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Periodico livornese indipendente - Anno XII n. 127- Estate 2017 - OFFERTA LIBERA (stampare questo giornale costa 0,66 €) Poste italiane S.p.A. Spedizione in Abb. Post. 70% Regime libero aut. cns/cbpa/centro1 Validità dal 05/04/2007 www.senzasoste.it Onestà apolitica JACK RR L ’onestà prima di tutto perché la verità poi verrà a galla, si scopriranno le malefatte. E’ que- sto il concetto a cui si è ridotta la politica che ormai è stato cultu- ralmente sdoganato tra la gente. Un modello culturale e di intrat- tenimento televisivo incarnato da Le Iene o da Striscia La Notizia e che ha sfondato non solo nel piccolo schermo ma anche nel pa- ese. Nell’offerta politica, infatti, il modello ha funzionato ed ha rac- colto tanto consenso da mettere in crisi quei due partiti, socialdemo- cratici/laburisti e democristiani/ conservatori da noi rappresentati da Pd e Forza Italia che dell’euro- peismo della finanza avevano im- plementato le linee guida: priva- tizzazioni e mercato. Il problema è che l’onestà, sempre che riesca ad affermarsi nei settori politi- co-amministrativi, non ha nessun contenuto politico-strategico in sé, se non di sottrarre materia ad altri, deputati a verificarne la qualità, vale a dire l’organo giurisdizio- nale, la magistratura. Privatizza- zioni e mercati regolati possono essere animati, anche in un ipo- tetico mondo “buono”, da bravi ed onesti personaggi pienamente integrati nella legalità, senza che ingiustizie e disuguaglianze ven- gano minimamente scalfite. La politica, intesa nella sua accezione di socialità che possa dare speran- za alla persona comune, deve in- vece misurarsi ogni giorno in una realtà dove la finanza detta ritmi e regole e dove quel simbolico 1% di popolazione che detiene mezzi e ricchezze vive in un mondo pa- rallelo. Tutto ciò è qualcosa di più grande ed organico rispetto all’o- nestà. Ancor di più rispetto al piz- zicare qualcuno con le mani nella marmellata ai danni del contri- buente. Che va bene ma è solo una parte. In questo contesto “apoliti- co” non esiste, infatti, una visione di risollevazione economica ed un’emancipazione sociale che sto- ricamente rappresentano la base per la crescita collettiva. In questo modo si spiana la strada per una cultura che predilige personaggi forti a cui delegare le scelte e la- sciare la scena. I 5 Stelle rischiano di rimanere invischiati in in pieno in questa cultura. Il loro format di offerta politica ed elettorale ha un solido piano nella comunicazione di massa ed è interessante per l’in- trattenimento ma evidenzia anco- ra lacune per iniziare a presentare e praticare altri punti di vista su come vivere, lavorare e migliorar- si. Altrimenti ci sarà la vittoria de- gli apolitici che stanno diventando un vero problema per la loro forza pulsionale tanto quanto per la loro irrilevanza politica. I l dibattito su privacy e notizie false è scoppiato ormai da più di un anno e ruota tutto intorno a due temi: il primo è quello del- la privacy, vale a dire se Facebook rispetta gli standard o meno. Il se- condo è se Facebook sia solo una piattaforma (privata, aggiungiamo noi, sempre meglio ricordarlo) o è anche un editore. E se le valu- tazioni se una notizia sia falsa o meno debba avvenire attraverso algoritmi o con l’intervento uma- no. A prima vista sembrano solo questioni tecniche, invece sono di- ventate discussioni fondamentali dal momento che ormai Facebook è parte integrante della sfera priva- ta di ognuno di noi (o quasi) ed è in grado di condizionare campa- gne elettorali, voti e immaginario di miliardi di persone. Proviamo a capire quali sono i problemi e le possibili soluzioni con l’aiuto del sito Valigiablu.it che ha sempre prodotto analisi e approfondi- menti a riguardo. Partiamo tutta- via da una premessa: Facebook è lo strumento ma la sostanza del problema sta nei processi di di- sinformazione anche dei media classici che devono difendere gli interessi di chi li finanzia e della classe dominante. La breccia che tale disinformazione fa in seno al popolo avviene perché c’è sempre meno investimento nell’istruzione e sempre più distacco fra cittadino e politica. Facebook quindi è la punta di un iceberg che va molto più in profondità ed il problema della disinformazione e delle no- tizie false non nesce certo con l’a- zienda di Zuckerberg. Basta solo ricordare la campagna di falsità prodotta, quando ancora Facebo- ok non esisteva, da parte di chi vo- leva iniziare la disastrosa guerra in Iraq con tanto di Colin Powell che mostrava all’Onu una fiala e delle foto per dimostrare la presenza di armi di distruzione di massa nel paese di Saddam. Quindi le bugie e le fake news sono sempre esistite, adesso è solo cambiato il modo in cui prendono forma e si diffondo- no. Ed uno dei motivi per cui spes- so molti credono a cose impensa- bili parte soprattutto dalla sfiducia, legittima e comprensibile, che si è creata intorno a media tradiziona- li e politica. Senza mai scordarsi che solo poche settimane fa, quo- tidiani ritenuti autorevoli hanno pubblicato la foto di una modella e la hanno indicata come la sorella del kamikaze di Manchester, dif- fondendo a loro volta una bufala incredibile. L’imbroglio di Facebook alla UE. Lo scorso 18 maggio il Com- missario alla Concorrenza della Commissione europea ha inflitto una multa di 110 milioni di euro (avrebbe potuto portarla fino a 250 milioni) a Facebook per l’acqui- sizione di WhatsApp. Nel 2014 Facebook comunicò alla Com- missione l’intenzione di acquisire WhatsApp ma dichiarò che non poteva stabilire una corrisponden- za automatica tra account Face- book e utenti WhatsApp. Invece nell’agosto 2016, le due aziende annunciarono la possibilità di collegare i numeri di telefono con gli account degli utenti del social network. E’ stato accertato anche che nel 2014 Facebook disse una bugia alla Commissione perché era già in grado al tempo di fare questa operazione. Con l’acquisizione di WhatsApp, di fatto Facebook ha acquistato un elenco telefonico da un miliardo di persone, molti dei quali già iscritti alla propria piatta- forma. Con questa mossa Facebo- ok ha ovviato al fatto di non avere il numero di telefono dei propri utenti (vi ricordate che più volte aveva provato a chiederlo ogni vol- ta che ci si collegava?) ed adesso è in grado di abbinare un numero di telefono anche a quei profili falsi o seminascosti alzando moltissimo le proprie capacità di “profilazione dell’utente” per poi venderla a fini pubblicitari, operazione che aveva già fatto nel 2012 con Instagram. C’è però un problema: 110 milioni per Facebook sono niente. Tanto per farsi un’idea, il colosso dei so- cial network ha pagato WhatsApp 19 miliardi e nel 2016 nel ha fatti 6 di fatturato e 2 di utile. Come ha scritto giustamente Valigiablu.it nel proprio articolo si tratta prati- camente di una “monetizzazione dei diritti” a costi irrisori. Chi decide se è una fake news? L’e- vento che fece scoppiare il dibattito su come controllare e segnalare le fake news fu la bufala, condivisa da migliaia di utenti, del sostegno di Papa Francesco a Trump durante la campagna elettorale americana. Il dibattito però si è incentrato sul fatto che dovesse essere un algorit- mo a fare questo lavoro oppure la decisione finale dovesse spettare giocoforza ad un essere umano. Intanto c’è da precisare una cosa. Come avviene spesso la bufala rag- giunge molte più persone se ne par- lano i media tradizionali che con le condivisioni sui social network. Le fake news sono argomento che attira il lettore quindi, seppur con finalità diverse, viaggiano anche per meri- to di chi... (continua a pagina 3) Ministero della Verità Privacy e fake news: come si regolamenta la nostra vita invasa da Facebook? Dopo la vittoria di Trump ed il diffondersi delle bufale molti chiedono a Zuckerberg di intervenire, ma che sia la mano umana o un algoritmo, il rischio concreto è che Facebook, sempre più potente dopo l’acquisto di Whatsapp, diventi un Ministero privato della Verità.

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Pagina OttoAnno XII - n. 127 - Estate 2017

CALCIO - La società grigionera del Lebowski, diretta emanazione dei suoi tifosi, apre la sua prima scuola calcio nel centro storico di Firenze.

Da oggi siamo i vostri ultras. Sono passati ben oltre dieci

anni dal giorno in cui una com-pagnia di ragazzini decise di ini-ziare a seguire il Lebowski, “que-sta squadra che non vinceva mai”, rispondendo così ai gioca-tori che straniti e un po’ infastidi-ti andarono a chieder spiegazioni della loro comparsa in tribuna. Il motivo di quell’adesione senti-mentale probabilmente non lo sa nessuno ed è ormai accettato che questa storia sia nata senza un filo conduttore. Ma nell’estate del 2010 quando nasceva il Cen-tro Storico Lebowski, la nuova società fondata da quegli stessi tifosi, impreziosita in pochi anni da un ricco palmares, le idee ap-parivano molto più chiare. So-prattutto una, stampata nel vo-lantino distribuito alla prima uscita: “Appena ci è possibile vorremmo fare una scuola calcio, che sia prima di tutto un momen-to di crescita, di aggregazione e di sentimento, dove non sia im-portante il talento e i risultati, ma in cui tutti i ragazzi imparino ad allacciarsi le scarpe, a fare la doc-cia con i compagni, a prepararsi la borsa autonomamente, a cre-scere in gruppo con lealtà e ri-spetto per le differenze”. Quell’i-dea si è concretizzata lo scorso anno, ispirandosi a un concetto quasi fuori dal tempo, caro a Horst Wein, mentore della cante-ra del Barcellona. Sostiene il pro-fessore tedesco che “non dobbia-mo portare i bambini troppo lon-tano dai giardini d’infanzia”, e non è un caso quindi che la prima scuola scuola calcio grigionera nasca ai Nidiaci, un giardino nel-lo storico quartiere di San Fredia-no, nell’oltrarno fiorentino. A raccontarci la sua evoluzione sono i responsabili della scuola stessa, intitolata a Francesco “Bollo” Orlando, antifascista, sanfredianino e ultras del Le-bowski. Come è nata l’idea di fare una scuola calcio del Lebowski? Crediamo che in una società sportiva l’ambizione di realizzare una scuola calcio sia una scelta scontata. Dal nostro punto di vi-sta era un passaggio fondamenta-le: in assenza di mecenati o di canali di sostentamento come sponsor molto rilevanti o presi-denze facoltose, la sopravvivenza del progetto è data dal radica-mento sul territorio secondo la formula “ottenere poco ma da tutti”. Per cui in un progetto sportivo che ha come istanza de-cisiva quella di radicarsi nel terri-torio la scuola calcio è un veicolo essenziale perché ti mette in con-tatto coi bambini, le famiglie, i nonni, le scuole e questo ci ha portato tantissimi soci in più e ci ha permesso di uscire dai nostri confini. E’ stato un salto di quali-tà sportivo, perché ha aperto un nuovo fronte alla nostra idea di calcio, e organizzativo, perché ci ha permesso di proseguire l’idea di coinvolgere tante persone a cui chiedere un piccolo contributo. Per le attività della scuola calcio avete scelto un giardino nel cen-

tro storico di San Frediano. La vostra scelta sembra rispondere ad esigenze sia educative che po-litiche. Il giardino dei Nidiaci è stato do-nato decenni fa all’amministra-zione comunale per farne un cen-tro per l’infanzia. Dopo varie vi-cissitudini, il giardino è passato nelle mani di uno speculatore. C’è stata una forte lotta dei residenti a cui hanno partecipato anche quel-li che tra noi abitano nel quartiere. E’ finita con un compromesso: la ludoteca è stata trasformata in ap-partamenti di lusso e una parte del giardino è stata privatizzata, men-tre una parte è rimasta libera. Per un periodo lo spazio è diventato un grande cantiere e nessuno lo frequentava più. Nel ripopolarlo, un calciante dei bianchi, Fabrizio Valleri, aveva iniziato a fare delle giornate di avviamento al calcio e alcuni di noi sono andati a dargli una mano. Con il tempo abbiamo strutturato questa attività con un intervento del Lebowski, finché non è diventata una scuola FGIC della nostra società. Quest’anno, alla prima stagione, abbiamo avu-to 58 bambini tesserati e il prossi-mo anno se ne prevedono un cen-tinaio. Il contesto merita un ap-punto: è un giardino autogestito da un’associazione di residenti che porta avanti le aperture e le chiusure e ha stilato un regola-mento interno. Il Comune se ne occupa poco o nulla. Tutto è auto-gestito e autofinanziato: c’è il campo, l’orto, si organizzano con-certi musicali e corsi di inglese. Come funziona la scuola calcio del Lebowski? La scuola calcio è la terza agenzia

Chi frequenta la vostra attività? Prevalentemente la scuola calcio è frequentata da bambini delle scuole elementari del quartiere: abbiamo la Torrigiani, una scuola elementare molto popolare, da cui provengono molti immigrati che nei fatti sono sanfredianini, e figli di sanfredianini da genera-zioni; c’è una scuola privata da dove vengono famiglie che hanno qualche disponibilità economica in più e c’è la scuola elementare Agnesi... insomma, la frequenta-zione è alquanto eterogenea. La cosa più interessante è il coinvol-gimento dei genitori nell’autoge-stione. Noi diciamo sempre che la scuola calcio non è gratuita ma autogestita: è il territorio che in parte deve occuparsi della sosteni-bilità economica del progetto, quindi si organizzano pranzi e cene al giardino, sottoscrizioni nel quartiere, raccolte fondi, varie forme di volontariato tra i genito-ri. Chi sono gli istruttori? Gli istruttori sono persone dell’ambiente del Lebowski che hanno giocato a pallone, che han-no la qualifica o che la stanno per prendere; sono soprattutto perso-ne che hanno un grande passione nel lavorare con i bambini. Il progetto Lebowski sta per af-frontare un grande cambiamento dopo l’accordo raggiunto con il Tavarnuzze. Cosa cambia per la società? Che tipo di ricadute avrà sulla scuola calcio? Tavarnuzze è un ambiente come il Lebowski, che si basa sul volon-tariato. C’è stata unione di inten-ti, un accordo che ci farà sentire a casa. E’ previsto che il Tavarnuz-

formativa del paese, ogni anno vi si iscrivono 300.000 mila bambini. Dopo la famiglia e la scuola, il ruolo formativo passa alle scuole calcio che devono essere consape-voli di questa responsabilità. Pur-troppo è stata registrata una fortis-sima dispersione sportiva, che de-riva dall’assenza di gratificazione, da metodi sbagliati, da ambienti faticosi: la cosa grave non è che un ragazzo smetta di giocare a calcio ma che smetta di fare sport. Noi puntiamo decisamente all’inclusi-vità: la scuola calcio è gratuita, non c’è nessun costo di iscrizione e ogni bambino riceve 120 euro di materiale tecnico a stagione. Quest’anno il progetto ci è costato 36.850 euro. Dal punto di vista sportivo l’idea del giardino si spo-sa con l’attenzione per il gioco di strada e il gioco di strada facilita l’inclusività: permette una mag-gior continuità tra il gioco libero (che oggi viene drammaticamente a mancare all’aria aperta) e un’e-sperienza di primo avviamento all’attività sportiva e calcistica. Al giardino hai anche un rapporto differente con le famiglie. Insieme osserviamo i bambini in una di-mensione più anarchica, più rive-latrice di alcuni aspetti del loro carattere. Come istruttori struttu-riamo l’attività in modo da pro-porre giochi che pongano delle sfide ai ragazzi e nella risoluzione guidata ma personale di queste sfi-de il ragazzo acquisisce piano pia-no i gesti tecnici. Gli esercizi ana-litici sono sostituiti con momenti ludici. Come ripetiamo sempre il maestro non è l’istruttore ma il gioco stesso. Sono le sfide a rende-re necessario il gesto tecnico.

ze elimini la prima squadra e gli juniores e il Lebowski diventi pri-ma squadra e juniores di quel’im-pianto. Le scuole calcio sono due progetti che proseguono paralleli: noi lo faremo ai Nidiaci e dal prossimo anno anche alle Casci-ne del Riccio, un impianto che il Comune ci ha concesso per qual-che ora a settimana perchè con così tanti bambini abbiamo biso-gno di spazi. Il Tavarnuzze è una grande scuola calcio e ha un im-portante settore giovanile e so-prattutto è affiliato all’Atalanta: un’affiliazione non formale, ma sostanziale, nel senso che ogni mese ci sono corsi di aggiorna-mento che gli istruttori dell’Ata-lanta fanno agli istruttori del Ta-varnuzze e da ora faranno anche a quelli del Lebowski. In questo modo, entrambe le società, dai piccoli Amici 2011 ai giovanissi-mi regionali, avranno lo stesso programma annuale seduta per seduta, chiaramente modulato secondo le diverse esigenze d’età. Ogni inizio mese quindi faremo dei corsi di aggiornamento, a fine mese ci confronteremo in riunio-ne. A livello di proposta tecnica e didattica per il Lebowski è un sal-to di qualità impressionante per-ché abbiamo una guida preziosa, in linea con la nostra idea ludica degli allenamenti per i bambini.

Senza Soste redazione

Piccole speranze urbane

Onestà apoliticaJACK RR

L’onestà prima di tutto perché la verità poi verrà a galla, si

scopriranno le malefatte. E’ que-sto il concetto a cui si è ridotta la politica che ormai è stato cultu-ralmente sdoganato tra la gente. Un modello culturale e di intrat-tenimento televisivo incarnato da Le Iene o da Striscia La Notizia e che ha sfondato non solo nel piccolo schermo ma anche nel pa-ese. Nell’offerta politica, infatti, il modello ha funzionato ed ha rac-colto tanto consenso da mettere in crisi quei due partiti, socialdemo-cratici/laburisti e democristiani/conservatori da noi rappresentati da Pd e Forza Italia che dell’euro-peismo della finanza avevano im-plementato le linee guida: priva-tizzazioni e mercato. Il problema è che l’onestà, sempre che riesca ad affermarsi nei settori politi-co-amministrativi, non ha nessun contenuto politico-strategico in sé, se non di sottrarre materia ad altri, deputati a verificarne la qualità, vale a dire l’organo giurisdizio-nale, la magistratura. Privatizza-zioni e mercati regolati possono essere animati, anche in un ipo-tetico mondo “buono”, da bravi ed onesti personaggi pienamente integrati nella legalità, senza che ingiustizie e disuguaglianze ven-gano minimamente scalfite. La politica, intesa nella sua accezione di socialità che possa dare speran-za alla persona comune, deve in-vece misurarsi ogni giorno in una realtà dove la finanza detta ritmi e regole e dove quel simbolico 1% di popolazione che detiene mezzi e ricchezze vive in un mondo pa-rallelo. Tutto ciò è qualcosa di più grande ed organico rispetto all’o-nestà. Ancor di più rispetto al piz-zicare qualcuno con le mani nella marmellata ai danni del contri-buente. Che va bene ma è solo una parte. In questo contesto “apoliti-co” non esiste, infatti, una visione di risollevazione economica ed un’emancipazione sociale che sto-ricamente rappresentano la base per la crescita collettiva. In questo modo si spiana la strada per una cultura che predilige personaggi forti a cui delegare le scelte e la-sciare la scena. I 5 Stelle rischiano di rimanere invischiati in in pieno in questa cultura. Il loro format di offerta politica ed elettorale ha un solido piano nella comunicazione di massa ed è interessante per l’in-trattenimento ma evidenzia anco-ra lacune per iniziare a presentare e praticare altri punti di vista su come vivere, lavorare e migliorar-si. Altrimenti ci sarà la vittoria de-gli apolitici che stanno diventando un vero problema per la loro forza pulsionale tanto quanto per la loro irrilevanza politica.

