«Testimone umile e profetico» Paolo VI sarà santo in ottobre · mar tedì il car dinale segr...

4
4 Giovedì 8 Marzo 2018 PRIMO PIANO TESTIMONI DEL VANGELO «Testimone umile e profetico» Paolo VI sarà santo in ottobre Il sì di Francesco quattro anni dopo la beatificazione MIMMO MUOLO ROMA ufficiale il decreto riguar- dante il miracolo attribuito all’intercessione del beato Paolo VI. In pratica il passo ultimo e definitivo verso la canonizzazione di Giovanni Battista Montini, per la quale resta da fissare solo il giorno: martedì il cardinale segretario di Sta- to, Pietro Parolin, ha detto «verso la fine del Sinodo» dei vescovi del pros- simo ottobre e alcune fonti accredi- tano l’ipotesi del 21 ottobre. Papa Francesco, ricevendo sempre mar- tedì in udienza il cardinale Angelo A- mato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, ne ha autoriz- zato la promulgazione. Il miracolo riguarda la guarigione inspiegabile dal punto di vista della scienza di una bambina al quinto mese di gravidanza, che secondo i medici avrebbe avuto scarse o ad- dirittura nulle possibilità di nascere a causa di una grave complicanza della gestazione, pericolosa anche per la salute della madre. In lin- guaggio tecnico si parla della guari- gione di un feto in età prenatale da rottura prematura pre-termine del- le membrane alla tredicesima setti- mana, complicata da anidramnios (la mancanza di liquido amniotico). Di fatto si conclude così un iter che era iniziato l’11 maggio 1993, quan- do era stato il cardinale Camillo Rui- ni, al tempo vicario di Giovanni Pao- lo II per la diocesi di Roma, ad in- trodurre la fase diocesana. Venti- cinque anni dopo Paolo VI sarà dun- que santo. Ma vanno ricordate an- che le tappe intermedie più signifi- cative: il 20 dicembre 2012 vengono proclamate le virtù eroiche del ser- vo di Dio (sono chiamati così tutti coloro per i quali sia iniziata una causa di beatificazione). Il 6 maggio 2014 viene riconosciuto il miracolo attribuito alla sua intercessione (la guarigione inspiegabile di un feto che nel 2001, in California, si trova- va in condizioni critiche per la rot- tura della vescica fetale, la presenza È di liquido nell’addome e l’assenza di liquido nel sacco amniotico). La beatificazione viene presieduta da Francesco il 19 ottobre 2014 in piaz- za San Pietro, a conclusione del Si- nodo dei vescovi straordinario sul- la famiglia. E nell’omelia papa Ber- goglio così definiva il suo prede- cessore nato a Concesio (Brescia) il 26 settembre 1897 e morto a Ca- stel Gandolfo il 6 agosto 1978: «Nei confronti di questo grande Papa, di questo coraggioso cristiano, di questo instancabile apostolo, da- vanti a Dio oggi non possiamo che dire una parola tanto semplice quanto sincera ed importante: gra- zie. Grazie nostro caro e amato pa- pa Paolo VI. Grazie per la tua umi- le e profetica testimonianza di a- more a Cristo e alla sua Chiesa». Il Papa ne ricordava anche «l’umiltà» in cui «risplende – sottolineava – la grandezza del beato Paolo VI che, mentre si profilava una società se- colarizzata e ostile, ha saputo con- durre con saggezza lungimirante - e talvolta in solitudine - il timone del- la barca di Pietro senza perdere mai la gioia e la fiducia nel Signore». Paolo VI, concludeva quel giorno pa- pa Francesco, «ha saputo davvero dare a Dio quello che è di Dio dedi- cando tutta la propria vita all’impe- gno sacro, solenne e gravissimo: quello di continuare nel tempo e di dilatare sulla terra la missione di Cri- sto», amando la Chiesa e guidando la Chiesa perché fosse nello stesso tempo madre amorevole di tutti gli uomini e dispensatrice di salvezza». © RIPRODUZIONE RISERVATA Il fatto Il Papa ha autorizzato la promulgazione del decreto che riconosce il miracolo ottenuto grazie all’intercessione del beato Montini «Così aiutò gli ebrei perseguitati» Scritti e documenti. Fu l’interprete dell’attenzione di Pio XII ETTORE MALNATI el 1940, entrata in guerra l’Italia, inVaticano si creò un ufficio infor- mazioni con a capo monsignor Giovanni Battista Montini, per favorire notizie ai familiari di militari e di civili pri- gionieri o dispersi. Accanto all’ufficio informazioni fu istituita, in Segreteria di Stato con la guida di Montini, anche una Commissione per le vittime della guerra, che aveva il compito di «distribuire aiuti materiali alle vittime militari e civili, ma altresì di aiutare molti perseguitati anche ebrei a fuggire dall’Europa». Nel 1941, in collabora- zione con monsignor Angelo Roncalli, Mon- tini si adoperò per av- viare un’opera caritati- va a favore delle popo- lazioni della Grecia, al- lo stremo per mancan- za di viveri. Purtroppo il tentativo fallì per op- posizione del governo inglese. «Il 1942 è l’an- no della terribile “solu- zione finale”, ideata da Hitler per sterminare il popolo ebraico. Montini, in quei mesi se- gnati dall’inizio della deportazione in tut- ti i Paesi controllati dalle forze dell’Asse, è al centro di scambi di informazioni e dei tentativi di salvataggio dei persegui- tati», come ricorda Andrea Tornielli nel suo libro biografico su Paolo VI. Il 24 giu- gno l’allora nunzio apostolico di Berlino Cesare Orsenigo rispondeva ad un ap- pello particolare di Montini che chiede- va un intervento in favore di una coppia di ebrei. Il 28 luglio, sempre Orsenigo tor- na a rispondere a una nuova richiesta di Montini sempre in favore di alcuni ebrei alla ricerca di notizie dei loro familiari in Germania o in Polonia. Il 18 settembre N 1942 Montini annota: «I massacri degli e- brei hanno raggiunto proporzioni e for- me esecrande. Incredibili eccidi sono o- perati ogni giorno; pare che per la metà di ottobre si vogliano vuotare i ghetti di centinaia di migliaia di infelici». In quel periodo Giorgio La Pira lasciò Fi- renze per sfuggire ai fascisti fiorentini e trovò anche in Montini aiuto e protezio- ne. Così fu per Alcide De Gasperi e per al- tri esponenti di un vivere civile e rispet- toso della dignità di ogni persona uma- na, di qualsiasi appartenenza etnica o re- ligiosa. Il 3 settembre 1942 la principessa Maria José di Savoia, in profondo disac- cordo con la politica di Mussolini, intendeva trovare una via per “sbarazzarsi” di lui. Co- sì cercò un canale di- plomatico verso gli Sta- ti Uniti. Per poter pra- ticare questo percorso, Maria José si rivolse a Montini, il quale «la- sciò di sera in auto ilVa- ticano e giunto nell’at- tuale piazza don Min- zoni, ai Parioli, uscì fur- tivamente dalla mac- china infilandosi in quella del colonnel- lo Arena che lo stava aspettando, poi rag- giunsero insieme l’abitazione della baro- nessa Giovannella Grenier. Qui Maria Jo- sé era arrivata poco prima... Il colloquio fu lungo e fruttuoso – come scrive Arrigo Petacco in un libro dedicato alla princi- pessa di Savoia –. Montini rassicurò la principessa che la Chiesa era pronta a col- laborare per far uscire l’Italia dalla guer- ra con onore e senza danni». Il 19 luglio 1943 avvenne il bombarda- mento degli aerei americani su Roma oc- cupata dai tedeschi.Venne colpito il quar- tiere di San Lorenzo. Montini accompa- gnò Pio XII che aveva «voluto andare di persona a vedere i danni, per pregare, consolare, benedire e distribuire soccor- si. Le donne in lacrime lo accompagna- no, gridando: “Padre Santo dateci la pa- ce, la pace! Non ne possiamo più!”. Ma di questo grido non bisogna cercare l’eco nei giornali, così come non si rintraccia la notizia della presenza di uno stato mag- giore tedesco, insediato in un edificio a cento metri dalla Basilica di San Loren- zo… Il 26 luglio 1943 Mussolini destitui- to…Il 13 agosto 1943 nuovo bombarda- mento di Roma… Il governo italiano pro- clama “Roma città aperta”… Il popolo ro- mano che deve al Papa (ma anche ai suoi più stretti collaboratori tra cui monsignor Montini) la dichiarazione di Roma città a- perta viene a San Pietro a ringraziarlo». Nel settembre del 1943 si abbatté sugli e- brei romani la tragedia della deportazio- ne, ciò che aveva già paventato con co- gnizione di causa il rabbino della Capita- le, Israel Zolli, che fu in precedenza rab- bino anche nella prestigiosa comunità ebraica di Trieste e che al termine del- la guerra si farà battezzare con il nome di Eugenio, quale ringraziamento al- l’opera di Pio XII e della Chiesa catto- lica a favore degli ebrei anche a Trieste, da parte del vescovo Antonio Santin (pastore della diocesi di Trieste dal 1938 al 1975) con il quale Zolli rimase sem- pre in contatto riconoscente. Montini fu fedele interprete dell’atten- zione del Papa per aiutare e nascondere in Vaticano e in molte case religiose e di prelati i fratelli ebrei. «Nella Roma occu- pata dai nazisti – scrive Xenio Toscani nel- la sua biografia su Paolo VI –, l’impegno di Montini si accrebbe di fatica e di ri- schio. Il 16 ottobre i tedeschi fecero una retata di milleduecento ebrei romani che furono deportati fuori dall’Italia. Il Pa- pa incaricò Montini di far sapere alla comunità ebraica che si stava facendo il possibile. Montini dunque seguì gli sforzi per nascondere ebrei e antifasci- sti». Il 4 giugno 1944, alle nove di sera, le truppe alleate entrarono in Roma. La- sciarono la canonica vaticana molti di coloro che avevano beneficiato, della carità discreta, riservata ed operosa di Montini, avendo salva la vita. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il libro. «Uomo di grande semplicità» ROMA apa «di gesti profetici», ma anche «uomo di grande semplicità». Padre Leonardo Sapienza, reggente della Casa Pontificia e profondo co- noscitore di Paolo VI, descrive con poche ma efficaci pennellate la personalità di Giovanni Battista Monti- ni. E, proseguendo una preziosa opera di documen- tazione (con varie pubblicazioni all’attivo), ci offre a corredo della sua affermazione un nuovo interessan- te punto di vista: il Diario dei cerimonieri pontifici e in particolare i volumi curati dall’allora monsi- gnor Virgilio Noè, che fu maestro delle cerimonie pontificie dal 1970 al 1982. Sono proprio le annota- zioni del futuro cardinale Noè a restituirci un’im- magine "privata" del Pontefice prossimo alla cano- nizzazione in alcuni casi molto distante dal cliché che certa stampa gli aveva cucito addosso. «Non uo- mo freddo, distaccato, "amletico" – scrive padre Sa- pienza –. Chi lo conosceva nel privato poteva testi- moniare della sua affabilità, della sua delicatezza d’animo, e anche di fine umorismo e autoironia». Sapienza ha raccolto le annotazioni più interessanti del maestro delle cerimonie pontificie in un libro in- titolato PaoloVI, una storia minima (EdizioniViverein) in cui dall’A di Anno Santo, alla V di vescovi ci offre "i- stantanee" di un Pontefice sconosciuto ai più. E ci- tando lo scrittore francese Nicolas de Chamfort, il cu- ratore del volume annota: «Nelle grandi cose gli uo- mini si mostrano come a loro conviene mostrarsi. Nelle piccole, invece, si mostrano come sono». In effetti il Paolo VI che emerge dalle pagine del volu- metto è per certi versi sorprendente. Finezza umana e di spirito: come quella volta che, tramite il marito, mandò una rosa rossa alla moglie del dottor Renato Buzzonetti, che aveva partecipato all’intervento chi- rurgico subito dal Papa nel 1967, con questa motiva- zione: «Questo dono è per sua moglie, alla quale l’ab- biamo sottratto per tanto tempo». Fede profonda e semplice al tempo stesso: come il 15 agosto 1975, quando dopo la Messa dell’Assunta, volle recitare da solo un’Ave Maria: «Che la Madonna ci benedica, e ci aiuti a mantenere il frutto dell’Anno Santo». Soffe- renza: nel libro si ricostruiscono alcuni particolare dell’attentato del 1970 a Manila. «Mi ha fatto male», aveva confidato Montini al suo medico, il dottor Fon- tana. Coscienza dei propri limiti (non era molto into- nato): il 3 giugno 1975 confida a Noè: «Non canterò il Prefazio. Non sono mai riuscito a impararlo». Umo- rismo: a monsignor Antonio Massone, nuovo ceri- moniere, al momento della presentazione (2 aprile 1972): «Spero sia massone solo di nome». E infine la citazione forse più bella di tutte: al termine di una ca- nonizzazione: «Abbiamo messo ancora un altro san- to in paradiso. Speriamo che ci sia ancora un po’ di posto anche per noi. Per me, almeno un posticino». Il posto, come sappiamo ora, c’è eccome. (M.Mu.) © RIPRODUZIONE RISERVATA P Curato da padre Sapienza, esce un testo che raccoglie le testimonianze e i ricordi dei cerimonieri pontifici Le sue lettere al nunzio di Berlino Orsenigo durante la guerra. La creazione di un ufficio presso la Segreteria di Stato per raccogliere informazioni A destra, Montini nel giorno della sua elezione a Pontefice il 21 giugno 1963 mentre si affaccia dalla loggia centrale della Basilica vaticana. A sinistra, il giovane Giovanni Battista nel 1924 (Ansa) A sinistra, Paolo VI durante l’inaugurazione della terza sessione del Concilio Vaticano II nella Basilica di San Pietro (LaPresse)

