Ministero Politiche Agricole e Forestali). - Percentuale di alberi danneggiati (defoliazione) in Italia nel 1995 e nel 2004: anno 1995 19%,

anno 2004 36% (Istituto Ambiente Italia). - Ettari di bosco incendiati in Italia all´anno (media del periodo 1990- 1999 e del periodo 2000-

2003: media annua 1990-1999 55.306; 2000-2003: 40.176 (Istituto Ambiente Italia). - Diminuzione della superficie agricola in Italia tra il 1990 e il 2000: 1,8 milioni di ettari (12% in

meno) (ISTAT). - Ettari di terreno agricolo nella Provincia di Napoli negli anni 1970, 1990, 2000: anno 1970

80.000, anno 1990 57.000, anno 2000 48.000 (variazione tra il 1970 e il 2000 -45%). - Metri di verde pubblico fruibile per abitante in alcune città italiane (2004): Messina 1, Napoli 2,

Firenze 3, Roma 13, Milano 14, Parma 80 (Istituto Ambiente Italia). - Metri quadri di verde totale per ettaro di superficie in alcune città italiane (2004): Messina 63,

Firenze 502, Parma 667, Napoli 988, Milano 2020, Roma 3430 (Istituto Ambiente Italia). - Regioni italiane con la maggiore densità abitativa (2006): Campania 426, Lombardia 400, Lazio

319, Liguria 297, Veneto 260, Puglia 210, Sicilia 195, Emilia Romagna 191, Piemonte 171, Toscana 158 (ISTAT).

- Province italiane con la maggiore densità abitativa (2006): Napoli 2612, Milano 1868, Trieste 1114, Roma 691, Varese 678, Prato 624, Rimini 511, Genova 478 (ISTAT).

- Città italiane con la maggiore densità abitativa (2004): Napoli 8531, Milano 7134, Torino 6922, Firenze 3657, Bari 2858, Bologna 2700, Genova 2596, Roma 1772 (ISTAT).

- Numero di abitanti di alcune città (2004): Messina 300.000, Bari 350.000, Napoli 1.070.000, Milano 1.400.000, Roma 2.700.000, Bologna 400.000, Berlino 3.400.000, Parigi 2.100.000, Vienna 1.500.000, Bruxelles 1.000.000, Amsterdam 700.000 (ISTAT).

- Densità abitativa (abitanti/Kmq) di alcune nazioni (anni 2003 e 2005): Paesi Bassi 393, Belgio 337, Germania 230, Regno Unito 244, Italia 194, Francia 108 (UE).

- Numero di edifici abusivi costruiti in Italia tra il 1982 e il 2000: 1982-86 411.000, 1987-91 244.000, 1992-96 286.000, 1997-2000 140.000, tra il 2001 e il 2005 in Italia: 140.000 (Istituto Ambiente Italia).

- Numero di costruzioni abusive per 10.000 abitanti in alcune città italiane (2004): Aosta 0, Torino 2, Milano 3, Roma 4, Firenze 5, Messina 11, Napoli 13 (Istituto Ambiente Italia).

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- Variazione del territorio protetto in Italia tra il 1993 e il 2000: +47% (Ministero dell’Ambiente). - Superficie nazionale interessata da rischi idrogeologici legati a frane e alluvioni (2006): 21.505

Kmq (7,1% del totale) (Istituto Ambiente Italia). - Comuni a rischio di alluvioni e frane in Italia (2006): 5.581 (70% del totale) (Istituto Ambiente

Italia). - Percentuali di comuni a rischio idrogeologico in varie regioni italiane (2006): Calabria 100%,

Umbria 100%, Valle d’Aosta 100%, Lombardia 99%, Toscana 98% (Istituto Ambiente Italia). - Autorità di Bacino che hanno redatto il Piano di Assetto Idrogeologico in Italia: 37% (Istituto

Ambiente Italia). - Numero di frane avvenute nel decennio 1991-2001 in Italia: 12.000 (Istituto Ambiente Italia). - Numero di esondazioni avvenute in Italia nel decennio 1991-2001: 1000 (Istituto Ambiente Italia). - Persone colpite da eventi idrogeologici gravissimi in Italia nel periodo 1980-2000: 70.000

(Ministero dell’Ambiente). - Persone coinvolte da eventi idrogeologici gravi in Italia nel 2003: 300.000 (Istituto Ambiente

Italia). - Risorse economiche necessarie al ripristino delle aree colpite da eventi idrogeologici nel 2003:

2.184 milioni di euro (Istituto Ambiente Italia). - Fertilizzanti azotati sparsi per ettaro in Italia: 63 Kg per ettaro nel 1995, 93 Kg per ettaro nel 2004

(+47%) (ISTAT). - Percentuale delle aree protette sul territorio totale in Italia e i Europa (2006): Italia 15%, Europa

12% (Istituto Ambiente Italia). - Numero di presenze turistiche nei Parchi (2004): 64 milioni (Istituto Ambiente Italia). - Superficie agricola coltivata con agricoltura biologica (2006): 6% (Ministero Politiche Agricole). - Superficie forestale nel mondo negli anni 1990, 2000 e 2005 (migliaia di ettari): Europa 180.370

(1990), 188.823 (2000), 192.604 (2005); Russia 808.950, 809.268, 808.790; Sud America 890.818, 852.796, 831.540; Nord e Centro America 710.790, 707.514, 705.849; Africa 699.361, 655.613, 635.412; Asia (esclusa Cina) 417.436, 389.561, 374.287; Cina 157.141, 177.001, 197.290; Oceania 212.514, 208.034, 206.254; mondo 4.077.391, 3.988.610, 3.952.025 (FAO).

- Variazione percentuale del saldo tra riforestazione e deforestazione tra il 1990 e il 2005: Europa + 6,8%, Sud America – 6,7%, Nord e Centro America –0,7%, Africa –9,2%, Asia (esclusa Cina) -10,3%, Cina +25%, Oceania – 3% Mondo –3,1 (FAO).

- Contributo percentuale della deforestazione all’aumento dell´anidride carbonica (2005): 25% % (IPCC).

- Percentuale di superficie forestale distrutta su quella originaria in varie aree geografiche: Africa Orientale e Occidentale 72%, Asia Meridionale 63%, Africa Centrale 45%, Sud Est Asiatico 38%, America Latina 37%, Gran Bretagna 90%, Italia 70%, Mondo 42% (8).

- Perdita di suolo in regioni tropicali coperte e non coperte (disboscate) dal manto forestale e: 0.03 tonnellate/anno/ettaro 90 tonnellate/anno/ettaro (N. Myers).

- Produzione mondiale di cereali in milioni di tonnellate (e in Kg per abitante): anno 1950 631 (247 Kg/ab); anno 2000 1860 (308 Kg/ab) (Worldwatch Institute).

- Percentuale della produzione nazionale di cereali utilizzata come mangime: India 5%, USA 68% (Worldwatch Institute).

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CONSIGLI BIBLIOGRAFICI - Comune di Napoli, Servizio Gestione Parchi e Giardini: Il verde, i parchi e gli alberi a Napoli,

2001. - Piante di strada: guida incompleta degli alberi a Napoli, Intra Moenia, Napoli. - Margiotta M.L., Belfiore P.: Giardini storici napoletani, Electa, Napoli, 2000. - Guarino C.: Gli spazi rurali a Napoli: persistenze di paesaggio agrario, Elio De Rosa Editore,

Napoli. - Regione Campania, Assessorato all’Ambiente: Natura 2000: Regione Campania: parchi, riserve e

conservazione della natura, Napoli. - Krunica H.: Ecologia urbana: tutto ciò che occorre sapere sull’ambiente in cui viviamo, CUEN,

Napoli, 2000. - Cunningham M.A., Cunningham W.P., Saigo B.W.: Fondamenti di ecologia, McGraw-Hill, 2007. - Janovy J. jr.: Ecologia essenziale: 20 domande chiave, 20 risposte chiare, Ed. Ambiente, Milano,

2000. - Wackernagel M., Rees W.E.: L’impronta ecologica: come ridurre l’impatto dell’uomo sulla terra,

Edizioni Ambiente, Milano, 2000. - Myers N,: Esodo ambientale: popoli in fuga da terre difficili, Edizioni Ambiente, Milano, 1999. - Leone U.: L’ambiente in Campania un ecosistema complesso, CUEN, Napoli, 2001. - Comune di Napoli: Un nuovo parco per Napoli: Vallone di San Rocco, 2001. - Alberti M., Solera G., Tsetsi V.: La città sostenibile. Analisi scenari proposte per un’ecologia

urbana in Europa, Angeli, Milano, 1994. - Benevolo L.: Storia della città, Laterza, Bari, 1986. - Calati Boccazzi D.: Foreste tropicali: quale futuro?, Bulgarini, Firenze. - Centro Nuovo Modello di Sviluppo: Nord Sud: predatori, predati e opportunisti, EMI, Bologna,

1993. - Mezzetti A.: Inquinamento atmosferico e vegetazione, Edagricole, Bologna, 1987. - Matthey W., della Santa E., Wannenmacher C.: Guida pratica all’ecologia, Zanichelli, Bologna,

1987.

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L’INQUINAMENTO ACUSTICO

Giovanna Aurino, Paola Serrato, Margherita Tozzi, Patrizia Castagna, Pio Russo Krauss INTRODUZIONE Tra gli argomenti di educazione ambientale, l’inquinamento acustico, in genere, è sottovalutato e di rado affrontato. Spesso esso non viene nemmeno considerato come una forma d’inquinamento e se ne sottostimano gli effetti sulla salute. Per affrontare tale argomento con gli studenti e far prendere coscienza della sua importanza, abbiamo pensato sia opportuno partire dall’esperienza personale, dalla percezione dei suoni presenti nell’ambiente in cui gli studenti vivono e degli effetti visibili che i rumori hanno sulle loro prestazioni e abitudini. Crediamo, infatti, che soltanto dalla consapevolezza dei disagi direttamente percepiti si possa giungere a comprendere la dimensione sociale ed ecologica del problema. La proposta didattica affronta quindi un ambito sempre più allargato, che dal quartiere giunge ad investire la propria città e l’intera società. Al tempo stesso la nostra proposta è parte di un’attività più ampia: l’educazione all’ascolto, che parte dalla “confidenza” e dalla ricerca del silenzio, dalla percezione dei suoni e dei rumori del “fondo naturale” per arrivare a scoprire il significato che i suoni rivestono, ad individuare le impressioni che producono, a conoscere e apprezzare l’organizzazione dei suoni nella musica. FINALITÀ - Acquisire il metodo scientifico nell’approccio alla problematica dell’inquinamento acustico: dalle opinioni ai dati, dai dati alle ipotesi, come si verificano e si falsificano le ipotesi. - Individuare un metodo e una strategia adeguati alla soluzione di problemi complessi. - Maturare un atteggiamento critico rispetto alle condizioni del vissuto quotidiano determinate dal degrado dell’ambiente. - Acquisire il concetto di ambiente come insieme dinamico, suscettibile, cioè, di cambiamenti. - Stimolare la volontà di “esserci”, cioè di contribuire da protagonisti ai cambiamenti per migliorare la salute dei cittadini (impegno civico). - Stimolare un atteggiamento immaginativo, propositivo nei confronti delle problematiche ambientali, con particolare riferimento all’inquinamento acustico. OBIETTIVI Dl CONOSCENZA - Conoscere le caratteristiche del suono e del rumore. - Riconoscere i caratteri distintivi del suono (altezza, intensità, timbro, durata). - Classificare gli strumenti musicali in base alla fonte sonora. - Conoscere l’anatomia e la fisiologia dell’apparato uditivo. - Riconoscere le fonti del rumore domestico e urbano. - Conoscere le soglie del rumore per definire l’inquinamento acustico. - Conoscere i danni alla salute provocati dall’inquinamento acustico. - Conoscere la legislazione vigente in merito all’inquinamento acustico. - Conoscere i rimedi possibili contro l’inquinamento acustico. OBIETTIVI Dl COMPORTAMENTO - Assumere un “comportamento antirumore” in classe, a casa, all’aperto.

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- Attivarsi in un’opera di sensibilizzazione nei confronti dei compagni e della famiglia, al fine di correggere i comportamenti rumorosi.

ITINERARIO DIDATTICO 1) SITUAZIONE STIMOLO a) Somministrazione di un questionario. Si somministra il questionario di ingresso (vedi pag. 130). Si discute sulle varie risposte fornite dagli alunni. b) Alcune esperienze. Si effettuano alcune esperienze dirette di situazioni in cui è difficile la concentrazione per la presenza di rumore. Si possono eseguire alcune prestazioni in assenza e in presenza di rumori intensi e/o subitanei (prodotti possibilmente da due o più registratori con indicazione del livello sonoro). Per esempio: - calcolo del tempo occorrente e delle differenze nella qualità dei risultati nell’esecuzione di operazioni aritmetiche; - quantificazione della precisione nell’effettuazione di alcune attività motorie che richiedono concentrazione (asse di equilibrio, costruzione di un castello di carte ecc.); - quantificazione della precisione nell’esecuzione di una prova linguistica (d’italiano o lingua straniera). 2) EFFETTI DEL RUMORE E CARATTERISTICHE DEI SUONI. a) Elaborazione dei dati. Si tabulano le risposte fornite al questionario, nonché i risultati delle prestazioni ottenute in presenza e in assenza di rumori. b) Discussione. Il docente pone le seguenti domande: “Come interpretare i risultati ottenuti nelle varie prove? Quali sono gli effetti del rumore? Cos’è il suono? Che differenza esiste tra suoni e rumori? Perché se pizzico un elastico teso si genera un suono, mentre ciò non si verifica se si pizzica uno spago?”. c) Formulazione di ipotesi. Si riassumono le ipotesi interpretative sulla natura del suono e del rumore e sui loro effetti. d) Verifica delle ipotesi. Si verificano le ipotesi degli studenti e si ridefiniscono le loro conoscenze, tramite: - Lezioni, incontri con esperti, visione di audiovisivi. In particolare si affronteranno i seguenti temi: le caratteristiche del suono; correlazione tra suono e caratteristiche del corpo che lo produce; le onde sonore e la loro propagazione; l’eco e il rimbombo; l’altezza, l’intensità, il timbro e la durata; gli strumenti musicali; l’anatomia e la fisiologia dell’apparato uditivo; effetti sulla salute e sull’ambiente dell’inquinamento sonoro. - Esperienze: costruzione di rudimentali strumenti musicali per verificare la correlazione tra suono e caratteristiche del corpo che lo produce; ascolto di suoni di diversa altezza e timbro; ascolto di brani musicali per cogliere i timbri, le altezze, l’intensità del suono; misurazione della frequenza e dell’intensità di vari suoni. - Visita al Laboratorio Musicale della Città della Scienza.

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Questionario

1) Che cosa significa, secondo te, “inquinamento acustico”?

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2) Cosa significa “rumore”?

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3) Quali sono i rumori più frequenti a casa tua?

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4) Quali sono i rumori più frequenti nella tua scuola?

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5) Quali sono i rumori più frequenti nel tuo quartiere?

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6) Quali sono i rumori che ti infastidiscono di più?

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7) Chi li produce?

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8) Quale tipo di fastidio provi?

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9) Che cosa fai per eliminare il fastidio?

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10) Sei mai stato in situazioni particolarmente rumorose? Quali?

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11) Quale tipo di fastidio hai provato?

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12) fastidio è durato anche quando il rumore è finito?

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13) Per quanto tempo è durato?

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14) Quando ti viene detto “Non fare rumore”?

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15) Secondo te, perché ti viene detto?

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16) Nella tua famiglia o tra le tue conoscenze ci sono persone con disturbi dell’udito?