Il dibattito su privacy e notizie false è scoppiato ormai da più

di un anno e ruota tutto intorno a due temi: il primo è quello del-la privacy, vale a dire se Facebook rispetta gli standard o meno. Il se-condo è se Facebook sia solo una piattaforma (privata, aggiungiamo noi, sempre meglio ricordarlo) o è anche un editore. E se le valu-tazioni se una notizia sia falsa o meno debba avvenire attraverso algoritmi o con l’intervento uma-no. A prima vista sembrano solo questioni tecniche, invece sono di-ventate discussioni fondamentali dal momento che ormai Facebook è parte integrante della sfera priva-ta di ognuno di noi (o quasi) ed è in grado di condizionare campa-gne elettorali, voti e immaginario di miliardi di persone. Proviamo a capire quali sono i problemi e le possibili soluzioni con l’aiuto del sito Valigiablu.it che ha sempre prodotto analisi e approfondi-menti a riguardo. Partiamo tutta-via da una premessa: Facebook è lo strumento ma la sostanza del problema sta nei processi di di-sinformazione anche dei media classici che devono difendere gli interessi di chi li finanzia e della classe dominante. La breccia che tale disinformazione fa in seno al

popolo avviene perché c’è sempre meno investimento nell’istruzione e sempre più distacco fra cittadino e politica. Facebook quindi è la punta di un iceberg che va molto più in profondità ed il problema della disinformazione e delle no-tizie false non nesce certo con l’a-zienda di Zuckerberg. Basta solo ricordare la campagna di falsità prodotta, quando ancora Facebo-ok non esisteva, da parte di chi vo-leva iniziare la disastrosa guerra in Iraq con tanto di Colin Powell che mostrava all’Onu una fiala e delle foto per dimostrare la presenza di armi di distruzione di massa nel paese di Saddam. Quindi le bugie e le fake news sono sempre esistite, adesso è solo cambiato il modo in cui prendono forma e si diffondo-no. Ed uno dei motivi per cui spes-so molti credono a cose impensa-bili parte soprattutto dalla sfiducia, legittima e comprensibile, che si è creata intorno a media tradiziona-li e politica. Senza mai scordarsi che solo poche settimane fa, quo-tidiani ritenuti autorevoli hanno pubblicato la foto di una modella e la hanno indicata come la sorella del kamikaze di Manchester, dif-fondendo a loro volta una bufala incredibile. L’imbroglio di Facebook alla

UE. Lo scorso 18 maggio il Com-missario alla Concorrenza della Commissione europea ha inflitto una multa di 110 milioni di euro (avrebbe potuto portarla fino a 250 milioni) a Facebook per l’acqui-sizione di WhatsApp. Nel 2014 Facebook comunicò alla Com-missione l’intenzione di acquisire WhatsApp ma dichiarò che non poteva stabilire una corrisponden-za automatica tra account Face-book e utenti WhatsApp. Invece nell’agosto 2016, le due aziende annunciarono la possibilità di collegare i numeri di telefono con gli account degli utenti del social network. E’ stato accertato anche che nel 2014 Facebook disse una bugia alla Commissione perché era già in grado al tempo di fare questa operazione. Con l’acquisizione di WhatsApp, di fatto Facebook ha acquistato un elenco telefonico da un miliardo di persone, molti dei quali già iscritti alla propria piatta-forma. Con questa mossa Facebo-ok ha ovviato al fatto di non avere il numero di telefono dei propri utenti (vi ricordate che più volte aveva provato a chiederlo ogni vol-ta che ci si collegava?) ed adesso è in grado di abbinare un numero di telefono anche a quei profili falsi o seminascosti alzando moltissimo

le proprie capacità di “profilazione dell’utente” per poi venderla a fini pubblicitari, operazione che aveva già fatto nel 2012 con Instagram. C’è però un problema: 110 milioni per Facebook sono niente. Tanto per farsi un’idea, il colosso dei so-cial network ha pagato WhatsApp 19 miliardi e nel 2016 nel ha fatti 6 di fatturato e 2 di utile. Come ha scritto giustamente Valigiablu.it nel proprio articolo si tratta prati-camente di una “monetizzazione dei diritti” a costi irrisori. Chi decide se è una fake news? L’e-vento che fece scoppiare il dibattito su come controllare e segnalare le fake news fu la bufala, condivisa da migliaia di utenti, del sostegno di Papa Francesco a Trump durante la campagna elettorale americana. Il dibattito però si è incentrato sul fatto che dovesse essere un algorit-mo a fare questo lavoro oppure la decisione finale dovesse spettare giocoforza ad un essere umano. Intanto c’è da precisare una cosa. Come avviene spesso la bufala rag-giunge molte più persone se ne par-lano i media tradizionali che con le condivisioni sui social network. Le fake news sono argomento che attira il lettore quindi, seppur con finalità diverse, viaggiano anche per meri-to di chi... (continua a pagina 3)

Ministero della Verità

Privacy e fake news: come si regolamenta la nostra vita invasa da Facebook? Dopo la vittoria di Trump ed il diffondersi delle bufale molti chiedono a Zuckerberg di intervenire, ma che sia la mano umana o un algoritmo, il rischio concreto è che Facebook, sempre più potente dopo l’acquisto di Whatsapp, diventi un Ministero privato della Verità.

Mensile. Sede: via dei Mulini, 29Direttore Responsabile: Paola Chiellini

Tipografia: SaxoprintRegistrazione del Tribunale di Livorno

n° 5/06 del 02/03/2006

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internazionale Anno XII, n. 127 7stile liberoEstate 2017

affondamento che non si sa se è stata frutto dell’ incompetenza e di scelte sbagliate o del progetto stesso della campagna. La campagna elettorale delle legislative che inizia vedrà af-frontarsi i quattro partiti che ora dominano la politica francese. Quello di Emmanuel Macron aspira alla maggioranza assolu-ta dei seggi. Tuttavia questo non sembra il desiderio dei francesi, che non hanno mandato questo messaggio dalle urne. Tenendo conto delle modalità di scruti-nio tradizionale in Francia, sarà più importante che mai che i partiti chiariscano le loro posi-zione. I sostenitori di Jean-Luc Mélenchon possono aspettarsi di ottenere buoni risultati. Ma hanno di fronte difficoltà consi-derevoli a causa del sistema di votazione. Si dovrà stare attenti che questa elezione non per-metta di restituire il controllo a partiti falliti, o che sbocchi nel-la concessione di tutti i poteri a Emmanuel Macron.

Tratto da www.rebelion.org, tra-duzione per Senza Soste di Nel-lo Gradirà. Testo pubblicato nel blog di J. Sapir La Russie et l’Europe e in http://www.el-viejotopo.com/topoexpress/los-i-nicios-de-la-presidencia-macron/.

Emmanuel Macron è stato eletto con un’ampia mag-

gioranza dei voti espressi il 7 maggio. Con il 66% dei “votan-ti” ottiene un risultato impres-sionante, anche se ingannevole. Il grande numero di astensio-ni e schede “bianche o nulle” riduce il suo risultato al 43% degli aventi diritto. Questa per-centuale dev’essere confrontata con quella ottenuta nel 2002 da Jacques Chirac in una ele-zione presidenziale nella quale al secondo turno c’era ugual-mente un candidato del Fronte Nazionale. In quella occasione così speciale, Jacques Chirac ot-tene i voti del 62% degli aventi diritto. La differenza di 19 punti che si è prodotta in 15 anni, tra l’elezione di Jacques Chirac e quella di Emmanuel Macron, è molto significativa. Mostra che c’è stato più che altro un voto contro; i sondaggi, che peraltro devono essere presi con cautela, indicano che solo il 43% delle persone che hanno scelto di vo-tare per Macron approvano il suo programma. Il successo di Emmanuel Ma-cron può quindi apparire un’il-lusione ottica. Il sostegno quasi unanime della stampa, dei prin-cipali mezzi di comunicazione che si sono impegnati con note-vole indecenza a favore di que-

sto candidato, non è bastato dun-que a fargli raggiungere un livello minimo corrispondente a quello di Jacques Chirac. I 19 punti che gli sono mancati dicono molto sulla rabbia che provano i francesi, una rabbia largamente espressa duran-te tutta questa campagna. Durante i “festeggiamenti” or-

ganizzati per annunciare i risultati, con una scenografia così studiata e priva di spon-taneità che an-che i giornalisti dei principali canali di televi-sione lo hanno sottolineato, si è assistito ala messa in scena di una doppia contraddizio-ne che potreb-be caratteriz-zare tutta la Presidenza di Macron. La prima con-traddizione fu quella di pre-sentare l’eletto come un uomo solo, libero da qualsiasi vinco-lo, come voleva

dare ad intendere il suo percorso in solitario verso lo scenario del Lou-vre, quando in realtà la sua can-didatura è un’enorme impresa di riciclaggio di politici falliti o a fine carriera del PS, del “centro” e an-che della destra. La seconda è stata quella tra il tono apertamente “eu-ropeo” della scenografia del Car-

rousel del Louvre e il discorso pro-nunciato da Emmanuel Macron sul palco, un discorso nel quale la Francia era ampiamente presente. Ha parlato anche di quello che ave-va già detto su televisioni straniere ma che aveva taciuto in Francia: che voleva «rifondare l’Europa». Tuttavia qualsiasi progetto di cam-biamento delle istituzioni dell’U-nione Europea, dato che -da un punto di vista politico e istituzio-nale- l’Europa non esiste, passa necessariamente da un confronto esplicito con la Germania. Em-manuel Macron dovrà scegliere tra una preferenza francese o una europea. Se vuole combinare le due cose e non scegliere, si metterà nelle mani di Berlino e mostrerà a tutti che la sua presunta volontà di «rifondare l’Europa» non era altro che la maschera della sottomissio-ne, intenzionale o imposta. La sconfitta di Marine Le Pen è in-discutibile. Lo è tanto più che nei primi giorni della campagna del secondo turno dell’elezione presi-denziale si è prodotta una dinami-ca che mostrava come le intenzioni di voto passavano, nei sondaggi, dal 38% al 42%. Questa dinamica si è rotta a causa in gran parte del-la sua campagna. Se è passata dal 42% al 34% non può che incolpare se stessa. Le ambiguità e confu-sioni della sua campagna hanno avuto come effetto un autentico

FRANCIA - La situazione dopo le elezioni presidenziali nel paese transalpino

Gli inizi della Presidenza Macrone il Cormorano (2003) che è sta-ta un’esperienza per me a dir poco lisergica… Ripensando-lo adesso non tornerei indie-tro su niente e sicuramente è stata l’esperienza più formati-va nella mia vita nel cinema, sia per comprendere i rapporti con la produzione che la stes-sa mia idea di messa in scena che si formava secondo dopo secondo nella mia doppia ve-ste di regista ed interprete. Roba da finire alla neuro. Det-to questo le altre esperienze che si sono stratificate spesso sono capitate sul cammino. Anche la collaborazione con Gianni Morandi per Padroni di Casa è nata da un’idea con-divisa come pensiero ad alta voce con Valerio Mastandrea.

Un progetto che si è sviluppato come per scatole cinesi, dove via via veni-va fuori un pezzet-to dopo l’altro del film. Anomala la gestazione produt-tiva ma anche la re-alizzazione rispet-to a un panorama dove un film del genere con cast del genere viene tutt’o-ra guardato storto. Da lì anche le espe-rienze televisive che ho fatto sia con un personaggio come Corrado Guzzan-ti (Dov’è Mario?, 2016, Sky Atlantic) e poi adesso con In treatment (serie tv coodiretta insieme a Saverio Costan-zo) sono figlie una dell’altra. Di come attrai un certo tipo di personaggi e di storie entrando in contatto con deter-

minate esperienze. A seconda di come ti posizioni capisci se trovi l’incastro giusto, al-tre volte magari non è succes-so. Con Corrado ad esempio è successo. Il copione che aveva scritto insieme al suo co-sceneggiatore Mattia Torre era esaltante, mi divertii mol-tissimo a leggere una storia dai toni e dal lessico comici, come nel suo stile classico, ma con una forte e feroce venatu-ra horror. Per me è stata una grandissima occasione e lo ringrazio che abbia pensato a me per dirigerla.

...(continua)...

La versione integrale dell’inter-vista verrà pubblicata sul nostro sito a fine agosto.

A cura di Lucio Baoprati

Venerdì 12 settembre 1997 usciva nelle sale Ovoso-

do, terzo lungometraggio del regista livornese Paolo Virzì, una settimana dopo aver vinto il Premio speciale della Giuria alla 54ª Mostra del Cinema di Venezia. A metà luglio la città ha omaggiato il venten-nale dell’uscita di un film che a Livorno è stato tanto amato quanto odiato. Un film che, al di là di esaltazioni e critiche, allora cambiò prospettiva sul proprio futuro a molte perso-ne che parteciparono con vari ruoli e compiti alla sua realiz-zazione, tracciando per molti un solco da seguire. A parti-re dal giovane protagonista di quel film, Edoardo Gabbriel-lini, nato a Pisa il 16 luglio del ‘75, cresciuto a Livorno, ora attore e regista affermato con importanti lavori e colla-borazioni sia nell’ambito del cinema che della televisione da anni trasferito a Bologna. Abbiamo approfittato della sua presenza a Livorno, ospite della recente edizione del Fi-Pi-Li Horror Festival, per in-contrarlo ed intervistarlo.Vent’anni fa è un uscito un film che probabilmente ti ha condizionato la vita.Mi ha condizionato, modifica-to e stravolto la vita direi. In tanti sensi. A 21 anni avevo appena finito il primo anno di Università a Firenze, studiavo Lettere moderne. Nella pausa estiva mi ritrovavo a fare i tuf-fi al Sonnino e li ho incontrato il fratello di Paolo Virzì, Carlo che mi ha proposto una roba assurda, alla quale non avevo mai pensato; fare l’attore in un film. Come spettatore sono sempre stato compulsivo: con la mia amichetta Alessandra già a nove anni delle volte la domenica in Bmx correvamo dal Metropolitan all’Odeon, perché facevamo lo spettacolo delle 15 nel primo e poi andare a quello delle 17.30 dall’altra parte, ma tutto qui. Se penso a tutto il percorso successivo, a quello che sto cercando di fare tutt’oggi, vent’anni dopo, è in-discutibilmente figlio di quel-la esperienza inaspettata.In Ovosodo interpretavi il protagonista Piero Mansani, che dal Liceo finisce poi in fabbrica, te invece nella re-altà alle superiori hai fatto l’Iti.Fu una scelta dettata dal cuo-re e da un po’ di pigrizia esi-stenziale. Alle medie dissero ai miei che sarei stato adatto ad un liceo, ma il mio migliore amico andava all’Iti. Mi ave-vano detto che dopo una scuo-la tecnica come quella spesso non importa fare l’Università e dato che in quel periodo ave-

vo voglia di fare tutto tranne che di studiare mi sembrò la via più ovvia. Dopo il triennio, fug-gito da meccanica e passato al Geometri, grazie alla professo-ressa Cinzia Consoli ho svilup-pato la passione per la lettura e la letteratura. Da lì ho fatto un salto verso altro, sono andato a studiare a Firenze, dove ho co-minciato a frequentare attiva-mente un centro sociale e dove ho sviluppato una passione per le pellicole super8 trovate nei tanti mercatini in città. La coincidenza dell’incontro con Virzì forse rientra quindi in una prospettiva vaga e stonata che avevo, in qualche strano modo aderente a quel mondo.Prima di entrare in contat-to con il mondo del cinema e

della cultura in genere, quale era la tua prospettiva di futu-ro nella Livorno di metà anni ‘90.A quell’età eravamo in tanti credo a non saper neanche pro-nunciare il termine “prospet-tiva”. Mi ricordo che Livorno sembrava Seattle da quanti gruppi suonavano… io non suonavo ma mi è sempre pia-ciuto frequentare i “fondini” dove si ritrovavano le band. Gli stimoli creativi erano davve-ro tanti. C’era tutto, non c’era niente. Le giornate erano eter-ne e pensavo che avrei condivi-so vinili con il mio amico musi-cista Simone Soldani e parlato di quanto saremo stati ganzi domani, per un tempo infinito. E’ stato magico.Una creatività che però non emerse dal film, ed alcuni am-bienti mossero da subito cri-

tiche ad Ovosodo per come rappresentava la città, soprat-tutto all’esterno, dando l’idea di una Livorno appiattita sui luoghi comuni e con il prota-gonista che alla fine, da talen-tuoso studente, finisce in una situazione normalizzata ed autoconsolatoria sull’asse fab-brica-famiglia.Andiamo per ordine. La fac-cenda dell’immagine di Livor-no credo che sia una totale idio-zia. All’uscita dei 4 Mori, dopo la prima, qualcuno mi disse con tono irritato che non si parlava della situazione del porto e ne-anche del cantiere navale, come se il film dovesse essere un ri-tratto documentaristico e fede-le da tutti i punti di vista, antro-pologico, sociale e politico del-

la città. Virzì non ha mai inteso il film in quei termini, dato che si voleva raccontare una storia universale di formazione. Oggi ahimè la fine con il personag-gio che finisce in fabbrica viene da rimpiangerla, perché adesso di fabbriche non ce ne sono più e di conseguenza non c’è più lavoro: è un mondo che non esiste più quello del film. Negli anni mi sono ritrovato a parlare con coetanei come noi in tutta Italia che si ricordano quel film con un affetto emotivo legato all’empatia per un personag-gio che indiscutibilmente evoca una verità romantica di quel pe-riodo. Detto questo penso che un film sia sempre un’operazio-ne politica, ogni espressione ar-tistica è politica e quindi è inte-ressante aprire una discussione in quei termini. Forse su questo film in questa città ne abbiamo

approfittato, un po’ per noia un po’ per cinismo forzato.Dopo Ovosodo hai lasciato Li-vorno.In realtà dopo Ovosodo ho la-sciato Firenze dove studiavo. Il cinema è romanocentrico e quindi ne ho approfittato e mi sono spostato a Roma per qualche anno, ma per me era troppo faticoso vivere in quella città così aggressiva e arrogan-te e allora mi sono spostato a Bologna. Lì ho ritrovato la di-mensione della provincia evi-dentemente più adatta a me con in più la presenza di una delle cineteche più importanti del mondo che mi ha regalato tante emozioni incredibili. Il cinema è molto presente nel tessuto so-ciale della città, è raro vedere

le fila davanti ai cinema come succede a Bologna.Sul piano professionale il tuo percorso è stato decisamente interessante.Per stare davanti a una mac-china da presa ci vuole un ca-rattere particolare. Nel tempo ho avuto sempre più difficoltà, tranne rare e amichevoli situa-zioni. Situazioni umane che mi mettessero a mio agio, con Luca Guadagnino nello spe-cifico ci conoscevamo da anni eravamo già molto amici e nel momento in cui ha pensato a me come il cuoco di Io sono l’amore (2009), conoscendolo e condividendo con lui una idea di cinema molto simile tutto è venuto naturalmente. Il lavoro di preparazione per il film è sta-to unico e molto bello.Ma come dicevo prima mi ero già orientato alla regia con B.B.

