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Roberto Spaccapietra
Matricola 098973
LE FONTI ISTITUTIVE
NEL SISTEMA
DELLA PREVIDENZA
COMPLEMENTARE
A mia madre e mio padre
2
Indice Generale
1. LE FONTI ISTITUTIVE DELLA PREVIDENZA
COMPLEMENTARE
1.1. Le fonti istitutive: linee generali (pag.5)
1.1.1.La centralità del contratto collettivo nel decreto
legislativo n. 124/93 (pag.11)
1.1.2.Le fonti istitutive nel d. lgs n. 252/05 (pag.14)
1.2. Livelli di contrattazione e rappresentatività
sindacale (pag.31)
1.3. L’efficacia soggettiva del contratto collettivo
(pag.37)
1.4. Norme di legge ordinaria e normazione
secondaria (pag.49)
2. IL TRATTAMENTO PENSIONISTICO
COMPLEMENTARE COME TRATTAMENTO
ECONOMICO COMPLESSIVO DEL LAVORATORE
SECONDO LE FONTI ISTITUTIVE
2.1. La disciplina del finanziamento (pag.63)
3
2.2. Il trattamento di fine rapporto (pag.76)
2.2.1.Il conferimento tacito (pag.89)
2.3. Il contributo datoriale (pag.98)
3. LIBERTA’ DI ADESIONE A FONDI APERTI E DI
CIRCOLAZIONE NEL SISTEMA: LO SPAZIO
RISERVATO ALLE FONTI ISTITUTIVE
3.1. La portabilità della posizione individuale
(pag.103)
3.2. La portabilità del contributo datoriale (pag.117)
3.3. La libertà di adesione a fondi aperti (pag.128)
3.4. Le peculiarità del pubblico impiego (pag.131)
4. CONCLUSIONI (pag.137)
Bibliografia (pag.140)
4
CAPITOLO I
LE FONTI ISTITUTIVE DELLA
PREVIDENZA COMPLEMENTARE
SOMMARIO: 1.1 Le fonti istitutive – 1.1.1 La centralità del contratto collettivo nel decreto legislativo n. 124/93 – 1.1.2 Le fonti istitutive nel d. lgs n. 252/05 – 1.2 Livelli di contrattazione e rappresentatività sindacale – 1.3 L’efficacia soggettiva del contratto collettivo – 1.4 Norme di legge ordinaria e normazione secondaria
1.1 LE FONTI ISTITUTIVE: LINEE GENERALI
L’art. 3 del d.lgs. 252/2005 indica le fonti istitutive
delle forme pensionistiche complementari.
La norma enumera un novero eterogeneo di fonti
ed attribuisce ai soggetti istitutori di forme di
previdenza integrativa la legittimazione alla
5
creazione di fondi pensione, individuando soggetti
per l’attuazione e mezzi necessari a quel fine.
Alle fonti istitutive sindacali è affidato in via
primaria l’ambito soggettivo di applicazione,
coincidente di norma con l’ambito soggettivo di
efficacia del contratto collettivo.
Le fonti istitutive sono lo strumento che da
l’impulso genetico e la legittimazione alla futura
nascita del fondo pensione, ossia rappresentano le
leve che, sul piano procedurale, pongono in essere
situazioni giuridiche preliminari e strumentali, che
devono far capo ai soggetti promotori e
condizionano la struttura e le caratteristiche
fondamentali della forma pensionistica
complementare(1).
Esse si possono definire come regolatrici di un
preciso procedimento di formazione di un modello
di previdenza complementare in cui si fissano gli
elementi e le regole - quelle autonome in aggiunta 1(?) Vedi LODI L. (2008), La previdenza complementare, Wolters Kluwer
6
a quelle, presupposte, eteronome - dell’operazione
previdenziale, determinando gli specifici assetti
degli interessi delle parti che istituiscono il fondo.
Ad esse compete di porre le basi del fondo
pensione, definendone la prima regolazione di
programma, l’identità istituzionale, le modalità di
adesione e la misura della contribuzione.