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e) Stesura di una relazione. Si rielaborano e sistematizzano le conoscenze acquisite sulle caratteristiche dei suoni e sui loro effetti, tramite la stesura di una relazione. 3) L’INQUINAMENTO SONORO E LE SUE CAUSE. a) Discussione. L’insegnante pone le seguenti domande: “Cosa significa la parola “inquinamento”? E’ possibile parlare di “inquinamento sonoro”? Ne avete mai sentito parlare? Quali sono le cause dell’inquinamento sonoro?” Si delimita il campo d’indagine (nella propria scuola, in casa, a Napoli ecc.). Si riassumono le ipotesi causali, scrivendole su un foglio ed eventualmente suddividendole in categorie. b) Alcune esperienze per verificare le ipotesi causali. Si possono effettuare le seguenti esperienze: - Registrazione dei rumori presenti a scuola e a casa, lasciando il registratore in funzione per alcuni minuti (10-15) in alcuni momenti della giornata (ingresso a scuola, durante la lezione, nell’intervallo; a colazione, il pomeriggio, nelle ore del riposo notturno). - Misurazione del livello sonoro presente in vari ambienti scolastici (aula, corridoio, palestra) e in vari momenti - Visite guidate in una zona trafficata del quartiere in cui ha sede la scuola, in una zona con particolare esigenza di silenzio (zona ospedaliera o residenziale), in una fabbrica o officina (tipografia, officine di riparazione veicoli, di lavorazione del ferro ecc.), in una sala per videogiochi, in un’area naturale (Cratere degli Astroni, Bosco di Capodimonte, Parco di Camaldoli). Le visite guidate devono essere accuratamente preparate. In particolare è fondamentale approntare una scheda di rilevazione acustica e un questionario-intervista. La preparazione della scheda con l’intero gruppo-classe o in sottogruppi fa toccare con mano le difficoltà e i problemi della stesura di una mappa dell’inquinamento sonoro e fa capire come bisogna trovare un equilibrio tra rigore scientifico e fattibilità, tra accuratezza del dato e sua presentabilità. Una proposta di ambedue gli strumenti viene riportata alle pagg. 133 e 134. Durante la visita è indispensabile avere un registratore e, possibilmente, un fonometro e una videocamera. Nel visitare un’area naturale è opportuno invitare i ragazzi a rimanere per 2-3 minuti nel più completo silenzio e a descrivere, al termine di tale pausa, i suoni uditi, individuandone l’origine. Si chiederà loro anche di scrivere su un foglio di carta anonimo quali sensazioni e stati d’animo produce in loro il silenzio. L’insegnante, stesso sul posto o in classe, leggerà quanto scritto e aprirà un confronto su quanto emerso, affrontando anche i seguenti temi: qual è l’atteggiamento loro e dei loro familiari nei confronti del silenzio, dei rumori di fondo e della musica? Perché si hanno tali atteggiamenti? Quali significati e funzioni vengono dati al silenzio, ai rumori di fondo e alla musica? Nel corso di tale discussione si farà emergere che “rumore di fondo” è un concetto relativo: esso può essere definito infatti come l’insieme dei suoni che sono altro rispetto ai suoni verso cui è rivolto il nostro interesse. c) Elaborazione dei dati. Si elaborano i dati raccolti, si ascoltano le registrazioni effettuate e si visionano le videoriprese. d) Discussione. Si apre una discussione su come interpretare i dati e le esperienze.

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e) Stesura di una relazione. Si rielaborano e sistematizzano le conoscenze acquisite sull’inquinamento sonoro e le sue cause, tramite la stesura di una relazione. 4) STRATEGIE DI INTERVENTO a) “Quali iniziative o provvedimenti per ridurre l’inquinamento sonoro?”. L’insegnante affronta tale tema tramite la tecnica della tempesta di idee oppure facendo scrivere a ciascuno studente le proprie proposte su dei bigliettini anonimi, che saranno poi letti dall’insegnante. Si discute delle iniziative e dei provvedimenti proposti. b) Definizione delle ipotesi di soluzione Si definiscono ipotesi di soluzione, trascrivendole su un foglio.. c) Verifica delle ipotesi di soluzione. Si verificano le ipotesi di soluzione tramite il confronto con fonti esperte (insegnanti, testi, video, esperti). In particolare si affrontano i seguenti temi: - la normativa vigente e le competenze in materia; - i provvedimenti e le strategie contro il rumore: quello che teoricamente si può fare, quello che si è fatto o si sta facendo in altre città, quello che si è fatto o si sta facendo a Napoli (informazioni si possono avere consultando i siti riportati in appendice). d) Definizione di una strategia contro l’inquinamento acustico. Si definisce una strategia d’intervento che tenga conto dei criteri di efficacia/efficienza e di reversibilità/adattabilità, nonché dei bisogni e degli interessi delle varie parti sociali. e) Il dilemma di Bruno e Gianni L’insegnante legge il dilemma riportato a pagina 164, successivamente stimola la discussione secondo le indicazioni riportate a fine lettura. 5) PRATICA DELL’IMPEGNO CIVILE a) Discussione. L’insegnante pone la seguente domanda: “Cosa possiamo fare noi contro l’inquinamento acustico?”. b) Pratica dell’impegno civile. Il docente invita a praticare alcune delle soluzioni proposte, per esempio: I) impegno politico - sensibilizzare la popolazione con volantini, mostre di cartelloni, eventi ecc. - aprire una vertenza per ridurre l’inquinamento sonoro II) cambiare alcuni comportamenti: - elaborare tre tabelle comportamentali da adottare a casa, a scuola e all’aperto; - costituire delle squadre di sentinelle antirumore per convincere chi ha un comportamento rumoroso a rispettare maggiormente gli altri e “le proprie orecchie”. c) Il dilemma di Maria e Laura L’insegnante legge il dilemma riportato a pagina 165, successivamente stimola la discussione secondo le indicazioni riportate a fine lettura.

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Questionario-intervista 1) Per quante ore è esposto al rumore? ................................................................................................................................................................ 2) Da quanto tempo lavora o risiede in questo ambiente rumoroso? ................................................................................................................................................................ 3) Adotta misure per proteggersi dai rumori? Se sì, quali? ................................................................................................................................................................ 4) Accusa fastidi durante l’esposizione al rumore? Se sì, quali? ................................................................................................................................................................ 5) Questi fastidi passano appena cessa l’esposizione al rumore? ................................................................................................................................................................ 6) Quando c’è rumore è più nervoso? ................................................................................................................................................................ 7) Quando c’è rumore le viene sonnolenza? ................................................................................................................................................................ 8) Quando c’è rumore ha difficoltà a concentrarsi? ................................................................................................................................................................ 9) Ha disturbi (inappetenza, acidità, mal di testa ecc.)? ................................................................................................................................................................ 10) Avverte una diminuzione dell’udito? ................................................................................................................................................................ 11) Conosce i danni che il rumore può provocare alla salute? ................................................................................................................................................................ 12) Cosa pensa di fare per diminuire la sua esposizione al rumore? ................................................................................................................................................................

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Scheda di rilevazione dell’inquinamento acustico del giorno ____________________ Compilata dagli studenti ____________________________________________________________

Punto di rilevazione (indicare via, numero civico o

altro riferimento

ora Livello sonoro basso (1)

Livello sonoro medio (2)

Livello sonoro alto (3)

Livello sonoro molto alto (4)

1) si comprende una frase bisbigliata a più di 3 metri di distanza 2) si comprende una frase bisbigliata a 1 metro di distanza 3) si comprende una frase a voce normale a 1 metro di distanza 4) si comprende una frase ad 1 metro di distanza solo se pronunciata a voce alta

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SCHEDA INFORMATIVA GENERALITÀ SUI SUONI E SULL’INQUINAMENTO ACUSTICO Chiamiamo suono la sensazione dovuta alla percezione delle onde sonore: quando un corpo vibra, le vibrazioni si trasmettono al mezzo in cui il corpo si trova (l’aria, l’acqua o un mezzo solido). Si vengono a formare così delle onde (cioè un alternarsi di pressioni e depressioni), che presentano determinate caratteristiche in rapporto alla fonte sonora e al mezzo. I principali caratteri da prendere in considerazione sono: - La frequenza. E’ il numero di vibrazioni nell’unità di tempo e si misura in Hertz (1 Hz = 1 vibrazione al secondo). L’uomo ode i suoni compresi tra i 20 Hz (soglia dei suoni gravi) e i 20.000 Hz (soglia dei suoni acuti). - L’intensità sonora. E’ il livello della pressione delle onde sonore. L’intensità viene espressa in decibel (dB): 0 dB indica il limite di pressione sonora in cui un suono di 1000 Hz non è udibile dal nostro organismo, 130 dB è la soglia di pressione sonora in cui si verifica una sensazione dolorosa. La sensibilità acustica dell’uomo è fortemente dipendente dalla frequenza, per cui suoni di pari pressione sonora sono percepiti di diversa intensità dal nostro organismo. Per tali motivi, quando si misura l’intensità sonora, si devono correggere (ponderare) i valori di pressione riscontrati, tenendo conto di tale caratteristica dell’apparato uditivo umano. I valori così corretti vengono espressi col simbolo dB(A), per indicare che è stata utilizzata la scala di ponderazione A. L’intensità sonora decresce col quadrato della distanza dalla sorgente sonora. - Il timbro . Si parla di suono puro quando esso è caratterizzato da un’unica frequenza e di suono complesso quando sono presenti più frequenze contemporaneamente. In un suono si distingue una frequenza di maggiore intensità (quella che determina il tono del suono, cioè se il suono è un DO, un FA o un LA acuto) e una serie di altre frequenze secondarie. La presenza di tali frequenze determina il timbro. Così il timbro del violino è diverso da quello della tromba, anche se suonano la medesima nota, perché la frequenza del suono base è uguale ma le frequenze secondarie ad essa connesse sono diverse. Un suono caratterizzato da frequenze disordinate e aperiodiche si definisce rumore. - La velocità di propagazione. La velocità del suono nell’aria è di circa 340 metri al secondo. Per inquinamento acustico si intende una condizione nella quale siano presenti suoni che influenzano negativamente il benessere fisico, psichico e sociale delle persone. Generalmente sono più fastidiosi i suoni intensi, ad alta frequenza, intermittenti, subitanei e con variabile localizzazione. Altro fattore di estrema importanza è la durata di esposizione al rumore. MISURAZIONE DELL’INQUINAMENTO SONORO L’indice più usato per valutare l’inquinamento sonoro è il livello equivalente continuo, espresso in dB(A) ed indicato con il simbolo Leq(A). Il Leq(A) indica il livello di intensità sonora media presente in un intervallo di tempo. Altri indici sono: - L90, che rappresenta il livello sonoro superato nel 90% del tempo di rilevamento e che misura il rumore di fondo; - L10 e L1, che rappresentano rispettivamente il livello sonoro superato nel 10% e nell’1% del tempo di misura e che rilevano pertanto il rumore massimo, di picco.

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FONTI DI INQUINAMENTO ACUSTICO La principale fonte d’inquinamento acustico è il traffico veicolare (75%), seguito dal trasporto aereo (12%) e ferroviario (7%) e dalle industrie (5%). La rumorosità dei veicoli è data da diversi elementi: il motore, la ventola, il tubo di scappamento, il rotolamento dei pneumatici sulla strada, le turbolenze e l’attrito dell’aria determinate dal movimento del veicolo (rumore aereodinamico). A bassa velocitá (<40 Kmh) il rumore è dato per il 45% dal tubo di scappamento, per il 30% dal motore, il 10% dalla ventola, il 10% dall’aspirazione, il 5% dal rotolamento dei pneumatici. Aumentando la velocitá aumenta il contributo dei pneumatici che diventa preminente sopra i 80-90 Kmh sopra i 100 Kmh compare anche il rumore aeredinamico. I rumori maggiormente presenti a Napoli di giorno sono nell’ordine quelli di auto, moto, clacson, sirene, autobus, camion, aeroplano; quelli di notte: rimozione dei rifiuti, moto, sirene, auto, clacson. EFFETTI SULLA SALUTE - Effetti specifici (compromissione dell’organo dell’udito): riduzione transitoria o permanente della capacità uditiva dovuta a esposizione a rumori più o meno intensi per un periodo più meno lungo. I sintomi sono: fatica uditiva, orecchie ovattate, sensazione di fischi all’orecchio, vertigini, disturbi dell’equilibrio. - Effetti sul sistema nervoso: irritabilità, affaticamento, disturbi della memoria e dell’apprendimento, disturbi del sonno. - Effetti psicosomatici: cefalea, tachicardia, gastrite, aumento della frequenza respiratoria, stress ecc. - Annoyance: sensazione di fastidio, noia, scontentezza conseguente alla presenza di rumori continui e di bassa intensità. MISURE CONTRO L’INQUINAMENTO 1) Interventi a breve termine: - controlli per far rispettare le norme in vigore; - creazione di isole e percorsi pedonali; interdizione del transito degli autoveicoli pesanti, riduzione dei limiti di velocità (< a 30Kmh in città). 2) Interventi a medio termine: - potenziamento dei mezzi di trasporto collettivo, in particolare minibus, autobus elettrici, filobus, metropolitane, funicolari, ascensori, scale mobili; - creazione di ampi parcheggi d’interscambio alla periferia della città; - realizzazione di barriere fonoassorbenti e ripavimentazione con asfalto antirumore (per le strade a scorrimento veloce, sopra i 50 Kmh); - insonorizzazione degli edifici; - fabbricazione di veicoli e macchinari meno rumorosi; - campagne educative. 3) Interventi a lungo termine: - dislocazione degli aeroporti e delle industrie rumorose; - risistemazione urbanistica delle funzioni e delle attività dei centri abitati; - ricerca scientifica.

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LA SITUAZIONE A NAPOLI Il Comune nel periodo 1998-2001 ha proceduto alla mappatura e alla zonizzazione acustica dell’intero territorio comunale. Dalla mappatura effettuata risulta che i limiti previsti dalla normativa vigente sono superati quasi ovunque sia di giorno che di notte (nella maggior parte delle strade sono stati riscontrati di giorno valori tra i 70 e gli 80 dB, di notte tra i 60 e i 78 dB) Tra i rumori presenti di giorno si segnalano il clacson delle auto (72% molto frequente, 26% frequente), gli antifurti sonori (43% molto frequente, 48% frequente), radio e televisione ad alto volume (5% molto frequente, 13% frequente). Tra quelli presenti di notte si segnalano il clacson delle auto (20% molto frequente, 67% frequente), il rumore di motocicletta (40% molto frequente, 54% frequente), gli antifurti sonori (38% molto frequente, 45% frequente), radio e televisione ad alto volume (2% molto frequente, 5% frequente). NORMATIVA La legge quadro sull’inquinamento acustico è la 447/95, importante sono anche vari articoli del Codice della Strada. Numerose altre norme sono state emanate (decreti applicativi ecc.) per cui consigliamo di consultare le voci inquinamento acustico e Codice della Strada nelle “Leggi italiane nel testo vigente” o una banca dati online (vedi Appendice). Diamo solo alcune indicazioni di carattere generale. Le competenze sono così divise: - Stato: fissa i valori limite, di attenzione e di qualità della rumorosità, per le varie zone in cui è diviso il territorio (aree industriali, aree residenziali, aree miste, ecc.); stabilisce le tecniche di rilevamento; adotta piani per il contenimento delle emissioni sonore prodotte da servizi pubblici essenziali (ferrovie, autostrade ecc.); fissa i limiti di emissione sonora di alcune fonti (autovetture, autocarri, motocicli, discoteche ecc.); - Regioni: definiscono i criteri in base ai quali i Comuni devono fare la zonizzazione e i piani di risanamento; le modalità di rilascio delle autorizzazioni comunali per lo svolgimento di attività temporanee rumorose (manifestazioni, concerti ecc.); organizzano i servizi di controllo; hanno poteri sostitutivi nei confronti dei Comuni inadempienti; - Comuni: procedono alla suddivisione in zone del proprio territorio; adottano i piani di risanamento; controllano il rispetto della normativa per il rilascio delle licenze edilizie e per le emissioni sonore prodotte dai veicoli; adottano i regolamenti comunali; autorizzano le attività temporanee rumorose; - Province: hanno attività di controllo e vigilanza. Attualmente la normativa prescrive i seguenti limiti di legge: per le zone protette (ospedali, scuole, parchi) 50 dB di giorno e 40 dB di notte; per le zone residenziali e turistiche 55 Db di giorno e 45 dB di notte; per le zone miste (residenze, attività commerciali e uffici): 60 dB di giorno, 50 di notte; per quelle ad intensa attività 65 db di giorno 55 di notte; per le prevalentemente industriali 70 dB di giorno e 60 dB di notte; per le esclusivamente industriali 70 dB di notte e di giorno. Il Codice della Strada (D.lgs 285/92 art. 155 e 156) vieta le segnalazioni acustiche nei centri abitati, salvo casi di effettivo e immediato pericolo; prescrive che devono essere evitati i rumori molesti causati da difettoso funzionamento del silenziatore, dal modo in cui si guida o si sistema il carico e che gli apparecchi radiofonici non devono superare determinati limiti d’intensità sonora.

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ALCUNI DATI - Leq diurni in alcune strade di Napoli (2001): Via Girardi 81 dB, Riviera di Chiaia 81 dB, Via S.