Lo sguardo fuori dal guscioVISIONI - Intervista al regista ed attore labronico Edoardo Gabbriellini, protagonista vent’anni fa di Ovosodo

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Seguendo il copione scritto da-gli esperti e dagli strateghi della

CIA specializzati nella destabiliz-zazione e nella demolizione di governi, in Venezuela la contro-rivoluzione ha fatto un “salto di qualità”: dall’ebollizione della piazza, fase iniziale del processo, si è passati a una guerra civile non dichiarata come tale ma messa in atto con insolita ferocia. Non si tratta più di guarimbas [barricate nelle strade, ndt], di occasionali scaramucce o di violenti scontri di piazza. Gli attacchi a scuole, ospedali pediatrici e maternità; la distruzione di flotte intere di autobus; i saccheggi e gli attacchi alle forze di sicurezza, inermi con i loro cannoni ad acqua e gas la-crimogeni di fronte alla ferocia dei mercenari della sedizione e il linciaggio di un giovane al grido di “chavista e ladro” sono sinto-mi inequivocabili che proclamano chiaramente che in Venezuela il conflitto ha effettuato una escala-tion fino a diventare una guerra civile che coinvolge già varie città e regioni del Paese. Se mancava qualcosa per potersi rendere conto dell’inedita gravità della situazio-ne e della determinazione delle forze eversive di mettere in atto i loro progetti fino alle estreme conseguenze, l’emblematico in-cendio della casa natale del Co-mandante Hugo Chávez Frías

mette dolorosamente fine a qualsi-asi speculazione su questo tema. Sarebbe ingenuo e suicida pensare che la dinamica di questo scontro, concepito per produrre una deva-stante crisi umanitaria, possa non es-sere il presupposto per un “intervento umanitario” del Comando Sud degli Stati Uniti. Questa minaccia esige da parte del governo bolivariano una ri-sposta rapida e incisiva, perché con il passare del tempo le cose peggio-reranno. Il patriottico e democratico appello del presidente Nicolás Ma-duro per una Costituente è servito solo per attizzare la violenza e la fu-ria selvaggia della controrivoluzione. La ragione è ben chiara: questa non vuole una soluzione politica della crisi che essa stessa ha creato. Quello a cui mira è di approfondire la disso-luzione dell’ordine sociale, farla fini-ta con il governo chavista e annienta-re tutta la sua dirigenza, propinando una brutale lezione perché nei pros-simi cento anni il popolo venezuela-no non torni ad osare di voler essere padrone del suo destino. I tentativi di accordo con un settore dell’oppo-sizione aperto al dialogo sono falliti completamente. Non per mancanza di volontà del governo ma perché,

e questa è la vergognosa realtà, l’e-gemonia della controrivoluzione è passata, nella fase attuale, nelle mani della sua frazione terrorista e questa viene comandata dagli Stati Uniti. In Venezuela si sta applicando, con metodica freddezza e sotto la conti-nua supervisione di Washington, il modello libico di “cambio di regi-me”, e sarebbe fatale non prendere coscienza dei suoi obiettivi e delle sue conseguenze. Il governo boli-variano ha offerto in innumerevoli occasioni il ramoscello d’ulivo per

pacificare il Paese. Non solo la sua offerta è stata rifiutata ma la destra golpista ha rafforzato le sue attività terroriste. Di fronte a questo, l’unico atteggiamento sensato e razionale che resta al governo del presidente Nicolás Maduro è procedere all’e-nergica difesa dell’ordine istituziona-le vigente e mobilitare senza ritardi l’insieme delle sue forze armate per schiacciare la controrivoluzione e ripristinare la normalità della vita sociale. Il Venezuela è oggetto non solo di una guerra economica e di

una brutale offensiva diplomati-ca e mediatica ma ora anche di una guerra non convenzionale che ha causato più di cinquanta morti e prodotto ingenti danni materiali. “Piano contro piano”, diceva Martí. E se una forza so-ciale dichiara una guerra contro il governo si richiede da questo una risposta militare. Il tempo delle parole è già finito e i suoi risultati sono visibili a tutti. E questo perché la posta in gio-co non è solo la Rivoluzione Bolivariana; è la stessa integrità nazionale del Venezuela che vie-ne minacciata da una dirigenza antipatriottica e coloniale che si trascina nello sterco della storia per implorare il capo del Coman-do Sud e ai caporioni di Washin-gton che accorrano in aiuto della controrivoluzione. Se questa arri-vasse alla vittoria, annegando nel sangue l’eredità del Comandante Chávez, il Venezuela scompari-rebbe come Stato-nazione indi-pendente e diventerebbe di fatto lo stato numero 51 degli Stati Uniti, che si impadronirebbero mediante questa cospirazione della maggior ricchezza petrolifera del pianeta.

Atilio A. Boron: fonte www.re-belion.org, traduzione per Senza Soste di Nello Gradirà

Come la Libia e la Siria?VENEZUELA - Scatenata una guerra civile contro il governo bolivariano

Page 3: Piccole speranze Ministero urbane della Verità · Horst Wein, mentore della cante- ... del Lebowski? pulsionale tanto quanto per la loro ... ze elimini la prima squadra e gli

per non dimenticare6 3interniEstate 2017

un tratto delle gallerie, che as-sunse l’aspetto di bunker anti-a-tomico, che avrebbe ospitato il governo italiano e il presidente della repubblica in caso di attac-co atomico sulla capitale. Una modifica imponente e segretis-sima perché la ristrutturazione fu pensata per poter vivere (forse sopravvivere) senza dipendere dall’esterno anche nel caso che fuori dalle gallerie sotterranee tutto avesse cessato di esistere. Eravamo in piena Guerra Fred-da e l’ipotesi che la Terra potes-se saltare tutta in aria per una guerra atomica era tutt’altro che peregrina. Il Genio Civile fece costruire dei diaframmi di prote-zione in cemento armato gettato a piè d’opera di spessore variabi-le tra i 10 e i 20 m di diaframma delle “Blast Door”, le porte che fungevano da controllo anticon-taminazione e che davano ac-cesso a una lunghissima galleria chiamata “Direttissima” che a sua volta conduceva a 4 celle di sopravvivenza. Una vera e pro-pria prigione sotterranea.I lavori, solo parzialmente ter-minati, si protrassero fino al 1972, quando, per ragioni anco-ra incerte, vennero bruscamen-te interrotti. Il bunker atomico, quindi, non fu mai utilizzato, né completato. Non ce ne fu biso-gno, per fortuna, anche perché a quest’ora non saremmo a scri-vere o a leggere quest’articolo. Si temeva infatti un cataclisma incalcolabile. Una bomba nu-cleare di media portata avrebbe distrutto tutto il Lazio, ma il ti-more era che l’Unione Sovietica potesse lanciare la Bomba Zar, la più potente bomba all’idroge-no mai sperimentata dall’uomo, progettata dal fisico poi dissi-dente Andrej Sacharov. Quanto costò tutto questo? Non è dato saperlo. Resta l’ultimo mistero di questa montagna.

TITO SOMMARTINO

L’hanno chiamata Monta-gna del diavolo, Monte dei

misteri, Monte magico, La fine del mondo. Il Monte Soratte si trova a neanche 50 km a nord di Roma ed è un enorme e ma-estoso massiccio calcareo che si stacca in modo perentorio ed estremamente suggestivo sulle pianure circostanti, qua-si da sembrare un isola. Dalla vetta, alta quasi 700 metri, si può godere di uno splendido panorama a 360 gradi e nelle giornate migliori ammirare il Monte Amiata da una parte e Valmontone dall’altra. Le sue viscere, che hanno custodito per anni pagine secretate, mi-steri e leggende non ancora completamente chiariti, hanno scritto una pagina importante e ancora poco conosciuta della storia italiana del secolo scorso. I lavori di scavoQui, nel 1937, proprio per la vicinanza con la Capitale, per volere di Mussolini viene av-viata la realizzazione di nume-rose gallerie all’interno della montagna che si diceva fossero i magazzini della fabbrica di armi della Breda, le cosiddette “Officine protette del Duce”. In realtà si trattava di un vero e proprio bunker, un guscio protettivo inespugnabile che avrebbe dovuto servire da rifu-gio antiaereo per le alte cariche del governo e dell’Esercito Ita-liano. Un vastissimo centro sot-terraneo quasi invisibile dall’e-sterno. I lavori di quella che fu poi definita “la città oscura” sono svolti sotto la direzione del Genio Militare di Roma e ancora oggi, con i suoi quasi 4 km di lunghezza, questo dedalo ipogeo costituisce una delle più grandi ed imponenti opere di ingegneria militare presenti in Europa.Il progetto avrebbe addirittura dovuto comprendere quattro ulteriori lotti per un totale di 14 chilometri, anch’essi sotto la direzione generale del Ge-nio Militare di Roma. L’intera opera di scavo, protezione e ri-vestimento in cemento armato delle gallerie viene realizzata in un arco di tempo di soli quattro anni e mezzo. Oltre allo scavo delle gallerie vengono costruite due vie d’accesso: una da nord e una da sud, di cui solo la secon-da viene completata prima del-lo scoppio della guerra. La po-polazione locale vede di buon occhio i lavori, che comportano un notevole slancio economi-co-industriale per il territorio sebbene la maggior parte dei lavoratori provengano da altre zone d’Italia, soprattutto dal nord, in quanto maggiormente specializzati. Durante i lavori si hanno molti feriti e un morto.Il bunker nazistaDurante la Seconda Guerra Mondiale, nel settembre del 1943, il “Comando Supremo del Sud” delle forze di occupa-zione tedesche in Italia guida-to dal Feldmaresciallo Albert Kesselring lascia il quartier ge-

nerale del comando di Frascati e si stabilisce proprio sul Sorat-te. Per un periodo di circa dieci mesi, le gallerie si prestano come valido rifugio segreto per i mille soldati nazisti che vi fanno una vera e propria città in miniatura: infermeria, cinema, perfino un pub in stile nordeuropeo. Il bun-ker resiste al pesantissimo bom-bardamento del 12 maggio 1944 effettuato da due stormi di B-17 alleati, partiti appositamente da Foggia per distruggere il quar-tier generale tedesco al Soratte. Gli americani fanno partire una vera e propria tempesta di fuoco e per cercare di entrare in profon-dità legano tra loro le già potenti bombe a gruppi di 3, 5, 10 unità. L’intento è quello di bruciare vivi tutti coloro che stanno all’inter-no: le fiamme avrebbero percorso velocemente le gallerie come una palla di fuoco in cerca di ossigeno. Ma gli ingegneri previdero anche questa possibilità e, un po’ le pare-ti calcaree spesse 20 metri, un po’ le bocche di aria fresca installate nelle gallerie (oltre alle numerose maschere di ossigeno), il bunker resiste. Cosa successe esattamente là sotto, però, non lo sappiamo e mai lo sapremo. Sicuramente non ci fu alcun morto. All’esterno, in-vece, muoiono 100 tedeschi e due civili italiani sorpresi nel bel mez-zo della “Fire Storm”.

Il mistero del tesoro nascostoSembrerebbe che, prima di abban-donare l’area, il Feldmaresciallo dette ordine di minare ed incen-diare tutto il complesso ipogeo e di interrare delle casse contenenti parte dell’oro sottratto alla Banca d’Italia. Il condizionale è d’obbli-go perché mai è stato chiarito se si tratti di verità o leggenda. Qual-cuno sostiene che Kesselring, il cui intento sarebbe stato quello di tornare un giorno a riprendersi il tesoro, avrebbe fatto uccidere tut-ti i testimoni dell’interramento. E all’interno del bunker sono nume-rosi i segni di scavo alla ricerca di un oro diventato mitico. Perfino lo Stato italiano avrebbe commissio-nato delle perlustrazioni, a testi-monianza del fatto che si potrebbe trattare di qualcosa di più di una semplice leggenda. Anche perché chi ha fatto i conti di quanto uscito dalla Banca d’Italia durante l’occu-pazione nazista sostiene che è più del doppio di quanto momentanea-mente “parcheggiato” dai tedeschi nella roccaforte asburgica di For-tezza, in Alto Adige. E sembrereb-bero mancare proprio quei mille lingotti d’oro che si vorrebbe fosse-ro stati seppelliti dentro il Soratte.L’incubo atomicoPer anni, dopo la fuga delle truppe tedesche successiva al bombarda-mento, il complesso visse periodi di totale abbandono. Fu solamen-

te nel 1967, durante gli anni della Guerra Fredda, che, sotto l’egida della N.A.T.O., venne modificato

La fine del mondoa due passi da Roma

Anno XII, n. 127

AMMINISTRATIVE 2017 - Oltre ad alcune vittorie e sconfitte inaspettate, i numeri svelano flussi clamorosi

Il voto delle sorprese

scese a 114.245. Vittoria netta ma che faceva già vedere come al se-condo turno il centrosinistra face-va fatica a prendere voti diversi dai suoi e siccome l’affluenza era più bassa, addirittura ne perdeva. Ed i 5 stelle? Arrivarono terzi a 36.579. Nel 2017 ha vinto Bucci, candi-dato unitario del centrodestra che ha sconfitto Crivello, uomo del Pd non renziano. I numeri del pri-mo turno sono interessanti. Bucci 88.871 (solo 1.200 voti in più del 2012) e Crivello 76.407, 50mila! voti in meno del 2012. Il Pd è sce-so invece a 43.156 (meno 5mila). Il candidato dei 5 stelle ancora ter-zo con 41.507 voti, circa 5mila in più rispetto a 5 anni prima. Poi al ballottaggio ha vinto nettamente il centrodestra perché è risaputo che l’elettorato 5 stelle nei ballottaggi vota tutto eccetto il Pd. Insomma, se guardiamo i voti assoluti (cioè il consenso in carne ed ossa), il cen-trodestra è stabile, il centrosinistra (in particolare il Pd) a picco ed i 5 stelle in leggera crescita. La Spezia. Affluenza al primo turno 55,35% (-0,62%). Nel 2012 ci fu vittoria netta al primo turno

del candidato del Pd (10.136 voti) in alleanza con Sel e Rifondazio-ne (4.315 voti) più IdV e liste civi-che. In totale il candidato Federici prese 21.488 preferenze. L’attuale centrodestra, come a Genova, era diviso in tre can-didati (PdL, Lega, La Destra) che sommati arrivaro-no a mala pena a 8.346 voti. I 5 stel-le terzi con 4.368. Nel 2017 il ribal-tamento: il centro-destra ha vinto al ballottaggio dopo aver preso al primo turno 13.187 voti (quasi 5mila in più) mentre la coalizione del Pd (sen-za sinistra) si è fermata a 10.137 voti, meno della metà di 5 anni prima (anche il Pd ha preso quasi la metà dei voti). La sinistra invece si era presentata con due candi-dati (ci mancherebbe uno unico!) che hanno preso 4.347 voti, 32 in più di quelli di Sel e Rifondazio-ne 5 anni prima. I 5 stelle invece hanno perso circa 1.300 voti e si

sono fermati a 3.562. Insomma, La Spezia sancisce crollo del Pd, crescita del 60% della destra (con exploit di Fratelli d’Italia), voti identici a sinistra e calo dei 5 stel-le. Dove calano i 5 stelle cresce la

destra, il Pd senza coalizione di si-nistra perde ancora di più: sono le due sentenze di La Spezia. Carrara. Affluenza al primo turno 58,23% (-3,37%). Nel 2012 ci fu la vittoria al primo turno della coali-zione di centrosinistra del sindaco Zubiani: 17.876 preferenze totali di cui 8.266 del Pd e 3.215 di Sel e Rifondazione. C’era però anche un’altra lista di sinistra che correva

da sola e che prese 3.151 voti. Anche a Carrara, come Geno-va e La Spezia, il centrodestra aveva tre diversi candidati la cui somma fu solo 4.249 voti. Il M5S arrivò secondo con 4.604. Nel 2017 invece il M5S era già in testa al primo turno con 8.277 voti per poi stravincere al ballottaggio. Il candidato Pd è arrivato secondo con 7.673 voti (meno di quanti ne prese il Pd da solo nel 2012) mentre il Pd con 3.888 voti ha preso meno della metà dei voti. Terza è ar-rivata una lista civica con ex Pd con 4.604 voti. La sinistra invece era rappresentata da due liste ci-viche che in totale hanno preso 2.713 voti. Il Centrodestra unito si è fermato a 3.696 voti. Carra-ra è la città con una situazione più simile a quella di Livorno: disoccupazione, deindustrializ-zazione, accordo di programma, area di crisi, destra quasi inesi-stente e Pd diviso in correnti. E hanno vinto i 5 stelle. Forse per merito, forse per inerzia. Con-ferma di come le condizioni politiche, economiche e sociali possono indirizzare un’elezione. Pistoia. Affluenza al primo tur-no 55,62% (-1,85%). C’è stato uno spostamento a destra vi-stoso ma in termini assoluti il candidato di destra Tomasi ha preso 10.435 voti al primo turno mentre i tre candidati che erano divisi nel 2012 avevano preso in tutto 10.588 voti. E’ stato il Pd a crollare da 12.438 voti a 8.456 e la coalizione di centrosinistra da 23.284 a 14.675. I 5 stelle sono in leggero aumento da 4.023 agli odierni 4.584. Insomma, Pistoia che ha fatto tanto scalpore mo-stra che la fuga da Pd e coalizio-ni di centrosinistra finisce per lo più in astensione. Il trionfo del-la destra per il momento è solo nell’albo d’oro. La precarietà del voto ed il fenomeno dell’asten-sione mettono invece un carico di incertezza per il futuro.

Senza Soste redazione

Ci sono tante maniere per commentare ed analizza-

re le elezioni. Il primo è il più semplice ed è quello delle ban-dierine: quanti sindaci di ca-poluogo sono stati conquistati, quanti confermati e quanti per-si. Il grosso delle elezioni e dei vari commenti si gioca intorno a questo dato. Ma sarebbe come commentare i campionati di cal-cio di ogni paese limitandosi a guardare chi ha vinto lo scudet-to, chi era favorito o chi era de-tentore. Noi, come di consueto, cerchiamo di fare l’analisi dei voti assoluti al primo turno, per-ché riteniamo che le percentuali spesso non aiutino a capire cosa è successo. Le amministrative sono tuttavia il voto più com-plesso da analizzare perché la presenza di liste civiche che cor-rono da sole non permettono di dare un quadro esaustivo visto che molte rappresentano solo il candidato sindaco di turno. E poi c’è l’astensione, grande vincitrice delle elezioni. Abbia-mo preso 4 città che riteniamo più simili a Livorno: i porti di La Spezia, Genova e Carrara dove ha sempre governato PCI ed suoi (sicuramente peggiori) derivati e Pistoia dove la vitto-ria della destra ha fatto scalpo-re. Genova. Affluenza al primo turno 48,39% (-6,88%). Simbolicamente è la Caporetto del Pd in queste elezioni. Ma guardiamo i numeri. Nel 2012 al primo turno era finita con il Pd a quota 55.137 preferenze e la coalizione del sindaco “aran-cione” Doria a quota 127.477. Il centrodestra era diviso fra Musso (indipendente di centro-destra), PdL, Lega e La Destra, ognuno con un proprio candida-to. Andò al ballottaggio Musso con poco meno di 40.000 voti. Se si mettevano insieme tutti e quattro i candidati, quello che oggi è tornato ad essere il cen-trodestra unito arrivava a 87.585 voti. Al secondo turno Musso salì a 77.084 voti mentre Doria

(segue da pagina 1) ...le vuole combattere. Fino a oggi Face-book ha cercato di limitare il più possibile l’intervento umano per tutelare la presunta neutra-lità della piattaforma. E come sempre qualunque soluzione crea altri problemi. Ci sono due esempi classici che hanno sca-turito polemiche. Il primo è la famosa foto della bambina vie-tnamita che scappa nuda sotto il napalm lanciato dall’esercito Usa. Secondo l’algoritmo era una foto da censurare perché c’è la presenza di un nudo per di più di una bambina. Ma il valo-re storico, artistico e politico di quella foto sappiamo tutti qual è. Il secondo esempio è quello della sezione editoriale di Face-book, le “trending news, cioè le notizie più cliccate. Prima c’era un algoritmo che sceglieva le notizie ma con la testimonianza

di ex impiegati di Facebook è stato scoperto che la mano umana deter-minava quella sezione, accusando l’azienda di favorire alcune notizie a discapito di altre (Zuckerberg ad esempio era schierato con la Clin-ton e Facebook è stato accusato di favorire le notizie pro-Democrati-ci). Siccome Facebook, come già detto, vuole darsi un’immagine di neutralità, è stato ripristinato il sistema automatizzato. E quindi? Chi decide se una notizia è falsa o meno? Dopo la vittoria di Trump che per molti è stata scioccante e di cui molti danno merito anche alle fake news, Facebook ha deci-so di mettere mano al problema e trovare un sistema per segnalar-le pubblicamente. E qui nasce un altro problema, forse più grande.

