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TESINA DI STORIA DELL'ALUNNA SILVIA D'ASCENZO CLASSE V C

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SCUOLA ELEMENJAlit RAFFAEIJ..Q SANZh

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adi riconquistare il suo regno.

All'ingresso vidi una statua. Incuriosita, chiesi chi fosse; i mieigenitori, con l'aiuto di numerosi scritti pcastello, cercarono di darmi spiegazioni, maprecisa collocazione storica al personaggio (cosa che sono riuscitainvece a fare quest'anno).

Per poter meglio delineareoccorre ricordare che

cade la

Direttorio (composto da cinque mei

I 14 luglio 1789 una folla inferocita prese d'assalto la fortezza dellaBastiglia, simbolo del governo dispotico della dinastìa dei Borbone.

Gioacchino Murat GranducaMaresciallo dell'Impero

di Cìévers-Berg, Re di Napoli,

Gioacchino Murat nasce a Bastideun albergatore. Entra iseguito di un litigio conpoi si arruola nell'esercito di renell'esercito dei Pirenei Orientali dove

II 13 vendemmiaiofrancese, 21 settembre -Cacciatori a Cavallo a Pa

e ne esce dopo dieci anni, aPer tre anni è un locandiere,

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di assumerne nscaturisce una rivoluzione ed è proprio Napoleone che è

Gioacchino Murat inizia così un periodo di battaglie condotte alfianco del futuro Imperatore, infatti segue Napoleone in Italia (1796-97), dove contribuisce notevolmente alla sconfitta dell'esercitopiemontese ed austriaco. Lo ritroviamo in Egitto ed in Siria, a fiancodi Bonaparte, dove riveste il grado di generale di divisione.

Decide la vittoria di Abukir (Egitto), catturando personalmentePasha Mustapha a cui, nel fervore dell'azione, taglia due dita.

Dopo la campagna egiziana, Bonaparte torna a Parigi, dove,approfittando delle divergenze sorte all'interno del Direttorio, riesce,con un colpo di stato, a farsi nominare Primo Console dopo averproclamato il Consolato.

Anche in questa occasione Murat ha un ruolo principale nel

rivoluzionario francese 22 ottobre - 22 novembre).Sposa Carolina, sorella di Napoleone, nel febbraio del 1800.

Lo stesso anno diventa comandante in capo della cavalleria aMarengo, e nella seconda campagna d'Italia, dove Bonaparte, aseguito del trattato di Campoformio, creò la Repubblica Cisalpina.

Viene nominato governatore della Repubblica Cisalpina esuccessivamente di Parigi.

Nel 1804, dopo che Napoleone viene nominato dal SenatoFrancese imperatore ereditario, Gioacchino Murat è nominatoMaresciallo dell'impero e nel 1806 diventa, per volere napoleonico,Granduca di Cléves e di Berg.

Dal 1805 al 1807, da comandante della riserva della cavalleria,partecipa nelle campagne contro: l'Austria, Russia, Prussia eSpagna, quest'ultima condotta personalmente da lui e conclusasicon l'invasione e la conquista del regno di Spagna.

Nel 1808 diviene, per volere dell'Imperatore, Re di Napoli,dopo che re Giuseppe, fratello di Napoleone, viene chiamato"dall'onnipotente congiunto" a cingere la corona di Spagna.

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Pistola detenuta dal Re Murat Monete di Gioacchino Murat dal 1805 al 1807

Accompagna Napoleone nella disastrosa campagna di Russiadel 1812 e 1813, fino a Mosca.

Durante la ritirata promette a Napoleone che, ritornando inItalia, avrebbe procurato ingenti forze all'esercito napoleonico.

Arrivato in Italia si dimentica delle promesse, anzi nel gennaiodel 1814 abbandona la causa di Napoleone, firma un trattato con icoalizzati (Austria, Inghilterra, Prussica e Russia) e marcia contro letruppe francesi.

Quando Napoleone fugge dall'isola d'Elba e ritorna in Francia,acclamato dal popolo, anche Murat raggiunge la Francia, maNapoleone rifiuta di vederlo.

Non si da' per vinto, anzi prepara in poco tempo unaspedizione per impossessarsi nuovamente del regno.

