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OGGETTI E SOGGETTI TESTI

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OGGETTI E SOGGETTI

TESTI

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Direttore

Bartolo AUniversità degli Studi di Bari

Comitato scientifico

Ferdinando PUniversità degli Studi di Bari

Mario SUniversità degli Studi di Bari

Bruno BUniversità degli Studi di Bari

Maddalena Alessandra SUniversità degli Studi di Bari

Ida PUniversità degli Studi di Bari

Rudolf BRuhr Universität–Bochum

Stefania BUniversity of Wisconsin–Madison

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OGGETTI E SOGGETTI

TESTI

La collana accoglie testi artistici e critico–letterari inediti,o non più pubblicati da molto tempo, di personalità chiavedella cultura italiana ed europea. Ogni opera è curata esottoposta al vaglio critico di studiosi che intendono pre-sentare aspetti nuovi, ignorati o dimenticati degli autoripresi in considerazione.

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Pubblicazione finanziata con il contributo delPSR Calabria 2007/2013, PISL Savuto MISURA : 421

AZIONE: "Valorizzazione della rete territoriale"- Cooperazione Progetto "La strada delle colture e culture di Calabria ".

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Francesco Paolo Santori

La figlia maledetta

Edizione critica

a cura diOreste Parise

Presentazione diGiovanni Belluscio

Prefazione diAngela Costanzo

Postfazione diLucia Nicoletti

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via Quarto Negroni, Ariccia (RM)

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Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: dicembre

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All’amico Luigi Costanzocon il quale

in una luminosa giornata di marzoho ritrovato

questo libro perduto di F. P. Santoriscoprendo insieme con meraviglia che parlava

della Valle del Savuto edel suo inquieto paese di Marzi

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Indice

11 Presentazione di Giovanni Belluscio

15 Prefazione di Angela CostanzoLa figlia maledetta: quando l’amore materno si trasformain odio e sciagura

25 IntroduzioneF.P. Santori: cenni biografici, 25 – Un libro ritrovato, 32 – Un romanzo teatrale, 42 – Lo scenario socio-geografico, 48 – Briganti e gendarmi, 53 –L’influsso arbëresh nella Valle del Savuto, 63 – Feste, fiere e rivolte, 68 –La leggenda di Monte Santa Lucerna, 70 – La maledizione di Nocenza, 76 –Qualche osservazione critica, 98 – Una questione di datazione, 102

107 La figlia maledetta di F. P. SantoriAl Sig, avvocato Giovanni Battista Marini, 109 – Parte I Colloquio dei coniugi, 113 – Parte II Casina in campagna nella così detta Pianura de Lago, 167 – Parte III Venti giorni dopo, 207

231 Appendice

Glossario, 229 – Detti e proverbi, 244 – Biografia di Michele De Gattis di T. Morelli, 245 – Lista preparatoria di fuoribando del 18 agosto 1844, 247

255 Bibliografia

261 Postfazione di Lucia NicolettiValorizzare la cultura locale

263 Libro e autori

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Presentazione

A distanza di centocinquantuno anni dalla sua pubblicazione fi-nalmente possiamo sfogliare, leggere, apprezzare e studiare il con-tenuto del “Dialogo storico romanzesco di soggetto contemporaneocalabrese” intitolato La figlia maledetta, quinta e ultima pubblica-zione in vita di Francesco Antonio Santori. Ciò è possibile grazie adOreste Parise che ha cercato e fortunatamente ritrovato il testo oramairitenuto definitivamente perduto e, soprattutto, perché si è interessatoe adoperato per la riedizione dell’opera santoriana presso la Aracne,una delle più rinomate e interessanti case editrici italiane di oggi.Viene dunque colmato quel piccolo-grande vuoto, rappresentato finoad oggi dalla “assenza” di quest’opera nella produzione letteraria diSantori, produzione che attende ancora di essere conosciuta nella suainterezza in quanto molte sono le pagine manoscritte che devono es-sere trascritte e pubblicate, mentre restano da assemblare in un unico“corpus” le membra sparse dell’archivio del nostro Autore, oggi di-viso tra la Biblioteca civica di Cosenza, l’Archivio di Stato della Re-pubblica d’Albania e la Biblioteca Reale di Copenhagen.

