Testimoni nel tempo / Biografie · Cara Giovanna! Oggi – 1o febbraio – ho finito di rileggere...

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Testimoni nel tempo / Biografie

Collana diretta da Pierino Bogon

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I SENTIERI INESPLORATI

Autobiografia di una pellegrinadietro l’Invisibile

GIOVANNA NEGROTTO CAMBIASO

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I edizione 2008II edizione 2009III edizione 2011

In copertina: Sorella Giovanna sulla catena dell’Himalaya nel mese di maggio 1998, di ritorno dalle sorgenti del Gange.

PRIMA EDIZIONE DIGITALE 2011ISBN 978-88-250-3042-6

Copyright © 2011 by P.P.F.M.C.MESSAGGERO DI S. ANTONIO – EDITRICEBasilica del Santo - Via Orto Botanico, 11 - 35123 Padova

www.edizionimessaggero.it

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INTRODUZIONE E TRE «PRESENTAZIONI»

Ai miei amici «lettori», in modo speciale ai giovani.Buttare giù i ricordi... e il vissuto attuale, e ancora in

cammino, di questa spinta «pellegrina», doveva essere solo per quella che ridendo chiamavamo «la memoria storica» di questi semi pellegrini, radunati prima e poi buttati dal Ven-to, sparsi qua e là in terre diverse; e in appartenenze diver-se, molto concrete e incarnate.

Doveva anche e soprattutto essere una memoria stori-ca del messaggio interiore forte! Contenuto nella «spinta» o... chiamata che nella mia vita avevo raccolta e poi condivi-sa, nelle sue tappe così svariate, ma radunate sempre dal «fi-lo rosso» partito da una «cotta» e da una spinta decisamen-te contemplativa... e poi molto incarnata.

A Spello mi chiamavano «pellegrina cantastorie», e so-no queste storie vere la trama del libro, fino a scoprire il sen-so del suo titolo, dentro una profetica preghiera di mia ma-dre, per me.

E ora, ecco!, sono stati i miei più saggi amici e maestri a caldamente invitarmi a pubblicare questo messaggio... «che può fare tanto bene, oggi!».

Di tre di loro accludo una breve presentazione a que-sto libro.

Fratel Giancarlo Sibilia, della Comunità Jesus Caritas, priore di Sassovivo e mio padre spirituale, raccomandava – quasi per obbedienza! – di farlo subito: «Lascia andare qual-che viaggio e fai ora questa visitazione». E mi è dolce obbe-dire a questo dono di Dio, che lui è per la mia anima.

Fratel Tommaso – primo «accompagnatore» (a Spello)

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di questo cammino pellegrino – ha insistito anche lui, com-mosso nel rievocare quel vissuto ricco di accoglienze cui si alternavano le visitazioni e tanti pellegrinaggi di pace. Pic-colo fratello del Vangelo, è stato anche lui, anni fa, mio con-fessore.

Don Aldo Brunacci, grande e caro prete, decano in As-sisi, amico di fratel Carlo e «giusto di Israele», ci ha da po-co lasciati regalandoci fino all’ultimo la sua vecchiaia saggia di novantaduenne, illuminata da un eterno largo sorriso. Mi telefonava in India, dove ero ritornata per l’undicesima vol-ta, dicendomi quanto bene avrebbero potuto fare queste pa-gine. Ecco perché, dopo queste righe di introduzione, non trovo altro da aggiungere se non le loro parole, subito qui di seguito.

A conclusione, confermo solo che mai, per noi, fu solo «strada» il pellegrinaggio! E come vedrete, soprattutto per me, fu dentro questo anche: accoglienza, preghiera, soste contemplative di eremo e silenzio e viaggi in terre lontane.

Fu, essenzialmente, l’ascolto del sogno di Dio che mi metteva sempre in viaggio! «Abramo esci...». Mentre a chia-mare furono spesso i gridi della storia e anche... l’accender-si dei segni. Tutto il resto, lo camminerete voi, dentro le pa-gine di queste storie vere, che sento di dedicare ai giovani e di cui benedico Dio.

Così scoprirete il segreto di quel «farsi della terra degli altri» che fu lo stile profetico del piccolo fratello universale, Charles de Foucauld. E il segreto stesso diventerà lo spirito dentro i passi molto feriali di tutti voi, pellegrini dell’Asso-luto, a volte chiamati anche a... «osare»!