Nel 1815 si riavvicina a Napoleone occupa Roma, Ancona,Bologna; da Rimini lancia un proclama per l'unificazione dell'Italia,ma viene sconfitto dagli Austriaci (2 maggio 1815) a Tolentino, dacui il detto popolare "Tra Macerata e Tolentino è finito il reGioacchino. Tra il Chienti e il Potenza finì l'indipendenza".

Accompagnato da pochi fedelissimi, Gioacchino si allontanadalla città partenopea, per non cadere in mano ai soldati diFerdìsiando IV di Borbone e si rifugia ad Ischia.(I Borbone sono di origine spagnola ed hanno fornito i regnanti peril Regno di Napoli prima e dopo il periodo napoleonico. Il Regno diNapoli inizia nel 1282 con la separazione dell'Italia meridionale dalRegno di Sicilia e finisce nel 1816 con la costituzione del Regnodelle Due Sicilie).

Nell'ottobre del 1815, Murat parte alla volta della Corsica, e daqui si dirige verso il Salernitano, dove spera con l'aiuto delle massedi marciare alla volta di Napoli.

Una tempesta, però, sconvolge i suoi piani: le navi vengonospinte a sud; alcune approdano a San Lucido, vicino Cosenza;quella che trasporta il sovrano viene sospinta nelle vicinanze dìPizzo.

Senza perdersi d'animo Gioacchino sfida ugualmente la sortee con i pochi uomini a disposizione sbarca in Calabria, confidandodi recarsi a Monteleone, la cittadina che egli aveva elevato a rango

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Nelle strade di Pizzo il drappello del re - è la domenica deil'8ottobre 1815 - viene intercettato dalla gendarmeria borbonica alcomando del capitano Trentacapilli, che arresta l'ex re e lo farinchiudere nelle carceri del locale castello.

II castello venne edificato a partire dal 1488 per volere del Re Ferdinando d'Aragona che volle rinforzare i suoifeudi meridionali in vista della temuta discesa di Carlo Vili di Francia in Italia, il quale rivendicava a se ì feudi del Regno di Napoli. Il mastio è coslìtuito daun corpo compatto quadrangolare a cui sono aggiunte due grosse torri cilìndrìche a scarpata, tipiche delle costruzioni Aragonesi. Il portone d'accesso colponte levatoio è ornato da una semplice mostra di conci di pietra calcarea, con incassata una dedica al Re Gioacchino Murat, ma la dedica originaria era aFerdinando d'Aragona che lo fece erigere in seguito alla congiura dei Baroni, da lui sventata nel sangue. All'interno del castello sono ricavati tre piani: duecorrispondenti alla struttura a scarpata e l'altro sovrastante il redondone; oggi il piano inferiore dove si trovavano le carceri non è praticabile. Il Castellodivenuto famoso perché vi fu imprigionato il re napoleonico Gioacchino Murat che lì trovò la morte, fu dichiarato monumento nazionale nel 1892.

Informato della cattura dell'ex sovrano, il gen. Vito Nunziante

sincerariguardi

Monteleone, dove si trovava, a Pizzo e quando sidell'identità del prigioniero, usa nei suoi confronti tuttidovuti ad un uomo d'altìssimo rango.

Ferdinando IV, da Napoli, nomina una commissione militarecompetente a giudicare Gioacchino, composta da sette giudici epresieduta dal fedelìssìmo Nunziante, cui il Re aveva ordinato diapplicare la sentenza dì morte. Ironìa della sorte! Il codice penalepromulgato dallo stesso Murat, prevedeva la massima pena per chisi fosse reso autore di atti rivoluzionari e concedeva al condannatosoltanto una mezz1 ora di tempo per ricevere i conforti religiosi.

Nell'ascoltare la condanna capitale Gioacchino non siscompone. Chiede di poter scrivere in francese l'ultima lettera allamoglie e ai figli, che consegna a Nunziante in una busta con dentroalcune ciocche dei suoi capelli.

Prima di affrontare il plotone di esecuzione che l'attende nelcortile del castello, vuole confessarsi e comunicarsi.

Affronta la morte eroicamente. Non sì fa bendare e prega isoldati di salvare la faccia e mirare al cuore.

Sono le ore 21 del 13

COSI le

seppe regnare, seppe morire".

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Viene sepolto nella bella Chiesa di San Giorgio, che cinqueanni prima aveva fatto edificare, ma dentro una fossa comune.L'atto di morte viene fatto firmare, quali testimoni, da due facchinianalfabeti, che appongono un segno di croce.

