Tesi

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Indice Introduzione pag. 2 Capitolo 1 – I rapporti economici internazionali pag. 5 1.1 Le teorie di base dello scambio internazionale pag. 5 1.2 Una rassegna delle principali teorie sugli investimenti diretti esteri pag. 10 1.3 Le nuove teorie del commercio internazionale pag. 22 1.4 Globalizzazione dell’economia e le imprese multinazionali pag. 31 1.5 Analisi dei rischi nel commercio internazionale pag. 47 Capitolo 2 - Le imprese agroalimentari italiane e lo scenario internazionale pag. 54 2.1 Ide e commercio internazionale nel settore agricolo pag. 54 2.2 Internazionalizzazione del sistema agroalimentare italiano pag. 66 1

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Indice

Introduzione pag. 2

Capitolo 1 – I rapporti economici internazionali pag. 5

1.1 Le teorie di base dello scambio internazionale pag. 5

1.2 Una rassegna delle principali teorie sugli investimenti

diretti esteri pag. 10

1.3 Le nuove teorie del commercio internazionale pag. 22

1.4 Globalizzazione dell’economia e le imprese multinazionali pag. 31

1.5 Analisi dei rischi nel commercio internazionale pag. 47

Capitolo 2 - Le imprese agroalimentari italiane e lo

scenario internazionale pag. 54

2.1 Ide e commercio internazionale nel settore agricolo pag. 54

2.2 Internazionalizzazione del sistema agroalimentare italiano pag. 66

2.3 La Politica Agricola Comunitaria e i suoi pilastri pag. 81

2.4 Politiche fiscali di incentivazione pag.112

Capitolo 3 - La struttura del sistema agroalimentare siciliano pag. 116

3.1 Il comparto ortofrutticolo nel sistema agroalimentare della

regione pag. 116

3.2 Le politiche a favore delle imprese siciliane pag. 128

3.3 Analisi di un caso: Società Agricola Monterosso pag. 140

Conclusioni pag. 158

Bibliografia pag. 161

Sitografia pag.164

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Introduzione

La nuova sfida a cui sono chiamate oggi le imprese è quella di essere

competitive in un contesto sempre più internazionalizzato dove si rileva

una maggiore pressione concorrenziale di carattere sovranazionale e

dove è possibile accedere a nuovi mercati, trovando nuove opportunità di

sviluppo.

Per spiegare il concetto di internazionalizzazione è importante

sottolineare come a lungo alcuni studiosi hanno utilizzato questo termine

in un’accezione riduttiva, riferendosi implicitamente o esplicitamente

all’aspetto puramente commerciale, quindi alla tendenza delle imprese a

vendere i propri prodotti all’estero.

Il fenomeno dell’internazionalizzazione presenta anche altri aspetti, oltre

quelli più strettamente legati alla produzione, e deve essere inquadrato

nell’ambito dei cambiamenti che interessano le strategie e le azioni di

marketing.

Per internazionalizzazione si intendono i processi evolutivi delle imprese

industriali, essenzialmente quantitativi in quanto volti ad ampliare

l’estensione geografica dello spazio economico. Quando si parla di

globalizzazione si intende invece un processo qualitativamente

differente, che non riguarda unicamente l’estensione geografica delle

attività economiche, ma anche e soprattutto l’integrazione funzionale di

queste attività distribuite a livello internazionale, per cui i manufatti ed i

servizi prodotti esprimono un complesso insieme di legami in una catena

di produzione che coinvolge numerosi paesi.

La globalizzazione ha portato ad un crescente movimento di capitali a

livello internazionale, alla diffusione di tecnologie di provenienza

plurinazionale ed alla nascita di mercati sopranazionali, perciò viene

coniato il termine villaggio globale.

La globalizzazione implica una forma di produzione internazionalizzata

in cui le attività generatrici del valore, possedute, controllate e gestite

dall’impresa si distribuiscono su una pluralità di mercati per cui una

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quota crescente del valore della ricchezza è prodotta e distribuita

tramite un complesso ventaglio di processi e di relazioni che integrano,

tramite le imprese, le diverse economie nazionali.

Tali nuovi tipi di relazioni non si esprimono nella mera espansione

internazionale della singola impresa, bensì nello sviluppo di una

divisione del lavoro tra imprese fondate in misura crescente sugli accordi

e la cooperazione tra soggetti diversi. Il passaggio da un contesto

aziendale nazionale a uno internazionale comporta un aumento di

complessità.

In un ambiente internazionale, il potenziale di vantaggio competitivo di

un’azienda è determinato sia dalle proprie risorse e competenze, ma

anche dalle condizioni dell’ambiente nazionale in cui opera, inclusi i

prezzi dei fattori di produzione, i tassi di cambio e una molteplicità di

altri elementi.

Le forze trainanti del processo di internazionalizzazione sono, in primo

luogo, i tentativi di sfruttare le possibilità offerte dai mercati esteri e, in

secondo, il desiderio di sfruttare le opportunità produttive localizzando le

attività dove possono essere gestite in modo più efficiente. In ogni caso, i

benefici ottenibili da una delocalizzazione all’estero delle varie fasi della

catena del valore di un’impresa devono essere confrontati con i maggiori

costi legati al coordinamento di attività disperse a livello globale, inclusi

quelli di trasporto e di magazzino. La globalizzazione dell’economia ha

comportato e comporta la creazione di una rete internazionale di

transazioni che riguarda merci, persone, capitali e servizi.

Le imprese italiane denotano una certa difficoltà nel presenziare

in contesti internazionali, mostrano un ritardo in termini di esportazione

rispetto ai concorrenti dell’area euro. Una possibile spiegazione potrebbe

risiedere nella fragilità del sistema produttivo italiano e nel cosiddetto

“ nanismo ” tipico delle nostre imprese. Se consideriamo poi gli

investimenti diretti all’estero questi costituiscono il 3.5 % del totale

mondiale. Le opportunità offerte dai mercati mondiali aprono nuove

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possibilità alle imprese di poter accedere a processi produttivi innovativi

e avanzati, a nuovi mercati e nuove risorse. La nostra attenzione è

focalizzata sul sistema agroalimentare italiano nel contesto

internazionale. Tale settore, ampiamente riconosciuto come uno dei

settori fondamentali della nostra economia, fa parte di una delle “4 A”

del made in Italy italiano, poiché tali prodotti sono ampiamente esportati

e costituiscono un elemento di traino per l’economia nazionale. Le

industrie agroalimentari sono orientate all’esportazione verso i paesi

esteri piuttosto che agli IDE in quanto la produzione e la trasformazione

dei prodotti agricoli deve essere svolta in un ambiente pedo – climatico

favorevole come quello mediterraneo tipico dell’Italia.

I dati analizzati fanno registrare un incremento delle esportazioni nei

primi mesi del 2010 in presenza di un netto calo dei prezzi a livello

internazionale. Le imprese agroalimentari italiane hanno avuto un

notevole sviluppo internazionale negli ultimi anni, anche grazie al

sempre più forte attaccamento ai brand italiani sinonimo di qualità.

Il ruolo ricoperto dalle politiche europee di incentivazione delle imprese

agroalimentari, con riferimento alla Pac ed ai suoi pilastri, ai fondi

europei per lo sviluppo agricolo regionale ed alle politiche fiscali,

fornisce un supporto fondamentale per le imprese sia di piccole che di

grandi dimensioni operanti in tale settore che intendono sviluppare

rapporti con il mercato estero.

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CAPITOLO 1 – I rapporti economici internazionali

1.1 Le teorie di base dello scambio internazionale

L’internazionalizzazione delle imprese è uno degli effetti più evidenti

dell’integrazione economica su scala mondiale e le imprese possono

creare o acquistare facilmente attività produttive all’estero al fine di

sfruttare i relativi vantaggi di costo.

La globalizzazione è quel fenomeno di crescita a livello mondiale

riguardante le interrelazioni fra i diversi sistemi economici e sociali,

mediato da istituzioni economiche. I processi di internazionalizzazione

sono da tempo studiati dalla teoria economica, indagando sia sulle

ragioni del commercio tra paesi sia sulle motivazioni che spingono agli

investimenti diretti all’estero (IDE).

Il Fondo Monetario Internazionale, nel 1997, ha dato una definizione

approssimata della globalizzazione, definendola come quella crescente

interdipendenza economica tra paesi realizzata attraverso l’aumento del

volume e delle varietà di beni e servizi scambiati internazionalmente, la

crescita dei flussi internazionali di capitali e la rapida ed estesa

diffusione della tecnologia.

In altre parole, questa crescita degli scambi internazionali di beni, servizi

e tecnologia congiuntamente a quella del flusso dei capitali stanno dando

luogo ad una forte interdipendenza economica ossia ad un fenomeno

che si può definire di globalizzazione.

Numerosi storici fanno risalire questo fenomeno a svariati secoli

precedenti, altri ritengono che risalga ai tempi della scoperta

dell’America, mentre altri ancora ritengono che già prima della I e II

guerra mondiale il fenomeno fosse già presente anche se poi disgregato

dagli eventi bellici.

Il commercio internazionale è un aspetto della teoria economica che

applica modelli microeconomici all’analisi dell’economia internazionale

e gli strumenti teorici utilizzati sono quelli classici della teoria dei prezzi

e dei mercati.

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La finanza internazionale applica la macroeconomia all’economia

internazionale, e si interessa pertanto di variabili quali il PIL, il tasso di

occupazione, il saggio di interesse, il tasso di inflazione, il saldo della

bilancia commerciale e così via. Un’impresa può agire sui mercati esteri

in vari modi. I più comuni riguardano:

- l’acquisto di prodotti e materie prime da fornitori esteri (scegliendo

quindi mercati di approvvigionamento internazionali);

-la produzione in unità localizzate all’estero, attraverso la costituzione di

vere e proprie unità produttive in loco che richiede un notevole sforzo

economico e gestionale, e/o la produzione da parte di terzi all’estero, in

particolare in Paesi nei quali i costi del lavoro sono inferiori o in Paesi

vicini ai mercati di approvvigionamento o di sbocco (con uno sforzo di

carattere organizzativo ma senza esposizione economica);

- la vendita dei propri prodotti su mercati esteri, che richiede un

particolare impegno nel marketing: l’impresa deve infatti svolgere

accurate ricerche di mercato per comprendere bisogni e comportamenti

dei consumatori esteri, senza commettere l’errore di ritenere che i clienti

esteri si comportino allo stesso modo dei clienti italiani e non

riconoscendo differenze culturali. L’esportatore deve studiare e

analizzare la concorrenza, i prezzi applicati sul mercato, i canali di

distribuzione, i vantaggi e gli svantaggi di esportare in quel paese, i punti

deboli e  i punti vincenti, i prodotti complementari, le possibili barriere

d’entrata (leggi, dazi doganali, ecc.).

Diverso dalle esportazioni è il traffico di perfezionamento passivo che

consiste in una operazione di esportazione di merci ed una successiva

loro importazione, dopo che esse hanno subito trasformazione,

lavorazione o riparazione (l’aggettivo passivo si deve al fatto che il

regime doganale comporta una passività per il paese che lo effettua).

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Questo tipo di operazione rappresenta una forma di decentramento

produttivo, che nel caso italiano viene applicato spesso nel settore del

tessile – abbigliamento e calzaturiero.

Esistono cinque fondamentali motivi per cui si ha commercio tra paesi

diversi: a) differenze tecnologiche (nel modello ricardiano del vantaggio

comparato il commercio è dovuto proprio alle differenze tecnologiche);

b) differenze nella dotazione di risorse (nel modello di puro scambio

e nel modello di Heckscher- Ohlin è questa la motivazione base); c)

differenze nella domanda; d) esistenza di economie di scala; e) esistenza

di politiche pubbliche.

David Ricardo1 nel 1817 introduce la teoria neoclassica del vantaggio

comparato, basata sulla immobilità del lavoro tra paesi e sulla perfetta

mobilità interna, sostenendo che i paesi commerciano tra loro perché il

lavoro ha una diversa produttività tra i paesi. Egli dimostra che contano i

vantaggi comparati di costo: ogni paese tende ad esportare i beni che

riesce a produrre nel modo più efficiente e importa quelli che produce in

maniera inefficiente. Di conseguenza a ciascun paese conviene

specializzarsi nella produzione di un solo bene, ovvero quello in

cui il suo vantaggio è più elevato.

Ricardo formulò la teoria del vantaggio comparato su di una serie di

ipotesi semplificatrici: 1) solo due paesi e due beni; 2) libero scambio; 3)

perfetta mobilità del lavoro all’interno di ciascun paese, ma completa

immobilità da un paese all’altro; 4) costi di produzione costanti; 5)

assenza di costi di trasporto; 6) assenza di mutamenti tecnologici; 7) la

teoria del valore-lavoro. L’ultima ipotesi presenta particolari problemi

quando si voglia generalizzare la teoria del vantaggio comparato, ad

esempio perché il lavoro non è il solo fattore di produzione e non è un

fattore omogeneo. La spiegazione della teoria del vantaggio comparato

1 ? Ricardo D. (1817), “Principles of Political Economy and taxation”, John Murray Edition, London, Cap. 2 pag. 5 – 28.

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sulla base della teoria del costo-opportunità, piuttosto che sulla base

della teoria del valore-lavoro, assume maggiore generalizzabilità.

Tuttavia questa teoria è stata modificata da Heckscher2 – Olhin3 nel corso

degli anni ‘30, con l’intento di evidenziare l’importanza del fattore

capitale. L’obiettivo di tale teoria è quello di spiegare le cause del

vantaggio comparato e di esaminare gli effetti del commercio

internazionale sulle remunerazioni dei fattori produttivi. Secondo la

teoria le differenze nei costi relativi emergono dalle differenze nelle

quantità relative di fattori disponibili nei due paesi. Un paese

relativamente ricco in forza lavoro e povero in capitale si specializzerà

nella produzione di prodotti ad alta intensità di capitale. Il modello si

basa sui seguenti assunti:

- due paesi; due fattori produttivi (lavoro e capitale) e due prodotti;

- i produttori nei due paesi hanno lo stesso livello di informazione,

tecnologie;

- i fattori della produzione sono mobili all’interno del paese ma non tra paesi;

- mobilità dei prodotti internamente ai paesi e anche tra paesi;

- i mercati dei prodotti e dei fattori produttivi sono perfettamente concorrenziali

- le preferenze dei consumatori nei due paesi sono le stesse.4

La dotazione fattoriale è dunque la causa dei vantaggi comparati ed il

commercio internazionale sostituisce la mobilità internazionale dei

fattori come meccanismo di pareggiamento dei rendimenti assoluti e

2 ? Heckscher E. (1919), “The effect of foreign trade on the distribuition of income”, in H. Ellis, L.A. Metzler (Eds.), “Readings in the theory of International trade”, Allen and Unwin, London, (1950), pag. 272 – 300.3 Olhin B.,(1933), “Interregional and International trade”, ed. 1967, Harvard University Press, Cambridge (MA), pag. 7 – 20.

4 ? Jetto – Gilles G. ( 2005), “Imprese transnazionali”, Carocci Editore, Roma, pag. 59 – 60.

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relativi dei fattori omogenei tra paesi. La teoria presentava un modello di

equilibrio generale (benché limitato a due paesi, due prodotti e due

fattori) poiché esamina l’equilibrio simultaneo dei mercati dei beni e dei

fattori. L’analisi di Ohlin fa specifico riferimento agli investimenti di

portafoglio e considera che i movimenti di capitale siano indipendenti

dalla altre variabili dell’economia interna.

Il suo obiettivo è quello di analizzare la nuova posizione di equilibrio

che si viene a creare a seguito dei disturbi causati da movimenti di

capitale. L’analisi è estesa agli effetti sui tassi di cambio, ragioni di

scambio, importazioni ed esportazioni5.

Uno dei principali limiti individuati in questo modello è che esso si

concentra sul commercio di merci fra paesi senza alcuna

considerazione delle imprese come soggetti competitivi, ovvero non si fa

alcun riferimento ai cambiamenti tecnologici ed ai cambiamenti

manageriali dell’impresa internazionale.

In breve, la formulazione dei modelli tradizionali non corrisponde alla

realtà dei mercati “imperfettamente concorrenziali”, in cui i divari

tecnologici spiegano la diffusione e i ritardi tra le imprese e fra i paesi

nella specializzazione produttiva, in cui le tecnologie e le informazioni

non sono liberamente disponibili, in cui giocano un ruolo rilevante la

differenziazione e la diversificazione dei prodotti per sfruttare economie

di scala e innalzare le barriere all’entrata6.

Dunque il problema principale nell’analisi neoclassica è legato

all’ipotesi non realistica di concorrenza perfetta.

Tale ipotesi rappresentava forse un’approssimazione non eccessivamente

irragionevole della realtà nel momento in cui la teoria neoclassica è stata

inizialmente applicata al commercio internazionale. Essa diventa,

invece, troppo lontana dalla realtà quando si considerano le attività delle

imprese transnazionali7. Mundell corregge il modello H-O introducendo

5 ? Jetto – Gilles G., op. cit.. pag 61.6 ? Valdani E. – Bertoli G. (2006), “Mercati internazionali e marketing”, Egea, Milano, pag 48.7 ? Jetto – Gilles G., op. cit. pag 63.

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per la prima volta i flussi di investimento internazionale e modifica due

ipotesi: presenza di ostacoli nello spostamento dei beni da un paese

all’altro; libertà di circolazione del capitale su scala internazionale. In

queste condizioni, i flussi internazionali di capitale assicurano che venga

raggiunto un equilibrio simile a quello del libero scambio, in cui i prezzi

relativi dei fattori e dei prodotti sono identici nei due paesi.

Se il capitale può circolare a livello internazionale, esso tenderà a

spostarsi dal paese X, dove percepisce minore remunerazione, verso il

paese Y, dove maggiore è il valore degli interessi, provocando un

cambiamento della dotazione dei fattori nei due paesi e, quindi, anche

delle loro possibilità produttive.

I flussi di capitale si arrestano solo quando i prezzi relativi dei fattori

sono identici nei due paesi, raggiungendo l’equilibrio nel punto di

tangenza tra le curve che indicano le nuove frontiere delle possibilità

produttive.

L’uguaglianza dei prezzi relativi dei fattori conduce ad una progressiva

convergenza anche dei prezzi relativi dei prodotti; nel contempo,

però, il movimento internazionale del capitale provoca anche una

riduzione della differenza nella dotazione fattoriale dei due paesi,

erodendo i vantaggi comparati all’origine del commercio che, infatti,

diminuisce progressivamente8.

1.2 Una rassegna delle principali teorie sugli investimenti diretti

esteri

La teoria di Hymer9, sviluppata nella seconda metà del ‘900, parte dalla

differenza tra investimento diretto e quello di portafoglio e indica nel

controllo l’elemento di differenziazione fondamentale. L’investimento

diretto conferisce all’impresa il controllo sulle attività economiche al

8 ? Scoppola M., (2000), “Le multinazionali agroalimentari” , Carocci Editore, Roma, pag. 126.9 ? Hymer S. H., (1960), “ The International operations of national firms: a study of direct foreign

investments”, MIT Press, Cambridge (MA), pubblicato nel 1976, pag. 14 – 35.

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contrario di quello di portafoglio. Sottolinea che in quello diretto non

ci deve necessariamente essere il trasferimento di fondi dal Paese di

origine a quello ospitante, infatti l’investimento diretto potrebbe essere

finanziato da prestiti accesi nel paese ospitante.

Altro elemento tipico di quello diretto è la bidirezionalità dell’

investimento e il fatto che si concentra tendenzialmente in specifiche

industrie. Hymer, dopo aver delineato la presenza dei vari costi tipici di

un processo di internazionalizzazione, identifica nelle imperfezioni di

mercato la determinante che porta le imprese a sviluppare la produzione

internazionale piuttosto che una modalità esportativa.

Tali imperfezioni di mercato possono riguardare i mercati dei beni, i

mercati dei fattori produttivi, le economie di scala interne ed esterne

e l’ interferenza dei governi nella produzione o nel commercio.

Si pone il problema di verificare il momento in cui le imprese

preferiscono realizzare investimenti diretti all’estero finalizzati alla

produzione locale, piuttosto che il momento opportuno per continuare a

sviluppare flussi di esportazioni di prodotti fabbricati nel paese di

origine. Il modello di Hymer pone al centro dell’attenzione l’impresa e

non il singolo prodotto partendo dalla constatazione che la teoria

tradizionale, quella neoclassica, non riesce a spiegare l’esistenza di

investimenti reciproci tra i paesi avanzati; egli ricerca, nelle

caratteristiche dell’impresa le determinanti che influenzano il processo di

internazionalizzazione.

L’autore assegna all’impresa l’obiettivo di accrescere il proprio potere

di mercato e la quota di mercato, in quanto a questa ultima si associa un

tasso di redditività del capitale investito più elevato rispetto a quello dei

concorrenti.

La possibilità di aumentare la quota detenuta si collega alla capacità di

erigere delle barriere all’entrata che scoraggino i nuovi concorrenti e che

obblighino, in modo coatto, i produttori meno efficienti ad uscire dal

mercato.

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Tali barriere riguardano il possesso di vantaggi competitivi di varia

natura: il controllo tecnologico, le economie di scala, la notorietà della

marca, il patrimonio di conoscenze e competenze e il controllo dei canali

distributivi.

Nella fase iniziale di sviluppo delle imprese, il mercato servito è quello

interno, a causa delle difficoltà che si verificano nella vendita sui mercati

esteri. L’impresa cresce a livello nazionale attraverso un processo di

concentrazione (aumento delle quote di mercato, acquisizioni e fusioni)

che le consente di ottenere profitti sempre maggiori. Ad un certo punto,

tuttavia, il processo di concentrazione a livello locale non può più essere

spinto oltre a causa di un numero ristretto di grandi imprese; pertanto,

l’elevato profitto derivante dal grado di monopolio raggiunto è rimasto

utilizzabile per gli investimenti diretti all’estero, i quali hanno come

obiettivo l’estensione del processo di crescita dell’impresa oltre

frontiera.

Una volta scelta la produzione in loco nei confronti delle esportazioni,

l’impresa dovrà decidere se intervenire direttamente (tramite IDE10)

oppure cedere licenze a produttori locali. Tale scelta sarà condizionata

soprattutto dalla natura degli specifici vantaggi competitivi posseduti

dall’impresa.

In particolare, l’IDE risulterà favorito quanto più i vantaggi competitivi

consistono nel possesso di conoscenze e competenze specialistiche, che

difficilmente possono essere valorizzate attraverso la cessione di licenze

o tramite accordi di collaborazione nella fase di ricerca/sviluppo e/o di

produzione.

A questo punto l’autore si pone il problema dei motivi per i quali

l’impresa decide di sfruttare il proprio vantaggio competitivo tramite

l’IDE anziché vendere il prodotto ad un’impresa locale tramite qualche

forma di accordo contrattuale.

10 ? Investimento diretto estero.

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Secondo Hymer, un’ impresa, qualora decida di dar vita ad una propria

unità organizzativa all’estero, è destinata ad incontrare una serie di

svantaggi competitivi. Essa si trova ad affrontare costi connessi alla

necessità di interagire con culture, con lingue e con sistemi

amministrativi e sociali diversi che rendono più costosa la sua operatività

rispetto alle aziende già presenti nel territorio.

Inoltre, per un’ impresa estera, i costi per l’acquisizione di determinate

conoscenze, soprattutto del mercato, possono essere rilevanti.

Allora ci si chiede per quale motivo le imprese, nonostante la presenza di

questi costi, decidono di realizzare ugualmente degli investimenti diretti

all’estero.

Le motivazioni sono da ricondursi, principalmente, al possesso di

vantaggi di tipo oligopolistico riproposti dall’impresa stessa su scala

internazionale. Più precisamente, quando un’ impresa decide di investire

all’estero dovrà poter compensare i maggiori costi sostenuti con dei

vantaggi competitivi durevoli, ed è proprio per l’ effetto di questi

vantaggi che le aziende riescono ad essere competitive.

Dunque, l’IDE può avvenire solo in presenza di imperfezioni di mercato

tali da indurre le imprese a sostituire la tradizionale esportazione

all’investimento diretto. La teoria seminale di Hymer rappresenta un

punto di rottura rispetto alla tradizione sia precedente che successiva.

Uno dei principali elementi della sua teoria è l’accento sulla rimozione

dei conflitti dal mercato in cui operano le imprese.

Secondo la sua concezione, le principali determinanti dell’investimento

diretto estero sono in larga misura le stesse che generano l’investimento

in generale, sia a livello nazionale che internazionale, in condizioni di

oligopolio. Inoltre si riscontra un eccessivo accento sui costi delle

operazioni all’estero. Questa è una posizione comprensibile negli anni

Cinquanta e Sessanta; da allora però tali costi e rischi si sono

notevolmente ridotti11.

11 ? Jetto – Gilles G., op. cit. pag. 72.

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Un'altra interessante teoria, che si distacca da quella di Hymer, è la

“teoria del gap tecnologico” formulata per la prima volta da Posner12

(1961) che si concentra sugli sviluppi dinamici che avvengono

all’interno di un settore sotto il profilo del progresso tecnologico.

Posner analizza i meccanismi attraverso i quali un’iniziale innovazione

di prodotto in un paese porta a vantaggi tecnologici cumulativi e a

vantaggi nel commercio internazionale. A differenza di Hymer, che

focalizza la sua attenzione sull’impresa, Posner presta maggiore

attenzione al prodotto ed al tasso di innovazione a questo collegato.

La portata e la durata dei vantaggi del commercio dipenderanno dalla

portata dei vantaggi cumulativi dell’ impresa innovatrice, dalla

velocità con cui si diffonde la domanda per il nuovo prodotto e dalla

velocità di reazione delle altre imprese nazionali e straniere

nell’imitazione del nuovo prodotto13.

Quindi Posner propone una spiegazione del commercio internazionale

fondata sulle “differenze di costo comparato” generate dal differente

tasso di innovazione nei settori tra i vari paesi.

In particolare, i vantaggi economici di un’originaria innovazione in un

settore industriale sono correlati alla durata dell’intervallo temporale

durante il quale il settore innovatore usufruisce di una posizione

monopolistica sui mercati internazionali.

La durata di tale posizione è definita dalla differenza fra il tempo

necessario alle imprese straniere per imitare i nuovi processi produttivi e

il tempo occorrente ai consumatori esteri per manifestare la domanda di

nuovi prodotti14.

Tra l’altro i produttori operanti nel paese innovatore possono trarre il

vantaggio di economie di scala e da qui deriva l’effetto che una prima

innovazione può stimolare una “concentrazione” degli investimenti nel

12 ? Posner M. V., (1961), “ International trade and technical change”, in Oxford Economic Papers”, 13, pag. 323- 341.

13 ? Jetto – Gilles G., op. cit. pag. 73.14 ? Valdani E. – Bertoli G., op. cit. pag. 50.

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settore. Ne consegue un flusso continuo di innovazioni sia di prodotto

che di processo. Anche se il singolo prodotto frutto di innovazione sarà

imitato dai produttori locali, facendo venire meno il flusso esportativo

dal paese innovatore, se si considera il settore industriale innovativo

nel suo complesso (comprendente più prodotti), sarà possibile avere un

flusso esportativo stabile da parte di un paese all’avanguardia di un

settore verso gli altri paesi, proprio in quel settore in cui

esso ha per primo effettuato le innovazioni.

Il contributo di Posner rappresenta senza dubbio un passo importante

nella formulazione delle teorie di internazionalizzazione, tuttavia esso si

concentra esclusivamente su fattori d’offerta, trascurando il ruolo dei

fattori concernenti la domanda, nell’influenzare la capacità di produrre e

di commercializzare un prodotto nuovo sui mercati internazionali.

Linder15 sposta infatti l’attenzione su tali fattori; secondo l’autore, la

varietà di beni manufatti potenzialmente esportabili è determinata dalla

domanda interna:” condizione necessaria, ma non sufficiente, affinchè

un prodotto sia potenzialmente un prodotto di esportazione è che esso sia

consumato nel mercato interno”. Linder afferma che le funzioni di

produzione non sono identiche in tutti i paesi, ma che le funzioni di

produzione dei beni domandati all’interno sono quelle relativamente

convenienti.

Per ciò che riguarda, inoltre, le potenziali importazioni di un paese,

queste ultime sono a loro volta determinate dalla domanda interna; di

conseguenza, la gamma delle esportazioni potenziali è identica o inclusa

in quella delle importazioni potenziali16.

Se due paesi presentano la stessa struttura di domanda, tutti i beni

importabili ed esportabili dall’uno lo sono anche per l’altro. La

conclusione a cui si perviene è che quanto più è simile la struttura della

15 ? Linder B.S. (1961), “ An Essay on trade and transformation”, Almqvist & Wiksel, Stoccolma, traduzione Italiana: in Franco R. e Gerosa C., (1980) “Il commercio internazionale. Teorie e problemi”, Etas, Milano.

16 ? Valdani E. – Bertoli G., op. cit. pag. 51.

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domanda di due paesi tanto più intenso è il commercio tra questi due.

Ovviamente bisogna stabilire come fare ad individuare il grado di

somiglianza delle strutture di domanda tra i due paesi; ci sono vari

fattori: il clima e la struttura geografica, la cultura, il reddito pro capite,

la distribuzione del reddito, variabili sociali e cosi via. Ovviamente tali

paesi non effettuerebbero nessuno scambio reciproco se potessero

produrre all’interno, ai medesimi prezzi relativi, i principali prodotti

richiesti dal mercato.

Le stesse forze che danno origine agli scambi all’interno di ciascuno dei

due paesi creano anche gli scambi tra di essi. Il libero scambio tra due

paesi che hanno livelli di reddito pro capite simili avrà gli

stessi effetti del commercio interno.

La teoria di Linder è stata soggetta a varie critiche. Il fatto che si riduce

solo ai casi in cui due paesi abbiano livelli di reddito pro capite simili e il

fatto di non spiegare la composizione merceologica dello scambio tra i

paesi sono alcuni degli aspetti critici messi in evidenza. Tuttavia la

teoria ha avuto un’ampia risonanza anche nel seguito della stessa

evoluzione delle teorizzazioni sul modello del ciclo di vita

internazionale.

Vernon17 negli anni ‘70 indaga sulla scelta localizzativa che affrontano le

imprese. L’autore sviluppa le sue argomentazioni usando una

configurazione a tre stadi del “ciclo del prodotto”. Nel primo stadio

egli considera che le imprese appartenenti ai paesi industrialmente più

avanzati abbiano uguale accesso alle conoscenze scientifiche. Tuttavia, a

parità di accesso a tali conoscenze non corrisponde una uguale

probabilità di applicazione delle stesse nella concreta attività di

produzione, poiché esiste un ampio divario tra la conoscenza di nuove

teorie scientifiche e la loro utilizzazione per produrre nuovi prodotti o

creare nuovi processi produttivi.

17 ? Vernon R., (1966), “ International investment and International trade in the product cycle”, in “Quarterly Journal of Economics”, 80, pag. 190 – 207.

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Vernon considera come modello il mercato statunitense, in virtù delle

grandi opportunità di sfruttamento delle conoscenze che esso consente e

per la loro incorporazione nei nuovi prodotti. Tra l’altro è un mercato

in cui i consumatori dispongono di un reddito medio pro capite elevato,

è un mercato di ampie dimensioni e anche con abbondanza di capitale.

Secondo l’autore il prodotto innovativo troverà localizzazione proprio

negli USA.

In tale contesto, il prodotto, almeno inizialmente, non ha concorrenti

visto che è nuovo e può essere venduto a prezzi più elevati. Un’offerta a

prezzi così alti trova comunque una domanda corrispondente poiché i

consumatori sono disposti a pagare prezzi elevati grazie alla loro

disponibilità di redditi elevati. Il secondo stadio è caratterizzato sia dallo

sviluppo e maturità del prodotto, sia da una domanda crescente, che

consente alle imprese il conseguimento di economie di scala. Ne

consegue una certa standardizzazione del prodotto.

Tali condizioni fanno diminuire la presenza di barriere all’ingresso e di

conseguenza aumentano i concorrenti. Inoltre, accanto alla domanda

locale (USA) si sviluppa con molta probabilità una domanda diffusa

anche nei paesi europei più avanzati. Per le imprese del paese innovatore

si prospetta quindi l’opportunità di dare avvio ad un processo di

internazionalizzazione.

La domanda dei paesi europei sarà inizialmente soddisfatta dalle

esportazioni statunitensi, tuttavia le imprese americane potrebbero

preferire una produzione diretta all’estero per ovviare alla minaccia

eventuale da parte dei concorrenti europei che iniziano ad imitare il

prodotto e anche per la possibilità di sostenere la produzione a costi più

bassi negli stessi paesi europei.

Infatti la scelta tra esportazione e insediamento produttivo all’estero

dipende anche da variabili di carattere economico: se la somma dei costi

di produzione e di trasporto dei beni esportati è inferiore al costo medio

previsto per produrre nel paese di importazione, è probabile che le

17

Page 18: Tesi

imprese preferiscano evitare l’investimento diretto estero, privilegiando

quindi i flussi esportativi. Tuttavia, il progressivo sviluppo della

domanda e la costituzione nei vari paesi avanzati di un mercato interno

di dimensioni adeguate possono costituire una condizione sufficiente per

la successiva decisione di produrre direttamente all’estero18.

Man mano che il prodotto diviene più standardizzato, esso richiederà

processi produttivi che si concentrano su alta intensità di capitale e

lavoro poco qualificato. In tale fase diventano più probabili i

comportamenti imitativi e la concorrenza aumenta. Subentra così il terzo

stadio (standardizzazione e declino del prodotto), che corrisponde alla

scelta di localizzare la produzione in paesi sottosviluppati per

contenere i costi di produzione visto il basso costo del lavoro di tali

paesi. Quindi gli USA perderanno il loro vantaggio competitivo come

localizzazione produttiva.

A distanza di qualche anno Vernon revisiona la teoria analizzando

le mutate condizioni dei paesi europei. In primis l’autore nota un deciso

aumento dell’espansione geografica della rete delle operazioni delle

imprese multinazionali e tra l’altro è anche diminuito il lasso di tempo

tra l’introduzione di un nuovo prodotto negli USA e la sua diffusione in

altri paesi. Dunque le fasi di imitazione del prodotto si sviluppano in

tempi più rapidi rispetto a qualche decennio prima.

In secondo luogo Vernon considera i cambiamenti di carattere

macroeconomico dei paesi europei: le differenze tra Europa e USA si

sono assottigliate, in termini di reddito pro capite, costo del lavoro,

dimensione del mercato e gusti dei consumatori. Ciò lo induce a

concludere che l’ambiente internazionale che aveva portato il ciclo di

vita del prodotto stava scomparendo e che la teoria diventava sempre più

meno applicabile.

Non mancano le critiche al modello di Vernon. Innanzitutto il fatto che

tale teoria offre una spiegazione dell’ origine dei vantaggi comparati

18 ? Valdani E. – Bertoli G., op. cit. pag. 55.

18

Page 19: Tesi

limitata a un segmento particolare del commercio internazionale: quello

di prodotti manufatti concepiti per soddisfare consumatori ricchi. Poi la

sua analisi è criticata per essere limitata al caso delle innovazioni “labour

saving”.

Vernon non ha considerato come le imprese localizzate in paesi poco

dotati di materie prime, come per esempio quelle europee, fossero

interessate a introdurre innovazioni volte a risparmiare questo tipo di

fattore produttivo piuttosto che quello del fattore lavoro.

In ogni caso la teoria ha subito un logoramento, a causa dei profondi

cambiamenti dell’ambiente internazionale al punto che essa è apparsa

sempre meno in grado di fornire un’interpretazione adeguata dei processi

di internazionalizzazione delle imprese.

Infatti, l’assunto che la maggior parte delle innovazioni tecnologiche

provenissero da un unico paese (Stati Uniti), è stato superato con

l’affermarsi delle imprese giapponesi ed europee sui mercati mondiali19.

Un'altra debolezza della teoria è data dall’enfasi eccessiva posta sul

prodotto e sulla sua vita, a scapito dell’impresa in se, ciò impedisce

un’adeguata analisi della diffusione dell’innovazione da prodotto a

prodotto e dei relativi vantaggi in ambito tecnologico, manageriale e di

marketing. Nonostante le critiche, l’accento posto sull’investimento

diretto legato al divario tecnologico costituisce un notevole passo in

avanti rispetto alle teorie precedenti20.

Un altro autore che concentra i suoi studi sugli aspetti inerenti la

localizzazione degli investimenti diretti esteri è Knickerbocker21. La sua

analisi (1970) parte da considerazioni di carattere empirico. Il suo

approccio teorico differisce da quello di Vernon in quanto si concentra

sull’impresa piuttosto che sul prodotto e soprattutto sulle condizioni

macro - economiche del mercato che caratterizzano il commercio

19 ? Valdani E. – Bertoli G., op. cit. pag. 56.20 ? Jetto – Gilles G., op. cit. pag. 82.21 ? Knickerbocker F. T. (1973), ‘’Oligopolistic Reaction and Multinational Enterprise’’, Division of

research, Graduate School of Business Administration, Harvard University, Cambridge (MA).