Transcript of «Testimone umile e profetico» Paolo VI sarà santo in ottobre · mar tedì il car dinale segr...

Page 1: «Testimone umile e profetico» Paolo VI sarà santo in ottobre · mar tedì il car dinale segr etar io di S ta-to, Pietro Parolin, ha detto «verso la fine del S inodo» dei v esco

4 Giovedì8 Marzo 2018P R I M O P I A N O TESTIMONI

DEL VANGELO

«Testimone umile e profetico»Paolo VI sarà santo in ottobreIl sì di Francesco quattro anni dopo la beatificazione

MIMMO MUOLOROMA

ufficiale il decreto riguar-dante il miracolo attribuitoall’intercessione del beato

Paolo VI. In pratica il passo ultimo edefinitivo verso la canonizzazionedi Giovanni Battista Montini, per laquale resta da fissare solo il giorno:martedì il cardinale segretario di Sta-to, Pietro Parolin, ha detto «verso lafine del Sinodo» dei vescovi del pros-simo ottobre e alcune fonti accredi-tano l’ipotesi del 21 ottobre. PapaFrancesco, ricevendo sempre mar-tedì in udienza il cardinale Angelo A-mato, prefetto della Congregazionedelle cause dei santi, ne ha autoriz-zato la promulgazione.Il miracolo riguarda la guarigioneinspiegabile dal punto di vista dellascienza di una bambina al quintomese di gravidanza, che secondo imedici avrebbe avuto scarse o ad-dirittura nulle possibilità di nascerea causa di una grave complicanzadella gestazione, pericolosa ancheper la salute della madre. In lin-guaggio tecnico si parla della guari-gione di un feto in età prenatale darottura prematura pre-termine del-le membrane alla tredicesima setti-mana, complicata da anidramnios(la mancanza di liquido amniotico). Di fatto si conclude così un iter cheera iniziato l’11 maggio 1993, quan-do era stato il cardinale Camillo Rui-ni, al tempo vicario di Giovanni Pao-lo II per la diocesi di Roma, ad in-trodurre la fase diocesana. Venti-cinque anni dopo Paolo VI sarà dun-que santo. Ma vanno ricordate an-che le tappe intermedie più signifi-cative: il 20 dicembre 2012 vengonoproclamate le virtù eroiche del ser-vo di Dio (sono chiamati così tutticoloro per i quali sia iniziata unacausa di beatificazione). Il 6 maggio2014 viene riconosciuto il miracoloattribuito alla sua intercessione (laguarigione inspiegabile di un fetoche nel 2001, in California, si trova-va in condizioni critiche per la rot-tura della vescica fetale, la presenza

È

di liquido nell’addome e l’assenzadi liquido nel sacco amniotico). Labeatificazione viene presieduta daFrancesco il 19 ottobre 2014 in piaz-za San Pietro, a conclusione del Si-nodo dei vescovi straordinario sul-la famiglia. E nell’omelia papa Ber-goglio così definiva il suo prede-cessore nato a Concesio (Brescia)il 26 settembre 1897 e morto a Ca-stel Gandolfo il 6 agosto 1978: «Neiconfronti di questo grande Papa,di questo coraggioso cristiano, diquesto instancabile apostolo, da-

vanti a Dio oggi non possiamo chedire una parola tanto semplicequanto sincera ed importante: gra-zie. Grazie nostro caro e amato pa-pa Paolo VI. Grazie per la tua umi-le e profetica testimonianza di a-more a Cristo e alla sua Chiesa».Il Papa ne ricordava anche «l’umiltà»in cui «risplende – sottolineava – lagrandezza del beato Paolo VI che,mentre si profilava una società se-colarizzata e ostile, ha saputo con-durre con saggezza lungimirante - etalvolta in solitudine - il timone del-

la barca di Pietro senza perdere maila gioia e la fiducia nel Signore».Paolo VI, concludeva quel giorno pa-pa Francesco, «ha saputo davverodare a Dio quello che è di Dio dedi-cando tutta la propria vita all’impe-gno sacro, solenne e gravissimo:quello di continuare nel tempo e didilatare sulla terra la missione di Cri-sto», amando la Chiesa e guidandola Chiesa perché fosse nello stessotempo madre amorevole di tutti gliuomini e dispensatrice di salvezza».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il fattoIl Papa ha autorizzatola promulgazione deldecreto che riconosceil miracolo ottenutograzie all’intercessionedel beato Montini

«Così aiutò gli ebrei perseguitati»Scritti e documenti. Fu l’interprete dell’attenzione di Pio XIIETTORE MALNATI

el 1940, entrata in guerra l’Italia,in Vaticano si creò un ufficio infor-mazioni con a capo monsignor

Giovanni Battista Montini, per favorirenotizie ai familiari di militari e di civili pri-gionieri o dispersi. Accanto all’ufficioinformazioni fu istituita, in Segreteria diStato con la guida di Montini, anche unaCommissione per le vittime della guerra,che aveva il compito di «distribuire aiutimateriali alle vittime militari e civili, maaltresì di aiutare molti perseguitati ancheebrei a fuggire dall’Europa».Nel 1941, in collabora-zione con monsignorAngelo Roncalli, Mon-tini si adoperò per av-viare un’opera caritati-va a favore delle popo-lazioni della Grecia, al-lo stremo per mancan-za di viveri. Purtroppoil tentativo fallì per op-posizione del governoinglese. «Il 1942 è l’an-no della terribile “solu-zione finale”, ideata daHitler per sterminare ilpopolo ebraico. Montini, in quei mesi se-gnati dall’inizio della deportazione in tut-ti i Paesi controllati dalle forze dell’Asse,è al centro di scambi di informazioni edei tentativi di salvataggio dei persegui-tati», come ricorda Andrea Tornielli nelsuo libro biografico su Paolo VI. Il 24 giu-gno l’allora nunzio apostolico di BerlinoCesare Orsenigo rispondeva ad un ap-pello particolare di Montini che chiede-va un intervento in favore di una coppiadi ebrei. Il 28 luglio, sempre Orsenigo tor-na a rispondere a una nuova richiesta diMontini sempre in favore di alcuni ebreialla ricerca di notizie dei loro familiari inGermania o in Polonia. Il 18 settembre

N1942 Montini annota: «I massacri degli e-brei hanno raggiunto proporzioni e for-me esecrande. Incredibili eccidi sono o-perati ogni giorno; pare che per la metàdi ottobre si vogliano vuotare i ghetti dicentinaia di migliaia di infelici».In quel periodo Giorgio La Pira lasciò Fi-renze per sfuggire ai fascisti fiorentini etrovò anche in Montini aiuto e protezio-ne. Così fu per Alcide De Gasperi e per al-tri esponenti di un vivere civile e rispet-toso della dignità di ogni persona uma-na, di qualsiasi appartenenza etnica o re-ligiosa. Il 3 settembre 1942 la principessaMaria José di Savoia, in profondo disac-

cordo con la politica diMussolini, intendevatrovare una via per“sbarazzarsi” di lui. Co-sì cercò un canale di-plomatico verso gli Sta-ti Uniti. Per poter pra-ticare questo percorso,Maria José si rivolse aMontini, il quale «la-sciò di sera in auto il Va-ticano e giunto nell’at-tuale piazza don Min-zoni, ai Parioli, uscì fur-tivamente dalla mac-

china infilandosi in quella del colonnel-lo Arena che lo stava aspettando, poi rag-giunsero insieme l’abitazione della baro-nessa Giovannella Grenier. Qui Maria Jo-sé era arrivata poco prima... Il colloquiofu lungo e fruttuoso – come scrive ArrigoPetacco in un libro dedicato alla princi-pessa di Savoia –. Montini rassicurò laprincipessa che la Chiesa era pronta a col-laborare per far uscire l’Italia dalla guer-ra con onore e senza danni».Il 19 luglio 1943 avvenne il bombarda-mento degli aerei americani su Roma oc-cupata dai tedeschi. Venne colpito il quar-tiere di San Lorenzo. Montini accompa-gnò Pio XII che aveva «voluto andare di

persona a vedere i danni, per pregare,consolare, benedire e distribuire soccor-si. Le donne in lacrime lo accompagna-no, gridando: “Padre Santo dateci la pa-ce, la pace! Non ne possiamo più!”. Ma diquesto grido non bisogna cercare l’econei giornali, così come non si rintracciala notizia della presenza di uno stato mag-giore tedesco, insediato in un edificio acento metri dalla Basilica di San Loren-zo… Il 26 luglio 1943 Mussolini destitui-to…Il 13 agosto 1943 nuovo bombarda-mento di Roma… Il governo italiano pro-clama “Roma città aperta”… Il popolo ro-mano che deve al Papa (ma anche ai suoipiù stretti collaboratori tra cui monsignorMontini) la dichiarazione di Roma città a-perta viene a San Pietro a ringraziarlo».

