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 Deontologia della professione giornalistica Il nuovo volto del giornalismo degli ultimi venti anni  Tesina per il corso di comunicazione giornalistica (10 cfu) anno 2007 Alessio Santarelli

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Deontologia della professione giornalistica

Il nuovo volto del giornalismo degli ultimi venti anni

 

Tesina per il corso di comunicazione giornalistica (10 cfu) anno 2007

Alessio Santarelli

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  Indice

 

1. Introduzione

2. Iniziative di autoregolamentazione

3. Due tasselli fondamentali: La Carta di Treviso e la Carta dei doveri

4. Informazione e pubblicità

5. Diritto di cronaca e diritto alla privacy: una questione controversa

6. Un caso di violazione del codice deontologico

7. Nuova proposta: una carta a tutela di immigrati e rifugiati

8. Conclusioni

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Introduzione 

La Costituzione italiana riconosce a chiunque, attraverso l’art.21, il diritto di manifestare

liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

Direttamente da questo articolo deriva come corollario il diritto di cronaca che garantisce a

chiunque eserciti la professione di giornalista la facoltà di comunicare, a mezzo articoli,

avvenimenti storicamente verificatisi e meritevoli di essere conosciuti dalla pubblica opinione, e la

 possibilità, di riferire ad altri vicende accadute. Nel delineare questo diritto insopprimibile la

Cassazione ha provveduto a stabilire alcuni criteri con i quali riconoscere le manifestazioni di

 pensiero alle quali debba essere riconosciuto quello stesso diritto: si tratta di veridicità, continenza e

interesse pubblico. Sono stati dunque posti dei paletti, a volte tramite sentenze giuridiche, spesso su

iniziativa della categoria professionale.

In effetti, la legge 3 febbraio 1963 n° 69, con la quale si istituiva l’Ordine dei giornalisti è stata

emanata con lo scopo di tutelare la categoria, proclamare il principio di libertà della stampa e

dunque il diritto alla cronaca. Sebbene già all’art. 2 di questa legge siano presenti alcuni accenni a

quello che poi diventerà il codice deontologico, come il rispetto della verità sostanziale dei fatti el’obbligo di rettifica delle notizie che risultino inesatte, è evidente che questa legge rispecchia tutta

la diffidenza della categoria giornalistica nei confronti di ogni tipo di limite al diritto di cronaca e ha

come conseguenza la rinuncia a dotare il neonato ordine professionale di un codice deontologico.

Iniziative di autoregolamentazione

Come già detto, è spesso su iniziativa autonoma da parte di un particolare organo dell’informazione

che nascono le basi della deontologia giornalistica e le successive integrazioni. Senza dubbio il

 precursore in tal senso è stato il Sole 24 ore, il più grande gruppo editoriale finanziario italiano che

nel 1987 si dota di un Codice di autodisciplina per regolamentare i rapporti tra informazione ed

economia. Suddiviso in quattro parti, questo codice affronta in ordine i conflitti d’interesse, il

rapporto con le fonti, il comportamento con i colleghi e i collaboratori e alcune norma di garanzia.

In particolar modo, viene posto l’accento sull’indipendenza di giudizio che ogni giornalista deve

conservare rispetto a società ed enti che possono essere soggetti della sua opinione, mantenendo le

distanze da questi e rifiutando incarichi che possano limitare l’accuratezza, la correttezza e

l’indipendenza delle informazioni. Inoltre s’invita esplicitamente ogni giornalista a non accettare

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regali e donazioni di valore elevato, pagamenti, rimborsi spese e prestiti gratuiti , viaggi e trasferte e

vacanze da parte di società che comportino impegni redazionali di qualsiasi tipo.

Sulla stessa scia si pongono il Patto sui diritti e doveri dei giornalisti, firmato da La Repubblica e la

Carta del Corriere della sera. Il primo impegna a <<respingere ogni interferenza di carattere

 politico, economico ideologico da qualsiasi fonte essi provengano>> ed istituisce la figura del

Garante del lettore il cui compito è quello di dar voce a chiunque ritenga violato il rispetto della vita

 privata delle persone. Il Corriere della sera dà invece vita ad una carta che si apre con alcuni

 principi del giornale e le garanzie offerte al lettore. Di seguito mette in rilievo quelli che sono i

criteri che una notizia deve possedere: imparzialità, completezza, accuratezza, correttezza e

comprensibilità dei fatti. Gli ultimi paragrafi sono dedicati a regolamentare tutte le forme che la

testata può assumere (indispensabile una normativa sui nuovi media), tutti i diritti e i doveri di chi

lavora per il quotidiano e infine una norma riguardante la tutela per la privacy che richiama in

allegato alla Carta di Treviso e alla Carta dei doveri dei giornalisti.