19

Page 20: Tesi

internazionale e le scelte di localizzazione produttiva. Egli afferma che

già nel secondo dopoguerra le imprese hanno affrontato processi di

internazionalizzazione in misura sempre maggiore e che molte imprese

(statunitensi) hanno mostrato la tendenza ad indirizzare i loro flussi di

investimenti diretti esteri verso i medesimi paesi ospitanti; poi sostiene

ancora che le imprese impegnate nell’espansione oltre frontiera

appartengono a industrie caratterizzate da strutture oligopolistiche.

Lo studioso propone la differenza tra investimenti aggressivi e difensivi:

i primi indicano la costituzione della prima affiliata in una data industria

in un certo paese ospitante, mentre con i secondi indica la creazione di

affiliata da parte di altre imprese. Le imprese che operano in un sistema

oligopolistico sono consapevoli del fatto che un atteggiamento

aggressivo porterà a reazioni difensive e quindi si svilupperebbe una

concorrenza distruttiva. Così, per evitare questo risultato, le imprese

scarterebbero l’ipotesi di una guerra di prezzo a favore di una

concorrenza basata su altri fattori, come ad esempio la pubblicità.

Tuttavia, in quei settori in cui si verificano cambiamenti rapidi e

caratterizzati da elevati tassi di crescita, le singole imprese potrebbero

trovare conveniente adottare un comportamento aggressivo. A questo

punto, l’autore, considerando che le sole reazioni oligopolistiche non

sono sufficienti a spiegare il motivo della prima mossa dell’impresa,

decide di collocare la sua teoria in un contesto più ampio.

Egli parte dall’assunto base della teoria del ciclo di vita del prodotto di

Vernon: a) il contesto economico statunitense ha portato a delle

opportunità di sviluppo di nuovi prodotti; b) è probabile che i prodotti

siano sviluppati e creati prima nel paese in qui sono stati ideati e poi

all’estero. L’autore arriva ad affermare che le imprese statunitensi

sono state molto abili nell’aprire la strada a nuovi prodotti, anche grazie

allo sviluppo di particolari competenze in R&S, nelle strutture

organizzative e nelle tecniche di marketing.

I mercati e le economie europee restavano indietro rispetto a quelli

20

Page 21: Tesi

statunitensi. Le esportazioni di prodotti statunitensi venivano seguite,

in un secondo momento, da IDE, i quali in alcuni casi, venivano

preceduti dalla concessione di licenze.

Le imprese statunitensi ebbero anche vantaggi nel produrre all’estero. Il

loro vantaggio nell’accumulazione di competenze manageriali,

commerciali ed organizzative diede loro un totale vantaggio sulle

imprese locali europee. Altre circostanze possono aver spinto le imprese

statunitensi verso l’intrapresa di IDE piuttosto che verso licenze ed

esportazioni.

L’autore da riferimento all’esistenza di barriere, tariffarie e non, nei pesi

europei, e al fatto che produrre vicino al mercato di sbocco permette alle

imprese di offrire servizi di assistenza e di adattare il prodotto alle

esigenze dei consumatori locali22.

La motivazione di fondo è che gli imprenditori statunitensi mirano a

cercare e sviluppare opportunità e capacità produttive presenti oltre

frontiera. Bisogna ancora spiegare la scelta della mossa difensiva da

parte dei concorrenti.

L’investimento in un paese estero comporta un certo grado di incertezza,

lo stesso vale per le imprese rivali; tuttavia queste corrono dei rischi

anche se non investono: l’impresa che per prima ha rischiato investendo

(quindi la first mover) può trarre vantaggi considerevoli che può usare

per danneggiare i diretti rivali. Infatti tutte le competenze organizzative,

commerciali e manageriali conseguite durante la prima mossa, potranno

essere sfruttate per successive politiche aggressive.

Tutti questi vantaggi possono mutare l’equilibrio competitivo, così

le imprese concorrenti rispondono anch’esse con l’investimento diretto

all’estero. Knickerbocker alla fine spiega il raggruppamento geografico

degli IDE come il risultato di politiche difensive delle imprese tese a

minimizzare i rischi nel contesto di strutture di mercato oligopolistiche23.

22 ? Jetto – Gilles G., op. cit. pag 87.23 ? Jetto – Gilles G.,op. cit. pag. 89.

21

Page 22: Tesi

1.3 Le nuove teorie del commercio internazionale

Dopo la seconda guerra mondiale si sviluppa la teoria dell’investimento

diretto estero e dell’impresa multinazionale. Nel corso degli anni ’80,

dopo il declino del primato americano circa la presenza di imprese

multinazionali, si registra lo stesso declino del modello di

internazionalizzazione basato sulla multinazionale classica e si lascia

spazio ai nuovi modelli basati sulla impresa transnazionale e l’impresa

rete.

Secondo l’autore Kojima24 gli investimenti creano commercio quando si

spostano da un paese all’altro in funzione del costo relativo delle risorse,

sempre sulla base dei vantaggi comparati dei paesi. Questi tipi di

investimenti sono stati effettuati dalle multinazionali giapponesi, le quali

hanno trasferito la produzione nei paesi limitrofi a basso costo del lavoro

e con una dotazione di risorse più favorevole. In altri casi tali

investimenti verrebbero effettuati per altri motivi quali ad esempio la

presenza di distorsioni sui mercati come la concorrenza oligopolistica o le

barriere tariffarie presenti nel paese che ospita l’investimento: tali

condizioni indurrebbero le imprese internazionali a trasferire direttamente

all’estero le produzioni. Tale sistema tuttavia ha determinato l’uso di

tecnologie inappropriate in rapporto alle risorse locali del paese ospitante

(come è accaduto nei processi di espansione delle multinazionali

statunitensi) con la conseguente inefficiente allocazione delle risorse.

Le imprese giapponesi, che dagli anni Ottanta fecero il loro ingresso sul

mercato mondiale, dimostrano nella pratica la tesi di Kojima utilizzando

strategie innovative sviluppate all’interno del proprio mercato e rivelatesi

vincenti anche sui mercati internazionali. Le imprese giapponesi si

concentrarono in investimenti diretti all’estero nei settori in cui il Paese

vedeva ridursi i propri vantaggi competitivi a causa dell’incremento dei

24 Kojima K., (1978), “ Direct foreign investment: a Japanese Mode of Multinational Business Operations”, Croom Helm, London, pag. 21 – 47.

22

Page 23: Tesi

salari, dei tassi di cambio e della mancanza di materie prime. Gli

investimenti giapponesi erano quindi indirizzati verso i Paesi dell’area

asiatica che permettevano loro di sfruttare le varie strategie sviluppate

all’interno, ma avvantaggiandosi contemporaneamente dei minori costi

di produzione. Ciò ha permesso ad imprese giapponesi prima sconosciute

di diventare concorrenti diretti di multinazionali già presenti nel settore

da diversi anni25.

La teoria di Kojima è molto utile per comprendere gli sviluppi dei

processi di internazionalizzazione delle imprese dal secondo dopoguerra

in poi. In un primo momento le imprese sono diventate multinazionali

soprattutto allo scopo di superare le barriere tariffarie ed hanno

organizzato le loro operazioni internazionali secondo un modello

organizzativo multi – domestic, ovvero trasferendo in ogni mercato

estero l’intero processo produttivo e vendendo il prodotto localmente,

sostituendo così le precedenti esportazioni. Successivamente le imprese

hanno iniziato a localizzare ogni fase del processo produttivo in funzione

del costo relativo dei fattori nei diversi paesi, vendendo poi il prodotto

finale su tutti i mercati di consumo, adottando un modello organizzativo

di tipo globale.

La modalità tradizionale in cui si svolgono le operazioni economiche tra

i paesi è invece il commercio internazionale, consistente nello scambio

di merci, beni e servizi attraverso le frontiere nazionali. Il commercio

internazionale rimane, a livello globale, il principale tipo di transazione

economica oltre frontiera.

Le attività delle imprese transnazionali hanno un impatto considerevole

sulla distribuzione geografica del commercio; anche in considerazione

del fatto che le imprese transnazionali, in virtù dei processi di

integrazione verticale, determinano un considerevole sviluppo del

commercio internazionale intra – aziendale.

25 ? Baronchelli G., (2008), “Delocalizzazione nei mercati internazionali, dagli IDE agli offshoring”, LED

Edizioni Universitarie.

23

Page 24: Tesi

Questo tipo di commercio consiste nello scambio di beni e servizi tra

unità della stessa impresa operanti in paesi diversi. Si stima che esso

rappresenti non meno di un terzo del commercio mondiale e che sia in

aumento.

Le attività di produzione e di commercio internazionale delle imprese

transnazionali sono strettamente interrelate. Lo sviluppo dei mercati

internazionali, la ricerca di vantaggi di costo, l’obiettivo di penetrare

commercialmente nuovi paesi ha fatto si che le imprese tendessero ad

investire direttamente all’estero creando rapporti di collaborazione con

altre imprese del posto (licensing, franchising, joint ventures).

Gli investimenti diretti esteri hanno avuto un notevole sviluppo sia nella

forma di investimento di portafoglio (effettuato per ragioni tipicamente

finanziarie, con riferimento all’acquisizione di azioni di una società

straniera), sia nella forma diretta (IDE) ovvero il caso in cui

l’investimento è tale da conferire il controllo nella società acquisita. Dai

dati statistici si rileva che la maggior parte di IDE ha origine da società

che hanno luogo in paesi sviluppati e sono diretti anche verso le stesse

economie sviluppate.

I paesi in via di sviluppo invece ricevono investimenti diretti, specie lì

dove è possibile reperire le risorse per la produzione quali materie prime

e forza lavoro a basso costo. In conclusione si può sostenere che con la

crescita degli IDE si riduce il commercio intra – settoriale del bene

finito, che viene spiazzato dalla produzione estera delle multinazionali;

tuttavia gli IDE generano un intenso flusso di scambi intra – firm, sia di

beni intermedi che di servizi generali.

Quando le differenze nelle dotazioni tra i paesi sono così ampie da non

consentire il pareggiamento dei prezzi dei fattori attraverso gli scambi

dei beni, gli IDE possono diventare complementari al commercio.

Secondo il modello teorico basato sulla ipotesi della prossimità –

concentrazione, invece, i risultati sarebbero diversi: se i paesi sono

identici sotto il profilo tecnologico, della domanda e della dotazione

24

Page 25: Tesi

fattoriale, gli IDE sarebbero dovuti all’eccessivo peso dei costi di

trasporto rispetto ai costi fissi degli impianti ed ai vantaggi che derivano

da una più intensa utilizzazione delle risorse dell’impresa. In tal caso gli

IDE sostituiscono i flussi commerciali intra – settoriali.

In ogni caso, anche se i paesi differiscono tra loro, la comparsa delle

multinazionali comporta una riduzione degli scambi intra – settoriali che

non viene compensata da alcun nuovo flusso di scambio di beni: gli IDE,

quindi, sostituiscono il commercio.

Le nuove teorie sul commercio internazionale evidenziano il fatto che il

commercio e la specializzazione sono dovuti a vantaggi di economie di

scala, così come a tradizionali vantaggi comparati dovuti a differenze

nella dotazione dei fattori. Commercio e specializzazione sono quindi

guidati da alcuni elementi statici ed esogeni imputabili alla dotazione dei

fattori, e da elementi più dinamici ed endogeni legati ai rendimenti

crescenti.

Un primo tipo di economie di scala, legato alla teoria della concorrenza

monopolistica di Chamberlin, è interno all’impresa. Si ritiene che le

economie di scala crescenti non siano compatibili con la perfetta

concorrenza dato che l’impresa che realizza rendimenti crescenti ha costi

decrescenti man mano che aumenta la sua dimensione; ciò le da un

vantaggio rispetto ai concorrenti.

Dunque questo tipo di economie di scala necessita di un modello

di concorrenza monopolistica.Nell’applicazione di tale schema si assume

in genere, che l’impresa operi con un singolo impianto produttivo, per

cui livello di impresa e livello di impianto produttivo coincidono.

Un secondo tipo di economie, quelle di tipo “marshalliano” considerano

i rendimenti crescenti ottenibili tramite effetti di spillover da impresa ad

impresa e dunque le economie si riferiscono all’industria nel suo

complesso piuttosto che alla singola impresa26.

26 ? Jetto – Gilles G., op. cit. pag. 141- 142.

25

Page 26: Tesi

In questo approccio le economie di scala rimangono compatibili con il

modello di concorrenza perfetta perché la fonte dei rendimenti crescenti

è la scala dell’industria e non quella dell’impresa/impianto produttivo.

Le economie interne aumentano la probabilità che l’impresa si

specializzi. L’esistenza di economie esterne fa sì che imprese

appartenenti alla stessa industria si localizzino nella stessa area per

godere dei benefici degli effetti di spillover.

La concentrazione spaziale dell’industria può essere verticale oppure

orizzontale. Quella verticale fa riferimento alla non commerciabilità di

alcuni prodotti intermedi ( nel senso che alcuni prodotti intermedi sono

specifici dell’impresa) e tale non commerciabilità può portare alla

formazione di distretti industriali.

Gli ulteriori sviluppi teorici modificano alcune assunzioni, soprattutto

quella relativa alla immobilità del capitale. Infatti, le teorie sugli

investimenti diretti all’estero si basano sulla sostanziale mobilità del

capitale. Gli approcci sono riferiti sia agli IDE verso paesi in via di

sviluppo che agli IDE in paesi sviluppati. Nel primo caso si considerano

diversi paesi a diversi livelli di sviluppo e con differenti dotazioni di

fattori e con presenza di economie di scala interne a livello di impianto e

di impresa.

Partendo da tali assunti si ha che la direzione degli IDE verso i paesi in

via di sviluppo determina una integrazione di tipo verticale a livello

internazionale; l’internazionalizzazione risulta essere favorita rispetto

all’uso di licenze per via degli input congiunti, inoltre si sviluppa un

commercio internazionale intra- aziendale.

Con riferimento al secondo caso (teoria di Markusen27), ovvero con

direzione degli IDE verso paesi sviluppati, gli assunti di base indicano

che i due paesi sono entrambi sviluppati e con mercati ampi, la

produzione internazionale è solo di tipo orizzontale (si producono

prodotti simili in entrambi i paesi), i due paesi hanno simili dotazioni di

27 ? Markusen J. R., (1984), “ Multinationals, Multiplant Economies and the Gains from Trade”, in “Journal of International Economics”, 16, MIT Press, Cambridge (MA), pag. 205 – 224.

26

Page 27: Tesi

fattori e quindi costi di produzione simili, esistono poi alti costi di

trasporto e barriere al commercio (ma non agli IDE). Sulla base di tali

assunti si determina una produzione internazionale di tipo orizzontale e

gli investimenti diretti esteri si sviluppano tra paesi sviluppati preferendo

la produzione diretta piuttosto che la concessione di licenze e con

commercio internazionale intra – industriale.

La tradizionale teoria del commercio internazionale non riesce pertanto a

spiegare come possa avvenire un commercio intra-settoriale, cioè

all’interno dello stesso settore industriale, e tra paesi molto simili per

dotazione dei fattori produttivi necessari alla produzione di tali beni.

A questo proposito, Krugman28 ha contribuito a spiegare questo

fenomeno introducendo, insieme ad altri economisti, le cosiddette

“nuove teorie sul commercio internazionale”. Tali teorie spostano

l’attenzione dal tipo di struttura produttiva presente in ciascun paese, ad

altre variabili di tipo microeconomico, quali i diversi gusti dei

consumatori, la presenza di economie per le imprese localizzate in un

certo paese, il temporaneo monopolio tecnologico posseduto da chi

presenta sul mercato un prodotto innovativo, ecc.

Più in particolare, il contributo di Krugman afferma che il commercio

internazionale esiste perché i gusti dei consumatori sono profondamente

differenti anche in riferimento ad uno stesso prodotto e perchè le imprese

hanno la possibilità di concentrare la produzione in un unico

stabilimento per sfruttare economie di scala produttive.

La prima determinante è molto importante per spiegare il nuovo

beneficio del consumatore, che non è più in termini di prezzi ma bensì

in termini di varietà di prodotti a disposizione. Tale beneficio aumenta

con il procedere dell’integrazione economica europea in quanto i

consumatori hanno a disposizione una maggiore varietà d’offerta

(all’offerta nazionale si affianca anche l’offerta proveniente dai partner

europei). La possibilità che ciascun paese si specializzi in una certa

28 ? Krugman P., (1991), “ Increasing returns and economic geography”, in “Journal of Political Economy” 99, pag. 483 – 499.

27

Page 28: Tesi

varietà di prodotto, pur all’interno dello stesso settore produttivo,

consente a tale paese di soddisfare la domanda di varietà che sorge anche

negli altri paesi comunitari. Si considera, in questo modo, la cosiddetta

differenziazione di prodotto: ciascun prodotto, per quanto uguale agli

altri, è in realtà profondamente diverso per quanto attiene alla sue

caratteristiche appariscenti o a quelle intrinseche.

La differenza può essere quindi sostanziale, come tra un’auto di lusso o

un’auto utilitaria, o puramente formale, come nei detersivi impacchettati

in contenitori di diverso tipo, o indotta dalla pubblicità, o attribuibile al

valore del marchio (a cui è associato un certo status symbol, o un certo

contenuto qualitativo o tecnologico), e così via. Più i paesi hanno

raggiunto lo stesso livello di sviluppo e più è probabile che i consumatori

richiedano beni differenziati, e quindi più è probabile che nasca un

commercio internazionale di prodotti diversi ma appartenenti allo stesso

settore industriale.

Le analisi empiriche condotte sul commercio comunitario indicano, per

l’appunto, che i flussi commerciali tra i paesi europei sono soprattutto di

tipo intra-settoriale, e che le dotazioni fattoriali dei vari paesi sono

piuttosto simili (EC Commission, 1996), pur esistendo comunque alcune

specializzazioni industriali di tipo nazionale.

Dal punto di vista della politica economica all’interno dell’Unione

Economica e Monetaria, se le strutture economiche sono simili, ciò

implica anche un minor “costo di aggiustamento” per i paesi partner nel

caso in cui si verifichino crisi economiche non generalizzate, ma

concentrate in un solo paese (shock asimmetrici).

Per esempio, se i consumatori europei modificassero improvvisamente i

loro gusti e non volessero più acquistare auto di piccola cilindrata, il

paese specializzato nella produzione di utilitarie dovrebbe

“semplicemente” spostare i suoi lavoratori nella varietà delle auto di

lusso (varietà che nell’esempio verrebbe molto richiesta dai

consumatori).

28

Page 29: Tesi

Tale spostamento rappresenta per il paese un costo di aggiustamento,

perché occorre modificare in parte gli impianti e le tecnologie utilizzate

nella costruzione delle auto, che sicuramente è inferiore al costo di

aggiustamento che ci sarebbe stato se il paese avesse dovuto

convertire la sua produzione in un altro settore (per esempio, passare

dalle auto ai computer, o all’abbigliamento), cioè in una produzione più

“distante” per quanto riguarda le caratteristiche dei fattori produttivi

utilizzati.

Per i paesi comunitari si assiste quindi ad un aumento dei flussi di

commercio internazionale che provengono dagli stessi settori (flussi

intra-settoriali) e che generano vantaggi per i consumatori in termini di

minori prezzi di acquisto e di maggiori varietà di beni a disposizione.

Tale commercio per differenziazione di prodotto viene a sua volta

distinto dalla teoria economica tra commercio di prodotti simili ma

differenti per qualità (cioè prezzo) o differenti semplicemente per la

varietà del prodotto. Nel primo caso si tratta di differenziazione verticale

di prodotto, nel secondo di differenziazione orizzontale.

Dal punto di vista metodologico, la distinzione tra le due forme di

differenziazione di prodotto nelle indagini empiriche utilizza il seguente

criterio: si ha differenziazione verticale quando i valori unitari (cioè i

prezzi) all’import o all’export dei flussi tra due paesi differiscono di più

del 15%. I prodotti sarebbero invece differenziati per semplice varietà se

i prezzi fossero meno distanti del 15%, cioè se possono essere

considerati praticamente simili.

Gli studi in materia indicano che la crescita del commercio intra-

settoriale europeo è stata soprattutto tra prodotti differenti per qualità e

prezzo. Si hanno anche facili evidenze di tale specializzazione dei paesi

europei: i tedeschi sono specializzati nella produzione di auto di grossa

cilindrata, mentre gli italiani sanno costruire bene le utilitarie;

l’abbigliamento italiano è destinato ai segmenti di mercato medio-alti,

mentre quello portoghese o spagnolo è diretto ai consumatori medio-

29

Page 30: Tesi

bassi; mentre i vini francesi sono di alta qualità, e quindi destinati a

consumatori esigenti, i vini greci o portoghesi sarebbero, in media,

destinati ad un consumo più popolare; ecc.

La seconda determinante del commercio internazionale, sempre con

riferimento al contributo di Krugman, riguarda la possibilità che

un’impresa sfrutti le economie di scala tecniche per produrre in un

unico stabilimento la produzione destinata atutto il resto dell’Europa.

Anziché aprire diversi stabilimenti in ogni paese europeo – come

accadeva in precedenza al fine di superare le barriere protezionistiche,

prima di tipo tariffario e poi di tipo non tariffario, che segmentavano il

mercato europeo e ostacolavano il libero commercio – con l’Unione

Economica e Monetaria l’impresa concentra la produzione in un unico

sito, dove ottiene notevoli risparmi di costi di produzione.

Le due determinanti del commercio derivanti dal contributo di Krugman,

quella relativa alla varietà dei beni e quella relativa allo sfruttamento

delle economie di scala sono apparentemente in contraddizione tra loro.

Infatti, mentre la prima spiega l’aumento del commercio intra –

settoriale, la seconda giustifica un aumento del commercio inter –

settoriale.

In realtà non è così, in quanto occorre tenere conto dell’unità di

rilevazione del fenomeno di cui stiamo trattando: le esportazioni delle

imprese, che vengono aggregate in esportazioni di settore e poi in

esportazioni di un paese.

Ma se consideriamo i dati a livello di impresa, possiamo notare come la

specializzazione necessaria per raggiungere le economie di scala avviene

generalmente all’interno di una certa varietà di bene.

Per esempio, la Fiat si specializza nella produzione di auto di piccola

cilindrata mentre le BMW nella produzione di auto sportive: si

raggiungono economie di scala se la produzione si concentra in un unico

stabilimento, ma i flussi tra la Germania e l’Italia sarebbero

comunque intra – settoriali (all’interno del settore auto) e non inter -

30

Page 31: Tesi

settoriali, come un’errata interpretazione della teoria potrebbe

suggerire29.

1.4 Globalizzazione dell’economia e le imprese multinazionali

Internazionalizzazione e globalizzazione sono fenomeni che denotano un

accorciamento delle distanze culturali, economiche, sociali tra i paesi nel

mondo. Tuttavia ci sono sfumature di significato diverse tra i due

termini. Il processo di internazionalizzazione è legato ai fenomeni quali

la riduzione delle barriere agli scambi commerciali ed eliminazione dei

vincoli posti agli investimenti diretti esteri e indica quindi la

progressiva integrazione economico - politica tra più mercati – paese.

La globalizzazione indica la crescita del commercio mondiale, specie

attraverso grandi compagnie che producono e commerciano beni e

servizi in differenti paesi.

È un fenomeno che fa riferimento alla similarità sia delle esigenze dei

consumatori nei vari mercati nazionali, sia delle influenze sociali e

culturali nelle varie parti del mondo. Un mercato globale ammette la

libera circolazione di merci e capitali, che non esista nessun tipo di

barriera agli scambi worldwide, un forte grado di omogeneità della

domanda e dell’offerta.

Levitt parla di globalizzazione come una convergenza di tutte le culture

verso un’unica cultura globale; la diversità nelle preferenze culturali è un

concetto superato e le esigenze, i gusti e i desideri dei popoli di tutto il

mondo diventano sempre più simili e omogenei. La globalizzazione

coinvolge consumatori, imprese, mercati, culture, istituzioni e stati. Tale

processo ha raggiunto stadi differenti nei diversi mercati dell’economia

mondiale; alcuni di questi tendono ad essere più vicini al globale di altri.

I mercati business to consumer (B2C) tendono ad essere prevalentemente

locali, nazionali o regionali per effetto di differenze socioculturali,

politico – legislative, linguistiche e monetarie.

29 ? Vitali G. (2007) “L’integrazione commerciale europea e le nuove teorie sul commercio internazionale”, Rivista “Imprese e territorio, n°4.

31

Page 32: Tesi

I mercati business to business (B2B) tendono ad essere più regionali o

quasi globali per effetto di economie nei costi o nei rendimenti dei fattori

di produzione, di opportunità localizzative (vicinanza a clienti

strategici operanti all’estero). Le opportunità del processo di

globalizzazione riguardano la riduzione, l’annullamento di alcune voci di

costo, l’incremento delle economie e dei ricavi. Negli ultimi decenni il

numero delle imprese in grado di competere nel commercio globale è

andato progressivamente aumentando sia in termini di esportazioni che

di investimenti diretti esteri.

Si può anche notare come le economie più aperte agli scambi

internazionali crescano più rapidamente di quelle chiuse; si verifica

inoltre come le performance reddituali delle imprese che operano sui

mercati internazionali sono superiori a quelle nazionali. L'espressione

"globalizzazione dell'economia" (Gde) risulta essere in definitiva

piuttosto generica e non univoca. Infatti è utilizzata per connotare

fenomeni differenti che presentano forti ambivalenze e che sono

spesso contraddittori.

Su questa base si propone di intendere con Gde tutti gli elementi che

caratterizzano l'attuale fase di internazionalizzazione del capitale (il cui

inizio può essere collocato intorno alla fine degli anni '60). Essa presenta

contemporaneamente elementi di persistenza e di trasformazione e può

essere interpretata come un processo che sviluppa contestualmente, ma

in ambiti differenti, omogeneità ed eterogeneità.

Non può essere analizzata come un fenomeno esclusivamente

economico, né può essere interpretata esclusivamente attraverso gli

strumenti conoscitivi delle discipline economiche.

La Gde rappresenta una delle concrete determinazioni della dinamica di

espansione e approfondimento del modo sociale di produzione

capitalistico, essa non può non coinvolgere tutti gli altri ambiti

rilevanti nella produzione/riproduzione sia a livello sociale che culturale.

32

Page 33: Tesi

Secondo diversi autori alla Gde si assocerebbe una radicale

trasformazione delle strategie produttive e dei processi lavorativi, alla

quale dovrebbe corrispondere una trasformazione delle forme della

regolazione sociale.

Emerge su questo tema una generale condivisione, seppur da punti di

vista anche radicalmente differenti, della tesi secondo la quale il mercato

non rappresenta di per sé uno strumento di regolazione sociale

sufficiente, quindi anche con la Gde continua ad essere necessario

l'intervento di istituzioni politiche e sociali. Le posizioni ovviamente si

divaricano in ordine all'ambito in cui si può collocare questo

intervento (locale, regionale, nazionale, sovranazionale), ai suoi obiettivi

contingenti e strategici, alle sue modalità.

D'altronde la non prevedibilità delle future traiettorie della Gde è

confermata da diverse evidenze: il carattere contraddittorio del

cosiddetto "declino" dell'egemonia statunitense; l'ambivalenza del

fenomeno della "finanziarizzazione" dell'economia la quale sembra

indicare sia la incapacità ad individuare investimenti adeguati per i

capitali eccedenti, sia una accresciuta competizione tra i territori per

attirare denaro e investimenti produttivi; la difficoltà di individuare

istituzioni sovranazionali in grado di regolare in forme cooperative

l'economia globale. Su queste basi si può allora proporre l'ipotesi che la

possibilità degli attori locali di progettare e gestire percorsi di

sviluppo relativamente autonomi non è annientata dalla Gde.

Questa possibilità e le caratteristiche assunte dallo sviluppo locale

continuano ad essere connesse alla persistenza nella società di interessi e

punti di vista eterogenei e quindi a dipendere dagli esiti, di per sé non

definitivi, del loro conflitto.

Si assume quindi che la categoria del conflitto - inteso come

contraddizione, attuale o potenziale - sia centrale per offrire una

rappresentazione adeguata del mutamento sia a livello globale che a

livello locale.

33

Page 34: Tesi

Per comprendere come l’internazionalizzazione modifichi le basi della

concorrenza, bisogna estendere il modello di analisi per includervi

l’influenza che l’ambiente nazionale esercita sulla singola impresa. Per

conseguire un vantaggio competitivo deve esserci una corrispondenza tra

le risorse e competenze dell’impresa e i fattori critici di successo del

settore.

I settori internazionali differiscono da quelli nazionali nelle fonti del

vantaggio competitivo. Se le imprese sono localizzate in paesi diversi, le

loro potenzialità in termini di vantaggio competitivo dipendono non solo

dalle risorse e competenze interne a loro disposizione, ma anche dalle

condizioni dell’ambiente nazionale30. La globalizzazione dell’economia

si basa sui processi di multi nazionalizzazione - transnazionalizzazione

delle imprese. Si può definire l'impresa multinazionale come un insieme

di società ognuna delle quali opera secondo le norme dell'ordinamento

giuridico del paese in cui è localizzata, essendo partecipate e

coordinate con tutte le altre da un'altra società (la società madre),

localizzata in un paese terzo, alle cui norme deve attenersi.

La definizione mette in evidenza la possibilità di una contrapposizione di

interessi tra imprese multinazionali e paese ospite.

Nel caso in cui il complesso delle norme del paese ospite limita o

intralcia le attività, la società madre potrà trovare più conveniente

investire in un altro paese (questa flessibilità è però limitata quando

l'impresa operi nel settore delle materie prime ).

La sfera d'azione della impresa multinazionale più che uno spazio

fisico, è uno spazio tecnico-economico: attraverso l'internalizzazione

delle transazioni di mercato (quando i mercati sono inesistenti o

troppo rischiosi) essa assimila nel proprio spazio economico lo spazio

geografico – istituzionale degli stati. L'internalizzazione, leggibile

come risposta alla "rigidità" degli stati, crea un'economia "parallela"

caratterizzata dai prezzi di trasferimento.

30 ? Grant R., ( 2004),“ L’analisi strategica per le decisioni aziendali”, Il Mulino, Bologna, pag. 461.

34

Page 35: Tesi

Nel secondo dopoguerra si possono distinguere, quattro diverse

generazioni di impresa multinazionale, relativamente alla strategia

adottata: I) quelle che si basano su investimenti supply oriented, tesi ad

acquisire soprattutto materie prime, gli Stati del "centro" e le imprese

hanno un reciproco interesse nell'espansione all'estero (prevale fino alla

fine degli anni '60); II) quelle spinte dalla concorrenza oligopolistica

verso nuovi mercati, sostituendo le esportazioni con IDE aggressivi

(market oriented), i flussi di investimento si concentrano nei paese

industrializzati (in particolare Usa-Europa), mentre nei "Paesi in via di

sviluppo" (di seguito, Pvs) si sviluppa una polarizzazione tra aree di

nuova industrializzazione e aree più fortemente periferizzate; III) quelle

che si sviluppano a seguito dell'internazionalizzazione delle attività

industriali che si accompagna a quella dell'indotto, per cui si sviluppano

imprese multinazionali (soprattutto statunitensi) che forniscono servizi

alle imprese (gli IDE nel settore dei servizi passano dal 25,2% del 1975,

al 39,9% del 1985), il fenomeno interessa pochissimo i Pvs, salvo i

"paradisi fiscali"; IV) quelle per le quali lo spazio fisico "diventa

ininfluente" agli effetti delle decisioni strategiche in materia di

localizzazione industriale dei grandi gruppi e anche dei medi.

Si tratta delle imprese multinazionali "runaway": obiettivo strategico è la

compressione dei costi aziendali attraverso il decentramento di

segmenti del ciclo tecnico di produzione nei paesi che

presentano le migliori opportunità di costo dei fattori utilizzati nella

produzione.

Si creano spazi aziendali integrati, con una distribuzione geografica

strategica per l'impresa (ma non per il paese ospite). L'impresa

multinazionale si sgancia progressivamente dal paese d'origine e

contribuisce alla continua trasformazione della divisione internazionale

del lavoro puntando alla ricerca di vantaggi comparati.

Benché la multinazionalità sia spesso appannaggio della grande impresa,

sono numerosissime anche le imprese multinazionali di media - piccola

35

Page 36: Tesi

dimensione (in molti paesi sono la maggioranza), anche se si muovono su

uno spazio economico limitato. In genere si ha un’internazionalizzazione

graduale, poco diversificata, verso paesi limitrofi (prolungamento del

mercato domestico), che evita localizzazioni in paesi a rischio politico

(sono quasi assenti nei Pvs), e che tende a ridurre il rischio di

investimento tramite joint-ventures. Il ruolo dell'impresa multinazionale

ha registrato mutamenti sostanziali assumendo rilievo strategico nel

riequilibrio di divari economici.

Questa funzione di redistribuzione di risorse e opportunità tra i diversi

paesi sarebbe assolta dalle multinazionali in differenti campi. Esse

creano occupazione: impiegano oggi all'estero (e quindi anche nei Pvs)

un numero di addetti superiore a quello occupato nei paesi d'origine.

Attivano la crescita economica dei Pvs: non tanto attraverso gli IDE

market-oriented quanto con quelli trade-creating per mezzo dei quali si

razionalizza la produzione nel paese di origine spostando settori labour

intensive (attraverso multinazionali runaway) in paesi a basso costo di

manodopera, dove quindi si crea lavoro e sviluppo industriale.

Crescono le esportazioni dei Pvs, anche quelli ad alta intensità di ricerca

e di tecnologia. Al movimento internazionale delle merci si sta

lentamente sostituendo un movimento internazionale dei fattori

produttivi (capitale, forza lavoro, materie prime).

Consideriamo il concetto proposto da Porter 31 di "catena del valore",

attraverso il quale si può suddividere l'impresa nelle diverse attività che

essa svolge quando progetta, produce, distribuisce e vende i suoi

prodotti. Nella strategia internazionale la catena del valore ha due

dimensioni: a) la localizzazione delle attività della catena; b) il

coordinamento delle attività dislocate nei diversi paesi.

Nell'impresa transnazionale la configurazione delle attività (risorse,

responsabilità, decisioni) risulta diffusa, non solo per sfruttare meglio i

differenziali nazionali, ma anche per offrire risposte migliori alle

31 ? Porter M.E., (1985), “ Competitive advantage: creating and sustaining superior performance”, NewYork, Free Press, ( trad. it.: “ Il vantaggio competitivo”, Milano, Comunità, 1986).

36

Page 37: Tesi

domande specifiche dei mercati locali; in questa configurazione diffusa

vi è la tendenza alla specializzazione delle risorse e delle capacità, e

prevalgono le interdipendenze reciproche e l'interazione cooperativa

tra le parti del sistema. La cooperazione inter-firm può essere

rappresentata come una nuova modalità competitiva per affrontare la

complessità.

Una competizione globale più aperta fa diventare, secondo Porter,

la base domestica non meno, ma più importante, mentre secondo Reich

invece si avrebbe il risultato opposto: progressiva perdita di importanza

della nazionalità delle aziende.

Grandinetti e Rullani32 sostengono che una risposta adeguata alle tesi di

Reich deve spostare l'analisi sul piano delle conoscenze e sul rapporto

dialettico tra le sfere cognitive del locale e del globale33. Allo stesso

modo rifiutano la "tesi estrema" di Levitt, secondo il quale l'impresa

globale può estendere a livelli prima impensabili la standardizzazione,

le economie di scala e la produzioni di massa, data la progressiva

omogeneizzazione del mercato e l'imporsi del consumatore globale. La

varietà non viene ridotta e l'intensità della concorrenza favorisce le

politiche di differenziazione degli out – put delle imprese.

Un modello che sembra convincere i due Autori è quello proposto da

Bartlett e Ghoshal34. La crescente complessità impone alle imprese di

adottare un modello organizzativo transnazionale; l'impresa

transnazionale sotto il profilo organizzativo si configura nella forma di

una rete integrata; le filiali all'estero sono entità specializzate e

interdipendenti, entro una logica sistemica "evoluta", sotto i due profili

32 ? Grandinetti R. – Rullani E. (1996) “Impresa transnazionale ed economia globale”,

NIS Editore, Roma, pag . 114 – 149.

33 ? Barrucci P., (1998), “Economia globale e sviluppo locale. Per una dialettica della modernità avanzata”, Pisa, Felici.

34 Ghoshal S. – Bartlett C.A., (1998), “Innovation processes in multinational corporations”, in M.L. Tushman, W.L. Moore (eds.), “Readings in the management of innovation”, Ballinger Publishing Company, Cambridge (MA), pag. 499 – 518.

37

Page 38: Tesi

del coordinamento e dell'apprendimento. La capacità di apprendere in

modo diffuso e di trasferire conoscenze diventa una leva competitiva

sempre più importante per le imprese che operano nei settori globali. La

specializzazione implica la differenziazione dei ruoli e delle

responsabilità delle consociate, recuperando sia i benefici della divisione

internazionale del lavoro, sia una superiore flessibilità nell'operare in

diversi mercati-paese comunque globalmente interdipendenti.

Secondo Bartlett e Ghoshal la differenziazione interna e l'integrazione

non gerarchica delle parti sono le fondamentali risposte strategiche e

organizzative dell'impresa multinazionale alla continua sfida della

complessità/globalità35. In definitiva il modello di Bartlett e Ghoshal

riconosce che è la varietà dei paesi il dato da organizzare, attraverso il

coordinamento di consociate autonome che possono attingere a tale

varietà e alimentare con questa le competenze, le strategie e le fasi di

sviluppo nei mercati esteri dell'impresa multinazionale.