Nel settembre del 1943 si abbatté sugli e-brei romani la tragedia della deportazio-ne, ciò che aveva già paventato con co-gnizione di causa il rabbino della Capita-le, Israel Zolli, che fu in precedenza rab-bino anche nella prestigiosa comunitàebraica di Trieste e che al termine del-la guerra si farà battezzare con il nomedi Eugenio, quale ringraziamento al-l’opera di Pio XII e della Chiesa catto-lica a favore degli ebrei anche a Trieste,da parte del vescovo Antonio Santin(pastore della diocesi di Trieste dal 1938al 1975) con il quale Zolli rimase sem-pre in contatto riconoscente.Montini fu fedele interprete dell’atten-zione del Papa per aiutare e nasconderein Vaticano e in molte case religiose e di

prelati i fratelli ebrei. «Nella Roma occu-pata dai nazisti – scrive Xenio Toscani nel-la sua biografia su Paolo VI –, l’impegnodi Montini si accrebbe di fatica e di ri-schio. Il 16 ottobre i tedeschi fecero unaretata di milleduecento ebrei romani chefurono deportati fuori dall’Italia. Il Pa-pa incaricò Montini di far sapere allacomunità ebraica che si stava facendoil possibile. Montini dunque seguì glisforzi per nascondere ebrei e antifasci-sti». Il 4 giugno 1944, alle nove di sera,le truppe alleate entrarono in Roma. La-sciarono la canonica vaticana molti dicoloro che avevano beneficiato, dellacarità discreta, riservata ed operosa diMontini, avendo salva la vita.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il libro. «Uomo di grande semplicità»ROMA

apa «di gesti profetici», ma anche «uomo digrande semplicità». Padre Leonardo Sapienza,reggente della Casa Pontificia e profondo co-

noscitore di Paolo VI, descrive con poche ma efficacipennellate la personalità di Giovanni Battista Monti-ni. E, proseguendo una preziosa opera di documen-tazione (con varie pubblicazioni all’attivo), ci offre acorredo della sua affermazione un nuovo interessan-te punto di vista: il Diario dei cerimonieri pontificie in particolare i volumi curati dall’allora monsi-gnor Virgilio Noè, che fu maestro delle cerimoniepontificie dal 1970 al 1982. Sono proprio le annota-zioni del futuro cardinale Noè a restituirci un’im-magine "privata" del Pontefice prossimo alla cano-nizzazione in alcuni casi molto distante dal clichéche certa stampa gli aveva cucito addosso. «Non uo-mo freddo, distaccato, "amletico" – scrive padre Sa-pienza –. Chi lo conosceva nel privato poteva testi-moniare della sua affabilità, della sua delicatezzad’animo, e anche di fine umorismo e autoironia».

Sapienza ha raccolto le annotazioni più interessantidel maestro delle cerimonie pontificie in un libro in-titolato Paolo VI, una storia minima(Edizioni Viverein)in cui dall’A di Anno Santo, alla V di vescovi ci offre "i-stantanee" di un Pontefice sconosciuto ai più. E ci-tando lo scrittore francese Nicolas de Chamfort, il cu-ratore del volume annota: «Nelle grandi cose gli uo-mini si mostrano come a loro conviene mostrarsi.Nelle piccole, invece, si mostrano come sono».In effetti il Paolo VI che emerge dalle pagine del volu-metto è per certi versi sorprendente. Finezza umanae di spirito: come quella volta che, tramite il marito,mandò una rosa rossa alla moglie del dottor RenatoBuzzonetti, che aveva partecipato all’intervento chi-

rurgico subito dal Papa nel 1967, con questa motiva-zione: «Questo dono è per sua moglie, alla quale l’ab-biamo sottratto per tanto tempo». Fede profonda esemplice al tempo stesso: come il 15 agosto 1975,quando dopo la Messa dell’Assunta, volle recitare dasolo un’Ave Maria: «Che la Madonna ci benedica, e ciaiuti a mantenere il frutto dell’Anno Santo». Soffe-renza: nel libro si ricostruiscono alcuni particolaredell’attentato del 1970 a Manila. «Mi ha fatto male»,aveva confidato Montini al suo medico, il dottor Fon-tana. Coscienza dei propri limiti (non era molto into-nato): il 3 giugno 1975 confida a Noè: «Non canterò ilPrefazio. Non sono mai riuscito a impararlo». Umo-rismo: a monsignor Antonio Massone, nuovo ceri-moniere, al momento della presentazione (2 aprile1972): «Spero sia massone solo di nome». E infine lacitazione forse più bella di tutte: al termine di una ca-nonizzazione: «Abbiamo messo ancora un altro san-to in paradiso. Speriamo che ci sia ancora un po’ diposto anche per noi. Per me, almeno un posticino».Il posto, come sappiamo ora, c’è eccome. (M.Mu.)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

P

Curato da padre Sapienza, esce untesto che raccoglie le testimonianzee i ricordi dei cerimonieri pontifici

Le sue lettere al nunziodi Berlino Orsenigo

durante la guerra. Lacreazione di un ufficiopresso la Segreteria

di Stato per raccogliereinformazioni

A destra,Montini nelgiorno dellasua elezionea Ponteficeil 21 giugno1963 mentresi affacciadalla loggiacentraledellaBasilicavaticana.A sinistra, il giovaneGiovanniBattistanel 1924(Ansa)

A sinistra, Paolo VIdurante l’inaugurazionedella terza sessione delConcilio Vaticano II nellaBasilica di San Pietro (LaPresse)

TECNAVIA [CROPPDFINORIG] crop = -45 -30 -45 -30
Page 2: «Testimone umile e profetico» Paolo VI sarà santo in ottobre · mar tedì il car dinale segr etar io di S ta-to, Pietro Parolin, ha detto «verso la fine del S inodo» dei v esco

«Montini, il Papa della vita nascente»Il postulatore: per sua intercessione hanno visto la luce bimbi destinati a morire

5Giovedì8 Marzo 2018 P R I M O P I A N O

TESTIMONIDEL VANGELO

FILIPPO RIZZI

er me Paolo VI futurosanto è il Papa della vi-ta nascente perché

nei due casi dei miracoli avvenu-ti grazie alla sua intercessione chelo hanno portato prima alla bea-tificazione nel 2014 e ora alla ca-nonizzazione hanno avuto al cen-tro due feti e quindi due bambiniche erano destinati a non nasce-re». È emozionato il postulatoredella causa di canonizzazione, ilredentorista napoletano AntonioMarrazzo, ma allo stesso tempo sidice grato al «Santo Padre» perl’autorizzazione sul decreto dellaCongregazione delle cause deisanti riguardanti il miracolo attri-buito all’intercessione del beatoPaolo VI che permetterà proba-bilmente a ottobre la sua cano-

P«nizzazione. Dal 2 marzo 2007, ri-cevendo il testimone dal gesuitatorinese Paolo Molinari, ha preso“in mano” la causa di Paolo VI. «Seoggi siamo arrivati a questo rico-noscimento – ammette – lo dob-biamo anche a padre Molinari.Leggendo l’opera monumentaledella Positio di Montini si rimaneedificati dalla sua umanità, dal suostile semplice che rispetto alla vul-gata voleva essere un “curato dicampagna” e non il raffinato di-plomatico della Santa Sede che sa-rebbe diventato. Pensi che avevaaccarezzato l’idea di laurearsi inpsicologia per imparare a capirele ragioni degli altri».Una figura talmente unica «un mi-stico nutrito di cristocentrismo» emoderna («da assistente della Fu-ci consegnò direttamente ai “suoi”giovani universitari, in pieno pre-

Vaticano II, il Vangelo!»). Ma padreMarrazzo si sofferma sulla parti-colarità, a suo giudizio, dei due mi-racoli (quelli di beatificazione ecanonizzazione). «Si tratta di duedonne – è il racconto – alla secon-da gravidanza dove gli stessi me-dici, visto il fragile stato di salutedei feti, consigliavano di percor-rere la strada di un aborto natura-le. O al massimo si dicevano con-vinti di una morte prematura deineonati. E invece grazie all’inter-cessione di Montini sono arrivatiquesti due miracoli». Ed eventiprodigiosi, soprattutto l’ultimoche ha dato il via all’iter di cano-nizzazione. «La nascita della pic-cola Amanda, avvenuta il 25 di-cembre 2014 con un parto pre-maturo – è la rivelazione – è statoun fatto veramente inspiegabileperché la mamma che aveva in

grembo la piccola, la signora Van-na Pironato, era destinata a nonportare a termine la sua gravi-danza a causa della rottura dellaplacenta. La donna ha subito bencinque ricoveri per far sì che il fe-to riprendesse l’alimentazione delliquido amniotico. Tutto sembra-va vano». E invece.... «La donnadal settembre 2014 – racconta ilpostulatore – si recò pellegrina, suconsiglio di un’amica infermiera e

di un ginecologo milanese, con lasua famiglia al Santuario di SantaMaria delle Grazie a Brescia e siraccolse in preghiera di fronte al-la reliquia di Montini: la magliet-ta macchiata dal sangue del Pon-tefice nell’attentato di Manila, nel-le Filippine del 1970». Una pre-ghiera che è continuata – spiegaMarrazzo – «nei tre mesi succes-sivi dove sono stati coinvolti tuttii familiari che si affidavano all’in-

tercessione del Papadi Concesio. Il mira-colo è stato lento. Il fe-to, fino alla nascita diAmanda, ha conti-nuato a svilupparsinonostante l’assenzadel liquido amnioti-co». Ma la vera sor-presa è un’altra. «Sitratta di un vero mi-racolo avvenuto nel“nascondimento”

nello stile di Montini perché noidella postulazione della causa sia-no venuti a conoscenza di questomiracolo un anno e mezzo dopo,grazie a un’intervista rilasciata algiornale della diocesi di Brescia LaVita del Popolo da Vanna Pirona-to. Diversamente non avremmosaputo niente». E aggiunge unaconfidenza: «Quando ho incon-trato papa Francesco, alla luce ditutto questo, gli ho proposto di in-dicare in Montini il patrono dellavita nascente. Manca ancora unsanto protettore dedicato a questesituazioni così singolari e difficili».Un sogno per padre Marrazzo,quello di vedere Montini («L’uo-mo che esercitò come massimavirtù la prudenza») agli onori de-gli altari, che diventa ora realtà.«Sarebbe bello che venisse pro-clamato santo durante il Sinododei vescovi sui giovani – è la rifles-sione –. Non è forse un caso chenell’ultima omelia pronunciata il29 giugno 1978 indicò nei giovaniil “domani” della comunità civilee della Chiesa».