Due tasselli fondamentali: La Carta di Treviso e la Carta dei doveri

Agli inizi degli anni ’90, l’Ordine dei giornalisti riconosce la necessità di munire la categoria

 professionale di alcuni documenti da seguire come linee guida per svolgere l’attività nel rispetto di

alcune norme e dei soggetti più deboli. A questo proposito nell’ottobre del 1990 a Treviso viene

firmato un documento il cui scopo è la tutela dei minori. In particolare si pone l’accento sulla tutela

dell’anonimato del minore per cui si vieta la pubblicazione di tutti quei dati che possano portarne

all’identificazione, fatta eccezione dei casi in cui la pubblicazione di tali elementi possa essere

d’interesse del minore stesso, come nei casi di rapimenti o scomparsa, dietro approvazione dei

genitori. Si interviene anche sui casi di apparizioni in tv che, <<non devono ledere la dignità o

turbare l’ equilibrio psico-fisico del minore>> e sulle pubblicazioni delle foto per le quali si fa

appello all’attenzione e alla sensibilità del giornalista stesso. Come dichiarato all’inizio della Carta

di Treviso, lo scopo di queste normative è di <<prevedere le cautele per garantire l’armonico

sviluppo delle personalità dei minori in relazione alla loro vita e al loro processo di maturazione>>

e in particolare si vuole stabilire che <<in tutte le azioni riguardanti i minori deve costituire oggetto

di primaria considerazione “ il maggiore interesse del bambino” e che perciò tutti gli altri interessi

devono essere a questo sacrificati>>.

Tre anni dopo, sempre su iniziativa del Consiglio nazionale dell’Ordine e della Federazione

nazionale della Stampa, viene approvata la Carta dei doveri dei giornalisti italiani. Il documento,

che si apre con la premessa che il lavoro del giornalista si ispira ai principi della libertà

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d'informazione e di opinione, enuncia immediatamente lo scopo di "promuovere e rendere più

saldo" il rapporto di fiducia tra gli organi d'informazione e i cittadini. Di seguito le due parti più

consistenti dell’atto: i Principi e i Doveri. Oltre a ribadire che <<la responsabilità dei giornalisti

verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra>> vengono affrontate diverse

tematiche come appunto le responsabilità del giornalista in cui vengono fornite alcune indicazioni

su come si debba comportare in determinate occasioni o nei confronti di particolari soggetti. In un

secondo paragrafo viene stabilito il dovere di rettifica e il diritto alla replica, previsti nel caso sia

stata pubblicata una notizia inesatta o ritenuta ingiustamente lesiva. Come già detto in precedenza

questa norma era prevista già dalla legge 3 febbraio 1963 n°69, si è però deciso di integrarla con

alcuni dettagli alquanto significativi. Viene stabilito che la rettifica deve aver luogo anche senza

richiesta specifica, con tempestività e appropriato rilievo. E’ un punto molto importante perché

fornisce finalmente ad ogni cittadino uno strumento di tutela nei confronti dell’enorme potere

comunicativo di cui dispongono i giornalisti, offrendo a tutti la possibilità di vedere rettificate

notizie inesatte. Un’ altra questione riguarda la presunzione d’innocenza. Secondo i dettami della

Carta, il giornalista deve ricordare che gli indagati di un reato sono innocenti fino alla condanna

definitiva e non deve costruire le notizie in modo da presentarli come colpevoli se ancora non

giudicati. Se si pensa al contesto politico-giudiziario in cui il documento è nato risulta semplice

capire perché si sia sentito il bisogno di introdurre questo punto. All’epoca infatti imperversava il

caso Mani Pulite e le cronache di allora, spesso riportanti foto di persone in stato di arresto, fecero

montare polemiche sul potere della stampa le cui notizie, costruite più o meno correttamente,

accendevano il sentimento colpevolista della maggioranza delle persone. Anche per questo si è

 provveduto ad integrare questo punto con un comma che prevede che <<in caso di assoluzione o