Le modalità di adesione si accompagnano, in
particolare nei fondi negoziali, alla fissazione dei
requisiti previsti per l’iscrizione alla forma
pensionistica complementare, indicando i soggetti
legittimati ad aderire.
Il principio del rispetto della libertà di adesione
individuale costituisce, almeno indirettamente, un
limite imposto alle fonti istitutive.
La norma è diretta a garantire la libertà di ciascun
lavoratore ad aderire alla forma pensionistica
complementare senza condizioni di alcun genere.
7
L’esistenza del rapporto di lavoro, pur
costituendone un presupposto, non deve di per sé
determinare l’adesione – che ne risulterebbe
indebitamente necessitata - al fondo pensione di
categoria, anche nel caso in cui sia prevista una
contribuzione a carico del datore di lavoro(2).
Gli strumenti di attuazione delle fonti istitutive sono
le fonti costitutive, rappresentate da statuti,
regolamenti e delibere, che si pongono in una
posizione di dipendenza funzionale dagli atti
istitutivi.
Se la fonte istitutiva definisce il programma nelle
sue linee generali, la fonte costitutiva definisce la
struttura organica e l’assetto strumentale alla
concreta attuazione del fine previdenziale,
inquadrando la disciplina dei rapporti giuridici attivi
e passivi che fanno capo al fondo pensione.
2(?) Vedi PROCOPIO M. (2008), Fondi pensione e TFR. Profili giuridici e disciplina tributaria, Ipsoa
8
Le fonti costitutive e regolamentari, quindi, hanno
competenze correlate a quelle riferibili alle fonti
istitutive, ma sono a queste ultime subordinate.
Per i lavoratori subordinati l’importo del contributo
da destinare al fondo pensione è stabilito di norma
in percentuale della retribuzione assunta a base
della determinazione del TFR, che può ricadere
anche su elementi della retribuzione stessa o
essere individuato mediante destinazione integrale
di questi al fondo pensione.
Per i lavoratori autonomi e per i liberi professionisti
il contributo è definito in percentuale del reddito
d’impresa o di lavoro autonomo dichiarato ai fini
Irpef, relativo al periodo d’imposta precedente.
L’entità delle prestazioni, inoltre, è “determinata
dalle scelte statutarie e contrattuali di ciascun
fondo pensione, secondo criteri di corrispettività e
in conformità al principio della capitalizzazione
nell’ambito della distinzione fra regimi a
9
contribuzione definita e regimi a prestazione
definita”(3).
Con “contribuzione definita” s’intende “consegnare
in una maniera conosciuta e certa quantità di
moneta per una gestione collettiva di risparmio non
diversamente da altre forme di gestione di
portafoglio finanziario se non per la finalità
pensionistica, che tuttavia persegue pur sempre
mediante attività di mercato intese a massimizzare
i rendimenti e contenere i rischi di portafoglio” (4).
Con “prestazione definita” si definisce
un’obbligazione di risultato, a carico del fondo,
finalizzata ad assicurare una prestazione
determinata con riferimento al livello di reddito o a
quello del trattamento pensionistico obbligatorio.
L’esercizio da parte dei fondi pensione delle loro
funzioni è subordinato all’autorizzazione da parte
della Commissione di Vigilanza dei Fondi Pensione
3(?) Così LEO M. (2010), Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Giuffrè4(?) Così BESSONE M. (2000), La Previdenza Complementare, Giappichelli editore
10
(d’ora in poi indicata come Covip), che, lasciando
libere le fonti istitutive nell’organizzazione delle
modalità di partecipazione e di adesione, può
intervenire sulle stesse per quanto riguarda i criteri
di individuazione e ripartizione del rischio nella
scelta degli investimenti e richiedere la modifica di
statuti e regolamenti.
11
1.1.1 LA CENTRALITÀ DEL CONTRATTO
COLLETTIVO NEL DECRETO LEGISLATIVO N.