Vi saluto dalla mia, alle vostre «interiorità», eliminando così le distanze! Vi indovino e vi voglio bene.

Possano queste pagine dar gioia al «viandante del quo-tidiano» – chiunque sia! – nella risvegliata consapevolezza di quel che nasconde in sé, e rivela, il pellegrino che è in lui.

L’autrice

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Cara Giovanna!

Oggi – 1o febbraio – ho finito di rileggere per la secon-da volta il tuo manoscritto e dal cuore grazie! Ho letto e ri-letto cose che tu mi avevi raccontate e ripetute, ma messe co-sì, una dopo l’altra, in filigrana, «avverti» colui che si è defi-nito «la strada»: Gesù!

Sia benedetto e sii benedetta!

giancarLo

Abbazia di Sassovivo (Foligno)(Fratel Giancarlo Sibilia, priore)

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Pace e gioia, sorella pellegrina!Vivo un tempo di Visitazioni nel pellegrinaggio della

mia vita di piccolo fratello; nel passaggio fra Africa ed Eu-ropa, ed è un tempo forte e significativo.

«Visitazioni»! Tu sai quanto questo termine ci lega alla Pellegrina Maria che, appena ricevuto l’annuncio di diventa-re Madre, si alza... (risuscita!) e in fretta va, verso la monta-gna, per incontrare e servire, umilmente offrendo il suo uni-co tesoro che sta nel ventre: Gesù, l’amore pellegrino fra Dio, l’umanità e l’universo.

A te, sorella pellegrina, è stata data «una bisaccia» fin da quando venisti al mondo! E con quella «passeggi nel giar-dino», come Dio, dalle origini, per creare e riconciliare nel mondo... un mondo ora spaventosamente fermo all’idolo, al mito del mercato; e hai scoperto e scopri, hai vissuto e vivi – e fai riscoprire e vivere! – il risveglio del pellegrino, con un cuore di tenerezza e di misericordia.

Con quella bisaccia vuota, accogli il dono che è l’altro, che sono gli altri, di ogni lingua, popolo, religione. Quella bisaccia ti fa essere «alla pari», sorella in ascolto, sorella be-nedicente, annuncio di gioia.

La bisaccia sì, ma anche una ciotola per attingere al-la Sorgente (in India sul Gange, in Assisi e...), sapendo che ogni giorno la Sorgente è sempre quella e fedele, che l’acqua è sempre acqua, ma nuova ogni volta.

Gioisco di questo mettere a disposizione di tanti pelle-grini desiderosi di scoprire la vita «come pellegrinaggio», la tua bisaccia e la tua ciotola, cioè te stessa, attraverso queste

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pagine nate dal cuore e dai passi pellegrini. Anche le tue ma-ni sono pellegrine! Ricordi quando furono «unte» assieme a tante altri mani a Spello in un giovedì santo, per dire il ser-vizio e il passaggio al benedire, sempre e ovunque, il pellegri-naggio di tutto l’essere verso l’altro e gli altri?

E che tanti possano cantare il Magnificat. Pace e ogni bene.

FrateL tommaso

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Mentre leggo è come una lieta riscoperta della verità, del nostro essere tutti pellegrini! Verso l’unica mèta, che è Dio... anche se diverse sono le «strade»!

Colgo anche con gioia, qui dentro, l’invito a risvegliare il «pellegrino benedicente» che è in noi, proprio come lo era già in certi nostri vecchi mendicanti che, per dir grazie, ci re-galavano quel bellissimo «Dio vi benedica».

Penso che anche la Chiesa dovrebbe nutrire sempre la lieta consapevolezza del suo essere pellegrina sulla terra e che «non habemus hic manentem civitatem...» (non abbia-mo qui una fissa dimora). Ma... «quam sordet tellus, dum coelum aspicio!»... (come si scolora la terra, mentre guar-do il cielo!).

Don aLDo Brunacci Assisi (Casa Papa Giovanni)

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LA SORGENTE

Non sai da dove viene, né dove va: ma ne senti la vo-ce. E ne vedi la bellezza. Se ha un nome (che abbia per ogni sua creatura, in qualsiasi terra), profumo di radici, questo è la Sorgente.