Teresa 81 dB, Via Taddeo di Sessa 81 dB, Via De Pretis 79 dB, Via S. Anna dei Lombardi 78 dB, Via Pozzuoli 77 dB, Via S. Lucia 77 dB, Via Bernini 76 dB, Piazza Cavour 76 dB, Calata Capodichino 74,5 dB, Corso Secondigliano 74,5 dB, Via L. Giordano 74 dB, Corso Garibaldi 74 dB, Via G. Cesare 74 dB, Via D. Fontana 73 dB, Via G. Gigante 73 dB, Viale Colli Aminei 72,5 dB, Via Manzoni 72 dB, Via Epomeo 72 dB, Via Tasso 70 dB, Viale Augusto 69 dB, Via Valente 68 dB, Piazza dei Martiri 67 dB, Materdei 66 dB, Via Scarlatti 64 dB, Piazzale S. Martino 53 dB (Comune di Napoli).

- Leq notturni in alcune strade di Napoli (2000): Via Girardi 78 dB, Riviera di Chiaia 81 dB, Via S. Teresa 78 dB, Via Taddeo di Sessa 80 dB, Via De Pretis 77 dB, Via S. Anna dei Lombardi 76 dB, Via Pozzuoli 75 dB, Via S. Lucia 74 dB, Via Bernini 73 dB, Piazza Cavour 74 dB, Calata Capodichino 72 dB, Corso Secondigliano 72 dB, Via L. Giordano 70 dB, Corso Garibaldi 70 dB, Via G. Cesare 71 dB, Via D. Fontana 67,5 dB, Via G. Gigante 69 dB, Viale Colli Aminei 69 dB, Via Manzoni 67 dB, Via Epomeo 67 dB, Via Tasso 67 dB, Viale Augusto 66 dB, Via Valente 64 dB, Piazza dei Martiri 64 dB, Materdei 62 dB, Via Scarlatti 59 dB, Piazzale S. Martino 44 dB (Comune di Napoli).

- Percentuale di napoletani che d’estate dorme con le finestre chiuse per difendersi dai rumori (2002): 26% (CEDRAS ASL Na1).

- Percentuale di napoletani che è svegliati di notte dai rumori (2002): 28% spesso, 35% talvolta (CEDRAS ASL Na1).

- Percentuale di napoletani che ha ammesso di non prestare mai attenzione ad evitare comportamenti di guida rumorosi (2002): 60% (CEDRAS ASL Na1).

- Comuni della Campania che hanno approvato il piano di zonizzazione acustica anno 2002 (valori percentuali): 28% (Regione Campania).

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CONSIGLI BIBLIOGRAFICI - Luvrano G., Senes F.: Rumore e inquinamento acustico, Sistemi editoriali, 2005. - Romani M, Grillo N.G.: Inquinamento da rumore, misure e prevenzione, Geva Edizioni, 2005. - Cocchi A.: Inquinamento da rumore, Maggioli, Rimini, 1989. - Russo Krauss P., Castagna P.: Educare alla difesa dell’ambiente. Manuale di educazione ecologica, EGA, Torino, 1993.

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L’ACQUA POTABILE

Rosanna Cerri, Anna Maria Continillo, Valeria Tripepi, Anna Maffia, Pio Russo Krauss PREMESSA L’acqua è un argomento inevitabilmente trattato in ambito curricolare, quando si parla della sua importanza nello sviluppo delle civiltà, quando se ne illustra il ciclo, quando si tratta del corpo umano e dei suoi bisogni, quando si offrono nozioni di chimica ecc Abbiamo deciso quindi di non focalizzare l’attenzione su tali argomenti, bensì sui problemi dell’inquinamento delle falde e dei crescenti consumi d’acqua. Ci è sembrato che la maniera più opportuna per introdurre gli allievi a trattare tali temi era partire dalle opinioni e dalle rappresentazioni che essi hanno dell’acqua pura e inquinata, dell’acqua del rubinetto e dell’acqua minerale. Esistono infatti convinzioni molto radicate su presunte “virtù” dell’acqua in bottiglia e su presunti “difetti” di quella dell’acquedotto, convinzioni che, bisogna dire, sono state alimentate dalla cattiva gestione di questa importantissima risorsa. L’itinerario didattico muove quindi dalle opinioni e rappresentazioni degli allievi, cerca una verifica scientifica di tali ipotesi con un’analisi comparata dell’acqua del rubinetto e dell’acqua in bottiglia e perviene al problema dell’inquinamento delle falde, dell’aumento continuo delle richieste, della cattiva gestione della risorsa idrica, gettando uno sguardo anche sulla situazione mondiale e - in particolar modo - su quella dei paesi sottosviluppati, situazione nella quale noi, abitanti dei paesi ricchi, abbiamo non poche responsabilità. FINALITA’ - Sviluppare una “mentalità scientifica” adeguata ad affrontare la complessità. In particolare saper utilizzare il metodo scientifico nell’analisi del proprio territorio: delimitazione del campo della ricerca, osservazione del fenomeno, ricerca dei dati, formulazione di ipotesi causali, verifica delle ipotesi. - Indurre all’impegno civile, cioè ad essere cittadini-sovrani, che hanno quindi il diritto-dovere di dare il proprio contributo alla soluzione dei problemi della “comunità”. - Sviluppare la capacità di socializzazione e di collaborazione. - Sviluppare le capacità di osservazione, analisi e riflessione. OBIETTIVI COGNITIVI - Far acquisire i concetti di risorsa, rifiuto, atomo, molecola, ciclo biogeochimico, feed-back, inquinamento, acqua potabile. - Conoscere il ciclo dell’acqua. - Conoscere cause, caratteristiche e conseguenze dell’inquinamento delle acque dolci. - Saper elaborare proposte per salvaguardare un bene prezioso come l’acqua. OBIETTIVI DI COMPORTAMENTO - Assumere comportamenti che evitino lo spreco e l’inquinamento dell’acqua. - Attivarsi in un’opera di sensibilizzazione nei confronti dei compagni e della famiglia, al fine di promuovere comportamenti che evitino lo spreco e l’inquinamento dell’acqua.

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ITINERARIO DIDATTICO 1) VALUTAZIONE DELLE PRECONOSCENZE DEGLI ALLIEVI a) Somministrazione del questionario n° 1 Si somministra il questionario n° 1 (pag. 142), per indagare sulle rappresentazioni e le opinioni degli studenti riguardo all’acqua. Si leggono le risposte date al questionario e se ne discute. b) Visione di un video o lettura di brani. Si propone agli allievi un video o un brano sul problema dell’acqua (per esempio il brano di pag. 163). L’insegnante stimola la discussione: “Quali sono le vostre opinioni in merito ai temi trattati? Quando capita che manca l’acqua, cosa pensate?”. 2) RIDEFINIZIONE DELLE CONOSCENZE a) Somministrazione del questionario n° 2. Si somministra il questionario n° 2 (pag. 143). Si leggono le risposte date e se ne discute, in modo da arrivare ad alcune ipotesi di definizione di acqua inquinata e acqua potabile e delle relative caratteristiche. Si scrivono su un foglio le ipotesi formulate. b) Verifica delle ipotesi Si verificano le ipotesi tramite il confronto con fonti esperte (testi, esperti, insegnanti). c) I requisiti di potabilità (DPR 236/88, D.Lgs 31/2001 e D.Lgs m27/2002 ). L’insegnante spiega i requisiti che deve avere l’acqua per essere potabile, secondo il D.Lgs 31/2001, il DPR 236/88 e D.Lgs27/2002. 3) INDAGINE SULL’ACQUA POTABILE A NAPOLI a) Discussione. L’insegnante stimola la discussione con alcune domande: “A casa si fa uso di acqua in bottiglia? Perché? Com’è secondo voi l’acqua dell’acquedotto? E’ potabile? Che differenza c’è tra l’acqua dell’acquedotto e l’acqua minerale? Sono tutte uguali le acque che si vendono?”. Si scrive su un foglio quanto emerge dalla discussione. Si propone agli studenti di fare una ricerca sull’acqua potabile, sulla sua disponibilità e qualità. I risultati della ricerca saranno illustrati alla cittadinanza. b) Analisi delle acque minerali. Si raccolgono un certo numero di etichette di acque minerali per confrontarle tra loro e con i requisiti di potabilità del DPR 236/88, del D.Lgs 31/2001 e D.Lgs 27/2002. Si tenga presente che la normativa vigente sulle acque minerali – DL 105/92, DM 542/92 e D.Lgs 339/99 - prevede requisiti lievemente diversi rispetto a quelli stabiliti nel DPR 236/88 e successivi decreti legislativi. La normativa in questione, infatti, stabilisce limiti più severi di quelli previsti nel DPR 236 per cianuri, cadmio, nitrati e nitriti, ma prevede limiti più “tolleranti” per altre sostanze - arsenico, bario, borati, manganese ecc. - presupponendo che le acque minerali vengano utilizzate in casi particolari e non per lunghi periodi. Purtroppo oggi ciò non avviene, perché gran parte della popolazione beve esclusivamente acqua minerale.

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QUESTIONARIO N° 1 1) Se chiudo gli occhi la prima acqua che mi viene in mente è ……………………………………………………………………………………………………… 2) lo l’acqua: la odio se …………………………………………………………………………………………… la desidero se ………………………………………………………………………………………… ne ho paura se………………………………………………………………………………………… la evito se …………………………………………………………………………………………….. ci gioco quando ……………………………………………………………………………………….. 3) In genere si dice che l’acqua è incolore, insapore e inodore. Ti viene in mente qualche caso in cui l’acqua ha colore, sapore ed odore? l’acqua è colorata di …………………………………………………………………………………... dove………………………………………………………………………………………………….... quando ………………………………………………………………………………………………... perché ………………………………………………………………………………………………… 4) L’acqua profuma di ........................................................................................................................... dove………………………………………………………………………………………………….... quando ……………………………………………………………………………………………….. perché ………………………………………………………………………………………………... 5) L’acqua sa di ..................................................................................................................................... dove ………………………………………………………………………………………………....... quando ……………………………………………………………………………………………….. perché ………………………………………………………………………………………………… 6) L’acqua puzza di ............................................................................................................................... dove……….…………………………………………………………………………………………... quando ……………………………………………………………………………………………….. perché .......……………………………………………………………………………………………

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QUESTIONARIO N° 2 1) Io dell’acqua ho bisogno e la uso a casa per …...………………………………………………………………………………………… a scuola per….………………………………………………………………………………………… all’aperto per………………………………………………………………………………………….. a……………………………… per………………………………………………………………….. 2) Per me l’acqua è buona quando…………………………………………………………………………………………. cattiva quando…………………………………………………………………………………………. 3) Acqua sporca non significa sempre acqua cattiva o inquinata. Ti viene in mente qualche caso in cui l’acqua sporca viene utilizzata per: giocare……….....…….. ……………………………………………………………………………… creare …………………………………………………………………………………………………. costruire ……….....…………………………………………………………………………………… 4) Sai spiegare il significato del termine “potabile”? ……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………........……………………………………………………………………………… 5) Sai quando l’acqua può definirsi potabile? ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

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c) Analisi dell’acqua dell’acquedotto. Gli allievi prelevano campioni d’acqua a scuola e a casa e ne analizzano i caratteri organolettici e il pH (tramite una cartina al tornasole). E’ possibile anche avere indicazioni sulla durezza dell’acqua facendola bollire per alcuni minuti e valutando il precipitato che si forma (i bicarbonati di calcio e magnesio con l’ebollizione si trasformano in carbonati, che precipitano) oppure misurando qual è il quantitativo minimo di una soluzione di sapone di Marsiglia capace di determinare un velo di schiuma sulla superficie dell’acqua (il calcio e il magnesio si combinano con il sapone di Marsiglia neutralizzando la sua proprietà schiumogena). Si analizzano i dati sulla qualità dell’acqua dell’acquedotto (sono presenti in qualsiasi bolletta dell’acqua e sul sito dell’ARIN). Si confrontano i dati con quelli di alcune acque in bottiglia. Si confronta il costo dell’acqua di rubinetto con quello dell’acqua in bottiglia. d) Quale acqua è più buona? Si contrassegnano dei bicchierini con le lettere dell’alfabeto (da A a G). Se ne riempiono 4 con altrettante acque minerali e altri 3 con acqua di rubinetto, segnando su un foglio quale bicchierino è stato riempito con quale acqua (per esempio, bicchierino A acqua del rubinetto, bicchierino B acqua minerale X, ecc.). Si propone ai ragazzi, ignari del tipo di acqua presente nei vari bicchierini, di assaggiare le varie acque e di esprimere un giudizio con un voto da 1 a 10. Si svelano agli allievi quali acque erano presenti nei bicchierini. Si discute sui dati rilevati alla prova d’assaggio. e) Indagine sulle abitudini e conoscenze dei genitori. L’insegnante invita gli studenti a preparare un questionario per i genitori sul consumo medio di acqua, sulla sua utilizzazione, sull’acquisto di acque minerali e sul relativo smaltimento delle bottiglie, sulla eventuale carenza d’acqua in alcuni periodi, sulle caratteristiche organolettiche dell’acqua corrente, sulle opinioni riguardo a disponibilità e qualità dell’acqua. Si somministra il questionario ai genitori e lo si elabora. f) Discussione. Si discutono i dati acquisiti con l’indagine sulle abitudini e sulle conoscenze dei genitori. g) Da dove viene l’acqua che beviamo? Il docente invita a portare a scuola le etichette dell’acqua in bottiglia che si beve a casa. Si individua la provenienza dell’acqua tramite la lettura delle etichette. L’insegnante illustra da dove proviene l’acqua immessa nell’acquedotto di Napoli. h) Discussione: “Perché preleviamo l’acqua tanto lontano da Napoli?” Si discute il tema proposto e si formulano le relative ipotesi. i) Verifica delle ipotesi. Si verificano le ipotesi formulate tramite il confronto con fonti esperte (testi, insegnanti, esperti). 4) IL PROBLEMA “ACQUA POTABILE” a) Esiste un problema “acqua potabile”? Il docente propone le seguenti domande: “Abbiamo visto che siamo costretti a prelevare l’acqua lontano perché quella presente vicino alla città non è sufficiente per coprire le richieste e perché, in alcuni casi (ad esempio la falda di Lufrano), è inquinata. Secondo voi esiste un problema dell’acqua potabile? E’ possibile che in futuro non disporremo di tutta l’acqua di cui abbiamo bisogno? Quali sono le cause dell’inquinamento delle falde e dell’aumento della richiesta di acqua?”

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Si formulano le relative ipotesi e le si trascrivono su un foglio. b) Cosa accadrebbe se l’acqua fosse scarsa? L’insegnante invita gli studenti a scrivere un elaborato sul seguente tema: “Immagina cosa accadrebbe a casa tua e nella società se l’acqua scarseggiasse”. c) Le cause dell’inquinamento dell’acqua potabile. Si verificano le ipotesi formulate tramite uno studio sull’inquinamento delle falde. In tale occasione l’insegnante potrà affrontare alcuni argomenti quali il ciclo dell’acqua, gli organismi decompositori e le trasformazioni chimiche da essi operate, la catena alimentare, la falda freatica, la falda profonda, le sorgenti, i pozzi ecc. d) Le cause dell’aumento dei consumi d’acqua. Si verificano le ipotesi formulate tramite il confronto con fonti esperte (testi, insegnanti, esperti). In tale occasione l’insegnante può affrontare alcuni temi come: il consumismo (eventualmente leggendo il brano, a pag. 156), lo sviluppo demografico, la rivoluzione industriale, l’agricoltura industriale ecc. e) I consumi di acqua in agricoltura e nell’industria. L’insegnante assegna il seguente compito: “Disegna un istogramma con i consumi d’acqua richiesti per produrre una tonnellata di acciaio, alluminio, carta, raion, benzina, grano, sorgo, carne”. f) Dal vicino allontano: uno sguardo al mondo. L’insegnante fa leggere dei brani sulla situazione idrica nel Terzo Mondo (ad es. “La risorsa indispensabile: l’acqua dolce” a pag. 163). Quindi chiede ai ragazzi che ne pensano e se le nostre scelte personali e politiche hanno ripercussioni su tale situazione. Eventualmente si possono approfondire alcuni temi come i “contadini senza terra” (vedi lettura “Chi è responsabile della deforestazione” a pag. 162) o i boomerang ecologici determinati dalla “rivoluzione verde”. g) Il dilemma di Bruno e Gianni L’insegnante legge il dilemma riportato a pagina 164, successivamente stimola la discussione secondo le indicazioni riportate a fine lettura. 5) QUALE STRATEGIA PER RISOLVERE IL PROBLEMA “ACQUA POTABILE”? a) Discussione. L’insegnante pone le seguenti domande ai ragazzi: “Cosa si può fare contro l’inquinamento dell’acqua, per ridurne le richieste e affinché tutti abbiano l’acqua indispensabile per una buona qualità della vita?”. Si riassumono su un foglio le ipotesi di intervento individuate nella discussione. b) Verifica delle ipotesi d’intervento. Si confrontano le ipotesi formulate con “conoscenze esperte”. c) I soggetti impegnati per una corretta gestione delle acque. L’insegnante assegna una ricerca sui soggetti (associazioni, gruppi, enti ecc.) impegnati affinché si abbia una corretta gestione delle acque, nonché sulle più interessanti iniziative intraprese da tali soggetti. A tal proposito può essere opportuno contattare le associazioni ambientaliste e terzomondiste, oppure l’ARIN o il Consorzio Gestione Impianti di Depurazione Liquami in S. Giovanni a Teduccio o il Servizio Idrico Integrato o fare ricerca su internet.