Il “povero” Santori, frate francescano della provincia calabrese,predicatore, inventore, fecondo e versatile scrittore in lingua albanesee italiana, autore di testi originali per forma e contenuti ma purtroppoprivo di mezzi economici per poter arrivare alla pubblicazione deisuoi scritti, prima de La figlia maledetta, riuscì a pubblicare solo ilCanzoniere albanese (raccolta di poesie albanesi con traduzione initaliano; Napoli, senza data, ma intorno al 1845-46), Valle hareesmadhe (“Danza della gioia grande”, cantica, Napoli, febbraio 1848),il Prigioniero politico (Napoli, 1848), Rozhary i S. Myriisy Mirvugliis(Rosario della Madonna del Buon Consiglio, Cosenza, 1849) e Cry-shtéu i shityrùory (Il cristiano santificato, Napoli, 1855).

La prima notizia di quest’opera viene data da Girolamo de Radain una lettera inviata a Niccolò Tommaseo il 16 febbraio 1864. Inquella lettera De Rada presenta brevemente il suo amico Santori aTommaseo e gli spedisce una copia de La figlia maledetta e gli chiededi poter ricevere “l’impressione avuta” (De Rada 2006):

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“Ora è in lo stampare un grande dramma albanese; e prima ha datoin luce il romanzo che ho l'onore di mandarle. In provincia lan-guente ed a cui non è in stima alcuna la scienza, egli è scorato, eduna parola di Lei cui l’Europa onora, gli sarà quasi una pioggia fe-conda. La prego quindi vivamente di prendere in considerazionequest'operetta, che d’altro lato è il quando più fedele e vivente chesia mai fatto della vita calabra, e di segnarmene l’impressioneavuta.”

De Rada dipinge laconicamente lo stato spirituale di Santori, diceche egli è “scorato” e che tale scoramento sembra derivare dal fattoche egli è costretto a dover vivere in una terra (“provincia”) in cui lascienza (qui: la conoscenza, e quindi anche la letteratura, le arti ecc.)non sono tenute in alcuna considerazione (“in stima alcuna”). Tom-maseo risponde il 27 febbraio, ringrazia De Rada, si “conduole” perla situazione in cui versa il Santori ma si rallegra per la novità del“romanzo dialogato”, dà qualche suggerimento tecnico sulla linguaperché la possa “intendere, Italia tutta” ma, soprattutto invita i duescrittori arbëreshë a non abbandonare “la lingua albanese”:

Condolgo al p. Santori delle sue traversie e mi rallegro dellozelo e dell'ingegno operosi. Il concetto di un romanzo dialo-gato, che trascenda i limiti del romanzo e del dramma e con-cili dell'uno e dell'altro i vantaggi, potrebbe diventarefecondo; al certo è prova di mente non stretta nei ceppi del-l'arte. Il dialogo mi par naturale, e quand'Ella attesta dipintifedelmente i costumi, io credo a Lei volentieri. Dipinga eglisegnatamente la vita domestica, ritragga l'aspetto de’ luoghi,imprima le sue parole d’affetto, ne accresca coll'efficace bre-vità la potenza. La lingua, che a me pare schietta, con pochedi quelle affettazioni che pigliansi da’ libri ineleganti e cheson care a scrittori viventi in quel mondo che chiamano inci-vilito, renda egli più evidente e più pura colle locuzioni sem-plici attinte dalle labbra del popolo, al cui dialetto bastasovente dare le forme toscane perché ne riesca una favella dapoterla gradire, nonché intendere, Italia tutta. Ma né lui néLei abbandonino la lingua albanese.

12 Giovanni Belluscio

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Nulla dice Tommaseo sulla trama dell’opera e sulle vicende inessa contenute. Probabilmente perché aspetti alquanto lontani dal suomondo e dalla sua cultura.