Rivedo, anni fa, la hall di un grande hotel a Monaco di Baviera. Alla fine dei quattro giorni di Incontro per la Pace – di tutte le religioni – eravamo riuniti con un’amicizia e un dialogo così naturale e familiare che non riuscivamo ad an-dare a letto.

Era notte e, a un certo punto, quei multicolori fratelli e sorelle delle più diverse e lontane provenienze si sono chie-sti: «Quale Nome ci unisce di più, senza dividerci?».

E, subito, è come scaturito: «The Source!... La Sorgen-te!». Rimanemmo in silenzio, quasi a sentircela gorgoglia-re dentro.

Anni prima, un giorno di marzo davanti alle Himalay-as lontanissime, avevo vissuto l’esperienza di sentirmele den-tro, nel cuore, perché a piedi lassù, in quella stagione, non si poteva salire a causa del ghiaccio e della neve.

Pensavo: «Se chiudendo gli occhi, riesco a vedere me-glio “l’Invisibile accanto”, ora che l’udito non funziona (per-ché le sorgenti sono lassù, chiuse fino a maggio ai pellegrini),

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io, però, me le posso sentire nel cuore!».Fu un secondo di fede profonda, di quella che sposta le

montagne – e lo fece!E così avvenne che sentii la musica dentro, di quelle

Sorgenti. Quel che provai, quella mattina all’alba, è inde-scrivibile. Ebbi solo un desiderio (e anche lui era gioia pu-ra): «Fai, che al mio ritorno al quotidiano, tutti quelli che in-contro – senza che io neanche lo sappia – possano sentirsi gorgogliare dentro – viva! – la Sorgente. Sì, viva! Perché (lo dicevo a duemila giovani in Calabria qualche mese fa) «... se Dio non è Vivente... allora non è interessante!».

Ma, lo è! E ricordo ancora – come fosse stamani – quel-la lontanissima domenica mattina dei miei quattro anni, in cui, seduta sul letto di mia madre, improvvisamente seppi questo, e lo gustai! Sapére, somiglia al latino sàpere, che è «gustare».

Lei, mia madre, mi disse per la prima volta che non do-vevo più dire «le preghiere a memoria». Io le dicevo un po’ in francese, un po’ in italiano e qualche canzoncina anche in altre lingue. Viaggiavo sempre: pellegrina dalle fasce.

«Ora – disse lei – non dire più le preghierine a memo-ria: parlaci!».

«Con Dio?! Parlarci? – chiesi con stupore. – Ma come faccio se lui non mi risponde».

E lei: «Se lo ascolti là dove parla lui, vedrai che lo senti; lui parla nel cuore, perché ti vuole più bene di tutti!».

«Più di te?!...». Continuai ancora più meravigliata ma decisa ad andare fino in fondo.

«Sì, più di me. Perché è lui che ti ha dato me e papà e il cielo e gli alberi, il mare, gli uccelli, le montagne e gli amici».

Tornava così bene, il discorso!... Era così straordina-riamente vero: quella mattina Lui fu e rimase per me il Vi-vente! E cominciò l’avventura, che mi metteva, come tutti, in viaggio.

Così la Sorgente si faceva anche... il compagno di viag-

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gio. E da allora si chiamò per me anche «incanto», che è «canto dentro». La sua bellezza cominciò a spalancarsi tut-ta... per strada, a tavola, in camera, davanti ai miei occhi in-cantati che si stavano facendo – senza che io lo sapessi – oc-chi contemplativi a causa, e a partire da quella parola di mia madre: «Tu, con Lui, parlaci!».

«Papà, mammi, che bellezza!» gridavo estasiata, men-tre l’auto verde filava per le strade della campagna romana dei miei primi anni di vita (dopo Firenze e Tripoli), davanti a quei pini romani e a quelle greggi pacifiche.

Poi, un giorno, le Sorgenti himalaiane, che da lontano già mi avevano fatto sentire nel cuore la voce, molti anni do-po le raggiunsi, a piedi!

Avevo ormai sessantatré anni. Sentivo che sarei arrivata, e proprio fino a Gaumukh,

partendo per il sentiero del trekking da Gangotri. Non mi scoraggiò (e nemmeno Marianne che era con

me) il trovare nel piccolo rifugio a metà strada un giovane americano «in coma d’altitudine».

