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17 La caccia alla quaglia è stata praticata nell’isola d’Ischia fin dall’antichità con mezzi rudimentali, ma ingegnosi, tra cui le cosiddette “pesarole” e le reti. È stato un fenomeno di rilievo perché molti illustri scrittori e visitatori ne hanno riferito. Berkeley, nelle annotazioni su Ischia in occasione della sua permanenza a Testaccio, nella primavera-estate del 1717, così scrive: “Quaglie grasse a Ischia in vendita a tre soldi l’una. Portate dal vento d’Africa qui e a Capri. Le entrate del vescovo di Capri sono soprattutto quaglie, incerte perciò come il vento”. Il De Rivaz (1835) inoltre così riporta nella sua Descrizione dell’isola: “A primavera ed in autunno viene molto praticata la caccia agli uccelli di passaggio, come quaglie, tortore, tordi, beccacce.. che vengono a riposarsi sull’isola, quando lasciano il continente per recarsi in climi più mediterranei”. La cacciagione si praticava con successo a Zaro ancora negli anni 1970. Le “poste” alla quaglia, quali si erano definite per lunga consuetudine, andavano da Punta Cornacchia (fuori la baia di San Montano) a Punta Caruso ed oltre verso S. Francesco. Esse erano Punta Cornacchia- Mezza Cappella - Cava di Costanza - Brecce rotte - Il Cantone della breccia rotta - Il Cattivo - Il Buono - Caricatore (posta molto favorevole) - Il Semaforo - Veduta d’oro - Posta di traverso - Grande cavità nella costa - Santa Restituta - Il Fringuello - La distesa delle felci - Cappella (Punta Caruso) - Lo scoglio di Cappella - Cef- funne (bosco interno con alcuni alti pini e lecci e sottobosco: ottimo per la posta alla tortora). Oltre a queste, che si trovavano sulla costa, proprio sul mare, ce n’erano tante altre, però subordinate, cioè in seconda linea. Quasi tutti i toponimi erano dovuti alla caratteristica morfologia del luogo, Tradizioni isolane La caccia alla quaglia nel territorio di ZARO Testo e foto di Giuseppe Silvestri come si può facilmente dedurre. Oggi essi rimangono nel ricordo di anziani cacciatori che ebbero il piacere di frequentare Zaro negli anni 1950 e ’60, ma sono destinati a scomparire del tutto perché ormai in disuso. Può avere dunque senso ricorda- re questa nomenclatura? Potrebbe, perché la caccia alla quaglia e alla tortora in quel sito meraviglioso che è, ma soprattutto fu, Zaro, ha costituito un’attività utile e di pia- cere per varie generazioni (mi rife- risco particolarmente al periodo in cui la caccia si praticava col fucile: 1800 e 1900) e si può dire che essa ha un posto nella tradizione e nel folklore della nostra isola. Le fotografie riguardano zone varie del territorio di Zaro

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La caccia alla quaglia è stata praticata nell’isola d’Ischia fin dall’antichità con mezzi rudimentali, ma ingegnosi, tra cui le cosiddette “pesarole” e le reti. È stato un fenomeno di rilievo perché molti illustri scrittori e visitatori ne hanno riferito. Berkeley, nelle annotazioni su Ischia in occasione della sua permanenza a Testaccio, nella primavera-estate del 1717, così scrive: “Quaglie grasse a Ischia in vendita a tre soldi l’una. Portate dal vento d’Africa qui e a Capri. Le entrate del vescovo di Capri sono soprattutto quaglie, incerte perciò come il vento”. Il De Rivaz (1835) inoltre così riporta nella sua Descrizione dell’isola: “A primavera ed in autunno viene molto praticata la caccia agli uccelli di passaggio, come quaglie, tortore, tordi, beccacce.. che vengono a riposarsi sull’isola, quando lasciano il continente per recarsi in climi più mediterranei”. La cacciagione si praticava con successo a Zaro ancora negli anni 1970. Le “poste” alla quaglia, quali si erano definite per lunga consuetudine, andavano da Punta Cornacchia (fuori la baia di San Montano) a Punta Caruso ed oltre verso S. Francesco. Esse erano Punta Cornacchia- Mezza Cappella - Cava di Costanza - Brecce rotte - Il Cantone della breccia rotta - Il Cattivo - Il Buono - Caricatore (posta molto favorevole) - Il Semaforo - Veduta d’oro - Posta di traverso - Grande cavità nella costa - Santa Restituta - Il Fringuello - La distesa delle felci - Cappella (Punta Caruso) - Lo scoglio di Cappella - Cef-funne (bosco interno con alcuni alti pini e lecci e sottobosco: ottimo per la posta alla tortora). Oltre a queste, che si trovavano sulla costa, proprio sul mare, ce n’erano tante altre, però subordinate, cioè in seconda linea. Quasi tutti i toponimi erano dovuti alla caratteristica morfologia del luogo,