Il dibattito attuale, secondo Grandinetti e Rullani, sembra polarizzarsi su

due posizioni: a) quella dell'organizzazione multi - domestica, che

riconosce autonomia alle filiali o alle consociate su una base di tipo

territoriale (con un'autonomia strategica delle unità nazionali o

continentali); b) quella dell'impresa globale (secondo la lettura di Levitt)

che identifica centri globali di responsabilità per funzione, i quali hanno

autorità sulle attività delle imprese ovunque localizzate. Rispetto a

questa polarizzazione la soluzione "transnazionale" di Bartlett e Ghoshal

rappresenterebbe il superamento della rappresentazione dicotomica

locale-globale, prendendo così le distanze sia dal modello che valorizza

in modo unidimensionale le autonomie locali, sia da un modello

riduttivamente"globale".

Fondamentale, secondo i due Autori, diventa il riferimento alle economie

di scala a livello di conoscenza. La scelta di concentrare le conoscenze in

35 Grandinetti R. – Rullani E. (1996) “Impresa transnazionale ed economia globale”, NIS Editore, Roma, pag. 115 – 136.

38

Page 39: Tesi

un unico punto significa legare le innovazioni possibili al sapere

contestuale di un singolo paese. Mentre va sottolineato che la

conoscenza contestuale prodotta nei diversi paesi è una risorsa, sia come

arricchimento delle conoscenze già codificate, sia per la ri-

contestualizzazione e l'utilizzazione del sapere codificato nei diversi

paesi.

L'autonomia locale può allora entrare in gioco in due modi: a)

diventando una specificazione interna della posizione globale, ossia di

reti che sono unificate globalmente per competenza distintiva, ma

articolate in una varietà di soluzioni che utilizzano il sapere contestuale

delle consociate. Il criterio globale risponde alla logica della rete dove i

nodi centrali possono risiedere nelle consociate e non necessariamente

nella casa-madre; b) le consociate sono collegate in una rete come un

insieme di "business unit autonome", le quali costruiscono le loro linee

di divisione del lavoro con altre consociate estere, ma anche con imprese

indipendenti.

A queste business unit è affidata la funzione comunicativa e

relazionale con tutto il contesto nazionale di riferimento.

In questo modo, il modello organizzativo transnazionale, superando la

dicotomia centralizzazione/decentramento, opera innanzitutto all'

interno dell'organizzazione una distribuzione selettiva del processo

decisionale, e quindi dei luoghi in cui si gestisce il coordinamento,

tramite sistemi formali e informali. Quando la densità delle relazioni di

scambio nell'ambito dell'insieme organizzativo locale della consociata

è alta, ad essa deriva un potere nei confronti della casa- madre alla

quale risulta difficile rispondere in base al principio gerarchico. D'altra

parte, un'elevata densità nel network esterno corrisponde tipicamente a

un elevato livello di interazioni tra le consociate della multinazionale.

In sintesi Grandinetti e Rullani sostengono che le reti globali

rappresentano un modo di organizzare il sistema cognitivo della

39

Page 40: Tesi

produzione internazionale, un integratore specifico (diverso dai mercati e

dalle gerarchie) su cui può reggersi la divisione del lavoro cognitivo su

scala internazionale.

In particolare, nell'internazionalizzazione tipica dell'epoca post– fordista,

la divisione del lavoro si appoggia a reti trans– contestuali, trasferendo

così la conoscenza tra i tanti mondi locali che partecipano all'economia

globale36.

Da una recente analisi di alcuni gruppi multinazionali europei

emergerebbe un quadro in qualche misura coerente con l'approccio dei

due Autori: non sarebbe individuabile un unico modello di

internazionalizzazione; si hanno invece soluzioni organizzative

differenziate, all'interno delle quali variano i compiti affidati alle

consociate. Queste avrebbero maggiore autonomia nella gestione delle

risorse umane e nello stesso tempo assumerebbero comportamenti più

omogenei sulla base dell'accelerata internazionalizzazione del

management. L'omogeneità aumenta nelle effettive modalità di

funzionamento delle organizzazioni, in quanto la spinta competitiva alla

maggiore efficienza rivaluta il ruolo delle economie di scala e la capacità

di ottimizzare su scala globale la divisione del lavoro. Aumenta

l'importanza delle divisioni verticali e quindi della capacità di gestire e

valorizzare le differenze in un'ottica globale. Da ciò deriverebbe la

necessità per l'impresa di sviluppare un management con un forte

radicamento locale, ovvero una struttura tipicamente etnocentrica al

fine di connettere più culture regionali e creare la rete di rapporti sui

quali costruire i vantaggi competitivi derivanti dal processo di

internazionalizzazione.

Ciononostante i due Autori (così come nella interpretazione della

globalizzazione), anche in riferimento alla specifica analisi del

processo di trans – nazionalizzazione, sembrano prospettare una

troppo facile e pacifica convergenza tra le morfologie e le strategie

36 ? Grandinetti R. – Rullani E., op. cit., pag. 147 – 149.

40

Page 41: Tesi

transnazionali, da una parte, e le caratteristiche e le possibilità di auto-

direzione dei contesti locali, dall'altra. In questo modo, nonostante

l'enfasi sulla varietà,vengono di fatto sottovalutate le differenze sia tra i

processi di trans – nazionalizzazione, sia tra i contesti locali, i quali

presentano in realtà differenti concentrazioni di capacità e di risorse con

le quali poter affrontare gli attori e i vari processi di sviluppo

internazionale.

Un altro limite ricorrente della proposta è riscontrabile nel modo con cui

è tematizzato il ruolo della conoscenza. La conoscenza e le informazioni

che in un determinato contesto sono valutate come "rilevanti"

rappresentano indubbiamente nell'attuale fase dello sviluppo capitalistico

un bene fondamentale. Certamente questo bene trova nelle "reti" trans –

nazionali un canale di circolazione preferenziale. Ma che nell'economia

trans – nazionale la conoscenza rappresenterebbe il meccanismo di

integrazione più adeguato (rispetto alla gerarchia e al mercato) è

un'affermazione difficilmente sostenibile. Grandinetti e Rullani

sostanzialmente suggeriscono la tesi secondo la quale la conoscenza è un

"integratore" al pari della fiducia, della reciprocità, delle relazioni tipo

clan. Al contrario la conoscenza, proprio in quanto bene prezioso, è

trattata come una merce, oppure circola incorporata nelle merci (forza-

lavoro compresa). In quanto merce è scambiata sul mercato con denaro e

il suo prezzo dipende dal suo livello di standardizzazione/innovatività e

da altri fattori (ad esempio i rapporti di forza tra i contraenti).

Ovviamente all'interno della impresa transnazionale la conoscenza, oltre

a poter assumere la forma di merce scambiata nel mercato interno tra

filiali e tra queste e la casa-madre, è un fattore di produzione che, al pari

degli altri fattori di produzione, viene collocato nei modi più adeguati

per massimizzare le performance dell'impresa stessa.

Il controllo della conoscenza è un terreno di conflitti assai aspri sia nella

dialettica locale/globale (nella relazione tra impresa transnazionale e

contesto locale ), sia nei rapporti di produzione. Nella dialettica

41

Page 42: Tesi

locale/globale è verosimile che le forze globali dispongano di maggiori

risorse rispetto ai soggetti locali, per cui per le prime sarà più

facile tradurre le "conoscenze contestuali" (frutto dell'esperienza) in

conoscenze astratte e formalizzate, viceversa i secondi incontreranno

maggiori difficoltà, pur avendo acquistato una determinata merce-

conoscenza, a tradurre il suo contenuto astratto nello specifico contesto

di utilizzazione. Non a caso le imprese trans – nazionali riescono -

nel commercio di tecnologie - a imporre ai contraenti più deboli

l'acquisto di interi pacchetti di conoscenza, in quanto all'utente manca

spesso il know-how necessario o di base per sfruttare a pieno le

potenzialità di un singolo segmento di conoscenza.

Nell'ambito dei rapporti di produzione il capitalista e i suoi agenti hanno

bisogno, per legittimare il loro potere sociale, di mantenere il più alto

controllo possibile del processo lavorativo, di conseguenza alla forza –

lavoro verranno "cedute" esclusivamente le conoscenze e le

informazioni necessarie per garantire determinati risultati produttivi (e

questo vale sia nella "vecchia" organizzazione taylorista, sia nella

"nuova" organizzazione toyotista), viceversa attraverso le più "moderne"

e "sofisticate" tecniche di gestione delle risorse umane (paternalismo,

coercizione, ricatto, ecc.) la direzione di impresa cercherà di ottenere

gratuitamente le conoscenze e le informazioni che vengono

costantemente prodotte e fatte circolare sulle linee di produzione dalla

forza-lavoro.

In un processo di internazionalizzazione è di assoluto rilievo per

l’impresa individuare e scegliere i paesi verso cui orientare la propria

attività. Le due variabili fondamentali sono il grado di attrattività di un

paese che deve ospitare i flussi commerciali o gli IDE e il grado di

accessibilità dello stesso. Per quanto riguarda l’analisi della attrattività,

questa va valutata rispetto alle dimensioni del paese, alle caratteristiche

della domanda ed al grado di accettazione del prodotto. L’analisi si basa

su una serie di screening successivi in modo da individuare un gruppo di

42

Page 43: Tesi

paesi potenziali verso cui estendere l’attività internazionale dell’impresa.

Con il primo screening si individua infatti un primo gruppo di paesi per i

quali ancora non sia possibile esprimere un giudizio negativo, quindi

individuare quelli in ordine ai quali non sia da escludersi l’interesse per

l’impresa(paesi accettabili). Con il secondo screening si cerca di

individuare il mercato potenziale in ciascuno dei paesi presi in

considerazione e quindi un terzo e ultimo screening teso ad individuare

quei paesi in cui si prospetta una maggiore coerenza tra la domanda

primaria e la specifica offerta aziendale.

Tutto il processo di selezione di basa sull’analisi di un insieme di

variabili macro-ambientali: fisico – geografiche, demografiche,

economiche, tecnologiche. Circa le variabili demografiche bisogna

considerare l’entità numerica della popolazione, la densità abitativa, la

dispersione geografica e la tendenza allo spostamento. Una popolazione

molto numerosa non è detto che sia attraente, se pensiamo ad un paese

molto popoloso ma caratterizzato da una crescita economica marginale

logicamente non sarà reputato come un’area interessante sulla quale

poter investire. Le variabili economiche da considerare riguardano il

prodotto interno loro, la disponibilità di fonti energetiche, il potere di

acquisto della popolazione, la distribuzione del reddito e la propensione

al consumo.

Dopo aver delineato le determinanti che rendono un paese più o meno

attrattivo, bisogna verificare il grado di accessibilità ed eventualmente

correlarlo al grado di attrattività dello stesso. L’accessibilità dipende da

due ordini di fattori: quelli relativi alle barriere artificiali che le imprese

devono affrontare qualora vogliano avviare un processo di

internazionalizzazione e poi quelli relativi all’ambiente competitivo

tipici del paese verso il quale orientare la propria offerta commerciale.

L’ambiente competitivo comprende l’analisi della concorrenza reale e

potenziale ( considerando le loro risorse a disposizione, la strategia

43

Page 44: Tesi

perseguita, i loro obiettivi), le caratteristiche della domanda e le

variabili del marketing mix da adottare ( variabili relative alle

caratteristiche dei canali distributivi, alle politiche di comunicazione, al

pricing).

Per quanto riguarda le barriere artificiali, queste solitamente sono

distinte in tariffarie e non tariffarie37. Quelle tariffarie indicano

l’imposizione di una tariffa specifica il cui pagamento è obbligatorio da

parte delle imprese che vogliono introdurre le loro merci in altri paesi

che non fanno parte dell’unione doganale. Ciò implica logicamente

un’aggravio dei costi per l’impresa che diventa anche meno competitiva

rispetto alla produzione delle imprese locali. La barriera tariffaria per

eccellenza è il dazio doganale che consiste in una imposta indiretta sui

beni che circolano da uno Stato ad un altro e viene riscossa nel momento

in cui una merce fa ingresso nel territorio doganale dello Stato.

Nonostante l’OMC abbia cercato di abbassare e di armonizzare i

dazi doganali per rendere più efficiente il sistema economico

internazionale, i prelievi daziari rimangono ancora piuttosto diffusi

riducendo il vantaggio competitivo di costo di cui un impresa potrebbe

disporre. Per evitare che il costo del dazio si rifletta sul prezzo della

merce al consumo, le imprese sono costrette ad accollarsene l’onere

riducendo i propri margini. I dazi a scopo fiscale hanno l’intento di

conseguire un’entrata tributaria colpendo i consumi delle merci

provenienti dall’estero, mentre i dazi a scopo protettivo intendono

impedire od ostacolare l’ingresso di alcuni prodotti stranieri.

Per quanto riguarda il criterio di calcolo del dazio si distinguono i dazi

ad valorem, ad pesum e misti. I dazi ad valorem sono prelievi

proporzionali, con aliquota percentuale, al valore imponibile della merce

importata, mentre per quelli ad pesum l’aliquota è fissa per ogni unità di

37 ? Valdani E. – Bertoli G., op cit. pag. 143 – 144.

44

Page 45: Tesi

bene importato a prescindere dal prezzo. I dazi misti integrano i due

sistemi su riportati.

Altro strumento tariffario sono i diritti integrativi di confine: un insieme

di tributi imposti dalle autorità doganali che riproducono gli stessi

meccanismi di funzionamento del dazio; tra questi elenchiamo

l’IVA, i diritti di monopolio, tasse di varia natura, diritti di

magazzinaggio e facchinaggio, le tasse di imbarco e di sbarco, le tasse di

ispezione della merce.

Passando ad analizzare le barriere di carattere non tariffario iniziamo a

discorrere sul contingentamento delle importazioni: consiste in un

provvedimento delle autorità competenti che mira a stabilire una

limitazione quantitativa all’approvvigionamento estero di determinate

merci. La conseguenza di un simile limite alle importazioni è quella di

generare incrementi dei prezzi delle merci al consumo. Altro tipo di

barriera sono gli embarghi e i divieti di esportazione che vanno oltre

le ragioni di carattere economico, spesso infatti vi sono motivi di

carattere politico come per esempio la garanzia della sicurezza nazionale

lì dove ad esempio alcune merci potrebbero essere applicate in campo

militare.

Una tipica barriera non tariffaria è costituita dalle regole tecniche e

standard di prodotto. Per commercializzare un prodotto agricolo o

industriale, infatti, non è sufficiente pagare un dazio doganale ma

occorre che il prodotto nazionale o importato sia sicuro. Per determinare

la sicurezza di un prodotto, molti paesi hanno sviluppato nel corso degli

anni delle regole tecniche che indicano le caratteristiche che i prodotti

devono possedere o i modi di produzione che devono essere seguiti.

Accade così che un’impresa che voglia internazionalizzarsi debba

seguire una pluralità di prescrizioni normative in materia di

caratteristiche tecniche di base che devono essere assicurate nei prodotti

collocati all’estero.

45

Page 46: Tesi

Oltre alle regole tecniche ci possono essere altri requisiti di carattere non

obbligatorio il cui rispetto è necessario al fine di beneficiare di un

trattamento commerciale in qualche modo più favorevole. Grazie

all’azione condotta soprattutto dall’ISO (International Standard

Organization), si è creato un processo di armonizzazione delle regole e

degli standard tecnici relativi ad una pluralità di settori merceologici38.

Altro tipo di barriera non tariffaria è costituita dai calendari di

importazione che stabiliscono determinati periodi dell’anno in cui può

essere liberamente effettuata l’introduzione di nuovi prodotti all’interno

dello Stato, mentre viene bloccata in altri periodi. Tendenzialmente

l’accesso delle merci è reso possibile nei periodi della bassa stagione

agricola, cioè proprio nel momento in cui la produzione stagionale

interna ha già trovato assorbimento sul mercato nazionale. Ultimo tipo di

barriera non tariffaria è data dalle misure di carattere valutario e

finanziario, tra tali misure ricordiamo: le restrizioni valutarie consistono

in un controllo statale sui cambi delle valute in modo da incidere sul

costo dei beni importati; autorizzazioni governative per acquisire valuta

estera; soppressione o temporanea sospensione della convertibilità.

Altri strumenti affini sono i cambi valutari multipli che pongono

implicitamente un limite all’ingresso delle merci straniere poiché

l’autorità monetaria nazionale discrimina i cambi di acquisto e di vendita

delle valute. La discriminazione dei cambi riferita all’importazione può

consentire l’attuazione di una politica economica tendente a rincarare le

merci estere non considerate di prima necessità ed a rendere convenienti

quelle giudicate di elevato grado di utilità per l’economia nazionale39.

Sulla base dell’analisi della attrattività di un paese e della sua

accessibilità, le imprese che vogliono internazionalizzare la propria

attività dovranno stimare il numero di paesi verso i quali orientarsi, la

38 ? Valdani E. – Bertoli G., op. cit. pag. 157 – 158.39 ? Valdani E. – Bertoli G., op. cit. pag. 163.

46

Page 47: Tesi

tempistica dello sviluppo internazionale e la posizione competitiva

acquisibile.

1.5 Analisi dei rischi nel commercio internazionale

Negli ultimi decenni il commercio internazionale è cresciuto a un ritmo

doppio di quello della crescita del PIL globale, il flusso internazionale di

capitali finanziari e investimenti diretti esteri è più che raddoppiato

nell’ultimo decennio ( in rapporto al PIL mondiale), la ricerca di

economie di scala e di diversificazione ha indotto le imprese ad investire

capitali e tecnologie all’estero, ad acquisire know – how dall’estero, ad

approvvigionarsi di beni e servizi dovunque sia più utile e

conveniente40.

Dal lato delle imprese che si internazionalizzano, si tratta sempre di

decisioni complesse, accompagnate da un processo di trasformazione

aziendale fondamentale e spesso irreversibile e va sottolineato che le

attività economiche internazionali sono soggette a tutti i rischi che

caratterizzano ogni business.

Per identificare le categorie di rischio è opportuno partire dalle fonti,

esaminandole sotto il profilo delle differenze che si presentano tra i paesi

coinvolti. Si tratta di differenze di natura geografico – climatica,

culturale, politico – legislativa41.

Per gli stati le cui imprese affrontano processi di internazionalizzazione,

le implicazioni possono essere in termini di competizione a livello di

paese o di area regionale nell’attrazione di investimenti internazionali, in

termini di permeabilità delle economie nazionali ai fenomeni di

instabilità finanziaria ed economica e quindi in termini di politiche

protezionistiche a livello di mercati – regione.

40

? Pagliacci M., (2010),“Rischi finanziari nelle operazioni commerciali”, Franco Angeli, Milano, pag 84.

41 Pagliacci M., op cit. pag 85.

41

47

Page 48: Tesi

Un problema importante, che una impresa che si internazionalizza deve

affrontare, è quello relativo alla gestione della diversità. La diversità è

connessa a tutta una serie di rischi:

- Rischio paese: identifica il rischio del mancato o negativo esito

dell’operazione d’affari a causa di eventi politici, sociali , economici,

finanziari del paese ove la controparte opera.

- Rischio di cambio: è generato dalla volatilità delle monete di

riferimento, in relazione al valore della propria moneta.

- Rischio variabilità delle condizioni di domanda/offerta: si

manifesta quando le condizioni inizialmente previste subiscono un

cambiamento significativo per ragioni politico-normative, per una crisi

economica o per l’entrata di nuovi prodotti o concorrenti.

- Rischio di incremento dei costi e/o variabilità dei prezzi: tali eventi

sono particolarmente problematici quando si manifestano in presenza o a

causa di controparti pubbliche, quando gli spazi di trattativa e di

rinegoziazione dei contratti sono ridotti o esclusi.

- Rischio legale: si manifesta anche in relazione alla difficile o

controversa interpretazione delle normative locali, ma soprattutto quando

si incorre in liti giudiziarie con soggetti locali42.

Un particolare tipo di rischio è quello fisico nelle fasi di trasporto,

magazzinaggio e nella gestione complessiva della compravendita. I

trasferimenti espongono le merci a tutta una serie di rischi che possono

compromettere il buon esito dell’operazione, determinando danni

all’integrità della merce. Per quanto avanzati possano essere i vettori

utilizzati e perfezionate le tecniche di imballaggio, il trasferimento di una

merce difficilmente potrà evitare il rischio che l’originaria integrità o

altri termini della consegna vengano meno.

Da un lato ci sono tutti i rischi relativi ad eventi naturali o fortuiti non

controllabili dall’uomo, dall’altro lato ci sono i cosiddetti “atti umani”

che comprendono gli atti incolpevoli ( imprevedibili e che provocano

42 ? Pagliacci M.. op. cit., pag. 86.

48

Page 49: Tesi

incidenti ai mezzi di trasporto); atti colpevoli i quali per fatto colposo

provocano incidenti ai mezzi dei vettori o perdite, avarie e ritardi alle

merci; atti dolosi, come furti, manomissioni o danneggiamenti

internazionali. Il rischio fisico può essere ricondotto anche alla

combinazione degli elementi sopra considerati43.

Si procede ora ad una descrizione delle principali metodologie che la

dottrina e la pratica hanno elaborato in questa materia. Particolare

rilevanza assume il rischio politico, il quale si riconnette a possibili

provvedimenti adottati dalle pubbliche autorità del paese estero, in grado

di compromettere lo sviluppo delle attività dell’impresa nel mercato di

riferimento. I provvedimenti possono essere adottati, oltre che per

motivazioni politiche, per motivazioni di carattere economico, come per

esempio quando un paese si trova ad affrontare una situazione di

recessione o di iperinflazione.

Root considera il rischio politico suddiviso in quattro classi: rischi di

instabilità, rischi sul controllo della proprietà dell’investimento, rischi

operativi, rischi di trasferimento.

I rischi di instabilità riguardano l’eventuale insorgere di conflitti nel

paese estero, la eventuale instabilità del governo oppure l’avvio di

ostilità verso altri paesi. Invece i rischi relativi al controllo della

proprietà riguardano quelle situazioni in cui i beni di una impresa

potrebbero essere oggetto di provvedimenti restrittivi ( espropriazione,

requisizione, collettivizzazione), oppure delle rinegoziazioni contrattuali

con ridefinizione di norme e provvedimenti.

I rischi operativi derivano dalle conseguenze negative indotte da

normative su regimi fiscali più stringenti o sui limiti imposti al personale

proveniente dal paese di origine dell’impresa, oppure normative su

vincoli all’import – export di materiali, controlli pubblici sui mezzi.

43 43 Caroli M. (2008),“Economia e gestione delle imprese internazionali”, McGraw-Hill, Milano, pag 232- 232.

49

Page 50: Tesi

Infine i rischi di trasferimento sono relativi alla eventualità che l’autorità

locale imponga restrizioni in materia di trasferimento di capitali. I rischi

qui indicati possono determinare una condizione di vulnerabilità

dell’impresa che è legata ai seguenti fattori:

- qualità dei rapporti che il paese di origine intrattiene con quello ospite;

- tipo di prodotto offerto e/o la tecnologia di cui l’impresa dispone;

- dimensioni aziendali, nel senso che di solito la percezione

“minacciosa” associata all’impresa è tanto più elevata quanto maggiori

sono le sue dimensioni;

- visibilità aziendale, nel senso che la vulnerabilità dell’impresa aumenta

al crescere della visibilità. Del pari, la forza contrattuale del governo

ospite sta nell’importanza del proprio mercato, nel grado di controllo di

accesso al mercato, nella disponibilità di fattori produttivi a basso costo.

Tra le varie problematiche che i processi di sviluppo internazionale

presentano possiamo considerare la più elevata complessità

dell’ambiente internazionale, specie in riferimento alla varietà degli

ambienti socio – culturali e, quindi, la compresenza di differenti

modelli di comportamento di consumo e di differenti modalità di

risposta alle scelte dell’impresa.

Un’altra problematica può riguardare l’esistenza di politiche,

atteggiamenti comportamenti delle autorità nazionali nei confronti delle

imprese estere che possono restringere le modalità di ingresso, oppure

innalzare il grado di rischio dell’investimento minacciando azioni ostili o

adottando misure di protezione a favore delle imprese locali.

Ancora risulta problematico il fatto che le decisioni di investimento e i

programmi di allocazione delle risorse siano resi più complessi, e i loro

esiti meno prevedibili, a causa delle diverse velocità che caratterizzano i

processi di crescita delle economie dei singoli paesi.

Infine altro aspetto problematico è la contemporanea presenza, per un

medesimo business, di diversi livelli di tensione competitiva; a livello

50

Page 51: Tesi

internazionale, infatti, l’impresa è chiamata a confrontarsi sia con

imprese locali che con imprese internazionali44.

I settori internazionali differiscono da quelli nazionali nelle fonti del

vantaggio competitivo. Il ruolo svolto dalla disponibilità di risorse a

livello nazionale nella competitività internazionale è oggetto della

teoria del vantaggio comparato; tale espressione si riferisce all’efficienza

relativa nella produzione di beni diversi. Tradizionalmente la teoria ha

posto l’accento sul ruolo svolto dalle risorse naturali, dalla manodopera e

dalla disponibilità di capitali nel determinare il vantaggio.

Tuttavia le ricerche empiriche sottolineano la rilevanza delle risorse

“sviluppate internamente”, tra le quali spicca per importanza la

conoscenza e le risorse necessarie a commercializzare la conoscenza45.

Per comprendere come le condizioni nazionali delle risorse influiscano

sulle strategie di internazionalizzazione, dobbiamo esaminare due tipi di

decisione strategica: le decisioni relative alla localizzazione della

produzione e quelle relative alle modalità di entrata in un mercato

straniero. Una delle più forti motivazioni in favore di una strategia

multinazionale è la possibilità di accedere a risorse disponibili in altri

paesi.

Le decisioni circa la localizzazione della produzione devono tenere conto

di vari fattori: a) la disponibilità delle risorse: le imprese dovrebbero

localizzare l’attività dove le condiziono sono più favorevoli; b)

specificità del vantaggio competitivo; c) la trasferibilità dei beni: la

possibilità di localizzare la produzione lontano dal mercato di

destinazione dipende dalla trasferibilità del prodotto, infatti, alti costi di

trasporto, forti preferenze nazionali dei consumatori e la presenza di

barriere allo scambio favoriscono la produzione locale.

Le decisioni di localizzazione devono tenere conto del fatto che l’offerta

di un qualunque bene o servizio è composta da una catena verticale di

attività, le cui caratteristiche variano notevolmente. Di conseguenza, è

44 ? Valdani E. – Bertoli G., op. cit. pag. 97 – 100.45 ? Grant R. M., op. cit., pag. 462 – 463.

51

Page 52: Tesi

possibile che paesi diversi offrano vantaggi differenti in ciascuno stadio

della catena del valore.

In linea di principio, un’impresa può identificare le risorse necessarie in

ciascuna fase della catena del valore e quindi determinare quali paesi

offrono tali risorse al costo più basso. Per esempio Nike ha localizzato

design e R&S negli Stati Uniti, produzione di tessuti, gomma e

componenti di plastica per calzature in Corea, Taiwan e Cina, e

assemblaggio in India, Cina, Filippine e Indonesia46.

In ogni caso, i benefici ottenibili da una delocalizzazione all’estero delle

varie fasi della catena del valore devono essere confrontati con i

maggiori costi legati al coordinamento di attività disperse a livello

globale. Bisogna anche considerare i costi di trasporto e di magazzino.

Per esempio, per un’impresa che punti alla rapidità delle consegne

sarà costretta a rinunciare ai vantaggi di costo legati alla catena del

valore de localizzata a livello internazionale e dovrà sviluppare le varie

operazioni di produzione e tutto il resto attraverso un sistema integrato

basato anche sulla prossimità geografica e con un rapido accesso al

mercato finale.

Molti studiosi hanno cercato di elaborare set di indicatori specifici con

l’intento di evidenziare ed analizzare il grado di rischio presente in un

paese. Ci sono sistemi qualitativi i quali non hanno formule pre-

costituite, ma si basano su valutazioni soggettive e di conseguenza c’è

una certa difficoltà nell’effettuare le comparazioni tra paesi. I sistemi

quantitativi a lista di controllo (check – list) tendono a identificare

singoli fattori politici, sociali ed economici ritenuti capaci di esercitare

una significativa influenza sul rischio paese.

A ciascuno di tali fattori viene associato uno o più indicatori, a cui far

corrispondere una misurazione quantitativa e una ponderazione; ciò

rende possibile l’attribuzione di punteggi parziali per ciascun settore

dell’analisi, per giungere a un punteggio totale.

46 ? Grant R. M., op. cit., pag.468 – 469.

52

Page 53: Tesi

Altri sistemi quantitativi, quali i modelli econometrici, sono costruiti e

utilizzati per la loro capacità di segnalare con sufficiente anticipo il

potenziale insorgere di difficoltà debitorie.

Qualunque sia la metodologia applicata, essa deve basarsi su un

completo set di informazioni quanto più attendibile possibile. In

definitiva , le metodologie qualitative possono andare bene se l’obiettivo

è una valutazione di tipo politico o amministrativo; l’analisi quantitativa

è consigliabile quale supporto di decisioni aziendali.

53

Page 54: Tesi

CAPITOLO 2 - Le imprese agroalimentari italiane e lo scenario

internazionale

2.1 IDE e commercio internazionale nel settore agricolo

La nuova situazione internazionale richiede alle imprese la presenza sui

mercati esteri, sia con investimenti diretti esteri sia attraverso flussi di

esportazione orientati verso i mercati più profittevoli. Pertanto

l’operazione di esportazione è sempre più spesso affiancata e/o sostituita

da ulteriori alternative strategiche di internazionalizzazione. Emergono

così nuove necessità: dalla costituzione all’estero di nuove filiali

commerciali all’investimento in impianti fuori i confini nazionali.

L’ampliamento dell’area d’influenza della competizione internazionale

si estende ben oltre le semplici operazioni di scambio commerciale

comprendendo, con diversa intensità, anche altre funzioni aziendali

(importazione delle materie prime, delocalizzazione dei processi

produttivi, joint venture, ecc). E’ inoltre necessario sottolineare come la

scelta relativa all’internazionalizzazione assuma sempre più chiaramente

i connotati di una strada obbligata per le imprese e non dunque quelli di

una pura iniziativa discrezionale.

I processi di internazionalizzazione affrontati dalle imprese sono anche

influenzati dai notevoli cambiamenti degli stili di consumo dei

consumatori. Anche nel settore alimentare si evidenzia una maggiore

segmentazione e articolazione del target dei consumatori i quali

ricercano prodotti sempre più specifici, di alta qualità e provenienti da

particolari zone geografiche.

Questa tendenza è accompagnata dalla presenza di un altro fenomeno

strettamente connesso: la globalizzazione dei gusti e delle preferenze. In

questo nuovo contesto i prodotti alimentari e in particolare quelli agro -

alimentari hanno acquisito un’importanza crescente, soprattutto in

termini di servizi incorporati attraverso il processo di trasformazione

54

Page 55: Tesi

delle materie prime agricole e della dimensione “immateriale” del

prodotto finito, ovvero l’insieme di informazioni, conoscenze, abilità e

valori in esso contenuti. Quest’ultimo aspetto è particolarmente evidente

nei prodotti agro – alimentari tipici che assommano appunto una serie

di attributi non solo di tipo materiale (specificità delle materie prime,

attributi del prodotto), ma anche immateriale ( patrimonio di conoscenze

relative al processo produttivo e alle sue modalità, know – how

specifico delle risorse umane impegnate nella produzione, legame con il

territorio e/o con la tradizione di un dato luogo, capitale reputazionale

del prodotto e/o della sua origine geografica).

Vanno inoltre prese in considerazione le profonde trasformazioni che

interessano la struttura dell’agricoltura e dell’industria di trasformazione

dovute all’avvento di nuove tecnologie di produzione e di gestione

dell’informazione, della comunicazione e dei trasporti che agevolano in

maniera sostanziale rapporti internazionali.

Emerge anche la tendenza a favorire una diversa localizzazione

territoriale delle varie ed eterogenee funzioni che l’azienda è chiamata a

svolgere, richiedendo una particolare attenzione alla modalità di

combinazione di queste in modo da consentire una gestione armonica e

coordinata dell’intera struttura dell’impresa, soprattutto se la de-

localizzazione è di portata internazionale.

Le aziende dunque si trovano di fronte ad uno scenario sempre più

complesso che sono chiamate ad affrontare effettuando una scelta tra

diverse alternative strategiche che variano in base ad un complesso di

fattori di diversa natura, a partire da quelli di tipo strutturali fino ad altri

specifici del singolo caso aziendale.

In linea generale alle aziende impegnate nei processi di

internazionalizzazione è richiesto di:

- scegliere se immettere un prodotto standardizzato oppure differenziato

a seconda dei vari paesi target delle imprese (oppure un prodotto

intermedio tra questi);

55

Page 56: Tesi

- ricercare quali funzioni localizzare nel paese d’origine e quali

disperdere tra i paesi dove l’impresa è presente o intende essere presente;

- valutare per quali funzioni esiste l’opportunità di operare in

collaborazione con partner locali;

- valutare le alternative di crescita interna oppure esterna, ossia scegliere

tra costituire ex novo oppure acquisire la nuova unità produttiva

all’estero;

- decidere lo spazio di autonomia gestionale dell’ unità all’estero ( una

maggiore autonomia dell’unità deve essere valutata alla luce delle

necessità di coordinamento dell’intera struttura internazionale).

La nuova situazione internazionale comporta altresì la necessità per le

aziende di dotarsi di una funzione di esportazione più complessa47.

La dimensione strategica va valutata anche per le operazioni di vendita

all’estero: bisogna scegliere tra diverse strategie a seconda della natura

del prodotto, dei costi di produzione e di commercializzazione,

dell’intensità della concorrenza nel paese estero, dei gusti e delle

consuetudini dei consumatori, oltre a valutare opportunamente la

struttura dei canali di uscita del prodotto e della distribuzione alimentare

nel paese target.

Nel caso dei prodotti agroalimentari, il fulcro delle modalità di

internazionalizzazione è costituito dalla funzione commerciale. Ciò

deriva in particolare dalla natura e dalle caratteristiche stesse dei prodotti

(in particolare se con denominazione di origine tipica o protetta): ovvero

si tratta di produzioni strettamente legate al territorio di origine

(provenienza delle materie prime utilizzabili, luogo in cui avvengono le

successive fasi di lavorazione e trasformazione), le cui caratteristiche

sono codificate nell’ambito del disciplinare di produzione, uno dei

documenti fondamentali per il riconoscimento della denominazione.

47 ? www.innovazione.arsia.toscana.it

56

Page 57: Tesi

A monte del processo di organizzazione della funzione di esportazione,

le imprese decidono se intraprendere un progetto di vendita sui mercati

internazionali sulla base di una richiesta di fornitura proveniente da un

cliente estero, cogliendo in sostanza un’opportunità di vendita, oppure a

seguito di preordinate strategie di sviluppo delle vendite sui mercati

esteri.

Nel primo caso la scelta di sfruttare un’opportunità di vendita emersa

senza alcun intervento da parte dell’azienda produttiva non prevede

generalmente l’assunzione di particolari rischi finanziari e la necessaria

programmazione di investimenti futuri in quanto l’alternativa di vendere

il proprio prodotto all’estero non ha un impatto diretto sulla strategia

globale dell’azienda.

Nel caso in cui, invece, l’azienda persegua un obiettivo di crescita e di

sviluppo sui mercati internazionali, allora sarà realizzata una strategia

per l’export a partire dalla scelta del Paese di destinazione attraverso

studi di mercato, seguita dalla definizione del tipo di clientela target,

delle modalità con cui sviluppare i contatti con i clienti, del prodotto da

collocare, del suo sistema distributivo e del suo prezzo di vendita, oltre

che dalla determinazione del piano finanziario delle risorse da investire

nel progetto.

A prescindere dalla motivazione che spinge un’azienda ad essere

presente sui mercati internazionali, la funzione di esportazione comporta

una serie di attività in parte comuni ad entrambi gli scenari appena

descritti e necessarie per il raggiungimento dell’obiettivo di vendita.

Agli estremi di tale processo incontriamo da un lato l’azione di raccolta

delle informazioni necessarie per esportare in relazione al Paese da

servire, dall’altro invece le azioni per la riscossione del credito derivante

dall’operazione di vendita. Tra questi due estremi si collocano una serie

di interventi che possono variare a seconda delle decisioni che l’impresa

di produzione è chiamata a prendere. Ogni passaggio successivo alla

decisione di attivare il processo di esportazione verrà caratterizzato

57

Page 58: Tesi

a seconda delle decisioni dell’unità di produzione, nonché dalle

condizioni del mercato di destinazione e della tipologia di prodotto da

esportare.

Generalmente il passo successivo prevede la definizione di

un’organizzazione relativa alla funzione di esportazione che può

coinvolgere personale interno oppure esterno all’impresa.

L’azienda è poi chiamata a scegliere una o più modalità perseguibili per

realizzare le strategie di esportazione o per cogliere opportunità di

vendita all’estero. Qui di seguito descriviamo brevemente le strutture e i

metodi principali che si possono adottare per esportare:

1. Grossisti e commissari esportatori: rappresenta una tra le più note

modalità di esportazione particolarmente adottata dalle imprese di

piccola – media dimensione che si affidano a degli intermediari per

esportare il proprio prodotto.