Sentivo... la compagnia dei santi, anche quella di Cate-rina Conio (grande maestra di dialogo), che prima di mori-re mi aveva detto: «Se vai a Gaumukh, pensami! Perché... ci ho lasciato il cuore».

E non solo!Credevo – con certezza – di raggiungere quegli oltre

4000 metri, perché li salivo con un «contenuto», accorato, di intercessione.

Intercedere e benedire!... Non era stato forse sempre questo il «sociale» povero e nascosto, ma efficace, del pel-legrino?!

Da anni ormai sapevo bene che il secchiello lo avevo nel cuore, per spruzzare da lì – dalla interiorità – l’acqua per be-nedire i luoghi, le strade che sfioravo; come anche: quei de-sideri anonimi di pace che indovinavo; quei volti, che – an-che nel più profondo silenzio – salutavo con quel saluto bel-

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lo dell’India, namastè, che è: «Mi prostro davanti a Colui che ti abita».

Da cuore a cuore, il saluto – se consapevole – «fa avve-nire» quello che dice! La shalom di Maria in visita a Elisa-betta le fa danzare Giovannino in pancia; mentre la confer-ma di Elisabetta a Maria fa scaturire come sorgente il Ma-gnificat, per la beatitudine eterna e universale – promes-sa dal Cielo! – nell’Annunciazione; e ora... confermata, dal-la Terra.

Anche la benedizione degli incontri è «bellezza»; quel-la, per esempio, di questo mio riscoprire il saluto.

Vado al supermercato e, invece di infilare i pacchetti in fretta nel cestello, sosto a riposare il lago tranquillo e sereno dei miei occhi negli occhi sorpresi e lieti della commessa mia sorella, alla cassa. È «feriale» la benedizione!

Quella mattina di maggio, dunque, salivo lassù interce-dendo per una cosa grossa! Chiedevo: «Quella atomica “te-stata” per la prima volta in India proprio una settimana fa – a poca distanza da quella del Pakistan – Signore, fai che non sia mai usata!».

Proprio quella notte era Buddhapurnima, la luna piena di maggio – festa spirituale grande – e Buddha e Gandhi cer-to pregavano per la pace con noi due che salivamo.

I sei chilometri dell’ultimo tratto prima di Gaumukh (dove ghiaccio e nevi che ti si sciolgono ai piedi lasciano na-scere la piccola Ganga) furono incredibilmente lieti e legge-ri, e intanto il cuore si allargava a dimensioni mai provate, insieme agli occhi!

Fu il mio Tabor!Trecentosessanta gradi di cime bianchissime scintillanti

ad amplissimo raggio sotto il cielo azzurro e terso. Una inde-scrivibile icona di silenzio e di bellezza pura – nessuno par-lava – lo Shivilin (7000 m) pareva un candido monaco bene-dicente, con il cappuccio e le braccia alzate. Mi sentivo ac-colta e benedetta... attesa!

Dal seno del Baghirati (6000 m), allo sciogliersi di quei

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grandi cuori di ghiaccio, nasceva lieve ai nostri piedi, in mi-nuscoli rivoli, quella piccola «forma sacramentale» che è il sacro Gange (La Gangaji). A Benares, e poi a Calcutta, l’ave-vo già visto come un mare – qui mi nasceva ai piedi!

Su ogni scoglio rosa di granito, una figura silenziosa pregava e cantava o lentamente lasciava scendere dalle dita petali e corolle in quei laghetti piccoli e trasparenti. Le la-crime mi scendevano sul viso – improvvisamente sgorgate – così come quei rivoli e cascatelle che colavano giù fra rocce e sassi scintillanti.

Anche i sassi lassù, non sono opachi: brillano di mille pepite d’oro, d’argento e rosa.

Un giovane monaco è appena uscito da quel bagno ge-lato e si riavvolge il «doti» bianco intorno ai fianchi; mentre anche il nostro «sherpa» ventiquattrenne accende bacchette d’incenso e fa cadere devotamente i fiori nell’acqua.

Io non dimentico quello che è per loro «la bambina Ganga»! Lei è scesa per lavare in sé e guarire malattie, pec-cati, negatività. E... anch’io ero lì a ricevere tutto quel bene! Perché, mentre vedevo la sorgente Gaumukh, quella che in realtà incontravo – viva – era la Sorgente dentro!