Perché per molti ci sarebbe il ri-schio che Facebook diventasse una sorta di ministero (privato) della Verità e vista la diffusione del so-cial network, anche il più potente editore del mondo che decide qua-le siano le fonti affidabili e quelle no (che un giornale sia registrato presso il Tribunale ad esempio non è garanzia che non produca bufale) e quali contenuti lo siano o meno. Certo, Facebook potrebbe assume-re qualche migliaia di persone per fare il fact checking (controllo dei fatti) delle notizie condivise da un tot numero di utenti ma il livello discrezionale rimarrebbe alto e per molti sarebbe pericoloso. La do-manda quindi è un’altra. Facebook vuole mantenere la sua immagine di attore neutro (anche se non lo è,

chiaramente) oppure vuole diventa-re attore principale nel mondo glo-bale dell’informazione? In base alle strategie del colosso americano la scelta sarà una diretta conseguenza e noi dovremmo tutti rivalutare il nostro rapporto con la piattaforma. La fiducia perduta. Da qualunque parte si guardi il problema, le solu-zioni paiono dei palliativi o misure che vanno a risolvere un problema per crearne altri. Probabilmente la soluzione è molto più vicina a ciò che sta nel cuore dell’informazio-ne: i giornalisti dovrebbero concen-trarsi di più sul produrre un buon giornalismo, riconquistando la fi-ducia dei lettori. Se siamo arrivati a questo punto è perché i giorna-listi hanno saccheggiato la verità e svolto il proprio lavoro soprattutto

al servizio della propria azienda e di chi la controlla dal punto di vista politico e finanziario.Concludiamo con una conside-razione che Arianna Ciccone fa in un articolo di Valigiablu.it su odio in politica e fake news: “Oggi, i partiti politici non sono più solo le persone che dovrebbero gover-nare nel modo in cui noi vogliamo. Sono una squadra da sostenere, e una tribù di cui sentirsi parte. E la visione politica dei cittadini è sem-pre più a somma zero: si tratta di aiutare la loro squadra a vincere, e fare in modo che l’altra squadra perda. Questa forma di “tribali-smo” spinge le persone a cercare e a credere a notizie che confermano i loro pre-esistenti pregiudizi, al di là se siano vere o meno. E questo è as-solutamente trasversale. Non è una esclusiva di una sola parte politica”. Senza Soste redazione

Ministero della Verità

STORIA - 80 anni fa, nelle viscere del Monte Soratte, Mussolini fece costruire una serie di gallerie che dovevano servire come rifugio in caso di guerra. Nel ‘43 la montagna fu occupata dai Tedeschi e, nel giugno del ‘44, dopo un terribile bombardamento americano, abbandonata da Kesselring. 50 anni fa, in piena Guerra Fredda, le stesse gallerie furono riconvertite in bunker anti-atomico dal Governo Italiano e dalla Nato.

La Bomba Zar

Realizzata da un gruppo di fisici sovietici guidati da Andrej Sacharov, fu testata il 30 ottobre 1961 con effetti devastanti: fu osservato un raggio di distruzione totale di 35 km. La bomba fu sganciata il 30 ottobre 1961 nella baia di Mitjušicha, sull’isola

di Novaja Zemlja a nord del circolo polare artico. Fu fatta esplodere a 4.000 metri dal suolo e, dopo un lampo molto intenso

di luce, si generò una palla di fuoco che si espanse fino a un diametro di quasi 8 chilometri: si avvicinò al suolo per poi risalire

e raggiungere l’altitudine alla quale il Tu-95 si era trovato al momento del rilascio dell’ordigno. Nel frattempo iniziò a sollevarsi

il fungo, mentre l’onda d’urto iniziò a propagarsi circolarmente.La pressione dello scoppio raggiunse un picco sei volte superiore

a quella di Hiroshima e il “fungo” causato raggiunse l’altezza di 64 chilometri. Nonostante il cielo fosse nuvoloso, il lampo venne

visto a 1.000 chilometri di distanza. Uno dei testimoni riferì di aver percepito l’abbagliamento (anche attraverso gli occhiali protettivi)

e il surriscaldamento della pelle alla distanza di 270 km.L’onda d’urto venne registrata nell’insediamento di Dikson a

700 km, mentre vennero danneggiate le imposte in legno delle case sino a 900 km dall’ipocentro fino in Finlandia. Tutti gli edifici presenti sull’isola di Severnyj, realizzati in mattoni e legno, situati a 55 km di distanza dall’impatto furono completamente distrutti. In alcuni distretti posti a centinaia di chilometri, le case in legno vennero rase al suolo, mentre quelle in pietra persero il tetto, le finestre e le porte. Le radiazioni prodotte ionizzarono l’aria

e interruppero le comunicazioni radio per quasi un’ora. L’onda sismica generata dall’esplosione fece tre volte il giro della Terra e nonostante l’esplosione fosse stata innescata nell’atmosfera, l’U.S. Geological Survey misurò una scossa tellurica compresa

tra 5,0 e 5,25 della scala Richter con un’onda d’urto propagata e percepita in tutto il mondo.

A Carrara come a Livorno: con certe

condizioni economiche e sociali il voto di

protesta va ai 5 Stelle.

Page 4: Piccole speranze Ministero urbane della Verità · Horst Wein, mentore della cante- ... del Lebowski? pulsionale tanto quanto per la loro ... ze elimini la prima squadra e gli

Livorno Livorno Anno XII, n. 127 Estate 20174 5

visita alla festa. Un passo alla volta, poi ci sarà da capire che oggi creare un’of-ferta turistica o di eventi con quartieri o distretti alberghieri rifiuti zero (vedi l’esperienza di Sorrento) non è ne un peso, ne una noia ne un costo ma un’opportunità. Qualunque amministrazione sarà a palazzo comunale questo è il futuro per quanto riguarda la salute, l’eco-nomia, il turismo e l’immagine

della città. Intanto il Movimen-to Zero Waste presieduto da Rossano Ercolini ha ideato un brand “Eventi a Rifiuti Zero” che può essere attribuito ad uno specifico evento a fronte del rispetto di una serie di regole. Questo è il futuro.

Senza Soste redazione

Sono ormai passati quasi 4 anni dall’avvento della rac-

colta porta a porta nel quartiere La Venezia ma ogni anno duran-te Effetto Venezia niente pareva cambiato. I 10 giorni, poi diven-tati 5, della festa hanno sempre prodotto quintali e quintali di rifiuti indifferenziati finiti dritti nell’inceneritore. La domanda che ci siamo sempre posti era ed è: che senso ha? Perché non vie-ne utilizzata la festa cittadina più partecipata dai livornesi per in-formare e sensibilizzare i cittadi-ni e sperimentare in queste occa-sioni? Qualcuno dirà che il caos di quei 5 giorni non è adatto, altri che crea troppe limitazioni agli esercenti, altri ancora che è impossibile controllare ristorato-ri e cittadini in quelle condizioni. Può darsi ma basta girarsi un po’ attorno per vedere che le feste a rifiuti zero (o pochi rifiuti) si pos-sono fare. L’esempio di Lari. Lo scorso primo maggio a Lari c’è stata la consueta Festa Rossa che per la prima volta è stata a rifiuti zero. Gli organizzatori si sono impo-sti di comprare tutto l’occorrente usa e getta in materiale compo-stabile (cioè da buttare nell’orga-nico insieme agli avanzi di cibo) ed hanno chiesto anche a bar e ristoranti del paese di farlo. In queste occasioni, infatti, si deve intervenire alla fonte, vale a dire non consegnare ai clienti mate-riali in plastica o difficilmente

differenziabili. Ed in questo modo è anche molto più semplice diffe-renziare: il 90% di ciò che viene utilizzato va tutto nel solito bidone dell’organico insieme agli avanzi di cibo. Difficile sbagliare. Sap-piamo già che qualcuno potrebbe controbattere che tutto ciò costa di più. Vero, i prodotti compostabili costano di più anche se i prezzi, mano a mano che l’utilizzo si dif-fonde, sono in fase discendente. Gli organizzatori per permettere a tutti di risparmiare hanno fatto un ordine unico, insieme anche ad al-tre feste, in modo tale da abbattere i costi. Naturalmente ci sono an-che altri esempi, anche più struttu-

rati, in cui le amministrazioni co-munali e le aziende della raccolta rifiuti hanno ridotto i costi o dato incentivi agli ambulanti che par-tecipavano o agli esercenti locali imponendo una festa a rifiuti zero. Da parte dell’azienda di raccolta c’era il vantaggio di trovare una raccolta migliore e più facilmente smaltibile, per la collettività l’ov-vio vantaggio per la propria salute e per l’ambiente.Effetto Venezia. Anche Effetto Venezia quest’anno vedrà l’ade-sione facoltativa degli esercenti per l’uso di materiali compostabili o di stoviglie classiche lavabili. Si tratta di una prima sperimentazio-

ne. Per i commercianti del settore ristorazione che aderiranno il costo di partecipazione ad Effetto Venezia sarà di 350 euro anzichè di 600. Se la filosofia di base deve essere quella di partire e sperimenta-re questo tentativo può anche essere apprez-zato. C’è da registrare però almeno tre criti-cità che in fu-turo dovranno essere miglio-rate: il primo è che il prezzo di partecipa-zione dello scorso anno era 350 euro quindi alla

fine gli esercenti l’hanno presa più come una pu-nizione che un incentivo. Il secondo che il mecca-nismo è partito in ritardo ed è stato comunicato solo un mese prima. Il terzo che ad oggi (a due settimane dall’evento) non è anco-ra specificato nel dettaglio il qua-dro entro cui dovranno operare concretamente. Insomma, la parte di progettazione, comunicazio-ne ed attuazione deve migliorare. Così come può migliorare il ruo-lo di Aamps per mettere in con-dizione anche i cittadini di poter differenziare facilmente durante la

Effetto rifiuto? Un po’ meno... AMBIENTE - Da quest’anno la possibilità di lavorare solo con usa e getta compostabile, ma ci sono criticità

con una Conferenza stampa in Comune il 3 maggio scorso e l’8 sono partite le attività dei sette sportelli cittadini (vedi immagine). Qui sarà possibile ricevere informazioni e chiari-menti, compilare un semplice modulo e dichiarare le proprie disponibilità e le proprie richie-ste. Fondamentale per il reale funzionamento di questi pro-getti la voglia delle persone di

partecipare e lasciarsi coinvol-gere: per partire non servono poi grandi numeri, un centinaio di nomi nella banca dati è una base sufficiente. Per facilitare il coinvolgimento sarebbe quindi opportuno che il Mov5stelle si astenesse dal rivendicare come proprio questo percorso, che nasce autonomo, onde evitare di tenere lontane persone inte-ressate alla BDT ma non inten-zionate ad essere strumentaliz-zate dalla propaganda grillina.

Senza Soste redazione

Finalmente dopo anni di ela-borazioni e tentativi è nata

anche a Livorno la prima signi-ficativa esperienza di Banca del Tempo. Sviluppate in Italia dalla metà degli anni ‘90 seguendo la neces-sità riattivazione e costruzione di legami sociali e sulla scorta di una riflessione delle donne degli anni 80 rispetto alla conciliazio-ne dei tempi di vita e di lavoro, le BDT sono in generale libere associazioni tra persone che si auto-organizzano e si scambia-no tempo per aiutarsi soprattutto nelle piccole necessità quotidia-ne, “organizzate come istituti di credito in cui le transazioni sono basate sulla circolazione del tempo, anziché del denaro”. Riferimento alle BDT lo trovia-mo anche nella L. 53/2000 “Di-sposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla forma-zione e per il coordinamento dei tempi delle città”, all’art 27: Per favorire lo scambio di servizi di vicinato, per facilitare l’utilizzo dei servizi della città e il rappor-to con le pubbliche amministra-zioni, per favorire l’estensione della solidarietà nelle comunità locali e per incentivare le inizia-tive di singoli e gruppi di cittadi-ni, associazioni, organizzazioni ed enti che intendano scambiare parte del proprio tempo per im-pieghi di reciproca solidarietà e interesse, gli enti locali possono

sostenere e promuovere la costitu-zione di associazioni denominate “banche del tempo”.Quella delle BDT è comunque una realtà molto variegate. Nel giugno del 2007 “grazie all’attività e alla tenacia di otto donne rap-presentanti di Banche del Tempo e Coordinamenti di varie regioni italiane, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Si-cilia, Veneto”, nasce ad Alì Terme (ME) l’Associazione Nazionale delle Banche del Tempo (la BDT

dalla quale prendono l’avvio tutte le altre di questo percorso nasce a Sant’Arcangelo di Romagna nel ‘95 per iniziativa del sindaco (donna) e del comitato pari oppor-tunità) che quest’anno festeggia il decennale di fondazione.Presidente di questa Associazione è Maria Grazia Pratella che il 4 giugno 2012 fu ospite a Livorno (in veste di Vice pres. BdT di Roma) dell’UNIPOP “Alfredo Bicchieri-ni” dove intervenne come relatrice al Corso di formazione per volon-

tari “Per una economia solidale e delle relazioni”. Da quell’inizia-tiva nacque il primo tentativo di costruzione di BDT a Livorno che doveva servire a “scambiare e a re-galare le nostre capacità e il nostro tempo senza passaggio di denaro perché il tempo non è denaro ma relazione solidale tra le persone”. Ma il tentativo non si concretizzò. Un progetto di BDT è stato lancia-to poi, ma senza esiti al momento, dall’associazione di promozione sociale Terra-Maestra, legata a tematiche più ecologisteNel frattempo l’idea di una BDT è riemerso all’interno del-la Consulta del volontariato di Livorno e gra-zie all’iniziative di varie realtà, in collaborazione con il Comune, è nata come associazione senza scopo di lucro che promuove lo scambio gratuito del tempo, la Banca Del Tempo Di Livorno, con presidente Laura Furetta, ex insegnante già presidente di In-tercultura. Il progetto, che nace per “soddisfare esigenze e bisogni immediati e quotidiani, per realiz-zare piccoli desideri, per conosce-re altre persone, per contribuire a nuovi modelli di economia par-tendo dalle persone e dalle rela-zioni umane” è stato presentato

ECONOMIA SOCIALE - Dall’8 maggio aperti anche a Livorno gli sportelli della Banca del Tempo

Scambi cont(r)o corrente

JACK RR

Finalmente qualcuno che parla di valore aggiunto, vale a dire

la differenza che rimane tra costi di ogni tipo per unità produttiva ed i suoi ricavi, il risultato della combinazione dei fattori espresso in valore monetario. Finalmente qualcuno che porta i dati per misu-rare la ricchezza prodotta. Stiamo parlando della Camera di Com-mercio Maremma-Tirreno che ha pubblicato il Rapporto sull’E-conomia del Mare 2017 e della nuova presidente di Confesercenti Livorno, Maristella Calgaro, che nella sua relazione d’ingresso, ha interpretato alcune serie di questi dati limitandosi a quelli relativi di Livorno e provincia.La situazione generale per Livor-no, considerata nell’arco tempora-le 2011-2016, in termini di valore aggiunto è di - 0,3% e non si disco-sta da quella generale della stagna-zione. Se parliamo invece di Blue Economy livornese emerge una controtendenza in positivo addirit-tura di un incremento del 9,8. La Blue Economy. In generale, nell’area di interesse della Camera di Commercio della Maremma e del Tirreno, “la gran parte del va-lore aggiunto 2015 dell’Economia del mare è stata prodotta dalla filie-

ra dei servizi di alloggio e ristorazio-ne (44,4%) e da quella delle attività di Movimentazione merci e passeggeri via mare (27,1%). Resta comunque significativo anche il contributo offer-to da Cantieristica (8,2%), attività di ricerca,-regolamentazione-tutela am-bientale, Attività sportive e ricreative (rispettivamente 6,9% e 6,5%) e filie-

ra Ittica (6,3%). Nel 2015 l’apporto dell’Industria delle Estrazioni mari-ne (0,6%) risulta minoritario mentre nel 2011 era più elevato”. Ma qua è l’impatto occupazionale del settore?

“Nel 2015 gli occupati sono risultati 9.180 a Grosseto e 18.649 a Livorno per un to-tale d’area di 27.829.” Il va-lore aggiunto generato com-plessivamente è di 4 miliardi di euro e visto che lo studio non evidenzia i dati per pro-vincia possiamo ragionevol-

mente rapportarli alla distribuzione occupazionale, nelle grandi linee.Tutti questi report ed elaborazioni di dati non sono in sé una soluzione, sono soltanto un tentativo di rimettere una fotogra-fia della situazione che dovrebbe essere presa in cura da chi politicamente governa.Le grandi opere. Accordi di Programma e progetti su infrastrutture e logisti-

ca sono quindi da calare nel contesto su cui la politica deve lavorare bene e non a discorsi, producendo procla-mi inutili. Prendiamo la situazione delle grandi opere. La Piattaforma

Europa, dopo la decisione di poten-ziare Genova e Trieste e ricordando le parole del consulente Olaf Merk che nell’ultimo convegno alla stazio-ne marittima disse apertamente che in Italia sarebbe servito un solo gran-de porto massimo due, dopo oltre un anno di rinvii e proclami è notizia di questi giorni che deve essere ripensata e bilanciata sul ruolo reale e concreto che può giocare il porto di Livor-no. L’Autostrada Tirrenica, invece, avrebbe dato un colpo a molti bilanci familiari in modo consistente, vista poi la libertà di aumentare le tariffe che il gestore ha, e il suo abbandono decreta tuttavia una distruzione di certezze messe in piedi dai proclami

della politica di governo regionale e nazionale. Nessuno invece dimo-stra pubblicamente di analizzare gli andamenti del valore aggiunto nei vari comparti dell’economia locale, tra cui proprio la Blue Eco-nomy, la quale ha all’interno altre categorie che hanno sia andamenti positivi legati al turismo e alla tu-tela ambientale che negativi dovuti soprattutto al comparto cantieristi-ca e attività sportive e ricreative.Turismo e commercio. La lettura della realtà di Maristella Calgaro presentata al momento della sua elezione a presidente della Confe-sercenti di Livorno e provincia toc-ca in parte certi aspetti indicati dal-la Camera di Commercio e mette in guardia effettivamente rispetto alla qualità di come si opererà nei settori del turismo e del commer-cio. Lo fa indicando nell’efficienza del governo locale compresa la pubblica amministrazione un fat-tore importante. La situazione complessiva oltre ad essere stagnante marca ancora una distanza notevole della costa rispetto al centro della Toscana, per cui la Blu Economy è un com-parto su cui si giocherà una partita importante.

La sfida della blu economy

Fare eventi a “rifiuti zero” è

possibile, basta rispettare alcune

regole e saper valorizzare il brand

MARE - Oltre 18mila lavoratori tra Livorno e provincia ma serve più qualità

“Un’ora con un’ora: l’unità di misura è il tempo in qualunque modo venga usato.”