Se da un lato questa modalità richiede minimi impegni per le unità di

produzione (soprattutto dal punto di vista finanziario) dall’altro

comporta un’attenta selezione degli intermediari, in modo da ridurre i

rischi connessi a questa modalità distributiva (affidabilità degli operatori

e loro presenza nell’ambito dei circuiti distributivi del Paese di

destinazione).

2. Importatori stranieri: è un tipo di strategia simile a quella

precedente, con la differenza che in questo caso la scelta di operare con

un intermediario estero comporta il vantaggio per l’azienda di

produzione di affidarsi a un operatore in grado di conoscere meglio il

mercato di destinazione, da confrontare con le difficoltà che possono

scaturire dalla distanza geografica e dalle barriere linguistiche,

specialmente nel caso di piccole aziende produttive che incontrano

difficoltà nell’attivare rapporti commerciali con l’estero (conoscenza

delle lingue e dell’uso del computer).

58

Page 59: Tesi

Questa modalità è frequentemente adottata dalle piccole-medie imprese

oppure da quelle che intendono conoscere a fondo un mercato prima di

effettuare investimenti diretti.

3. Accordi commerciali con catene distributive estere per la fornitura di

private label: in questo caso la vendita del prodotto in un paese estero

avviene sotto il contrassegno di marche di operatori commerciali del

paese target, in particolare quelli della GDO, note con il nome di private

label .

Tra gli aspetti positivi questa strategia consente di raggiungere risultati

rapidi in base alla capillarità della catena distributiva e alla sua

importanza in termini di riferimento per il consumatore finale, non

comportando per i produttori la necessità di stanziare investimenti per

infrastrutture di vendita o per attivare e sostenere determinate politiche

di promozione del prodotto e/o del marchio.

Allo stesso tempo questa modalità comporta però una sostanziale

riduzione del potere contrattuale dell’impresa produttrice, spesso

costretta a sottostare ai criteri imposti dalle grandi aziende di

distribuzione, aumentando il rischio di incorrere in una bassa

remunerazione del prodotto oppure in una rapida esclusione dal mercato

in caso di mancato rinnovo del contratto da parte dell’acquirente

straniero.

4. Consorzi per le esportazioni tra imprese: è una strategia che prevede

l’istituzione di un organismo consortile specializzato per la promozione,

realizzazione e gestione delle operazioni di esportazione dei prodotti

realizzati dalle aziende consorziate. La creazione di appositi organismi

risulta utile in particolare per le piccole e medie imprese, ossia quelle

unità di produzione che spesso non possono affacciarsi sui mercati

internazionali a causa dei limiti di tipo dimensionale. Il Consorzio per

le esportazioni si occupa di raccogliere e fornire informazioni sui mercati

59

Page 60: Tesi

esteri e di effettuare un’ attività di ricerca di importatori. Tramite questa

strategia difficilmente si riescono a realizzare e perseguire politiche di

marketing aggressive. In linea generale l’area d’azione di questi

Consorzi è piuttosto ridotta a causa del limitato impiego di capitale e per

la mancanza di controllo dei principali elementi del marketing mix da

parte delle imprese aderenti.

5. Società di commercializzazione all’estero: questa modalità di

commercializzazione all’estero comporta la costituzione di una società

da parte di diverse imprese produttrici, oppure tra le aziende di

produzione e gli importatori al fine di curare la commercializzazione dei

prodotti in uno o più mercati geografici.

Oltre a un forte impegno organizzativo e finanziario, tale strategia

richiede la presenza di collaboratori di alto livello professionale

relativamente alla conoscenza del mercato e alla gestione

amministrativa, finanziaria e commerciale, insieme alla capacità di

sostenere gli oneri connessi.

Visto il livello di competitività su scala internazionale, ci si potrebbe

chiedere quale sia il ruolo che le imprese multinazionali rivestono nei

diversi mercati agroalimentari. Un’opinione diffusa le ritiene

responsabili di distorsioni nei mercati agroalimentari: l’imponente

struttura transnazionale consentirebbe frequenti comportamenti

oligopolistici, di fronte ai quali produttori agricoli, imprese nazionali e

gli stessi governi non avrebbero sufficiente potere contrattuale.

Nei mercati agricoli le imprese multinazionali sono innanzitutto degli

importanti traders internazionali che svolgono il ruolo di intermediari tra

paesi esportatori e paesi importatori. In molti casi, esse hanno anche

intrapreso processi di integrazione verticale: prima hanno acquistato le

strutture necessarie per il commercio internazionale (sistemi di trasporto

marittimo e fluviale, impianti di stoccaggio e di conservazione della

merce) poi si sono ramificate nei settori finanziario e bancario, per

60

Page 61: Tesi

garantirsi l’approvvigionamento del capitale di anticipazione necessario

a finanziare le operazioni di trading; infine, hanno esteso le loro attività a

valle nei settori della trasformazione delle commodities e, in alcuni casi,

anche a monte nella produzione agricola e dei mezzi tecnici48.

Nel settore agricolo, sebbene in termini assoluti poco interessato

dall’ondata di IDE che ha investito gli altri settori, prevalgono flussi in

una sola direzione, provenienti soprattutto dai paesi avanzati e destinati

ai paesi non – OCSE e ad alcuni paesi avanzati.

In agricoltura assumono particolare importanza le varie dotazioni

naturali dei paesi: una parte consistente degli investimenti delle

multinazionali si è indirizzata verso alcuni paesi in via di sviluppo,

perché caratterizzati da un ambiente pedo – climatico più favorevole ad

alcune produzioni e da una maggiore disponibilità di terra. Il problema di

questo settore è che certe risorse tipiche del mercato di origine non sono

facilmente, se non addirittura per nulla trasferibili o replicabili in mercati

stranieri.

In alcune circostanze, le imprese multinazionali hanno effettuato IDE

anche nella produzione agricola. Questo è il caso di numerosi beni

tropicali, come le banane, il cacao, il caffè, lo zucchero e il cotone,

produzioni nelle quali le multinazionali dei paesi sviluppati hanno

acquistato piantagioni nelle ex - colonie, allo scopo di riesportare i

prodotti nei mercati di origine; ancora oggi controllano segmenti

consistenti dell’economia agricola dei paesi in via di sviluppo, gestendo

parte delle esportazioni agricole che spesso costituiscono le principali

voci attive della bilancia commerciale. Viceversa, nell’emisfero boreale

gli IDE in agricoltura sono meno diffusi49.

Le imprese multinazionali sono presenti nei diversi stadi finali della

filiera agroalimentare, dall’industria alimentare, al settore distributivo,

fino alla ristorazione. L’industria alimentare si caratterizza per un livello

48 ? Scoppola M., (2000), “Le multinazionali agroalimentari”, Carocci Editore, Roma, pag. 61- 6249 ? Scoppola M., op. cit., pag. 63.

61

Page 62: Tesi

di “multinazionalizzazione” delle imprese generalmente elevato. In

questo settore la crescita degli IDE è iniziata nel dopoguerra e proseguita

fino ai giorni nostri ad un ritmo sostenuto, concentrandosi soprattutto

nei paesi avanzati. Per esempio le imprese alimentari statunitensi

hanno inizialmente intrapreso processi di integrazione orizzontale “in

senso stretto”, stabilendo nuove filiali all’estero che producevano lo

stesso bene prodotto negli Stati Uniti e privilegiando, tra le varie

destinazioni, i mercati europei.

Successivamente sono cresciute le multinazionali europee e giapponesi

che hanno localizzato una parte consistente delle proprie filiali nel

mercato statunitense. Nel corso degli anni Ottanta e Novanta le

multinazionali hanno consolidato la loro presenza nell’industria

alimentare occupando posizioni di leadership in diversi mercati50.

Infine, in alcuni casi le ragioni degli IDE devono essere ricercate

nell’evoluzione dei rapporti tra l’industria alimentare e la distribuzione,

tra le quali è recentemente emersa una forma di competizione verticale:

la crescente concentrazione nell’industria alimentare ha infatti generato

un indebolimento del potere contrattuale dei settori a valle. Anche gli

IDE sono frutto della competizione verticale: a seguito dei diffusi

fenomeni di internazionalizzazione delle imprese alimentari le imprese

del settore distributivo hanno espanso la loro attività all’estero allo scopo

di aumentare il proprio potere contrattuale.

La distribuzione geografica di IDE in agricoltura si distingue da quella

che prevale nell’industria alimentare, denotando il diverso operare in

termini di localizzazione nei due settori. Nel settore agricolo, anche i

flussi di IDE tra paesi sviluppati sono determinati dalla diversa dotazione

delle risorse, per esempio Stati Uniti e Australia che presentano vantaggi

naturali per la produzione agricola costituiscono le principali

destinazioni delle principali multinazionali alimentari51.

50 ? Scoppola M., op. cit., pag. 63- 65.51 ? Scoppola M., op. cit., pag. 166.

62

Page 63: Tesi

Dunque la disuguaglianza nella dotazione delle risorse rappresenta un

importante fattore di localizzazione degli IDE in agricoltura, anche se

tendenzialmente le imprese hanno preferito investire nei mercati

relativamente più vicini sotto il profilo sia della distanza geografica che

di quella linguistico – culturale per ridurre i costi di insediamento

all’estero. Non è un caso, infatti, che le imprese europee abbiano

preferito stabilire le proprie filiali nelle ex – colonie.

Tra l’altro, anche i governi dei paesi ospiti hanno inciso sulla

localizzazione degli IDE agricoli, adottando spesso delle politiche non

neutrali nei confronti delle multinazionali. Alcune variabili che in altri

settori sono ritenute importanti fattori di localizzazione degli IDE in

agricoltura, invece, non hanno avuto un’influenza di rilievo.

Trascurabile è, ad esempio, l’incidenza di eventuali barriere tariffarie

alle importazioni di prodotti agricoli nei paesi ospiti: infatti, nella

maggioranza dei casi le imprese multinazionali hanno stabilito aziende

agricole con lo scopo di riesportare il prodotto su altri mercati piuttosto

che per rifornire il mercato locale per aggirare i condizionamenti

derivanti da eventuali barriere52.

Gli IDE nel settore agricolo sono investimenti che creano commercio;

sono stati determinati in molti casi non tanto dalla necessità di superare

le distorsioni dei mercati esteri, quanto piuttosto dalle differenti

dotazioni fattoriali nei vari paesi, infatti la localizzazione delle filiali

estere è orientata dalle risorse naturali.

A differenza degli IDE del settore agricolo, quelli che si sviluppano a

livello di industria alimentare sono caratterizzati da flussi incrociati tra

paesi sviluppati, ovvero IDE intra – settoriali e tra paesi simili ( America

del Nord, Europa, Giappone). In questo caso non c’è un’influenza delle

dotazioni fattoriali ma delle caratteristiche del mercato estero e si

configurano quindi come investimenti “market oriented”, per cui la

localizzazione geografica è scelta sulla base della dimensione del

52 ? Scoppola M., op. cit., pag. 168.

63

Page 64: Tesi

mercato estero, sulla base della domanda e della prossimità al mercato di

consumo. In questo caso le barriere commerciali sono rilevanti e

influiscono sulle scelte di localizzazione degli IDE dell’industria

alimentare. Le multinazionali hanno spesso trasferito gli impianti di

produzione proprio in quei mercati protetti da barriere commerciali sia

per conservare nel paese estero le precedenti quote di mercato (che

sarebbero spiazzate dal dazio), sia perché hanno usufruito di un prezzo

locale artificialmente elevato e della protezione dalla concorrenza

internazionale.

Infine, da alcuni studi empirici si è riscontrata una correlazione positiva

tra i tassi di cambio e IDE, vale a dire, in periodi di deprezzamento

(apprezzamento) della valuta del paese ospite sarebbero aumentati

(diminuiti) i flussi di IDE in entrata. Nel breve periodo gli IDE sono

correlati con le variazioni del tasso di cambio solo se le imprese adottano

assetti intermedi tra quello multi - domestic e globale, mentre in caso

contrario le fluttuazioni dei cambi non inciderebbero sui profitti53.

Quindi gli IDE delle imprese alimentari seguono il principio della

prossimità – concentrazione e pertanto essi si configurano come sostituti

del commercio poiché la produzione estera spiazzerebbe del tutto le

precedenti esportazioni e i prodotti di consumo finale sono venduti

prevalentemente sul mercato locale. Tuttavia, giungere a delle

conclusioni definitive non è possibile dal momento che esistono ipotesi

discordanti circa i rapporti tra IDE e commercio estero.

Il tema della sostituibilità tra IDE e commercio è molto dibattuto e

controverso poiché accanto alle ipotesi del rapporto di sostituibilità se ne

affiancano altre che fanno leva su una complementarità, infatti

Malanoski per esempio ha individuato una correlazione positiva per gli

IDE destinati ai paesi non – OCSE e per le imprese caratterizzate da una

elevata differenziazione di prodotto, mentre Overend solo per alcune

tipologie di imprese.

53 ? Scoppola M., op. cit., pag. 170 – 171.

64

Page 65: Tesi

Nel processo di crescita degli IDE ha rivestito una particolare

importanza il ruolo delle barriere commerciali. Iniziamo ad analizzare gli

effetti dei dazi in presenza di imprese multinazionali. L’imposizione di

un dazio nei flussi commerciali verso l’estero fa scattare la

convenienza a produrre direttamente nel paese protezionista, questo

meccanismo è chiamato “tariff jumping” in quanto l’impresa salta il

dazio producendo direttamente all’estero. In questo modo gli IDE

diventano sostituti del commercio internazionale per cui le precedenti

esportazioni vengono sostituite con la produzione diretta all’estero.

A parità di dazio, la convenienza dell’impresa a esportare, produrre

localmente, o combinare le due strategie di vendita del prodotto sul

mercato estero, dipende dalla differenza tra i costi marginali nel paese

estero e quelli nel mercato di origine: quanto maggiore è tale differenza,

tanto minore sarà la convenienza per l’impresa a spostare la produzione

all’estero54.

Tuttavia non è detto che l’imposizione di un dazio sia uno

strumento sempre valido per favorire lo sviluppo di IDE, ciò dipende

anche dalla struttura del settore in cui le imprese operano, dalla presenza

di concorrenti locali che possono avere vantaggi di costo non irrilevanti

rispetto all’impresa estera.

I negoziati internazionali per la liberalizzazione commerciale, avviatisi a

partire dall’ultimo dopoguerra, hanno subito negli anni più recenti una

notevole accelerazione, con la diffusione di accordi di varia natura: dagli

accordi multilaterali come il GATT, a quelli preferenziali, alla

proliferazione delle aree di libero scambio e delle unioni doganali.

La rimozione dei dazi di per sé genera un incremento degli scambi

commerciali e, qualora il dazio protegga dei monopoli interni, la

liberalizzazione può portare ad un aumento della concorrenza sul

mercato.

54 ? Scoppola M., op. cit., pag. 198.

65

Page 66: Tesi

Inoltre, la liberalizzazione può condurre allo sfruttamento delle piene

economie di scala, in quanto favorisce la concentrazione della

produzione nelle zone in cui i costi sono più bassi.

Tuttavia l’eliminazione del dazio non è detto che comporti un aumento

della concorrenza poiché crescerebbero le importazioni ma diminuirebbe

la produzione interna.

Bisogna considerare che se un impresa nazionale detiene il monopolio

nel paese protezionista, la rimozione del dazio comporta un aumento

della concorrenza perché entrano nuovi rivali attraverso le importazioni;

qualora il monopolista sia la filiale di una multinazionale, invece, la

liberalizzazione non comporta alcuna riduzione del potere di mercato55.

La creazione di unioni doganali, come nel caso dell’Unione Europea, ha

determinato un ampliamento delle dimensioni dei mercati, all’interno dei

quali non ci sono barriere agli scambi, diminuiscono i costi di trasporto e

di transazione per le imprese che vi operano. In ogni caso, in tale

mercato allargato, le imprese possono sfruttare le economie di scala

concentrando gli impianti in un unico paese riducendo i costi di

produzione. Come conseguenza, le imprese internazionali esterne

all’Unione vi investirebbero non tanto per difendere le loro quote di

mercato, quanto per mantenere un adeguato livello di competitività nei

confronti delle imprese interne all’Unione.

2.2 L’ internazionalizzazione del sistema agroalimentare italiano

Le imprese del comparto agroalimentare italiano sono caratterizzate da

una forte polverizzazione e difficilmente tendono alla cooperazione, ciò

pone delle difficoltà sia di relazioni con il settore a valle sia in termini di

capacità competitiva dei prodotti italiani sullo scenario internazionale. In

particolare, la GDO ha necessità di prodotti agricoli di qualità, ma anche

quantitativamente adeguati alle proprie esigenze di continuità dei flussi

di vendita.

55 ? Scoppola M., op. cit., pag. 218 – 220.

66

Page 67: Tesi

Le aziende italiane, pur stando nel gruppo di testa sulla scena mondiale,

hanno difficoltà competitive rispetto ad altri operatori internazionali e

soffrono di costi legati alle economie di scala e ciò si traduce in costi più

elevati e difficoltà di capacità di risposta alle sollecitazioni del mercato.

Questa ridotta capacità aziendale è avvertita con maggiore

problematicità in considerazione delle difficoltà infrastrutturali in molte

parti del paese. Nella tabella 1 sono indicati i risultati dell’analisi SWOT

condotta dall’INEA.

- TABELLA 1. Analisi SWOT del settore agroalimentare italiano.

Fonte: INEA (2008)

67

Page 68: Tesi

L’Italia è un paese strutturalmente deficitario negli scambi

agroalimentari: il comparto, infatti, rappresenta una delle principali voci

passive della nostra bilancia commerciale con l’estero, seconda solo a

quella dell’energia.

Negli ultimi due decenni, tuttavia, si è assistito ad un tendenziale

miglioramento del saldo agroalimentare, trainato soprattutto dal

cosiddetto made in Italy, ovvero da quella parte delle esportazioni di

prodotti agroalimentari trasformati, a saldo commerciale stabilmente

positivo, che richiamano all’estero la dieta alimentare italiana e che

hanno visto crescere le quote di mercato sia nei confronti dei partner

tradizionali dell’Italia (Unione Europea, USA) che nei mercati più

giovani (Giappone, Australia, Sud Est asiatico).

Il nostro paese si colloca sul mercato internazionale di prodotti

agroalimentari come forte importatore di materie prime agricole,

mentre invece il deficit è molto più contenuto se si guarda alla sola

industria alimentare. In particolare, l’Italia si approvvigiona in gran parte

dall’estero per quei prodotti, prevalentemente agricoli, ma anche della

prima trasformazione, che vengono reimpiegati come materie prime

per l’industria alimentare, mentre il paese è meno dipendente dai mercati

internazionali per quanto riguarda i prodotti destinati al consumo

alimentare diretto.

Il commercio internazionale dell’Italia negli ultimi anni è

progressivamente cresciuto fino a superare i 700 miliardi di euro nel

2008. Il saldo della bilancia commerciale è passato da una condizione

positiva ad una posizione debitoria di oltre 4 miliardi. Questo trend

negativo è causato principalmente dalla crescita rilevante delle

importazioni che, dal 1995 al 2008, sono più che raddoppiate passando

da 173 ad oltre 362 miliardi di euro.

Le esportazioni, pur aumentando nel suddetto periodo, sono cresciute

meno delle importazioni. Il saldo commerciale del comparto

68

Page 69: Tesi

agroalimentare è quindi migliorato passando da –9,4 miliardi di euro a -

6,7 miliardi56.

Anche il sistema agroalimentare nazionale nel corso degli ultimi decenni

ha visto crescere l’importanza degli scambi commerciali e quindi del suo

grado di apertura verso i principali paesi europei ed extraeuropei.

L’apertura dell’Italia verso il resto del mondo si è concretizzata con un

forte aumento degli scambi commerciali dei prodotti agricoli ed

alimentari che nel 2008, registrano un valore complessivo(agricoltura

ed industria alimentare) superiore ai 32 miliardi per le importazioni e

attorno a 25 miliardi per le esportazioni.

- Grafico 1.Gli scambi agroalimentari dell’Italia (Var. % sul corrispondente

trim. anno precedente)

Fonte: INEA (2010), “Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”

56 ? www.bologna.confcooperative.it

69

Page 70: Tesi

La situazione per le esportazioni agroalimentari italiane, illustrata nel

Grafico 2 riportato in basso, indica come nei primi tre mesi del 2010

sono aumentate le vendite all’estero verso quasi tutte le aree.

Come per le importazioni, un ruolo centrale è svolto dai partner europei,

ma in questo caso sono tutte le principali aree di destinazione a mostrare

(nel primo trimestre 2010) un’inversione di tendenza rispetto

all’andamento fortemente negativo registrato nello stesso periodo

dell’anno precedente e, più in generale, in tutto il 2009.

Il trend positivo per le esportazioni trova conferma nell’analisi dei

singoli paesi: dei dieci principali clienti, ai quali viene destinato oltre il

70% delle esportazioni agroalimentari italiane, solo per la Svizzera non

si riscontrano variazioni, con le componenti quantità (+6,7) e prezzo

(-6,4%) che si compensano; in tutti gli altri casi, nonostante la riduzione

dei prezzi, si riscontrano incrementi, in valore, compresi tra il 3,4 %

(Grecia) e il 18,8% (Austria)57.

- Grafico 2. Destinazione delle esportazioni agroalimentari italiane (Var. % I Trimestre). La dimensione delle sfere rappresenta il peso delle esportazioni AA destinate ad una determinata area rispetto alle esportazioni AA complessive dell’Italia, in riferimento ai primi 3 mesi del 2010.

Fonte: Istat (2010), “Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”

57 ? INEA (2010),“Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”, Roma, pag 45.

70

Page 71: Tesi

Le imprese globali che sono conosciute in Italia per avere un brand e un

approccio globale e che notoriamente affrontano i  mercati internazionale

con lo stesso prodotto o tendenzialmente con  un prodotto uniforme sono

tra le più sensibili al tema della configurazione del coordinamento delle

decisioni. Altro aspetto interessante è che risulta fortemente prioritario

per queste aziende lavorare sulla centralizzazione e sulla socializzazione;

quindi molte di queste imprese credono di poter portare avanti il loro

approccio storico, tipicamente di tipo etnocentrico, in virtù del quale

definire le proprie strategie sulla base del mercato interno per poi

internazionalizzare il sistema, limitandosi a verificare che non esistano

ostacoli. Un approccio di questo tipo viene portato avanti centralizzando

le decisioni e presupponendo un minimo di coordinamento ai fini della

verifica finale della mancata esistenza di vincoli all’implementazione.

Le imprese italiane, specie le multinazionali che sviluppano investimenti

diretti esteri, riescono in qualche modo ad avere approcci globali. La

globalizzazione delle attività di marketing non è quindi impossibile.

Non bisogna, tuttavia, dimenticare che le aziende italiane hanno

sovente successo sulla base di  fattori largamente noti alla letteratura,

ovvero grazie al fatto che i prodotti italiani sono molto differenziati e

peculiari, indipendentemente dal settore a cui ci riferiamo. Lo stile, il

gusto e il design diventano così fattori di differenziazione esclusiva e

quando un’impresa ha prodotti tendenzialmente unici, che non entrano in

collisione diretta con i prodotti della concorrenza, ha normalmente di

fronte segmenti transnazionali.

L'approccio globale è favorito anche dalla riconoscibilità dei prodotti e

dal fatto che  le imprese pongono il loro focus sulle similarità

transnazionali, senza scadere in un approccio globale di massa. La

presenza delle imprese italiane sui mercati esteri evidenzia seri segnali di

difficoltà, resi palesi dalla flessione della quota italiana sulle esportazioni

mondiali, scesa dal 5% dei primi anni Novanta a meno del 3% attuale.

71

Page 72: Tesi

Le imprese italiane non solo hanno perso terreno a vantaggio dei diretti

concorrenti asiatici, ma sono anche in ritardo rispetto alle esportazioni di

alcuni dei tradizionali concorrenti europei (Francia, Germania e Spagna).

Le cause di tali difficoltà di inserimento nel circuito internazionale del

commercio sono molteplici, ma due sono particolarmente rilevanti: la

struttura dimensionale del sistema produttivo italiano e la forte

specializzazione settoriale delle nostre imprese.

Anche sotto il profilo degli IDE il ruolo delle imprese italiane risulta

piuttosto marginale: gli investimenti diretti all’estero infatti costituiscono

solo il 3,5% del totale mondiale, una quota inferiore rispetto a quella

tipica dei concorrenti europei. Risulta anche limitato il ricorso alle nuove

forme di internazionalizzazione come le joint venture o l’instaurazione di

accordi di natura commerciale con operatori esteri. È necessario, per le

imprese italiane, non prescindere da un costante miglioramento della

loro capacità di presidio del mercato internazionale al fine di difendere la

competitività del paese.

L’instabilità della presenza internazionale delle imprese italiane si

associa alla limitata capacità delle stesse di diversificare i mercati di

sbocco e cioè di essere contemporaneamente presenti in più aree. Da

qui la concentrazione delle vendite in pochi mercati, quelli

territorialmente più vicini. Basti pensare che, secondo i dati disponibili,

la quota delle imprese monomercato, benché in tendenziale flessione, è

ancora elevata. E non a caso le imprese monomercato sono anche le più

piccole58.

Le imprese italiane hanno dimostrato eccellenti capacità di adattamento

dei loro prodotti alle esigenze espresse dai mercati locali, con

tempestività e flessibilità non di rado superiori rispetto ad altri

concorrenti internazionali. Di contro, le imprese giapponesi hanno

dimostrato l’efficacia della politica degli “incrementalismi”, ovvero dei

58 ? Valdani E. – Bertoli G., op. cit. pag 111.

72

Page 73: Tesi

costanti miglioramenti apportati alla tecnologia e alla configurazione dei

loro prodotti.

Queste tendenze inducono le imprese agroalimentari a sperimentare

presenze in mercati esteri sia europei che non. Le principali modalità di

ingresso nei flussi commerciali internazionali sono quelle esportative

con eventuali rapporti con grossisti – importatori stranieri che

acquisiscono la merce dai produttori italiani. Infatti la bilancia

commerciale del settore agroalimentare è migliorata dal 2005: si

tratta di una tendenza di segno opposto a quella del commercio estero

complessivo che ha pagato gli effetti dell’apprezzamento dell’euro sul

dollaro e del caro petrolio.

Il buon risultato dell’agroalimentare è da attribuirsi all’aumento delle

esportazioni ed al contemporaneo rallentamento delle importazioni. Tra i

principali paesi esportatori di tali prodotti, l’Italia occupa ancora un

posto di rilievo, con una quota di mercato mondiale consistente,

maggiore di quella di paesi a forte vocazione agroalimentare quali

Canada, Brasile, Cina.

Nell’ambito della U.E. l’Italia ha una quota di circa il 7% dell’export

agroalimentare interno all’area. L’andamento delle ragioni di scambio

negli ultimi anni è stato più favorevole per l’agricoltura per effetto della

crescita accentuata dei prezzi all’export dei prodotti agricoli. Ciò indica

non solo una tendenza positiva ad esportare prodotti di maggiore valore

unitario (quindi maggiore qualità) rispetto a quelli importati; ma grazie

al potere di mercato degli esportatori è stato possibile in questi anni

scaricare sui prezzi esteri la forte crescita dei prezzi all’origine dei

prodotti agricoli.

Osservando il fenomeno della internazionalizzazione, si rileva che

l’industria alimentare italiana è uno dei settori più attivi in termini di

internazionalizzazione e un ruolo fondamentale lo giocano la produzione

e la qualità.

73

Page 74: Tesi

Anche la capacità di innovare è un fattore determinante per il successo

imprenditoriale e permette di creare vantaggi competitivo a livello

settoriale tra i vari paesi poiché favorisce l’aumento della produttività e

migliora le performance di impresa.

Da una valutazione dedotta attraverso l’indicatore sintetico

dell’innovazione, proposto dalla Commissione Europea, l’industria

alimentare italiana è in linea con la capacità innovativa del settore

riscontrata in Europa59.

Sul tema del made in e della valenza competitiva legata al marchio sui

propri prodotti, il marchio di origine è ritenuto un fattore di successo.

Sono soprattutto le aziende di minori dimensioni a considerare il

made in Italy un fattore particolarmente determinante per la propria

strategia di internazionalizzazione, come evidenzia il saldo delle risposte

per le imprese con meno di 50 addetti. Gli investimenti diretti esteri

giocano un ruolo importante nella crescita economica e nello sviluppo

territoriale.

Con il notevole aumento dei flussi IDE nel settore agroalimentare a

livello mondiale l’attenzione si è concentrata sul dibattito relativo alle

determinanti che spingono alla scelta di un territorio piuttosto che un

altro. Non esiste ancora un lavoro definitivo ed univoco sulle

determinanti degli IDE.

Alcune delle più frequenti analisi sui fattori che influenzano gli IDE

includono: l’entità del mercato, il costo del lavoro, i tassi di interesse, le

barriere protezionistiche, tassi di cambio, predisposizione all’export,

struttura del mercato, distanze geografiche, stabilità politica e affinità

culturale.

Nel corso dell’ultimo decennio il valore aggiunto dell’agricoltura

italiana si è ridotto, mostrando un settore in affanno e che va valutato

con preoccupazione. La produttività del lavoro dell’agricoltura è molto

59 ? www.ministeroattivitàproduttive.areainternazionalizzazione.it

74

Page 75: Tesi

più bassa, circa la metà, rispetto a quella dell’economia nel suo

complesso. Tutto ciò può essere attribuito a fattori strutturali, quali le

ridotte dimensioni delle aziende agricole che caratterizzano il territorio

italiano.

La riduzione dei prezzi agricoli all’origine è da ricollegare all’andamento

dell’offerta. Il problema è che i prezzi di vendita dei prodotti agricoli

sono più bassi nella fase di origine, mentre lo stesso non si è verificato

nel resto dell’economia, dove i costi relativi ai mezzi di produzione, ai

prodotti energetici ed ai concimi hanno subito un aumento.

I consumi domestici di prodotti alimentari delle famiglie italiane, hanno

avuto negli ultimi anni un andamento stagnante, poiché si è registrata

una crescita dei prezzi al consumo e un calo dei volumi, infatti la

contrazione delle quantità acquistate ha riguardato tutti i gruppi di

prodotti, con riduzioni notevoli per gli ortaggi, per la frutta fresca e

trasformata. Tra i principali paesi esportatori di prodotti agroalimentari

nel mondo, l’Italia occupa ancora un posto di rilievo, con una quota di

mercato mondiale consistente, maggiore di paesi a forte vocazione

agroalimentare quali Canada, Cina e Brasile.

I primi mesi del 2010 sembrano mostrare segnali di ripresa per gli

scambi con l’estero dell’Italia, sia per la bilancia complessiva che per il

settore agroalimentare, dopo un 2009 caratterizzato dal crollo dei flussi

internazionali di beni come conseguenza della crisi economica mondiale.

Nel 2009, infatti, dopo il trend positivo registrato negli ultimi anni, le

esportazioni si sono ridotte dell’8%, mentre per le importazioni la

contrazione ha raggiunto il 10%. Tali riduzioni significative del settore

agroalimentare sono decisamente più contenute del commercio

complessivo dell’Italia che si riduce, infatti, di oltre venti punti

percentuali, determinando un aumento del peso del settore

agroalimentare che raggiunge l’8,5% delle esportazioni e supera il 10%

delle importazioni totali del Paese60.

60 ? INEA (2010), “Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”, Roma, pag 42.

75

Page 76: Tesi

Nel primo trimestre 2010, per quanto riguarda la bilancia commerciale

complessiva, tornano a crescere sia le importazioni (+14,3%) che le

esportazioni (+9,4%) dopo una contrazione, nello stesso periodo del

2009, vicina al 23% per entrambi i flussi. Anche gli scambi con l’estero

dei prodotti agroalimentari evidenziano, nel primo trimestre, un trend

positivo dopo il calo, nello stesso periodo dell’anno precedente, del

10,6% per i flussi in entrata e del 5,7% per quelli in uscita. Le

importazioni agroalimentari si attestano a 8.036 milioni, con un

incremento dell’8,3%, mentre crescono di oltre dieci punti percentuali le

esportazioni, pari a 6.433 milioni di euro. Ne consegue, per il settore,

una sostanziale stabilità del deficit commerciale, che passa da 1.590

milioni (I trim. 2009) a 1.603 milioni di euro (I trim. 2010), mentre

migliora di un punto percentuale il saldo normalizzato19, che si attesta a

-11,1%. Questi risultati acquistano maggiore rilievo se confrontati con la

performance degli scambi complessivi al netto dell’agroalimentare: in

questo caso, infatti, il saldo commerciale peggiora di quasi 4 miliardi di

euro, attestandosi a -6.798 milioni, mentre il saldo normalizzato (-4,7%)

peggiora di oltre il 2% nel trimestre considerato61.

Grafico3. Principali clienti dell’Italia Grafico 4. Principali fornitori dell’Italia

Fonte: INEA (2010), “Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”.

61 ? INEA (2010), “Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”, Roma, pag. 43 – 45.

76

Page 77: Tesi

Nel complesso, quindi, la performance degli scambi con l’estero dei

prodotti agroalimentari sembra essere positiva: dopo aver mostrato, nel

corso del 2009, una maggiore tenuta in un periodo di congiuntura

fortemente negativa per l’economia mondiale, il settore agroalimentare

italiano, nei primi mesi del 2010, sembra reagire meglio di altri settori,

mostrando maggiori segnali di ripresa negli scambi internazionali.

Analizzando le componenti che hanno determinato questo trend positivo

emerge che sono quasi esclusivamente i volumi scambiati ad essere

cresciuti mentre si assiste ad un netto calo dei prezzi.

Alla crescita degli scambi agroalimentari, registrata all’inizio del 2010,

si associa quindi una preoccupante riduzione dei prezzi delle vendite che,

dopo essersi contratti di cinque punti percentuali nel corso del 2009, si

riducono dell’8,6% nei primi tre mesi del 2010 (rispetto allo stesso

periodo dell’anno precedente)62.

A livello mondiale, secondo il rapporto della FAO63, la caduta dei prezzi

dei cereali e dello zucchero è stato uno dei principali fattori a

determinare il declino dei prezzi registrato nei primi mesi del 2010; in

particolare, il prezzo dello zucchero si è quasi dimezzato, rispetto al

picco raggiunto all'inizio dell'anno, a causa delle prospettive di un

aumento significativo della produzione.

In generale, il calo dei prezzi è in parte attribuibile all’aumento generale

dell’offerta: il boom dei prezzi di alcune produzioni, registrato nel

biennio 2008 - 2009, ha portato ad una ripresa delle scorte ed un

aumento del rapporto stock/utilizzo e secondo la FAO questa tendenza

prevarrà anche nel 2011.

Analizzando la tabella 2 che indica i primi 5 comparti di esportazione

negli scambi agroalimentari dell’Italia, è evidente come, dal lato delle

esportazioni, i principali comparti hanno mostrato un andamento

negativo nel 2009; un’eccezione è rappresentata dagli ortaggi trasformati

62 ? INEA (2010),“ Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”, Roma, pag. 43 – 44.63 ? www.fao.org/newsroom/it.

77

Page 78: Tesi

per i quali le vendite all’estero sono cresciute del 5,5%: in realtà le

quantità vendute di ortaggi trasformati si sono ridotte del 3%, anche se

compensate dal marcato aumento dei prezzi (+8,5%).

Particolarmente rilevante la contrazione delle vendite, in valore, per la

frutta fresca (-20,1%) che, per i principali prodotti, ha subìto il

più pesante calo dei prezzi (-18%).

Per questo ultimo comparto l’analisi trimestrale mostra una ulteriore

contrazione, sebbene molto contenuta, mentre una netta inversione di

tendenza si riscontra per le esportazioni di bevande che, dopo essersi

ridotte del 5,8% nel 2009, tornano a crescere di oltre il 14% nei primi tre

mesi del 2010.

- Tabella 2.Primi 5 comparti di esportazione negli scambi agroalimentari

dell’Italia

Fonte: INEA( 2010), “Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”.

78

Page 79: Tesi

- Tabella 3 . Primi 5 prodotti di esportazione negli scambi agroalimentari dell’Italia

Fonte: INEA (2010), “Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”.

Nel 2009 i prodotti del made in Italy64, nonostante una contrazione

significativa delle esportazioni (-5,9%), sembrano tenere meglio

rispetto agli altri comparti dell’agroalimentare. La maggiore riduzione si

riscontra nel made in Italy “agricolo”, a causa del citato crollo dei

prezzi per la frutta fresca.

Per il made in Italy “trasformato” e “dell’industria alimentare”, invece, il

calo è stato inferiore al 4%. Tra i prodotti maggiormente colpiti dagli

effetti della crisi economica troviamo la pasta (-9,8%) e l’olio d’oliva

(-21,4%), mentre nettamente positivo è il risultato dell’export di

pomodoro trasformato che, grazie all’impennata dei prezzi registrata nel

2009, ha mostrato una crescita in valore pari all’8%.

L’analisi dell’andamento dei vini confezionati, principale voce di

esportazione del made in Italy, permette di rilevare come i vini non

64 ? L’INEA, sulla base dei dati Istat, realizza l’aggrega il Made in Italy in tre componenti: agricolo, trasformato e dell’industria Alimentare.