Non possiamo qui addentrarci nelle pieghe dell’opera, la qualepresenta molti aspetti interessanti e che nel complesso sono stati af-frontati e trattati nella lunga e precisa introduzione di Parise. Ci li-mitiamo solo a elencare alcuni aspetti che riteniamo sianoparticolarmente importanti e cioè: a) Santori aveva già pronta l’operaprima dell’apertura della Tipografia di Marini a Cosenza; b) la trama,nella sua drammaticità, si impernia su un singolo “atto di parola” cheappare razionalmente eccessivo per una disubbidienza amorosa (lamaledizione scagliata verso una figlia); c) così come avevamo giàmesso in evidenza nel caso del Prigioniero politico, Santori, da uomodi lettere e di ampie letture, anche in questo caso ha certamente subìtol’influsso di altri autori nella trattazione del tema della “disobbe-dienza, della maledizione ecc., così come può aver attinto anche dallerapsodie popolari albanesi, e qui non si può non citare un certo pa-rallelismo con Kostandini e Jurendina, dove la riluttanza della “si-gnora madre” per il matrimonio di Jurendina con il Signore chegiunge da terre lontane a chiederne la mano, viene superata dall’of-ferta/giuramen to di Kostandini. Ma la letteratura popolare è ricca diesempi in cui, sotto varie forme, viene trattato il “dramma” del ma-trimonio (citiamo ancora dalle Rapsodie: “çë të bëra u tata ime çëmë nxier nga vatra jote, çë të bëra u mëma ime çë më nxier nga gjiriit? = Che t’ho fatto, o padre mio, che mi cacci dal tuo focolare, chet’ho fatto, o madre mia, che mi allontani dal tuo seno?). Della finedel XIX sec. è anche la famosa canzone degli emigrati “Mamma miadammi cento lire” la quale, a sua volta, trova la sua origine in unaballata ancora più antica nota come la “La maledizione della madre”dove una madre maledice la figlia chiesta in sposa dal Re di Franciae le “augura” di annegare. Seguendo la traccia dell’annegamento, laballata italiana ci conduce a esempi ancora più remoti e lontani neltempo e nello spazio (e qui forse siamo all’incipit della storia) cheapprodano sulle coste scozzesi come la ballata Drowned Lovers, notaanche come Clyde’s Water.

Infine, d) l’atto del mostrare il seno che, come giustamente af-

13Presentazione

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ferma Parise, sembra essere qui la prima attestazione letteraria in re-lazione all’atto della maledizione, ha pure esso interessanti progeni-tori, anche se in contesti diversi da quello indicato da Santori, cioèsoprattutto in atti di misericordia e di perdono. Nella Germania diTacito gli eserciti dei germani si rinsaldano e combattono per le “in-sistenti preghiere delle loro donne che mostravano ai soldati il pettoindicando loro lo spettro dell'imminente schiavitù”, così anche nelDe Bello Gallico (47) di Cesare le donne dalle mura delle città asse-diate mostravano il seno perché fossero risparmiate sia loro che i lorofigli. Anche nella letteratura greca l’antica azione di mostrare il senoè attuata da Clitemnestra di fronte a Oreste il quale recita:

“Vedesti come la sventurata fuori dal peplo cacciò il seno, e lo mostrò, mentre veniva uccisa”,

che si dimostra essere di nuovo un atto estremo di misericordia edi perdono. Ci troviamo dunque di fronte a un gesto ancestrale che(come quello delle prefiche che si strappavano i capelli, si cosparge-vano la testa di sabbia e polvere e levavano le loro mani al cielo) haattraversato diverse culture ed è giunto fino ad oggi trasformato inestremo atto di denuncia da parte di attiviste politiche e gruppi comeFemen.