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d) Definizione di una strategia Si definiscono le azioni che si dovrebbero intraprendere e in particolare quello che dovrebbero fare i cittadini, le amministrazioni locali e gli organismi statali e internazionali. Si decide di praticare alcune delle soluzioni proposte. Per esempio: I) Impegno politico: - sensibilizzazione della popolazione - vertenza per una migliore gestione dell’acqua (rispetto delle norme vigenti) - adesione ad iniziative di consumo equo e solidale o ad iniziative di associazioni terzomondiste II) Cambiare alcuni comportamenti: - elaborazione di un “decalogo” (forniamo come esempio quello formulato dal Consorzio Gestione Impianti di Depurazione Liquami in S. Giovanni a Teduccio, vedi pag. 167) - sottoscrizione di alcuni impegni personali. c) Il dilemma di Maria e Laura L’insegnante legge il dilemma riportato a pagina 165 , successivamente stimola la discussione secondo le indicazioni riportate a fine lettura. 6) FORMALIZZAZIONE E SINTESI DI QUANTO APPRESO a) Stesura di una mostra. Si sintetizzano i risultati della ricerca in una mostra di cartelloni che viene presentata alla cittadinanza.

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Breve guida per alcuni piccoli ma importanti gesti di ecologia quotidiana Per favorire il buon funzionamento di un depuratore, il cittadino deve chiedere alle pubbliche amministrazioni iniziative idonee e a se stesso alcuni piccoli ma importanti gesti di ecologia quotidiana. Alle amministrazioni pubbliche deve chiedere: • che l’ente gestore del Servizio ldrico Integrato garantisca la depurazione delle acque reflue ai sensi della normativa vigente; • che tutte le aree abitate siano fornite di fogne e di condotte di adduzione ai depuratori e siano rese pubbliche le planimetrie delle reti; • che siano riutilizzati in settori quali edilizia ed agricoltura i fanghi di scarto dei depuratori; • di promuovere la raccolta differenziata di solventi, acidi, articoli sanitari, oli vegetali, oggi versati senza controlli da tintorie, laboratori fotografici, copisterie, imprese artigianali e singoli cittadini; • di predisporre un servizio di rimozione dei rifiuti ingombranti con prenotazione telefonica; • di garantire il controllo su scarichi, gestione e manutenzione di depuratori e delle condotte sottomarine collegate; • rendere possibile un uso plurimo delle acque reflue urbane e piovane; • favorire esperienze pilota di depurazione naturale, fitodepurazione, stagni areati e sfruttamento delle capacità di autodepurazione dei corpi idrici naturali; • avviare la costruzione di doppie reti: per l’adduzione di acqua potabile per alimentazione e di acqua non potabile per lo scarico dei servizi igienici, per innaffiare le piante ecc.. Singolarmente il cittadino si impegnerà: • a non usare il WC come discarica di sostanze tossiche (vernici, lacche, prodotti chimici) e di farmaci; • a tenere nel bagno un cestino dei rifiuti per sigarette, capelli, cotone, medicazioni; • non adoperare deodoranti da WC colorati e non naturali; • non sversare oli usati nel WC, ma chiuderli in bottiglie e depositarli in un sacchetto della spazzatura; • non usare carta igienica colorata; • non fare uso eccessivo di prodotti chimici per la pulizia della casa; • non usare gli imbocchi delle pluviali o delle fogne stradali come recapito di acqua di lavaggio dei terrazzi o di altre aree scoperte se non dopo aver eliminato residui solidi vari; • non pulire con acqua corrente e diluente attrezzi da lavori (specie dopo lavori edili e di pitturazione); • non gettare nel WC assorbenti, profilattici e cotton fiocs; • lavare l’auto solo nei locali attrezzati; • prima di lavarli, pulire i piatti da sostanze grasse con della carta da riporre nel recipiente della spazzatura; • sistemare delle grigliette a fori stretti nelle bocchette di scarico di lavandino, vasche e bidet.

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SCHEDA INFORMATIVA L’acqua, per essere definita potabile, deve essere innocua (cioè non deve contenere sostanze tossiche o organismi capaci di provocare danni alla salute umana), gradevole (con caratteristiche organolettiche accettabili) e usabile (cioè adatta ai vari scopi dell’acqua potabile). Il primo requisito è inderogabile e viene accertato con una serie di analisi volte ad escludere la presenza di un inquinamento in atto o pregresso o di un potenziale rischio di inquinamento futuro: l’acqua, per essere potabile, quindi, deve avere determinate caratteristiche, chimiche, microbiologiche e fisiche. A tal proposito l’acqua viene analizzata, con periodicità che dipende dal numero di abitanti serviti dall’acquedotto e dalla fonte di approvvigionamento, per controllare la presenza di una serie di parametri che possono così essere raggruppati: Sostanze tossiche (arsenico, berillio, cadmio, cianuri, cromo, mercurio, antiparassitari, idrocarburi policiclici aromatici ecc.). Sono sostanze che hanno effetti tossici, cancerogeni o mutageni e che naturalmente non si rinvengono nemmeno in tracce nelle acque. Sostanze indesiderabili (nitrati, nitriti, fenoli, idrocarburi, boro, ferro, manganese, rame, fosforo, fluoro, ammoniaca, tensioattivi ecc.). Sono sostanze che naturalmente si rinvengono in molte acque, anche di falda profonda, ma in piccole concentrazioni, tali da non determinare alcun danno. La loro presenza in concentrazioni maggiori è una spia di un possibile inquinamento, per cui l’acqua viene considerata non potabile. I composti azotati (ammoniaca, nitriti, nitrati) derivano dalla decomposizione delle sostanze organiche (liquami, terreni torbosi ecc.). I nitrati rappresentano l’ultimo stadio della mineralizzazione delle sostanze azotate e possono anche derivare dal dilavamento dei terreni agricoli trattati con fertilizzanti. Fosfati e tensioattivi, essendo presenti nei reflui domestici, possono essere indicatori di un inquinamento di tale origine. Parametri microbiologici. Invece di cercare i microrganismi patogeni si preferisce cercare microbi emessi normalmente in grande quantità con le feci e maggiormente resistenti nell’acqua. In tale maniera, se questi microrganismi sono assenti, saranno a maggior ragione assenti anche quelli patogeni. Sono ritenuti accettabili piccolissime quantità di Coliformi totali, rinvenute sporadicamente, perché questi batteri possono anche essere naturalmente presenti nel terreno. La legge stabilisce inoltre valori di accettabilità dei parametri che concorrono a determinare la gradevolezza dell’acqua (colore, torbidità, odore, sapore, temperatura, conducibilità elettrica, pH) e la sua usabilità. Quando un’acqua non ha naturalmente tutti i requisiti di potabilità, può essere “potabilizzata” tramite opportuni trattamenti (sedimentazione, filtrazione, aerazione, disinfezione con cloro, con ozono o tramite radiazioni ionizzanti ecc.), che correggono i caratteri anomali. La disinfezione con cloro viene praticata spesso, perché questa sostanza, persistendo nell’acqua, ne garantisce la “purezza batteriologica” anche in caso di microcontaminazioni che dovessero avvenire lungo la rete dell’acquedotto. Il cloro può alterare le caratteristiche organolettiche dell’acqua (odore e sapore sgradevoli) e, in alcuni casi, dar luogo alla formazione di composti con un discreto grado di tossicità. FONTI DI APPROVVIGIONAMENTO Le principali fonti di approvvigionamento sono le acque sotterranee e quelle superficiali. Le prime si dividono in acque di falda (superficiale o freatica e profonda) e di vene idriche. L’acqua di falda freatica è meno protetta dagli inquinamenti, perché l’acqua che vi si raccoglie ha attraversato un solo strato filtrante di terra. L’acqua di falda profonda dà maggiori garanzie ed è generalmente tanto più pura e protetta quanto più è profonda.

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Le vene idriche si formano quando l’acqua deve attraversare terreni costituiti da rocce compatte. Tranne che nel caso dei fenomeni carsici, in tale situazione si realizza una buona filtrazione e depurazione delle acque. Si deve inoltre tener conto che le vene idriche offrono ottime garanzie di purezza anche perché si trovano in zone montuose, che sono poco antropizzate. Le acque superficiali (fiumi, laghi, invasi artificiali) sono poco protette dall’inquinamento e hanno caratteristiche molto variabili. Per tali motivi subiscono sempre un trattamento di “potabilizzazione”. La legge stabilisce che un’acqua superficiale - per essere destinata ad uso potabile (tramite opportuni trattamenti) - deve preliminarmente avere determinati requisiti. FONTI DI INQUINAMENTO Le principali fonti di inquinamento idrico sono: - liquami domestici: determinano un inquinamento soprattutto microbico, organico (ammoniaca, nitriti, nitrati) e da tensioattivi; - scarichi industriali: gli inquinanti sversati possono essere i più vari (metalli, derivati del petrolio, sostanze organiche ecc.); - attività agricole: possono determinare una contaminazione da nitrati, fosfati, pesticidi (diserbanti, insetticidi ecc.); - allevamenti zootecnici: causano un inquinamento microbico e organico; - discariche di rifiuti: possono provocare la presenza di numerosi e vari inquinanti (sostanze organiche, metalli ecc.). NORMATIVA La normativa sulle acque è in continua evoluzione, per tale motivo consigliamo di consultare la relativa voce nelle “Leggi italiane nel testo vigente” oppure una banca dati on-line (vedi Appendice). Qui diamo solo alcune indicazioni sulla divisione delle competenze: Le competenze sono così divise: - Stato: determina le direttive generali per la razionale utilizzazione delle risorse idriche, fissa i valori di accettabilità delle acque potabili, le metodologie di analisi, le norme tecniche per i pozzi, per gli acquedotti, per la potabilizzazione, determina i limiti di accettabilità degli scarichi inquinanti; - Regione: adotta i piani di risanamento della qualità delle acque, individua le aree di salvaguardia e disciplina le attività in esse consentite, si sostituisce agli enti locali - in caso di inerzia - per la salvaguardia delle risorse idriche, elabora, adotta e attua i piani dei bacini idrografici di rilievo regionale e il piano generale degli acquedotti, definisce gli ambiti territoriali ottimali (a.t.o.) dei Servizi Idrici Integrati; - Provincia: organizza il Sistema Idrico Integrato e lo gestisce in forma cooperativa, rilascia l’autorizzazione agli scarichi non in fognatura; - Comune: organizza, in collaborazione con la Provincia, il Sistema Idrico Integrato; autorizza gli scarichi in fognatura. LA SITUAZIONE DI NAPOLI L’acquedotto di Napoli è alimentato per circa il 65% da acque di Cassino e di Venafro (acquedotto della Campania occidentale), per circa il 30% da acque provenienti dai Monti Picentini (acquedotto del Serino) e per circa il 5% dalla falda di Lufrano. Questa importante falda era una delle principali fonti di approvvigionamento di Napoli, contribuendo per circa il 40% ai suoi fabbisogni: oggi una

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parte dei pozzi di captazione è stata messa fuori uso perché l’acqua captata presenta preoccupanti segni di inquinamento. Sull’area corrispondente al bacino del Lufrano risiede circa mezzo milione di abitanti, sono presenti industrie e campi coltivati intensivamente e un gran numero di case, pozzi e scarichi abusivi. ALCUNI DATI: - Consumi di acqua potabile (litri/giorno) in alcuni Paesi europei (2006): Italia 286, Francia 183,

Gran Bretagna 154, Germania 126 (Water Resours Manage). - Consumo pro capite di acqua in bottiglia Italia e nella UE (anno 2006): 200 Italia, 100 Europa

(Beverfood annuario acque minerali). - Percentuale di italiani servita da acquedotti (2005): 98% (ISTAT). - Percentuale di famiglie di varie regioni italiane che non bevono acqua del rubinetto perché non si

fidano (2001): 44.7% Italia, Sardegna 80%, Sicilia 64%, Toscana 63%, Umbria 59%, Calabria 55%, Emilia Romagna 49%, Lombardia 48%, Marche 45%, Puglia 45%, Liguria 43%, Piemonte 41%, Campania 39%, Veneto 36%, Molise 36%, Abruzzo 33%, Lazio 25%, Friuli V.G. 24%, Basilicata 26.3%, Valle D’Aosta 20%, Trentino Alto Adige 9%, %, (ISTAT).

- Perdita d’acqua nelle reti di distribuzione in alcuni Paesi europei (2006): Italia 29%, Francia 26%, Gran Bretagna 19%, Germania 7% (Water Resours Manage).

- Perdita d’acqua nelle reti di distribuzione in alcune cittá italiane (2004): Roma 45%, Napoli 30%, Bologna 23%, Milano 19% (Istituto Ambiente Italia).

- Percentuale della popolazione servita da fognature in alcuni Paesi europei (2006): Italia 84%, Francia 95%, Gran Bretagna 96%, Germania 95% (Water Resours Manage).

- Percentuale della popolazione servita da depuratori fognari in alcuni Paesi europei (2006): Italia 73%, Francia 79%, Gran Bretagna 93%, Germania 93% (Water Resours Manage).

- Percentuale dei corsi d’acqua di qualità inferiore a “buono” in alcuni Paesi europei (2006): Italia 63%, Francia 52%, Gran Bretagna 32%, Germania 38% (Water Resours Manage).

- Disponibilitá di acqua potabile (litri/abitante al giorno) per usi domestici in alcuni Paesi (2006): Australia 935, USA 594, Italia 378, Francia 287, Russia 269, Germania 278, Regno Unito 183, Cina 73, Pakistan 58, Bangladesh 45 (Water Resours Manage)

- Tempo medio di ricambio delle acque di falda profonda: 1.400 anni (Worldwatch Institute). - Riduzione del consumo di pesticidi in Svezia dopo 6 anni dall’introduzione di una tassa dell’8%:

65% (Worldwatch Institute). - Ripartizione delle acque sulla Terra (1.400 milioni di miliardi di mc): oceani 97.5%, acque dolci

2.5%, di cui 74% ghiacci polari e ghiacciai, 15% acque sotterranee oltre i 750 m, 10% acque sotterranee a meno di 750 m, 1% acque di superficie, di cui 71% laghi, 14% umidità del terreno, 8% umidità atmosferica, 7% fiumi (World Resource Institute).

- Persone che nel mondo non hanno accesso all'acqua potabile: 1,6 miliardi (FAO). - Fatturato (indotto compreso) dell'industria italiana dei servizi idrici: 4,13 miliardi di euro

(Legambiente). - Utilizzazione percentuale delle risorse idriche in Italia (2005): usi agricoli 50%, usi industriali

20%, usi civili 20%, energia 10 (Ministero dell`Ambiente). - Tariffa media dell´acqua potabile in alcune città europee in euro/mc (2002): Marsiglia 1,9; Berlino

1,8; Bruxelles 1,4; Zurigo 0,8; Helsinki 0,8; Roma 0,3; media europea 1,1; media italiana 0,5 (Federgasacqua).

- Tariffa media del servizio idrico integrato in alcune città europee (2002): Berlino 4,2; Marsiglia 2,7; Zurigo 3,0; Bruxelles 1,9; Helsinki 1,8, Roma 0,6; media europea 2,1; media italiana 0,8 (Federgasacqua).

- Consumi mondiali di acqua in vari anni: anno 1900 500 Kmc, anno 1950 1.000 Kmc, anno 1980 3.000 Kmc, anno 1990 4.000 kmc (Worldwatch Institute).