Dopo il fallimento delle grandi opere

l’economia del mare al momento rimane l’ancora di salvezza

del territorio

JACK RR

Il mare è il più grande corpo ricetto-re del pianeta e ogni elemento pro-

dotto dall’uomo che non è utile alla vita con il tempo giunge fino al mare, rimanendoci fino al suo mescolarsi con i sistemi cellulari presenti quindi riducendosi a molecola. Il concetto di biodegradabilità non è stato che un tentativo di lenire il rimorso do-vuto alla presa di coscienza dell’a-ver creato un danno irrimediabile al corso naturale della vita dell’ecosfera con la creazione di idrocarburi. La biodegradabilità degli idrocarburi clorati non esiste per cui le plastiche in mare come ogni altra sostanza chimica alterano la vita.Quali danni? Al pianeta tutto ciò non interessa molto poiché nei suoi 6 miliardi e mezzo di anni ha rego-lato quotidianamente la propria vita con aggiustamenti, con la sua capa-cità di ricerca costante di equilibri fisici. Gli impatti dovuti all’alterazio-ne dell’ambiente naturale sono de-vastanti invece per la nostra razza e per ogni altro essere vivente. I tumori nei pesci sono sempre più frequenti e impressionanti così come nell’uomo. Aerosol marini e pesci cresciuti in profondità i cui sedimenti sono com-promessi chimicamente ci condan-nano a vivere in un tipo di emergen-za che durerà chissà quanto. Questo

è un problema politico enorme. Mai affrontato dai partiti di massa, anzi evi-tato e ad oggi volutamente rimosso con quella irresponsabilità che è tipica di chi

vuole arrivare a conseguire risultati a breve senza riflettere sul lungo periodo. Su questo giornale avevamo già scritto degli impatti catastrofici delle micropla-

stiche e delle ricerche della Dott.ssa Fos-si dell’Università di Siena responsabile di vari progetti di livello internazionale, per cui insistiamo con determinazione poiché questo capitolo venga preso in seria considerazione dalle forze politi-che. Buongiorno Livorno ha presentato nel marzo 2016 una richiesta di interes-samento al presidente ANCI Toscana Bruno Valentini, sindaco di Siena, con alcune proposte ma all’invito non è se-guita nessuna risposta. L’impatto delle plastiche in mare invece va risolto e sa-rebbe anche l’occasione per dare una vero colpo a quell’economia che ci ha portato a questo punto di non ritorno, ammassando semplicemente i rifiuti da qualche parte, ripensando quindi come soddisfare il benessere delle persone su tutti i fronti, dal consumo alla salute e alla qualità dell’ambiente di vita. Una catastrofe di massa. Le plastiche in mare sono un problema comune a tutto il pianeta che ha già aree a saturazione con estensioni enormi. Non esiste ad oggi una vera presa di coscienza politi-ca a questa catastrofe che avrà sempre maggiori effetti sulla vita di ogni specie animale. In un mondo stupido dove i governi stanno attenti ad equilibri eco-nomico finanziari, a salvare operatori finanziari decotti, a partecipare a guerre direttamente, indirettamente o attraver-

so il solo consenso politico si lascia da parte il problema delle plastiche in mare che sta creando le basi per catastrofi di massa.Sarebbe opportuno attivare dei col-legamenti con realtà politiche nelle varie città costiere del Mediterraneo per iniziare un lavoro comune che possa portare a una diminuzione del riversamento in mare di sostanze non biodegradabili, individuando anche i maggiori canali di conferi-mento spesso fluviali che spingono le proprie acque per chilometri oltre la costa durante le fasi di piena. Mol-ta plastica arriva infatti dai fiumi così come acque contaminate e di de-purazioni effettuate in maniera non corretta.Le fonti finanziarie da rivendicare e ottenere sono quelle che la Bce mette mensilmente a disposizione di Stati, banche e aziende ritenute strategiche. Quei soldi devono finanziare proget-ti di miglioramento ambientale per il conseguimento di un maggior benes-sere della popolazione e sarebbero attivatori per una domanda pubblica ad oggi avversata dalle forze capitali-stiche al governo comunitario e degli Stati aderenti. Un capitalismo sciatto e ignorante, miope e suicida.

Foto di Giacomo Lucchesi e Manuel Perosino - Moletto di Quercianella, Li-vorno

Plastiche mortaliINQUINAMENTO - Un problema che può diventare catastrofe

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Livorno Livorno Anno XII, n. 127 Estate 20174 5

visita alla festa. Un passo alla volta, poi ci sarà da capire che oggi creare un’of-ferta turistica o di eventi con quartieri o distretti alberghieri rifiuti zero (vedi l’esperienza di Sorrento) non è ne un peso, ne una noia ne un costo ma un’opportunità. Qualunque amministrazione sarà a palazzo comunale questo è il futuro per quanto riguarda la salute, l’eco-nomia, il turismo e l’immagine

della città. Intanto il Movimen-to Zero Waste presieduto da Rossano Ercolini ha ideato un brand “Eventi a Rifiuti Zero” che può essere attribuito ad uno specifico evento a fronte del rispetto di una serie di regole. Questo è il futuro.

Senza Soste redazione

Sono ormai passati quasi 4 anni dall’avvento della rac-

colta porta a porta nel quartiere La Venezia ma ogni anno duran-te Effetto Venezia niente pareva cambiato. I 10 giorni, poi diven-tati 5, della festa hanno sempre prodotto quintali e quintali di rifiuti indifferenziati finiti dritti nell’inceneritore. La domanda che ci siamo sempre posti era ed è: che senso ha? Perché non vie-ne utilizzata la festa cittadina più partecipata dai livornesi per in-formare e sensibilizzare i cittadi-ni e sperimentare in queste occa-sioni? Qualcuno dirà che il caos di quei 5 giorni non è adatto, altri che crea troppe limitazioni agli esercenti, altri ancora che è impossibile controllare ristorato-ri e cittadini in quelle condizioni. Può darsi ma basta girarsi un po’ attorno per vedere che le feste a rifiuti zero (o pochi rifiuti) si pos-sono fare. L’esempio di Lari. Lo scorso primo maggio a Lari c’è stata la consueta Festa Rossa che per la prima volta è stata a rifiuti zero. Gli organizzatori si sono impo-sti di comprare tutto l’occorrente usa e getta in materiale compo-stabile (cioè da buttare nell’orga-nico insieme agli avanzi di cibo) ed hanno chiesto anche a bar e ristoranti del paese di farlo. In queste occasioni, infatti, si deve intervenire alla fonte, vale a dire non consegnare ai clienti mate-riali in plastica o difficilmente

differenziabili. Ed in questo modo è anche molto più semplice diffe-renziare: il 90% di ciò che viene utilizzato va tutto nel solito bidone dell’organico insieme agli avanzi di cibo. Difficile sbagliare. Sap-piamo già che qualcuno potrebbe controbattere che tutto ciò costa di più. Vero, i prodotti compostabili costano di più anche se i prezzi, mano a mano che l’utilizzo si dif-fonde, sono in fase discendente. Gli organizzatori per permettere a tutti di risparmiare hanno fatto un ordine unico, insieme anche ad al-tre feste, in modo tale da abbattere i costi. Naturalmente ci sono an-che altri esempi, anche più struttu-

rati, in cui le amministrazioni co-munali e le aziende della raccolta rifiuti hanno ridotto i costi o dato incentivi agli ambulanti che par-tecipavano o agli esercenti locali imponendo una festa a rifiuti zero. Da parte dell’azienda di raccolta c’era il vantaggio di trovare una raccolta migliore e più facilmente smaltibile, per la collettività l’ov-vio vantaggio per la propria salute e per l’ambiente.Effetto Venezia. Anche Effetto Venezia quest’anno vedrà l’ade-sione facoltativa degli esercenti per l’uso di materiali compostabili o di stoviglie classiche lavabili. Si tratta di una prima sperimentazio-

ne. Per i commercianti del settore ristorazione che aderiranno il costo di partecipazione ad Effetto Venezia sarà di 350 euro anzichè di 600. Se la filosofia di base deve essere quella di partire e sperimenta-re questo tentativo può anche essere apprez-zato. C’è da registrare però almeno tre criti-cità che in fu-turo dovranno essere miglio-rate: il primo è che il prezzo di partecipa-zione dello scorso anno era 350 euro quindi alla

fine gli esercenti l’hanno presa più come una pu-nizione che un incentivo. Il secondo che il mecca-nismo è partito in ritardo ed è stato comunicato solo un mese prima. Il terzo che ad oggi (a due settimane dall’evento) non è anco-ra specificato nel dettaglio il qua-dro entro cui dovranno operare concretamente. Insomma, la parte di progettazione, comunicazio-ne ed attuazione deve migliorare. Così come può migliorare il ruo-lo di Aamps per mettere in con-dizione anche i cittadini di poter differenziare facilmente durante la

Effetto rifiuto? Un po’ meno... AMBIENTE - Da quest’anno la possibilità di lavorare solo con usa e getta compostabile, ma ci sono criticità

con una Conferenza stampa in Comune il 3 maggio scorso e l’8 sono partite le attività dei sette sportelli cittadini (vedi immagine). Qui sarà possibile ricevere informazioni e chiari-menti, compilare un semplice modulo e dichiarare le proprie disponibilità e le proprie richie-ste. Fondamentale per il reale funzionamento di questi pro-getti la voglia delle persone di

partecipare e lasciarsi coinvol-gere: per partire non servono poi grandi numeri, un centinaio di nomi nella banca dati è una base sufficiente. Per facilitare il coinvolgimento sarebbe quindi opportuno che il Mov5stelle si astenesse dal rivendicare come proprio questo percorso, che nasce autonomo, onde evitare di tenere lontane persone inte-ressate alla BDT ma non inten-zionate ad essere strumentaliz-zate dalla propaganda grillina.

Senza Soste redazione

Finalmente dopo anni di ela-borazioni e tentativi è nata

anche a Livorno la prima signi-ficativa esperienza di Banca del Tempo. Sviluppate in Italia dalla metà degli anni ‘90 seguendo la neces-sità riattivazione e costruzione di legami sociali e sulla scorta di una riflessione delle donne degli anni 80 rispetto alla conciliazio-ne dei tempi di vita e di lavoro, le BDT sono in generale libere associazioni tra persone che si auto-organizzano e si scambia-no tempo per aiutarsi soprattutto nelle piccole necessità quotidia-ne, “organizzate come istituti di credito in cui le transazioni sono basate sulla circolazione del tempo, anziché del denaro”. Riferimento alle BDT lo trovia-mo anche nella L. 53/2000 “Di-sposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla forma-zione e per il coordinamento dei tempi delle città”, all’art 27: Per favorire lo scambio di servizi di vicinato, per facilitare l’utilizzo dei servizi della città e il rappor-to con le pubbliche amministra-zioni, per favorire l’estensione della solidarietà nelle comunità locali e per incentivare le inizia-tive di singoli e gruppi di cittadi-ni, associazioni, organizzazioni ed enti che intendano scambiare parte del proprio tempo per im-pieghi di reciproca solidarietà e interesse, gli enti locali possono

sostenere e promuovere la costitu-zione di associazioni denominate “banche del tempo”.Quella delle BDT è comunque una realtà molto variegate. Nel giugno del 2007 “grazie all’attività e alla tenacia di otto donne rap-presentanti di Banche del Tempo e Coordinamenti di varie regioni italiane, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Si-cilia, Veneto”, nasce ad Alì Terme (ME) l’Associazione Nazionale delle Banche del Tempo (la BDT

dalla quale prendono l’avvio tutte le altre di questo percorso nasce a Sant’Arcangelo di Romagna nel ‘95 per iniziativa del sindaco (donna) e del comitato pari oppor-tunità) che quest’anno festeggia il decennale di fondazione.Presidente di questa Associazione è Maria Grazia Pratella che il 4 giugno 2012 fu ospite a Livorno (in veste di Vice pres. BdT di Roma) dell’UNIPOP “Alfredo Bicchieri-ni” dove intervenne come relatrice al Corso di formazione per volon-

tari “Per una economia solidale e delle relazioni”. Da quell’inizia-tiva nacque il primo tentativo di costruzione di BDT a Livorno che doveva servire a “scambiare e a re-galare le nostre capacità e il nostro tempo senza passaggio di denaro perché il tempo non è denaro ma relazione solidale tra le persone”. Ma il tentativo non si concretizzò. Un progetto di BDT è stato lancia-to poi, ma senza esiti al momento, dall’associazione di promozione sociale Terra-Maestra, legata a tematiche più ecologisteNel frattempo l’idea di una BDT è riemerso all’interno del-la Consulta del volontariato di Livorno e gra-zie all’iniziative di varie realtà, in collaborazione con il Comune, è nata come associazione senza scopo di lucro che promuove lo scambio gratuito del tempo, la Banca Del Tempo Di Livorno, con presidente Laura Furetta, ex insegnante già presidente di In-tercultura. Il progetto, che nace per “soddisfare esigenze e bisogni immediati e quotidiani, per realiz-zare piccoli desideri, per conosce-re altre persone, per contribuire a nuovi modelli di economia par-tendo dalle persone e dalle rela-zioni umane” è stato presentato

ECONOMIA SOCIALE - Dall’8 maggio aperti anche a Livorno gli sportelli della Banca del Tempo

Scambi cont(r)o corrente

JACK RR

Finalmente qualcuno che parla di valore aggiunto, vale a dire

la differenza che rimane tra costi di ogni tipo per unità produttiva ed i suoi ricavi, il risultato della combinazione dei fattori espresso in valore monetario. Finalmente qualcuno che porta i dati per misu-rare la ricchezza prodotta. Stiamo parlando della Camera di Com-mercio Maremma-Tirreno che ha pubblicato il Rapporto sull’E-conomia del Mare 2017 e della nuova presidente di Confesercenti Livorno, Maristella Calgaro, che nella sua relazione d’ingresso, ha interpretato alcune serie di questi dati limitandosi a quelli relativi di Livorno e provincia.La situazione generale per Livor-no, considerata nell’arco tempora-le 2011-2016, in termini di valore aggiunto è di - 0,3% e non si disco-sta da quella generale della stagna-zione. Se parliamo invece di Blue Economy livornese emerge una controtendenza in positivo addirit-tura di un incremento del 9,8. La Blue Economy. In generale, nell’area di interesse della Camera di Commercio della Maremma e del Tirreno, “la gran parte del va-lore aggiunto 2015 dell’Economia del mare è stata prodotta dalla filie-

ra dei servizi di alloggio e ristorazio-ne (44,4%) e da quella delle attività di Movimentazione merci e passeggeri via mare (27,1%). Resta comunque significativo anche il contributo offer-to da Cantieristica (8,2%), attività di ricerca,-regolamentazione-tutela am-bientale, Attività sportive e ricreative (rispettivamente 6,9% e 6,5%) e filie-

ra Ittica (6,3%). Nel 2015 l’apporto dell’Industria delle Estrazioni mari-ne (0,6%) risulta minoritario mentre nel 2011 era più elevato”. Ma qua è l’impatto occupazionale del settore?

“Nel 2015 gli occupati sono risultati 9.180 a Grosseto e 18.649 a Livorno per un to-tale d’area di 27.829.” Il va-lore aggiunto generato com-plessivamente è di 4 miliardi di euro e visto che lo studio non evidenzia i dati per pro-vincia possiamo ragionevol-

mente rapportarli alla distribuzione occupazionale, nelle grandi linee.Tutti questi report ed elaborazioni di dati non sono in sé una soluzione, sono soltanto un tentativo di rimettere una fotogra-fia della situazione che dovrebbe essere presa in cura da chi politicamente governa.Le grandi opere. Accordi di Programma e progetti su infrastrutture e logisti-

ca sono quindi da calare nel contesto su cui la politica deve lavorare bene e non a discorsi, producendo procla-mi inutili. Prendiamo la situazione delle grandi opere. La Piattaforma

Europa, dopo la decisione di poten-ziare Genova e Trieste e ricordando le parole del consulente Olaf Merk che nell’ultimo convegno alla stazio-ne marittima disse apertamente che in Italia sarebbe servito un solo gran-de porto massimo due, dopo oltre un anno di rinvii e proclami è notizia di questi giorni che deve essere ripensata e bilanciata sul ruolo reale e concreto che può giocare il porto di Livor-no. L’Autostrada Tirrenica, invece, avrebbe dato un colpo a molti bilanci familiari in modo consistente, vista poi la libertà di aumentare le tariffe che il gestore ha, e il suo abbandono decreta tuttavia una distruzione di certezze messe in piedi dai proclami

della politica di governo regionale e nazionale. Nessuno invece dimo-stra pubblicamente di analizzare gli andamenti del valore aggiunto nei vari comparti dell’economia locale, tra cui proprio la Blue Eco-nomy, la quale ha all’interno altre categorie che hanno sia andamenti positivi legati al turismo e alla tu-tela ambientale che negativi dovuti soprattutto al comparto cantieristi-ca e attività sportive e ricreative.Turismo e commercio. La lettura della realtà di Maristella Calgaro presentata al momento della sua elezione a presidente della Confe-sercenti di Livorno e provincia toc-ca in parte certi aspetti indicati dal-la Camera di Commercio e mette in guardia effettivamente rispetto alla qualità di come si opererà nei settori del turismo e del commer-cio. Lo fa indicando nell’efficienza del governo locale compresa la pubblica amministrazione un fat-tore importante. La situazione complessiva oltre ad essere stagnante marca ancora una distanza notevole della costa rispetto al centro della Toscana, per cui la Blu Economy è un com-parto su cui si giocherà una partita importante.

La sfida della blu economy

Fare eventi a “rifiuti zero” è

possibile, basta rispettare alcune

regole e saper valorizzare il brand

MARE - Oltre 18mila lavoratori tra Livorno e provincia ma serve più qualità

“Un’ora con un’ora: l’unità di misura è il tempo in qualunque modo venga usato.”