Felice di essersi sbarazzato di un così pericoloso rivale,Ferdinando di Borbone insignisce Pizzo del titolo di "fedelissima" econcede al Nunziante il feudo ed il titolo di Marchese di SanFerdinando di Rosarno.

Ciò che mi ha maggiormente colpito durante la visita delcastello è la lettera scritta dallo stesso Gioacchino Murat alla moglieed ai figli, che ho voluto copiare e trascrivere qui di seguito.

H<Mia Cetra Carolina, l'ultima mia ora è suonata; tra pochi istanti ioavrò cessato di vivere, e tu di aver marito.

[Non obliarmi giammai, io muoio innocente, ta mia vita non èmacchiata di alcuna ingiustizia.

JLddio mio JLchilk, addio mia Letizia, addio mio Luciano, addio miaLuisa, mostratevi at mondo degni di me. Io vi lascio senza regno esenza beni, tra numerosi nemici.

Siate uniti e maggiori dell'infortunio, pensate a ciò che siete non aquel che foste, e Iddio benedirà la vostra modestia,

!Non maledite la mia memoria. Sappiate che il mio maggior tormento inquesti estremi di vita è il morire lontano dai figli

(Ricevete la paterna benedizione, ricevete i miei abbracci e te mielacrime.

Ognora presente alla vostra memoria sia il vostro infelice padre.(gioacchino"

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Eransi due giorni rivoltiche navigavan perquell'isola, quando

d ' improvviso abbuiasi il cielo,s'addensano le nubi, e per le folate impetuose del vento le onde

lorribilmente sì accavallano, sì che per trent'ore corre il legno a(fortuna di mare. Calmatasi la procella, abbatteronsi ad altra(nave più grande, che veleggiava verso Francia; ed uno de'treseguaci di Gioacchino pregò il piloto che volesse raccoglierli, e,Iper larga mercede, menarli in Corsica, appresentatogli il[sofferto temporale, e'I picciol naviglio in più parti sdrucito eImal concio per gli urti de'fortunosi f lutt i e de'contrari venti.Ma quegli, o perché fosse d'umanità svestito, o che temesse di

aguato, o di contagio, non si curò di loro, ma guatolli, e, rigettando con disdegno l'inchiesta e leprofferte, via trapassò. Indi a poco furon raggiunti que'malawenturosi dalla Corriera, che delcontinuo passa tra Marsiglia e Bastia; ed appena Gioacchino palesò il suo nome, fu accolto edonorato da re. Il dì seguente sbarcò a Bastia. La Corsica era a quei giorni sconvolta da rivolturepolitiche, e Gioacchino per prudenza e sicurità passò a Vescovado, indi ad Aiaccio, sempreperseguitato da'reggitori dell'isola, e sempre difeso dagl'isolani sollevati in armi. I quali popolarifavori l'inanimirono a far disegno, non rivelato che a'suoi più f idi, di raccogliere una squadra diCorsi, pronti a'cimenti, di noleggiare alcune barche, di approdare a Salerno, dove stavano 3000del già suo esercito, di passar con loro ad Avellino, quindi ala Basilicata, e di riempire,procedendo, della sua fama tutto il regno, e di sconvolgerne il civìl reggimento. Il lungo uso diguerra e la sua naturale baldanza gli facean perdere il ben dell'intelletto.Anzi che movesse, lettere indiritteglè dal Maceroni, da Calvi, annunciavano ch'egli a lui venivaapportatore di buone novelle; e giunto il dimani narrò brevemente i propri casi, e gli porse unfoglio, che in idioma francese diceva:

<< Sua Maestà l'Imperatore d'Austria concede asilo al re Gioacchino sotto le condizioni seguenti:1. Il re assumerà un nome privato; la regina avendo preso quello di Lipano, si propone io stesso alre;2. Potrà il re dimorare in una delle città della Boemia, della Moravia, e dell'Austria superiore, o,se vuole, in una campagna delle stesse province;3. Farà col suo onore guarentigia di non abbandonare gli stati austriaci senza l'espressoconsentimento dell'Imperatore; e di vivere qual uomo privato sottomesso alle leggi della monarchiasustriaca.Dato a Parigi il 1. settembre 1815. > >Per Comando di S. M. I. R. A.Il Principe di Metternich.