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- Tonnellate d’acqua necessarie per produrre una tonnellata di alcuni prodotti: acciaio 10-250, alluminio 10-300, carta 30-300, benzina 2-45, grano 400, granturco 2.500, fagioli 13 sorgo 100, carne 5000 (G. Nebbia).

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CONSIGLI BIBLIOGRAFICI - Leone U.: L’acqua. Una quotidiana rappresentazione, CUEN, Napoli, 1996. - Leone U.: L’ambiente in Campania un ecosistema complesso, CUEN, Napoli 2001. - Istituto di Ricerche Ambiente Italia: Ambiente Italia 1998: rapporto sullo stato del paese e analisi

del ciclo delle acque, Edizioni Ambiente, Milano, 1998. - Moretuzzo M., Tosolini A., Zoletto D.: L'acqua come cittadinanza attiva”, EMI, 2003. - Moretuzzo M., Tosolini A., Zoletto D.: Acqua fonte di democrazia” EMI, 2004. - Educare alla cittadinanza attiva: Guida metodologica, EMI. - Altamore G: Acqua S.p.A. Dall'oro nero all'oro blu, Mondadori, 2006. - Sjolander Holland A.C.: Il business dell'acqua. Compagnie e multinazionali contro la gente, Jaca

Book, 2006. - Petrella R.: Il manifesto dell’acqua, Gruppo Abele, Torino, 2001. - Sorcinelli P.: Storia sociale dell’acqua, Mondadori, Milano, 1998. - Russo Krauss P., Castagna P.: Educare alla difesa dell’ambiente, Gruppo Abele, Torino, 1993.

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CASA DA PAZZI

Nella palazzina di fronte, al terzo piano, abitava la famiglia De Ricchis, formata dalla professoressa Nordi, docente di Economia presso la locale università, dall’ingegnere De Ricchis, il marito, e da quattro figli. Negli ultimi tempi i De Ricchis hanno iniziato a comportarsi in maniera, diciamo così, “anomala”. La madre, che ha cospicue entrate finanziarie, ha iniziato ad acquistare prodotti d’ogni sorta, elettrodomestici spesso inutili e ingombranti, come il lavafaccia elettrico e il letto termico a contropressione bilanciata, elettrodomestici che nel giro di pochi mesi si guastano e, non essendoci nessuno capace di ripararli, sono sostituiti da nuovi apparecchi, più sofisticati ma più fragili. Il padre, che ha la mania dell’igiene, è un fanatico dei prodotti “usa e getta” (lenzuola, asciugamani, calzini, biancheria intima tovaglie e tovaglioli in cartacotone, telefonini a perdere ecc.) di cui non sa più fare a meno. I figli sono, come si dice, “tutti i genitori”: televisore tridimensionale, zaini con schienale termico automassaggiante, scarpe a perdere in morbidissima cuoioplastica ecc. Fino ad un anno fa la famiglia De Ricchis gettava nel cassonetto dei rifiuti circa 10 sacchetti della spazzatura al giorno ed un’ingombrante apparecchiatura alla settimana. Il Servizio Rimozione Rifiuti, in quell’epoca, segnalò al condominio che la rimozione dei rifiuti ingombranti “deve rivestire carattere di eccezionalità”, per cui sarebbe avvenuta, su richiesta dell’utente, al massimo una volta ogni tre mesi. La riunione di condominio, che si tenne il giorno dopo, fu “rovente”: l’inquilino che abita sotto i De Ricchis protestava per delle strane vibrazioni che avvertiva di notte (probabilmente era il letto a contropressione bilanciata) e per i rumori d’ogni tipo che provenivano dall’appartamento sovrastante; altri segnalavano l’incremento degli insetti (api, vespe, moscerini) dovuto, si scoprì, alle camicie in cartapetalo profumato; tutti protestavano per i frequenti black-out dell’energia elettrica e la bassa pressione dell’acqua alla mattina. La famiglia De Ricchis, urtata per tanta acredine, rispose che per soddisfare le proprie esigenze si sarebbe attrezzata con un piccolo generatore elettrico e con un serbatoio per l’acqua e che avrebbe pensato personalmente allo smaltimento dei propri rifiuti. La cosa era più facile a dirsi che a farsi. Ogni sera portare i sacchetti, ora nel cassonetto del parco pubblico, ora in qualche altro che non fosse troppo pieno, era una vera seccatura e così pure andare da un anziano fabbro disposto ad accettare le apparecchiature metalliche. E’ accaduto così che una sera, piovosa e piena di vento, si è rimandato tutto al giorno dopo e si sono accumulati i rifiuti - momentaneamente – nello “sgabuzzino termorefrigerato”. Nel giro di qualche settimana accumulare i sacchetti e le apparecchiature guaste nello sgabuzzino è diventata un’abitudine e, dopo qualche altra settimana, anche in un angolo dello studio e del soggiorno. Ma lo studio e il soggiorno non solo non sono termorefrigerati, ma addirittura riscaldati a 26° C (i De Ricchis d’inverno hanno il riscaldamento a 26° C, mentre in estate regolano il termostato dell’aria condizionata a 15° C): così i vestiti usa e getta in pescaseta e pescalana, tanto soffici, vellutati e lievemente profumati, una volta finiti nei sacchetti della spazzatura, mischiati ad altre strane sostanze, si trasformano in soli due giorni in una poltiglia che emana un odore acido e particolare, che è diventato l’odore di casa De Ricchis e che attira un gran numero di moscerini. I figli più grandi hanno preso allora l’abitudine di studiare in cucina; i più piccoli, che passavano gran parte della giornata nel soggiorno, ora stanno sempre nel bagno, suscitando le proteste di tutti gli altri componenti della famiglia, che non lo trovano mai libero quando occorre. Ma non sono questi i soli problemi dei De Ricchis: il rumore continuo del generatore elettrico, infatti, li rende tutti nevrotici e, unito a quello dell’acqua che di notte riempie il serbatoio, rende difficile il sonno anche sull’ultimo modello di materasso a contropressione con campo magnetico ipnoinducente; né si sono sopite le liti con i vicini, che ora protestano per il fumo nero del generatore elettrico, il rumore, l’odore acido e i moscerini. L’altro giorno la situazione è precipitata: il padre, per sterminare una nuvola di moscerini che dal soggiorno era migrata in cucina, ha diretto il getto dell’insetticida sul fornello acceso. Per fortuna la

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bombola non è scoppiata, ma si è verificato un “effetto lanciafiamme” con una catena di conseguenze imprevedibili. Il vetroplastica del coprifornello si è fuso, colando sulla pentola a pressione, che bolliva a più non posso; la valvola principale si è occlusa, mentre la valvola di sicurezza è saltata in aria e dal suo ampio foro è iniziata un’eruzione potente del passato di aspa-ragi. In pochi minuti tutta la cucina, l’ingegnere De Ricchis, il figlio maggiore con gli appunti della sua tesi di laurea e l’altro figlio, che stava tagliando il pane con un coltello elettrico, e quant’altro c’era sono diventati di un brillante colore verde; non solo, il passato di asparagi, coprendo il tagliapane elettrico, ha determinato un corto circuito nell’intero impianto, che ha imprigionato i figli minori nel bagno (i De Ricchis da poco avevano sostituito le vecchie maniglie con aperture elettroniche a cellula fotoelettrica). Insomma, per farla breve, sono dovuti intervenire i Vigili del Fuoco, che hanno sfondato la porta d’ingresso in metalloresina tra i sorrisetti compiaciuti e divertiti e le frasi di circostanza dei vicini, liberando finalmente i prigionieri accaldati e verdi, e non solo di passato d’asparagi.

L’IMPRONTA ECOLOGICA Oggi si parla molto di “sviluppo sostenibile”, ma che cosa si intende con questo termine? Se vi caricate uno zaino di 5 chili sulle spalle, sicuramente riuscirete a portarlo senza particolari problemi. Ma se vi caricate di uno zaino di 100 chili esso vi farà cadere per terra e vi procurerà seri danni alla colonna vertebrale. Uno zaino di 100 chili è infatti insostenibile per il vostro corpo. Qualcosa di simile si vuole esprimere con “sviluppo sostenibile”: uno sviluppo sociale che non alteri gli equilibri su cui si basa l’ecosistema Terra. Ma come si stabilisce qual è lo sviluppo sostenibile e quello insostenibile? Molti scienziati si sono posti questo problema, cercando anche di trovare un metodo per misurare il peso della società umana sull’ecosistema Terra. Un’equipe guidata da due scienziati americani, Wackernagel e Rees, ha ideato un metodo che sta riscuotendo grande interesse. Il ragionamento che sta alla base del loro metodo è questo: una società sostenibile è quella che in un dato tempo preleva un quantitativo di risorse rinnovabili (vegetali, animali ecc.) pari o minore di quello che la natura è capace di riprodurre nello stesso tempo e che immette nell’ambiente un quantitativo di rifiuti (solidi, liquidi e gassosi) pari o minore di quello che la natura è capace di depurare. Le risorse che la nostra società preleva dalla natura e i rifiuti che vengono immessi possono essere espressi in superficie necessaria per produrli e per depurarli. Infatti un ecosistema (per esempio una foresta o un campo agricolo o un pascolo) produce un determinato quantitativo di risorse (per esempio legno o prodotti agricoli o Kg di carne) per ettaro all’anno. Lo stesso si può dire per la depurazione: un ettaro di bosco in un anno può depurare non più di un certo quantitativo di anidride carbonica e un chilometro cubico di mare può depurare non più di un determinato quantitativo di inquinanti. Su queste basi gli scienziati hanno calcolato 1’“impronta ecologica”, cioè la superficie che occorre per produrre le risorse e depurare gli inquinanti di una comunità (ad esempio la comunità umana mondiale), di singole persone o di particolari processi produttivi (per esempio l’impronta ecologica della coltivazione in serra rispetto a quella in piena terra). Da questi studi risulta che ogni abitante della Terra in media consuma risorse e produce rifiuti pari alla capacità produttiva e depurativa di 2,3 ettari. Ora il problema da porsi è: il nostro pianeta ha 2,3 ettari di ecosistemi produttivi e depurativi per ognuno dei suoi 7 miliardi di abitanti? Se si escludono le superfici del nostro pianeta che non hanno capacità produttiva e depurativa (calotte polari, deserti ecc.), se si considera che oltre all’uomo sul nostro pianeta esistono anche altri esseri viventi che prelevano risorse e producono rifiuti (anche se in quantità minima rispetto all’uomo) e se facciamo una media tra regioni più e meno produttive e depurative, risulta che ogni abitante della Terra dispone solo di 1,8 ettari. Quindi abbiamo già superato il limite di sostenibilità del nostro pianeta: infatti le risorse vanno assottigliandosi, mentre i rifiuti, non depurati, si accumulano nell’aria, nell’acqua e nel suolo.

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Altri scienziati hanno calcolato l’impronta ecologica di 150 nazioni ricavando dati sconcertanti: l’impronta ecologica degli statunitensi è di 12,2 ettari, quella dei tedeschi di 6,3 ettari, degli olandesi di 6 ettari, degli italiani di 5,5 ettari, dei cinesi di 1,4 ettari, degli indiani di 1 ettaro, degli eritrei di 0,3 ettari. C’è dunque chi pesa troppo sulla nostra Terra. Costoro dovrebbe consumare e inquinare meno, per non compromettere la vita di tutti, anche di chi ha un peso del tutto sostenibile, E tu che impronta ecologica hai? Volendo puoi calcolare la tua impronta ecologica o quella della tua famiglia, per controllare se anche tu, senza saperlo, stai pregiudicando gli equilibri del nostro pianeta, quegli equilibri che rendono possibile la nostra vita e quella delle future generazioni. Devi solo indicare i tuoi consumi annuali e moltiplicarli per i fattori di conversione in superficie produttiva/depurativa e poi calcolare la somma25. 25 Sul sito www.giardinodimarco.it è presente un software per effettuare automaticamente il calcolo dell’impronta ecologica.

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IL CONSUMISMO26 In una prima fase (fino all’inizio di questo secolo), il sistema economico dominante nei paesi occidentali (il capitalismo) considerava sia la gente del Nord che la gente del Sud del mondo come lavoro da sfruttare. All’epoca, né gli uni né gli altri interessavano come consumatori. A cambiare il corso delle cose e a dividere la sorte della gente del Nord da quella del Sud fu il progresso tecnologico. Nel Nord l’introduzione di macchine sempre più veloci aumentava la resa del lavoro (produttività) e molta merce rimaneva invenduta, perché non c’erano tanti consumatori che comprassero tutte le merci prodotte. Ad un periodo di sviluppo economico seguiva così un periodo di crisi (recessione), con aumento della disoccupazione. Per superare questo limite allo sviluppo del capitalismo, furono aumentati i salari dei lavoratori, come da anni i sindacati chiedevano. Da quando i lavoratori guadagnano di più, il problema del sistema economico è diventato un altro: come indurli a spendere tutto quello che guadagnano, in modo da smaltire tutta la produzione. Così è nato il consumismo. Convincere la gente a consumare oltre il necessario, sia come quantità che come qualità; farci super-alimentare, super-pulire, super-viaggiare, super-vestire, questo è il primo aspetto del consumismo. Tutto è buono per ottenere lo scopo. Perfino le ricorrenze care all’uomo, perché cariche di valore umano e religioso, sono state trasformate in motivi di consumo: battesimo, prima comunione, matrimonio, Befana, Carnevale, Natale, Pasqua. Non sono stati lasciati in pace nemmeno gli innamorati, il babbo e la mamma, creando giorni particolari nei quali regalare scatole di cioccolatini o altro. Va bene ingrassare, va bene farsi belli, va bene lucidare la casa, ma se tutto si limitasse a far aumentare i consumi tradizionali, il sistema non avrebbe grandi possibilità di espansione. Bisogna inventare qualcos’altro, che inviti la gente a pedalare più forte sulla via del consumismo. Le idee non tardano ad arrivare. Due in particolare sono geniali: 1) creare nella gente nuovi bisogni, sempre di più; 2) indurla a rinnovare di continuo ciò che possiede. I mezzi sono la pubblicità, la moda e la scarsa durata dei nuovi prodotti. Si fabbricano prodotti che subito si deteriorano, che non possono essere riparati, si inventano i prodotti usa-e-getta, si fanno diventare “vecchie” macchine ancora pienamente funzionanti. Quest’ultima invenzione si chiama “obsolescenza”. Il giradischi funziona ancora benissimo, il suono è ad alta fedeltà, in vari anni ci si è fatti una discreta raccolta di dischi, ma da un giorno all’altro tutto è diventato “vecchio”. Gli industriali hanno messo sul mercato il compact disk con lettore laser e non vendono più i vecchi dischi e i giradischi. Talvolta l’obsolescenza è “pianificata”: si inventano contemporaneamente due o più nuovi prodotti e si decide di lanciare sul mercato prima quello più scadente, che sarà sostituito dopo alcuni anni da quello migliore. Il diverso atteggiamento del capitalismo nel Nord e nel Sud ha condotto ad un enorme squilibrio planetario, sia dal punto di vista produttivo che dei consumi. Il Nord (dove abita solo il 20% della popolazione mondiale) consuma più dei due terzi della produzione mondiale di metalli, legname ed energia e mangia il 60% di tutto il cibo prodotto sul pianeta. Gran parte di queste risorse proviene dal Sud del mondo. Per esempio, l’84% dello stagno, il 60% del cromo e del petrolio, il 50% del rame, del ferro e della bauxite provengono dal Sud del mondo. Ma parlare di produzione e consumo, come fa l’economia, è improprio. Le risorse non sono “prodotte”, ma solo “prelevate” e “trasformate”. I prodotti non vengono “consumati”, ma solo ridotti in rifiuti. Ecco allora che le risorse si riducono sempre di più. Se tutti i cittadini del mondo consumassero come quelli degli USA, le riserve di petrolio si esaurirebbero in 6 anni, anziché in 40. Allo stesso

26 Da “Nord Sud: predatori, predati e opportunisti” e “Economia: conoscere per scegliere” di Franco Gesualdi, modificati e integrati.

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tempo i rifiuti aumentano sempre più. Ogni statunitense produce circa 700 Kg di rifiuti all’anno, quasi il doppio di quelli prodotti dagli italiani. Così, se la produzione e i profitti aumentano in modo esponenziale, anche la riduzione delle risorse e l’aumento dei rifiuti crescono in modo esponenziale. Dal dopoguerra ad oggi il consumo di metalli è aumentato di 10 volte.