79

Page 80: Tesi

VQPRD, grazie ad un discreto incremento delle quantità vendute,

abbiano tenuto meglio rispetto ai vini di qualità, per i quali al calo dei

prezzi si è sommata la contrazione dei volumi esportati.

Nel corso dei primi tre mesi del 2010 anche il made in Italy, come

l’agroalimentare nel complesso, mostra una ripresa, in valore, delle

esportazioni (+9,4%); anche per questi prodotti bisogna, però, riscontrare

un calo dei prezzi di vendita (-6,5%) che, sebbene meno marcato rispetto

ad altri settori, potrebbe destare preoccupazioni data la necessità di un

corretto riconoscimento sul mercato, attraverso la componente prezzo,

della maggiore qualità di questi prodotti.

Uno dei principali mercati di sbocco per questi prodotti è rappresentato

dagli Stati uniti, verso i quali le esportazioni agroalimentari italiane sono

cresciute, nel primo trimestre 2010, di oltre otto punti percentuali grazie

anche all’apprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro.

È interessante evidenziare l’andamento, nell’ultimo periodo, dei due

principali prodotti di esportazione verso gli USA, entrambi appartenenti

al made in Italy e con un’incidenza complessiva vicina al 25% sulle

vendite agroalimentari italiane destinate a quest’area: i vini rossi e rosati

di qualità e l’olio di oliva vergine ed extravergine.

Per entrambi i prodotti le vendite, nel corso del 2009, si sono ridotte tra

il 12% e il 15%; mentre nei primi tre mesi del 2010 tale contrazione è

stata in parte recuperata con incrementi tra l’8% e il 6% rispetto allo

stesso periodo dell’anno precedente.

Altro mercato di grande interesse è quello cinese che, sebbene

rappresenti “solo” lo 0,5% delle esportazioni agroalimentari italiane,

risulta in forte sviluppo negli ultimi anni. Nel 2009 la Cina è stata

sostanzialmente l’unico dei principali 30 clienti verso cui siano

aumentate le esportazioni agroalimentari e tale incremento è stato di

oltre 35 punti percentuali65.

65 ?INEA (2010), “ Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”, Roma, pag. 48- 49.

80

Page 81: Tesi

2.3 La politica agricola comunitaria e i suoi pilastri

Un fatturato di circa 73 miliardi di Euro, di cui oltre 14,5 esportati, 460

mila addetti che operano in 70 mila imprese. Questi i dati aggregati del

“made in Italy” agroalimentare al 2010, il terzo in Italia dopo quelli della

meccanica e del tessile- abbigliamento. Ma oltre i dati il patrimonio

enogastronomico italiano è l’essenza stessa della cultura, dello stile di

vita e delle tradizioni del nostro Paese. Oggi il mercato mondiale offre

sfide ed opportunità straordinarie a questo comparto che dovranno

trovare nelle istituzioni interlocutori attenti, reattivi e propositivi.

Il panorama aperto dalle positive risoluzioni del vertice WTO di Doha

sulla salvaguardia dei prodotti di qualità crea le premesse per avviare una

seria politica mondiale di contrasto alla contraffazione ed imitazione dei

prodotti eno - alimentari a denominazione registrata ed allo stesso tempo

offre un eccezionale elemento di identificazione per rendere più efficace

e produttiva la promozione pubblica e le politiche di penetrazione

aziendali.

In questo quadro di maggiore certezza internazionale, il Ministero delle

Attività Produttive, il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e le

Regioni sono concordi nell’operare congiuntamente ed in sintonia per

una promozione e valorizzazione di sistema che, rispettando le

specificità, consenta di unificare ed ottimizzare le immense risorse

promozionali oggi disperse in troppi canali.

La ricchezza del patrimonio agroalimentare italiano, costituito da grandi

imprese e da piccole aziende, da specialità tipiche e da produzioni

industriali, è tale da poter essere promosso con efficacia sui mercati

esteri, a condizione di identificare le priorità da raggiungere, le

strategie di intervento da adottare, i mercati da interessare, i

soggetti da coinvolgere, le risorse da utilizzare.

In questo contesto, è quindi indispensabile uno strumento di confronto

costante e concreto fra le categorie produttive, le istituzioni e tutte le

81

Page 82: Tesi

parti coinvolte, al fine di poter ricondurre ad una visione nazionale

ed unitaria la politica promozionale sui mercati esteri che segua la

linea logica: obiettivi – strategie – strumenti – interventi – risultati. Il

sostegno al settore primario nel nostro Paese si articola su diversi

livelli di competenze e responsabilità, utilizzando strumenti finanziari e

regolativi altamente differenziati tra loro sia in termini di dotazione di

risorse, sia per obiettivi e finalità.

La Politica Agricola Comune (PAC) è la maggiore componente di spesa

dell’Unione Europea, nonché uno dei maggiori driver dell’agricoltura e

dell’economia delle aree rurali europee. La PAC (Politica Agricola

Comune o Comunitaria), fin dal suo inizio si era prefissata due obiettivi:

1) Soddisfare gli agricoltori grazie al prezzo di intervento. Questo era il

prezzo minimo garantito per i prodotti agricoli stabilito dalla Comunità

Europea. Il prezzo delle produzioni non poteva scendere al di sotto di

questo;

2) Orientare le imprese agricole verso una maggiore capacità produttiva

(limitando i fattori della produzione, aumentando lo sviluppo tecnologico

e utilizzando delle migliori tecniche agronomiche).

Il primo pilastro della PAC è la sezione Garanzia del FEOGA (Fondo

europeo di orientamento e garanzia in agricoltura) che finanzia i

pagamenti diretti agli agricoltori e le misure di gestione dei mercati

agricoli attuate nell’ambito delle Organizzazioni comuni di mercati

(OCM) che rappresentano il primo pilastro della PAC e costituiscono lo

strumento fondamentale di regolazione dei mercati nella misura in cui

disciplinano la produzione e il commercio dei prodotti agricoli degli

Stati-membri: eliminando gli ostacoli che possono inibire gli scambi

intracomunitari di prodotti agricoli e mantenendo una barriera dognale

comune nei confronti dei paesi terzi con i quali si interagisce.

82

Page 83: Tesi

In seguito alla riforma della PAC del 2003, la maggior parte delle OCM

sono sottoposte al nuovo sistema di pagamento unico per azienda e di

disaccoppiamento. Gli Stati membri che fanno parte dell' Unione

sin dal 1° maggio 2004 partecipano direttamente al nuovo sistema.

Inoltre modifiche sono state introdotte nei meccanismi di gestione delle

crisi e nella qualifica ambientale delle aziende.

La PAC dovrebbe contribuire a mantenere un sistema agricolo

diversificato sul territorio, in particolar modo nelle aree remote, e

assicurare la fornitura di beni pubblici. La Politica Agricola

Comunitaria ha costituito, fin dal Trattato di Roma, uno degli

strumenti principali per la costruzione dell’Unione europea. Oggi, a

cinquant’anni dal suo avvio, è innegabile il ruolo della PAC come

catalizzatore nei processi di integrazione economica e sociale nei Paesi

dell’Unione. Progressivamente nel tempo, talvolta con una velocità non

del tutto allineata con i cambiamenti degli obiettivi da raggiungere, sono

stati modificati compiti e funzioni.

I processi di revisione degli strumenti a disposizione della PAC sono stati

accompagnati da conseguenti rettifiche finanziarie che hanno

sostanzialmente ridotto il budget a disposizione, passando dall’89% di

peso nel bilancio comunitario (comprensivo delle spese dello sviluppo

rurale) del 1970 al 44% dell’attuale quadro finanziario ( come evidenzia

il Grafico 5, indicando l’andamento dal 1970 sino alle previsioni relative

al 2013)66. Tale evoluzione si è resa necessaria anche a seguito della

revisione degli obiettivi di coesione dell’Unione e del suo progressivo

allargamento, mediante un maggiore ruolo assegnato alle politiche di

sviluppo regionale.

66 ? De Castro P., (2010), “European agriculture and new global challenges”, Donzelli Editore, pag 98

83

Page 84: Tesi

- Grafico 5. Evoluzione della spesa comunitaria per capitoli agricoli (% sul totale)

Fonte: De Castro P., (2010), “European agriculture and new global challenges”,

Donzelli Editore, pag. 98.

Il secondo pilastro della PAC è rappresentato dagli investimenti in

favore dello sviluppo rurale, finanziati per la programmazione 2007-

2013 dal Fondo Europeo per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale

(FEASR). Come si è visto in precedenza il budget a disposizione dello

sviluppo rurale ha assunto quote crescenti nel bilancio comunitario, e

attualmente pesa per quasi il 10% del totale. Per la programmazione

2007-2013 le risorse assegnate allo sviluppo rurale sono state

incrementate rispetto all’iniziale assegnazione a seguito degli effetti

della modulazione obbligatoria (anni 2007 e 2008) e dell’attuazione

dell’Health Check (dal 2009).

Sulla base di questi incrementi, attualmente, il nostro Paese conta su una

dotazione comunitaria (fonte FEASR) di quasi 9 miliardi di euro (pari al

9% del budget complessivo assegnato a tutti gli Stati Membri), a cui si

aggiungono altri 8,6 miliardi di euro di spesa pubblica nazionale e

regionale per il periodo 2007-2013.

84

Page 85: Tesi

Quindi, quasi 18 miliardi di euro rappresentano il capitale a disposizione

delle aree rurali per conseguire gli obiettivi del rafforzamento della

competitività (asse I), miglioramento delle condizioni ambientali (asse

II), innalzamento della qualità della vita e sostegno alla diversificazione

del reddito (asse III) e supporto alla creazione e mantenimento di forme

di governance locali (asse IV)67.

Le risorse aggiuntive FEASR derivanti dalla modulazione obbligatoria,

dalla riforma vino, dall’Health Check (HC) e dal Recovery Plan (reg. CE

n. 473/2009 per il miglioramento delle infrastrutture per internet a banda

larga per le aree rurali) sono state complessivamente per tutti i 27 Stati

dell’Unione pari a 5,2 miliardi di euro, e 694 milioni di euro sono stati

destinati al nostro Paese. Questo nuovo ammontare di risorse ha

comportato nel corso del 2009 una revisione degli strumenti

programmatori che danno attuazione alla politica di sviluppo rurale (il

PSN e i PSR), secondo procedure complesse e con uno sforzo

organizzativo che, a volte, appare sproporzionato, tanto più se si

considera che in molti casi gli obiettivi richiamati dalle nuove sfide

dell’Health Check risultano già integrati nei documenti di

programmazione approvati. Le risorse aggiuntive dell’HC sono state

trasferite con un vincolo di destinazione alle cosiddette “nuove sfide” e

nel nostro Paese le scelte finanziarie fatte nei programmi hanno attribuito

il 20% delle nuove risorse agli investimenti per la banda larga e alle

risorse idriche, il 19% alla biodiversità, il 18% alla ristrutturazione del

settore lattiero caseario, il 17% ai cambiamenti climatici e, infine, il 6%

alle energie rinnovabili.

Il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) è uno

strumento, istituito dal regolamento (CE) n. 1290/2005, che mira a

rafforzare la politica di sviluppo rurale dell’Unione e a semplificarne

l’attuazione. Migliora in particolare la gestione e il controllo della nuova

67 ? INEA (2010),“Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”, Roma, pag. 52 – 54.

85

Page 86: Tesi

politica di sviluppo rurale per il periodo 2007-2013. Il presente

regolamento stabilisce le norme generali per il sostegno comunitario a

favore dello sviluppo rurale finanziato dal FEASR. Definisce inoltre gli

obiettivi della politica di sviluppo rurale e il quadro in cui essa si

inserisce. Il Fondo contribuisce a migliorare:

- la competitività del settore agricolo e forestale;

- l’ambiente e il paesaggio;

- la qualità della vita nelle zone rurali e la diversificazione dell’economia

rurale.

Il Fondo fornisce un’assistenza complementare alle azioni nazionali,

regionali e locali che contribuiscono alle priorità della Comunità. La

Commissione e gli Stati membri vigilano inoltre sulla coerenza e la

compatibilità del Fondo con le altre misure di sostegno finanziate dalla

Comunità.

Ogni Stato membro elabora un piano strategico nazionale

conformemente agli orientamenti strategici che sono stati adottati dalla

Comunità. Ogni Stato membro trasmette in seguito il proprio piano

strategico nazionale alla Commissione prima di presentare i propri

programmi di sviluppo rurale. Il piano strategico nazionale copre il

periodo che intercorre tra il 1° gennaio 2007 e il 31 dicembre 2013, e

comprende:

- una valutazione della situazione economica, sociale e ambientale, e

delle possibilità di sviluppo;

- la strategia adottata per l’azione congiunta della Comunità e dello Stato

membro,le priorità tematiche e territoriali;

- un elenco dei programmi di sviluppo rurale destinati ad attuare il piano

strategico nazionale e la ripartizione delle risorse del FEASR tra i vari

programmi;

- i mezzi volti ad assicurare il coordinamento con gli altri strumenti della

politica agricola comune, il FESR, il FSE, il FC, il Fondo europeo per la

pesca e la Banca europea per gli investimenti;

86

Page 87: Tesi

- eventualmente, l’importo della dotazione finanziaria destinata al

raggiungimento dell’obiettivo «convergenza»;

- la descrizione delle modalità di attuazione della rete rurale nazionale

che raggruppa le organizzazioni e le amministrazioni operanti nel settore

dello sviluppo rurale e l’importo destinato alla sua attuazione. I piani

strategici nazionali sono attuati mediante programmi di sviluppo rurale

che presentano una serie di misure raggruppate intorno a 4 assi:

-Asse 1: miglioramento della competitività dei settori agricolo e

forestale;

-Asse 2: miglioramento dell’ambiente e dello spazio rurale;

-Asse 3:qualità della vita in ambiente rurale e diversificazione

dell’economia rurale;

-Asse 4: Leader (attuazione di strategie locali di sviluppo tramite

partenariati pubblico-privati denominati «gruppi d’azione locale).

Le strategie applicate a territori rurali ben delimitati devono conseguire

gli obiettivi di almeno uno dei tre assi precedenti; i gruppi d’azione

locale hanno inoltre la possibilità di attuare progetti di cooperazione

interterritoriali o transnazionali.

Il FEASR è dotato di un bilancio di 96,319 miliardi di euro (prezzi

correnti) per il periodo 2007-2013, ossia il 20% dei fondi destinati alla

PAC. Su iniziativa degli Stati membri, il Fondo può finanziare azioni

relative alla preparazione, alla gestione, alla sorveglianza, alla

valutazione, all’informazione e al controllo dell’intervento dei

programmi, entro il limite del 4% dell’importo totale di ciascun

programma.

L’importo del sostegno comunitario allo sviluppo rurale, la sua

ripartizione annuale e l’importo minimo da assegnare alle regioni che

possono beneficiare dell’ obiettivo "convergenza" sono stabiliti dal

87

Page 88: Tesi

Consiglio, il quale delibera a maggioranza qualificata su proposta della

Commissione, conformemente alle prospettive finanziarie 2007 –

2013 e all’ accordo interistituzionale sulla disciplina di bilancio

e il miglioramento della procedura di bilancio. Per la programmazione

gli Stati membri tengono altresì conto degli importi provenienti dalla

modulazione.

La Commissione vigila inoltre affinché il totale degli stanziamenti

provenienti dal FEASR e da altri Fondi comunitari come il Fondo

europeo di sviluppo regionale, il Fondo sociale europeo e il Fondo di

coesione, rispetti determinati parametri economici.

Nell’ambito della gestione condivisa tra la Commissione e gli Stati

membri, questi ultimi devono designare, per ciascun programma di

sviluppo rurale, un’autorità di gestione, un organismo pagatore e un

organismo di certificazione.

Essi sono inoltre responsabili dell’informazione e della pubblicità

relative alle operazioni cofinanziate. Ciascuno Stato deve altresì

creare un comitato di sorveglianza che accerti l’efficacia dell’attuazione

del programma. L’autorità di gestione di ogni programma deve inoltre

trasmettere alla Commissione una relazione annuale relativa alla

esecuzione del programma.

La politica e i programmi di sviluppo rurale sono oggetto di valutazioni

ex ante, intermedie ed ex post, intese a rafforzare la qualità, l’efficienza e

l’efficacia dell’attuazione dei programmi di sviluppo rurale.

Queste valutazioni saranno volte a trarre insegnamenti sulla politica di

sviluppo rurale, identificando i fattori che hanno contribuito al successo

o al fallimento dell’attuazione dei programmi, gli impatti socioeconomici

e gli impatti sulle priorità comunitarie. Al termine del negoziato con

Bruxelles, il quadro complessivo dei PSR risulta essere il seguente.

Al primo asse, che è finalizzato al rafforzamento complessivo del settore

attraverso investimenti diretti all’innalzamento della competitività, viene

dedicato quasi il 40% del budget pubblico complessivo.

88

Page 89: Tesi

Il secondo asse che ha come obiettivo il miglioramento delle condizioni

ambientali, in prevalenza tramite l’erogazione di premi aziendali,

assorbe un altro 40% e il rimanente 20% si divide tra il terzo e quarto

asse.

Nel dare attuazione alla Politica di sviluppo rurale, un ruolo centrale

nelle procedure di funzionamento è dedicato alla capacità di spesa. Già

dalla passata programmazione era stato introdotto per tutti i fondi

strutturali (compreso il fondo di sviluppo regionale e fondo sociale

europeo) il meccanismo del disimpegno automatico.

Secondo tale meccanismo, se nei due anni successivi all’iscrizione nel

bilancio comunitario delle risorse finanziarie queste non vengono spese

per i programmi per i quali sono state impegnate, tali risorse vengono

stornate dal programma di riferimento e ritornano a Bruxelles per venire

reimpiegate.

La capacità di spesa, intesa come rapporto tra le risorse programmate e

quelle erogate, pertanto, diventa non solo un indicatore di efficienza

amministrativa ma anche uno strumento premio/penalità68.

Nel corso del 2010 si è intensificato il dibattito sulla forma che dovrà

assumere la Politica agricola comunitaria dopo il 2013. Nel giugno del

2010 è stata aperta dalla Commissione europea la consultazione

pubblica, anche con un forum on-line, finalizzato a raccogliere

contributi, idee e pareri da parte di istituzioni, stakeholder e cittadini, ed

entro il 2010 è prevista la comunicazione della Commissione.

La discussione si incentra su tre aspetti fondamentali: gli obiettivi che la

politica dovrà porsi, alla luce di un quadro economico profondamente

mutato negli ultimi cinque anni, le risorse finanziarie su cui potrà

contare, in un’ottica di revisione complessiva del bilancio comunitario, i

meccanismi di funzionamento che dovrà adottare, coerenti con il nuovo

scenario di riferimento.

- Tabella 4. Risorse finanziarie FEASR e Spesa pubblica per regione (milioni di e

68 ? INEA (2010), “ Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”, Roma, pag. 55 – 60.

89

Page 90: Tesi

articolazione per asse)

90

Page 91: Tesi

In questo paragrafo cerchiamo di delineare gli aspetti salienti della

discussione, tralasciando le ipotesi di budget, in quanto queste ultime

saranno frutto di un ripensamento più complessivo delle politiche

europee.

Partendo dagli obiettivi di carattere più generale, la nuova PAC dovrà

essere coerente con quanto previsto dalla “Strategia 2020” approvata dal

Consiglio europeo del 25 e 26 marzo 2010, e formalmente adottata il 17

giugno 2010, che stabilisce tre priorità di intervento:

a) crescita intelligente: sviluppare un’economia basata sulla conoscenza

e sull’innovazione;

b) crescita sostenibile: promuovere un’economia più efficiente sotto il

profilo delle risorse, più verde e più competitiva;

c) crescita inclusiva: promuovere un’economia con un alto tasso di

occupazione che favorisca la coesione sociale e territoriale.

La PAC, a prima vista, è poco “citata” nella Strategia 2020; tuttavia, è

necessario incorporare ed esplicitare gli obiettivi della PAC in un’ottica

di sviluppo sostenibile ed evidenziare il possibile contributo

dell’agricoltura europea al conseguimento stesso degli obiettivi della

Strategia.

Tra i temi tipici della PAC che maggiormente confluiscono nella

Strategia 2020 si ritrovano: il sostegno alle tecnologie “verdi” e

innovative; gli investimenti in competenze, formazione e

imprenditorialità; la gestione sostenibile delle risorse naturali; la

produzione di energie rinnovabili; la creazione di beni pubblici di natura

ambientale; lo sviluppo di un’economia rurale a basse emissioni di

carbonio. Va ricordato, inoltre, che la PAC incide profondamente sulle

prospettive di sviluppo regionale in quanto investe il 47% della

superficie europea e coinvolge oltre 18 milioni di occupati, con una

distribuzione territoriale non omogenea. In questo contesto, la PAC

riveste un ruolo fondamentale per contribuire allo sviluppo di

comunità rurali redditizie e dinamiche, garantendo, allo stesso tempo,

91

Page 92: Tesi

uno sviluppo socio-economico sostenibile ed equilibrato del territorio

europeo69.

Sulla base dei discorsi ufficiali del Commissario europeo e della

documentazione di carattere “istituzionale”, la nuova PAC dovrà essere

pensata per rispondere alle diverse agricolture che contraddistinguono il

territorio allargato dell’Unione e dovrà conseguire gli obiettivi legati alla

sicurezza alimentare, il cambiamento climatico, la protezione dei suoli e

delle risorse naturali, la crescita economica delle aree rurali. Gli

strumenti a disposizione della PAC dovranno, pertanto, essere rivisti.

Riguardo agli strumenti di applicazione, in primo luogo vi sono alcune

considerazioni di carattere generale che riguardano la semplificazione

della PAC, la sicurezza alimentare e il riconoscimento di un valore di

esistenza dell’agricoltura in economie fortemente sviluppate come quelle

europee. Il peso amministrativo e la complessità di regole costituiscono

un ostacolo all’utilizzo efficiente delle risorse disponibili.

Per il caso italiano basti pensare quanto detto in precedenza

sull’avanzamento della politica di sviluppo rurale. La possibilità di poter

disporre di un quadro finanziario nazionale all’interno del quale

collocare i programmi regionali potrebbe senza dubbio rappresentare una

soluzione che permetterebbe di utilizzare al massimo le risorse assegnate

al nostro Paese.

Il valore della sicurezza alimentare attiene sia la quantità di risorse

disponibili per un paese che la qualità di tali risorse.

Oggi più che mai la sicurezza alimentare si associa ai concetti di

salubrità alimentare e di qualità dei prodotti agricoli, ma la crescente

volatilità dei prezzi ha rimesso al centro dell’attenzione politica anche il

problema del fabbisogno alimentare di conseguenza, di strumenti che in

qualche modo possano garantire stabilità alle produzioni di alimenti.

69 ? Istituto per studi ricerche e informazioni sul mercato agricolo (2004); “L’impatto

della riforma PAC sulle imprese agricole e sull’economia italiana”, Franco Angeli, Milano.

92

Page 93: Tesi

Collegato a questo aspetto è quello del valore di esistenza del settore

primario in contesti sviluppati dove il declino proprio dell’agricoltura,

associato alla età avanzata degli agricoltori e la forte competizione

della terra verso altre attività rischia di far scomparire l’agricoltura e con

sé la tradizione produttiva, sociale e culturale propria dei contesti

agricoli e rurali.

Entrando nel merito dei singoli strumenti, si possono considerare gli

aspetti legati agli aiuti diretti, alle misure di mercato anche per favorire

la stabilità dei redditi e allo sviluppo rurale. Di seguito ciascun elemento

viene esaminato riportando i principali aspetti oggetto di discussione e

qualche riflessione per il nostro paese.

Per quanto concerne gli aiuti diretti,l’orientamento è quello di proseguire

sulla strada degli aiuti disaccoppiati, anche se sarà necessario

rivedere i parametri con i quali gli aiuti vengono assegnati.

Il modello storico utilizzato dall’Italia, che di fatto mantiene inalterato

lo status quo della distribuzione degli aiuti, non potrà essere mantenuto,

soprattutto nel momento in cui si assegnano obiettivi specifici ai premi,

come la remunerazione della produzione di beni pubblici. In termini

molto generali, il tema vede la discussione incentrarsi su un livello di

aiuti base, il flat rate, calcolato su base regionalizzata tra tutti gli Stati

membri, a cui possono essere associati aiuti integrativi in relazione a:

- la localizzazione aziendale (come nel caso di aree svantaggiate o con

svantaggi specifici);

- la situazione economica generale del Paese (si pensi alle disparità di

potere di acquisito esistenti);

- gli impegni specifici, perlopiù di carattere ambientale, che l’azienda si

assume;

- la remunerazione legata alla produzione di esternalità positive e beni

pubblici “europei” (cioè non altrettanto producibili a livello locale).

Quest’ultimo aspetto si collega ai temi della produzione di beni pubblici

legati alla conduzione dell’attività agricola. Il sostegno, in questa logica,

93

Page 94: Tesi

è dettato dalla necessità di assicurare e mantenere le varie esternalità

positive che l’agricoltura genera: paesaggio, gestione delle risorse

naturali, implicazioni di carattere ambientale e lotta al cambiamento

climatico, biodiversità, occupazione e vitalità delle aree rurali, salubrità

degli alimenti, tipicità e riconoscibilità geografica dei prodotti, ecc.

Il tema degli aiuti diretti è particolarmente sentito nel nostro Paese, in

quanto da una comparazione con gli altri Stati membri emerge come in

Italia il contributo dei pagamenti diretti alla formazione del reddito sia

piuttosto modesto, come illustrato nel Grafico 670.

- Grafico 6 - Peso dei pagamenti diretti e degli altri sussidi comunitari al

reddito agricolo (2006 – 2008).

70 ?INEA (2010), “Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”, Roma, pag 61.

94

Page 95: Tesi

In riferimento alle misure di mercato da impostare per la PAC dopo il

2013, queste dovranno rispondere ad una serie di esigenze

dell’agricoltura, prima tra tutte la stabilità dei redditi. L’elevata

volatilità dei prezzi di questi ultimi due anni ha determinato forti

scompensi nel settore, con una forte instabilità nei redditi agricoli e un

sostanziale squilibrio nei rapporti tra gli attori della filiera agro-

alimentare.

Le misure di mercato, in questo contesto possono essere fortemente

ripensate da un lato per disporre di adeguati strumenti di gestione del

rischio e dall’altro per migliorare le relazioni lungo la filiera produttiva e

una più equa ripartizione del valore aggiunto.

Il dibattito su questo fronte è piuttosto aperto a partire dalle esperienze di

progressiva revisione delle OCM. In particolare, si evidenziano i risultati

del lavoro del “Gruppo di alto livello” costituito nell’Ottobre 2009 per

fronteggiare la crisi che ha colpito il settore lattiero caseario, anche in

previsione dello smantellamento del sistema delle quote latte (il 1° aprile

2015).

Il gruppo ha concluso i suoi lavori il 15 giugno 2010 ed ha formulato

sette raccomandazioni, che possono rappresentare un orientamento anche

per gli altri comparti. In sostanza le raccomandazioni formulate sono:

a) il rafforzamento dei rapporti contrattuali tra produttori e trasformatori,

promosso anche da linee guida con carattere vincolante;

b) il consolidamento di una contrattazione collettiva dei produttori, volta

a negoziare collettivamente le condizioni contrattuali;

c) l’utilizzo di organizzazioni interprofessionali con lo scopo di garantire

la concentrazione dell’offerta;

d) la trasparenza nella filiera, con una sorveglianza sui prezzi dei

prodotti alimentari;

e) l’esame di possibili strumenti “compatibili con la scatola verde” per

ridurre la volatilità del reddito;

f) la tutela delle norme di commercializzazione e dei marchi di origine;

95

Page 96: Tesi

g) l’innovazione e la ricerca, ricercando complementarità con le

iniziative promosse nell’ambito dello sviluppo rurale e dei programmi

quadro della ricerca.

Particolare attenzione dovrà essere dedicata alle questioni legate alle

stabilità del reddito, non solo per la volatilità dei prezzi ma anche per le

condizioni atmosferiche e generali di produzione. Su questo argomento il

dibattito è particolarmente acceso e riguarda, principalmente, le modalità

di assicurazione dell’esercizio dell’attività agricola.

Anche su questo argomento, la riflessione dovrà partire sulle esperienze

maturate sul tema, come nel caso dell’applicazione dell’art.68 e di

alcune iniziative sperimentate a livello europeo, come schemi

assicurativi pubblici sulle perdite di reddito o di profitto o attivazione del

mercato dei future.

Per l’Italia l’insieme degli strumenti da attivare all’interno del

contenitore “misure di mercato” dovrebbero portare al riconoscimento

del “modello agroalimentare europeo”, con lo scopo ultimo di rafforzare

la competitività internazionale delle produzioni attraverso il

riconoscimento della qualità e della diversificazione dei prodotti

piuttosto che attraverso una mera competizione di prezzo. Il rispetto

delle norme in materia di sicurezza alimentare, qualità, ambiente,

benessere degli animali si traduce, infatti, in uno svantaggio competitivo

nei confronti di chi non è sottoposto alle stesse regole e ai costi che ne

conseguono.

Per lo sviluppo rurale, dalle discussioni e prime proposte presentate dalla

Commissione, gli obiettivi che la politica di sviluppo rurale post 2013

intende porsi ricalcano la struttura dell’attuale assetto, con una maggiore

integrazione con la Strategia 2020 e riguardano:

1) sviluppare un settore agricolo competitivo, migliorando l’efficienza

delle risorse: accanto alla modernizzazione e ristrutturazione uno

speciale focus dovrebbe essere dedicato alle tecnologie verdi,

all’adattamento ai cambiamenti climatici e allo sviluppo di energia

rinnovabile. Gli strumenti da utilizzare fanno riferimento

all’innovazione, trasferimento di tecnologie, acquisizione di

competenze, investimenti “verdi”;

96

Page 97: Tesi

2) Conservare le risorse naturali, che si declina nella mitigazione e

adattamento ai cambiamenti climatici, la gestione sostenibile del

territorio al fine di conservare gli ecosistemi, la gestione delle risorse

naturali, biodiversità, acqua e suolo. I mezzi previsti per sostenere

questo obiettivo sono pagamenti ai gestori del territorio per i beni

pubblici forniti, formazione e servizi di consulenza;

3) Sviluppare le aree rurali, con la valorizzazione del potenziale

locale e l’inclusione sociale. In questo ambito trovano collocazione

investimenti e mobilizzazione del capitale sociale (cooperazione,

networking, strategie place based) per diversificare l’economia

rurale, sviluppare le infrastrutture locali, mobilitare e collegare gli

attori locali, compreso il partenariato pubblico-privato71.

La posizione italiana sullo sviluppo rurale è stata presentata il 13 aprile

2010. La politica di sviluppo rurale viene considerata il principale

veicolo per il conseguimento di obiettivi legati alla competitività e

all’occupazione, con un ruolo centrale dell’agricoltura nel produrre beni

e servizi pubblici, anche di carattere sociale.

La posizione italiana affronta gli aspetti legati agli obiettivi da

conseguire con la politica di sviluppo rurale, e suggerisce alcuni

strumenti per la gestione.

Riguardo agli obiettivi, la competitività non deve essere affrontata in una

sola visione aziendale, ma dovrà essere utilizzata una logica territoriale

(intesa come l’insieme delle tecniche produttive, delle relazioni tra

soggetti, dal paesaggio alla cultura), che permette alla qualità

agroalimentare di affermarsi sui mercati. Il richiamo all’approccio

territoriale permea la posizione italiana nel suo complesso, in quanto

afferma che le diverse priorità tematiche dovranno essere meglio

ancorate ai fabbisogni di ciascun territorio.

71 ?INEA (2010), “Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”, Roma, pag. 62 – 63.

97

Page 98: Tesi

Mantenendo gli obiettivi degli attuali Assi III e IV alle competenze dello

sviluppo rurale, il secondo pilastro dovrà avere una visione integrata e di

supporto sia nelle aree rurali più remote, sia in quelle periurbane, dove

maggiori sono i richiami e la competizione esercitata dai settori non

agricoli.

Infine, un’importanza rilevante viene assegnata al potenziamento della

governante, Nel 2005 ha preso avvio la più importante riforma della

Politica Agricola Comunitaria (PAC) dalla sua istituzione. Una riforma

radicale che ha introdotto una nuova modalità di sostegno al settore

agricolo: il pagamento unico per azienda (PUA), disaccoppiato dalla

produzione (disaccoppiamento), subordinato al rispetto di norme di

gestione ambientale e del territorio (condizionalità).

I principali punti della politica comunitaria sono riassumibili cosi:

- Disaccoppiamento: un pagamento unico per azienda agli agricoltori

dell’UE, indipendente dalla produzione; gli agricoltori, in linea di

principio, riceveranno il pagamento unico per azienda sulla base

delle somme percepite nel periodo di riferimento 2000-2002.

- Condizionalità: il pagamento sarà condizionato al rispetto delle norme

in materia di (cross-compliance) salvaguardia ambientale, sicurezza

alimentare, sanità animale e vegetale e protezione degli animali, nonché

all’obbligo di mantenere la terra in buone condizioni agronomiche ed

ecologiche.

- Modulazione: riduzione dei pagamenti diretti allo scopo di finanziare la

nuova politica di sviluppo rurale; la modulazione si applica alle aziende

con più di 5000 euro/anno di pagamenti diretti, nelle seguenti

percentuali: 3% nel 2005, 4% nel 2006, 5% dal 2007 in poi.

- Rafforzamento del secondo pilastro PAC: potenziamento della politica

di sviluppo rurale, nuove misure a favore dell’ambiente, della qualità e

del benessere animale, nonché per aiutare gli agricoltori ad adeguarsi

alle norme di produzione in vigore nell’UE.

98

Page 99: Tesi

La politica nazionale di supporto all’agricoltura risente dell’influenza di

diversi fattori:

- il ruolo preponderante delle Politica agricola comunitaria e di sostegno

allo sviluppo rurale, che definisce regole, investimenti ammissibili e

condizioni finanziarie, così come si è visto nel capitolo precedente;

- l’assetto istituzionale, che conferisce alle Regioni specifica competenza

in materia agricola;

- l’assottigliamento progressivo e costante delle risorse pubbliche

nazionali disponibili per promuovere politiche positive nel settore,

particolarmente sentito negli ultimi anni.

Partendo dall’ultimo punto, oltre a diverse disposizioni contenute nel

recente dl 31 maggio 2010, n. 78 recante “Misure urgenti in materia di

stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” che

rappresentano l’ultimo tassello di una politica pubblica restrittiva per

fronteggiare gli squilibri di bilancio, da dicembre 2008 e nel corso del

2009 il CIPE ha azzerato le risorse assegnate al Fondo Aree

Sottoutilizzate per il Piano attuativo Nazionale (PAN) “Competitività dei

sistemi agricoli e rurali”. Il Piano consisteva nel rilancio del settore a

partire da tre obiettivi di fondo: il rafforzamento della filiera e della

qualità delle produzioni, il ricambio generazionale e la ricerca e

l’innovazione, con una dotazione complessiva di 875 milioni di euro.

Anche gli altri strumenti più di carattere tradizionale hanno subìto

decurtazioni nelle fonti di finanziamento, in particolare:

- il Fondo di Solidarietà Nazionale, per il quale i tagli sono stati in

qualche misura compensati dall’utilizzo dell’art.68 del reg. (CE) n.

73/2009, mediante l’articolo 11 del Decreto MiPAAF del 29 luglio 2009

(GU 220 del 22/09/09) e le risorse dell’’OCM Vino;

- il Piano Irriguo Nazionale, che ha mostrato forme di razionalizzazioni

della spesa nella misura del 10% per impegni già assunti, ottenute grazie

alla rimodulazione di progetti esistenti e con riduzioni nella misura del

45% per nuovi investimenti dal 2011 al 2025, riducendo di fatto la

possibilità di nuovi investimenti;

99

Page 100: Tesi

- gli investimenti di assistenza tecnica nazionale, quasi del tutto azzerati

in parte per carenza di fondi e in parte per trasferimento di competenze

alle Regioni. A fronte di queste rilevanti riduzioni, le forme di sostegno

al settore derivano sostanzialmente da benefici di carattere fiscale e

previdenziale, grazie a un sistema contributivo più leggero rispetto agli

altri settori.

La stessa definizione di Imprenditore Agricolo Professionale,

costituisce un’opportunità rilevante per una fetta di produttori che

possono beneficiare di effettivi risparmi di imposte. In realtà, la politica

fiscale e contributiva costituisce, attualmente, il principale strumento di

sostegno nazionale del settore. Se anche quest’ultimo fosse messo in

discussione senza dubbio si creerebbe uno scompenso settoriale con

ripercussioni di rilievo su produzione, occupazione e reddito.

Da questo punto di vista, con particolare attenzione occorrerà seguire gli

sviluppi della Legge 5 maggio 2009, n. 42 "Delega al Governo in

materia di federalismo fiscale,in attuazione dell' articolo 119 della

Costituzione", con la quale si stabiliscono in via esclusiva i principi

fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema

tributario, e disciplina l'istituzione del fondo perequativo per i territori

con minore capacità fiscale per abitante.