Non ci dilunghiamo oltre. Ora che il libro è ritornato in vita e chearriverà nelle mani di cultori, studiosi (della letteratura albanese eitaliana), studenti e semplici lettori, non mancheranno le occasioniper ritornare su questi temi e su altri collegati agli interessanti spuntiche Santori ci offre nel suo romanzo. Non possiamo e non dobbiamosottrarci al confronto per meglio comprendere la poliedrica figuraumana e artistica del piccolo-grande frate francescano che si è volu-tamente sottratto alla fama e alla notorietà e alla autopromozionedella sua opera.

Nel 2019 ricorrerà il bicentenario della nascita di Francesco An-tonio Santori e finalmente ora possiamo dire che con questo ultimotassello, rappresentato dal ritrovamento de La figlia maledetta e dallasua prestigiosa pubblicazione, il mosaico dell’importante, originalee considerevole produzione letteraria santoriana è ora completo.

Giovanni Belluscio

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Prefazione

La figlia maledetta:quando l’amore materno si trasforma in odio e sciagura

“L’atto e le parole con cui si invoca su individui, gruppi e città lacondanna e la punizione della divinità. Può contenere una prelimi-nare invocazione di esseri divini o demoniaci; ma può anche agireautomaticamente, in virtù dell’efficacia della formula in cui è redattao dei poteri straordinari di chi la pronuncia. In tutti i casi, control’effetto magico della maledizione non c’è che la difesa magica diesseri divini, demoniaci, formule o persone più potenti, che le si pos-sano contrapporre. Particolare efficacia si attribuisce in molte civiltàalla maledizione pronunciata dal padre o da un moribondo. Diversipopoli primitivi temono che gli influssi rovinosi scatenati da una ma-ledizione non agiscano soltanto sulla persona cui la stessa si rivolge,ma anche su tutti i presenti o sulla collettività. È ancora più diffusala credenza che la maledizione possa colpire i discendenti della per-sona maledetta, per più generazioni”: questo il significato che l’en-ciclopedia Treccani attribuisce al termine “maledizione”.

Una vera e propria evocazione del male nei confronti di qualcuno,con conseguenze nefaste non solo sull’individuo maledetto ma anchesulla sua stirpe. Propriamente essa è una parola o frase o formula,eventualmente accompagnata da un gesto o atto (come l'additare, loscagliare un sasso, lo sputare in direzione di qualcuno), con cui sivuole recare danno a qualcuno per procurargli realmente il maleespresso verbalmente nella maledizione. Siamo, con ciò, in pienamagia (magia della parola).

E una tremenda maledizione è al centro del dialogo storico ro-manzesco, di soggetto contemporaneo calabrese, La figlia maledettadi F. Antonio Santori, autore arbëresh di S. Caterina Albanese, unodei più poliedrici artisti della cultura ottocentesca, inventore di unproprio alfabeto, che scrive le sue opere in lingua albanese e vienestimato dagli studiosi come padre delle nuove correnti naturalistiche– romantiche. Scritto in lingua italiana, La figlia maledetta viene pub-

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blicato nel 1863, senza riscuotere molto successo né di pubblico nédi critica: Oreste Parise, storico e giornalista curioso e attento, an-ch’egli originario arbëresh di Cavallerizzo (frazione di Cerzeto), hapraticamente scovato il dialogo nella biblioteca della parrocchia “S.Giovanni Battista” di Acquaformosa, dialogo considerato perduto eintrovabile e, rimastone positivamente colpito, ha deciso di curarneuna novella edizione.