Mi venivano a galla le parole dal cuore: «Così sarà l’in-contro con te quel Giorno Eterno: solo lacrime di gioia e grazie! E la Sorgente che dice: “Tu sei la mia gioia!”».

Sì, quella mattina, l’ho saputo certo e tatuato per sem-pre nella mia vita: a tutti, la Sorgente dirà: «Tu sei la mia gio-ia». Mentre noi, con i nostri rammarichi e paure e sensi di colpa lavati per sempre (come mai esistiti!), sentiremo che ormai, e da sempre attesi, siamo a «Casa»!

«Ormai, non desidero più niente! – mormoravo dentro. – Mi hai detto per sempre che sono la tua gioia».

Ho lasciato là il bambù del mio trekking, mentre quei tre sassi non più fatti di opacità, ma luccicanti di rosa e ar-gento e oro, me li sono portati dietro nello zaino.

Tre volte e a tre riprese, quel giorno del 1998, le lacri-me mi erano sgorgate di getto colando sul viso, anche loro

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come bambine appena nate... dalla Sorgente.

Mentre scrivo c’è lo stesso silenzio. Il cielo azzurrissi-mo, stamani, è quello di Assisi. Gli uccelli continuano a can-tare e il vento soffia leggero tra i tigli, e io lodo i luoghi be-nedetti dal Tuo bene e benedico il loro carisma, che è di re-galare grazia. Ma so che è qualcosa da scoprire ormai do-vunque! Anche nel luogo più nascosto e insignificante come Nazareth! («Da Nazareth può mai uscire qualcosa di buo-no?»), o come quella strada dell’esilio di Giacobbe dove lui ebbe il sogno... e appena sveglio aveva poi gridato: «Dio è in questo luogo... e io non lo sapevo!».

Quando – tornata dalle Himalayas delle Sorgenti e dall’India – ho raccontato tutto alle mie amiche clarisse, in un monastero d’Italia dove spesso faccio Ritiro, la badessa ha subito esclamato: «Ma il Gange allora... è un sacramen-to!».

Mi sono così rallegrata... Questa frase avevo osato, un po’ timidamente, scriverla

anch’io nei miei appunti di viaggio.Ma è solo se un giorno salirete quel sentiero e vedrete

il coraggio di quei piedi nudi e la devozione di quel bagno gelato; il silenzio e l’interiorità di quel pellegrinaggio... co-me anche a Benares... il viaggio luminoso di quelle barchet-te di foglie e fiori con lo stoppino acceso, che galleggiano a migliaia, la sera al tramonto... Sì! Solo allora potrete capire come non sia difficile venerare anche il Gange come «un sa-cramento della Sorgente».

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PARLARCI, SÌ! MA DOVE E COME CONOSCERLO?

Quella mattina dei miei quattro anni era avvenuto il mio primo – appena sbocciato – incontro con la Sorgente. Ancora non la conoscevo, ma cominciavo a sentir voglia di comunicare con lei. Il luogo era stato molto semplicemente il letto dei miei genitori – e lo trovo bello, questo dettaglio.

Poi, come luogo, ricordo anche le ginocchia della non-na, e quelle immaginette che la sera uscivano, a una a una dal suo grosso libro di preghiere. Io davo loro un nome, an-che alla prediletta mia, che era la «Madonna di Pompei», perché lì c’erano quattro personaggi! E li conoscevo ormai così bene che, quando la nonna morì, non esitai a prendere penna e carta (non avevo ancora sei anni) per tentare di rag-giungerla in cielo. Volevo che salutasse per me, oltre la Ma-donna e il Bambino, anche loro: san Domenico e santa Cate-rina e anche gli altri santi e gli angeli.

Volevo anche sapere come stava lei, lassù: «Cara nonni-na, come stai in cielo?...».

Era, pare, molto leggibile. Quello che ricordo è la cer-tezza del contatto con lei. Ero felice. Per un attimo, è vero, mi ero chiesta (e lo ricordo come oggi) chi avrebbe potuto fare da «postino» ma, immediatamente, il dubbio era spari-to: «Ma certo! Gli angeli che hanno le ali». Così «il dove»