© RIPRODUZIONE RISERVATAL’arcivescovo Montini fra i mutilatini di Don Gnocchi a Roma nel dicembre 1954 (LaPresse)

Il teologo don Maffeis:la sua santità espressaattraverso una fedeincrollabile e unadedizione senza riserve

La sua catechesi: ogni Messacome fosse la prima e l’ultima

MARCO RONCALLI

aestro, ma anche testimone di u-na fede cristallina, lungo una vitaa servizio della Chiesa e dell’uo-

mo. Un modello di fedeltà al messaggio e-vangelico ancorato ad una ricerca di perfe-zione nell’adempimento del proprio mini-stero: come presbitero, vescovo, pontefice.Anche in tempi di difficoltà e a prezzo di sof-ferenze. Eccolo il ritratto di Paolo VI nellaluce della santità riconosciuta ora anche uf-ficialmente. Ma come può la santità vissu-ta da un Papa costituire un esempio da i-mitare per tutti i cristiani? «Ciò è possibileperché anche un Papa è e rimane prima ditutto un cristiano, un credente, un discepo-lo del Signore. Ed è questa radice comunedella santità che tutti i fedeli possono rico-noscere anche in chi ha vissuto in uno sta-to di vita e in un ministero completamentediverso dal proprio. D’altra parte, non si de-ve dimenticare che la santità è sempre in-carnata in una concreta forma di vita, in undeterminato servizio alla Chiesa e in unasingolare storia personale che non è ugua-le a quella di nessun altro», spiegava tempofa il teologo don Angelo Maffeis, presiden-te dell’Istituto Paolo VI. Aggiungendo che «atutti i fedeli, dunque, Paolo VI viene pre-sentato come un credente, che ha testimo-niato una fede incrollabile e, al tempo stes-so, si è fatto compagno di viaggio dell’uma-nità immersa in una cultura che rendevaspesso difficile riconoscere i segni della ma-nifestazione di Dio». Mentre «ai pastori pa-pa Montini offre l’esempio di una dedizio-ne senza riserve». Certo, anche solo guar-dando all’ultimo secolo, non sono pochi iPapi già saliti agli altari, benché in tempi emodi differenti. E se Giovanni Paolo II è sta-to “santo subito” o Giovanni XXIII “esenta-to dal miracolo”, il cammino di Montini nonha visto eccezioni, non è stato rapido, of-frendoci l’opportunità di riempire l’attesanella riscoperta della sua parabola umanae spirituale. Dove si rivelano caratteri fon-damentali il servizio alla Chiesa, la fidu-

M

cia negli uomini, da raggiungere attraver-so il dialogo. Ecco dunque la Chiesa an-cella dell’uomo: «tutto l’uomo» (quello«fenomenico» o «tragico» o «versatile»...«l’uomo com’è, che pensa, che ama, chelavora»), come affermava Paolo VI chiu-dendo il Concilio Vaticano II il 7 dicembre1965, quasi a disegnare il manifesto di unnuovo umanesimo cristiano («noi più ditutti, siamo i cultori dell’uomo»).«Se dovessi inserire la santità di Montini inun’ipotetica storia della santità, parlerei in-nanzi tutto di santità del Concilio VaticanoII: nel duplice senso di una santità che haportato e ha presieduto l’evento conciliare,dandogli una forma cristocentrica, e di unasantità che ha poi cercato di far fruttificareil magistero conciliare», sintetizza lo stori-co Fulvio De Giorgi, convinto che «la cifra es-

senziale di questa santità conciliare è il cri-stocentrismo» e che «questa santità cristo-centrica ha brillato nella vita di Montini co-me umiltà e come carità».Concorda anche il teologo don Ettore Mal-nati, a lungo accanto al segretario di PaoloVI monsignor Pasquale Macchi, mai di-mentico di dettagli emblematici, come il fat-to che nella sacrestia della cappella privata– sia dell’arcivescovado di Milano che in Va-ticano – Montini volle fosse visibile questomonito: «Celebra la Messa come se fosse laprima, l’ultima e l’unica». «La sua santitàpuò essere colta nel compiere la volontà diDio in ogni frangente, con un’attenzioneverso il mondo moderno affinché fosse ri-conosciuto il primato del regno di Cristo,non solo nelle anime, ma anche quale fon-damento per un vivere nell’attenzione con-

creta verso i popoli meno abbienti», conti-nua il sacerdote, studioso del pensiero e deigesti di Paolo VI. Il Papa bresciano (e qui an-che le radici meriterebbero spazio), si spe-se sempre nel suo ministero, mai separan-dolo da un’attenzione concreta verso gli ul-timi: rom, carcerati, disoccupati, sfrattati,bambini abbandonati e… cercatori di sen-so, di speranza, di affetto. Sorprendono ta-lora – e non è agiografia spicciola – anche«gesti santi» riportati nel dossier «testimo-niale» sul Montini più segreto, chino su tan-te storie personali. Nella consapevolezzache «santi si può essere, perfetti si può es-sere, perché la santità è un dovere» (parolesue). Si legga questa testimonianza spigolatadalla Positio riferita da monsignor AngeloGiuliani. «Nel Natale 1959 ho assistito per-sonalmente alle visite che l’arcivescovo fe-ce a monsignor Silva, ricoverato alla Clini-ca Columbus, per un cancro ormai deva-stante. Monsignor Silva mi raccontò che pri-ma diceva di Montini: “Non so se quello lìcrede davvero alle parole che dice”. Maquando vide che Montini era andato a tro-vare un prete che aveva la bocca sfigurata dalcancro e, prima di venir via, l’aveva baciatoproprio sulla bocca sanguinante: “Allora –disse – ho capito che non erano solo paro-le quelle che diceva, ma le metteva in pra-tica”». «Per Montini quel bacio era dato, congrande carità, al confratello malato, ma an-che, con grande umiltà, a Gesù», commen-ta Fulvio De Giorgi. Come non richiamareun altro bacio di Paolo VI, quello, il 14 di-cembre ’75, ai piedi del metropolita Melito-ne di Calcedonia? Un atto di riconciliazio-ne sì – nel X anniversario dell’atto con il qua-le Roma e Costantinopoli avevano cancel-lato le reciproche scomuniche – ma pure diumiltà da parte del Pontefice tale da far e-sclamare al dignitario (in quel momentorappresentante del Patriarcato ecumenicoe dell’ortodossia): «Solo un santo poteva fa-re una cosa simile!». Ecco Giovanni BattistaMontini era anche un santo così.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Le reazioni. La gioia di Milano e BresciaENRICO LENZIMILANO

na grande gioia. Ma an-che la consapevolezzadi doversi impegnare

per prepararsi nel migliore deimodi alla canonizzazione. LeChiese di Brescia e di Milano ac-colgono così la promulgazionedel decreto con il quale si rico-nosce il miracolo attribuito al-l’intercessione del beato PaoloVI, fortemente legato a questedue comunità. A quella brescia-na perché è la diocesi nella qua-le vide la luce il 26 settembre1897 nel paese di Concesio. Aquella ambrosiana perché fu in-viato a guidarla dal 1955 al 1963,quando verrà eletto Ponteficecon il nome di Paolo VI.

«L’arcivescovo Mario Delpini haaccolto con grandissima gioiaquesta notizia – fa sapere il suoportavoce e responsabile dellacomunicazione dell’arcidiocesiambrosiana, don Davide Mila-ni –. Una notizia sperata e atte-sa». Poche parole, ma che nondiminuiscono i sentimenti digratitudine e di soddisfazioneper la canonizzazione di Gio-vanni Battista Montini, che nel-la Chiesa ambrosiana ha lascia-to un segno, anche se sono pas-sati 55 anni dalla sua partenzaper Roma per partecipare alConclave che lo scelse comesuccessore del defunto Giovan-ni XXIII. E per recuperare la suaopera, la sua figura e il suo ma-gistero mentre sedeva sulla cat-tedra di sant’Ambrogio, il Con-

siglio episcopale milanese nelleprossime settimane cercherà dielaborare un programma di ini-ziative che proprio possa resti-tuire alla Chiesa ambrosiana l’a-zione del suo pastore. A comin-ciare dalla Mis-sione cittadinadel 1957 pro-mossa dall’allo-ra arcivescovoMontini per ri-svegliare la fedein un contestoche già dava se-gni di secolariz-zazione e di allontanamento.Ma per la Chiesa di Milano sitratterà anche di un avveni-mento in un certo senso storico.«È il primo arcivescovo “santo”dopo san Carlo Borromeo: am-

bedue consumati da un appas-sionato amore, che deve provo-care anche noi» sottolinea mon-signor Ennio Apeciti responsa-bile del servizio diocesano del-le cause dei santi e consultore

presso la stessaCongregazionevaticana. «Final-mente santo,Paolo VI, il can-tore dell’amoredella Chiesa –prosegue Apeci-ti in un com-mento pubbli-

cato sul sito dell’arcidiocesi diMilano –, che aveva proclama-to da arcivescovo di Milano nelMessaggio per la Quaresima1962: "La Chiesa compie nelConcilio un grande atto d’amo-

re a Cristo. È la Sposa fedelissi-ma che celebra la sua felicità"».Riconoscenza e gioia sono i sen-timenti che si respirano anchenella Chiesa bresciana che die-de appunto i natali a GiovanniBattista Montini. Qui si formò evide nascere la propria vocazio-ne sacerdotale. Nella Cattedra-le di Brescia verrà ordinato sa-cerdote il 29 maggio 1920. Anchese presto viene avviato agli stu-di per la Pontificia accademiaecclesiastica - che gli aprirà pri-ma la via per la carriera diplo-matica vaticana e poi negli uffi-ci della Segreteria di Stato - Mon-tini resterà fortemente legato al-la sua terra d’origine facendoviritorno quando possibile in se-no alla famiglia. E proprio a Con-cesio sorge l’Istituto Paolo VI che

ne raccoglie l’eredità di magi-stero e ne cura la diffusione an-che della devozione dopo labeatificazione avvenuta il 19 ot-tobre 2014. Facile immaginareche nelle prossime settimaneanche la Chiesa bresciana an-nuncerà iniziative e program-mi per prepararsi all’appunta-mento. E quasi a rinforzare unlegame tra Milano e Brescia,dopo l’arcivescovo Montini fi-glio della Chiesa bresciana al-la guida di quella milanese, og-gi sulla cattedra bresciana sie-de un figlio della Chiesa am-brosiana, il vescovo Pieranto-nio Tremolada, che a Milano èstato vescovo ausiliare. Lega-me che ora passa anche dalladevozione per Paolo VI.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