La difficoltà finanziaria nel promuovere politiche positive, che sembrano

essere non sostenibili in quanto utilizzano risorse scarse, viene in

qualche misura bilanciata da un sistema regolativo che punta a sostenere,

da un lato, la trasparenza e l’efficienza dei mercati e, dall’altro, scelte

sempre più consapevoli del consumatore. Nel corso del 2009, infatti,

diversi provvedimenti sono stati orientati proprio a definire i sistemi di

qualità certificati e sistemi di tracciabilità in vari comparti. Tra questi si

ricordano:

- lo sviluppo di progetti sulla tracciabilità dei prodotti e in particolare

dell’olio; il decreto attuativo del reg. (CE) n. 182/2009 del 10 novembre

2009 sulle norme di commercializzazione dell’olio d’oliva;

100

Page 101: Tesi

- il D. leg. n. 61 dell’8 aprile 2010, che sostituisce la Legge 164 sulla

denominazione dei vini, decreto reso necessario dalla riforma OCM

vino. In questo caso l’applicazione della politica comunitaria ha avviato

un processo di revisione sostanziale a livello nazionale e ha introdotto

delle novità non solo per rispondere alla legislazione comunitaria ma

anche ad esigenze specifiche nazionali;

- la circolare attuativa del 31/03/2010 del sistema di tracciabilità degli oli

vegetali puri per la produzione di energia elettrica;

- la definizione, in corso di realizzazione, dei Sistemi di qualità nazionali

ai sensi del reg. (CE) n. 1974/2006;

- per passare al secondo aspetto, l’assetto istituzionale, le iniziative di

vigilanza, semplificazione, controllo e regolazione a livello centrale

costituiscono elementi di confronto e concertazione con le

Amministrazioni Regionali, che, come si è detto in precedenza hanno

competenze esclusive in materia.

Questo aspetto talvolta agevola la realizzazione di iniziative nazionali

largamente condivise; in altri casi, però, può rappresentare un punto di

debolezza del sistema regolativo in quanto le responsabilità sono

frammentate tra diversi soggetti, e con difficoltà si riesce a riconoscere

l’interesse nazionale.

Inoltre, in numerosi casi i temi trattati hanno bisogno del

coinvolgimento di altri ministeri competenti (Salute, Ambiente,

Sviluppo Economico ecc.) e le iniziative possono subire rallentamenti

nei processi decisionali e perdita di efficacia. A questo riguardo, proprio

per rappresentare la necessità di un raccordo con gli altri Ministeri

competenti, si segnala che nel marzo 2009 è stato presentato dal

MiPAAF il disegno di Legge n. 2260, di concerto con il Ministro

dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, con il Ministro

per i Rapporti con le Regioni e con il Ministro per le Politiche Europee,

che ha per oggetto “Disposizioni per il rafforzamento della competitività

del settore agroalimentare”.

101

Page 102: Tesi

I sette articoli di cui si compone il disegno di legge mirano, da un lato, a

rilanciare il settore mediante i contratti di filiera e di distretto e,

dall’altro, a rafforzare il sistema di tracciabilità delle produzioni e a

contrastare le frodi con un potenziamento complessivo del sistema e

delle sanzioni72.

L’evoluzione degli ultimi anni del settore primario italiano e le recenti

dinamiche negative che hanno interessato l’economia nel suo complesso

e l’agricoltura in particolare costituiscono i segnali di un profondo

processo di ristrutturazione che dovrà interessare il settore nel prossimo

futuro. A livello nazionale vi sono due grandi aree di lavoro. La prima

riguarda il riconoscimento di temi e fabbisogni su cui è opportuno avere

una visione ampia e che rifletta i temi di rilevanza nazionale, mentre

la seconda si fonda sulla necessità di trovare migliori strumenti di

governance istituzionale proprio per fronteggiare la frammentazione di

competenze e rendere il sistema nel suo insieme più efficiente.

Riguardo ai fabbisogni di valenza nazionale, è sempre più evidente la

percezione che i prossimi anni saranno caratterizzati da una progressiva

scomparsa di aziende non capaci di stare sul mercato. Questa fuoriuscita

comporta la necessità di attivare strumenti per governare il processo, in

modo tale che non vi sia un semplice abbandono.

In primo luogo, poiché i valori fondiari sono superiori alle possibilità di

remunerazione dall’attività agricola, potrebbero essere adottati sistemi

che agevolino l’affitto dei terreni e la loro mobilità in termini di impiego

produttivo. Un secondo importante passaggio è costituito dalla capacità

delle produzioni italiane di competere in uno scenario dove i

prezzi oscillano senza che il produttore possa minimamente influenzarne

l’andamento.

Tale capacità si costruisce sulla differenziazione del prodotto, la

qualità e l’organizzazione in filiera. Questi strumenti si basano tutti sul

concetto di “tracciabilità” delle produzioni, che costituisce, se vogliamo,

72 ? INEA (2010),“Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”, Roma, pag 65- 66.

102

Page 103: Tesi

il livello minimo della qualità. La tracciabilità è anche un importante

strumento di comunicazione e sensibilizzazione per il consumatore.

Se è vero che in periodi di crisi economica l’attenzione del consumatore

è prevalentemente rivolta al prezzo, è pur vero che una fascia di

consumo è stabilmente attratta dalla salubrità e dalla qualità della

produzione. Su questo tema, pertanto, l’attenzione va rivolta a rafforzare

i sistemi di tracciabilità e le iniziative di educazione del consumatore. Su

questi due aspetti possono essere poi costruite strategie di filiera e

commerciali (in particolare i rapporti con la grande distribuzione

organizzata). In questi ultimi tempi è emerso con forza il molteplice

ruolo dell’agricoltura nell’ offrire beni e servizi oltre che produzioni

alimentari.

Le bio-energie, l’agricoltura sociale, la vendita diretta costituiscono delle

opportunità di reddito e occupazione di rilievo proprio per quelle realtà

che non riescono ad essere competitive sul mercato.

Infine, per evitare un abbandono con gravi conseguenze negative

sull’ambiente, un compito specifico va assegnato alle iniziative di

ricerca, di sviluppo, di assistenza tecnica e formazione. Il passaggio

progressivo da un’agricoltura intensiva ad una estensiva, le innovazioni

necessarie a ridurre i costi di produzione, la necessità di adottare pratiche

più sostenibili dal punto di vista ambientale e del risparmio idrico ed

energetico, creano una domanda di ricerca che deve confrontarsi con uno

scenario profondamente mutato nel corso degli ultimi cinque anni.

Le stesse attività di assistenza tecnica e formazione, in relazione a temi

di rilevanza nazionale, possono costituire delle valide opzioni di

supporto, senza per questo interferire su competenze di natura

regionale73.

Questo tema apre il campo alla seconda area di lavoro: il miglioramento

degli strumenti di governance delle politiche agricole. A dieci anni

73 ? INEA (2010), “ Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”, Roma, pag. 65 – 67.

103

Page 104: Tesi

dalla riforma del titolo V della Costituzione, sono intervenuti importanti

cambiamenti nella definizione delle politiche agricole che vanno dal

sempre maggiore ruolo della Politica Comunitaria nell’orientare e

condizionare le scelte nazionali, con flussi finanziari che rappresentano

oltre i 2/3 di quelli dedicati al settore, alla riduzione delle disponibilità di

fondi pubblici per sostenere specifiche iniziative nazionali.

Inoltre, le nuove funzioni assegnate all’agricoltura assieme con i processi

di federalismo fiscale (si veda quanto detto nelle pagine seguenti in tema

di politica regionale) complicano un quadro articolato di competenze,

strutture organizzative e amministrative di riferimento.

Non si vuole entrare nel dettaglio in un tema tanto delicato, tuttavia è

opportuno avviare una riflessione, da un lato, sull’utilizzo di modelli di

concertazione più efficienti, capaci di superare situazioni di vischiosità

istituzionale, e, dall’ altro, su soluzioni organizzative e gestionali

che permettano di utilizzare al meglio i flussi finanziari generati dalle

politiche comunitarie.

La competenza regionale in materia agricola, come è noto, si incrocia

con altri livelli di competenza sia in quanto la materia agricola non

riguarda più solo l’aspetto “produttivo” ma è direttamente connessa alla

tutela dell’ambiente e del paesaggio, all’alimentazione, al governo del

territorio, ecc. sia per la complessa interazione tra le politiche

comunitarie, nazionali e regionali attuate attraverso una pluralità di

strumenti di programmazione sia di carattere generale che settoriali.

La maggiore autonomia in materia agricola ha prodotto a livello

regionale diversi approcci, che si sono concretizzati in diverse scelte

normative e giuridico - istituzionali.

Se si analizza l’intervento regionale nel settore agricolo e

agroalimentare, nel corso del 2009, è possibile individuare le linee

direttrici principali delle politiche regionali:

- il rafforzamento e la semplificazione del quadro normativo che

disciplina l’attività agricola;

- il sostegno al consumo di prodotti regionali;

104

Page 105: Tesi

- gli interventi di tipo agro - ambientali;

- la gestione del rischio per le emergenze per fitopatie e danni da incendi

o condizioni climatiche avverse (alluvioni, grandinate, ecc.);

- il sostegno all’economia locale attraverso un miglioramento

dell’accesso al credito e della fiscalità.

L’impianto strategico portato avanti nella maggioranza delle Regioni,

riprende, almeno in parte, le grandi priorità della Politica di sviluppo

rurale per la programmazione 2007/2013 (competitività dell’agricoltura,

gestione del territorio, diversificazione delle zone rurali/qualità della

vita, governance locale).

Più in particolare, dopo l’approvazione dei PSR dalle varie Regioni sono

state avviate le procedure di attuazione delle misure quali l’apertura dei

bandi, la raccolta delle domande e della relativa documentazione tecnica,

fino ad arrivare alla concreta erogazione dei fondi comunitari.

Molte Regioni hanno avviato, nel corso del biennio 2009-2010, il

pagamento di spese riconducibili ai cosiddetti trascinamenti (misure agro

ambientali, investimenti nelle aziende agricole, trasformazione e

commercializzazione dei prodotti agricoli e agriturismo), al pacchetto

giovani (comprendente misure relative ad investimenti aziendali, alla

formazione, consulenza, agriturismo e sistemi di qualità), alle indennità

compensative e alle misure forestali.

Per quanto riguarda l’assetto strutturale della legislazione, molte Regioni

hanno proseguito l’opera di sistemazione e adeguamento del quadro

normativo e regolamentare avviata negli anni precedenti, aumentando

altresì le procedure di valutazione degli effetti delle leggi e/o delle

politiche.

La semplificazione normativa e il riordino sono obiettivi inseriti, già da

tempo, nell’agenda politica delle Regioni al fine di ridurre la

numerosità e migliorare la qualità/leggibilità della propria produzione

normativa che rende difficile a cittadini e operatori l’individuazione della

105

Page 106: Tesi

regola da applicare74. Ciò ha comportato, da un lato, una riduzione del

numero di leggi prodotte e, dall’altro, una maggiore attenzione delle

Regioni per i processi di riordino e razionalizzazione normativa

soprattutto in seguito ad un’aumentata propensione, rispetto ai primi

anni dopo le riforme amministrative e costituzionali, delle stesse sia a

legiferare in alcune delle materie di nuova attribuzione sia

all’introduzione di Testi unici di settore.

A ciò si aggiunge, nel corso degli ultimi anni il passaggio

dall’utilizzo di norme di “manutenzione” riguardanti interventi di

modifica e integrazione di leggi preesistenti rispetto a leggi che

disciplinano interamente una determinata materia.

D’altro canto però, continuano ad avere un certo rilievo le leggi di tipo

“intersettoriale” che condizionano il settore agricolo e la legge

finanziaria regionale quale legge “contenitore”, che, al di là del numero

degli articoli, fa registrare un ampliamento del suo contenuto “tipico”.

Tale legge, infatti, oltre ad autorizzare il rifinanziamento delle leggi

regionali di spesa relative ai diversi settori di intervento e a

dettare disposizioni sia di natura patrimoniale e produttiva sia sul

contenimento della spesa, dispone anche su profili ordinamentali,

organizzativi o microsettoriali.

A tale legge si affiancano i numerosi interventi che, nel corso degli

ultimi, anni hanno inciso sul riordino territoriale e sul conferimento di

funzioni e compiti amministrativi al sistema delle autonomie locali.

La conoscenza e l'utilizzo dei prodotti agricoli e agroalimentari di

qualità, l'accesso diretto del consumatore al mercato di tali prodotti,

nonché la riduzione dei consumi energetici e delle emissioni inquinanti

legate al loro trasporto sono alla base degli interventi di sostegno al

consumo di prodotti regionali.

In tale ottica, assumono primaria importanza gli interventi volti al

rafforzamento della produzione e del consumo di prodotti agricoli e

74 ? INEA (2010) ,“Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”, Roma, pag. 68 – 69.

106

Page 107: Tesi

agroalimentari di prossimità, di qualità riconosciuta e certificata e

biologici, nonché l'organizzazione di filiere corte di tali prodotti, tramite

misure di politica economica volte alla valorizzazione sia delle

produzioni locali che del territorio regionale, alla divulgazione e

comunicazione in ambito agricolo, agroalimentare e forestale,

all’innovazione e allo sviluppo integrato delle zone rurali e

dell’economia locale.

Si tratta di atti normativi evidentemente accomunati dallo scopo

strategico di avvicinare domanda e offerta dei prodotti agricoli, agendo

anche in forma indiretta sui processi di filiera e sulla disciplina dei

distretti rurali e agroalimentari di qualità, sul sostegno delle

produzioni tipiche locali e del loro consumo, sulla promozione della

vendita diretta, sugli accordi per l’integrazione delle filiere e delle filiere

corte, sulla tutela delle piante, delle risorse genetiche, razze e varietà

locali di interesse agrario, sull’istituzione di enoteche regionali, strade

del vino e dell’olio, sulla tutela e la promozione dell’apicoltura,

dell’agriturismo, delle fattorie didattiche e sociali.

Al fine di assicurare condizioni di tutela e valorizzazione

dell’ambiente, salvaguardandone le componenti naturali e biologiche

favorevoli all’insediamento umano e allo sviluppo della flora e della

fauna, le Regioni adottano una serie di provvedimenti sia relativi al

settore agricolo in senso stretto sia a valenza ambientale ma con

potenziali effetti sul sistema delle imprese agricole, o riguardanti il

settore forestale e della pesca, quali: istituzione di parchi e riserve

regionali, norme per la pianificazione paesaggistica e la valorizzazione

del paesaggio, la tutela della piccola fauna, della flora e della

vegetazione spontanea, incentivi per la produzione di energia elettrica da

fonti rinnovabili, l’istallazione di impianti eolici e fotovoltaici, nonché

interventi in materia di bonifica, finalizzate alla difesa e al deflusso

idraulico e alla tutela del paesaggio agricolo e rurale, vallivo e lagunare,

alla provvista e all’utilizzazione delle acque a uso prevalente irriguo, alla

107

Page 108: Tesi

conservazione e valorizzazione del patrimonio idrico. Particolarmente

rilevanti sono stati negli ultimi anni gli interventi volti a

consolidare/limitare le esposizioni debitorie e agevolare l’accesso al

credito delle piccole e medie imprese agricole e agroalimentari.

Più in particolare, in numerose Regioni sono stati approvati interventi in

funzione anti-crisi per favorire la ripresa dell’economia locale,

promuovere lo sviluppo economico e rilanciare la competitività del

sistema produttivo locale, attraverso finanziamenti agevolati per la

formazione di scorte, finalizzati all'acquisto di prodotti e materiale di

consumo funzionali all'esercizio dell'attività agricola (mezzi tecnici di

produzione a logorio totale, cioè quei prodotti/materiali di consumo che

esauriscono il loro effetto nel corso dell’annata di riferimento); credito

agrario di esercizio a tasso agevolato, al fine di migliorare

l'efficienza economica e produttiva delle aziende in considerazione

delle condizioni climatiche avverse, nonché della perdurante crisi

congiunturale.

Vengono concessi, nei limiti del regime “de minimis”, il concorso nel

pagamento degli interessi sui prestiti agrari di conduzione e sui prestiti

agrari pluriennali, destinati alla ristrutturazione dei debiti di natura

agraria a breve termine.

Altri interventi riguardano il consolidamento delle passività onerose in

agricoltura, i contributi per il pagamento degli interessi sui

prestiti di esercizio, comprese le passività arretrate, e per il

consolidamento delle passività onerose gravanti sulla gestione e

derivanti da operazioni creditizie in essere.

Di seguito, vengono riportati i dati, relativi alle risorse di politica agraria

(restano escluse rispetto al sostegno pubblico complessivo le

agevolazioni), media 2002-2008, ripartiti per fonti e per regioni.

Le spese di politica agraria (escluse le agevolazioni) dagli anni 2000 in

poi hanno registrato una media di 11,2 miliardi di euro, anche se dal

2006 al 2008 il sostegno non ha mai superato la soglia degli 11 miliardi

108

Page 109: Tesi

di euro, con l’eccezione dell’anno 2001 quando è salito a 12,4 miliardi,

si registra nel complesso un trend decrescente della spesa pubblica per

l’agricoltura. Con riferimento all’ultimo anno disponibile (ovvero il

2008) il consolidato complessivo (trasferimenti e agevolazioni) assomma

a 16,1 miliardi di euro, dei quali 10,4 miliardi (64,5%) dovuti ai

trasferimenti e 5,7 miliardi alle agevolazioni (35,5%)75.

Negli ultimi quattro anni il sostegno derivante da trasferimenti di origine

comunitaria si è attestato intorno al 50% circa del totale, mentre quelli di

origine statale (Ministeri e enti nazionali quali Sviluppo Italia, ISMEA,

ISA) hanno registrato una diminuzione costante passando dai 18,5

miliardi di euro del 2005 ai 12,2 miliardi del 2008, diminuzione

compensata in parte dall’aumento della componente regionale soprattutto

nelle annualità 2006 e 2008, quando il peso di queste risorse si è attestato

al 38% circa. Se si fa riferimento alle sedi dove si decide la destinazione

dei trasferimenti, la componente comunitaria supera peraltro quella

nazionale: 54,1% UE , 45,9% Italia.

Più in particolare, le spese FEAGA (1° Pilastro PAC) rappresentano il

49% del totale, quelle FEASR (sviluppo rurale) solo il 5%, le spese

regionali il 38% e quelle dei Ministero e degli enti nazionali l’8%.

- Grafico 7 - Composizione dei trasferimenti di politica agraria, (2005-2008)

Fonte: INEA (2009), “Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”.

- Tabella 5. Spese di politica agraria suddivise per fonti e per Regioni,media

(2002 – 2008).

75 ? INEA (2010), “ Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”, Roma, pag. 70 – 72.

109

Page 110: Tesi

110

Page 111: Tesi

I trasferimenti su base regionale evidenziano, nel periodo che va da 2002

al 2008, un sostegno medio annuale abbastanza simile sia per il Nord

(44% pari a 4.823 miliardi di euro) che per il Sud e le Isole (41,9% pari a

4.606 miliardi), mentre al Centro i trasferimenti hanno un incidenza

minore (14,2% pari a 1.555 miliardi).

- Grafico 8 - Spesa media per trasferimenti di politica agraria suddivise per

circoscrizioni (media 2002-2008)

Fonte: INEA (2009), “Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”.

In estrema sintesi, si rileva un trend decrescente della spesa pubblica per

l’agricoltura. I dati del consolidato evidenziano a livello nazionale, in

conseguenza a politiche di contenimento della spesa pubblica, una

riduzione della spesa, non legata al cofinanziamento comunitario, per il

settore agricolo.

Le Regioni, quindi, sempre più, incontrano importanti vincoli di cassa –

riconducibili al patto di stabilità – e a prevalenti esigenze di spesa, in

particolare quelle relative alla sanità.

2.4 Politiche fiscali di incentivazione

111

Page 112: Tesi

La precedente finanziaria del 2008, in campo agroalimentare, ha

implementato una serie di disposizioni a livello fiscale volte ad

incentivare l’attività delle imprese agricole e alimentari. Sono riportati

qui in basso i principali punti indicanti le agevolazioni fiscali per gli

imprenditori:

1. La soluzione del Contenzioso Cooperative/INPS: viene prevista la

possibilità di rateizzare i contenziosi pagando il 100%, senza sanzioni, in

venti anni e versamento degli interessi legali. Per chi ha già versato,

viene riconosciuto un credito previdenziale del 40% maggiorato degli

interessi legali. E’ una norma che riguarda numerose cooperative

agricole, anche di grandi dimensioni;

2. Agevolazioni per l’acquisizione d’impresa (art. 1 comma 46): viene

prevista un’imposta sostitutiva dell’IRES e dell’IRAP, del 12% per i

maggiori valori da acquisizione fino a 5 milioni di euro, 14% fino a 10

milioni, 16% oltre i 10 milioni: inoltre l’imposta sostituiva è versata

ratealmente.

Si tratta di un significativo incentivo alla concentrazione anche per le

piccole e medie imprese agroalimentari, che può essere di interesse

cooperativo.

3. L’esclusione dall’IRAP dei premi comunitari erogati per la

ristrutturazione del settore bieticolo-saccarifero, insieme a 50 mln di

euro per il 2008; le riconversioni degli stabilimenti sono facilitate;

4. L’applicazione dell’aliquota agevolata IRAP agricola anche alle

cooperative forestali;

5. Lo sviluppo della multifunzionalità agroforestale attraverso

l’applicazione di norme per le cooperative per affidamento di lavori da

parte di enti pubblici ed enti locali.

A proposito del credito d’imposta per l’internazionalizzazione, lo

schema di decreto legislativo approvato recentemente in via preliminare

112

Page 113: Tesi

dal Consiglio dei Ministri, con il quale sono state recepite le richieste

della Commissione europea per rendere operativa la norma, ha reso

l’incentivo molto più favorevole per le imprese cooperative agricole,

eliminando la riduzione ad un terzo del beneficio per tali imprese

prevista dalla finanziaria 2007, in modo che le cooperative agricole

possano beneficiare del credito d’imposta in misura piena.

Con la finanziaria 2007 sono state introdotte importanti misure di

sostegno, rese operative nei mesi scorsi: dalla riduzione del cuneo

fiscale agli incentivi alle imprese recati dal Fondo investimenti del

Ministero dello sviluppo economico, all’incremento del fondo Made in

Italy.

Nel decreto legge “Milleproroghe”, recentemente convertito in legge

31/2008, sono stati destinati 150 milioni di euro al regime di aiuti per

l’agro - industria gestito da ISA Spa, un regime molto gradito dalla

Cooperazione agricola. Inoltre ISA potrà contare su ulteriori risorse

grazie all’incorporazione di Buonitalia spa.

- Grafico 9 – Destinazione spese ISA S.p.a. per settore.)

Fonte: ISA S.p.a. (2009)

113

Page 114: Tesi

Anche questo potrà favorire l’internazionalizzazione delle imprese

cooperative. Con il recente decreto interministeriale sul riordino degli

incentivi del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, poi,

è possibile il rilancio dei contratti di filiera e di distretto, grazie ai fondi

accantonati dal Fondo aree sottoutilizzate per le finalità del settore

agroalimentare.

Si ricorda che la legge finanziaria per il 2007 (n. 296/06), aveva previsto

incentivi fiscali alla internazionalizzazione del sistema agroalimentare.

In particolare, ai commi da 1088 a 1090, viene previsto un credito

d’imposta di un importo pari al 50% del valore degli investimenti in

attività di promozione pubblicitaria realizzati da imprese agricole e

agroalimentari, anche in forma cooperativa, in mercati esteri.

L’agevolazione riguarda gli investimenti realizzati in eccedenza rispetto

alla media di quelli analoghi fatti nei tre periodi di imposta precedenti.

Essa è stata efficace per i periodi d’imposta 2008 e 2009. Sotto il

profilo soggettivo l’incentivo ha riguardato le imprese, anche

cooperative, operanti nel settore agricolo e agroalimentare che, negli

esercizi 2008 e 2009, hanno effettuato investimenti in attività di

promozione e di marketing sui mercati internazionali76.

Per determinare l’ammontare dell’incentivo fiscale occorre confrontare

gli investimenti in attività promozionale su mercati esteri realizzati nel

periodo di imposta e nei due successivi con la media di investimenti

analoghi realizzati nei tre periodi di imposta precedenti.

Pertanto, ai fini della determinazione dell’agevolazione per il periodo d

imposta 2009, la media riguarda gli investimenti effettuati nel periodo

2006-2008.

In ogni caso, il comma 1090 precisa che possono beneficiare

dell’incentivo fiscale alla internazionalizzazione delle imprese agricole e

agroalimentari anche quelle che hanno iniziato l’attività da meno di

tre anni, purché fossero già in attività al primo gennaio 2007.

76 ? www.gazzettaufficiale.it

114

Page 115: Tesi

In tal caso la media da considerare è quella risultante dagli investimenti

effettuati nei periodi di imposta precedenti a quello in corso al primo

gennaio 2008 o 2009. In sostanza per i contribuenti in attività da meno di

tre anni si deve assumere la media facendo riferimento agli anni di

attività precedenti a quello dell’investimento.

Rientrano nella agevolazione le campagne promozionali attuate mediante

comunicazione diretta, quali la stampa, i cartelloni pubblicitari, messaggi

televisivi, le ricette culinarie, l’organizzazione di eventi e di promozione

di fiere, le manifestazioni e varie azioni di comunicazione diretta rivolte

ai consumatori stranieri.

Sono inoltre agevolate le spese sostenute per la locazione e

l’installazione di stand e quelle destinate ai servizi forniti anche da

consulenti esterni. Sono invece non agevolate le spese sostenute per

l’esportazione vera e propria di prodotti agricoli all’estero.

Il credito d’imposta potrà essere utilizzato soltanto in compensazione di

altre imposte o contributi a debito ai sensi dell’articolo 17 del Dlgs n.

241/1997.

In sostanza mediante il credito d’imposta potranno essere non versate le

imposte dirette che risulteranno dalle dichiarazione, l’Iva, l’Irap e i

contribuiti previdenziali dei lavoratori dipendenti o del titolare e

comunque limitatamente alle imprese individuali77.

L’articolo 5 del decreto 24 luglio 2009 dispone che il credito d’imposta

non concorre a formare il reddito ai fini delle imposte dirette e dell’Irap.

Quindi le imprese agroalimentari tassate a bilancio, non dovranno

assoggettare a imposte la sopravvenienza attività corrispondete al credito

d’imposta78.

77 ? www.agricoltura24.com78 ? www.politicheagricole.it/ministero

115

Page 116: Tesi

CAPITOLO 3 - La struttura del sistema agroalimentare siciliano

3.1 Il comparto ortofrutticolo nel sistema agroalimentare della

regione

Prima di introdurre l’analisi del settore agroalimentare siciliano sembra

opportuno indicare la differenza tra agricoltura e industria

agroalimentare. L'agricoltura è l'attività economica che consiste nella

coltivazione di specie vegetali. La finalità principale dell'agricoltura è di

ottenere prodotti dalle piante da utilizzare a scopo alimentare o non, ma

sono possibili anche altre finalità che non prevedano necessariamente

l'asportazione dei prodotti.

Tradizionalmente, nella cultura italiana, l'agricoltura è popolarmente

riferita allo sfruttamento delle risorse vegetali a fini alimentari, mentre lo

sfruttamento delle corrispondenti risorse di origine animale,

l'allevamento, ne è quasi ritenuta antitetica. A fini scientifici e giuridici,

comunque, entrambe le materie sono comunemente riunite nella più

vasta accezione di agricoltura, che abbraccia la coltivazione delle piante

(arboree, erbacee), l'allevamento degli animali e lo sfruttamento delle

foreste.

A differenza della semplice raccolta dei prodotti naturali della terra,

l'agricoltura è una tecnica che interviene modificando i fattori naturali

della produzione vegetale allo scopo di incrementare, in qualità e

quantità, il prodotto. La raccolta, infatti, sfrutta la produzione naturale

del tutto subordinata alle esigenze specifiche delle piante e alle

dinamiche dell'ecosistema senza alcun intervento dell'uomo.

L'agricoltura prevede invece l'intervento dell'uomo nel correggere, a suo

favore, le condizioni intrinseche ed estrinseche che determinano la

produzione vegetale.

116

Page 117: Tesi

L'industria agroalimentare è un settore che si occupa della

trasformazione, della conservazione e della commercializzazione dei

prodotti agricoli e alimentari. La trasformazione agroalimentare consiste

in un processo tecnologico ed economico in grado di creare valore

aggiunto ad un prodotto agricolo. Il prodotto agroalimentare può avere

forma e condizioni diversi rispetto al prodotto agricolo ( materia prima).

L'industria agroalimentare comprende tutte le imprese che operano a

monte o a valle della produzione agricola ed alimentare.

Molte delle imprese agricole e agroindustriali del Sud - Italia affrontano

difficoltà finanziarie rilevanti soprattutto nei rapporti con la grande

distribuzione, la quale si avvantaggia di un potere contrattuale maggiore

rispetto ai produttori, determinando la conseguente perdita di quote di

mercato per le imprese produttrici e/o trasformatrici di prodotti agricoli.

Le principali cause vanno rintracciate nella eccessiva frammentazione

del sistema produttivo meridionale e nelle ridotte dimensioni delle

imprese che operano sia nelle fasi a monte della filiera, sia in quelle più a

valle e poi nella scarsa collaborazione attuata tra i vari imprenditori, che,

ricorrendo all’associazionismo, avrebbero la possibilità di accrescere il

loro potere contrattuale e porsi in maniera più integrata con la grande

distribuzione. Nonostante negli ultimi anni siano aumentate le nuove

denominazioni e marchi di origine, le produzioni meridionali continuano

ad essere prevalentemente “unbranded”.

Il settore primario siciliano è stato da sempre il volano dell’economia

regionale. Tuttavia nell’ultimo decennio la crisi a livello nazionale, che

ha investito il settore dell’agricoltura, ha assunto dimensioni notevoli:

500.000 sono le aziende che in Italia, tra il 2000 e il 2010, hanno chiuso i

battenti. Solo nel 2010, sono state 20 mila le imprese scomparse dal

mercato. Secondo una stima della Cia79, entro il 2013 potrebbero

79 ? www.cia.sicilia.it

117

Page 118: Tesi

chiudere altre 150 mila aziende. Solo in Sicilia, dal 1990 a oggi, gli ettari

coltivati sono passati da 1,6 a 1,25 milioni. Nello stesso periodo, le

imprese agricole siciliane che hanno chiuso i battenti sono state 184

mila. Se nel 1990, c’erano in tutta l’Isola 18 mila allevamenti, oggi sono

circa 7 mila. Gli agricoltori siciliani si trovano schiacciati da un lato

dall’aumento dei costi di produzione, dall’altro dalla contrazione del

valore della produzione. Tra il 2005 e il 2010, la Cia ha calcolato

aumenti del 30 per cento del costo dei fertilizzanti, del 22,4 per i

mangimi e del 7,4 per i carburanti. Più o meno nello stesso periodo, tra il

triennio 2006-2008 e il 2009, secondo l’assessorato regionale

all’Agricoltura, i redditi derivanti dalla coltivazione dei cereali sono

scesi in media del 38 %. Un trend negativo che riguarda quasi tutte le

produzioni: l’olio (-24 per cento), l’uva da vino (-46 per cento), l’uva da

tavola (-25 per cento), le arance (-17 per cento). Crollano anche i redditi

delle produzioni zootecniche, con una riduzione del 41 per cento nel

settore ovi-caprino e del 39 per le carni bovine80.

A conclusione del 2009 l’anagrafe delle imprese siciliane chiude in

pareggio, ma artigianato e agricoltura sono i settori più in difficoltà.

Questo è quanto risulta dall’ultimo studio condotto da Infocamere81, la

società consortile che si occupa di rilevare per ogni trimestre i tassi di

natalità e mortalità che riguardano le imprese italiane.

Gli ultimi dati confermano la tendenza già in atto da tempo e cioè che le

società di capitale stanno crescendo in maniera sostenuta a fronte di una

riduzione progressiva delle ditte individuali. In effetti, è stata proprio la

diversa forma giuridica delle imprese a determinare il crollo di

determinati comparti economici e, per contro, lo sviluppo di altri. Ciò è

chiaramente osservabile nel caso delle imprese che operano nel settore

dell’artigianato e dell’agricoltura la cui componente principale è

costituita dalle ditte individuali o società di persone che stanno subendo i

duri colpi della crisi.

80 ? www.cia.sicilia.it 81 ? www.infocamere.sicilia.it

118

Page 119: Tesi

Molti sono i fattori che concorrono a causare le suddette difficoltà e pare

che il problema non sia tanto la crisi produttiva quanto la scarsità dei

mezzi per commercializzare i prodotti agricoli e artigianali in modo da

renderli competitivi sui mercati nazionali ed esteri. In sostanza, imprese

molto piccole, come nel caso di ditte individuali, mancano di personale

specializzato e hanno una scarsa attitudine all’innovazione.

Altri fattori da considerare sono il difficile rapporto tra imprese di piccole

dimensioni e banche, soprattutto per quanto riguarda l’accesso al credito,

e la necessità di sviluppo dei processi di internazionalizzazione82.

Le imprese meridionali dovrebbero puntare alla differenziazione del

prodotto, enfatizzandone la qualità e il processo di identificazione con il

territorio di origine.I dati ISTAT sull’andamento dell’export testimoniano

che, nonostante la ricchezza di offerta sul mercato internazionale, la forza

di immagine dei prodotti non consente al Mezzogiorno di fare quel salto

competitivo necessario ad instaurare un processo di sviluppo e di crescita

adeguato.

Le imprese agroindustriali del sud hanno mostrato livelli di crescita

economica e dimensionale differenti e non omogenei a causa della

struttura industriale preesistente. Come conseguenza, le politiche di

sviluppo messe in atto dalle varie autorità regionali hanno avuto un

impatto diverso da regione a regione.

Nel caso della Sicilia, le politiche di incentivazione piuttosto che spingere

verso la creazione di forme associative, come è avvenuto in maggior

misura nelle altre regioni meridionali, hanno avuto l’effetto di

incrementare le immobilizzazioni tecniche che hanno inciso sull’aumento

del fatturato medio83.

Il Coreras84 nel corso del 2004 ha condotto un’interessante indagine sulle

82 84 www.infocamere.sicilia.it83 85 Coppola F.S., Capasso S., Ferrara O., (2005) “Il sistema agroalimentare nel Mezzogiorno:le sfide

dell’industria agroalimentare”, Rassegna Economica n° 2, dicembre, Napoli

84 ? www.coreras.it

119

Page 120: Tesi

imprese del comparto agroalimentare siciliano che sono certificate ISO

9001 e ISO 14001 in parte. Il campione di imprese considerato si adatta

bene all’universo complessivo delle aziende agroalimentari siciliane in

quanto molte di queste risultano essere certificate secondo gli standard

internazionali, anche per rispondere meglio a quelle esigenze di sicurezza

alimentare proprie dei consumatori.

Dai risultati dell’indagine è emerso che il settore agroalimentare siciliano,

in linea generale, è costituito da imprese di tipo tradizionale, con una

struttura organizzativa accentrata nella persona dell’imprenditore. Le

forme giuridiche più comuni sono infatti l’impresa individuale e la

società di persone (società semplice o di fatto, società in nome collettivo,

società in accomandita semplice).

Le imprese rilevate che adottano le certificazioni ISO 9001, ISO 14001,

UNI 10939 ed 11020, sono invece prevalentemente (58,3% del totale),

pur con alcune differenziazioni, società di capitale (società per azioni e

società a responsabilità limitata).

Questa peculiarità è indice di un elevato livello di solidità economica ed

organizzativa che consente di far fronte agli impegni economici e

gestionali legati all’acquisizione ed al mantenimento della certificazione.

Le società di capitale si riscontrano in tutti i settori ed in particolare

per le attività più “industrializzate” (vitivinicolo e conserve vegetali e

succhi), mentre sono meno frequenti nelle attività più “agricole” quali

quelle che lavorano il prodotto fresco (agrumi, ortofrutticolo).

Infatti nel settore agrumario la forma giuridica più rappresentata è la

società di persone (50% del totale attività). L’impresa associativa invece

è predominante nel settore ortofrutticolo (45,5% del totale attività),

mentre il settore olivicolo si divide fra l’impresa individuale e la società

di capitale.

Nelle imprese rilevate, risultano occupati a pieno tempo 1.607 addetti, dei

quali 7,9% indipendenti e 91,4% dipendenti, a cui si aggiungono 1.806

stagionali. Il cospicuo numero dei dipendenti lascia intendere che si tratta

120

Page 121: Tesi

di imprese moderne con una struttura organizzativa suddivisa in reparti e

con una attribuzione definita delle competenze e delle responsabilità.

La maggiore presenza di addetti a pieno tempo si riscontra nei settori

lattiero-caseario, vitivinicolo e delle conserve vegetali e succhi, che

insieme ragguagliano il 61,5% del totale addetti.

La gran parte degli stagionali viene assorbita da quei settori in cui le

lavorazioni si concentrano in alcuni periodi dell’anno: infatti il 74,4%

degli stagionali è occupato nell’agrumario fresco e nell’ortofrutticolo,

segue il settore vitivinicolo e delle conserve vegetali e succhi (insieme

19,7%)85.

Le società di capitale assorbono la quasi totalità degli addetti a tempo

pieno: l’analisi per settore economico infatti, mette in evidenza che

soltanto nell’ortofrutticolo e nell’olivicolo si conta una buona percentuale

di impiegati nelle società cooperative (40,2%) e nelle imprese individuali

(34,2%).