Tradizioni isolane

La caccia alla quaglia nel territorio di ZARO

Testo e foto di Giuseppe Silvestri

come si può facilmente dedurre. Oggi essi rimangono nel ricordo di anziani cacciatori che ebbero il piacere di frequentare Zaro negli anni 1950 e ’60, ma sono destinati a scomparire del tutto perché ormai in disuso. Può avere dunque senso ricorda-re questa nomenclatura? Potrebbe, perché la caccia alla quaglia e alla tortora in quel sito meraviglioso che è, ma soprattutto fu, Zaro, ha costituito un’attività utile e di pia-cere per varie generazioni (mi rife-risco particolarmente al periodo in cui la caccia si praticava col fucile: 1800 e 1900) e si può dire che essa ha un posto nella tradizione e nel folklore della nostra isola.

Le fotografie riguardano zone varie del territorio di Zaro

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Erano soprattutto i cacciatori di Casamicciola e di Lacco che si recavano a Zaro nei mesi di aprile e maggio. Era infatti il periodo in cui le quaglie e le tortore provenienti dall’Africa, durante la loro trasmigrazione, sostavano nelle isole del Tirreno e poi riprendevano il volo, in genere la sera stessa; ma altre al mattino sopraggiungevano. I cacciatori partivano a piedi, pochi in auto o in vespa (negli ultimi anni) da Casamicciola, da Lacco e da Forio. Addentrarsi nel bosco della Mezzatorre, percorere il sentiero che portava a destinazione sul-la costa, era un’esperienza di intensa emozione: si trattava di un’autentica immersione in un territorio ancora primitivo nel quale l’aria era purissima, fresca e densa dei profumi della ginestra, dei ciclamini, della mortella, delle felci, dei “lucigni” e dei tanti altri arbusti ed erbe che vi allignavano (fortunatamente gran parte di tutte queste specie ci sono ancora). In quanto alle “poste” (a Panza le chiamano “ac-cucciolo”) c’era un regolamento preciso nel merito che si era consolidato nel tempo, come già accennato, secondo il quale si erano stabilite le distanze e la direzione obbligata verso cui poter sparare, tenendo conto del percorso che gli uccelli, provenienti dal mare, seguivano. Nel chiarore dell’alba, si vedevano le prime quaglie che veloci si avvicinavano alla costa; nelle giornate favorevoli con i venti di scirocco o di levante, gli spari si potevano susseguire per quattro, cinque ore, e le prede erano numerose. In genere, verso le undici, si lasciava la posta alla quaglia e si risaliva verso l’interno per il passaggio delle tortore. Negli ultimi anni in cui, secondo la stagione venatoria, era consentita la caccia nei mesi di aprile e maggio, l’arrivo delle quaglie (‘u trasete ‘e quaglie) era molto scemato, forse perché venivano eliminate in gran numero già sulla costa africana, come si diceva. È certo però che dal 1960 in poi, la località di Zaro è stata trasformata dall’intervento dell’uomo: lungo la costa, dove una volta c’erano le “poste” alla quaglia, sono sorte numerose costru-

zioni e moltissime altre sono disseminate in tutti il territorio che fino ad una quarantina di anni fa si presentava ancora intatto ed incontaminato. Molti detti comuni fanno riferimento alla caccia alla quaglia (vedi riquadro in basso). Nell’ultimo canto della raccolta “Cento canti del popolo di Serrara d’Ischia” di Gaetano Amalfi, c’è un verso che definisce il panzese: “Attanca la quaglia lu panzese”. In nota è spiegato: “Il panzese (abitante di Panza) è detto “prendi la quaglia” perché, secondo un racconto, andò a prendere quaglie con la rete in una punta di terra molto opportuna per la caccia, ed invocando il Santo protettore, esclamò: San Leonar-do, sono afflitto e miserabile, vieni quaglia a consolar la mia casa. San Leonardo, le quaglie che prendo saranno anche tue”. Ne venne una e passò sopra la rete, ed il panzese: San Leonardo, quella era tua! E così continuò: quelle che prendeva nella rete erano sue, quelle che passavano di San Leonardo”. In Storia d’Ischia di Giuseppe d’Ascia, nel canto “Discurzo tra lu furieno e lu panzese”, quest’ultimo