ULa Chiesa che ha

guidato per 8 anni equella in cui nacque,

unite nella festa

L’intervistaPadre Marrazzo: come perla beatificazione il miracoloriguarda una gravidanza arischio. «E dire che volevafare il curato di campagna»

TECNAVIA [CROPPDFINORIG] crop = -45 -30 -45 -30
Page 3: «Testimone umile e profetico» Paolo VI sarà santo in ottobre · mar tedì il car dinale segr etar io di S ta-to, Pietro Parolin, ha detto «verso la fine del S inodo» dei v esco

6 Giovedì8 Marzo 2018P R I M O P I A N O TESTIMONI

DEL VANGELO

L’amore per Avvenire. «Alleati di Pietro»Il Pontefice bresciano volle contro tante resistenze un quotidiano dei cattoliciELIANA VERSACE

er una singolare e felice coincidenza,Paolo VI, il Papa che è stato il fondato-re di Avvenire, sarà canonizzato nel-

l’anno in cui il giornale dei cattolici italiani ce-lebra il cinquantesimo anniversario della suanascita. La determinazione con la quale pa-pa Montini perseguì l’opera di fondazione delquotidiano cattolico nazionale è stata ricor-data anche nella Positiopredisposta per il pro-cesso di beatificazione. «Avvenire – leggiamoin una significativa testimonianza – è stato ilgrande amore di papa Montini. Il giornale na-zionale nacque nel 1968 fra tante difficoltà eincomprensioni per la fede del suo fondato-re e del suo più grande sostenitore. Molti fon-datori di congregazioni religiose e di Operecaritatevoli sono diventati santi per le lorocreature. Avvenire – continuava il testimone –fu una grande opera di un Papa che conosce-va e amava il mondo contemporaneo. In unaudienza ai giornalisti cattolici confidò che ilprimo giornale che al mattino leggeva era Av-venire. Non mancava occasione per racco-mandarlo e per sostenerlo anche finanziaria-mente con sacrifici personali».Per far nascere il giornale, Paolo VI aveva in-

Pfatti dovuto superare la contrarietà mani-festata dal cardinale Giovanni Colombo,che era diventato arcivescovo di Milano nel1963, succedendo proprio a Montini, e checonosceva bene i problemi della stampacattolica, essendo stato presidente della so-cietà editrice del quotidiano cattolico del-la diocesi, L’Italia; il Pontefice affrontò an-che la strenua difesa che a Bologna il car-dinale Giacomo Lercaro fece de L’Avvenired’Italia, che l’arcivescovo felsineo non vo-leva fosse chiuso, ma che era gravato da unpesante deficit di bilancio. L’appassionato interesse per il mondo dellastampa e dell’informazione aveva in Giovan-ni Battista Montini radici antiche. Paolo VI èstato indubbiamente il Papa che, più di tuttii suoi predecessori, conobbe meglio il mon-do del giornalismo, avendolo frequentato epraticato sin da ragazzo. Ricevendo i rappre-sentati della stampa italiana ed estera dopola sua elezione, il nuovo Pontefice ricordò in-fatti il padre, Giorgio Montini «giornalista d’al-tri tempi, si sa, e giornalista per lunghi anni,direttore d’un modesto, ma ardimentosoquotidiano di provincia», che nel ruolo dellastampa aveva intravisto «una splendida e co-raggiosa missione al servizio della verità, del-

la democrazia, del progresso; del bene pub-blico in una parola». Sulle orme paterne, eglistesso, appena maggiorenne, partecipò allafondazione di un quindicinale, La Fionda,che, seppur ideato e stampato a Brescia e pen-sato per i giovani studenti cattolici del NordItalia, fu letto e diffuso nei circoli della Fuci intutto il Paese. Durante il periodo in cui fu as-sistente ecclesiastico generale della Fuci,Montini rilanciò la rivista storica dell’asso-ciazione, Studium, e ne fondò una nuova, A-zione Fucina, svolgendo per entrambe quasiun ruolo di direttore editoriale, e stimolandoi giovani all’impegno culturale.Negli anni in cui fu arcivescovo di Milano, cittàdove si stampava L’Italia, Montini istituì in Cu-ria un Ufficio studi con funzioni editoriali e di

pubbliche relazioni. Il futuro Paolo VI era fer-mamente convinto che i mezzi di comunica-zione potessero essere ausiliari alla Chiesa nel-l’indifferibile e fondamentale compito di tra-smettere la fede in Cristo e annunciare il Van-gelo, attraverso il dialogo – che è termine ti-picamente montiniano – col mondo moder-no. Se L’Italia doveva rappresentare «una cat-tedra sempre parlante», come scrisse il 24 giu-gno 1962, nel messaggio rivolto alla diocesi diMilano per il 50° anniversario di fondazionedi quel quotidiano genitore di Avvenire, l’in-tero mondo dell’informazione, meglio diqualunque altro, poteva rendersi vero inter-prete del Vangelo, dilatando la voce dellaChiesa. «Ciò che voi ascoltate all’oscuro, di-telo sopra i tetti e ciò che vi è stato mormo-rato alle labbra ditelo per le piazze. Questoè il Vangelo», affermò Montini durante unincontro con dei giornalisti nel 1957, citan-do le parole di Gesù riportate da Matteo; neiloro confronti l’arcivescovo si descrisse «in-cantato, e dovrei quasi dire, invidioso, per-ché voi avete una potenza di diffusione as-sai maggiore di quella che non disponga ilmio ministero e il mio apostolato». Il ruolo e le potenzialità della stampa cattoli-ca furono poste da Montini anche all’atten-

zione del Sinodo da lui convocato nella dio-cesi di Milano nel 1961, e una parte del suo di-scorso in quell’assise fu dedicato «al nostrogrande quotidiano L’Italia», al quale non do-veva mancare il sostegno dei cattolici ambro-siani. Intervenendo ai lavori della V sessionedella Commissione centrale preparatoria delConcilio in merito allo schema sulle comuni-cazioni sociali, Montini chiese, tra l’altro, cheil Concilio producesse un messaggio per rac-comandare un uso retto degli strumenti di co-municazione. Dobbiamo inoltre a Paolo VI lacreazione della Pontificia Commissione del-le comunicazioni sociali (avvenuta il 2 aprile1964, col motu proprio In fructibus multis) el’istituzione, nel 1967, della Giornata mon-diale per le comunicazioni sociali. E fu sem-pre Montini a concedere un’intervista, dive-nuta celebre, ad un giornalista, Alberto Ca-vallari, il 23 settembre del 1965, pochi giorniprima della sua partenza per New York. Il dialogo, la mediazione e l’incontro col mon-do moderno, oltre a definire compiutamentel’azione pastorale di Paolo VI si prestano, dun-que, anche a descrivere il ruolo che, per papaMontini, spettava al mondo della stampa edella comunicazione. Tutti gli operatori dellecomunicazioni sociali, ed in maniera parti-colare i giornalisti cattolici, dovevano svolge-re, per Paolo VI, un compito di «mediazione»,«che si colloca – spiegava il Papa nel già ricor-dato incontro con la stampa cattolica del 1963– fra la verità e la pubblica opinione. È vero:voi siete in mezzo fra la verità ed il pensierodella gente, dei vostri lettori; e naturalmentesiete in mezzo per trasfondere la verità nell’o-pinione pubblica». In tale delicato compito igiornalisti di Avvenirevennero definiti da Pao-lo VI, nel corso dell’udienza speciale conces-sa ai dipendenti del giornale nel novembre1971, «alleati del Papa» nel difficile compito dievangelizzazione e quindi «apostoli» nella so-cietà. «Dobbiamo avere una maggiore coe-sione fra di noi – concluse in quell’occasionePaolo VI, – una maggiore coscienza che noidobbiamo parlare, parlare insieme e non fa-re stridore di opinione molteplice e differen-te». Solo restando uniti, infatti, si sarebberopotute affrontare meglio le sfide poste dallamodernità e solo una Chiesa unita avrebbepotuto aprirsi al dialogo col mondo moderno,che è necessaria premessa alla doverosa mis-sione di annunciare il Vangelo di Cristo.