I risultati mettono in evidenza che le imprese oggetto dell’indagine sono

per lo più di piccole e medie dimensioni e che le certificazioni volontarie

di sistema e di prodotto hanno una scarsa diffusione tra le imprese di

piccolissime dimensioni (a conduzione familiare, con un numero di

addetti inferiore a 6 e fatturato inferiore a 500 mila euro); le quali,

gravate da vecchi e nuovi adempimenti legislativi, come l’Haccp, il

regolamento 178/2000 sulla tracciabilità ed i più recenti regolamenti sugli

Ogm e sugli allergeni, non sono in grado di affrontare i costi aggiuntivi

derivanti dall’acquisizione e mantenimento di una certificazione

volontaria.

Una conferma della prevalenza della piccola e media dimensione delle

imprese rilevate si ha facendo riferimento alla ripartizione per classe di

fatturato. Risulta che ben il 65 % delle imprese rilevate ha indicato un

85 ? Il Consorzio regionale per la Ricerca Applicata e la Sperimentazione (Coreras), ha condotto questa indagine nel corso del 2004 in collaborazione con l’Assessorato regionale Agricoltura e Foreste della Regione Sicilia.

121

Page 122: Tesi

fatturato compreso tra i 2,5 milioni e i 25 milioni di euro (si tratta

sopratutto di imprese vitivinicole, ortofrutticole ed agrumarie).Le imprese

con un fatturato inferiore ai 2,5 milioni di euro ragguagliano invece il

28,3%: il settore maggiormente rappresentato è quello olivicolo.86

Analizzando altri dati del Coreras, risulta che l’export dei prodotti

agricoli siciliani è calato negli ultimi dieci anni. Flessione che si è acuita

nel biennio 2008-2009 a causa della crisi economica internazionale. Di

contro, dal 2000 a oggi è aumentata l’importazione, e se questo doppio

fenomeno dovesse continuare la bilancia commerciale siciliana andrà in

pareggio, mentre finora è sempre stata in attivo (attualmente per circa 80

milioni di euro).

Secondo i dati elaborati in vari studi dal Coreras87, negli ultimi dieci anni

le esportazioni dei prodotti dell’agricoltura siciliana sono calati del 2,5%

con un segno fortemente negativo dei prodotti dell’industria

agroalimentare (-11%), mentre i prodotti agricoli venduti sfusi hanno

fatto registrare un incremento del 6%.

Al contrario l’import è aumentato del 16% con un balzo del 30% per

quanto riguarda l’industria alimentare. Il biennio della crisi, invece, ha

registrato solo segni negativi sia per l’export (- 17% in totale, con i

prodotti agricoli a - 25% e quelli dell’industria agroalimentare a – 6%)

che per l’import (-9%).

La Sicilia non è una regione dove si può consumare tutto ciò che si

produce, anzi ha una vocazione all’internazionalizzazione: soltanto il

30% dei prodotti può rimanere in Sicilia, il resto dovrebbe andare fuori,

tuttavia oggi solo il 10% supera i confini nazionali.

Nello specifico, il comparto ortofrutticolo, costituisce il punto di forza

di intere aree agricole, rappresentando il 23 % circa del valore della

86 ? www.coreras.it 87 ? www.coreras.it

122

Page 123: Tesi

produzione agricola regionale ai prezzi di base (865.967 milioni di euro,

Istat, media 2000-2006). In Sicilia la vocazione pedo-climatica

rappresenta un vantaggio competitivo soprattutto nelle fasce costiere, sia

per le colture protette sia per quelle di pien’aria, di conseguenza, le

produzioni siciliane possono essere presenti sui mercati interni ed esteri

con un esteso calendario stagionale ed una vasta gamma di produzioni

orto–frutticole. L’orticoltura si sviluppa su una superficie di circa 90.000

ettari (Istat, media 2000-2006), pari al 6% circa della superficie agricola

utilizzata.

In Sicilia, secondo l’ultimo censimento dell’Istat (5° Censimento

Generale dell’Agricoltura - anno 2000), le aziende orticole ammontano a

circa 29.604 con una superficie investita pari a 24.000 ettari, di cui

24.013 operano in pien’aria con una superficie totale di 17.444 ettari e

6.376 in ambiente protetto (quasi esclusivamente in serra) con una

superficie di 6.687 ettari. Si evidenzia una notevole riduzione delle

aziende orticole (-27,6%) e delle superfici investite (-27,3%)88.

La diminuzione del numero delle aziende e delle superfici investite

dovuta probabilmente dall’uscita dal mercato degli operatori più deboli,

lascia tuttavia inalterato il problema della polverizzazione aziendale. Con

il Reg. CE n.1182/2007 (del Consiglio del 26 settembre 2007), pubblicato

nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 17 ottobre 2007, sono state messe in

atto delle strategie al fine di risolvere le problematiche inerenti la

frammentazione aziendale e l’offerta produttiva e tali da favorire la

programmazione, la valorizzazione, la concentrazione e la

commercializzazione della produzione, determinando l’aggregazione

dell’offerta all’interno del settore ortofrutticolo. In Sicilia operano

complessivamente 68 strutture associative (dati aggiornati al 25/05/2007)

di cui: 53 OP (Organizzazioni di Produttori) riconosciute ai sensi dell’art.

11, e 15 Gruppi di produttori riconosciute ai sensi dell’art. 14; delle 68

88 ? www.agrinnovazione.regione.sicilia.it/reti/Orticoltura

123

Page 124: Tesi

associazioni solo 21 operano nel settore degli ortaggi (tutte le altre

trattano quasi esclusivamente agrumi). La quantità di ortaggi concentrata

dagli organismi associativi è modesta e si aggira intorno al milione di

quintali (6% della produzione orticola regionale) destinata quasi

esclusivamente al mercato nazionale.

Il sistema agroindustriale è caratterizzato da una struttura tradizionale

basata su un elevato numero di aziende agricole e di imprese

agroalimentari di modesta dimensione economica così come il sistema

distributivo, che appare frammentato ed economicamente debole. La

Sicilia nel periodo 2000-2006 ha rafforzato la sua posizione

nell’interscambio dei prodotti orticoli freschi mostrando una sensibile

crescita del valore del saldo commerciale (+9%).

Il valore medio annuo del saldo degli ortaggi è stato di circa 102 milioni

di €, ed è costituito soprattutto dal pomodoro che con 83 milioni di €

detiene l’81% del valore delle esportazioni siciliane degli ortaggi.

I volumi di pomodoro esportato ammontano in media all’anno a 56.000

tonnellate, pari al 16% della produzione regionale di pomodoro. Fra gli

altri prodotti, le patate, carote, navoni e barbabietole da insalata che

costituiscono insieme il 17% del saldo ( 16,8 milioni di €). Precocità

e caratteristiche organolettiche sono i requisiti che caratterizzano

l’orticoltura siciliana, ma che, da sole, non sono sempre sufficienti a

mantenere i mercati o a guadagnarne di nuovi, anche in considerazione

del fatto che la domanda è sempre più controllata dalla Grande

Distribuzione e dalla Distribuzione Organizzata89.

Tutto ciò impone la produzione di “prodotti riconoscibili” (Prodotti a

Marchio), ad alto contenuto salutare (Integrato – biologico) e a “percorso

noto” (rintracciabilità). Ad oggi l’orticoltura siciliana può contare

solamente di una attestazione di qualità: il pomodoro di Pachino Igp, per

il quale sono state riconosciute, al 2006, circa 160 aziende produttrici e

89 ? www.agrinnovazione.regione.sicilia.it/reti/Orticoltura

124

Page 125: Tesi

una produzione certificata di 600 tonnellate, mentre sono in corso di

riconoscimento a DOP: il pomodoro, la melanzana e il peperone di

Vittoria

Per quanto riguarda le colture biologiche, dal 2003 sono stati coltivati

1.702 ettari (il 15% della SAU nazionale a biologico) per una

produzione di oltre 41 mila tonnellate (22% della produzione nazionale

biologica), anche se dal 2001 il comparto è in diminuzione la Sicilia

vanta il primato su tutte le altre regioni italiane.

In particolare le colture che incidono maggiormente sulla superficie a

coltivazione biologica risultano: la patata (30%), la carota (19%) e il

melone (17%), mentre sulla produzione risultano: pomodoro (27%),

carota (24%), patata (18%) e cavolo (14%)90.

Il settore orticolo siciliano grazie alla coesistenza di attività di pieno

campo e di attività sotto serra consente di esprimere un mix produttivo

particolarmente ampio che rappresenta un potenziale vantaggio

concorrenziale per l’accesso alla Grande Distribuzione, esigente nel

richiedere forniture puntuali di una vasta gamma di prodotti orticoli per

un arco temporale più lungo possibile.

Negli ultimi anni, attraverso la ricerca scientifica e i tecnici di settore,

sono state perfezionate le tecniche colturali e ridotti i costi  di

manodopera con conseguente incremento della qualità delle produzioni e

delle rese per ettaro .

L’analisi SWOT , riportata di seguito, mette in risalto i punti di forza e di

debolezza, le opportunità e le minacce del settore agroalimentare sicliano.

PUNTI DI FORZA: aree a forte vocazione produttiva; potenziale

idoneità all’export; propensione all’innovazione; buone capacità

professionali nella fase di produzione; produzioni di elevata qualità

suscettibili di riconoscimenti (IGP, DOP); calendario di raccolta molto

esteso; potenziale specializzazione distrettuale. Dal punto di vista della

90 ? www.agrinnovazione.regione.sicilia.it/reti/Orticoltura

125

Page 126: Tesi

struttura della filiera, il pregio e la tipicità dei prodotti siciliani sta

agendo come potente aggregante; attorno ad essi si stanno infatti

costruendo delle realtà che non sono solo caratterizzate dall'alta qualità

del prodotto, ma anche dalla capacità di affrontare il mercato in maniera

efficace e competitiva, cercando di supplire alle debolezze che derivano

della dimensione mediamente piccola della aziende.

PUNTI DI DEBOLEZZA: polverizzazione aziendale; carenza della

produzione, conservazione e miglioramento del materiale di

propagazione; carenza di manodopera specializzata; limitata presenza

di figure manageriali nelle imprese; scarsa differenziazione del prodotto

finito; scarsa organizzazione dell’offerta e difficoltà nella creazione di

consorzi e strutture associative; scarsa integrazione di filiera;

insufficiente valorizzazione dei prodotti a marchio (DOP, IGP). A causa

della polverizzazione aziendale la filiera si trova ad affrontare una serie

di problematiche che dovranno essere affrontate costruendo una rete di

relazioni in grado di sopperire alla mancanza di imprese forti, capaci di

guidare la filiera. Tra questi problematiche:

- l'offerta di prodotti scarsamente concentrata e poco organizzata;

- i costi di produzione elevati a causa delle difficoltà e del ritardo nella

implementazione di tecniche innovative da parte delle imprese,

soprattutto nell'ambito delle coltivazioni in ambiente protetto;

- la carenza di strategie volte a differenziare il prodotto o ad allargare il

proprio mercato verso l'estero, dovuta alla mancanza di imprenditorialità

e di orientamento al mercato;

- lo scarso coordinamento tra le imprese della filiera e la

frammentazione delle politiche sul territorio e delle azioni di marketing

mirate solo su singoli prodotti o aziende91.

91 ? www.resintsicilia.net

126

Page 127: Tesi

OPPORTUNITA’: aumento della domanda nei mercati emergenti;

aumento dei consumi di prodotti di quarta e quinta gamma; crescente

sensibilità dei consumatori per prodotti sani e di qualità; affermazione

dei sistemi di qualità; apprezzamento al consumo dei prodotti

mediterranei e di provenienza siciliana; valorizzazione nell’ambito del

turismo enogastronomico.

Vista la crescente attenzione dei consumatori alla qualità dei prodotti, il

riconosciuto pregio delle produzioni ortofrutticole siciliane offre

già da sé l'opportunità alla filiera siciliana di avere un ruolo di primo

piano nel mercato italiano ed internazionale.

Inoltre la filiera siciliana ha già iniziato ad implementare azioni volte a

rendere i propri prodotti ancora più distinguibili, approfittando delle

norme sulla tutela dei prodotti e della disponibilità di risorse finanziarie

comunitarie, nazionali e regionali. Ma l'eccellenza dei prodotti non è

sufficiente. È infatti necessaria un'altrettanto eccellente struttura

produttiva e di accesso al mercato.

La creazione di consorzi e distretti, che ha caratterizzato l'evoluzione

della filiera ortofrutticola siciliana negli ultimi anni, potrebbe proprio

essere la strada giusta per colmare, attraverso una fitta rete di relazioni,

le carenze dovute alla polverizzazione aziendale.

Attraverso questa rete sarà possibile intraprendere progetti, troppo

complessi e costosi per le singole piccole imprese, volti a

migliorare la produzione, la promozione e la commercializzazione,

anche all'estero, dei prodotti tipici della Sicilia.

Sarà inoltre opportuno puntare ad ottenere un prodotto differenziato e

di altissima qualità, adatto a soddisfare le esigenze di un mercato di

nicchia, così eludendo la concorrenza dei prodotti ortofrutticoli di

bassa qualità e basso prezzo presenti in grande quantità nel mercato dei

prodotti ortofrutticoli92.

92 ? www.resintsicilia.net

127

Page 128: Tesi

RISCHI: accordi multilaterali che favoriscono l’ingresso sul mercato di

prodotti dei paesi extra UE; aumento della concorrenza di prodotti a

basso prezzo provenienti dai paesi emergenti sia sul mercato nazionale

che internazionale; perdita di quote di mercato per il mancato accesso

alla grande distribuzione; impoverimento del patrimonio genetico e delle

produzioni tipiche93.

Tuttora, la scarsa imprenditorialità, la mancanza di una efficace

organizzazione comune, indispensabile soprattutto in un contesto così

frammentario, rischia di disperdere le potenzialità di cui gode la filiera

ortofrutticola siciliana, facendole perdere quote di mercato che saranno

difficili da recuperare in futuro.

Le difficoltà sono acuite dall' aumento della competitività dei

paesi che si affacciano sul Mediterraneo; la pressione dei prodotti

concorrenti potrebbe ridurre i margini di guadagno delle imprese

ortofrutticole siciliane a livelli insostenibili, dati anche gli alti costi di

produzione sostenuti a causa del mancato adeguamento alle innovazioni

tecnologiche.

3.2 Le politiche a favore delle imprese siciliane

Le imprese agroalimentari siciliane, che hanno intrapreso la strada

virtuosa dei marchi volontari, possono fare riferimento ad una serie di

strumenti finanziari messi a disposizione dalle normative comunitarie,

nazionali e regionali. Questi incentivi, dedicati appunto al sostegno

economico di quelle iniziative volte all’acquisizione delle certificazioni

volontarie di sistema e di prodotto, si concretizzano in varie forme dal

contributo in conto capitale a quello in conto interessi, dal credito

d’imposta al bonus fiscale. Accade tuttavia che, visto il carattere

“locale” di alcune di queste iniziative, manchi un quadro di unione

coerente a cui fare riferimento per acquisire informazioni: l’operatore

93 ? www.agrinnovazione.it

128

Page 129: Tesi

rischia, pertanto, di mancare ad importanti opportunità di

finanziamento94. La politica dei governi regionali, nazionali e della

Comunità Europea in questi ultimi anni è stata lontana dall’affrontare le

problematiche dell’agricoltura in generale e di quelle della fascia

trasformata, che va da Pachino e Vittoria a Gela e Licata, in particolare.

Senza un vero progetto agricolo e agroalimentare le istituzioni locali,

regionali, nazionali ed europee, si sono limitate a gestire, di volta in volta,

in modo notarile, interventi tradizionali di emergenza, sponsorizzazioni di

diverse sagre, programmi inconcludenti di valorizzazione dei prodotti

tipici e iniziative sostanzialmente propagandistiche ed elettoralistiche.

Nessun nodo strutturale è stato realmente affrontato; la serricoltura sta

rapidamente morendo, centinaia di imprese agricole falliscono e

chiudono.

Unica politica portata avanti dai governanti è stata quella di tirare la

volata alle grandi imprese che hanno deciso di de-localizzare le

produzioni, di accettare un mercato senza regole che condiziona la vita di

migliaia di piccole imprese contadine ( la formazione del prezzo del

prodotto ortofrutticolo deve essere trasparente e il dumping non può

essere consentito), di una totale assenza di leggi sul credito agevolato alle

piccole imprese contadine. Tra i vari obiettivi da perseguire per le aree

agricole della regione si individuano:

- Potenziamento e riqualificazione delle strutture mercantili dotando di

strumenti operativi, a partire dai regolamenti, le società di gestione mista

pubblico – privata, al fine di avviare la realizzazione di servizi per i

produttori, per i commissionari, per i commercianti e per i consumatori,

certificazione per la tracciabilità, la salubrità e quanto possa servire alla

identificazione del prodotto con il territorio.

- Il sostegno alla Filiera Corta, al fine di favorire il rapporto diretto tra

produttori agricoli e consumatori, attraverso la valorizzazione della

94 ? www.coreras.it

129

Page 130: Tesi

vendita diretta in azienda o in spazi attrezzati dei Comuni; la filiera

corta realizza, a parità di qualità, vantaggi economici sia per il produttore

che per il consumatore.

- Ricerca e formazione che, nella competizione basata sulla qualità del

prodotto e sull’innovazione, rivestono un particolare valore strategico;

- La grande realtà della serricoltura iblea, con prodotti orticoli e floricoli di

grande valore, merita ed esige in tempi rapidissimi un Centro di Ricerca,

altamente qualificato, capace di sostenere e orientare il processo già in

atto di riconversione qualitativa e di innovazione competitiva delle

aziende serricole;

- Occorre conoscere ed analizzare la concorrenza straniera per consentire

la costruzione di strategie mirate, valorizzando le peculiarità dei territori

e cogliendo le opportunità del mercato. Suggerire orientamenti produttivi

in funzione delle dinamiche commerciali e produttive a livello europeo;

- Creare sinergie tra tutti gli attori della filiera produttiva che comincia dai

fornitori di genetica (ditte sementiere) fino ai commercianti, alla GDO

(grande distribuzione organizzata) ai consumatori finali dei nostri

ortaggi. Esiste una legge della Regione Sicilia (17/2004) che prevede

iniziative miranti alla migliore conoscenza del processo di formazione

del prezzo finale di vendita, anche mediante l’apposizione del doppio

prezzo (origine e consumo) e la riattivazione dell’osservatorio regionale

dei prezzi dei prodotti ortofrutticoli;

- Integrare le piccole realtà produttive in un sistema che consenta a queste

aziende stesse, responsabilizzandole, di interagire con il sistema agricolo

produttivo e commerciale, così da competere con concorrenti di

dimensioni e risorse finanziarie maggiori.

- Avviare un profondo processo di riorganizzazione e ristrutturazione degli

enti e degli istituti strumentali della Regione Sicilia per l’agricoltura,

130

Page 131: Tesi

sopprimendo enti come l’ESA, riformando i Consorzi di Bonifica

riducendo il loro numero;

- Dare vita ad iniziative per contrastare la criminalità nelle campagne e

l’infiltrazione mafiosa nelle grandi strutture di commercializzazione.

Per il settore agricolo il POR Sicilia prevede finanziamenti a tasso

agevolato ed a fondo perduto per la commercializzazione dei prodotti

dell’Agricoltura e della Zootecnia. Il POR Agricoltura Sicilia ha per

scopo l’aumento della competitività delle aziende di produzione

alimentare e la commercializzazione dei loro prodotti95. I finanziamenti

alle imprese agroalimentari in Sicilia possono arrivare fino al 90%

dell’investimento complessivo. Vi sono anche finanziamenti agevolati

rivolti ai giovani imprenditori agricoli, che subentrano ad un parente in

un’azienda agricola, per l’acquisto di macchine agricole. È prevista

anche l’incentivazione di quelle attività agricole che attrezzano i propri

fabbricati rurali per la recettività turistica (ospitalità e ristorazione). Vi

sono in arrivo anche finanziamenti a tasso agevolato per scorte,

carburanti e manodopera agricola. La Regione Sicilia ha sempre

riconosciuto all’agricoltura un ruolo fondamentale per l’economia

regionale.

Per le imprese agroalimentari della Sicilia, Invitalia offre un pacchetto

di finanziamenti per gli imprenditori che vogliono avviare l’attività

o che puntano ad inserirsi nella filiera. La L. R. 13/86 prevede

finanziamenti per i conduttori di imprese agrarie e zootecniche in Sicilia.

I prestiti a tasso agevolato per l’agricoltura in Sicilia hanno la durata

massima di 12 mesi ed importi massimi che variano in relazione al

beneficiario e all’annata agricola. Il credito agrario viene erogato

direttamente dalle banche convenzionate con l’Assessorato Regionale

dell’Agricoltura.

95 ? www.regionesicilia.it/Agricolturaeforeste

131

Page 132: Tesi

Nonostante la regione siciliana presenti un’economia caratterizzata da

una realtà agricola molto sviluppata e variegata, a livello industriale e

distributivo rimane fortemente confinata nell’ambito delle piccole

imprese (“filiera spezzata”). Le azioni sulle quali puntare potrebbero

essere quelle di aggredire le problematiche infrastrutturali, migliorando

gli aspetti legati alla logistica; collegare in un ottica di vera filiera la

realtà agricola a quella industriale senza tralasciare l’aspetto

commerciale e distributivo; affrontare il problema della piccola

dimensione con adeguate forme di incentivazione e di formazione

culturale ed imprenditoriale; riorientare le risorse destinate allo sviluppo,

ponendo maggiore attenzione alla ricerca e alla innovazione e infine

puntare maggiormente sui marchi di impresa.

In un contesto competitivo come quello odierno, in cui le spinte alla

globalizzazione e alla interdipendenza dei mercati si fanno sempre più

forti, le imprese meridionali si trovano a dover rispondere con delle

strategie di delocalizzazione, investimenti in nuovi impianti, creazione di

economie di scala ma anche e soprattutto puntare sulle strategie di

commercializzazione internazionale e di marketing. Sono infatti le

grandi reti commerciali che consentiranno alle imprese di ottenere la

necessaria presenza sullo scenario internazionale e l’incremento delle

vendite.

La tempesta finanziaria mondiale degli ultimi due – tre anni, con la

conseguente caduta della domanda e dei prezzi dei prodotti alimentari,

ha ulteriormente aggravato la situazione di crisi che attanaglia

l’agricoltura siciliana da oltre un decennio. Diverse sono le cause esterne

alla regione, come diverse sono le cause interne, anche se riconducibili

ad un’unica essenza.

Delle prime, costituendo variabili indipendenti, bastino solo pochi cenni

tematici: la globalizzazione dei mercati, con sempre minori vincoli e

protezione e con aumento esponenziale della competitività fra imprese e

132

Page 133: Tesi

fra paesi, quale conseguenza della evoluzione delle politiche

internazionali; la profonda modifica della PAC, che da un forte

sostegno ai prezzi dei prodotti ed a pesanti interventi di mercato è

passata al pagamento unico aziendale ed alla piena libertà

imprenditoriale; la profonda e diversificata evoluzione della domanda

alimentare, in modo speciale nei paesi ad economia avanzata, che ha

provocato il mutamento negli stili di vita e di consumo e la richiesta

sempre più esigente di sicurezza, qualità, trasparenza di informazione.

In questo contesto risulta competitivo il paese, il territorio, l’impresa che

realizza sul mercato una gestione razionale e d’insieme degli

approvvigionamenti a partire dal processo di produzione agricola, a

seguire con la trasformazione agroalimentare, la commercializzazione e

la distribuzione alimentare, fino ad arrivare al mercato finale, dove

impera il consumatore, soggetto principe i cui bisogni e convinzioni

sono da soddisfare.

I fenomeni appena accennati negli ultimi 25-30 anni hanno determinato

un profondo cambiamento (complessità) nei rapporti fra settori e fra

imprese e contemporaneamente una più forte interrelazione fra essi.

Diventa così prevalente la funzione della distribuzione moderna, la

quale per soddisfare la domanda del consumatore, abbisogna di prodotti

confezionati ed etichettati, rilevanti nelle quantità, differenziati nella

gamma tipologica, di qualità costante e garantita, consegnati con

puntualità e con calendario piuttosto ampio.

Ne deriva un approccio fra le imprese della filiera opposto alla logica

neoclassica o tradizionale di domanda/offerta, basata su politiche

orientate al prodotto, ovvero quasi esclusivamente alle sue caratteristiche

tecniche, e si affermano sempre più, nei rapporti produttivi e

commerciali, politiche di impresa definite in rapporto ai bisogni dei

consumatori ed all’interno della catena del valore al fine di soddisfare il

consumatore96.

96 ? www.PSRsicilia.it

133

Page 134: Tesi

Sono dunque ormai i settori agricolo e industriale, o per meglio dire

l’impresa agricola e l’industria agroalimentare, a dover rapportarsi ed

adeguarsi alle esigenze delle imprese distributive, le quali per effetto

della globalizzazione diventano sempre più società multinazionali. E non

il viceversa come avveniva qualche decennio fa.

In definitiva nel corso dei passati decenni si è modificata l’impostazione

strutturale ed organizzativa del settore agricolo trasformandolo in

sistema agroalimentare, dove risulta ampliata non solo la rete delle

relazioni con il mercato, ma anche con quella dei servizi e con altre

attività territoriali.

Le strutture, l’organizzazione e le modalità comportamentali e

strategiche delle imprese agricole, agroalimentari ed alimentari per stare

sul mercato sono ormai quelle dettate dalle politiche di marketing.

E’ questo dunque il contesto di riferimento per l’agricoltura e

l’agroalimentare della Sicilia. Per cui, al fine di individuare le cause

interne della crisi profonda in cui versa, è da chiedersi: l’operatività del

settore agricolo e del sistema agroalimentare regionale è coerente in

termini strutturali, organizzativi, gestionali, culturali al contesto

produttivo, competitivo, distributivo e della domanda al consumo

(senza riferimenti territoriali) ? O più esplicitamente e precisamente,

l’offerta agroalimentare siciliana (e per conseguenza tutto il suo sistema

a monte) è coerente con la domanda espressa dal/i segmento/i di mercato

(target) a cui potenzialmente i suoi prodotti agricoli sono destinati, per

caratteristiche genetiche delle specie e varietà coltivate, per

caratteristiche pedo -climatiche degli ambienti in cui sono coltivati, per

le vicende storiche e culturali vissute nella molteplicità dei secoli dalle

popolazioni e dai territori dell’isola? Nel mondo globalizzato la

destinazione dei suoi prodotti è il target che si colloca nella fascia medio

alta del reddito dei consumatori?

Secondo la organizzazione dei processi produttivi e di filiera si possono

inoltre distinguere due diverse tipologie d’agricoltura:

1) L’agricoltura tradizionale che limita il processo alla produzione di

derrate agricole di massa, destinate al mercato regionale e nazionale ed a

consumatori a reddito medio basso; adotta nei processi anche tecnologie

134

Page 135: Tesi

industrialmente moderne per la produzione e per la difesa del prodotto,

ma non estende questi processi, in tecnologia e soprattutto in

organizzazione, fino alla fase finale del prodotto finito in modo che

possa minimizzare il costo totale di filiera; non ha dimensioni di offerta

dell’impresa tali da operare nei canali commerciali corti (produzione-

grande dettaglio) e pertanto opera nei canali commerciali lunghi

(produzione - intermediazione- dettaglio).

Questa condizione comporta elevati costi di transazione e pertanto

elevati costi di filiera che allargano il differenziale prezzi alla

produzione-prezzi al dettaglio; non ha la capacità di valorizzare il grande

patrimonio genetico di prodotti tipici, tradizionali, storici, ecc. che

l’ambiente naturale, la storia e la civiltà millenaria del mediterraneo

hanno nei secoli accumulato, ma piuttosto tende a disperderlo

introducendo specie e varietà (in tutti i comparti produttivi)

sostitutive, non sempre esprimenti le specificità che derivano

dall’ambiente pedo-climatico, territoriale, paesaggistico e dalla storicità

dei beni culturali ed enogastronomici.

Questa Sicilia agricola tradizionale rappresenta la parte preponderante

della produzione: in quantità l’85-90%, in valore il 70-75% della

produzione agricola di base. La struttura produttiva è costituita

dall’azienda agricola individuale, condotta da agricoltori in età avanzata.

Solo in alcuni comparti (specialmente il vitivinicolo) si riscontra

l’organizzazione associativa, che però (fatte poche e talvolta importanti

eccezioni) adotta processi di lavorazione che si limitano alle prime fasi

della trasformazione industriale e/o del commercio; e pertanto, pur

concentrando l’offerta del prodotto primario, non opera nei mercati esteri

e non adotta politiche di qualità e di marketing.

Questa agricoltura ha presenza quasi esclusiva sui mercati regionale e

nazionale di massa, affollati da competitors (anche stranieri, persino nei

comparti tradizionali per la Sicilia, come quelli ortofrutticolo e

135

Page 136: Tesi

agrumario) più forti ed efficienti nella fase commerciale e nei rapporti

con la grande distribuzione organizzata (GDO)97.

In questa agricoltura le crisi economiche e di mercato sono divenute

ormai ricorrenti, sia nei comparti che fino a poco tempo fa erano il fiore

all’occhiello della sicilianità (come il comparto serricolo), sia nei

comparti oggi emergenti (come quello vitivinicolo).

Questa è la Sicilia agricola che, per sopravvivere, necessariamente ha

dovuto basare la sua operatività sugli aiuti regionali e comunitari previsti

dalle politiche agricole e dalle organizzazioni comuni di mercato (OCM)

sui prodotti. E che non è stata capace dopo quattro generazioni di

politiche comunitarie strutturali di modificare la sua struttura fisica, la

sua struttura giuridica e soprattutto l’organizzazione e l’assetto

produttivo nel passaggio epocale da agricoltura-settore ad

agroalimentare-sistema, che invece ha caratterizzato i paesi ad economia

sviluppata dell’Europa negli ultimi trent’anni.

2) L’agricoltura moderna ed orientata al marketing che organizza

processi di filiera fino alla realizzazione del prodotto confezionato,

spesso certificato, per il consumatore e per segmenti di mercato a reddito

medio alto; ha dimensioni di offerta o immette nel mercato prodotti di

qualità tali da operare nei canali corti (produzione confezionata - grande

distribuzione organizzata) e/o direttamente nei canali HORECA (in

diverse tipologie di ristorazione e catering); ha come mercati di

riferimento quello nazionale e per quote anche rilevanti quelli esteri

(area industrializzata dell’Europa, del Nord America, del Giappone e

paesi emergenti del Sud Est asiatico, Russia e recentemente anche Cina

ed India); realizza prodotti di qualità e valorizza i prodotti tipici,

tradizionali, storici, ecc.; valorizza con la multifunzionalità i beni

ambientali e culturali, l’artigianato, il turismo enogastronomico,

l’agriturismo ed in definitiva la linea slow food dei sapori e dei saperi.

97 ? www.PSRsicilia.it

136

Page 137: Tesi

Questa Sicilia agroalimentare rappresenta in quantità il 10- 15% ed in

valore il 25- 30% della produzione agricola di base. In questi quantità

e valore di prodotti confezionati per il consumatore sono compresi i

prodotti di qualità, tipici con o senza denominazione riconosciuta

(DOP, IGP, DOC, DOCG, IGT), storici, tradizionali, biologici, con o

senza marchio collettivo, con o senza certificazione di qualità.

La struttura produttiva è costituita dall’impresa agroalimentare con

diverse forme giuridiche: individuale (in prevalenza), associata, società

di capitali, ecc.; applica, seppur a diversi gradi, politiche e strategie di

marketing perché mirate a soddisfare la domanda del consumatore

moderno in diversi segmenti del mercato nazionale ed in parte

consistente del mercato estero.

La sua capacità competitiva si può considerare (seppur a diversi gradi)

elevata sia per la organizzazione dei processi e per i rapporti con i

buyers, sia per la specificità delle produzioni siciliane (vino, olio, arancia

rossa, orticoli di qualità e di gusto, pistacchio, formaggi e latticini,

conserve alimentari, ecc.), che nel segmento di mercato differenziato e

specifico assumono caratterizzazioni di concorrenza monopolistica.

In questa Sicilia agricola le crisi economiche e di mercato o non si

verificano o sono sopportabili; i successi di fatturato e di profitto portano

le imprese continuamente ad ampliarsi e/o ad innovarsi, utilizzando con

efficacia le opportunità (risorse finanziarie e servizi) regionali, nazionali

ed europee. Molte di queste imprese agroalimentari sono sorte e/o

evolute per l’intraprendenza di giovani imprenditori e/o professionisti

(anche donne), il cui successo ha fatto da richiamo agli imprenditori di

altre regioni italiane o a personaggi dello spettacolo specialmente nel

comparto vitivinicolo.

Il fattore differenziale fra queste due agricolture è costituito dal

capitale umano, ossia dalla cultura professionale e dalla capacità

innovativa dei soggetti che gestiscono ed operano nell’impresa, nella

ricerca, nelle istituzioni pubbliche, nel territorio.

137

Page 138: Tesi

Ed è dalla qualità del capitale umano che dipende la capacità di fare

impresa e di avere rapporti con il mercato moderno, di produrre e di

adottare le innovazioni, di supportare con azioni, servizi e politiche le

imprese nel contesto del mercato e nei rapporti con la società, di

salvaguardare e valorizzare l’ambiente ed il territorio per la qualità della

vita della collettività e quale plus per la produzione alimentare.

La crisi strutturale ed economica riscontrabile in tutti i comparti

dell’agricoltura regionale ha dunque come causa primordiale il

lentissimo passaggio evolutivo da agricoltura - settore ad agroalimentare

- sistema. La lentezza di questo passaggio è direttamente proporzionale

alla velocità di evoluzione spontanea della cultura professionale degli

operatori del sistema (agricoltori, imprenditori, manager, maestranze,

operai, tecnici, funzionari pubblici, ecc.).

Non si spiega diversamente, se non con questa lentezza di evoluzione

spontanea della cultura professionale, il fenomeno degli enormi ritardi

nella realizzazione dei progetti d’investimento previsti almeno dal 2000

ad oggi dalle misure POR, dai PIT, dai Patti Territoriali, dai Contratti di

Programma, dagli APQ, che coinvolge in un insieme i programmatori

nell’elaborare processi di sviluppo reali e moderni, gli imprenditori

nell’individuare in quest’ambito le idee progettuali produttive, i tecnici

nel dare corpo progettuale all’idea, i funzionari pubblici nell’istruire e

nel controllare la realizzazione del progetto.

E’ la mancanza di scienza e conoscenza a creare inefficienza nel sistema

del sostegno allo sviluppo e non (almeno spesso) la carenza di risorse

finanziarie, se addirittura non si riesce a spendere nei tempi tecnici

necessari neppure quelle disponibili.

L’Agenda di Lisbona ha indicato come obiettivi dello sviluppo la qualità

e la competitività. Questi termini per avere significato operativo

abbisognano di interventi mirati al miglioramento ed alla evoluzione

della cultura professionale (bene pubblico) non facilmente producibile

e/o reperibile sul mercato delle professioni perché abbisogna di un

138

Page 139: Tesi

processo lungo nel tempo e diffuso nel territorio, le cui determinanti

sono: ricerca e sperimentazione, assistenza tecnica ed organizzativa,

divulgazione, formazione professionale ed imprenditoriale. Il prodotto

della cultura professionale moderna è l’innovazione (continua, dinamica,

interagente) di processo, di prodotto, di organizzazione, di norme,

regole, di cultura tecnica, informatica, logistica, imprenditoriale

capace di superare tutti i gap del territorio, come appunto dimostrano

le imprese nazionali ed estere che in gran copia approvvigionano il

mercato alimentare al dettaglio della Sicilia, specialmente nella sua

forma GDO98.

Al centro del sistema c’è dunque l’impresa orientata al marketing (non

l’azienda agricola), che ha capacità d’investimento strutturale e

produttivo per il consumatore moderno (target-obiettivo) e per il

cittadino fruitore delle risorse territoriali ed ambientali. L’impresa

agroalimentare orientata al marketing richiede e valorizza il lavoro

tecnico ed intellettuale, specialistico e professionale, richiede e produce

innovazioni, crea e cura rapporti e legami con i mercati finali al consumo

nazionale ed estero, con il territorio naturale, agrario, urbano, con le

attività extra agricole (artigianato, beni culturali e turismo).

Purtroppo occorre constatare che stiamo vivendo anni in cui la politica

non approfondisce i temi dello sviluppo, insistendo spesso più sulle

formulazioni che sull’essenza dei processi, e nell’affrontare le

problematiche emergenti e le crisi strutturali sembra limitarsi agli aspetti

fisici, dato che gli interventi sono rivolti quasi sempre agli investimenti

materiali, mentre l’impegno a migliorare con l’Alta Formazione il

capitale umano è flebile o insufficiente sia a livello regionale che

nazionale. L’occasione per modificare incisivamente al meglio l’attuale

situazione nell’agroalimentare regionale è data dalla prossima riforma

della PAC; nel calendario politico amministrativo di Bruxelles ne è

prevista l’approvazione nel 2012 e l’entrata in vigore con il 2013.

98 ? www.PSRsicilia.it

139

Page 140: Tesi

3.3 Analisi di un caso: la Società Agricola Monterosso

Un interessante caso aziendale di internazionalizzazione commerciale di

prodotti agroalimentari è quello della Società Agricola Monterosso.