- A Santa Restituta / Le fave so’ arrennute - Le quaglie so’ fernute - Li Turche so’ partute

- Quànne cante ‘u vuàravalle / pìe ‘a rézze ‘e abbiéte a quaglie / quànne cante ‘u cuccù / pìe ‘a rézze e ‘nce ‘ì cchiù.

- A Santu Michele / ‘a quaglia aìze ‘u pèle.

- Addà parlà quànne ‘a quaglia pèsce.

- A Croce, quaglie ‘a voce.

- ‘A quaglia nun tène ‘a cole e nun se pòse ncopp’a l’albero.

Tradizioni isolane - La caccia alla quaglia

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esalta la sua arte nel dare la caccia alla quaglia:“ (...) La quaghia ne scupresce / Se fosse nda le nuvole. / Se qua-ghie non ne fossero / Me mecco ncopp’all’accucciolo / Affritto e malanconeco, / E cu sennuzzi e lareme, / Dico - o quaghia amabele, / Vien’a sta casa a dda sussidio!... / Cu lu chiappo dento al d’érelo / Cunziglio e nu me fric-ceco: / Cu tutto lu judizio / N’af-ferro chiù de tridece. / Chesta è l’arte propria / Du lu panzese sèvio - (La quaglia ci scopre / Se fusse in fra le nubi / Afflitto e malinconico / E con singhiozzi e lagrime / Dico - O quaglia ama-bile / Vieni in questa casa a dar aiuto / Col cappio dentro al piop-po / Consiglio, e non mi movo / E con tuttto il giudizio / Ne prendo più di tredici... / Questa è l’arte propria / Del Panzese savio.

Le nuove generazioni mostrano

poco interesse per la caccia, che giustamente va scomparendo nelle sue varie forme, come la cattura con le trappole e e con le reti. Sarebbe molto bello ed opportuno organizzare, in aprile e maggio, con la partecipazione soprattutto dei ragazzi, delle passeggiate mattutine a Zaro o in altri posti dell’isola (Scannella,

Citara, Cava dell’isola, Maronti, Punta San Pancrazio) per assi-stere a “‘u trasete le quaglie” ed osservare nei loro voli e percorsi questi bellissimi e docili uccelli. Armati però non di fucili, ma di videocamere e macchine fotogra-fiche.

“Nel settore nord-occidentale una eruzione di vaste proporzio-ni, anche se non è di età storica, come si è creduto per lungo tempo, appartiene pur sempre al ciclo eruttivo recente dell’iso-la. Si tratta della formazione di lava trachitica di Marecocco-Zaro, situata tra Lacco Ameno e Forio che copre un’area di circa 1,2 kmq (vedi R. G. 1980 pag. 164 e seg. Che modifica i concetti espressi nel 1930 sul meccani-smo dell’eruzione). Giuseppe Mercalli (1884) aveva espresso l’ipotesi che a questa eruzione debba riferirsi la descrizione che lo storico siciliano Timeo, vissuto circa nel 356-260 a. C., aveva dato di una spaventosa catastrofe vulcanica avvenuta nell’isola poco prima dei suoi tempi. La sua Storia della Sici-lia è andata perduta, ma que-

Come si formò Zaro sto brano si è fortunatamente conservato perché riportato da Strabone. Tale identificazione che appa-riva plausibile sia per l’aspetto ancora fresco della superficie lavica, sia perché i fenomeni descritti da Timeo potevano ben confarsi a questa eruzione, era stata accettata da Rittmann (1930) e anche da noi (1940). Successivamente rinvenimenti archeologici hanno rivelato invece che è stata una supposi-zione errata. Abbiamo ritrovato infatti, al di sopra della lava di Marecocco-Zaro, gli avanzi di un abitato preistorico dell’età del bronzo appartenente alla civiltà appenninica, databili al XIV secolo a. C. (Buchner 1971) e di questa pietra sono costruiti i tumuli delle tombe greche a cremazione dell’VIII e VII sec.

a. C. nella vicina valle di San Montano. Le recenti determinazioni K-Ar che assegnano alla formazione di Marecocco-Zaro un’età di 6000-3000 anni prima di oggi (Chiesa, Relazione al Convegno di Casa-micciola, 1983) lasciano aperta la possibilità che questa eruzione sia avvenuta quando l’uomo si era già insediato nell’isola” (da Eruzioni vulcaniche e fenomeni vulcano-tettonici nell’isola d’I-schia di Giorgio Buchner).