124/93
Il confronto tra i testi dell’art. 3 del d.lgs.
n.124/1993 (5) e dell’art. 3 del vigente decreto n. 5(?)Si riporta il testo della citata norma
1.Salvo quanto previsto dall’art. 9, le fonti istitutive delle forma pensionistiche complementari sono le seguenti: a) contratti e accordi collettivi, anche aziendali, ovvero, in mancanza, accordi fra lavoratori, promossi da sindacati firmatari di contratti collettivi nazionali di lavoro, accordi anche interaziendali per gli appartenenti alla categoria dei Quadri promossi dalle organizzazioni sindacali nazionali rappresentative della categoria membri del Consiglio nazionale dell’economia del lavoro; b)accordi fra lavoratori autonomi e fra liberi professionisti, promossi da loro sindacati o associazioni di rilievo almeno regionale; c) regolamenti di enti o aziende, i cui rapporti di lavoro non siano disciplinati da contratti o accordi collettivi, anche aziendali; c-bis) accordi fra soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro, promossi da associazioni nazionali di rappresentanza del movimento cooperativo legalmente riconosciute.
2. Per il Personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite mediante i contratti collettivi di cui al titolo III del medesimo decreto legislativo. Per il personale dipendente di cui all’art. 2, comma 4, del medesimo decreto legislativo le forme pensionistiche complementari possono
12
252/2005 rivela un complessivo riassetto funzionale
del sistema delle fonti istitutive della previdenza
complementare.
Nel regime del d. lgs. n. 124/93, i contratti collettivi
potevano prevedere, per i lavoratori già attivi, la
destinazione al finanziamento anche solo di una
quota dell’accantonamento annuale al TFR,
determinando le quote a carico del lavoratore e del
datore di lavoro; per i nuovi assunti, se aderenti, il
conferimento del TFR era integrale.
Nell’impianto della vecchia normativa emergeva la
centralità delle forme mutualistico-sindacali, poiché
l’elenco delle fonti si esauriva nei contratti e accordi
collettivi, accordi tra lavoratori e regolamenti
essere istituite secondo le norme dei rispettivi regolamenti, ovvero, in mancanza, mediante accordi tra i dipendenti stessi promossi da loro associazioni.
3. Le forme pensionistiche complementari sono attuate mediante la costituzione ai sensi dell’art. 4 di appositi fondi, la cui denominazione deve contenere l’indicazione di "Fondo Pensione", la quale non può essere utilizzata da altri soggetti.
4. Le fonti istitutive di cui al comma 1 stabiliscono le modalità di partecipazione garantendo la libertà di adesione individuale.
13
aziendali, in una graduale sequenza che mostrava il
favore legislativo per le fonti collettive di scambio
per passare a quelle collettive non sinallagmatiche
(accordi fra lavoratori) e terminava, in ultima
istanza, con quelle non collettive ma plurime.
Le modifiche al decreto 124/1993 apportate dalla
legge n. 335/1995 e l’ingresso nel sistema delle
forme individuali di previdenza complementare con
il d.lgs. n. 47/2000 non hanno alterato la centralità
dell’autonomia collettiva.
Il favor promozionale del d.lgs. 124/1993 per la
contrattazione collettiva quale fonte istitutiva
primaria delle forme di previdenza complementare
consisteva “nel riconoscere a questa una valenza
regolativa di rapporti anche diversi da quelli di
lavoro”(6)e, in particolare, nell’attribuirle effetto
normativo e conformativo anche sulle fonti
costitutive dei fondi.
6(?)Così TURSI A. (2001) La previdenza complementare nel sistema italiano di sicurezza sociale, Giuffrè
14
Al pari dell’art. 3 d. lgs. 124/1993, anche l’art. 3 del
decreto vigente è rubricato come “Istituzione delle
forme pensionistiche complementari” e contiene
una disciplina che è sostanzialmente attinente ad
un’iniziativa procedimentale, la cui titolarità viene
rimessa a determinati soggetti, nel rispetto di limiti
e modalità.
1.1.2 LE FONTI ISTITUTIVE NEL D. LGS N.
252/05
15
Nel testo dell’art. 3 d.lgs. 252/2005, in cui tutte le
forme di previdenza complementare sono rinnovate
e parificate, si rinviene un elenco di fonti diverse ed
eterogenee, che il legislatore ha ricondotto ad
unitaria sfera funzionale, che non ammette più la
prevalenza delle forme espressione dell’autonomia
collettiva.