Dopo il fallimento delle grandi opere

l’economia del mare al momento rimane l’ancora di salvezza

del territorio

JACK RR

Il mare è il più grande corpo ricetto-re del pianeta e ogni elemento pro-

dotto dall’uomo che non è utile alla vita con il tempo giunge fino al mare, rimanendoci fino al suo mescolarsi con i sistemi cellulari presenti quindi riducendosi a molecola. Il concetto di biodegradabilità non è stato che un tentativo di lenire il rimorso do-vuto alla presa di coscienza dell’a-ver creato un danno irrimediabile al corso naturale della vita dell’ecosfera con la creazione di idrocarburi. La biodegradabilità degli idrocarburi clorati non esiste per cui le plastiche in mare come ogni altra sostanza chimica alterano la vita.Quali danni? Al pianeta tutto ciò non interessa molto poiché nei suoi 6 miliardi e mezzo di anni ha rego-lato quotidianamente la propria vita con aggiustamenti, con la sua capa-cità di ricerca costante di equilibri fisici. Gli impatti dovuti all’alterazio-ne dell’ambiente naturale sono de-vastanti invece per la nostra razza e per ogni altro essere vivente. I tumori nei pesci sono sempre più frequenti e impressionanti così come nell’uomo. Aerosol marini e pesci cresciuti in profondità i cui sedimenti sono com-promessi chimicamente ci condan-nano a vivere in un tipo di emergen-za che durerà chissà quanto. Questo

è un problema politico enorme. Mai affrontato dai partiti di massa, anzi evi-tato e ad oggi volutamente rimosso con quella irresponsabilità che è tipica di chi

vuole arrivare a conseguire risultati a breve senza riflettere sul lungo periodo. Su questo giornale avevamo già scritto degli impatti catastrofici delle micropla-

stiche e delle ricerche della Dott.ssa Fos-si dell’Università di Siena responsabile di vari progetti di livello internazionale, per cui insistiamo con determinazione poiché questo capitolo venga preso in seria considerazione dalle forze politi-che. Buongiorno Livorno ha presentato nel marzo 2016 una richiesta di interes-samento al presidente ANCI Toscana Bruno Valentini, sindaco di Siena, con alcune proposte ma all’invito non è se-guita nessuna risposta. L’impatto delle plastiche in mare invece va risolto e sa-rebbe anche l’occasione per dare una vero colpo a quell’economia che ci ha portato a questo punto di non ritorno, ammassando semplicemente i rifiuti da qualche parte, ripensando quindi come soddisfare il benessere delle persone su tutti i fronti, dal consumo alla salute e alla qualità dell’ambiente di vita. Una catastrofe di massa. Le plastiche in mare sono un problema comune a tutto il pianeta che ha già aree a saturazione con estensioni enormi. Non esiste ad oggi una vera presa di coscienza politi-ca a questa catastrofe che avrà sempre maggiori effetti sulla vita di ogni specie animale. In un mondo stupido dove i governi stanno attenti ad equilibri eco-nomico finanziari, a salvare operatori finanziari decotti, a partecipare a guerre direttamente, indirettamente o attraver-

so il solo consenso politico si lascia da parte il problema delle plastiche in mare che sta creando le basi per catastrofi di massa.Sarebbe opportuno attivare dei col-legamenti con realtà politiche nelle varie città costiere del Mediterraneo per iniziare un lavoro comune che possa portare a una diminuzione del riversamento in mare di sostanze non biodegradabili, individuando anche i maggiori canali di conferi-mento spesso fluviali che spingono le proprie acque per chilometri oltre la costa durante le fasi di piena. Mol-ta plastica arriva infatti dai fiumi così come acque contaminate e di de-purazioni effettuate in maniera non corretta.Le fonti finanziarie da rivendicare e ottenere sono quelle che la Bce mette mensilmente a disposizione di Stati, banche e aziende ritenute strategiche. Quei soldi devono finanziare proget-ti di miglioramento ambientale per il conseguimento di un maggior benes-sere della popolazione e sarebbero attivatori per una domanda pubblica ad oggi avversata dalle forze capitali-stiche al governo comunitario e degli Stati aderenti. Un capitalismo sciatto e ignorante, miope e suicida.

Foto di Giacomo Lucchesi e Manuel Perosino - Moletto di Quercianella, Li-vorno

Plastiche mortaliINQUINAMENTO - Un problema che può diventare catastrofe

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per non dimenticare6 3interniEstate 2017

un tratto delle gallerie, che as-sunse l’aspetto di bunker anti-a-tomico, che avrebbe ospitato il governo italiano e il presidente della repubblica in caso di attac-co atomico sulla capitale. Una modifica imponente e segretis-sima perché la ristrutturazione fu pensata per poter vivere (forse sopravvivere) senza dipendere dall’esterno anche nel caso che fuori dalle gallerie sotterranee tutto avesse cessato di esistere. Eravamo in piena Guerra Fred-da e l’ipotesi che la Terra potes-se saltare tutta in aria per una guerra atomica era tutt’altro che peregrina. Il Genio Civile fece costruire dei diaframmi di prote-zione in cemento armato gettato a piè d’opera di spessore variabi-le tra i 10 e i 20 m di diaframma delle “Blast Door”, le porte che fungevano da controllo anticon-taminazione e che davano ac-cesso a una lunghissima galleria chiamata “Direttissima” che a sua volta conduceva a 4 celle di sopravvivenza. Una vera e pro-pria prigione sotterranea.I lavori, solo parzialmente ter-minati, si protrassero fino al 1972, quando, per ragioni anco-ra incerte, vennero bruscamen-te interrotti. Il bunker atomico, quindi, non fu mai utilizzato, né completato. Non ce ne fu biso-gno, per fortuna, anche perché a quest’ora non saremmo a scri-vere o a leggere quest’articolo. Si temeva infatti un cataclisma incalcolabile. Una bomba nu-cleare di media portata avrebbe distrutto tutto il Lazio, ma il ti-more era che l’Unione Sovietica potesse lanciare la Bomba Zar, la più potente bomba all’idroge-no mai sperimentata dall’uomo, progettata dal fisico poi dissi-dente Andrej Sacharov. Quanto costò tutto questo? Non è dato saperlo. Resta l’ultimo mistero di questa montagna.

TITO SOMMARTINO

L’hanno chiamata Monta-gna del diavolo, Monte dei

misteri, Monte magico, La fine del mondo. Il Monte Soratte si trova a neanche 50 km a nord di Roma ed è un enorme e ma-estoso massiccio calcareo che si stacca in modo perentorio ed estremamente suggestivo sulle pianure circostanti, qua-si da sembrare un isola. Dalla vetta, alta quasi 700 metri, si può godere di uno splendido panorama a 360 gradi e nelle giornate migliori ammirare il Monte Amiata da una parte e Valmontone dall’altra. Le sue viscere, che hanno custodito per anni pagine secretate, mi-steri e leggende non ancora completamente chiariti, hanno scritto una pagina importante e ancora poco conosciuta della storia italiana del secolo scorso. I lavori di scavoQui, nel 1937, proprio per la vicinanza con la Capitale, per volere di Mussolini viene av-viata la realizzazione di nume-rose gallerie all’interno della montagna che si diceva fossero i magazzini della fabbrica di armi della Breda, le cosiddette “Officine protette del Duce”. In realtà si trattava di un vero e proprio bunker, un guscio protettivo inespugnabile che avrebbe dovuto servire da rifu-gio antiaereo per le alte cariche del governo e dell’Esercito Ita-liano. Un vastissimo centro sot-terraneo quasi invisibile dall’e-sterno. I lavori di quella che fu poi definita “la città oscura” sono svolti sotto la direzione del Genio Militare di Roma e ancora oggi, con i suoi quasi 4 km di lunghezza, questo dedalo ipogeo costituisce una delle più grandi ed imponenti opere di ingegneria militare presenti in Europa.Il progetto avrebbe addirittura dovuto comprendere quattro ulteriori lotti per un totale di 14 chilometri, anch’essi sotto la direzione generale del Ge-nio Militare di Roma. L’intera opera di scavo, protezione e ri-vestimento in cemento armato delle gallerie viene realizzata in un arco di tempo di soli quattro anni e mezzo. Oltre allo scavo delle gallerie vengono costruite due vie d’accesso: una da nord e una da sud, di cui solo la secon-da viene completata prima del-lo scoppio della guerra. La po-polazione locale vede di buon occhio i lavori, che comportano un notevole slancio economi-co-industriale per il territorio sebbene la maggior parte dei lavoratori provengano da altre zone d’Italia, soprattutto dal nord, in quanto maggiormente specializzati. Durante i lavori si hanno molti feriti e un morto.Il bunker nazistaDurante la Seconda Guerra Mondiale, nel settembre del 1943, il “Comando Supremo del Sud” delle forze di occupa-zione tedesche in Italia guida-to dal Feldmaresciallo Albert Kesselring lascia il quartier ge-

nerale del comando di Frascati e si stabilisce proprio sul Sorat-te. Per un periodo di circa dieci mesi, le gallerie si prestano come valido rifugio segreto per i mille soldati nazisti che vi fanno una vera e propria città in miniatura: infermeria, cinema, perfino un pub in stile nordeuropeo. Il bun-ker resiste al pesantissimo bom-bardamento del 12 maggio 1944 effettuato da due stormi di B-17 alleati, partiti appositamente da Foggia per distruggere il quar-tier generale tedesco al Soratte. Gli americani fanno partire una vera e propria tempesta di fuoco e per cercare di entrare in profon-dità legano tra loro le già potenti bombe a gruppi di 3, 5, 10 unità. L’intento è quello di bruciare vivi tutti coloro che stanno all’inter-no: le fiamme avrebbero percorso velocemente le gallerie come una palla di fuoco in cerca di ossigeno. Ma gli ingegneri previdero anche questa possibilità e, un po’ le pare-ti calcaree spesse 20 metri, un po’ le bocche di aria fresca installate nelle gallerie (oltre alle numerose maschere di ossigeno), il bunker resiste. Cosa successe esattamente là sotto, però, non lo sappiamo e mai lo sapremo. Sicuramente non ci fu alcun morto. All’esterno, in-vece, muoiono 100 tedeschi e due civili italiani sorpresi nel bel mez-zo della “Fire Storm”.

Il mistero del tesoro nascostoSembrerebbe che, prima di abban-donare l’area, il Feldmaresciallo dette ordine di minare ed incen-diare tutto il complesso ipogeo e di interrare delle casse contenenti parte dell’oro sottratto alla Banca d’Italia. Il condizionale è d’obbli-go perché mai è stato chiarito se si tratti di verità o leggenda. Qual-cuno sostiene che Kesselring, il cui intento sarebbe stato quello di tornare un giorno a riprendersi il tesoro, avrebbe fatto uccidere tut-ti i testimoni dell’interramento. E all’interno del bunker sono nume-rosi i segni di scavo alla ricerca di un oro diventato mitico. Perfino lo Stato italiano avrebbe commissio-nato delle perlustrazioni, a testi-monianza del fatto che si potrebbe trattare di qualcosa di più di una semplice leggenda. Anche perché chi ha fatto i conti di quanto uscito dalla Banca d’Italia durante l’occu-pazione nazista sostiene che è più del doppio di quanto momentanea-mente “parcheggiato” dai tedeschi nella roccaforte asburgica di For-tezza, in Alto Adige. E sembrereb-bero mancare proprio quei mille lingotti d’oro che si vorrebbe fosse-ro stati seppelliti dentro il Soratte.L’incubo atomicoPer anni, dopo la fuga delle truppe tedesche successiva al bombarda-mento, il complesso visse periodi di totale abbandono. Fu solamen-

te nel 1967, durante gli anni della Guerra Fredda, che, sotto l’egida della N.A.T.O., venne modificato

La fine del mondoa due passi da Roma

Anno XII, n. 127

AMMINISTRATIVE 2017 - Oltre ad alcune vittorie e sconfitte inaspettate, i numeri svelano flussi clamorosi

Il voto delle sorprese

scese a 114.245. Vittoria netta ma che faceva già vedere come al se-condo turno il centrosinistra face-va fatica a prendere voti diversi dai suoi e siccome l’affluenza era più bassa, addirittura ne perdeva. Ed i 5 stelle? Arrivarono terzi a 36.579. Nel 2017 ha vinto Bucci, candi-dato unitario del centrodestra che ha sconfitto Crivello, uomo del Pd non renziano. I numeri del pri-mo turno sono interessanti. Bucci 88.871 (solo 1.200 voti in più del 2012) e Crivello 76.407, 50mila! voti in meno del 2012. Il Pd è sce-so invece a 43.156 (meno 5mila). Il candidato dei 5 stelle ancora ter-zo con 41.507 voti, circa 5mila in più rispetto a 5 anni prima. Poi al ballottaggio ha vinto nettamente il centrodestra perché è risaputo che l’elettorato 5 stelle nei ballottaggi vota tutto eccetto il Pd. Insomma, se guardiamo i voti assoluti (cioè il consenso in carne ed ossa), il cen-trodestra è stabile, il centrosinistra (in particolare il Pd) a picco ed i 5 stelle in leggera crescita. La Spezia. Affluenza al primo turno 55,35% (-0,62%). Nel 2012 ci fu vittoria netta al primo turno

del candidato del Pd (10.136 voti) in alleanza con Sel e Rifondazio-ne (4.315 voti) più IdV e liste civi-che. In totale il candidato Federici prese 21.488 preferenze. L’attuale centrodestra, come a Genova, era diviso in tre can-didati (PdL, Lega, La Destra) che sommati arrivaro-no a mala pena a 8.346 voti. I 5 stel-le terzi con 4.368. Nel 2017 il ribal-tamento: il centro-destra ha vinto al ballottaggio dopo aver preso al primo turno 13.187 voti (quasi 5mila in più) mentre la coalizione del Pd (sen-za sinistra) si è fermata a 10.137 voti, meno della metà di 5 anni prima (anche il Pd ha preso quasi la metà dei voti). La sinistra invece si era presentata con due candi-dati (ci mancherebbe uno unico!) che hanno preso 4.347 voti, 32 in più di quelli di Sel e Rifondazio-ne 5 anni prima. I 5 stelle invece hanno perso circa 1.300 voti e si

sono fermati a 3.562. Insomma, La Spezia sancisce crollo del Pd, crescita del 60% della destra (con exploit di Fratelli d’Italia), voti identici a sinistra e calo dei 5 stel-le. Dove calano i 5 stelle cresce la

destra, il Pd senza coalizione di si-nistra perde ancora di più: sono le due sentenze di La Spezia. Carrara. Affluenza al primo turno 58,23% (-3,37%). Nel 2012 ci fu la vittoria al primo turno della coali-zione di centrosinistra del sindaco Zubiani: 17.876 preferenze totali di cui 8.266 del Pd e 3.215 di Sel e Rifondazione. C’era però anche un’altra lista di sinistra che correva

da sola e che prese 3.151 voti. Anche a Carrara, come Geno-va e La Spezia, il centrodestra aveva tre diversi candidati la cui somma fu solo 4.249 voti. Il M5S arrivò secondo con 4.604. Nel 2017 invece il M5S era già in testa al primo turno con 8.277 voti per poi stravincere al ballottaggio. Il candidato Pd è arrivato secondo con 7.673 voti (meno di quanti ne prese il Pd da solo nel 2012) mentre il Pd con 3.888 voti ha preso meno della metà dei voti. Terza è ar-rivata una lista civica con ex Pd con 4.604 voti. La sinistra invece era rappresentata da due liste ci-viche che in totale hanno preso 2.713 voti. Il Centrodestra unito si è fermato a 3.696 voti. Carra-ra è la città con una situazione più simile a quella di Livorno: disoccupazione, deindustrializ-zazione, accordo di programma, area di crisi, destra quasi inesi-stente e Pd diviso in correnti. E hanno vinto i 5 stelle. Forse per merito, forse per inerzia. Con-ferma di come le condizioni politiche, economiche e sociali possono indirizzare un’elezione. Pistoia. Affluenza al primo tur-no 55,62% (-1,85%). C’è stato uno spostamento a destra vi-stoso ma in termini assoluti il candidato di destra Tomasi ha preso 10.435 voti al primo turno mentre i tre candidati che erano divisi nel 2012 avevano preso in tutto 10.588 voti. E’ stato il Pd a crollare da 12.438 voti a 8.456 e la coalizione di centrosinistra da 23.284 a 14.675. I 5 stelle sono in leggero aumento da 4.023 agli odierni 4.584. Insomma, Pistoia che ha fatto tanto scalpore mo-stra che la fuga da Pd e coalizio-ni di centrosinistra finisce per lo più in astensione. Il trionfo del-la destra per il momento è solo nell’albo d’oro. La precarietà del voto ed il fenomeno dell’asten-sione mettono invece un carico di incertezza per il futuro.

Senza Soste redazione

Ci sono tante maniere per commentare ed analizza-

re le elezioni. Il primo è il più semplice ed è quello delle ban-dierine: quanti sindaci di ca-poluogo sono stati conquistati, quanti confermati e quanti per-si. Il grosso delle elezioni e dei vari commenti si gioca intorno a questo dato. Ma sarebbe come commentare i campionati di cal-cio di ogni paese limitandosi a guardare chi ha vinto lo scudet-to, chi era favorito o chi era de-tentore. Noi, come di consueto, cerchiamo di fare l’analisi dei voti assoluti al primo turno, per-ché riteniamo che le percentuali spesso non aiutino a capire cosa è successo. Le amministrative sono tuttavia il voto più com-plesso da analizzare perché la presenza di liste civiche che cor-rono da sole non permettono di dare un quadro esaustivo visto che molte rappresentano solo il candidato sindaco di turno. E poi c’è l’astensione, grande vincitrice delle elezioni. Abbia-mo preso 4 città che riteniamo più simili a Livorno: i porti di La Spezia, Genova e Carrara dove ha sempre governato PCI ed suoi (sicuramente peggiori) derivati e Pistoia dove la vitto-ria della destra ha fatto scalpo-re. Genova. Affluenza al primo turno 48,39% (-6,88%). Simbolicamente è la Caporetto del Pd in queste elezioni. Ma guardiamo i numeri. Nel 2012 al primo turno era finita con il Pd a quota 55.137 preferenze e la coalizione del sindaco “aran-cione” Doria a quota 127.477. Il centrodestra era diviso fra Musso (indipendente di centro-destra), PdL, Lega e La Destra, ognuno con un proprio candida-to. Andò al ballottaggio Musso con poco meno di 40.000 voti. Se si mettevano insieme tutti e quattro i candidati, quello che oggi è tornato ad essere il cen-trodestra unito arrivava a 87.585 voti. Al secondo turno Musso salì a 77.084 voti mentre Doria

(segue da pagina 1) ...le vuole combattere. Fino a oggi Face-book ha cercato di limitare il più possibile l’intervento umano per tutelare la presunta neutra-lità della piattaforma. E come sempre qualunque soluzione crea altri problemi. Ci sono due esempi classici che hanno sca-turito polemiche. Il primo è la famosa foto della bambina vie-tnamita che scappa nuda sotto il napalm lanciato dall’esercito Usa. Secondo l’algoritmo era una foto da censurare perché c’è la presenza di un nudo per di più di una bambina. Ma il valo-re storico, artistico e politico di quella foto sappiamo tutti qual è. Il secondo esempio è quello della sezione editoriale di Face-book, le “trending news, cioè le notizie più cliccate. Prima c’era un algoritmo che sceglieva le notizie ma con la testimonianza

di ex impiegati di Facebook è stato scoperto che la mano umana deter-minava quella sezione, accusando l’azienda di favorire alcune notizie a discapito di altre (Zuckerberg ad esempio era schierato con la Clin-ton e Facebook è stato accusato di favorire le notizie pro-Democrati-ci). Siccome Facebook, come già detto, vuole darsi un’immagine di neutralità, è stato ripristinato il sistema automatizzato. E quindi? Chi decide se una notizia è falsa o meno? Dopo la vittoria di Trump che per molti è stata scioccante e di cui molti danno merito anche alle fake news, Facebook ha deci-so di mettere mano al problema e trovare un sistema per segnalar-le pubblicamente. E qui nasce un altro problema, forse più grande.

Perché per molti ci sarebbe il ri-schio che Facebook diventasse una sorta di ministero (privato) della Verità e vista la diffusione del so-cial network, anche il più potente editore del mondo che decide qua-le siano le fonti affidabili e quelle no (che un giornale sia registrato presso il Tribunale ad esempio non è garanzia che non produca bufale) e quali contenuti lo siano o meno. Certo, Facebook potrebbe assume-re qualche migliaia di persone per fare il fact checking (controllo dei fatti) delle notizie condivise da un tot numero di utenti ma il livello discrezionale rimarrebbe alto e per molti sarebbe pericoloso. La do-manda quindi è un’altra. Facebook vuole mantenere la sua immagine di attore neutro (anche se non lo è,

chiaramente) oppure vuole diventa-re attore principale nel mondo glo-bale dell’informazione? In base alle strategie del colosso americano la scelta sarà una diretta conseguenza e noi dovremmo tutti rivalutare il nostro rapporto con la piattaforma. La fiducia perduta. Da qualunque parte si guardi il problema, le solu-zioni paiono dei palliativi o misure che vanno a risolvere un problema per crearne altri. Probabilmente la soluzione è molto più vicina a ciò che sta nel cuore dell’informazio-ne: i giornalisti dovrebbero concen-trarsi di più sul produrre un buon giornalismo, riconquistando la fi-ducia dei lettori. Se siamo arrivati a questo punto è perché i giorna-listi hanno saccheggiato la verità e svolto il proprio lavoro soprattutto

al servizio della propria azienda e di chi la controlla dal punto di vista politico e finanziario.Concludiamo con una conside-razione che Arianna Ciccone fa in un articolo di Valigiablu.it su odio in politica e fake news: “Oggi, i partiti politici non sono più solo le persone che dovrebbero gover-nare nel modo in cui noi vogliamo. Sono una squadra da sostenere, e una tribù di cui sentirsi parte. E la visione politica dei cittadini è sem-pre più a somma zero: si tratta di aiutare la loro squadra a vincere, e fare in modo che l’altra squadra perda. Questa forma di “tribali-smo” spinge le persone a cercare e a credere a notizie che confermano i loro pre-esistenti pregiudizi, al di là se siano vere o meno. E questo è as-solutamente trasversale. Non è una esclusiva di una sola parte politica”. Senza Soste redazione

Ministero della Verità

STORIA - 80 anni fa, nelle viscere del Monte Soratte, Mussolini fece costruire una serie di gallerie che dovevano servire come rifugio in caso di guerra. Nel ‘43 la montagna fu occupata dai Tedeschi e, nel giugno del ‘44, dopo un terribile bombardamento americano, abbandonata da Kesselring. 50 anni fa, in piena Guerra Fredda, le stesse gallerie furono riconvertite in bunker anti-atomico dal Governo Italiano e dalla Nato.