Negli anni risorgimentali tra il 1837 ed il 1847 (datazione che sievince dalla citazione di Michele De Gattis come vescovo di Venosa,incarico che ricopre appunto in quel decennio), in un Sud cultural-mente e socialmente arretrato, ancorato ad antichi rituali e a vetusteconsuetudini, si consuma la vicenda di Rosalba, figlia di Pasquale eNocenza. Nella forma anzidetta del dialogo, il cui utilizzo conferisceun’indiscussa teatralità al testo, oltre ad un’evidente dose di imme-diatezza e vivacità, si assiste ad una scena familiare tra padre, madre,figlia e compare, colti nella spontaneità e genuinità del loro agire eparlare. Una quotidianità semplice, da interno domestico, si coglienei discorsi, donde emerge un modus vivendi contrassegnato dallagerarchia dei ruoli familiari, da una saggezza popolare che si nutredi frasi fatte e modi di dire, da una certa considerazione gretta e ma-teriale dei sentimenti. Connotazioni, queste, tipiche della narrazioneverista che nella seconda metà del XIX secolo comincia ad affermarsiin Italia e grazie alla quale il mondo meridionale e provinciale co-mincia a disvelarsi nella sua naturalezza e amarezza anche.

I personaggi dunque, sono immersi in questo universo fatto di pic-cole cose e discutono del più e del meno in totale confidenza quando,ad un tratto, qualcosa turba la conversazione: uno screzio tra madree figlia. Quest’ultima non vuole sposare Belpopolo, figlio del com-pare e buon partito, per unirsi invece a Stanzo, garzone del papà cal-zolaio, descritto da Nocenza come “ignudo di virtù ed averi, copertodi malizia, lussuosamente vestito di vizio… uomo senza genitori, dub-bio, cresciuto all'avventura, scapestrato, giuocatore, vinolento, im-putato di furto, oziosaccio, fraudolento; con la possidenza di unpiccolo e deserto fondicciuolo; e con una miserrima casipola per po-tervisi ricoverare”.

L’ostilità della madre è rimarcata ad un certo punto da un forte

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17Prefazione

adynaton (dal greco adunaton: impossibile), figura retorica, fre-quente nella poesia classica, che consiste nell’affermare l’impossi-bilità che una cosa avvenga, subordinandone l’avverarsi a un altrofatto ritenuto impossibile: “Le mie labbra si vedranno inaridite”,esclama Nocenza, “la lingua secca, il mio capo divenuto immobile;ma il necessario permesso della parte mia, perché tu lo sposassi nonsarà dato né per cenni, né per parole”. La lite degenera a tal puntoda portare mamma Nocenza a maledire la figlia. Con petto nudo,chioma scarmigliata, braccia inalberate, mani spalancate, viso con-tratto e sguardo di fuoco, maledice persino il latte materno che Ro-salba ha bevuto dal seno! “Avea dell’angelico e del diabolicoinsieme”, confessa al papà Pasquale la giovane Rosalba, completa-mente atterrita dalla furia materna, dalla rabbia sovrumana e innatu-rale di una madre che moralmente uccide la sua unica figlia. Da quiuna serie di vicende negative che segneranno l’esistenza di Rosalbae del suo matrimonio con Stanzo confermando la forza rovinosa dellamaledizione di Nocenza. Maledizione che, come tradizione insegna,si riversa anche sulla povera ed innocente figlioletta di Rosalba eStanzo, Fiordispina.

Come afferma Francesco Perri, la forma più temuta di maledi-zione è proprio quella scagliata dalla madre “cu li minni di fora”,cioè con il seno scoperto, nei confronti del figlio per maledire il latteche gli ha dato nel periodo della crescita; la “mindìtta” perriana, diesemplare drammaticità, è scagliata da una madre nei confronti dellafiglia, già promessa sposa ad un giovane emigrato, che ha fatto unafuga d’amore con un anziano pastore (Perri 1928: 170-171).

Giuseppe Tripodi nota come G. Rohlfs traduca il termine “min-dìtta” con “vendetta”: le due accezioni (maledizione e vendetta)hanno tuttavia in comune il fatto di voler ristabilire, in forme anomale(invocando l’intervento divino o quello casuale della madre naturao, anche, affidandosi alla forza del proprio sangue in una spirale chespesso mai si conclude), un diritto violato dalla prepotenza altrui. Intal senso, il vocabolo latino vindex, il vendicatore, indica anche chiagisce in giudizio per esigere la restituzione di una cosa (rei-vindi-catio, azione di rivendicazione) ed ha una componente analoga ajudex, colui che amministra la giustizia.