© RIPRODUZIO NE RISERVATA

La storia«Non mancava occasione perraccomandarlo e per sostenerloanche finanziariamente consacrifici personali», ha raccontatoun testimone diretto nella Positio

Tra gli «altri» tre santidue sacerdoti italiani

Un rito di canonizzazione in piazza San Pietro (Ansa)

RICCARDO MACCIONI

artiri, apostoli dellacarità sociale, sacer-doti diocesani. Ma

anche fondatori di istituti re-ligiosi e giovani laiche. Comesempre accade, tra le figure e-semplari, tra i modelli di fedevissuta fino all’eroismo, sicontano storie molto diffe-renti l’una dell’altra. Oltre aPaolo VI e Romero, infatti, ilPapa ha dato al via libera ad al-tre tre canonizzazioni: due ri-guardano altrettanti sacerdo-ti italiani. Il beato FrancescoSpinelli, nato a Milano il 14 a-prile 1853 e morto a Rivoltad’Adda il 6 febbraio 1913, èstato il fondatore dell’Istitutodelle Suore Adoratrici del San-tissimo Sacramento. Dal can-to suo invece il beato Vincen-zo Romano fu una sorta di an-ticipatore della pastorale distrada. Nato a Torre del Grecoil 3 giugno 1751, morì nellamedesima località campanail 20 dicembre 1831. Era infi-ne tedesca Maria Caterina Ka-sper, nata il 26 maggio 1820 aDernbach, villaggio dell’Assiain cui spirò il 2 febbraio 1898.Di origine contadina, la reli-giosa spese la vita nel serviziodel Signore attraverso i più bi-sognosi, fondando l’Istitutodelle Povere Ancelle di GesùCristo. Nel proclamarla beatail 16 aprile 1978, Paolo VI la de-finì donna «tutta fede e for-tezza d’animo». Ma l’elenco dei decreti auto-rizzati dal Papa riguarda an-che due nuove beate. In par-

M

ticolare si tratta del riconosci-mento del martirio di una se-dicenne, la laica slovacca An-na Kolesárová, detta Anka na-ta il 14 luglio 1928 a Vysokanad Uhom, nell’arcidiocesi diKošice dove trovò anche lamorte il 22 novembre 1944. Lasua giovane vita si intrecciòtragicamente con la proterviadell’Armata rossa che invaseil villaggio dove abitava. La-sciato il rifugio per aiutare unmilitare, preferì morire piut-tosto che cedere alle sue a-vances sempre più insistentie violente. Fu uccisa con uncolpo di fucile il 22 novembre1944, come detto a sedici an-ni appena, pronunciando inomi di Gesù, Maria e Giu-seppe. Verso gli altari ma perun miracolo arrivato per suaintercessione, la venerabileMaría Felicia Guggiari Eche-verría. Detta “Chiquitunga”,paraguayana, era nata a Villa-rica il 12 gennaio 1925. La suafanciullezza fu spesa nel ser-vizio ai bambini, ai poveri e a-gli ammalati, grazie al servi-zio in Azione cattolica. L’in-contro con madre Teresa Mar-gherita del Sacro Cuore, prio-ra del primo Carmelo para-guayano, la aiutò a capire la

sua vocazione. Così entrònel nel convento carmelita-no di Asunción prendendo ilnome di suor Maria Feliciadi Gesù Sacramentato. Ave-va trent’anni. Nel gennaio1959 scoprì di essere mala-ta di epatite infettiva: unamalattia ofertaì come attod’amore a Dio e al prossimo.Morì il 28 aprile 1959.Gli altri decreti riguardano ilriconoscimento delle virtù e-roiche di sei nuovi venerabili,tra cui due sorelle: GiustinaSchiapparoli, fondatrice del-la Congregazione delle SuoreBenedettine della DivinaProvvidenza di Voghera; nataa Castel San Giovanni il 19 lu-glio 1819 e morta a Voghera il30 novembre 1877 e MariaSchiapparoli, fondatrice del-la stessa Congregazione; nataa Castel San Giovanni il 19 a-prile 1815 e morta a Vespola-te il 2 maggio 1882. Quindi fràCecilio Maria Cortinovis, lagiovane laica Alessandra Sa-battini e Maria Antonella Bor-doni del Terz’Ordine di SanDomenico, fondatrice dellaFraternità Laica delle PiccoleFiglie della Madre di Dio oraPiccole Figlie della Madre diDio: nata il 13 ottobre 1916 adArezzo morì a Castel Gandolfoil 16 gennaio 1978. Completaquesto straordnario elencoBernardo Lubienski, preteprofesso della Congregazionedel Santissimo Redentore, na-to a Guzów (Polonia) il 9 di-cembre 1846 e morto a Varsa-via il 10 settembre 1933.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Vincenzo Romano, Parola e carità

Una Maria Gorettislovacca tra le duenuove beate. Due

sorelle «venerabili»

uesto è il compendio di tutta la perfezione diun sacerdote: imitare Gesù Cristo, seguire leorme di Gesù Cristo, essere una viva copia di

Gesù Cristo». Perciò diventa santo: per essere stato 35 an-ni semplicemente discepolo e pastore. Tra i decreti per lacanonizzazione autorizzati da papa Francesco uno ri-guarda il beato Vincenzo Romano. Nato a Torre del Greco, cittadina al-la periferia di Napoli, il 3 giugno del1751, don Vincenzo si è e sempre oc-cupato di predicare la Parola di Dio,confessare, assistere gli infermi, i-struire gli ignoranti nella fede,confortare gli afflitti e in particolarei tanti marinai torresi. «Pur essendovissuto due secoli fa – spiega il vicepostulatore don Francesco Riviec-cio – l’attualità del beato è sconvol-gente; il suo operato si basava su due intuizioni pastorali: ilministero della Parola e il Vangelo della carità». Infatti, mo-strava una predicazione fluente, di facile comprensione peri tanti fedeli che lo seguivano. Sempre alla ricerca di strate-gie efficaci per evangelizzare, introdusse la cosiddetta “scia-bica”: un metodo pastorale missionario che consisteva nelgirare per le piazze e, con il crocifisso in mano, proporre bre-

vi prediche alle persone che poi invitava in chiesa. «È lui ilvero ideatore della pastorale di strada: della Chiesa in usci-ta», aggiunge don Rivieccio. Dalla Parola alla carità, non so-lo verso chi non ha, ma carità “sociale”: si interessò persinodi riscattare i torresi caduti in schiavitù dai corsari barbare-schi, non abbandonò mai il popolo durante le azioni car-bonare, né durante le eruzioni del Vesuvio; fu uomo che

scendeva in strada per salvare le per-sone fra campagne e mare. Verrà canonizzato per la sua vitaspesa - come diceva lui stesso -«struggendosi» per il popolo. I suoicontemporanei lo chiamavano già il“santo”, ma il miracolo per la cano-nizzazione è la guarigione da uncancro, avvenuta nel 1989, di Rai-mondo Formisano, papà di 14 figli.Oggi il corpo è conservato nella Ba-

silica di Santa Croce a Torre del Greco, luogo di culto delbeato e parrocchia dove svolge il suo ministero, ora affida-ta a don Giosuè Lombardo, il parroco che vigila anche sul-la casa natale, in attesa della data della canonizzazione, co-me quella del Papa che lo ha beatificato nel 1963: Paolo VI.

Rosanna Borzillo© RIPRODUZIONE RISERVATA

Sarà canonizzato il sacerdotecampano cui si deve la sciabicache consisteva nel girare per lepiazze con il crocifisso in mano

Il frate cappuccino che nelconvento di viale Piave è stato ilvolto concreto della carità aMilano. Tra i decreti di cui il Papaha autorizzato la promulgazionec’è anche quello sulle virtùeroiche di fra’ Cecilio MariaCortinovis, il fondatoredell’Opera San Francesco,tuttora punto di riferimento conle sue mense, il guardaroba, ledocce, il poliambulatorio per ipiù poveri nella metropoliambrosiana. Era nato aNespello, una piccola frazionedella Val Serina nel 1885.Entrato tra i frati cappuccini a 21anni nel 1910 approdò alconvento milanese di vialePiave. Ma fu soprattutto dal1921, quando iniziò a svolgerel’umile ministero di portinaio,che i poveri cominciarono aconoscerlo. Aiutava tutti,compresi i perseguitati negli annitragici della seconda Guerramondiale. Poi nel 1959 riuscìfinalmente a realizzare il suosogno: l’apertura di una casaaccogliente per i più poveri,costruita su un terreno di viaPiave adiacente al convento deicappuccini; fu proprio l’alloraarcivescovo Giovanni BattistaMontini a benedirla. Su quellafrontiera fra’ Cecilio hacontinuato a spendere tutte lesue forze fino al 1979, quando ilsuo cuore grande ma ormaifragile lo costrinse a riposo: morìa Bergamo nel 1984. Unacuriosità: il volto della statua disan Francesco in piazzaRisorgimento a Milano porta isuoi tratti; nel 1926 era statoproprio l’infaticabile fra’ Cecilio araccogliere le offerte perrealizzarla, così lo “costrinsero”a fare da modello per lo scultore.

Giorgio Bernardelli

MILANO

Con fra’ Ceciliola casa dei poveri

Francesco Spinelli, il pane spezzatora i nuovi santi che presto sa-ranno canonizzati vi è anche ilbeato Francesco Spinelli, il

fondatore dell’Istituto delle Suore A-doratrici del Santissimo Sacramentodi Rivolta d’Adda. Don Spinelli nac-que il 14 aprile 1853 a Milano. Tor-nato a Bergamo, concluse prima glistudi liceali e poi la teologia presso ilSeminario cittadino. Viene ordinatoprete nel 1875. Nello stesso anno aRoma ha un visione: una moltitudi-ne di donne che adorano l’Eucari-stia. Intuisce che Dio ha un proget-to su di lui, ma attende il momentogiusto per realizzarlo. Ciò avviene aSan Gervasio d’Adda, dove incontraCaterina Comensoli, giovane desi-derosa di spendersi in una Congre-gazione dedita all’adorazione del-l’Eucaristia. Nel 1882 nasce a Berga-mo il primo nucleo delle Suore Ado-

ratrici del Santissimo Sacramento. Il4 marzo 1889, causa un dissesto fi-nanziario, in cui involontariamenteè coinvolto, viene licenziato dalladiocesi di Bergamo e accolto nel cle-ro di Cremona dal grande cuore delvescovo di allora Geremia Bonomel-li. Viene trasferito a Rivolta d’Adda,dove le sue figlie hanno aperto unacasa. La fondazione si scinde: madreComensoli fonda la Congregazionedelle Suore Sacramentine, don Fran-cesco quella delle Suore Adoratricidel Santissimo Sacramento. Spinelli

muore il 6 febbraio 1913. Il processodi canonizzazione viene aperto aCremona il 1° marzo 1928, sotto laguida del vescovo Giovanni Cazzani,oggi servo di Dio. Il 21 giugno 1992,nel Santuario mariano di Caravag-gio, Giovanni Paolo II lo proclamabeato. Un itinerario dunque lungo,complesso e non senza ostacoliquello che porta solennemente a-gli altari il futuro santo. Il miraco-lo che ha dato il via libera alla ca-nonizzazione di don Spinelli ri-guarda la guarigione inspiegabile –come si legge sul sito della diocesidi Cremona – di un neonato, avve-nuta nel 2007 a Kinshasa, capitaledella Repubblica Democratica delCongo, dove proprio le Suore Ado-ratrici sono presenti dal 1958.(Red.Cath.)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