<< A re caduto dal trono, disse Gioacchino, non rimane che morir dasoldato. Tardi giungnesti, Maceroni; tre mesi aspettai, ma indarno, ladecisione de're alleati; ho già fermo in mio cuore di riconquistare ilreame di Napoli, se il vuoi fortuna, (strumento di Dio. Io tento quellevie, onde Buonaparte tornò al trono di Francia: ei fu sconfitto inWaterloo, ed ora è prigione in Sant'Elena: se correrò eguai sorte, saràNapoli la mia Sant'Elena >>. Disse ed accomiatollo. La notte del 28settembre Gioacchino con 250 Corsi sopra sei barche salparono di

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Aioccio, ed era sereno il ciclo, placido il mare, propizio il vento, apparecchiata ad ogni cimento laschiera, gaio oltre I ' usato Murat.Per sei dì prosperamente navigò quella piccola flottiglia, poi pertre giorni combattuta da contrari venti si disperse; sì che duelegni, l'uno de'quali tenea Gioacchino, erravano per fortunoseonde nel golfo di Santa Eufemia, altri due a vista di Policastro,un quinto nei mari dalla Sicilia, ed il sesto a ventura. Gioacchinostette alquanto in dibattito, e poscia (avventato partito) !'deliberò di approdare al Pizzo per muovere con 28 seguaci alcoquisto di un regno.

Agli 8 di ottobre, giorno festereccio e guardato per tutta lacittà, vi sbarcò seguito dai suoi, cacciossi in mezzo alla piazza

col suo vessillo inalberato, sclamando: <<Io son Gioacchino, gridate,tu t t i : Viva il re Gioacchino Murat!>>. I circostanti tennero silenzio.Gioacchino, addatosi delle fredde accoglienze, volse i passi versoMonteleone, città grande, ov'egli sperava giuocar di migliore. Manel Pizzo un tal Trentacapilli, capitano, ed una gente del duceidell'Infantado fanno tostamente accolta di aderenti e partigiani, ejj

luando sono a gittata scaricano sopra di luiijirchibugiate. Rimane ucciso il capitano Moltedo,&r

[ferito il tenente Pernice, si apparecchiano gli altrif[ :

a difendersi con valenteria, e Gioacchino coi cenni e[con le mani il vieta. Gli abitanti del Pizzo vi|[traggono a calca, ingomberano il terreno, sì che)chiuso ogni varco, non offre scampo che il mare, e

Gioacchino, aggruppandosi per balze e greppi, vi s'inerpica, sdrucciola, precipita giù, giunge allido, chiama ad alta voce Barbara (era il nome del condottiero), ma la sua barca più al largocorreo. Murat stava a fidanza di Barbara. Ecco fede d'onest'uomo! Gioacchino, disperato di quelsoccorso, sforzasi di lanciar nell'acqua uno schiffo, che per avventura stava a secco in sulla riva,quand'ecco gli è alle spalle Trentacapilli con numeroso stuolo di gente armata di archibugi,stocchi, mazzeri, sassi; lo accerchiano, gli si avventano addosso, gli strappano le realivestimento, ed i gioielli che portava al cappello e sul petto, il feriscono in viso, e pur anche ledonne si danno a tempestarlo di fieri colpi. Così sfregiato il menano in carcere nel picciol castellodella stessa città insiem «'compagni, che avean presi e pur mal conci.Prima la fama e poi lettere annunziaron quei fa t t i al podestà dellaProvincia. Comandava nelle Calabrie il generai Nuziante, il quale a quei

giorni avea le sue stanze in Tropea: eglispedì al Pizzo il capitano Stratt i conalquanti soldati. Questi recatosi al castelloimprese a scrivere i nomi dei prigioni, e,dopo averne interrogati due, domandato ilterzo del nome. <<Gioacchino Murat, re diNapoli >> quegli rispose. A questi accenticompreso lo Stratt i da meraviglia mista arispetto, li pregò di passare a stanzamigliore, e gli si porse largo di cure ecortesie. In poco d'ora vi giunse Nunziante, sommessamente salutòMurat, e dì presente il provvide dì cibo e vestimenti, conciliando(malagevol opera) ! la fede al re Borbone, e la riverenza a un tempo ela pietade a Murat, caduto in fondo di fortuna.Il telegrafo incontanente annunzio a Napoli i casi del Pizzo. Per via di