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Da mindìtta deriva mindittàru–a, ossia colui o colei che lanciamaledizioni e, dunque, non gode di buona fama; ad esempio una fa-miglia particolarmente colpita dalle difficoltà di coniugio dei figlipensava che ciò fosse conseguenza della mindìtta d’a pecuràra (ma-ledizione della pastora) indirizzata ad un parente lontano che era re-sponsabile di averla prima circuita (ngannàta) e, poi, di non averlasposata.

Diamo una silloge, breve e terribile ad un tempo, di maledizionitipicamente meridionali: “Mi ti durrupi d’u cchiù artu serru” (chepossa diruparti dalla più alta montagna), “Lu chhiù grandi pezzu m’èla ricchi” (che il tuo più grande pezzo diventi l’orecchia) e, collegatoa questa, “mi ti cògghiunu nt’o linzolu” (che il tuo corpo si frantumiin tanti pezzi che possano raccoglierti solo dentro un lenzuolo), “miti mangia zargàra” (che tu possa aver mangiato un veleno potentis-simo, detto a chi ha mangiato il cibo destinato anche agli altri).

Sulla medesima scia di questi esempi, sicuramente La figlia ma-ledetta di Santori esprime una triste pagina del folclore popolare me-ridionale, una realtà che, seppur poco documentata, viene benraccontata da quest’opera che delinea i contorni, gli ambienti, la sto-ricità del periodo in questione e dei luoghi interessati. Anni di vio-lenze e di briganti, di coltelli e di rivolte. Sono gli anni di GiosafatteTalarico, citato nel testo come Tallarico, additato dal personaggioDomenico, amico di Stanzo, come un “Capoferoce” e un “Capoban-dito”: eppure ancora oggi vive nella memoria collettiva del suo paese,Panettieri, e dei paesi vicini, come il vendicatore dei torti, il roman-tico difensore dei deboli! Giosafatte è un brigante solitario e parti-colare: uccide solo per vendetta o per ridare ai poveri quello chel'arroganza dei baroni ha loro tolto!

Anni, ancora, di amori passionali e contrastati, come la letteraturaromantica nazionale e calabrese insegnano. Amori che combattonointeressi e pregiudizi, accordi tra famiglie e carte scritte pur di rea-lizzarsi nel pieno del sentimento. Si tenga presente l’interesse di San-tori per la tematica amorosa: in “Sofia e Kominiatëve”, primoromanzo arbëresh, ambientato in quel di Rossano, Santori narra l’in-felice amore, disperato e tragico, tra la giovane albanese Sofia e ilmarito, il principe Aidino. L’amore, ancora, è al centro dei lavori tea-

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19Prefazione

trali “Neomenia”, “Clementina” e “Leucotea”. Qui, ne La figlia ma-ledetta, l’amore di Rosalba per Stanzo non ha una particolare con-notazione passionale o sentimentale: più che altro è incentivato evoluto dal papà di lei, Pasquale, padrone di Stanzo e legato affetti-vamente al giovane. Rosalba, nel seguire i dettami paterni, disubbi-disce alla madre ma lo fa, alla fine, con tale convinzione da sfidareaddirittura la maledizione materna. Si vedrà, in ogni caso, che forsequella rigida ed intransigente madre Nocenza tutti i torti non aveva,data l’indole balorda e violenta di Stanzo che non esiterà a far delmale alla moglie!

Un sentimento del negativo alberga nel testo, a simboleggiare unpo’ la concezione pessimistica che comunque Santori ha dell’uomo:Vincenzo Belmonte individua nei versi del dramma “Miloscino” lavisione del mondo santoriana, secondo cui l’uomo è “meteora / chein aria resta accesa / un attimo, poi cade / in oscuro deserto, divo-rante / sempre per rimanere ognora vuoto”.