 proscioglimento dell’imputato, il giornalista deve sempre dare un appropriato rilievo giornalistico

alla notizia, anche riferendosi alle notizie ed agli articoli pubblicati precedentemente>>. Gli ultimi

 punti riguardano il trattamento delle fonti (che devono sempre essere verificate), le incompatibilità

 professionali (per cui un giornalista deve mantenere la propria indipendenza e separare il suo lavoro

di produzione e diffusione di notizie dagli interessi personali), la tutela dei minori e dei soggetti

deboli in generale (si fa riferimento alla Carta di Treviso) e infine un nodo cruciale che da sempre

accompagna il giornalismo: l’informazione e la pubblicità.

Informazione e pubblicità

Da quando il giornalismo ha aperto le porte del suo mondo alla pubblicità, non è più riuscito a farne

a meno. Le inserzioni pubblicitarie si sono trasformate nel corso del tempo da aiuti finanziari per la

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gestione della testata a veri pilastri economici sui quali un giornale fonda la sua esistenza, al punto

che senza inserzioni pubblicitarie quel giornale non potrebbe esistere. Da tempo, nei bilanci degli

editori italiani, alla voce entrate la pubblicità ha sovrastato le vendite. La conseguenza più ovvia è

che il giornale stesso ha subito dei cambiamenti rilevanti: sono aumentati gli spazi pubblicitari, è

cambiato anche il modo di concepire una pagina, a volte addirittura dedicata interamente al

committente e al prodotto reclamizzato. Quello che però non doveva accadere e che invece sembra

aver preso piede in fretta tra i giornalisti e le redazioni italiane è il camuffamento di quelle stesse

inserzioni in articoli di informazione pubblica: la marchetta o soffietto.

Da un punto di vista etico è sicuramente sbagliato e poco professionale anche se può sembrare un

fatto meno grave rispetto ai numerosi campi che i codici deontologici ricoprono. Eppure la pratica

della marchetta rappresenta una delle peggiori forme di rottura del patto di fiducia che intercorre tra

il giornalista e il cittadino. In effetti, come sottolinea Franco Abruzzo, direttore dell’ordine dei

giornalisti della Lombardia, la marchetta è <<un tradimento della professione>> e ancora <<la

commistione con la pubblicità è un veleno che sta distruggendo i giornali>>. Ma se da una parte il

meccanismo è ormai troppo diffuso per poterlo eliminare completamente, dall’altra sicuramente non

si può dire che ci sia stata una lotta adeguata. Nelle redazioni italiane, o in gran parte di esse, la

 pubblicità è gestita da un ufficio che fornisce ai direttori dei veri e propri ordini che indicano

numero per numero cosa va pubblicato e di chi, e cosa invece non va pubblicato. I direttori spesso

stanno al gioco anche perché, sempre più giovani e inesperti non hanno il coraggio di contrastare il

meccanismo che paga metà degli stipendi. Chi potrebbe vigilare, rimproverare e sanzionare è

l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, istituita dall’articolo 10 della legge 10 ottobre

1990, n° 287. L’Autorità però non può muoversi autonomamente, ma deve attendere la denuncia di

un cittadino o un’associazione per far partire il procedimento. Dopo di che avvia un’istruttoria

solitamente molto lunga che non permette mai di intervenire in tempo (a campagna pubblicitaria in

corso). Evidentemente si è scelto di non dare troppo fastidio a chi farcisce le notizie di pubblicità

occulta.

Uno degli strumenti per combattere questa piaga è il Protocollo sulla trasparenza pubblicitaria che,

firmato il 14 aprile 1988, si unisce alle altra carte deontologiche e va a coprire un campo che più di

tanti altri ha bisogno di una “raddrizzata” etica. Come molte altre carte anche il Protocollo si apre

inneggiando al diritto-dovere ad una veritiera e libera informazione riconosciuto al cittadino e la cui

responsabilità spetta agli operatori delle comunicazioni di massa. Si pone l’accento in particolar 

modo sull’obbligo di rendere sempre riconoscibile l’emittente di un messaggio e sulla chiarezza e

trasparenza della “firma” di ogni messaggio. Un altro punto interessante si concentra sull’attività

  professionale per la quale non devono essere richiesti e accettati compensi di alcun genere.