SEMBRAVA SOLO UNA PICCOLA MACCHIA VERDASTRA Il primo giugno del 1993 uno sconsiderato gettò nel laghetto, limpido e pulito, su cui si affaccia la casa della famiglia Rossi, una minuscola pianta acquatica infestante, che ogni giorno raddoppia in quantità. Nei primi venti giorni nessuno si accorse di niente: le acque del lago erano limpide come sempre, anche se la piccola pianta ogni giorno continuava a moltiplicarsi al suo ritmo esponenziale. Il 21 giugno il figlio del Sig. Rossi notò di sfuggita una piccola macchia verde marcio in un angolo del laghetto (la macchia era grande esattamente 1/512 della superficie): troppo piccola per soffermarsi più di un attimo. Il 25 giugno tutti i componenti della famiglia avevano notato la macchia, che ora copriva 1/32 della superficie del lago. Certo non era bella a vedersi, ma non sembrava destare problemi. Partirono tranquilli per il fine settimana. Alloro ritorno (era il 28 giugno) non credevano ai loro occhi: la macchia verdastra ricopriva un quarto della superficie del laghetto. Non sapevano chi chiamare. Alla fine decisero di far analizzare il laghetto da un chimico e da un biologo. Il giorno dopo vennero gli esperti per analizzare il laghetto, che per metà era coperto da una macchia verdastra. Sospettarono la presenza di una pianta infestante; dissero che avrebbero dovuto essere chiamati prima; fecero dei prelievi d’acqua e se ne andarono storcendo la bocca. I risultati delle analisi arrivarono il primo luglio, ma già dal giorno prima l’intero lago era coperto dalla macchia verdastra.

DA UN GIORNALE IMMAGINARIO: INTERVISTA ALLA PROF. MANCUSO27 Lei insegna psicologia all’Università di Palo Alto, ma si occupa anche di problemi ambientali, come mai? Mi sono occupata in particolare del rapporto uomo-natura proprio perché ho notato da una parte una crescente tendenza alla rimozione/negazione del problema ambientale (che insorge in molti come meccanismo di difesa di fronte ad un’idea di pericolo che è tuttavia inconsciamente presente) e dall’altra la tendenza a parlarne o a raccogliere continuamente dati, con atteggiamenti che valgono solo ad esorcizzare il problema, alimentando l’illusione di tenerlo sotto controllo. Si persiste così nel ritenere che sia possibile migliorare la composizione dell’aria pur continuando a mettere in circolazione migliaia di altre automobili, che ci sia sempre ossigeno disponibile e che si possa controllare l’effetto serra pur continuando a bruciare e ad abbattere gli alberi delle foreste ... e potrei citare un’infinità di esempi simili. Secondo lei a quali concezioni e a quali abitudini si può far risalire un simile atteggiamento della gente? Considero indispensabile il superamento di quei meccanismi individuali e collettivi che permettono illusori ottimismi delle fantasie inconsce, che fanno considerare il pianeta immenso e capace, nella sua immensità, di purificare, di smaltire, di eliminare i nostri rifiuti. E’ assurdo che persone adulte,

27 Da “Gruppo Ambiente FNISM: I rifiuti: un problema di tutti. Gioco di ruolo sullo smaltimento dei rifiuti, Gruppo Abele, Torino, 1993” modificato.

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superinformate e ipertecnicizzate, non ammettano l’intossicazione provocata dai popoli che producono e consumano troppo (mentre milioni di persone muoiono ancora di fame), identificando la proliferazione della produzione e del consumo forsennato con lo “sviluppo” ed il “benessere”. Ciò che la nostra tecnologia produce per un periodo brevissimo di fruizione, ben presto diventa rifiuto e, per quanto lo si sotterri o lo si tratti, da qualche parte deve pur finire, creando gravi danni ai cicli biogeochimici della natura. Allora il comportamento della maggior parte di noi sembra non essere quello di persone mature? Infatti, tutto questo sembra riprodurre l’atteggiamento del bambino che considera come “mondo suo” il micromondo in cui vive, mentre il resto è un vago spazio, infinito ed estraneo. Ciò che sta fuori (popoli ed altre regioni del mondo o la strada in cui l’automobilista butta carta e mozziconi di sigaretta dall’auto incorsa) non interessa e serve per offrirci opportunità di credere di esserci liberati per sempre dalle sostanze indesiderate. Ciò che non si vede più, come per il bambino, non esiste. Le meraviglie della tecnica alimentano nell’uomo il suo senso di onnipotenza. La bacchetta magica delle favole o la lampada di Aladino trovano il corrispondente nel bambino che crede che i genitori possano appagare qualsiasi suo desiderio, ed hanno la traduzione adulta nei comandi elettronici, pigiando i quali si ottengono tutti gli effetti voluti. Pensa che possa esserci rimedio? Credo che solo l’impegno personale, anche piccolo, ma attento, quotidiano, possa riportarci ad una serenità di fondo, alla riconquista di un’armoniosa convivenza col “fuori di noi” che ci appartiene ed a cui apparteniamo. Chiedere al sistema produttivo di produrre in modo diverso, rifiutando gli eccessi, diminuendo i consumi personali; selezionare i nostri scarti domestici: questo può farci vivere in modo meno conflittuale col nostro io profondo e con gli altri.

VISIONE DELLA RICICLOMANIA DA PARTE DI UN ABITANTE DELLO SHRI LANKA28

Riduci! Riusa! Ricicla! Il messaggio colpisce i consumatori canadesi attraverso tutti i media, compresa la posta. “Non usare tutte quelle buste di plastica! Non avvolgere frutta e verdura in pellicole plastificate!” ‘Compra roba sfusa!”. Noi che veniamo dallo Shri Lanka proviamo a confrontare la situazione con quella del luogo da cui siamo partiti. Forse noi non siamo i cittadini più attenti all’ambiente, ma in confronto a ciò che vediamo qui, non abbiamo problemi di immondizie. Per andare a fare la spesa, mio marito ed io, come la maggior parte della gente, abbiamo un cesto di vimini. Nessun ambientalista troverebbe da ridire su quel cesto. Ho sempre amato quel cesto, come non potrei mai amare una busta di plastica. L’ha amato anche il mio gatto ed ho dovuto dissuaderlo dall’andarci a dormire dentro. Avreste bisogno anche voi, in Canada, di un bel cesto robusto. Nello Shri Lanka non ci cono carrelli da supermarket da spingere. Tutte le merci - riso, farina, lenticchie, verdure, frutta, uova - si acquistano sciolte o avvolte in carta di giornale. Se vuoi una borsa di plastica, la devi pagare. Per le uova, al massimo ci portiamo un contenitore usato. Il tetrapack inquinante, con uno strato di alluminio interno, uno strato di plastica fuori e del cartone in mezzo, in Shri Lanka non è ancora comparso. La Coca Cola e la Sprite stanno vincendo anche

28 Da “Gruppo Ambiente FNISM: I rifiuti: un problema di tutti. Gioco di ruolo sullo smaltimento dei rifiuti, Gruppo Abele, Torino, 1993” modificato.

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nel nostro paese la concorrenza con le piccole industrie di bevande leggere locali, ma le bottiglie di vetro riusabili sono ancora la norma. Quando si guadagna poco, la gente deve comprare in piccole quantità. Da noi è normale chiedere due uova e 100 grammi di zucchero presso le innumerevoli bancarelle che si incontrano ad ogni angolo di strada. Il fatto vero è che, per lo più, la classe media dei consumatori urbani dello Shri Lanka non può permettersi il lusso dello spreco. La gente non compra più di quanto sa che consumerà realmente. Si riusa tutto ciò che si può e c’è riluttanza a buttare via borse, barattoli o scatole che possano ancora essere adibite a un qualche uso. I giardini sono ancora fertilizzati con letame o con concime di foglie secche. Nello Shri Lanka non ci sono contenitori per la raccolta differenziata. Tutti però conservano i giornali che saranno poi acquistati “dall’uomo della carta”, un’istituzione vecchia come i giornali stessi. L’uomo della carta vi disturba la domenica pomeriggio con l’incomprensibile lamento che significa “Carta! Bottiglie!” e che egli va gridando mentre percorre le strade. Le 50, 100 rupie che si ricavano dalla vendita di carta e bottiglie sono sufficienti per partecipare a questo commercio. L’uomo della carta venderà ciò che ha acquistato ai commercianti all’ingrosso o direttamente ai negozi. Sia ben chiaro anche a Colombo c’è il problema dei rifiuti. Ma credo che questo dipenda più dall’inefficienza dell’amministrazione che dal volume di immondizia. Negli ultimi tempi la situazione sta cambiando: si sono aperti alcuni supermercati, la pubblicità invita a comprare cose inutili, sono comparsi prodotti importati, avvolti in vari strati di imballaggi colorati. Così come è accaduto in altri paesi, lo Shri Lanka sta importando un problema che prima non esisteva.

ANCHE IL MARE HA DEI LIMITI Il mare sembra senza limite, si spinge oltre l’orizzonte e sembra privo di fondo. Forse per questo si è ritenuto a lungo che esso disponesse di una capacità quasi infinita di assorbire rifiuti e di offrirci risorse. Purtroppo ciò non è vero. Vaste zone di mare sono oggi gravemente inquinate, con enormi danni all’ambiente e all’uomo. Il Baltico ed il Mediterraneo, per esempio, sono tra i mari più inquinati del mondo. I rifiuti provenienti dalle industrie, dalle aziende agricole e dalle abitazioni hanno trasformato 100.000 Kmq del Mare Baltico in un deserto ecologico che, al disotto degli 80 metri di profondità, è privo di qualsiasi forma di vita. I tre quarti degli inquinanti industriali immessi nel Mare Mediterraneo sono sversati dai Paesi della costa Nord, mentre la quasi totalità delle città della costa Sud sversa i propri liquami senza alcun trattamento. Ogni anno vengono scaricate 800.000 t di azoto, 320.000 t di fosforo, 120.000 t di petrolio, 60.000 t di detergenti, 12.000 t di fenoli, 3.800 t di piombo, 100 t di mercurio. Un altro problema è quello dell’eccessivo prelievo di risorse ittiche. Il quantitativo pescato ogni anno ha superato quello che la FAO considera il limite massimo accettabile, causando la diminuzione di molte specie di pesci. Nell’Atlantico settentrionale, ad esempio, l’eccessiva pesca dell’aringa ne ha quasi provocato l’estinzione e sono seriamente diminuite anche le riserve atlantiche di merluzzo. Talvolta la riduzione di una specie innesta tutta una catena di conseguenze: i norvegesi, ad esempio, hanno pescato così grandi quantità di cappellani - un genere di sardina utilizzato come mangime e nella fabbricazione di grassi - che i merluzzi, non trovando cappellani, sono ormai costretti a cibarsi della propria prole. Inoltre, in mancanza di merluzzi e cappellani, centinaia di foche affamate hanno invaso le coste della Norvegia alla ricerca di cibo, impoverendo ulteriormente le riserve di pesce e distruggendo gli allevamenti di salmoni. Nel febbraio 1987, in Norvegia, 60.000 foche si sono impigliate e sono annegate accidentalmente nelle reti da pesca.

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L’iniziale scarsità di pesce ha determinato un circolo vizioso: vengono usate reti sempre più grandi (un nuovo tipo islandese è così grande da poter intrappolare 12 Boeing 747) e a maglie sempre più fitte; per individuare i banchi di pesce si utilizzano sonar ed altre sofisticate tecnologie. Tutte queste attrezzature richiedono grandi investimenti in denaro, coperti generalmente da prestiti o da sovvenzioni statali, che possono essere ripagati solo se il quantitativo del pesce pescato è molto alto. Le conclusioni sono paradossali e drammatiche: ogni anno si spendono 124 miliardi di dollari per pescare solamente 70 miliardi di dollari di pesce; il pesce diminuisce ancor più perché le nuove reti catturano anche i pesci giovani e distruggono l’habitat; i pescatori che usano metodi tradizionali (come quelli del terzo mondo) pescano sempre meno pesce e trovano difficoltà a piazzarlo sul mercato. E’ sui paesi poveri, infatti, che ricadono le conseguenze negative di questa situazione. Nelle città e nei villaggi costieri dell’India, dell’Estremo Oriente, dell’Africa, il pesce è il principale alimento proteico di milioni di poveri. Da quando però i battelli da pesca più perfezionati, di proprietà di grandi imprenditori o multinazionali, fanno incetta di pesci e molluschi per venderli sul mercato internazionale, il pesce sta diventando sempre più scarso e più caro, aumentando la povertà e la fame. Un ulteriore problema è la cattura dei pesci esotici destinati all’industria mondiale degli acquari: essi sono catturati spruzzando cianuro o altri veleni nelle crepe delle scogliere coralline, così che i pesci, tramortiti, escono, ma per ogni pesciolino catturato muoiono larve, molluschi, crostacei, coralli ed altri pesci. Un’altra tecnica utilizza bambini, che sono costretti a nuotare colpendo la scogliera con sassi legati a nastri colorati, così da spingere i pesci nella rete. In tale maniera non solo si danneggia la barriera corallina (una società delle Filippine, con circa 2.500 bambini al soldo, ne distrugge 1 Kmq al giorno), ma si mette a repentaglio la vita di questi bambini, che spesso vengono uccisi da squali, barracuda, serpenti di mare velenosi o da malattie. Così, per aumentare le nostre produzioni di maiali o polli (un terzo del pescato mondiale è utilizzato come mangime) oppure per il piacere di avere un acquario tropicale, stiamo impoverendo ancor più i paesi poveri e danneggiando il più grande e complesso ecosistema del nostro pianeta.

L’ESAURIMENTO DELLE RISORSE Siete capaci di immaginare un mondo senza petrolio? Non solo non ci sarebbe più benzina per motociclette, auto e camion, ma la mancanza di petrolio si farebbe sentire in molti altri campi. Avremmo solo metà dell’energia elettrica oggi a disposizione, perché gran parte di questa è prodotta dalla combustione del petrolio nelle centrali elettriche. Non avremmo più nessun tipo di plastica, da quella usata per fare le buste per la spesa o i sacchetti per i rifiuti, alla plastica dura di cui sono fatti in gran parte il computer, il mangianastri, il televisore, il videoregistratore, il cellulare e tanti altri apparecchi e macchinari; ma di plastica sono anche la penna, la squadra, il fermaglio per capelli, i bottoni della camicia, e gran parte dei giochi, nonché, oramai, molte sedie, scrivanie, mobili, lumi. Senza petrolio non vi sarebbero più nemmeno le fibre sintetiche (nailon, raion, poliestere, pile), presenti ormai quasi in ogni capo di vestiario, né vi sarebbero più bitume e asfalto per le strade. Uno scenario da film di fantascienza? No, quello che potrebbe accadere tra 40 anni o poco più. Il petrolio è infatti una materia prima non rinnovabile, finita, destinata quindi - prima o poi - ad esaurirsi. Da quando i paesi industrializzati hanno iniziato ad utilizzarla, le quantità ogni anno prelevate dai pozzi sono aumentate ad un ritmo sempre più vertiginoso: oggi, in media, ogni abitante del pianeta consuma 60 volte più petrolio di quanto ne consumava uno di 100 anni fa e, nel frattempo, la popolazione mondiale è passata da 1 a 7 miliardi. Ma le medie mondiali nascondono enormi diseguaglianze: un americano consuma il doppio del petrolio di un europeo e 24 volte quello di un africano. Se si volessero offrire a tutti gli abitanti del mondo gli stessi modelli di consumo dei cittadini americani, le riserve si esaurirebbero non in 40 anni ma solo in 6 anni.