L’equiparazione, quindi, mette sullo stesso piano le
forme pensionistiche complementari, collettive e
individuali, sindacali e commerciali e, dunque, degli
stessi fondi pensione quali figure organizzative di
attuazione dei relativi programmi.
È il caso di precisare che la fonte istitutiva del fondo
aperto è sempre del tutto neutra rispetto ai rapporti
di lavoro, anche quando al fondo si aderisca su
base collettiva (fermo che all’interno di essa rileva
la comune appartenenza ad un ambito definto in
sede sindacale), in quanto si basa sul potere
“aggregante” che il gestore può realizzare
16
proponendo un programma previdenziale ed
esercitando la relativa gestione del fondo(7).
I fondi operano oggi, quindi, su un mercato che,
seppur ancora connotato da elementi di asimmetria
in favore dei fondi chiusi8 frutto dell’autonomia
collettiva, è unificato da comuni regole di
trasparenza, circolazione e concorrenza.
I fondi aperti e i piani pensionistici individuali sono
forme di previdenza complementare pariordinate a
quelle realizzate dai fondi negoziali o chiusi,
prodotto dell’iniziativa delle parti sociali: realizzano
il comune scopo di assicurare più elevati livelli di
copertura previdenziale ed integrazione del sistema
pubblico di base, venendo meno il rapporto di
7(?) Vedi CINELLI M. (2010), La previdenza complementare. Art. 2123, Giuffrè Editore
8Autorevoli studiosi (fra cui BESSONE, op. cit.) si avvalgono di questo termine, il cui uso appare improprio, derivando dal criterio di ritenere corretto il valore del termine contrario di fondo “aperto”, termine propriamente usato dal legislatore per indicare – come è noto – un modello di fondo commerciale, caratterizzato dall’assenza di caratteristiche professionali di coloro che possono aderire. Il termine “chiuso” è correttamente utilizzato per quei fondi – normalmente preesistenti – rispetto ai quali ragioni di vario tipo impediscono ogni ulteriore adesione.
17
sussidiarietà funzionale tra fondi chiusi e aperti
stabilita in favore dei primi dal d.lgs. 124/1993.
L’elenco, quindi, ha l’obiettivo di mettere insieme
tutte le fonti su un piano di tendenziale parità
formale e concorrenziale, che comprende al primo
comma:
a) contratti e accordi collettivi, anche aziendali,
limitatamente, per questi ultimi, anche ai soli
soggetti o lavoratori firmatari degli stessi,
ovvero, in mancanza, accordi fra lavoratori,
promossi da sindacati firmatari di contratti
collettivi nazionali di lavoro; accordi, anche
interaziendali per gli appartenenti alla
categoria dei quadri, promossi dalle
organizzazioni sindacali nazionali
rappresentative della categoria, membri del
Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro.
La prima tipologia di fonti di natura negoziale sono i
cosiddetti “fondi pensione sindacali”, previsti da
contratti o accordi collettivi, anche in sede
18
aziendale, promossi dalle associazioni sindacali o
dagli stessi lavoratori subordinati iscritti ad
associazioni firmatarie di un contratto collettivo
nazionale (9).
Di forte matrice sindacale, sono basate sulla
comune appartenenza ad una categoria o comunità
di lavoro.
Il contratto collettivo si pone in posizione
privilegiata rispetto alle altre forme citate dalla
disposizione, in quanto gli accordi fra lavoratori,
comunque promossi da sindacati firmatari di
contratti collettivi nazionali di lavoro, sono abilitati
ad attivare forme di previdenza solo in assenza di
accordi o contratti collettivi.
Il fondo “chiuso” legato al contratto collettivo di
categoria conserva, quindi, il suo ruolo centrale tra
le diverse forme di previdenza complementare per
la concentrazione di capitali necessari per il
finanziamento delle attività di investimento.