La Bomba Zar

Realizzata da un gruppo di fisici sovietici guidati da Andrej Sacharov, fu testata il 30 ottobre 1961 con effetti devastanti: fu osservato un raggio di distruzione totale di 35 km. La bomba fu sganciata il 30 ottobre 1961 nella baia di Mitjušicha, sull’isola

di Novaja Zemlja a nord del circolo polare artico. Fu fatta esplodere a 4.000 metri dal suolo e, dopo un lampo molto intenso

di luce, si generò una palla di fuoco che si espanse fino a un diametro di quasi 8 chilometri: si avvicinò al suolo per poi risalire

e raggiungere l’altitudine alla quale il Tu-95 si era trovato al momento del rilascio dell’ordigno. Nel frattempo iniziò a sollevarsi

il fungo, mentre l’onda d’urto iniziò a propagarsi circolarmente.La pressione dello scoppio raggiunse un picco sei volte superiore

a quella di Hiroshima e il “fungo” causato raggiunse l’altezza di 64 chilometri. Nonostante il cielo fosse nuvoloso, il lampo venne

visto a 1.000 chilometri di distanza. Uno dei testimoni riferì di aver percepito l’abbagliamento (anche attraverso gli occhiali protettivi)

e il surriscaldamento della pelle alla distanza di 270 km.L’onda d’urto venne registrata nell’insediamento di Dikson a

700 km, mentre vennero danneggiate le imposte in legno delle case sino a 900 km dall’ipocentro fino in Finlandia. Tutti gli edifici presenti sull’isola di Severnyj, realizzati in mattoni e legno, situati a 55 km di distanza dall’impatto furono completamente distrutti. In alcuni distretti posti a centinaia di chilometri, le case in legno vennero rase al suolo, mentre quelle in pietra persero il tetto, le finestre e le porte. Le radiazioni prodotte ionizzarono l’aria

e interruppero le comunicazioni radio per quasi un’ora. L’onda sismica generata dall’esplosione fece tre volte il giro della Terra e nonostante l’esplosione fosse stata innescata nell’atmosfera, l’U.S. Geological Survey misurò una scossa tellurica compresa

tra 5,0 e 5,25 della scala Richter con un’onda d’urto propagata e percepita in tutto il mondo.

A Carrara come a Livorno: con certe

condizioni economiche e sociali il voto di

protesta va ai 5 Stelle.

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internazionale Anno XII, n. 127 7stile liberoEstate 2017

affondamento che non si sa se è stata frutto dell’ incompetenza e di scelte sbagliate o del progetto stesso della campagna. La campagna elettorale delle legislative che inizia vedrà af-frontarsi i quattro partiti che ora dominano la politica francese. Quello di Emmanuel Macron aspira alla maggioranza assolu-ta dei seggi. Tuttavia questo non sembra il desiderio dei francesi, che non hanno mandato questo messaggio dalle urne. Tenendo conto delle modalità di scruti-nio tradizionale in Francia, sarà più importante che mai che i partiti chiariscano le loro posi-zione. I sostenitori di Jean-Luc Mélenchon possono aspettarsi di ottenere buoni risultati. Ma hanno di fronte difficoltà consi-derevoli a causa del sistema di votazione. Si dovrà stare attenti che questa elezione non per-metta di restituire il controllo a partiti falliti, o che sbocchi nel-la concessione di tutti i poteri a Emmanuel Macron.

Tratto da www.rebelion.org, tra-duzione per Senza Soste di Nel-lo Gradirà. Testo pubblicato nel blog di J. Sapir La Russie et l’Europe e in http://www.el-viejotopo.com/topoexpress/los-i-nicios-de-la-presidencia-macron/.

Emmanuel Macron è stato eletto con un’ampia mag-

gioranza dei voti espressi il 7 maggio. Con il 66% dei “votan-ti” ottiene un risultato impres-sionante, anche se ingannevole. Il grande numero di astensio-ni e schede “bianche o nulle” riduce il suo risultato al 43% degli aventi diritto. Questa per-centuale dev’essere confrontata con quella ottenuta nel 2002 da Jacques Chirac in una ele-zione presidenziale nella quale al secondo turno c’era ugual-mente un candidato del Fronte Nazionale. In quella occasione così speciale, Jacques Chirac ot-tene i voti del 62% degli aventi diritto. La differenza di 19 punti che si è prodotta in 15 anni, tra l’elezione di Jacques Chirac e quella di Emmanuel Macron, è molto significativa. Mostra che c’è stato più che altro un voto contro; i sondaggi, che peraltro devono essere presi con cautela, indicano che solo il 43% delle persone che hanno scelto di vo-tare per Macron approvano il suo programma. Il successo di Emmanuel Ma-cron può quindi apparire un’il-lusione ottica. Il sostegno quasi unanime della stampa, dei prin-cipali mezzi di comunicazione che si sono impegnati con note-vole indecenza a favore di que-

sto candidato, non è bastato dun-que a fargli raggiungere un livello minimo corrispondente a quello di Jacques Chirac. I 19 punti che gli sono mancati dicono molto sulla rabbia che provano i francesi, una rabbia largamente espressa duran-te tutta questa campagna. Durante i “festeggiamenti” or-

ganizzati per annunciare i risultati, con una scenografia così studiata e priva di spon-taneità che an-che i giornalisti dei principali canali di televi-sione lo hanno sottolineato, si è assistito ala messa in scena di una doppia contraddizio-ne che potreb-be caratteriz-zare tutta la Presidenza di Macron. La prima con-traddizione fu quella di pre-sentare l’eletto come un uomo solo, libero da qualsiasi vinco-lo, come voleva

dare ad intendere il suo percorso in solitario verso lo scenario del Lou-vre, quando in realtà la sua can-didatura è un’enorme impresa di riciclaggio di politici falliti o a fine carriera del PS, del “centro” e an-che della destra. La seconda è stata quella tra il tono apertamente “eu-ropeo” della scenografia del Car-

rousel del Louvre e il discorso pro-nunciato da Emmanuel Macron sul palco, un discorso nel quale la Francia era ampiamente presente. Ha parlato anche di quello che ave-va già detto su televisioni straniere ma che aveva taciuto in Francia: che voleva «rifondare l’Europa». Tuttavia qualsiasi progetto di cam-biamento delle istituzioni dell’U-nione Europea, dato che -da un punto di vista politico e istituzio-nale- l’Europa non esiste, passa necessariamente da un confronto esplicito con la Germania. Em-manuel Macron dovrà scegliere tra una preferenza francese o una europea. Se vuole combinare le due cose e non scegliere, si metterà nelle mani di Berlino e mostrerà a tutti che la sua presunta volontà di «rifondare l’Europa» non era altro che la maschera della sottomissio-ne, intenzionale o imposta. La sconfitta di Marine Le Pen è in-discutibile. Lo è tanto più che nei primi giorni della campagna del secondo turno dell’elezione presi-denziale si è prodotta una dinami-ca che mostrava come le intenzioni di voto passavano, nei sondaggi, dal 38% al 42%. Questa dinamica si è rotta a causa in gran parte del-la sua campagna. Se è passata dal 42% al 34% non può che incolpare se stessa. Le ambiguità e confu-sioni della sua campagna hanno avuto come effetto un autentico

FRANCIA - La situazione dopo le elezioni presidenziali nel paese transalpino

Gli inizi della Presidenza Macrone il Cormorano (2003) che è sta-ta un’esperienza per me a dir poco lisergica… Ripensando-lo adesso non tornerei indie-tro su niente e sicuramente è stata l’esperienza più formati-va nella mia vita nel cinema, sia per comprendere i rapporti con la produzione che la stes-sa mia idea di messa in scena che si formava secondo dopo secondo nella mia doppia ve-ste di regista ed interprete. Roba da finire alla neuro. Det-to questo le altre esperienze che si sono stratificate spesso sono capitate sul cammino. Anche la collaborazione con Gianni Morandi per Padroni di Casa è nata da un’idea con-divisa come pensiero ad alta voce con Valerio Mastandrea.

Un progetto che si è sviluppato come per scatole cinesi, dove via via veni-va fuori un pezzet-to dopo l’altro del film. Anomala la gestazione produt-tiva ma anche la re-alizzazione rispet-to a un panorama dove un film del genere con cast del genere viene tutt’o-ra guardato storto. Da lì anche le espe-rienze televisive che ho fatto sia con un personaggio come Corrado Guzzan-ti (Dov’è Mario?, 2016, Sky Atlantic) e poi adesso con In treatment (serie tv coodiretta insieme a Saverio Costan-zo) sono figlie una dell’altra. Di come attrai un certo tipo di personaggi e di storie entrando in contatto con deter-

minate esperienze. A seconda di come ti posizioni capisci se trovi l’incastro giusto, al-tre volte magari non è succes-so. Con Corrado ad esempio è successo. Il copione che aveva scritto insieme al suo co-sceneggiatore Mattia Torre era esaltante, mi divertii mol-tissimo a leggere una storia dai toni e dal lessico comici, come nel suo stile classico, ma con una forte e feroce venatu-ra horror. Per me è stata una grandissima occasione e lo ringrazio che abbia pensato a me per dirigerla.

...(continua)...

La versione integrale dell’inter-vista verrà pubblicata sul nostro sito a fine agosto.

A cura di Lucio Baoprati

Venerdì 12 settembre 1997 usciva nelle sale Ovoso-

do, terzo lungometraggio del regista livornese Paolo Virzì, una settimana dopo aver vinto il Premio speciale della Giuria alla 54ª Mostra del Cinema di Venezia. A metà luglio la città ha omaggiato il venten-nale dell’uscita di un film che a Livorno è stato tanto amato quanto odiato. Un film che, al di là di esaltazioni e critiche, allora cambiò prospettiva sul proprio futuro a molte perso-ne che parteciparono con vari ruoli e compiti alla sua realiz-zazione, tracciando per molti un solco da seguire. A parti-re dal giovane protagonista di quel film, Edoardo Gabbriel-lini, nato a Pisa il 16 luglio del ‘75, cresciuto a Livorno, ora attore e regista affermato con importanti lavori e colla-borazioni sia nell’ambito del cinema che della televisione da anni trasferito a Bologna. Abbiamo approfittato della sua presenza a Livorno, ospite della recente edizione del Fi-Pi-Li Horror Festival, per in-contrarlo ed intervistarlo.Vent’anni fa è un uscito un film che probabilmente ti ha condizionato la vita.Mi ha condizionato, modifica-to e stravolto la vita direi. In tanti sensi. A 21 anni avevo appena finito il primo anno di Università a Firenze, studiavo Lettere moderne. Nella pausa estiva mi ritrovavo a fare i tuf-fi al Sonnino e li ho incontrato il fratello di Paolo Virzì, Carlo che mi ha proposto una roba assurda, alla quale non avevo mai pensato; fare l’attore in un film. Come spettatore sono sempre stato compulsivo: con la mia amichetta Alessandra già a nove anni delle volte la domenica in Bmx correvamo dal Metropolitan all’Odeon, perché facevamo lo spettacolo delle 15 nel primo e poi andare a quello delle 17.30 dall’altra parte, ma tutto qui. Se penso a tutto il percorso successivo, a quello che sto cercando di fare tutt’oggi, vent’anni dopo, è in-discutibilmente figlio di quel-la esperienza inaspettata.In Ovosodo interpretavi il protagonista Piero Mansani, che dal Liceo finisce poi in fabbrica, te invece nella re-altà alle superiori hai fatto l’Iti.Fu una scelta dettata dal cuo-re e da un po’ di pigrizia esi-stenziale. Alle medie dissero ai miei che sarei stato adatto ad un liceo, ma il mio migliore amico andava all’Iti. Mi ave-vano detto che dopo una scuo-la tecnica come quella spesso non importa fare l’Università e dato che in quel periodo ave-

vo voglia di fare tutto tranne che di studiare mi sembrò la via più ovvia. Dopo il triennio, fug-gito da meccanica e passato al Geometri, grazie alla professo-ressa Cinzia Consoli ho svilup-pato la passione per la lettura e la letteratura. Da lì ho fatto un salto verso altro, sono andato a studiare a Firenze, dove ho co-minciato a frequentare attiva-mente un centro sociale e dove ho sviluppato una passione per le pellicole super8 trovate nei tanti mercatini in città. La coincidenza dell’incontro con Virzì forse rientra quindi in una prospettiva vaga e stonata che avevo, in qualche strano modo aderente a quel mondo.Prima di entrare in contat-to con il mondo del cinema e

della cultura in genere, quale era la tua prospettiva di futu-ro nella Livorno di metà anni ‘90.A quell’età eravamo in tanti credo a non saper neanche pro-nunciare il termine “prospet-tiva”. Mi ricordo che Livorno sembrava Seattle da quanti gruppi suonavano… io non suonavo ma mi è sempre pia-ciuto frequentare i “fondini” dove si ritrovavano le band. Gli stimoli creativi erano davve-ro tanti. C’era tutto, non c’era niente. Le giornate erano eter-ne e pensavo che avrei condivi-so vinili con il mio amico musi-cista Simone Soldani e parlato di quanto saremo stati ganzi domani, per un tempo infinito. E’ stato magico.Una creatività che però non emerse dal film, ed alcuni am-bienti mossero da subito cri-

tiche ad Ovosodo per come rappresentava la città, soprat-tutto all’esterno, dando l’idea di una Livorno appiattita sui luoghi comuni e con il prota-gonista che alla fine, da talen-tuoso studente, finisce in una situazione normalizzata ed autoconsolatoria sull’asse fab-brica-famiglia.Andiamo per ordine. La fac-cenda dell’immagine di Livor-no credo che sia una totale idio-zia. All’uscita dei 4 Mori, dopo la prima, qualcuno mi disse con tono irritato che non si parlava della situazione del porto e ne-anche del cantiere navale, come se il film dovesse essere un ri-tratto documentaristico e fede-le da tutti i punti di vista, antro-pologico, sociale e politico del-

la città. Virzì non ha mai inteso il film in quei termini, dato che si voleva raccontare una storia universale di formazione. Oggi ahimè la fine con il personag-gio che finisce in fabbrica viene da rimpiangerla, perché adesso di fabbriche non ce ne sono più e di conseguenza non c’è più lavoro: è un mondo che non esiste più quello del film. Negli anni mi sono ritrovato a parlare con coetanei come noi in tutta Italia che si ricordano quel film con un affetto emotivo legato all’empatia per un personag-gio che indiscutibilmente evoca una verità romantica di quel pe-riodo. Detto questo penso che un film sia sempre un’operazio-ne politica, ogni espressione ar-tistica è politica e quindi è inte-ressante aprire una discussione in quei termini. Forse su questo film in questa città ne abbiamo

approfittato, un po’ per noia un po’ per cinismo forzato.Dopo Ovosodo hai lasciato Li-vorno.In realtà dopo Ovosodo ho la-sciato Firenze dove studiavo. Il cinema è romanocentrico e quindi ne ho approfittato e mi sono spostato a Roma per qualche anno, ma per me era troppo faticoso vivere in quella città così aggressiva e arrogan-te e allora mi sono spostato a Bologna. Lì ho ritrovato la di-mensione della provincia evi-dentemente più adatta a me con in più la presenza di una delle cineteche più importanti del mondo che mi ha regalato tante emozioni incredibili. Il cinema è molto presente nel tessuto so-ciale della città, è raro vedere

le fila davanti ai cinema come succede a Bologna.Sul piano professionale il tuo percorso è stato decisamente interessante.Per stare davanti a una mac-china da presa ci vuole un ca-rattere particolare. Nel tempo ho avuto sempre più difficoltà, tranne rare e amichevoli situa-zioni. Situazioni umane che mi mettessero a mio agio, con Luca Guadagnino nello spe-cifico ci conoscevamo da anni eravamo già molto amici e nel momento in cui ha pensato a me come il cuoco di Io sono l’amore (2009), conoscendolo e condividendo con lui una idea di cinema molto simile tutto è venuto naturalmente. Il lavoro di preparazione per il film è sta-to unico e molto bello.Ma come dicevo prima mi ero già orientato alla regia con B.B.

Lo sguardo fuori dal guscioVISIONI - Intervista al regista ed attore labronico Edoardo Gabbriellini, protagonista vent’anni fa di Ovosodo

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Seguendo il copione scritto da-gli esperti e dagli strateghi della

CIA specializzati nella destabiliz-zazione e nella demolizione di governi, in Venezuela la contro-rivoluzione ha fatto un “salto di qualità”: dall’ebollizione della piazza, fase iniziale del processo, si è passati a una guerra civile non dichiarata come tale ma messa in atto con insolita ferocia. Non si tratta più di guarimbas [barricate nelle strade, ndt], di occasionali scaramucce o di violenti scontri di piazza. Gli attacchi a scuole, ospedali pediatrici e maternità; la distruzione di flotte intere di autobus; i saccheggi e gli attacchi alle forze di sicurezza, inermi con i loro cannoni ad acqua e gas la-crimogeni di fronte alla ferocia dei mercenari della sedizione e il linciaggio di un giovane al grido di “chavista e ladro” sono sinto-mi inequivocabili che proclamano chiaramente che in Venezuela il conflitto ha effettuato una escala-tion fino a diventare una guerra civile che coinvolge già varie città e regioni del Paese. Se mancava qualcosa per potersi rendere conto dell’inedita gravità della situazio-ne e della determinazione delle forze eversive di mettere in atto i loro progetti fino alle estreme conseguenze, l’emblematico in-cendio della casa natale del Co-mandante Hugo Chávez Frías

mette dolorosamente fine a qualsi-asi speculazione su questo tema. Sarebbe ingenuo e suicida pensare che la dinamica di questo scontro, concepito per produrre una deva-stante crisi umanitaria, possa non es-sere il presupposto per un “intervento umanitario” del Comando Sud degli Stati Uniti. Questa minaccia esige da parte del governo bolivariano una ri-sposta rapida e incisiva, perché con il passare del tempo le cose peggio-reranno. Il patriottico e democratico appello del presidente Nicolás Ma-duro per una Costituente è servito solo per attizzare la violenza e la fu-ria selvaggia della controrivoluzione. La ragione è ben chiara: questa non vuole una soluzione politica della crisi che essa stessa ha creato. Quello a cui mira è di approfondire la disso-luzione dell’ordine sociale, farla fini-ta con il governo chavista e annienta-re tutta la sua dirigenza, propinando una brutale lezione perché nei pros-simi cento anni il popolo venezuela-no non torni ad osare di voler essere padrone del suo destino. I tentativi di accordo con un settore dell’oppo-sizione aperto al dialogo sono falliti completamente. Non per mancanza di volontà del governo ma perché,

e questa è la vergognosa realtà, l’e-gemonia della controrivoluzione è passata, nella fase attuale, nelle mani della sua frazione terrorista e questa viene comandata dagli Stati Uniti. In Venezuela si sta applicando, con metodica freddezza e sotto la conti-nua supervisione di Washington, il modello libico di “cambio di regi-me”, e sarebbe fatale non prendere coscienza dei suoi obiettivi e delle sue conseguenze. Il governo boli-variano ha offerto in innumerevoli occasioni il ramoscello d’ulivo per

pacificare il Paese. Non solo la sua offerta è stata rifiutata ma la destra golpista ha rafforzato le sue attività terroriste. Di fronte a questo, l’unico atteggiamento sensato e razionale che resta al governo del presidente Nicolás Maduro è procedere all’e-nergica difesa dell’ordine istituziona-le vigente e mobilitare senza ritardi l’insieme delle sue forze armate per schiacciare la controrivoluzione e ripristinare la normalità della vita sociale. Il Venezuela è oggetto non solo di una guerra economica e di

una brutale offensiva diplomati-ca e mediatica ma ora anche di una guerra non convenzionale che ha causato più di cinquanta morti e prodotto ingenti danni materiali. “Piano contro piano”, diceva Martí. E se una forza so-ciale dichiara una guerra contro il governo si richiede da questo una risposta militare. Il tempo delle parole è già finito e i suoi risultati sono visibili a tutti. E questo perché la posta in gio-co non è solo la Rivoluzione Bolivariana; è la stessa integrità nazionale del Venezuela che vie-ne minacciata da una dirigenza antipatriottica e coloniale che si trascina nello sterco della storia per implorare il capo del Coman-do Sud e ai caporioni di Washin-gton che accorrano in aiuto della controrivoluzione. Se questa arri-vasse alla vittoria, annegando nel sangue l’eredità del Comandante Chávez, il Venezuela scompari-rebbe come Stato-nazione indi-pendente e diventerebbe di fatto lo stato numero 51 degli Stati Uniti, che si impadronirebbero mediante questa cospirazione della maggior ricchezza petrolifera del pianeta.