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LE CITTÀ CONTRO IL TRAFFICO “L’automobile è un buon servo, ma un cattivo padrone”. Così viene sintetizzata la situazione dei trasporti dal Worldwatch Institute, il prestigioso istituto che ogni anno pubblica la relazione sullo stato del mondo. L’automobile doveva migliorare la qualità della vita, favorire la mobilità, i contatti, le relazioni sociali permettendoci di spostarci in breve tempo da un punto all’altro delle nostre città. Invece la qualità della vita è notevolmente peggiorata a causa del rumore continuo e assordante, dell’inquinamento atmosferico, dello stravolgimento che l’automobile ha determinato nelle nostre città. I quartieri storici sono ingombri di auto: tutte le aree disponibili (strade, piazze, cortili e, spesso anche i marciapiedi) sono occupate perennemente da auto. Esaurito lo spazio in superficie si è iniziato a utilizzare quello sottoterra e sopra il suolo (sopraelevate, viadotti, autosilos ecc.). I quartieri di nuova costruzione sono invece costruiti a misura d’auto: strade amplissime, percorse da auto sfreccianti; alti palazzi pressoché privi di negozi, perché al loro posto vi sono i box per le auto; ampi parcheggi vicino ad ogni edificio pubblico, che così risulta totalmente scollegato con le abitazioni. La conclusione è che l’auto si muove bene in tali quartieri, ma gli uomini no, non sanno dove passeggiare e incontrare gli amici e sentono di vivere in una realtà estranea e ostile: una realtà a misura d’auto ma non a misura d’uomo. Ma, a fronte di questo, l’automobile non ha neanche mantenuto la promessa di permetterci di spostarci in breve tempo da un punto all’altro della città e, così, di favorire la mobilità, i contatti, le relazioni sociali. La velocità media delle auto nelle città italiane è di 7 Km all’ora, come quella del tram a cavallo di 100 anni fa. I napoletani passano in media 2 ore ogni giorno chiusi nelle loro auto, quasi sempre da soli, in mezzo al traffico. In tante città i cittadini hanno iniziato a protestare e a chiedere interventi contro lo strapotere delle auto sugli uomini. Molti si sono chiesti se è legale l’appropriazione gratuita della quasi totalità dello spazio pubblico comunale da parte delle automobili, mentre se si vuole occupare anche un solo metro quadro per sistemare una fioriera, un tavolino o una panchina si deve pagare. Perché lo spazio pubblico deve essere tutto a disposizione delle automobili e non dei pedoni? Se gli automobilisti ritengono di avere il diritto di circolare dappertutto e di posteggiare dovunque vi sia spazio, forse i bambini non hanno diritto di correre e giocare, i pedoni di camminare, i cittadini tutti di vivere in un ambiente meno inquinato, meno rumoroso e caotico? Per tali motivi alcune città europee hanno intrapreso una politica di “restituzione” dello spazio urbano ai cittadini: a Parigi è in atto l’abolizione di decine di migliaia di spazi di parcheggio; a Copenhagen sono stati banditi tutti i parcheggi dal centro della città; a Zurigo in tre anni sono stati aboliti 10.000 parcheggi dal centro cittadino; a Ginevra sono state prese misure che rendono proibitivo parcheggiare l’automobile dove si va a lavorare. Sì, perché i parcheggi sono i principali “attrattori” di automobili e, come insegnano gli urbanisti, gli attrattori sono tra le più importanti cause del traffico. Altre città non concedono più licenze commerciali nelle zone già congestionate. Altre ancora hanno attuato complesse strategie per scoraggiare l’uso dell’auto e favorire il mezzo collettivo. Perugia si è dotata di ampi parcheggi alla periferia, da cui partono autobus per il centro. Questo, situato su una ripida collina, è inoltre attraversato da una rete di percorsi pedonali (vie, scale, scale mobili, ascensori). Monaco di Baviera, oltre a costruire parcheggi periferici d’interscambio e ad organizzare un efficace servizio di mezzi pubblici, si è dotata di una ampissima isola pedonale (85.000 mq) e di una fittissima rete di piste ciclabili, scoraggiando l’uso delle auto, costringendole in lunghi percorsi. Le città olandesi sono caratterizzate da un’ampia e fitta rete di piste ciclabili e da “strade vivibili”, le woonerf. Queste sono viali con la carreggiata stretta e con molti alberi e aiuole, a misura di ciclisti e pedoni; gli automobilisti invece le “disdegnano”, perché le auto sono costrette a procedere molto lentamente, lungo le woonerf strette e tortuose.

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Il caso di Zurigo, città di 360.000 abitanti (900.000 con l’hinterland), è particolarmente interessante. Nel 1983 i cittadini hanno rifiutato un progetto di metropolitana e hanno deciso di utilizzare il relativo finanziamento per ristrutturare la rete tranviaria. I tram arrivano così in ogni punto della città, sono puntuali, frequenti (tempo massimo d’attesa 4 minuti), veloci, non inquinanti. Sono stati costruiti parcheggi alla periferia della città e poste limitazioni al traffico automobilistico. In conseguenza di queste scelte, oggi solo l’11% degli spostamenti da e verso il centro avviene in auto, il numero delle auto per abitante è tra i più bassi d’Europa, inferiore anche a quello di Venezia, i “fan dell’auto”, in un recente sondaggio, sono solo il 18% della popolazione. Inoltre i suoi abitanti compiono in un anno il doppio degli spostamenti di quelli di Roma, perché muoversi da una parte all’altra della città non è più un problema.

CHI È RESPONSABILE DELLA DEFORESTAZIONE? Le foreste vanno diminuendo sempre più: rispetto a 2000 anni fa la superficie boschiva si è ridotta del 40%. Ogni anno 11 milioni di ettari di foresta vengono distrutti e 5 milioni di ettari vengono danneggiati. Cosa erode il polmone verde del nostro pianeta? La FAO., l’organismo dell’O.N.U. per l’alimentazione e l’agricoltura, dopo un attento studio è arrivata alle seguenti conclusioni: la principale causa della deforestazione è costituita dagli abitanti dei paesi sottosviluppati, che distruggono la foresta per avere terra da coltivare o per procurarsi legna da ardere. La distruzione della foresta da parte dei piccoli agricoltori contribuisce al 50% della deforestazione totale, mentre ogni anno vengono prelevati 5 milioni di tonnellate di legna da ardere. Minore importanza hanno la vendita di legname o di pasta di legno per le cartiere o la distruzione forestale conseguente allo sfruttamento minerario, all’industria, alle dighe ed alle opere di urbanizzazione (strade, aeroporti ecc.). Ma se ci si ferma a questo livello nell’analisi delle cause della deforestazione, si ha una visione parziale e distorta della realtà. Cerchiamo allora di capire perché gli abitanti del Terzo Mondo bruciano la foresta per avere campi da coltivare. Il motivo principale è l’esistenza di una nuova categoria di persone: i contadini senza terra. Secondo la F.A.O. sono ormai 150 milioni e aumentano sempre più. Alcuni sono ex mezzadri, che coltivavano da generazioni un pezzo di terra, affidato loro da un grande proprietario terriero. Ma da qualche decennio il proprietario non si accontenta più di avere quella parte di prodotti agricoli che il mezzadro può garantire. Ora, con i concimi, i pesticidi, i trattori, è possibile avere molto di più. Il mezzadro, però, non ha certo i soldi per comprarli. Meglio allora mandare via i mezzadri e gestire in proprio la terra, facendola coltivare ai braccianti. Altri, invece, sono contadini che non sono riusciti più a pagare il fitto della terra che coltivavano. Infatti, da una parte i latifondisti hanno aumentato sempre più i fitti, dall’altra i guadagni dei contadini si sono ridotti sempre più. Sia se il contadino coltivava prodotti per il consumo interno (cereali, legumi, verdure locali), sia se produceva per l’esportazione (banane, caffè, tè, cacao, cotone ecc.), o non riesce a vendere la sua merce o la vende sottocosto. Infatti, i prodotti per il consumo interno restano frequentemente invenduti, perché la gente dei paesi sottosviluppati è troppo povera per comprarli e perchè spesso li può ottenere gratis o a bassissimo costo grazie agli aiuti alimentari dei paesi ricchi. Con i prodotti per l’esportazione si guadagna sempre meno, perché il prezzo non è deciso dal contadino, ma dalle grandi aziende multinazionali (Del Monte, Chiquita, Unilever, Dole ecc.), che, controllando l’intero mercato mondiale, offrono poche lire per tali prodotti. Accade così che oggi un contadino che coltiva caffè, tè o cacao guadagna la metà di quanto guadagnava nel 1980. Altri contadini hanno cercato di stare al passo con i tempi, comprando semi migliori, concimi, attrezzi agricoli più moderni. Ma per comprare i semi, il concime, gli attrezzi hanno dovuto chiedere un prestito. Solitamente le banche non concedono prestiti a questi contadini, perché

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temono che non riescano a restituire il debito. I contadini si rivolgono perciò agli usurai o agli stessi latifondisti. Nella maggioranza dei casi i guadagni sperati non si sono realizzati e il contadino, per pagare i debiti, è stato costretto a vendere la terra che coltivava. I governi dei paesi sottosviluppati, invece di affrontare alla radice tale problema - varando una riforma agraria, organizzando un fronte comune contro lo strapotere delle multinazionali, sostenendo i piccoli contadini - permettono e spesso incoraggiano i “senza terra” a disboscare la foresta per farne campi da coltivare. Dopo pochi anni, però, la terra si inaridisce: nei paesi della fascia equatoriale e tropicale, infatti, lo strato di terreno è piuttosto esiguo, il sole è torrido e le piogge torrenziali. Ecco allora che la terra, non più riparata dalla foresta, si secca e viene dilavata dalle piogge. Il contadino, allora, vende per poche lire quel campo ormai sterile e va a disboscare un altro pezzo di terra, e così via. Ma chi è che compra per poche lire i campi sterili? Spesso sono le multinazionali dei paesi ricchi che si impossessano così di un terreno già pronto per lo sfruttamento minerario. In Amazzonia, per esempio, i più intensi disboscamenti sono avvenuti in zone con giacimenti d’oro, che ora possono essere sfruttati senza che la responsabilità del disboscamento ed i costi connessi ricadano sulle imprese multinazionali. La deforestazione, insieme allo sviluppo demografico e all’appropiazione delle terre da parte di aziende del legname, hanno creato un altro problema: i poveri non trovano più legna da ardere. La legna è la principale fonte d’energia per due miliardi di persone: esse hanno bisogno di circa 3 kg di legna a testa al giorno, indispensabili per cucinare. Una volta le foreste erano tante e le persone poche, così il prelievo giornaliero di legna era inferiore alla quantità che il bosco produceva. Oggi i rapporti si sono invertiti, così oltre 100 milioni di persone trascorrono più della metà del loro tempo di lavoro a cercare quei 3 Kg di legna indispensabili per sopravvivere. Di chi è allora la responsabilità della deforestazione?

LA RISORSA INDISPENSABILE: L’ACQUA DOLCE

Una persona, per soddisfare le sue esigenze vitali (bere, lavarsi, preparare gli alimenti), ha bisogno di almeno 15 litri d’acqua al giorno; per una buona qualità della vita ne occorrono però almeno 80 litri. La disponibilità d’acqua per usi personali è molto diversificata: un cittadino del Bangladesh dispone di circa 45 litri d’acqua al giorno, uno del Pakista di 58 litri, un italiano di circa 380 litri e uno statunitense di circa 600 litri. Tali differenze dipendono sia da fattori naturali (clima secco o piovoso, piogge distribuite in gran parte dell’anno o concentrate in un breve periodo ecc.), sia da fattori economico-sociali. Gli usi personali, però, incidono poco sul consumo globale d’acqua. La gran parte delle risorse idriche, infatti, viene utilizzata per irrigare i campi (73%) per l’industria (22%) e solo il 5% è quella destinata agli usi personali. In molti paesi del Terzo Mondo con scarse risorse acquifere lo “sviluppo economico” ha peggiorato la situazione idrica: una volta in questi paesi l’alimentazione era a base di miglio, sorgo, manioca, mais, legumi e altre piante adatte ai climi secchi e ai terreni poveri. Per aumentare la produzione agricola sono state introdotte altre specie (innanzitutto il grano) e i metodi propri dell’agricoltura industriale. La produzione agricola è aumentata, ma ancora di più sono aumentate le richieste d’acqua per l’agricoltura. La situazione è poi maggiormente peggiorata con la produzione di prodotti agricoli per l’esportazione (canna da zucchero, caffè, banane ecc.). La canna da zucchero, per esempio, richiede un quantitativo d’acqua dieci volte superiore a quello del grano. Ecco allora che l’acqua viene “sottratta” alla popolazione per destinarla all’agricoltura, che per di più non serve a produrre gli alimenti per il consumo del piccolo contadino, ma a soddisfare le abitudini voluttuarie degli abitanti dei paesi ricchi, ad arricchire i grandi latifondisti e le multinazionali agricole. Così il numero degli ex contadini (i “senza terra”) è andato sempre più aumentando (attualmente sono oltre 150 milioni) e ancor più è andato aumentando il numero delle

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famiglie prive di acqua potabile e di servizi igienici (dal 1970 al 1980 sono passati rispettivamente da circa 100 milioni a 1.15 miliardi e da 300 milioni a 1.4 miliardi). Per soddisfare le nuove crescenti richieste d’acqua sono stati costruiti un gran numero di canali e di dighe (oltre 30.000 dighe negli ultimi 40 anni, capaci di immagazzinare il 15% della riserva idrica rinnovabile della Terra). Ma questo intervento massiccio ha spesso alterato imprevedibilmente delicati equilibri naturali. La deviazione del corso dell’Amu Dar’ya e del Syr Dar’ya, per esempio, ha causato il rimpicciolimento del Lago d’Aral, la riduzione di 40.000 tonnellate di pesce all’anno e la conseguente perdita di 60.000 posti di lavoro; la diga di Assuan ha determinato l’aumento di alcune malattie tropicali e ha causato una enorme riduzione delle sardine del Mediterraneo; la diga sullo Zambesi ha provocato l’inondazione di vasti territori, costringendo 57.000 persone ad abbandonare le proprie case. Un’altra causa della scarsità d’acqua è il suo inquinamento, che la rende non più idonea a molti usi: particolarmente preoccupante è l’inquinamento delle falde. Infatti l’acqua, con le sostanze in essa disciolte, si sposta con estrema lentezza sottoterra, per cui l’inquinamento delle falde attualmente constatabile è il prodotto dello scorrimento sotterraneo di sostanze scaricate molti anni fa: il peggio, quindi, deve ancora venire. E’ perciò necessario intervenire con urgenza per salvaguardare e non sprecare una delle poche risorse di cui non possiamo assolutamente fare a meno, un bene indispensabile per l’intera biosfera.

IL DILEMMA DI BRUNO E GIANNI Nella scuola xxx, dopo aver svolto un progetto di educazione ambientale, un gruppo di studenti ha formulato un “regolamento per una scuola pulita ed ecologica” che è stato proposto alla discussione di tutti gli studenti per eventuali modifiche. Nessuna modifica è stata proposta. Il preside ha indetto un’assemblea di istituto per discutere ed approvare ufficialmente tale “regolamento”, che infatti è stato approvato all’unanimità. Per un paio di giorni le cose sono andate proprio bene: i diversi rifiuti sono stati deposti separatamente negli appositi contenitori, si è prestata attenzione a non sprecare energia ecc. Mario e Stefano, due studenti, discutendo con due loro compagni, Bruno e Gianni, dissero che a loro questo “buonismo ecologico” faceva venire il voltastomaco e che non avevano nessuna intenzione di fare i “buoni bambini” e l’avrebbero dimostrato. Il giorno dopo, all’ingresso della scuola, si trovò che tutte le luci erano accese e nelle aule e nei corridoi erano sparpagliati rifiuti di ogni genere. Su una parete era stato scritto “I cattivi bambini”. Il preside chiese a tutti gli studenti che sapevano qualcosa o che potevano dare elementi per scoprire gli autori del gesto di teppismo di parlare con il prof. T. Bruno e Gianni devono dire al prof. T. quello che sanno? Si o No? E perché? Istruzioni per l’insegnante L’insegnante deve essere un moderatore/facilitatore della discussione. Non deve dire la sua opinione, né influenzare quella dei ragazzi. Nel caso deve chiarire che la domanda non è “Cosa avreste fatto voi?” ma “Cosa è giusto che Bruno e Gianni facciano e perché?”. Se gli studenti cercano soluzioni che evitano il dilemma, adottando strategie di problem solving (es. “Bruno e Gianni potrebbero darsi malati per alcuni giorni”, “Potrebbero dire quel che sanno con una lettera anonima” ecc.), riportarli al dilemma morale “E’ giusto o no accusare un compagno in una situazione come quella data e perché?” Dopo una prima fase di discussione porre le seguenti domande, una alla volta: - Se Bruno e Gianni fossero grandi amici di Mario e Stefano, cosa è giusto fare e perché?

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- Se Bruno e Gianni fossero due studenti del gruppo che ha promosso il “regolamento”, il vostro parere cambierebbe e perché?

- Se invece che dal preside la richiesta fosse venuta dai rappresentanti degli studenti, il vostro parere cambierebbe e perché?

- E se fosse venuta dalla Polizia, cambierebbe e perché? - Se il preside avesse convocato Bruno e Gianni dicendo “Sappiamo che voi conoscete chi è stato,

per cui se non ce lo dite, vi puniremo per favoreggiamento”, il vostro parere cambierebbe e perché?