T

Par sua intercessionela guarigione inspiegabile

di un neonato in Congo

Una ragazza di 23 anni che si spendevaper gli altri con gli amici della ComunitàPapa Giovanni XXIII. E che proprio donOreste Benzi - dopo il tragico incidentestradale che la portò via nel 1984 -propose per la causa di beatificazionedicendo: abbiamo sposi santi, genitorisanti; non sarebbe bello avere ungiorno anche una fidanzata santa? È ilprofilo di Sandra Sabattini, laicaromagnola per la quale papa Francescoha autorizzato la promulgazione deldecreto sulle virtù eroiche. Era nata aRiccione nel 1961 Sandra e avevaconosciuto molto giovane don Oreste ela Comunità Giovanni XXIII. Già aquattordici anni - di ritorno da uncampo con un gruppo di disabili -annotava sul suo diario: «Ci siamospezzati le ossa, ma quella è gente cheio non abbandonerò mai». Così è stato:

per anni le sue giornate sono statescandite tra la scuola, il servizio a chiaveva bisogno e la vita spirituale, nellostile della papa Giovanni XXIII.All’università aveva scelto medicina,sognando di partire per l’Africa; intantoera arrivato il fidanzamento con Guido.Tutte esperienze vissute lasciandosiguidare dalla radicalità del Vangelo:«Oggi c’è un’inflazione di buonicristiani, mentre il mondo ha bisogno disanti», annotava sempre sul suo diario.Il 29 aprile 1984 a Igea Marina futravolta da un’auto; morì tre giorni dopoa Bologna. «Questa promulgazione –ha scritto ieri il vescovo di Rimini,Francesco Lambiasi – avviene nell’annodel Sinodo sui giovani. Ora possiamoaffidare anche all’intercessione diSandra il cammino di fede dei nostrigiovani riminesi». (G.Ber.)

VENERABILE

Sandra Sabattini, una fidanzata verso gli altari

TECNAVIA [CROPPDFINORIG] crop = -45 -30 -45 -30
Page 4: «Testimone umile e profetico» Paolo VI sarà santo in ottobre · mar tedì il car dinale segr etar io di S ta-to, Pietro Parolin, ha detto «verso la fine del S inodo» dei v esco

7Giovedì8 Marzo 2018 P R I M O P I A N O

TESTIMONIDEL VANGELO

L’evento«Dio ha esaudito la nostra preghiera»è il commento di quanti lo hannoconosciuto. Stando coi poveri imparòa diventarne voce contro la dittaturaUn modello per l’America Latina

LUCIA CAPUZZI

ccetto ovviamente di cede-re, per il bene della pace, intutte quelle cose acciden-

tali in cui si può cedere, ma non nelleconvinzioni di fedeltà al Vangelo e allelinee nuove della Chiesa riguardo al mioamato popolo». In quei giorni «di mar-zo e d’agonia» - come scriverà il sacer-dote e poeta Pedro Casaldáliga -, gli ul-timi della sua vita terrena, Óscar ArnulfoRomero torna spesso sulla questione.A questa frase, scritta sul suo Diario l’11,ne aggiunge un’altra, appena due gior-ni dopo: «Non posso certamente cede-re nelle cose essenziali, quando sia ingioco la fedeltà al Vangelo, alla dottrinadella Chiesa e, in particolare, questo po-polo così paziente, che non riescono acomprendere». In queste tre parole –Vangelo, Chiesa e popolo di Dio – è rac-chiusa l’essenza della santità di Rome-ro. Una santità che le lingue degli ulti-mi dell’America Latina già proclama-vano da decenni. Gli invisibili del con-tinente – recita ancora la poesia – l’ave-vano “messo nella sua gloria del Berni-ni” fin dal 24 marzo 1980, quando unosparo di un killer assoldato dalla ditta-tura, sostengono gli storici, fermò il cuo-re dell’arcivescovo, intento a celebrarela Messa. «San Romero nostro», bisbi-gliavano prima, durante i dodici annidi guerra feroce (tra il 1980), e ora, nelmezzo di una violenza bellica non di-

chiarata, ma parimenti brutale. Il sus-surro ieri s’è tramutato in grido condi-viso, dirompente, liberatorio, all’an-nuncio della svolta nel processo cano-nico. La sera del 6 marzo papa France-sco ha autorizzato la pubblicazione deldecreto che riconosce il miracolo perintercessione di Óscar Romero: la gua-

rigione di una donna in punto di mor-te alla sua settima gravidanza, conclu-sasi anche con la nascita del bambino.Per quest’ultimo, martire in odio alla fe-de, beatificato il 23 maggio 2015, si spa-lanca la via della canonizzazione: la da-ta sarà annunciata nei prossimi mesi.«Non importa, aspettiamo. Ormai Dio

ha esaudito la nostra preghiera», ripe-teva ieri il popolo romeriano, che ha cu-stodito la memoria dell’arcivescovo as-sassinato anche nei decenni più duridel conflitto e del dopoguerra, a dispettodell’ostracismo delle autorità di allorae della diffidenza di alcuni settori dellaChiesa. Quel martirio post mortem a

cui più di una volta si è riferito lo stes-so Francesco. Ora, però, la Santa Sedeha riconosciuto la “santità scomoda” diRomero, che unisce in modo indisso-lubile Vangelo, Chiesa e fedeli affidatialla sua cura di pastore. Tre amori a cuimonsignor Óscar ha scelto di restare fe-dele, a costo della vita. E a costo di do-

ver far violenza alla suo stesso caratte-re. Non aveva la stoffa dell’eroe, Rome-ro, come sottolinea Alberto Vitali in Ó-scar Romero, pastore di agnelli e di lupi(Paoline). Nato a Ciudad Barrios nel1917 era un uomo di provincia: timido,impacciato, di formazione conservatri-ce, cresciuto nel rispetto dell’autorità.Da sacerdote e, poi, da vescovo ausilia-re di San Salvador – lo nominò Paolo VInel 1970 –, guardava con sospetto queisettori ecclesiastici che, sull’onda delConcilio, si impegnavano nella promo-zione di un Paese più fraterno. Lo stes-so rinnovamento della pastorale, pro-mosso dall’allora arcivescovo della ca-pitale, Luis Chávez y González, uno deiprotagonisti della Conferenza di Me-dellín, lo vedeva dubbioso. È stato ilcontatto quotidiano con i fedeli, a cuiRomero, da buon pastore, non s’è maisottratto, a fargli prendere coscienzadell’iniquità del sistema sociopoliticodell’epoca, che “scartava” la maggiorparte dei cittadini.Con e dal popolo di Dio, monsignor Ó-scar ha imparato a leggere il Vangelo nelsuo tempo. E, in nome di un amoreprofondo per Gesù e la Chiesa, ha de-ciso di agire di conseguenza. Un per-corso lungo e faticoso. Cominciatoquando era vescovo della poverissimadiocesi di Santiago de María, tra il 1975e il 1977, prima di tornare nella capita-le, come successore di monsignor Chá-vez. Se è, dunque, riduttivo parlare di unmutamento brusco dopo l’omicidiodell’amico gesuita, padre Rutilio Gran-de, il 12 marzo 1977, è indubbio che ta-le tragedia gli fece maturare l’urgenza diuna parola chiara, da parte dei rappre-sentanti della Chiesa, su quel momen-to sanguinoso. E, così, il pacato Rome-ro divenne “profeta suo malgrado”, vo-ce dei senza voce. Tanto di intimare aimilitari, dal pulpito, di “cessare la re-pressione”. Era il 23 marzo 1980. Il gior-no dopo l’avrebbero ucciso propriomentre diceva: «Che questo corpo im-molato e questo sangue sacrificato pergli uomini ci spinga a dare anche il no-stro corpo e il nostro sangue al dolore ealla sofferenza come Cristo; non per noistessi ma per dare al nostro popolo frut-ti di giustizia e di pace».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Un muralelungo

le stradedi San

Salvadorper rendere

omaggioall’arcivescovo

martire ÓscarArnulfo

Romero. Sotto,il presule

salvadoregnodurante

un’omelia(Ansa)

«Non pensavo che avrei visto questogiorno». Angelita ride e piange allo stessotempo. L’emozione che le parole nonpossono descrivere, la raccontano il mix disinghiozzi e sussurri: «Non ci possocredere, Monseñor. E tu?». Óscar ArnulfoRomero è un interlocutore costante perAngela Morales. Per la segretaria che halavorato al suo fianco negli ultimi otto annidi vita, l’arcivescovo martire non è morto il24 marzo 1980. «Lo sento vicino. Perquesto gli parlo, gli confido i miei problemi,proprio come facevo prima. Lo prego,anche. E vado a trovarlo spesso». La“pasadita”, la chiama Angelita, cioè la“puntatina”: la visita alla tomba di Romero,nella cripta della Cattedrale di San Salvador.Un appuntamento fisso per la donna che èstata accanto a Monseñor nel periodo piùdifficile. Era una mattina del 1979 quandoAngelita entrò nell’ufficio dell’arcivescovocon lo sguardo basso per confessargli il suo

“segreto”: aspettava un bimbo dal fidanzatoche, saputo della gravidanza, era sparito.«Allora era uno scandalo. I miei genitori miavrebbero cacciato di casa. Rischiavoanche di perdere il lavoro: avere una madresingle come segretaria era una vergogna».Dopo averla ascoltata, però, Romero disse,in tono scherzoso: «La prima si perdona». Eaggiunse: «Ora devi preoccuparti del bimboin arrivo. Non preoccuparti, parlerò io con ituoi genitori». E, così, fece. Risultato:Angelita non perse né la casa né l’impiego.In aggiunta, Zaida, la sorelladell’arcivescovo, si prese cura di lei prima edopo la gravidanza. «Quando nacque la miabambina, le misi come secondo nomeGuadalupe, come la mamma di Monseñor».«Mi dispiace solo che Monseñor non abbiapotuto vederla. Nell’ultima telefonata, lamattina di quel 24 marzo, mi disse chesarebbe passato presto a trovarla. Non potèfarlo…». (Lu.C.)