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Effettivamente, qualche giornalista nel recente passato è caduto in tentazione e si è prestato a girare

qualche spot pubblicitario. Nel libro la  Repubblica delle Marchette (di P. Bianchi e S. Giannini)

vengono messi in evidenza alcuni di questi casi e si riportano le parole con cui l’Ordine si è

 pronunciato su di essi: <<Gli strateghi del marketing aziendale ritengono oggi che il messaggio

 pubblicitario sia più incisivo e penetrante se è presentato da un giornalista all’interno di una

trasmissione televisiva di cui lo stesso giornalista è protagonista di prestigio. Questa strategia

finisce per inquinare la figura del giornalista professionista mettendo in discussione l’autonomia

 professionale del giornalista con ricadute lesive sull’immagine del giornalista, dell’Ordine e della

 professione>>. I casi a cui si fa riferimento sono quelli di Maurizio Mosca e Monica Vanali. Il

 primo ha recitato in uno spot pubblicitario per la Emmezeta, mandato poi in onda durante la

trasmissione calcistica di cui Mosca era ospite fisso. Il comportamento è lesivo delle norme

deontologiche della professione giornalistica e Mosca si è beccato dall’Ordine un rimprovero. La

Vanali ugualmente ha prestato il proprio volto per lo spot di un computer portatile andato in onda

durante la trasmissione Controcampo per la quale la giornalista era inviata speciale. Anche in

questo caso si è aperto un procedimento disciplinare per violazione dell’articolo 1 della legge

 professionale n°69/1963 che obbliga ad esercitare la professione in modo esclusivo e continuativo,

e per la violazione della norma presente nella Carta dei doveri che vieta ai giornalisti <<di

intraprendere iniziative pubblicitarie incompatibili con l’autonomia professionale>>. Questi due

casi, il secondo in particolare, hanno messo in evidenza che non esiste una legge, che vieti ai

giornalisti di fare i testimonial pubblicitari. Il divieto è espresso solo a livello deontologico e, anche

se dovrebbe essere sufficiente a scoraggiare queste situazioni, è evidente che esiste una “falla” a

livello giuridico.

Diritto di cronaca e diritto alla privacy: una questione controversa

Il rapporto più delicato, da un punto di vista deontologico, che ogni giornalista incontra nello

svolgere il proprio mestiere è quello tra il diritto alla libera informazione e i diritti della persona. La

questione è di trovare un punto di equilibrio tra questi due fondamentali diritti. C’è da chiedersi

dunque fino a che punto si possono diffondere notizie che ledano o offuschino l’immagine, la

reputazione, la posizione professionale e la vita relazionale di persone coinvolte in fatti di cronaca,

in nome dell’interesse pubblico. Ciò che si è voluto evitare a livello normativo è che il giornalista si

trincerasse dietro il diritto all’informazione servendosene come uno scudo per giustificare quello

che invece sarebbe un comportamento scorretto. D’altronde, come afferma il filosofo Norberto

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Bobbio <<Nessuna delle grandi libertà è una libertà assoluta, poiché la mia libertà è limitata dalla

uguale libertà degli altri. E questo vale anche per la libertà di stampa>> (Papuzzi 2003).

Le notizie non sono tutte uguali. E ancora più precisamente all’interno di una notizia vi sono

elementi che vanno diffusi (senza i quali la notizia rischierebbe di essere incomprensibile o

troncata) e altri che invece non devono esserlo (perché afferenti alla vita privata di chi è oggetto del

fatto di cronaca e inutili al fine della comprensibilità dello stesso). Su questa posizione logica si

sono fondate le premesse ad una prima raccolta normativa riguardante la tutela della privacy: la

legge 31 dicembre 1996 n°675 sulla Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento

dei dati personali. Grazie a questo progresso si sono superate le perplessità di quanti vedevano nella

tutela del diritto alla riservatezza un’irrimediabile soffocamento della libertà d’informazione. Per 

evitare una decisione anticostituzionale si è scelto di tutelare la categoria giornalistica attraverso

l’introduzione di un apposito articolo, l’articolo25, che rappresentava una sorta di esenzione per 

quanti svolgessero l’attività di giornalista, a patto che l’ordine si dotasse in maniera autonoma di un

codice deontologico in materia.