9(?) Vedi CINELLI M. (2010), La previdenza complementare. Art.2123, Giuffrè Editore
19
La posizione di privilegio della contrattazione
collettiva si rinviene anche nei confronti della
lettera c) dell’articolo 3 del decreto, relativo ai
regolamenti di enti o aziende, che dispone la
possibilità di istituire forme di previdenza
integrativa solo se i rapporti pensionistici
complementari non siano regolati da un accordo o
contratto collettivo.
Il sostegno legislativo alla forma previdenziale
complementare “collettiva” si può anche cogliere
nella disciplina del conferimento tacito e pone il
sindacato come forte agente nella vicenda istitutiva
delle forme pensionistiche integrative.
I contratti e accordi collettivi aziendali che
istituiscono forme di previdenza complementare per
“i soli soggetti o lavoratori firmatari degli stessi”,
sono accordi individuali plurimi con unico datore di
lavoro(10).
10(?) Vedi PERSIANI M. (2010), La previdenza complementare, Cedam
20
E’ un tipo di fonte negoziale di natura bilaterale e
sinallagmatica, ma non collettiva, consistente in un
“fascio di atti negoziali individuali, posti in essere
da una collettività non organizzata sindacalmente”
(11).
Si possono ricondurre all’ipotesi in cui i lavoratori
interessati aggiungano le loro firme a quelle dei
soggetti collettivi che hanno stipulato il contratto
collettivo aziendale e che, quindi, si realizzi una
possibilità di manifestare la propria volontà
individuale.
Gli accordi fra lavoratori, promossi da sindacati
firmatari di contratti collettivi nazionali di lavoro
possono operare solo in mancanza di un atto
istitutivo di carattere contrattuale collettivo.
Questa tipologia di accordi imprime il vincolo di
destinazione previdenziale alle risorse, che gli stessi
11(?)Così BOLLANI A. Fonti istitutive e autonomia collettiva nella riforma della previdenza complementare, in A. Tursi (a cura di), La nuova disciplina della previdenza complementare, Nuove leggi civ. comm., 2007, 626 ss.
21
soggetti interessati provvederanno a versare per la
realizzazione del comune scopo.
L’attività di promozione dei soggetti sindacali, a cui
si richiede il requisito della “nazionalità”,
garantisce una raccolta efficace delle adesioni e
una migliore gestione delle risorse dei fondi (12).
Gli accordi in questione, non avendo per definizione
carattere sinallagmatico e di dipendenza dalla parte
datoriale, sono definiti “contratti con finalità
associativa e organizzativa, dotati di efficacia reale
nei rapporti tra gli associati ed il fondo” (13).
Il d.lgs. 252/2005 indica all’art. 3, quindi, le fonti
istitutive contratto o accordo collettivo come forma
giuridica della maturata volontà di attivare una
forma pensionistica complementare, mentre all’art.
4 del medesimo decreto indica le fonti costitutive
come atto negoziale che organizza la forma
12(?)Vedi CINELLI M. (2010), La previdenza complementare. Art.2123, Giuffrè Editore
13(?)Così TURSI A. (2001) La previdenza complementare nel sistema italiano di sicurezza sociale, Giuffrè
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pensionistica con una disciplina puntuale sotto
forma di statuto, volta a uniformare il regime di
fondo pensione “chiuso” all’assetto organizzativo
dell’associazione o della fondazione sul modello
delle norme del codice civile, e la configura come
soggetto di diritto.
b) accordi fra lavoratori autonomi o fra liberi
professionisti, promossi da loro sindacati o da
associazioni di rilievo almeno regionale.
Sono forme di previdenza complementare che
nascono da accordi promossi da sindacati e
associazioni di rilievo almeno regionale per
lavoratori autonomi e liberi professionisti.
Sono le uniche forme pensionistiche complementari
che prevedono la possibilità di disporre le proprie
prestazioni tramite il regime “a prestazione
definita”.
Il decreto delinea un quadro normativo che
permette a lavoratori autonomi e liberi
23
professionisti di aderire a percorsi di sviluppo della
previdenza complementare, che transitano per la
diretta iniziativa delle loro associazioni tramite
casse abilitate ad istituire forme pensionistiche
anche mediante deliberazione di appositi patrimoni
di destinazione, con obbligo di gestione separata
rispetto alle altre attività di competenza (l. n.