LA SEGRETARIA

Angelita Morales: io lo sento vicino come allora

Il giorno che uccisero Monseñorla gente chiedeva di vedere «il santo»

uel 24 «di marzo e d’a-gonia», come recita lapoesia di Pedro Ca-

saldáliga, volgeva al termine.Dentro al Policlínica salvado-reña - uno dei nasocomi princi-pali di San Salvador - il corpo diÓscar Romero giaceva senza vi-ta. Quattro ore prima, un killer a-veva sparato all’arcivescovomentre celebravala Messa nella cap-pella dell’ospedaledella Divina Provi-dencia. Fuori dallastruttura, s’era as-siepato un gruppodi mendicanti. «E-ro assorto. Non po-tevo credere chel’avessero ammazzato. Poi, sen-tii delle voci e mi voltai. Vidi ungruppetto di donne e uominicenciosi e sporchi che chiedevadi entrare. «Vogliamo vedere ilsanto», ripetevano. Mi viene an-cora la pelle d’oca a ripensarci.Gli ultimi fra gli ultimi sono sta-ti i primi a riconoscere la santitàdi Monseñor, come chiamava-mo Romero», racconta Roberto“Beto” Cuellar, all’epoca giovaneavvocato e direttore del Socorrojurídico, l’ufficio creato dall’ar-civescovo per difendere le trop-pe vittime della violenza dei mi-litari al potere. Da allora sonotrascorsi trentotto anni e Cuellarora coordina il prestigioso isti-tuto per i diritti umani dell’Or-ganizzazione degli Stati iberoa-mericani. «Eppure il periodoprofessionale più interessante estimolante per me sono stati i treanni e dieci giorni trascorsi alfianco di Monseñor». Cioè delbeato e martire di cui papa Fran-cesco ha appena autorizzato lapromulgazione del decreto chelo porterà alla canonizzazione.«Non spetta a me dire di aver la-vorato accanto a un santo. È laChiesa a riconoscere la santità.E, nel caso di Romero, lo ha fat-to. Posso, però, affermare, in ba-se alla mia esperienza nel setto-re, che Monseñor non è stato so-lo un vescovo dal coraggiostraordinario, disposto a gio-carsi la vita per proteggere i de-boli. Bensì il più grande profetadei diritti umani del Novecen-to. Romero ha precorso i tempi,spendendosi fino alla fine per ladifesa integrale della vita e del-

Q la dignità umana in un’epoca incui ancora non erano stati fir-mati molti degli attuali trattatiinternazionali».Su sua ispirazione, il SocorroJurídico, nato all’interno dell’U-niversità dei gesuiti (Uca) comestudio legale per i poveri, diven-ne il protagonista della lotta pa-cifica per il riconoscimento dei

diritti umani indi-viduali e collettividel popolo salva-doregno. «Rome-ro, dunque, non èstato solo un mioimprescindibilepunto di riferi-mento spiritualeed etico. È stato un

maestro professionale. Mi ha in-segnato a mettere il diritto al ser-vizio della giustizia. È curiosoperché Monseñor non aveva u-na formazione giuridica. L’in-contro quotidiano con le vitti-me di torture, con i familiari deicontadini massacrati e degli stu-denti scomparsi, l’ha, però, tra-sformato nel nostro primo pro-curatore per i diritti umani, de-cenni prima che tale figura fos-sa istituita».Il popolo e le sue sofferenze - rea-li, concrete, tangibili - sono statiil motore della profezia rome-riana. In fondo, come sottolinea

Alberto Vitali in Óscar Romero.Pastore di agnelli e di lupi (Pao-line), fu il popolo ad educare ilsuo arcivescovo. «Romero è mar-tire di un popolo di martiri – spie-ga padre Vicente Chopin, teolo-go dell’Università salesiana diSan Salvador –. La sua canoniz-zazione ha, dunque, un valorespeciale per il più piccolo Paesecentroamerica-no». L’evento si ve-rifica in un mo-mento drammati-co per il “pollicinod’America”, scon-volto da una vio-lenza di nuovo“bellica”. Unaguerra invisibile, e-rede di quel con-flitto che la profe-zia di Romero cercò in ogni mo-do di scongiurare. Lo scontro,tuttavia, ha mutato pelle. Glisquadroni della morte - rimastidisoccupati - si sono riciclati nelcrimine. Le nuove bande, graziealla rete di agganci nelle istitu-zioni, tengono sotto scacco lafragile democrazia, nata dagli ac-cordi di pace del 1992. «In que-sto contesto, il messaggio di Ro-mero è una luce che può e deveguidare i nostri passi per usciredal tunnel. Le sue parole restanodi incredibile attualità. Alla base

della crisi odierna crisi ci sono glistessi mali - diseguaglianza fero-ce, dipendenza del sistema giu-diziario dal potere politico, im-punità, corruzione - che l’arci-vescovo denunciava nelle ome-lie della domenica», proseguepadre Chopin.Il beato Romero resta, dunque,una fonte di ispirazione per la

nazione e per laChiesa di El Salva-dor. «Monseñor ciha insegnato, con ilsuo esempio, chela fedeltà al Vange-lo implica un eser-cizio costante di re-sponsabilità nellastoria. E sottolineo“nella storia” – con-clude il teologo –.

Gli assassini di Romero non louccisero per un odio astratto neiconfronti della fede da lui pro-fessata. Bensì perché essa loportò a schierarsi dalla parte deipiù deboli. La sua scelta fu de-terminata dalla volontà di segui-re Gesù. Tanti non lo capirono onon vollero farlo. È valsa, però, lapena di affrontare le incom-prensioni e tramandare la me-moria di colui che ora la Chiesariconosce come santo».

Lucia Capuzzi© RIPRODUZIONE RISERVATA

Le commossetestimonianzedell’avvocatoCuellar e del

teologo Chopin

«Fino alla fineper la difesa della

vita e delladignità umana»

VINCENZO PAGLIA *

ono passati 38 anni dall’assassiniodell’arcivescovo Romero, uccisosull’altare. Lunedì papa Francesco

ha autorizzato i decreti sui miracoli di al-cuni che saranno canonizzati. I primi duemiracoli dell’elenco sono quelli ottenutiper intercessione di Paolo VI e di Rome-ro. Una vicinanza significativa. Sono duegrandi testimoni del Novecento: due san-ti del Concilio. L’uno perché lo ha porta-to a termine e l’altro perché ne ha vissu-to lo spirito sino alla fine. Romero incon-trò Paolo VI poco dopo la sua nomina adarcivescovo di San Salvador. Le accusecontro di lui e la sua azione pastorale,giunte anche Roma, erano pesantissime.L’arcivescovo presenta a Paolo VI le fotodi padre Rutilio Grande assassinato as-sieme ad altri due contadini, Paolo VI lebenedice e dice a Romero: «Coraggio, leiè l’arcivescovo, lei è chi comanda, guidi ilsuo popolo». I suoi collaboratori ricorda-no che l’appoggio di Paolo VI fu decisivo,anzi gli diede nuove energie. Oggi sono

uniti come esempi di santità per tutta laChiesa. L’esempio martiriale di Romero,fin dall’inizio, ha suscitato un’ammira-zione straordinaria nella Chiesa cattoli-ca, ma non solo. L’eco della sua morte edella sua testimonianza ha varcato i con-fini e ha toccato i cuori dei cristiani dellealtre confessioni. La stessa società civilene è restata ammirata. Le Nazioni Unitehanno proclamato il 24 marzo, giorno delsuo martirio, “International Day for theright to the Truth Concerning Gross Hu-man Rights and for the Dignity of Victims”. Certo, il mondo è molto cambiato dal1980, quando Romero venne assassinatosull’altare perché la sua voce fosse messaa tacere. Ora Monseñor – così lo chiama-va la gente semplice – parla in manieraancor più alta e forte. La canonizzazioneche avverrà sotto il pontificato del primoPapa latino americano conferisce alla te-stimonianza di Romero una forza parti-

colare, per il suo Paese (El Salvador) per-ché sia sconfitta la violenza delle maras,per l’intera America Latina perché trovila strada di un nuovo sviluppo, per il mon-do intero perché siano colmato l’abisso trai tanti poveri e i pochi ricchi. E credo chel’azione pastorale di papa Francesco –«Come vorrei una Chiesa povera, per i po-veri» – lega l’azione di Romero in manie-ra robusta all’oggi della Chiesa e alla suamissione nel mondo. In un rapporto aRoma contro l’arcivescovo si scriveva:«Romero ha scelto il popolo e il popoloha scelto Romero». Questa che a taluniappariva un’accusa, era in verità l’elo-gio più bello per un pastore. Romero«sentiva l’odore delle pecore» e le peco-re se ne sono accorte. E lo hanno segui-to. È commovente vedere ancora oggi icontadini parlare con lui inginocchiatidavanti alla sua tomba! Romero, oggi, in certo senso guida la lun-

ga schiera dei nuovi martiri del Novecen-to e di questo inizio di millennio. Si è fat-to carico del loro dolore, della violenzache subivano, denunciandone le causenella sua carismatica predicazione do-menicale seguita alla radio da tutta la na-zione. È stato il vescovo defensor paupe-rumsecondo l’antica tradizione dei Padridella Chiesa. E accettò di dare la vita perdifendere il suo popolo oppresso. Per que-sto fu ucciso sull’altare. È bella questa ri-flessione sul martirio. Nel maggio 1977,dopo l’assassinio di un suo prete, Rome-ro dice: «Non tutti, dice il Concilio Vatica-no II, avranno l’onore di dare il loro san-gue fisico, di essere uccisi per la fede, peròDio chiede a tutti coloro che credono inlui lo spirito del martirio, cioè tutti dob-biamo essere disposti a morire per la no-stra fede, anche se il Signore non ci con-cede questo onore; noi, sì, siamo dispo-nibili, in modo che, quando arriva la no-

stra ora di render conto, possiamo dire:“Signore, io ero disposto a dare la mia vi-ta per te. E l’ho data”. Perché dare la vitanon significa solo essere uccisi; dare la vi-ta, avere spirito di martirio è dare nel do-vere, nel silenzio, nella preghiera, nel com-pimento onesto del dovere; in quel silen-zio della vita quotidiana; dare la vita a po-co a poco? Come la dà la madre, che sen-za timore, con la semplicità del martiriomaterno, dà alla luce, allatta, fa cresceree accudisce con affetto suo figlio. È darela vita …». Ed è significativo il miracoloapprovato. Una mamma salvadoregna,nelle ultime settimane di gravidanza, eracolpita da una grave malattia e stava mo-rendo. I medici salvano il bambino con ilparto cesareo, convinti della imminentemorte della donna. Un gruppo di fedeliprega con insistenza il beato Romero equella mamma in pochi giorni esce dalpericolo e guarisce completamente. Mon-signor Romero ha interceduto perché lefosse ridata la vita.

* arcivescovo e postulatore© RIPRODUZIONE RISERVATA

S«Ora parla in modo ancora più forte»

Romero: Vangelo, Chiesa e popoloCanonizzato per la guarigione di una partoriente. Salvo il bimbo

TECNAVIA [CROPPDFINORIG] crop = -45 -30 -45 -30