Il Codice di deontologia sulla privacy, varato il 29 luglio 1998 propone 13 articoli con il particolare

scopo di tutelare il trattamento sui dati particolari attraverso misure ed accorgimenti a garanzia degli

interessati. Già all’articolo 1 si legge che il codice si prefigge di contemperare i diritti fondamentali

della persona con il diritto dei cittadini all'informazione e con la libertà di stampa. Inoltre si mette in

evidenza come il trattamento dati da parte di un giornalista sia cosa diversa da quello effettuato da

 banche-dati e simili, e debba essere permesso anche in base all’articolo 21 della Costituzione. Gli

atri articoli riguardano un po’ tutte le sfere più delicate come la tutela del domicilio, del minore

(anche qui si fa riferimento alla Carta di Treviso), della dignità delle persone, del diritto alla non

discriminazione, della dignità delle persone malate, della sfera sessuale della persona, del diritto di

cronaca nei procedimenti penali e l’essenzialità dell’informazione.

Un caso di violazione del codice deontologico

Il 7 Febbraio 2002 il Garante per la protezione dei dati personali si pronuncia, attraverso un

 bollettino; contro molteplici mezzi di comunicazione che hanno reso possibile l’identificazione di

una ragazza sospetta di aver contratto la variante umana del morbo della mucca pazza). In quella

occasione, giornali e mass-media fornirono una dovizia di particolari sulla ragazza, contraria al

  principio di essenzialità dell’informazione sancito dalla legge sulla privacy e dal codice

deontologico dei giornalisti. Questo è il primo caso di divieto alla pubblicazione adottato dalGarante. La pubblicazione di quella che è una notizia di indubbio interesse generale (la presenza

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della malattia nel nostro paese) non rendeva necessario – ha affermato il Garante – alcun

riferimento alla specifica persona. Si è in tal modo concretata una grave violazione della dignità

delle persona. La ricordata dovizia di particolari ha, peraltro, comportato la pubblicazione di notizie

relative a congiunti dell’interessata e ad altre persone estranee ai fatti, con una palese violazione del

codice deontologico dei giornalisti.

Nuova proposta: una carta a tutela di immigrati e rifugiati

La proposta di una carta deontologica per la stampa, che tuteli immigrati e rifugiati, viene dall’

l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e prende spunto da un recente

fatto di cronaca: la strage di Erba. In una lettera aperta ai direttori delle maggiori testate

giornalistiche nazionali, l'Agenzia dell'Onu sottolinea come l’evento di Erba abbia suscitato

nell’immediato ostilità verso lo straniero. A creare questa situazione ha contribuito la frettolosa

ricerca da parte della stampa di un colpevole. Nella lettera inviata ai direttori dei media italiani,

inoltre, si sottolinea come il linguaggio giornalistico utilizzato in riferimento al fenomeno degli

arrivi via mare è <<allarmistico e bellico, simile a quello usato nei conflitti, nelle contrapposizioni

tra entità ostili>>: Le coste siciliane sono prese “d'assalto”, Lampedusa e' “assediata”, la gestione

dell'immigrazione viene definita “lotta ai clandestini”.

Per quanto riguarda i rifugiati, l'Unhcr rileva che raramente i media si preoccupano di fare unadifferenziazione terminologica tra il rifugiato, il richiedente asilo, l’ immigrato, il clandestino,

l’extracomunitario o il profugo. Spesso questi termini vengono usati come sinonimi, senza alcuna

attenzione alla connotazione giuridica di ciascuna parola.

Conclusioni

Forse più di tante altre professioni il giornalismo, per il proprio carattere sociale, deve fare

attenzione a determinate situazioni e avere delle linee guida alle quali aggrapparsi per non cadere

nell’immoralità e nella disonestà. Mantenere il rapporto di fiducia che esiste tra il giornalista e il

lettore è principalmente una prerogativa del giornalista. Chiunque voglia entrare a far parte di

questo mondo dovrebbe conoscere tutte le norme presentate dalle varie carte deontologiche, per 

 poter mantenere saldo questo rapporto e a mio avviso per conservare la dignità che questa

 professione richiede.

 

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  Bibliografia

Bianchi Paolo & Giannini Sabrina,   La repubblica delle marchette,  Nuovi

Equilibri/Stampa alternativa, Viterbo, 2004

Papuzzi Alberto, Professione giornalista, Donzelli Editore, Roma, 2003

Siti internet

http://www.odg.it/ 

http://www.medialaw.it/

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