La parte collinare di Zaro che si affaccia sul cratere di Cavallaro era in parte coltivata. Erano state infatti ricavate tante piccole ter-razze delimitate dalle parracine (fatte di pietre trachitiche), nelle quali erano stati piantati gli ulivi. Ce n’erano migliaia e consentiva-no una buona produzione, tanto che a Forio esisteva ancora negli anni 1950 un frantoio. Nelle zone più esposte al sole

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e più estese venivano coltivate fave, piselli, ed anche la vite. Si trattava comunque di una zona limitata, perché la maggior parte del territorio di Zaro era bosco e macchia mediterranea. Le uniche costruzioni (fino agli anni 1950) erano la Mezzatorre, la Colombaia e la Guardiola (una torre quadrata alta una decina di metri tutta di facciavista, realizzata sulla cima più alta, m 105); nelle vicinanze una struttura militare costituita da qualche “baracca” e da una postazione circolare in ce-mento che consentiva di spaziare con lo sguardo verso l’orizzonte: ce n’erano, di quest’ultima, a Zaro ancora tre o quattro. Queste strutture sono rimaste, ed a Punta Caruso c’è ancora il fabbricato che evidentemente do-veva ospitare i militari. Qualche altro piccolo manufatto era nella

zona coltivata e poche costruzioni erano sulla collina di San Lorenzo. La strada carrabile, realizzata tra il 1954 e il 1956, parte dal belvedere di San Francesco e termina, senza però alcun collegamento carrabile, sul viale della Mezzatorre.

Giuseppe Silvestri

Tradizioni isolane - La caccia alla quaglia

Palazzo Grassi - Venezia

da Puvis de Chavannes a Matisse e Picasso - Verso l’arte moderna

Il programma espositivo che Palazzo Grassi ha predisposto nel quadro delle proprie attività per il 2002 vede un inizio d’anno dedicato all’arte del XX secolo attraverso la mostra:

da Puvis de Chavannes a Matisse e Picasso Verso l’arte moderna

che sarà aperta al pubblico a Venezia dal 10.2 al 16.6.2002. In un momento in cui la nascita dell’arte del XX secolo riscuote grande interesse tra pubblico e critica, Palazzo Grassi ha ritenuto di inserirsi nel dibattito, proponendo un punto di vista, alternativo a quelli consueti, che vede l’opera di Puvis de Chavannes come modello di artisti che vanno da Gauguin a Rodin, a Seurat, a molti altri.L’esposizione riunisce oltre 200 capolavori provenienti dai grandi musei e collezioni private del mondo e risulta una straordinaria galleria di arte del primo Novecento europeo e non solo, mostrando la maniera in cui artisti come Cézanne,

Premio Nazionale di PoesiaMadre Paestum

L’Associazione Lega per i diritti degli handicappati, dedita alla promozione di iniziative artistico-culturali finalizzate alla valorizzazione dell’impegno sociale, indice la I edizione del Premio Nazionale di Poesia “Madre Paestum” sul tema Amore e solidarietà. Il premio si articola in due sezioni: Sezione A, poesia inedita in lingua italiana per adulti; Sezione B, poesia inedita in lingua italiana per giovani sino a 16 anni (è auspicabile che le scuole elementari e medie partecipino attivamente all’iniziativa). La partecipazione è aperta a tutti ed è gratuita; sono previsti premi in denaro; targhe e diplomi per i segnalati. Le opere dovranno essere spedite entro il 30 aprile 2002 a: Maria Palmieri, via Galileo Galilei n. 99 - 84040 Capaccio Scalo (SA). È opportuno richiedere il bando completo del premio.

Al Premio ISCHIA 2002, la cui manifestazione finale è prevista a Lacco Ameno il 6 luglio sarà molto probabil-

mente ancora una volta presente il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

Mostre Premi

Seurat, Munch, Matisse, Picasso trovano nel grande deco-ratore francese Pierre Puvis de Chavannes una delle loro fonti di ispirazione.