In ultimo porre le seguenti domande che spostano il problema dal piano morale a quello del problem solving: - Voi cosa avreste fatto in una situazione del genere? - Vi sono altre possibili soluzioni oltre quella di dire o non dire i nomi di Mario e Stefano?

IL DILEMMA DI MARIA E LAURA Maria e Laura sono due grandi amiche, impegnate nella difesa dell’ambiente (fanno parte di un gruppo del WWF). D’estate, insieme ad altri amici, vanno in campeggio in montagna. Luca e Anna hanno prenotato un campeggio economico che, tra i servizi offerti ai campeggiatori, ha anche la possibilità di affittare a solo 2 euro l’ora i quad, quei veicoli osteggiati dagli ambientalisti per il loro impatto negativo sull’ambiente. La prima mattina Luca dice “Che bello, sono riuscito a prenotare i quad per un’escursione in montagna insieme”. Maria e Laura cosa è giusto che facciano e perché? Istruzioni per l’insegnante L’insegnante deve essere un moderatore/facilitatore della discussione. Non deve dire la sua opinione, né influenzare quella dei ragazzi. Nel caso deve chiarire che la domanda non è “Cosa avreste fatto voi?” ma “Cosa è giusto che Maria e Laura facciano e perché?”. Dopo una prima fase di discussione porre le seguenti domande, una alla volta: - Se poco distante dal campeggio prenotato da Luca e Anna vi fosse un campeggio più attento ad

un corretto rapporto con l’ambiente, ma un poco più caro, Maria e Laura dovrebbero provare a cambiare campeggio? Sarebbe una cosa giusta o sbagliata e perché?

- Cambierebbe il tuo parere se la legge vietasse i quad? Perché sì e perché no? - Cosa dovrebbe fare Maria se Laura avesse già dato la sua disponibilità a fare l’escursione con i

quad? - E se avesse già espresso la sua contrarietà a partecipare? - Se Maria e Laura fossero grandi amiche di Luca e Anna, cosa è giusto fare e perché? In ultimo porre le seguenti domande che spostano il problema dal piano morale a quello del problem solving: - Voi cosa avreste fatto in una situazione del genere? - Vi sono altre possibili soluzioni oltre quella di utilizzare o no i quad e stare nel campeggio

prenotato o cambiarlo?

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APPENDICE

PAGINE GIALLE” PER L’EDUCATORE AMBIENTALE Associazioni ambientaliste e Comitati - Associazione Marco Mascagna onlus, Via Ribera 1, 80128 Napoli, tel. 0815600885,

[email protected], www.giardinodimarco.it. - Asfodelo onlus: c/o Centro Documentazione Infanzia Comune di Napoli, Via del Triumvirato 1,

tel. 0817281686, [email protected], http://it.geocities.com/associazioneasfodelo/ - Bidonville: Via G. Summonte, 17 Napoli, tel. 0815529988, 0815517210, [email protected],

www.bidonville . it. - C.A.I. (Club Alpino Italia) - Sezione di Napoli, Via Trinità degli Spagnoli, 41, 80132 Napoli, tel

081417633, [email protected], www.cainapoli.it, - Italia Nostra: Via S. Chiara 5 (ex Chiesa di S. Francesco delle Monache) oppure Vico Pallonetto a

S. Chiara, 46, tel. 0815524500. - L.I.P.U. (Lega Italiana Protezione Uccelli): c/o Fabio Procaccini 3336086162,

[email protected], www.lipunapoli.uni.cc - Legambiente: Vico Miroballo a Pendino, 30, tel. 081261890 [email protected],

www.legambiente.campania.it - W.W.F. (Fondo Mondiale per la Natura): Via A. da Salerno 13, tel 0815601004, 0815607000,

0815601715, [email protected], [email protected], www.netlab.it/wwfna. - Verdi Ambiente e Società (VAS): Calata Trinità Maggiore 4, tel. 0815525466,

[email protected], www.vascampania.org. - Comitato Mamme Antismog: c/o Titti Tidone, Via V. Bellini 54, tel. 0815499791,

[email protected], www.mammeantismog.it. - Comitato Allarme Rifiuti Tossici, [email protected], www.allarmerifiutitossici.org. - Comitato per la Mobilità Sostenibile, c/o WWF Via A. da Salerno 13, tel 0815601004,

0815607000, 0815601715 [email protected] Altre associazioni (terzomondiste, pacifiste ecc.) e fondazioni - Laici Terzo Mondo: Via De Pretis, 62 tel.: 0815514147, Fax: 0815517067, [email protected],

[email protected], www.ltmong.org. - Mani Tese: Piazza Cavour 190, tel. 081/456868 - 320/6197995 - [email protected],

www.manitese.it. - `E Pappeci: Via Monteleone, tel. 0815521934, [email protected], www.opappece.it - Rete di Lilliput Nodo di Napoli, c/o Mani Tese, Piazza Cavour 190, tel 081456868,

www.retelilliput.org. - A.G.E.S.C.I. (Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani): Via M. Longo 50, tel. 081449660,

[email protected], www.agescicampania.it. - Amnesty International: Via S. Tommasi 67, tel 3205308736, [email protected],

www.amnestycampania.it. - Associazione Donna Ambiente: c/o Silvana Santagada, Via Ruoppolo 87, tel 0815796939. - Associazione Nazionale degli Insegnanti di Scienze Naturali: Via Mezzocannone 8, tel.

0812396799, 0815446849, [email protected], www.anisn.campania.it. - GRIDAS (Gruppo Risveglio Dal Sonno): Via Appia 2 13/7 bis, tel. 0817012721,

www.felicepignataro.org. - Lega Italiana per la Lotta Contro i Tumori: Via M. Semmola 1, tel. 0815466888,

[email protected] www.legatumorinapoli.it. - Pax Christi: Via S. Giovanni Maggiore Pignatelli, tel. 0815510286, [email protected],

www.paxchristinapoli.it.

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- Scuola di Pace onlus: c/o Corrado Maffia, Il trav. detta Maglione, 37, tel. 0817373462, [email protected], www.cdbcassano.it.

- Città della Scienza: Via Coroglio 57, tel. 0817352111, [email protected], www.cittadellascienza.it

- Fondazione Napoli 99: Via Martucci 69 tel. 081667599, 081667399, www.napolinovantanove.it Musei, oasi naturalistiche, enti e società - Città della Scienza: Via Coroglio 104, tel. 0817352111, [email protected],

www.cittadellascienza.it. - Orto Botanico: Via Foria 223, tel. 081449759, www.ortobotanico.unina.it. - Riserva Naturale degli Astroni: Via Agnano Astroni 468, tel. 0815883720. - Acquario della Stazione Zoologica: Viale Dhorn 1, Villa Comunale, tel. 081/5833263,

0817641355, 0815833111, www.szn.it. - Musei delle Scienze Naturali dell’Università di Napoli: Largo S. Marcellino 10, Via

Mezzocannone 8, tel. 0815516177, 081204775, 0815527442, www.musei.unina.it. - Museo di fisica dell’Università di Napoli, Aula di Rodi, Mostra d’Oltremare,

www.na.infn.it/Museum/museum.html. - Agenzia Napoletana per l’Energia e l’Ambiente (ANEA), Via Roma, 317, tel. 081409459, fax

081409957, [email protected], www.anea.eu. - Centro di Documentazione e Ricerca sull’Ambiente e la Salute (CEDRAS) ASL Napoli 1: Via S.

Gennaro ad Antignano 82 Scherillo 12, tel 0813723455, 0812548652, [email protected], www.aslna1.napoli.it/scps.

- ANM Azienda Napoletana Mobilità, Via G.Marino, 1, tel. 0817631111 fax 0817632070 7632070 www.anm.it

- ARIN SPA Azienda Risorse Idriche di Napoli, Via Argine, 929, tel. 0817818111 0817818158 fax 0817818190, www.arin.na.it

- ASIA Napoli SPA Azienda Servizi Igiene Ambientale, Via Volpicella, 315, tel. 0817351585 7351586 fax 0812420682 7351577, www.asianapoli.it

- Consorzio di Gestione e Manutenzione degli Impianti di Depurazione dei Liquami, Via Cervantes 55/5, tel. 0815524117, 0815513839.

- ACAM Agenzia Campana per la Mobilità Sostenibile, Via G. Porzio, Centro Direzoionale, Isola C2, Scala D, tel. 0819634511 fax 0819634522

- METRONAPOLI, Via Ponte dei Francesi, 37d, tel. 0815594111 fax: 0815594294 www.metro.na.it

- ARPAC Agenzia Regionale per la Protezione dellÁmbiente Campania, Via Vicinale Santa Maria del Pianto Centro Polifunzionale, Torre 180143 Napoli tel. 0812326111 [email protected], www.arpacampania.it.

Siti web - APAT Agenzia per la Protezione dell´Ambiente e i Servizi Tecnici: www.apat.it - Comune di Napoli: www.comune.napoli.it - ENEA Ente Nazionale Energie Alternative: www.enea.it - Fondo Ambiente Italia (FAI): www.fondoambiente.it - Greenpeace Italia: www.greenpeace.it - Banca dati sulle normative sull’ambiente: www.ecoserver.cima.unige.it/norm/homenorm.html - Italia Nostra: www.italianostra.org - Lega Italiana Protezione Uccelli (LIPU): www.lipu.it - Legambiente www.legambienteonline.it - Mani Tese: www.manitese.it - Ministero dell’Ambiente: www.minambiente.it

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- Peacelink (sito su pace, conflitti, problemi internazionali, commercio delle armi ecc): www.peacelink.it

- Regione Campania: www.regione.campania.it - Rete di Lilliput (rete di gruppi, associazioni e movimenti ambientalisti, terzomondisti e pacifisti):

www.retelilliput.org - Sistema Informativo dell’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente:

www.sinanet.anpa.it - Verdi Ambiente e Società (VAS): www.verdiambienteesocieta.it - WWF Italia: www.wwf.it - Agency Protection Enviroment (EPA): www.epa.gov - Climate Action Network (ONG): www.climatenetwork.org - Convenzione del Cambiamento Climatico: www.unfecc.de - Convenzione Londra su inquinamento marino: www.londonconvention.org - Convenzione sulla biodiversità: www.biodiv.org - Convenzione Zone Umide (RAMSAR): www.ramsar.org - EnviroLink: www.envirolink.org - Environment News Network: www.enn.com - FAO: www.fao.org - Greenpeace International: www.greenpeace.org - UNESCO: www.unesco.org - Unite Nation Environrnent Programme (UNEP): www.unep.org - Worldwatch Institute: www.worldwatch.org

Pio Russo Krauss: Ecolandia: principi, metodologia e didattica dell’educazione ambientale 169

GLOSSARIO

AGENDA 21: piano d’azione multilaterale concordato dagli Stati (ONU) sulle decisioni da prendere per creare condizioni favorevoli allo “sviluppo sostenibile”. ANALISI DEL CICLO DI VITA: è un processo di valutazione degli aspetti ambientali associati ad un prodotto o ad un servizio e considera gli impatti ambientali lungo la durata del ciclo di vita del prodotto (“dalla culla alla tomba”), dall’acquisizione delle materie prime, alla produzione, all’uso, fino allo smaltimento. AUDIT AMBIENTALE: è uno degli strumenti di gestione ambientale delle aziende. Le attività di auditing comprendono una valutazione sistematica, documentata, periodica e obiettiva dell’efficienza delle attività e delle misure destinate alla protezione dell’ambiente. BILANCIO AMBIENTALE: strumento contabile in grado di fornire un insieme organico delle interrelazioni tra impianti di produzione industriale e ambiente naturale, attraverso un quadro di dati quantitativi e qualitativi relativi all’impatto ambientale delle attività produttive e all’impegno economico dell’impresa nel campo della protezione ambientale. BILANCIO ECOLOGICO TERRITORIALE (BET): è uno strumento di valutazione della sostenibilità ambientale di un territorio e delle politiche di sviluppo che in esso si vogliono intraprendere. BILANCIO SOCIALE: è uno strumento che evidenzia l’impatto sociale che un’organizzazione produce sulla collettività di riferimento e su alcuni gruppi sociali in particolare. Per un impresa generalmente il bilancio sociale rappresenta uno strumento di gestione della fiducia dei vari interlocutori di riferimento e dà conto del perseguimento degli obiettivi e delle azioni compiute in coerenza con la missione. BIOARCHITETTURA: la progettazione e costruzione di un edificio non solo nel rispetto della natura ma anche riuscendo a sfruttare clima ed ambiente circostante per migliorare il benessere abitativo, riducendo altresì la necessità dell’apporto di fonti energetiche e risorse esterne. BIODIVERSITA’: la biodiversità di un determinato ambiente è la varietà di organismi viventi in esso presenti. BIOPIRATERIA: termine usato da Vandana Shiva nel descrivere il saccheggio della natura e dei saperi indigeni, quando le multinazionali si impossessano, brevettandoli o modificandoli geneticamente, di prodotti naturali o intellettuali a scapito della biodiversità di un determinato territorio. COMMERCIO EQUO E SOLIDALE: commercio che assicura ai produttori del Sud del mondo un prezzo equo per i loro prodotti, creando posti di lavoro e condizioni sociali accettabili tra le popolazioni più povere del mondo. COSTI AMBIENTALI: comprendono i costi delle misure intraprese da un’azienda o da altri per conto della stessa, per prevenire, ridurre o riparare danni causati all’ambiente dalle sue attività operative o per la conservazione delle risorse, rinnovabili e non. EUTROFIZZAZIONE: processo per cui un ambiente acquatico, per cause naturali o artificiali, si arricchisce di sostanze nutritive. Il processo, accelerato dall’inquinamento, soprattutto da parte di

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detersivi e fertilizzanti (fosforo, azoto e sostanze organiche), determina una proliferazione abnorme della vegetazione sommersa e/o di alghe microscopiche. Successivamente esse si decompongono determinando un’eccessiva riduzione dell’ossigeno disciolto in acqua, che può portare alla distruzione delle principali forme di vita acquatica. FITODEPURAZIONE: è un processo per depurare le acque reflue civili (cucina, bagno) utilizzando le piante come filtri biologici. GAS SERRA: sono i gas che provocano l’effetto serra (anidride carbonica CO2, clorofluorocarburi CFC, metano CH4, ossido di azoto N2O, ozono troposferico 03). GLOBALIZZAZIONE: tendenza di mercati, imprese o comunità nazionali a operare in una dimensione mondiale, superando i confini dei singoli Stati. IMPATTO AMBIENTALE: ogni modificazione dell’ambiente, negativa o positiva, totale o parziale, conseguente ad attività umane. INDICATORE AMBIENTALE: un qualsiasi parametro che provvede alla rappresentazione sintetica di un fenomeno connesso all’ambiente in relazione ad uno specifico obiettivo di indagine e/o di intervento. INQUINAMENTO: presenza di sostanze in concentrazione superiore ad un minimo ritenuto innocuo per l’uomo, la vegetazione, gli animali e le cose; alterazione dei cicli della materia e dei flussi dell’energia degli ecosistemi. ISO 14001: norma internazionale sui sistemi di gestione ambientale. ISO 9001: norma internazionale sul sistema di qualità di un prodotto. OGM (organismo geneticamente modificato): è un organismo biologico, il cui materiale genetico è stato modificato tramite l’inserimento di porzioni di DNA proveniente da organismi appartenenti ad altre specie, superando così una delle fondamentali leggi del mondo biologico (“la riproduzione può avvenire solo all’interno della stessa specie”). PIOGGE ACIDE: precipitazioni con un pH inferiore a 5,6 dovuto al presenza di acidi solforici e nitrici formatisi dal contatto degli ossidi di zolfo e di azoto a contato con l’acqua. PROTOCOLLO DI KYOTO: convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (dicembre 1997) al fine di ridurre le emissioni globali dei gas ad effetto serra di almeno il 5% rispetto ai livelli del 1990, tramite quote di riduzione per i singoli Stati. RISORSE NATURALI RINNOVABILI E NON: una risorsa può essere riconosciuta come tale solo se è o può essere utilizzata da un sistema. Una risorsa è non rinnovabile se non è in grado di riprodursi ovvero è limitata (metalli, minerali, carbone, petrolio, gas naturali, minerali radioattivi ecc.). Una risorsa è rinnovabile se ha la possibilità di rigenerarsi (acqua, suoli, pesci, foreste ecc.). Le risorse possono esaurirsi se non sono gestite in maniera sostenibile. V.I.A. (Valutazione d’impatto ambientale): procedura per la valutazione della compatibilità di un’opera con l’ambiente, inteso come complesso di risorse naturali, attività umane e patrimonio storico-culturale.