Atilio A. Boron: fonte www.re-belion.org, traduzione per Senza Soste di Nello Gradirà

Come la Libia e la Siria?VENEZUELA - Scatenata una guerra civile contro il governo bolivariano

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Periodico livornese indipendente - Anno XII n. 127- Estate 2017 - OFFERTA LIBERA (stampare questo giornale costa 0,66 €)Poste italiane S.p.A. Spedizione in Abb. Post. 70%

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Pagina OttoAnno XII - n. 127 - Estate 2017

CALCIO - La società grigionera del Lebowski, diretta emanazione dei suoi tifosi, apre la sua prima scuola calcio nel centro storico di Firenze.

Da oggi siamo i vostri ultras. Sono passati ben oltre dieci

anni dal giorno in cui una com-pagnia di ragazzini decise di ini-ziare a seguire il Lebowski, “que-sta squadra che non vinceva mai”, rispondendo così ai gioca-tori che straniti e un po’ infastidi-ti andarono a chieder spiegazioni della loro comparsa in tribuna. Il motivo di quell’adesione senti-mentale probabilmente non lo sa nessuno ed è ormai accettato che questa storia sia nata senza un filo conduttore. Ma nell’estate del 2010 quando nasceva il Cen-tro Storico Lebowski, la nuova società fondata da quegli stessi tifosi, impreziosita in pochi anni da un ricco palmares, le idee ap-parivano molto più chiare. So-prattutto una, stampata nel vo-lantino distribuito alla prima uscita: “Appena ci è possibile vorremmo fare una scuola calcio, che sia prima di tutto un momen-to di crescita, di aggregazione e di sentimento, dove non sia im-portante il talento e i risultati, ma in cui tutti i ragazzi imparino ad allacciarsi le scarpe, a fare la doc-cia con i compagni, a prepararsi la borsa autonomamente, a cre-scere in gruppo con lealtà e ri-spetto per le differenze”. Quell’i-dea si è concretizzata lo scorso anno, ispirandosi a un concetto quasi fuori dal tempo, caro a Horst Wein, mentore della cante-ra del Barcellona. Sostiene il pro-fessore tedesco che “non dobbia-mo portare i bambini troppo lon-tano dai giardini d’infanzia”, e non è un caso quindi che la prima scuola scuola calcio grigionera nasca ai Nidiaci, un giardino nel-lo storico quartiere di San Fredia-no, nell’oltrarno fiorentino. A raccontarci la sua evoluzione sono i responsabili della scuola stessa, intitolata a Francesco “Bollo” Orlando, antifascista, sanfredianino e ultras del Le-bowski. Come è nata l’idea di fare una scuola calcio del Lebowski? Crediamo che in una società sportiva l’ambizione di realizzare una scuola calcio sia una scelta scontata. Dal nostro punto di vi-sta era un passaggio fondamenta-le: in assenza di mecenati o di canali di sostentamento come sponsor molto rilevanti o presi-denze facoltose, la sopravvivenza del progetto è data dal radica-mento sul territorio secondo la formula “ottenere poco ma da tutti”. Per cui in un progetto sportivo che ha come istanza de-cisiva quella di radicarsi nel terri-torio la scuola calcio è un veicolo essenziale perché ti mette in con-tatto coi bambini, le famiglie, i nonni, le scuole e questo ci ha portato tantissimi soci in più e ci ha permesso di uscire dai nostri confini. E’ stato un salto di quali-tà sportivo, perché ha aperto un nuovo fronte alla nostra idea di calcio, e organizzativo, perché ci ha permesso di proseguire l’idea di coinvolgere tante persone a cui chiedere un piccolo contributo. Per le attività della scuola calcio avete scelto un giardino nel cen-

tro storico di San Frediano. La vostra scelta sembra rispondere ad esigenze sia educative che po-litiche. Il giardino dei Nidiaci è stato do-nato decenni fa all’amministra-zione comunale per farne un cen-tro per l’infanzia. Dopo varie vi-cissitudini, il giardino è passato nelle mani di uno speculatore. C’è stata una forte lotta dei residenti a cui hanno partecipato anche quel-li che tra noi abitano nel quartiere. E’ finita con un compromesso: la ludoteca è stata trasformata in ap-partamenti di lusso e una parte del giardino è stata privatizzata, men-tre una parte è rimasta libera. Per un periodo lo spazio è diventato un grande cantiere e nessuno lo frequentava più. Nel ripopolarlo, un calciante dei bianchi, Fabrizio Valleri, aveva iniziato a fare delle giornate di avviamento al calcio e alcuni di noi sono andati a dargli una mano. Con il tempo abbiamo strutturato questa attività con un intervento del Lebowski, finché non è diventata una scuola FGIC della nostra società. Quest’anno, alla prima stagione, abbiamo avu-to 58 bambini tesserati e il prossi-mo anno se ne prevedono un cen-tinaio. Il contesto merita un ap-punto: è un giardino autogestito da un’associazione di residenti che porta avanti le aperture e le chiusure e ha stilato un regola-mento interno. Il Comune se ne occupa poco o nulla. Tutto è auto-gestito e autofinanziato: c’è il campo, l’orto, si organizzano con-certi musicali e corsi di inglese. Come funziona la scuola calcio del Lebowski? La scuola calcio è la terza agenzia

Chi frequenta la vostra attività? Prevalentemente la scuola calcio è frequentata da bambini delle scuole elementari del quartiere: abbiamo la Torrigiani, una scuola elementare molto popolare, da cui provengono molti immigrati che nei fatti sono sanfredianini, e figli di sanfredianini da genera-zioni; c’è una scuola privata da dove vengono famiglie che hanno qualche disponibilità economica in più e c’è la scuola elementare Agnesi... insomma, la frequenta-zione è alquanto eterogenea. La cosa più interessante è il coinvol-gimento dei genitori nell’autoge-stione. Noi diciamo sempre che la scuola calcio non è gratuita ma autogestita: è il territorio che in parte deve occuparsi della sosteni-bilità economica del progetto, quindi si organizzano pranzi e cene al giardino, sottoscrizioni nel quartiere, raccolte fondi, varie forme di volontariato tra i genito-ri. Chi sono gli istruttori? Gli istruttori sono persone dell’ambiente del Lebowski che hanno giocato a pallone, che han-no la qualifica o che la stanno per prendere; sono soprattutto perso-ne che hanno un grande passione nel lavorare con i bambini. Il progetto Lebowski sta per af-frontare un grande cambiamento dopo l’accordo raggiunto con il Tavarnuzze. Cosa cambia per la società? Che tipo di ricadute avrà sulla scuola calcio? Tavarnuzze è un ambiente come il Lebowski, che si basa sul volon-tariato. C’è stata unione di inten-ti, un accordo che ci farà sentire a casa. E’ previsto che il Tavarnuz-

formativa del paese, ogni anno vi si iscrivono 300.000 mila bambini. Dopo la famiglia e la scuola, il ruolo formativo passa alle scuole calcio che devono essere consape-voli di questa responsabilità. Pur-troppo è stata registrata una fortis-sima dispersione sportiva, che de-riva dall’assenza di gratificazione, da metodi sbagliati, da ambienti faticosi: la cosa grave non è che un ragazzo smetta di giocare a calcio ma che smetta di fare sport. Noi puntiamo decisamente all’inclusi-vità: la scuola calcio è gratuita, non c’è nessun costo di iscrizione e ogni bambino riceve 120 euro di materiale tecnico a stagione. Quest’anno il progetto ci è costato 36.850 euro. Dal punto di vista sportivo l’idea del giardino si spo-sa con l’attenzione per il gioco di strada e il gioco di strada facilita l’inclusività: permette una mag-gior continuità tra il gioco libero (che oggi viene drammaticamente a mancare all’aria aperta) e un’e-sperienza di primo avviamento all’attività sportiva e calcistica. Al giardino hai anche un rapporto differente con le famiglie. Insieme osserviamo i bambini in una di-mensione più anarchica, più rive-latrice di alcuni aspetti del loro carattere. Come istruttori struttu-riamo l’attività in modo da pro-porre giochi che pongano delle sfide ai ragazzi e nella risoluzione guidata ma personale di queste sfi-de il ragazzo acquisisce piano pia-no i gesti tecnici. Gli esercizi ana-litici sono sostituiti con momenti ludici. Come ripetiamo sempre il maestro non è l’istruttore ma il gioco stesso. Sono le sfide a rende-re necessario il gesto tecnico.

ze elimini la prima squadra e gli juniores e il Lebowski diventi pri-ma squadra e juniores di quel’im-pianto. Le scuole calcio sono due progetti che proseguono paralleli: noi lo faremo ai Nidiaci e dal prossimo anno anche alle Casci-ne del Riccio, un impianto che il Comune ci ha concesso per qual-che ora a settimana perchè con così tanti bambini abbiamo biso-gno di spazi. Il Tavarnuzze è una grande scuola calcio e ha un im-portante settore giovanile e so-prattutto è affiliato all’Atalanta: un’affiliazione non formale, ma sostanziale, nel senso che ogni mese ci sono corsi di aggiorna-mento che gli istruttori dell’Ata-lanta fanno agli istruttori del Ta-varnuzze e da ora faranno anche a quelli del Lebowski. In questo modo, entrambe le società, dai piccoli Amici 2011 ai giovanissi-mi regionali, avranno lo stesso programma annuale seduta per seduta, chiaramente modulato secondo le diverse esigenze d’età. Ogni inizio mese quindi faremo dei corsi di aggiornamento, a fine mese ci confronteremo in riunio-ne. A livello di proposta tecnica e didattica per il Lebowski è un sal-to di qualità impressionante per-ché abbiamo una guida preziosa, in linea con la nostra idea ludica degli allenamenti per i bambini.

Senza Soste redazione

Piccole speranze urbane

Onestà apoliticaJACK RR

L’onestà prima di tutto perché la verità poi verrà a galla, si

scopriranno le malefatte. E’ que-sto il concetto a cui si è ridotta la politica che ormai è stato cultu-ralmente sdoganato tra la gente. Un modello culturale e di intrat-tenimento televisivo incarnato da Le Iene o da Striscia La Notizia e che ha sfondato non solo nel piccolo schermo ma anche nel pa-ese. Nell’offerta politica, infatti, il modello ha funzionato ed ha rac-colto tanto consenso da mettere in crisi quei due partiti, socialdemo-cratici/laburisti e democristiani/conservatori da noi rappresentati da Pd e Forza Italia che dell’euro-peismo della finanza avevano im-plementato le linee guida: priva-tizzazioni e mercato. Il problema è che l’onestà, sempre che riesca ad affermarsi nei settori politi-co-amministrativi, non ha nessun contenuto politico-strategico in sé, se non di sottrarre materia ad altri, deputati a verificarne la qualità, vale a dire l’organo giurisdizio-nale, la magistratura. Privatizza-zioni e mercati regolati possono essere animati, anche in un ipo-tetico mondo “buono”, da bravi ed onesti personaggi pienamente integrati nella legalità, senza che ingiustizie e disuguaglianze ven-gano minimamente scalfite. La politica, intesa nella sua accezione di socialità che possa dare speran-za alla persona comune, deve in-vece misurarsi ogni giorno in una realtà dove la finanza detta ritmi e regole e dove quel simbolico 1% di popolazione che detiene mezzi e ricchezze vive in un mondo pa-rallelo. Tutto ciò è qualcosa di più grande ed organico rispetto all’o-nestà. Ancor di più rispetto al piz-zicare qualcuno con le mani nella marmellata ai danni del contri-buente. Che va bene ma è solo una parte. In questo contesto “apoliti-co” non esiste, infatti, una visione di risollevazione economica ed un’emancipazione sociale che sto-ricamente rappresentano la base per la crescita collettiva. In questo modo si spiana la strada per una cultura che predilige personaggi forti a cui delegare le scelte e la-sciare la scena. I 5 Stelle rischiano di rimanere invischiati in in pieno in questa cultura. Il loro format di offerta politica ed elettorale ha un solido piano nella comunicazione di massa ed è interessante per l’in-trattenimento ma evidenzia anco-ra lacune per iniziare a presentare e praticare altri punti di vista su come vivere, lavorare e migliorar-si. Altrimenti ci sarà la vittoria de-gli apolitici che stanno diventando un vero problema per la loro forza pulsionale tanto quanto per la loro irrilevanza politica.

Il dibattito su privacy e notizie false è scoppiato ormai da più

di un anno e ruota tutto intorno a due temi: il primo è quello del-la privacy, vale a dire se Facebook rispetta gli standard o meno. Il se-condo è se Facebook sia solo una piattaforma (privata, aggiungiamo noi, sempre meglio ricordarlo) o è anche un editore. E se le valu-tazioni se una notizia sia falsa o meno debba avvenire attraverso algoritmi o con l’intervento uma-no. A prima vista sembrano solo questioni tecniche, invece sono di-ventate discussioni fondamentali dal momento che ormai Facebook è parte integrante della sfera priva-ta di ognuno di noi (o quasi) ed è in grado di condizionare campa-gne elettorali, voti e immaginario di miliardi di persone. Proviamo a capire quali sono i problemi e le possibili soluzioni con l’aiuto del sito Valigiablu.it che ha sempre prodotto analisi e approfondi-menti a riguardo. Partiamo tutta-via da una premessa: Facebook è lo strumento ma la sostanza del problema sta nei processi di di-sinformazione anche dei media classici che devono difendere gli interessi di chi li finanzia e della classe dominante. La breccia che tale disinformazione fa in seno al

popolo avviene perché c’è sempre meno investimento nell’istruzione e sempre più distacco fra cittadino e politica. Facebook quindi è la punta di un iceberg che va molto più in profondità ed il problema della disinformazione e delle no-tizie false non nesce certo con l’a-zienda di Zuckerberg. Basta solo ricordare la campagna di falsità prodotta, quando ancora Facebo-ok non esisteva, da parte di chi vo-leva iniziare la disastrosa guerra in Iraq con tanto di Colin Powell che mostrava all’Onu una fiala e delle foto per dimostrare la presenza di armi di distruzione di massa nel paese di Saddam. Quindi le bugie e le fake news sono sempre esistite, adesso è solo cambiato il modo in cui prendono forma e si diffondo-no. Ed uno dei motivi per cui spes-so molti credono a cose impensa-bili parte soprattutto dalla sfiducia, legittima e comprensibile, che si è creata intorno a media tradiziona-li e politica. Senza mai scordarsi che solo poche settimane fa, quo-tidiani ritenuti autorevoli hanno pubblicato la foto di una modella e la hanno indicata come la sorella del kamikaze di Manchester, dif-fondendo a loro volta una bufala incredibile. L’imbroglio di Facebook alla

UE. Lo scorso 18 maggio il Com-missario alla Concorrenza della Commissione europea ha inflitto una multa di 110 milioni di euro (avrebbe potuto portarla fino a 250 milioni) a Facebook per l’acqui-sizione di WhatsApp. Nel 2014 Facebook comunicò alla Com-missione l’intenzione di acquisire WhatsApp ma dichiarò che non poteva stabilire una corrisponden-za automatica tra account Face-book e utenti WhatsApp. Invece nell’agosto 2016, le due aziende annunciarono la possibilità di collegare i numeri di telefono con gli account degli utenti del social network. E’ stato accertato anche che nel 2014 Facebook disse una bugia alla Commissione perché era già in grado al tempo di fare questa operazione. Con l’acquisizione di WhatsApp, di fatto Facebook ha acquistato un elenco telefonico da un miliardo di persone, molti dei quali già iscritti alla propria piatta-forma. Con questa mossa Facebo-ok ha ovviato al fatto di non avere il numero di telefono dei propri utenti (vi ricordate che più volte aveva provato a chiederlo ogni vol-ta che ci si collegava?) ed adesso è in grado di abbinare un numero di telefono anche a quei profili falsi o seminascosti alzando moltissimo

le proprie capacità di “profilazione dell’utente” per poi venderla a fini pubblicitari, operazione che aveva già fatto nel 2012 con Instagram. C’è però un problema: 110 milioni per Facebook sono niente. Tanto per farsi un’idea, il colosso dei so-cial network ha pagato WhatsApp 19 miliardi e nel 2016 nel ha fatti 6 di fatturato e 2 di utile. Come ha scritto giustamente Valigiablu.it nel proprio articolo si tratta prati-camente di una “monetizzazione dei diritti” a costi irrisori. Chi decide se è una fake news? L’e-vento che fece scoppiare il dibattito su come controllare e segnalare le fake news fu la bufala, condivisa da migliaia di utenti, del sostegno di Papa Francesco a Trump durante la campagna elettorale americana. Il dibattito però si è incentrato sul fatto che dovesse essere un algorit-mo a fare questo lavoro oppure la decisione finale dovesse spettare giocoforza ad un essere umano. Intanto c’è da precisare una cosa. Come avviene spesso la bufala rag-giunge molte più persone se ne par-lano i media tradizionali che con le condivisioni sui social network. Le fake news sono argomento che attira il lettore quindi, seppur con finalità diverse, viaggiano anche per meri-to di chi... (continua a pagina 3)

Ministero della Verità

Privacy e fake news: come si regolamenta la nostra vita invasa da Facebook? Dopo la vittoria di Trump ed il diffondersi delle bufale molti chiedono a Zuckerberg di intervenire, ma che sia la mano umana o un algoritmo, il rischio concreto è che Facebook, sempre più potente dopo l’acquisto di Whatsapp, diventi un Ministero privato della Verità.

Mensile. Sede: via dei Mulini, 29Direttore Responsabile: Paola Chiellini

Tipografia: SaxoprintRegistrazione del Tribunale di Livorno

n° 5/06 del 02/03/2006