A far da cornice ai fatti descritti la valle del Savuto e i tanti paesiche la costellano: Rogliano, Pianura del Lago (Piano Lago), Marzi,Scigliano, Malito, Carpanzano, Colosimi, S. Stefano, Grimaldi, Lago,Paterno. Si cita però anche Spezzano Albanese, paese del compareMatteo, uno dei protagonisti. La componente arbëresh, richiamantele origini dell’autore, è dunque presente: oltre a Spezzano si fa ancheriferimento al borgo di Lungro.

L’apparato di note esplicative ed un glossario finale ben spieganoi termini dialettali e arbëresh, le espressioni idiomatiche, i toponimi,la bibliografia di riferimento, oltre appunto ad eventi e personaggitratti dalla storia e dal folclore locali. Folclore locale che tradisce, inogni caso, un forte legame con l’antichità classica; tanti i riferimentia divinità e miti ed invocazioni e preghiere latine e greche: Dominesalva nos ab ira mulierum; Mercurio ti protegga, con Bacco però tidei congiungere di rado; Kyrie eleyson Christe eleyson; SanctusDeus, Sanctus Deus; Sanctus forti sanctus Im.; Jesus, Jesus; Laudatepueri Dominum; Laudate nomen Domini; Spera in Deo, quoniamaduc; Confitebor illi; Lasciatimi tastare alquanto il capo, per vederese risuona come il capo parlatore di Archita (filosofo pitagorico).Sacro e profano convivono tranquillamente nella logica dei protago-

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nisti e nella lingua, per lo più italiana, con inflessioni locali e gergali:solo il personaggio di Ortenzia, di Carpanzano, parla un dialetto pro-priamente detto conferendo al testo un’accelerazione di toni ed unavivacità linguistica altrimenti monocorde. Inoltre, tranquillamente simescolano nell’italiano corrente termini aulici ed artefatti, poco con-soni ad un ceto medio – basso. Riguardo alle espressioni latine, perlo più di natura religiosa, teniamo presente che fino al 1970 la messaera celebrata in latino, per cui anche il popolino aveva fatto sue leformule e le preghiere rituali e liturgiche.

Anche la scelta del genere letterario del dialogo colloca il Santoriin linea con la tradizione classica e classicistica in generale: il dia-logo, infatti, di platoniana e ciceroniana memoria, è naturale ed es-senziale strumento d’arte che si traduce in mimesi drammatica, invita sensibile, in fantastica azione di personaggi, ma anche in ripie-gamento dell'uomo in sé, nell’esprimersi meno estrinsecamente e piùsoggettivamente. Come genere, è attivo ancora nell’Umanesimo enel Rinascimento mentre la sua parabola produttiva ha termine conla crisi della società cortigiana, pur non mancando successivi dialoghiche hanno fatto la storia come “Il Dialogo sui Massimi Sistemi” diGalileo Galilei. Con il merito di aver introdotto nella letteratura al-banese il romanzo e il dramma, Santori si inserisce a pieno titolo nel-l’Ottocento letterario calabrese ove campeggia la novella in versi eil poema in terza rima: Padula, Mauro, Miraglia, Presterà, Selvaggi,Misasi sono i nomi più celebri del romanticismo calabrese, movi-mento naturale e immaginifico, riassumendo De Sanctis, nato tra imonti ed i boschi di Calabria. Tra gli intellettuali di Arbëria, citiamole figure di Gerolamo De Rada, precursore della “Rilindja” (rinascita)politica e culturale arbëresh, oltre che iniziatore del romanticismo al-banese, e Domenico Mauro, letterato e patriota, vigoroso e radicalenell’azione e nella scrittura.

Un movimento foriero di opere ricche di umanità, passionalità etitanicità, sulle orme del ribelle George Byron. Perché titanica èanche la Calabria, primitiva, dall’animo forte e intatto: un animo chesi nutre di foreste, di spelonche, di furiosi temporali che lasciano ilposto al cielo sereno, di villaggi con chiesette e conventi e ville egiardini. Non vi è spazio per la quiete classica che meglio attecchisce

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