L’impresa, con sede a Chiaramonte in provincia di Ragusa, si occupa

di trasformazione di prodotti della filiera agricola per renderli

direttamente fruibili ai consumatori finali.

L’azienda nasce come produttrice di semilavorati per conto di grosse

aziende italiane per poi evolversi producendo prodotti finiti da destinare

direttamente al consumatore.

Oggi l’Azienda produce in minima parte semilavorati per altre

aziende e si è specializzata nella produzione e commercializzazione, in

vari modi, del pomodorino ( ciliegino ), attività in cui sono adesso i

leader mondiali.

Fra i prodotti che l’azienda produce troviamo sul mercato la salsa pronta

di ciliegino (confezionata nella tradizionale e caratteristica bottiglia di

birra in vetro scuro), salsa al piccantino, crema di carciofi, crema di olive

e confezioni di pomodorino semisecco.

L’Azienda fornisce prodotti ai grandi marchi della distribuzione come

Esselunga, Conad, Sisa, Sidis, Despar e a tutta la GDO in genere. Il core

business dell’azienda si basa essenzialmente sulla produzione della

famosa salsa di ciliegino imbottigliata nelle classiche confezioni in vetro

da 330ml.

L’azienda ha anche una propria produzione di ciliegino oltre che la

diretta fornitura su base locale. Iniziamo ad analizzare da vicino la storia,

la struttura e l’evoluzione della Società Agricola Monterosso.

Alla base dello sviluppo dell’azienda c’è l’impegno di 2 generazioni

della famiglia Arestia. Dalla metà degli anni 70 ad oggi ogni

componente della famiglia ha messo la propria dedizione e la propria

creatività al servizio dell’impresa.

- Figura 1- Stabilimento dell’azienda (Chiaramonte Gulfi – RG)

140

Page 141: Tesi

Fonte:

Fonte: www.agromonte.it

Alle origini c’è stata l’intuizione di conservare gli ortaggi, soprattutto

peperoni, in salamoia. In seguito poi all’exploit della coltivazione in

ambiente protetto (serre) del pomodorino ciliegino e del pomodoro a

grappolo, la famiglia Arestia ha voluto andare ben oltre sperimentando la

parziale essicazione dei prodotti e la relativa conservazione in olio. Il

risultato è che oggi la Società Agricola Monterosso è leader nella

produzione del Pomodorino Ciliegino e del Pomodoro semisecco.

L’azienda si trova nel comune di Chiaramonte Gulfi, area a forte

connotazione agricola, essa si espande su una superficie coperta di 4.500

mq all’interno della quale tecnologiche attrezzature e sapienti maestri

danno vita alla gamma Agromonte.

Con un organico di 100 dipendenti tra fissi e stagonali, la società

Monterosso si è posta tra gli obiettivi da raggiungere nel 2011

l’ampliamento delle quote di mercato estero inserendo il proprio

prodotto nella GDO estera. Attualmente l’azienda è presente sul mercato

141

Page 142: Tesi

estero ma con il proprio marchio collegato ai marchi dei gruppi di

riferimento presenti in tutto il mondo .

- Figura 2. Salsa di ciliegino in bottiglia di vetro da 330 ml.

Fonte: www.agromonte.it

L’intenzione è quella di passare alla distribuzione diretta con il

proprio marchio, ma senza per questo abbandonare le attività odierne con

i grossisti e di catering. La Società Agricola Monterosso lega il proprio

nome alla qualità e alla genuinità per garantire un eccellente servizio ai

consumatori. La mission è “permettere alle persone di assaporare i

prodotti della nostra terra, sapientemente preparati a regola d’arte

secondo le ricette tradizionali”. Una costante ricerca delle migliori

materie prime disponibili tutto l’anno. Lo scrupoloso controllo della

filiera ci permette di mantenere alti gli standard qualitativi.

La politica della qualità si traduce quotidianamente in un’accurata

selezione della materia prima disponibile tutto l’anno grazie alla

coltivazione in ambiente protetto. L’azienda, certificata B.R.C. e con 

142

Page 143: Tesi

sistema I.F.S., segue un rigoroso piano di auto controllo igienico

sanitario seguendo il sistema HACCP, redatto da tecnici specializzati.

Il BRC (British Retail Consortium, l’insieme delle organizzazioni che

rappresenta gli interessi degli operatori della Grande Distribuzione in

Gran Bretagna) ha pubblicato lo standard BRC, che stabilisce i requisiti

minimi di standard igienici negli stabilimenti di lavorazione dei prodotti

alimentari. Lo standard nasce perciò con lo scopo di uniformare e

mettere in comune i criteri a fronte dei quali le organizzazioni della

Grande Distribuzione e/o gli organismi di certificazioni accreditati

effettuano le verifiche di conformità dei fornitori.

Lo standard si adatta a qualsiasi realtà produttiva senza vincoli di

prodotto o del  paese in cui avviene la lavorazione. La rispondenza ai

requisiti dello standard non è un requisito legale ma è fortemente

raccomandata dagli operatori della Grande distribuzione inglese. La

società Agricola Monterosso, anche in virtù della sua massiccia

presenza nei mercati della grande distribuzione inglese, ha ritenuto di

prioritaria importanza conseguire questo tipo di certificazione, a

dimostrazione della grande attenzione per la qualità e la soddisfazione

del cliente – consumatore. Lo stesso principio ispiratore venne adottato

dal BDH (l’associazione che rappresenta gli interessi degli operatori

della Grande distribuzione tedesca) che ha emesso lo standard IFS

(International Food Standard).

L’azienda, che dal 2008 al 2010 è passata da un fatturato di 4 a 6 milioni

di euro, risulta essere leader per la produzione di Pomodori Ciliegino

tipo e Pomodori semisecchi, prodotti del tutto innovativi nel panorama

delle specialità del pomodoro. Agromonte, marchio da anni specializzato

in tale produzione, vanta un’esperienza pluriennale nel settore agro-

alimentare. Occupando un ruolo di leadership in Italia per la qualità e la

genuinità dei prodotti, la gamma Agromonte comprende: specialità,

bruschette, grigliati, pesti, sottolio, spalambili.

143

Page 144: Tesi

I prodotti Agromonte, tutti certificati e garantiti, sono vanto ed

espressione del made in Sicily; tanti prodotti buoni e gustosi, ideali per

condire primi piatti o per guarnire sfiziosi contorni.

I prodotti a marchio Agromonte, rigorosamente siciliani, richiesti e

apprezzati in tutto il mondo hanno una risonanza a livello globale.

Agromonte è un marchio di prodotti genuini selezionati e

successivamente lavorati utilizzando metodi tradizionali. Il vantaggio

competitivo della società è costituito dal fatto di essere i soli, o quasi, a

produrre un prodotto tipico della zona: la salsa di ciliegino. A tale

vantaggio si accompagna una strategia di diversificazione del portafoglio

prodotti, che vanno dal ciliegino semisecco ai prodotti spalmabili, dai

sott’oli ai grigliati sottaceto come accennato prima.

La struttura dell’impresa si è evoluta nel corso del tempo mantenendo

sempre la tipica tradizione familiare integrata però con un organico più

ampio e comprendente le varie figure manageriali ai vari livelli

direzionali, fondamentali per il funzionamento dell’impresa. L’azienda è

dotata di un Presidente, di un Amministratore Delegato, di un direttore

vendite per la vendita in Italia e un direttore vendite per le esportazioni,

una sezione produzione, sezione acquisti, personale e consulenti per la

parte finanziaria. I principali ruoli dirigenziali sono occupati dalla

famiglia del titolare. Il reparto della produzione è quello con il maggior

numero di addetti tra capireparto e operai che si occupano delle varie fasi

di analisi del prodotto (ciliegino e non solo) in entrata, la verifica delle

caratteristiche del prodotto, la prima lavorazione, quindi il successivo

imbottigliamento della salsa.

Gli altri settori dell’ azienda comprendono il responsabile della

qualità,di fondamentale importanza per garantire la sicurezza al

consumatore, il direttore dell’area commerciale che si occupa della

gestione delle vendite, del pricing, della proposta del prodotto in nuove

aree geografiche, dell’analisi delle quote di mercato, nonché delle

politiche di marketing e di comunicazione del prodotto.

144

Page 145: Tesi

Si aggiungono a tali figure il responsabile amministrativo e il

responsabile della logisitca e del magazzino, il quale si occupa della

gestione delle scorte e della ottimizzazione dei flussi logistici di

trasporto sia in entrata (materia prima da lavorare), sia un uscita ( out –

put da esportare nelle piattaforme sia italiane che estere per conto dei

grossisti – distributori).

Il prodotto utilizzato per fare la salsa è il ciliegino proveniente

esclusivamente dalle coltivazioni locali e anche dalla produzione che

avviene direttamente a livello aziendale che per l’appunto gestisce ettari

di coltivazioni.

Questo è senza dubbio un importante punto di forza poiché consente

all’azienda di utilizzare un prodotto sempre fresco e facile da

reperire, ottenibile con prezzi vantaggiosi dal mercato locale grazie ai

buoni rapporti con i fornitori che l’azienda è in grado di gestire e grazie

ai bassissimi costi di trasporto. Il rapporto con i fornitori si sviluppa nel

contesto del noto mercato ortofrutticolo di Vittoria, bacino di utenza di

centinaia di rivenditori di prodotti agro – alimentari, crocevia di

commercianti e grossisti del mondo dell’ortofrutta non solo siciliano.

Il pomodoro in arrivo alla fabbrica viene stoccato in cella o nel piazzale

coperto in funzione del tempo medio di attesa. Le cassette con il

pomodoro sono rovesciate manualmente sul nastro di cernita, dove

alcune operatrici provvedono all’operazione di sgrappolatura e

depicciolatura del prodotto, nonché ad una sua cernita qualitativa. Il

pomodoro cernito viene posto nella vasca di lavaggio, dove viene lavato

con il sistema del borbottaggio. Il prodotto lavato viene scottato in acqua

calda per un periodo variabile.

L’operazione di scottatura, oltre a bonificare il prodotto dal punto di

vista batteriologico, rende più morbidi i tessuti e crea sulla pelle della

bacca delle lacerazioni che in un secondo tempo favoriranno la

fuoriuscita del siero.

145

Page 146: Tesi

Il prodotto scottato viene poi trattato in passatrice ottenendo succo e

scarti rappresentati da bucce e semi. Il succo dopo un momentaneo

stoccaggio è fatto affluire alla pentola di cottura dove si assiste alla

miscelazione con olio e altri aromi.

Si procede quindi alla fase di concentrazione del prodotto che ha una

durata variabile in funzione del grado brix che si vuole ottenere nel

prodotto finito (9/10 gradi brix). Una volta pronta la salsa viene pompata

nel serbatoio isolato posto sopra la dosatrice che riempirà a 90°C i vasi.

Il vaso pieno viene quindi tappato e pastorizzato nelle apposite vasche.

I tempi di pastorizzazione sono di circa 10 minuti a 85°C, terminati i

quali si procederà al raffreddamento sino a raggiungere i 40/45 gradi al

cuore. Il vaso verrà lavato, poi asciugato ed etichettato. Sull’etichetta

vengono stampati il lotto e la data di scadenza. I vasi vengono quindi

confezionati in termo-pack e posti su bancali pronti per la spedizione.

L’azienda è fortemente orientata al consumatore ed ai bisogni da questo

espressi, e alla creazione di una clientela fidelizzata. Obiettivo infatti è

quello di acquisire sempre nuove fasce di clienti, anche in ambiti

geografici diversi da quelli abituali in cui il prodotto potrebbe avere una

risonanza ancora maggiore viste le differenti abitudini alimentari che

esistono tra un paese e un altro e vista anche la tendenza di configurare

la dieta mediterranea come quella più seguita per i vantaggi che apporta.

Proponendo il prodotto attraverso fiere e degustazioni si consente ai

potenziali clienti di poter testare il prodotto direttamente cogliendone le

sue qualità; allo stesso tempo l’azienda cerca di mantenere i clienti di

sempre proponendo anche nuovi prodotti (custode acquisition e

custode retention).

- Figura 3 – Strategia di orientamento al cliente (acquisizione e fidelizzazione)

146

Page 147: Tesi

Fonte: www.agromonte.it

Le numerose certificazioni sono un importante segnale di

riconoscimento di qualità del prodotto che consentono all’azienda di

conquistare anche quelle fasce di mercato più esigenti e attente alla

qualità e sicurezza del prodotto.

L’azienda ha partecipato al Piano Qualità Farm formando il personale

sui temi della Comunicazione, del lavoro di Squadra e del Marketing,

mettendo 15 dipendenti in formazione.

Dai dati elaborati si registra un buon rapporto con le risorse umane

dell’azienda, la passione per il lavoro viene motivata grazie al

riconoscimento dei meriti dei lavoratori a tutti i livelli e ad un adeguato

rapporto salario-competenze. La cultura aziendale si rispecchia nel motto

“l’azienda è di tutti e siamo tutti importanti”.

I dati risultanti dall’orientamento ci danno conferma che l’azienda sta

attraversando una fase di cambiamento sia strutturale (impianti e forme

di energia alternative) che organizzativo . Rispetto l’items “Ci sono

riunioni periodiche di verifica dell’azienda”, il risultato delle percentuali

si attesta con un 50% che dichiara “per niente” e il restante 50% che

afferma “poco”.

Si tratta sicuramente di un dato che va posto in rilievo per quanto

concerne l’aspetto della comunicazione interna aziendale, nonché i

momenti di condivisione dei processi operativi e organizzativi. Tuttavia

tale risultato va visto e interpretato alla luce dei risultati degli items

ricadenti in questa area: per esempio alla domanda “Accetto facilmente i

147

Page 148: Tesi

cambiamenti” è da notare come il 67% risponde “abbastanza” e un buon

33% risponde “poco”.

La scarsa o insufficiente frequenza di incontri interni, frena il processo

di comunicazione e condivisione delle informazioni rendendo la

posizione del lavoratore meno flessibile rispetto processi di

cambiamenti, tuttavia il risultato degli items registra una situazione di

propensione dei lavoratori ad eventuali fasi di riorganizzazione.

Se andiamo ad analizzare i successivi items “ Mi stimola affrontare

nuovi incarichi” e “ Conosco il percorso di crescita professionale”,

risulta una ottima propensione alla crescita professionale nonché il

riconoscimento della vision e mission aziendale, per tali ragioni i

lavoratori richiedono quindi maggiori opportunità di verifiche e incontri

interni.

L’Item inerente la soddisfazione professionale, dai risultati prodotti, fa

emergere un buon grado di soddisfazione di ciascun lavoratore

(l’83 % si dichiara abbastanza soddisfatto) e proseguendo col successivo

item “la mia vita personale è bilanciata con quella professionale” fa

emergere sicuramente un clima generale di soddisfazione, elemento

determinante per la produzione e produttività dell’azienda.

Si registra un forte clima di collaborazione e propensione a lavorare in

gruppo. La propensione ad aiutare a inserirsi nell’ambiente viene

confermata infatti dalle seguenti percentuali: il 50% risponde “molto”,

mentre il restante 50% risponde “abbastanza”. La capacità di

comunicazione è fondamentale per muoversi a proprio agio in un

ambiente di lavoro in cui le relazioni con i colleghi e con gli altri settori

possono risultare determinanti. Saper collaborare e, quindi, saper

spiegare agli altri le nostre richieste, è fondamentale sia

nell'organizzazione del lavoro interna che nei rapporti con i clienti.

148

Page 149: Tesi

Passando ad analizzare l’ambiente competitivo, il contesto geografico di

riferimento permette di poter identificare una vasta gamma di

concorrenti. Tuttavia non possiamo dire che si tratti propriamente di

concorrenti diretti quanto piuttosto di potenziali entranti. Premettendo

che una effettiva concorrenza non esiste , in quanto le caratteristiche del

prodotto “ Salsa di ciliegino” sono uniche, possiamo ravvisare dei

potenziali entranti nel business di riferimento considerando soprattutto

le imprese operanti nel contesto siciliano che producono prodotti simili

e che effettuano esportazioni all’estero.

L’azienda Ottagono s.r.l. rappresenta in primis uno dei potenziali

concorrenti in quanto la gamma prodotti “Siciliano” potrebbero insidiare

le quote di mercato dell’azienda Monterosso. I prodotti “Siciliano”sono

il risultato di ricerche condotte nell’ambito di un progetto comunitario

(azione 7.1 del PRAI - Programma Regionale di Azioni Innovative -

Innovazione Sicilia FESR 2000 - 2006 - Progetti innovativi e Reti di

cooperazione), sviluppato grazie alla costituzione di una ATS

(Associazione Temporanea di Scopo) formata da una rete di

cooperazione, la “Rete Ottagono”.

Quest'ultima prende il nome dal numero di entità presenti nel corso del

suddetto progetto: sei aziende ortofrutticole siciliane, un ente di ricerca

di Palermo ed uno studio di consulenze di Ragusa che ha coordinato le

attività.

La ricerca vera e propria si è sviluppata ad Ispica (RG), dove la Rete

Ottagono ha allestito un laboratorio pilota, diretto da un Tecnologo

Alimentare, per sviluppare innovazione di prodotto e di processo tramite

la trasformazione di ortofrutticoli freschi forniti dalle aziende della rete.

In un anno di ricerche sono stati elaborati quasi 500 prodotti

innovativi per originalità e tecnologie produttive, al punto da rendere

tale lavoro uno dei migliori quaranta progetti analoghi avviati in Europa.

Anche i risultati ottenuti dalle varie prove di degustazione, effettuate al

Vinitaly di Verona (2006) con la Regione Sicilia e all'estero (Svezia,

149

Page 150: Tesi

Svizzera, Germania, ecc.), hanno condotto parte dei componenti della

rete a capitalizzare i risultati formando la nuova società: Ottagono Srl.

Altra impresa che potrebbe rappresentare un concorrente è

“Ortobarocco”, specializzata nella produzione di salsa di ciliegino.

L’impresa, ubicata a Scicli, in provincia di Ragusa, si trova in una zona

caratterizzata da un ambiente pedo – climatico molto favorevole alla

produzione del ciliegino e quindi poi alla sua lavorazione –

trasformazione in salsa. L’impresa è stata costituita dai fratelli Morana e

dalle due mogli, come continuazione dell’esperienza familiare nella

produzione di ortofrutta in genere. Negli ultimi anni poi, si è

specializzata nella coltivazione di pomodoro ciliegino (più comunemente

conosciuto come pachino) diventando leader del settore, e di recente è

stata avviata la trasformazione del pomodorino presentandosi sul

mercato nazionale ed internazionale, con la famosa “ salsa di pomodoro

ciliegino”.

Nasce così il marchio "Casa Morana" . L’impresa si occupa solo della

trasformazione del proprio pomodoro ciliegino ed opera solo nei mesi

estivi (da giugno a settembre) poiché in estate il pomodoro ciliegino

raggiunge il max grado di dolcezza necessario per ottenere delle ottime

trasformazioni in termini di gusto e sapore.

Obiettivo principale di Casa Morana è quello di portare sulle tavole di

tutto il mondo il prodotto made in Italy, di fare conoscere le mille

sfaccettature del pomodoro ciliegino siciliano all’insegna della genuinità

e tradizione siciliana.

Altro potenziale concorrente che opera nel mercato locale può essere

costituito dall’azienda Lucifora che produce la salsa di ciliegino oltre ai

vari prodotti sott’olio e sott’aceto. L’azienda ragusana propone aromi

che vengono utilizzati quotidianamente nella cucina tradizionale

mediterranea:prezzemolo, origano, menta, peperoncino piccante.

Lucifora è un’impresa che si impegna nel proporre ai propri clienti i

migliori ingredienti per conservare intatte le proprie ricette, senza uso di

150

Page 151: Tesi

conservanti: carciofi, pomodori, pomodorini, olive, capperi, peperoni,

melanzane, funghi. Da qui nasce la scelta di usare olio extra vergine

d’oliva che garantisce un sapore inconfondibile.

L’azienda Lucifora, produce e confeziona, da oltre 40 anni, salsa di

ciliegino, sott’oli, sott’aceti, sughi pronti, caponate di altissima qualità.

I prodotti utilizzati, come l’olio extra - vergine d’oliva e tutte le

materie prime, con la loro genuinità, mantengono i sapori tradizionali

siciliani nel tempo, senza utilizzo di alcun conservante.

Gli ingredienti sempre freschi di stagione, garantiscono una

indiscutibile qualità dei prodotti ancora oggi lavorati e farciti a mano

secondo la ricetta di Giovanni Lucifora, fondatore dell’azienda.

Anche se non si tratta di un concorrente diretto in quanto non fa della

salsa il suo principale prodotto, tale azienda potrebbe rappresentare un

potenziale nuovo entrante nel business tipico della Società Agricola

Monterosso.

Altra concorrente locale è l’Azienda Agricola Biologica Sant'Antonio

Abate che nasce nel 1977 ad Ispica, in provincia di Ragusa, sulla costa

sud - orientale della Sicilia.

L'Azienda si estende su una superficie di 60 ettari di terra interamente

coltivata secondo il metodo di agricoltura biologica ad ortaggi, agrumeti,

oliveti. Integralmente certificata "Biologico" dal 1995 l'Azienda è

specializzata nella produzione di ortaggi, nella loro trasformazione,

essiccazione e conservazione sott'olio extra vergine d'oliva e di salse di

pomodoro.

La filosofia aziendale è produrre specialità genuine e naturali, prive di

conservanti, coloranti ed esaltatori chimici di sapori, garantendo la

naturalezza.

Il processo di essiccazione a cui sono sottoposti gli ortaggi (essiccazione

naturale in serre / 5000 mq di essiccatoi coperti) fa sì che essi

mantengano inalterata la propria struttura, i principi nutritivi e

151

Page 152: Tesi

caratteristiche organolettiche. Ciò consente di avere un prodotto di

qualità e soprattutto sicuro, caratteristiche fondamentali per mantenere o

acquisire nuovi clienti nel mercato.

L'azienda produce gli aromi per condire gli ortaggi sott'olio extra vergine

di oliva ed è proprietaria di un uliveto, sempre coltivato con metodo

Biologico, dal quale ottiene l'olio per la conservazione degli ortaggi e

delle salse. Una produzione che grazie al completo controllo della filiera

è garantita "dalla terra alla tavola".

La Società Agricola Monterosso è una realtà imprenditoriale che ha

sempre mirato ad ampliare i propri orizzonti commerciali non solo verso

tutto il territorio italiano ma anche in tutto il globo, consapevole

dell’unicità del proprio prodotto e della forte tradizione del settore

agroalimentare tipica della nostra regione.

I mercati esteri privilegiati sono quelli europei per un fattore di vicinanza

e di immediatezza nel comunicare il prodotto e gli attributi ad esso

legati, per non parlare poi delle tradizioni alimentari che possono essere

molto diverse passando da un continente all’altro.

- Figura 4 – La mission di Agromonte.

Fonte: www.agromonte.it

152

Page 153: Tesi

Proprio il caso delle differenti abitudini alimentari e della impossibilità

di produrre un prodotto simile in contesti come quelli nord europei, ha

fatto incrementare le richieste del prodotto “ salsa di ciliegino” nei vari

paesi esteri, obiettivo della Società Agricola Monterosso.

Questo aspetto diventa uno dei principali fattori critici di successo che

consente all’impresa di acquisire rilevanti quote di mercato anche oltre –

oceano, sia nel mercato asiatico che in quello americano. Nello specifico,

il 67% della produzione è destinato al mercato italiano, da nord a sud, il

restante 33% è invece destinato all’estero.

Di questo 33%, il 60% sono esportazioni a livello europeo mentre la

restante percentuale è destinata ai mercati extra – comunitari. I principali

paesi importatori sono Irlanda, Inghilterra, Danimarca, Svezia, Francia,

Svizzera. Interessanti sono i rapporti con gli altri continenti: si verificano

flussi esportativi anche in USA, Giappone e Cina.

- Grafico9 – Quote di mercato estero (2010)

Fonte: Soc. Agricola Cooperativa Monterosso (2010).

Come si desume dal Grafico 9, si nota che il prodotto di base dell’

azienda (salsa di ciliegino) è conosciuto in tutto il mondo. Il

mercato privilegiato è quello del Nord e Centro Europa (Danimarca,

153

Page 154: Tesi

Irlanda, Germania, Inghilterra, Francia, Svezia, Svizzera), ciò può essere

dovuto alla minore concorrenza presente in tali contesti geografici e alla

grande attenzione dei clienti ad un prodotto di qualità e non facile da

reperire sul mercato. Si aggiungono inoltre le quote di mercato a livello

extra – europeo, nell’ambito asiatico (Giappone) e americano (USA).

Come sostenuto in precedenza, mancano dei veri e propri concorrenti

effettivi in quanto il prodotto è pressoché unico considerando le sue

proprietà organolettiche e le modalità di produzione, nonché il tipo di

prodotto (ciliegino) utilizzato per produrre la salsa. Questo permette

all’impresa di avvantaggiarsi di un forte potere contrattuale nei confronti

dei buyers sia nazionali che esteri.

Analizzando i punti di forza e di debolezza possiamo individuare il

posizionamento dell’impresa in riferimento al settore in cui opera. Circa

i punti di forza, gioca un ruolo propulsivo, e quindi favorevole allo

sviluppo, la voglia di crescere e migliorare, condivisa da tutto il

personale dell’azienda.

“Agromonte” dalla data di fondazione ad oggi ha avuto una crescita di

fatturato del 300-400%. Vige un ottimo rapporto con le risorse umane

dell’azienda; la passione per il lavoro viene motivata grazie al

riconoscimento dei meriti dei lavoratori a tutti i livelli e grazie anche ad

un adeguato rapporto salario - competenze.

La cultura aziendale si rispecchia nel motto “L’azienda è di tutti e siamo

tutti importanti”. Interessante punto di forza è la capacità innovativa non

solo in termini di prodotto, ma anche di processo: l’azienda sta

conducendo degli studi per poter applicare degli impianti di produzione

orientati alla green economy, impianti e forme di energia alternative

infatti sono ancora sotto studio al fine di accertarsi che gli eventuali costi

aggiuntivi diano risultati economicamente validi.

Tra i punti di debolezza possiamo indicare: il contesto sociale in cui

opera “Agromonte”; dove emerge una bassa propensione ad associarsi in

154

Page 155: Tesi

consorzi, da qui ne deriva una competizione negativa che non favorisce

le aziende presenti sul territorio.

L’eccessiva presenza di imprese isolate in centinaia di nuclei, fa si che la

loro offerta perda forza sul mercato dovendosi confrontare con il potere

della grande distribuzione, decisamente più competitiva. Per essere

all’altezza di competere con la grande distribuzione bisognerebbe

che le numerose aziende presenti sul territorio si consorziassero in

un unico centro che unisca le numerose unità produttive, accedendo al

mercato attraverso una voce unica che li rappresenti tutti. Esistono

anche, talvolta, elementi ostativi da parte di amministratori poco

competenti o politicizzati. A causa dell’opposizione di un comune

amministrato dalla destra, fallì, solo per ripicche di ordine politico, il

tentativo di aprire nella città di Vittoria un centro per confezionare

prodotti ortofrutticoli freschi. Elementi ostativi provengono anche dalla

difficoltà che le aziende trovano nel ricevere i necessari aiuti dagli istituti

di credito.

Un altro elemento di difficoltà si rintraccia nella presenza sul mercato di

prodotti, per la maggior parte provenienti dalla Cina, di bassissimo costo

con i quali è difficile competere.

L’Azienda si difende dalla concorrenza di questi ultimi puntando molto

sulla qualità. Una bottiglietta di salsa di pomodorino “Agromonte” ha un

prezzo sul mercato che oscilla tra 1.59 e 1.80 euro per un peso di 330

grammi. Una confezione di pelati di provenienza cinese ha un prezzo che

oscilla tra 0.60 e 0.90, centesimi di euro per una confezione di peso pari

a 660 o 720 grammi. Naturalmente il prodotto proveniente dai mercati

cinesi ha una qualità pessima, esso viene ottenuto miscelando acqua e

concentrato di pomodorino. Questo fa si che oltre a non essere di qualità

paragonabile al prodotto “Agromonte”, se ci si fa attenzione, non risulta

neanche conveniente, poiché, una volta messo in padella e cucinato

perderà la metà del proprio peso e in più bisognerà anche

necessariamente condirlo.

155

Page 156: Tesi

La modalità utilizzata per penetrare i mercati internazionali è

l’esportazione diretta verso i paesi che richiedono il prodotto. L’azienda

ha creato una vasta rete di rapporti commerciali con i vari grossisti i

quali importano la merce per rivenderla ai vari distributori (D.O., G.D.,

normal trade) e dettaglianti in un secondo momento.

Quindi la Società Agricola Monterosso non possiede piattaforme

distributive all’estero, né filiali di produzione, né crea accordi di

collaborazione con altre imprese estere. Tutta la produzione avviene a

livello locale al fine di dare un’immagine di originalità, genuinità e

unicità al prodotto commercializzato.

Per quanto riguarda le strategie di marketing, la Società Agricola

Monterosso si affida a delle politiche di comunicazione dirette ed

efficaci che garantiscono una percezione del prodotto tra i vari acquirenti

esteri fortemente legata alla grande tradizione alimentare italiana,

sinonimo di qualità del prodotto.

Esso viene destinato in tutti i mercati in modo standardizzato, senza

applicare eventuali adattamenti del prodotto in rapporto alle variabili

etno – culturali sempre presenti nei vari contesti geografici di

esportazione.

Proprio per questo il prodotto è in forte espansione su scala mondiale e

conta delle quote di mercato rilevanti. La classica modalità di marketing

è quella diretta che si basa sulla vendita personale, trattandosi di

un’impresa operante nel business to business, il personal selling si adatta

bene alla circostanza, ovvero presentando direttamente i prodotti

aziendali agli acquirenti potenziali (grossisti e distributori) allo scopo di

realizzare la vendita. Questa modalità consente di far conoscere nei

minimi dettagli il prodotto ai buyers che potrebbero essere anche

sottoposti a delle influenze da parte dei salespersons, in modo da

ottenere una maggiore efficacia nella proposta del prodotto.

Un grande supporto alle strategie di marketing applicate è dato dalle

molteplici manifestazioni fieristiche svolte in ambito agroalimentare nei

vari paesi esteri: addirittura è stimato che, a livello B2B, le

156

Page 157: Tesi

partecipazioni fieristiche rappresentino una quota pari al 50 – 70 per

cento del budget di comunicazione complessivo. Si tratta di strumenti di

comunicazione molto efficaci dando risposte professionalizzate e

specifiche alle esigenze degli acquirenti.

La manifestazione fieristica diventa come una vetrina per l’impresa che

mostra la gamma dei prodotti affiancando una comunicazione

specializzata in rapporto ai vari potenziali acquirenti presenti.

Altra modalità di marketing diretto sono le campagne promozionali

effettuate direttamente nei punti di vendita (ipermercati, supermercati,

superstore) con corner assortiti dei vari prodotti Agromonte, con

l’intento di avere un riscontro diretto con il consumatore.

L’Azienda ritiene particolarmente importante il marketing, essa investe

costantemente anche nelle forme tradizionali di pubblicità, specie nella

carta stampata, facendo sì che il marchio “Agromonte” sia presente in

diverse riviste e giornali, per citarne alcune: Panorama, Donna Moderna,

TV sorrisi e canzoni, Chi, Visto, Gambero Rosso, Food, Cucina

Moderna, Economy. In programma è la presenza anche a livello

televisivo. L’azienda è presente anche sulla rete attraverso il proprio sito

web.

- Figura 5. Campagna pubblicitaria Agromonte (aprile 2010).

157

Page 158: Tesi

Fonte: www.agromonte.it

CONCLUSIONI

La globalizzazione dell’economia è un processo che oggi giorno tutte le

imprese sono chiamate ad affrontare. I vantaggi competitivi ottenibili dal

commercio estero o dagli IDE fanno si che per le aziende diventi di

prioritaria importanza orientarsi al mercato internazionale, sia per quanto

riguarda la fase di produzione, sia per quanto concerne la vendita degli

out – put.

Nel presente lavoro si è cercato di individuare la situazione del sistema

agroalimentare italiano nell’ambito internazionale. L’industria

alimentare italiana è uno dei settori dell’economia nazionale più attivi in

termini di internazionalizzazione, in questo ambito giocano un ruolo

importante le produzioni di qualità, le quali hanno evidenziato negli

158

Page 159: Tesi

ultimi anni performance ancora più soddisfacenti sui mercati esteri

rispetto a quello interno.

L’incremento delle esportazioni registratosi nel 2010 è un segnale

positivo per il settore, non a caso l’Italia occupa un posto di grande

rilievo tra i principali paesi esportatori di prodotti agroalimentari a

livello mondiale, con una quota di mercato consistente maggiore rispetto

a quella di paesi a forte vocazione agro – alimentare quali Canada, Cina

e Brasile.

L’Italia è anche tra i primi paesi a livello europeo a godere di un elevato

numero di sussidi e di incentivi a favore delle imprese agroalimentari.

Come è stato evidenziato nel secondo capitolo infatti, si nota la grande

importanza della PAC e dei sui tre pilastri: 1) le politiche agricole

comunitarie costituite soprattutto dal fondo FEOGA (Fondo europeo di

orientamento e garanzia in agricoltura) che finanzia i pagamenti diretti

agli agricoltori e le misure di gestione dei mercati agricoli attuate

nell’ambito delle Organizzazioni comuni di mercati (OCM), e dal Fondo

europeo per lo sviluppo rurale (FEASR) articolato in 4 assi che è

destinato a finanziare i programmi di sviluppo rurale; 2) le politiche di

sviluppo rurale, che sono a sostegno dello sviluppo socio – economico

delle comunità rurali; 3) la politica delle strutture, per migliorare la

qualità e la sicurezza dei prodotti alimentari. La PAC dovrebbe

contribuire a mantenere un sistema agricolo diversificato sul territorio, in

particolar modo nelle aree remote, e assicurare la fornitura di beni

pubblici.

Per quanto riguarda lo stato del settore agroalimentare siciliano viene

confermata una situazione critica. A pesare sui produttori siciliani sono

stati il perdurante clima di incertezza e la riduzione della capacità

produttiva del settore. Ma il 2010 e’ stato segnato anche da altro, come

la  flessione degli investimenti e la preoccupante  stagnazione dei

consumi alimentari così come dalle possibili tensioni sui mercati

internazionali. Il “caro-gasolio”ha condizionato i bilanci di molte

159

Page 160: Tesi

aziende, soprattutto di quelle serricole che nel distretto ragusano

dell’ortofrutta e del florovivaismo rappresentano valori economici di

tutto rispetto nel paniere produttivo regionale. Uno scenario complesso

quello dell’anno produttivo ed economico appena concluso dal quale

emerge ancora una volta che è mancato un vero ricambio generazionale

nei campi.

Le principali cause inerenti le difficoltà finanziarie delle imprese

agricole siciliane vanno rintracciate nella eccessiva frammentazione e

polverizzazione del sistema produttivo e nelle ridotte dimensioni delle

imprese che operano sia nelle fasi a monte della filiera, sia in quelle più a

valle e poi nella scarsa collaborazione attuata tra i vari imprenditori, che,

ricorrendo a strutture quali consorzi e associazioni potrebbero fare valere

un maggiore potere contrattuale nei confronti della grande distribuzione.

Le possibili soluzioni sono da rintracciare dunque nello sviluppo di

consorzi e forme associative di gruppi di imprese e nella capacità di

creare prodotti a marchio riconosciuti a livello sia nazionale che estero,

puntando comunque alla denominazione di origine tipica e/o protetta.

Il presente lavoro cerca anche di fornire un supporto per quelle imprese

che volessero intraprendere la via dell’internazionalizzazione mettendo

in evidenza non solo il piano delle riforme comunitarie e dei programmi

di intervento a supporto delle imprese operanti nel settore, ma

evidenziando anche le modalità e le problematiche relative all’

accesso nei mercati stranieri, sia in termini di produzione diretta sia in

termini di sola commercializzazione, facendo riferimento alle varie

opzioni possibili circa la creazione di accordi con imprese straniere,

aperture di filiali all’estero, creazione di canali commerciali

internazionali e/o sviluppo di piattaforme distributive.

In ultima analisi il caso aziendale offre un concreto esempio pratico circa

tali modalità di commercializzazione dei prodotti dell’industria

alimentare nel contesto internazionale, mettendo in evidenza

l’impossibilità sia di coltivare i prodotti agricoli direttamente all’estero,

160

Page 161: Tesi

in quanto è necessaria la presenza di un ambiente pedo – cimatico

favorevole quale quello del mediterraneo, sia di sviluppare IDE per le

fasi di lavorazione dei prodotti agricoli in unità aziendali estere con

basso costo di manodopera poiché il prodotto perderebbe in qualità

durante il trasporto.

Non a caso la società analizzata preferisce acquisire i prodotti da

lavorare direttamente in loco e attivare la produzione a livello locale per

trasformare il prodotto. In un secondo momento vengono attivati i flussi

commerciali internazionali solo in riferimento ai mercati di sbocco

piazzando il prodotto finito. Ciò consente di avere prodotti freschi pronti

per la lavorazione e di operare verso i mercati esteri con la sola attività di

commercializzazione del prodotto.

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