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segni e di messi fu dato immantinente comando che un tribunal militare dovesse giudicarlo, Giugneil comando nella notte del 12, sì eleggono sette giudici, e quel concilio(adunasi in una stanza del castello. In altra Gioacchino dormiva l'ultimoonno della vita. La dimane entratovi Nunziante, e trovatolo che

[dormiva come i fortunati, preso da pietà non distollo; ed allorché persazietà di sonno aprì le luci, quegli composto a dolore gli fé ' noto cheil Governo avea prescritto ch'ei fosse da una commessane militaregiudicato. Cotal annunzio gli fé' velo dì pianto a'Iumi; ma tosto di semedesimo seco vergognandosi, rincacciollo, e domandò se gli era datodi vergare una lettera a sua consorte, e Nunziante accennatogli il sì,scrisse in idioma francese:<< Mia cara Carolina, l'ultima mia ora è suonata: tra pochi istanti ioavrò cessato di vivere, e tu di aver marito. Non obliarmi mai: io muoioinnocente*- la mia vita non è macchiata di alcuna ingiustizia. Addio, mioAchille, addio, mia Letizia, addio, mio Luciano, addio, mia Luisa,

—mostratavi al mondo degni di me. Io vi lascio senza regno e senzaeni. Siate uniti e maggiori

dell1 infortunio; pensate a cuche siete, non mica a quel che foste, e Iddio benedirà

vostramodestia.

Nonmaledite l<

miamemoria.Sappiate

che il mio(maggior tormento in questi]tremi di vita è il morireontano dai figli. Ricevete l<

paterna benedizione, ricevete i miei abbracciamenti e le mie lacrime.Ognora presente alla vostra memoria sia il vostro infeliceGioacchino. Pizzo 13 ottobre 1815>>.Recise alcune ciocche de' suoi capelli e le chiuse nel foglio, che consegnò ecaldamente raccomandò al generale. Vietò al capitano Storace di parlare insua difesa; e al giudice compilatore del processo, che li chiedeva, secondla costumanza, del nome, rispose tuonando: << Io sono Gioacchino Murat,re delle due Sicilie, e vostro; partite, sgomberate di voi la mia prigione>>. Rimasto solo, non piangeva, sì dentro impetrò, tenendo fise ed immobili le sue pupille sopra ir i tratt i della sua famiglia. Indi a poco il sacerdote Masdea il pregò, che gli dovesse piacered'acconciarsi dell'anima, ed egli, rendendosene agevolissimo, rispose: Io sono acconcio dì ciòfare. Ei compiè daddovero gli atti di cristiano con fi losofia rassegnazione, e, ad inchiesta dellostesso ministro di Dio, scrisse in idioma francese: << Dichiaro di morire da buon cristiano - G.M. >>

Frattanto il tribunale militare profferiva: Che Gioacchino Murat, con 28 compagni avendo eccitatoil popolo a civil rivoltura, e però offeso la legittima sovranità, qual nemico della tranquillitàpubblica era condannato a morte, in forza di legge del Decennio mantenuta in vigore. Ilprigioniero, dopo aver udito con freddezza e disdegno la sentenza, fu menato in un piccol ricintodel castello, ove lo attendeva uno squadrone di soldati atteìato in due file. Il malarrivato Muratsi tiene allora spacciato; e però rinverdendo in lui la naturai baldanza, ricusa la benda, ondevoleano far velo a'suoi occhi, guata con intrepidità serena il ferale apparecchio delle armi, sporta

GIOACCHINO MURAI

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in fuori il petto, e da sé stesso allogandosi in attitudine da offerire il più di superficie ai colpi diarchibusi: Soldati, sclama, mirate al cuore, additandolo con la mono, salvate il viso. Disse, e piùnon fu. Le sue spoglie in un co'ritratti della famiglia, cui, tuttoché spento, pur tenea strette inmano, furon sepolti in quello stesso tempio cinque anni innanzi eretto dalla sua pietà, quandotrovandosi egli al Pizzo, il su mentovato sacerdote Masdea gli domandò un soccorso per compierele fabbriche di quell'edifizio, e Sfacchino il concesse più largo delle speranze. E così alquarantesim'ottavo anno di vita, settimo di regno, di questo mortai secolo trapassava SioacchinoMurat, addomandato l'Achille della Francia, perché prode ed invulnerabile in guerra al par diquello della Grecia; dotato di desiderii da re, mente da soldato, cuore di amico.

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