243/04, art. 1, c. 35).
c) regolamenti di enti o aziende, i cui rapporti di
lavoro non siano disciplinati da contratti o
accordi collettivi, anche aziendali.
L’assenza di clausole, che regolino forme di
previdenza complementare, di un contratto
collettivo, anche aziendale, permette l’utilizzo dello
strumento del regolamento in enti o aziende per
disciplinare le forme pensionistiche complementari.
Seconda tipologia di fonte negoziale, il regolamento
aziendale deriva da una scelta unilaterale del
datore di lavoro e si realizza con una sua proposta
contrattuale rivolta ai dipendenti.
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L’adesione dei lavoratori perfeziona un contratto
plurilaterale di contenuto uniforme per il datore di
lavoro, il cui contenuto si identifica nelle condizioni
generali da lui stabilite.
Il regolamento assume, quindi, una figura di mera
proposta negoziale o di condizione generale di
contratto che vincola i lavoratori solo se accettata
nel contratto individuale in maniera espressa (14).
d) le regioni, le quali disciplinano il
funzionamento di tali forme pensionistiche
complementari con legge regionale nel
rispetto della normativa nazionale in materia.
Innovazione del d.lgs. 252/2005 è contemplare fra
le tipologie di fonti istitutive le Regioni (15): in
14(?)Vedi CINELLI M. (2010), La previdenza complementare. Art. 2123, Giuffrè Editore
15(?)Si è rilevato criticamente che ““nella disposizione in tema di fonti istitutive si riscontra (…) un singolare affastellamento, in un unico elenco, di fonti istitutive in senso proprio (quali i contratti collettivi, gli accordi tra lavoratori, i regolamenti di enti o aziende) e di soggetti giuridici, privati o pubblici, che evidentemente fonti non sono. Ammesso, poi, che il legislatore, quando menziona, poniamo, <<le regioni>> tra le <<fonti istitutive>>, voglia alludere alle leggi regionali, c’è allora da stigmatizzare la sua assenza di imbarazzo nell’assimilare fenomeni così diversi come, da un lato, gli atti d’autonomia negoziale,
25
questo caso la competenza delle Regioni
comprende tanto la costituzione quanto la
promozione della costituzione di fondi pensione “nel
rispetto della normativa nazionale in materia”.
Le Regioni hanno, quindi, la facoltà di emanare
norme legislative nelle materie concernenti la
previdenza e le assicurazioni, allo scopo di integrare
le disposizioni delle leggi dello Stato e di costituire
appositi istituti autonomi o agevolarne l'istituzione.
I limiti e vincoli dell’ordinamento (art. 117 Cost.)
che si pongono alla potestà legislativa regionale
appaiono tali da lasciare spazi effettivi davvero
ristretti.
La potestà esclusiva della legge statale nella
“previdenza sociale” e in “moneta, tutela del
risparmio e mercati finanziari, tutela della
collettiva o individuale, istitutivi di forme pensionistiche complementari collettive o individuali, e un atto normativo quale la legge regionale o il diverso provvedimento pubblicistico col quale le regioni riterranno di dare seguito alla previsione legislativa””. Cosi A. TURSI, Note introduttive, in A. Tursi (a cura di), La nuova disciplina della previdenza complementare, Nuove leggi civ. comm., 2007, 537 ss.
26
concorrenza, sistema valutario, sistema tributario e
contabile dello Stato e perequazione delle risorse
finanziarie” ritaglia poco spazio all’azione normativa
della previdenza complementare regionale.
L’effettiva istituzione di un fondo “regionale”, se
non visto nella “prospettiva federalista” che ha
condizionato il decreto, porterebbe a seri problemi
di legittimità costituzionale.
Il ruolo della Regione, quindi, viene relegato al solo
possibile sostegno e alla promozione di fondi
precostituiti o della contrattazione collettiva come
fonti essenziali nella costruzione di percorsi di
maggiore differenziazione su base territoriale delle
forme di previdenza complementare (16).
16(?)Osserva, sempre in maniera critica, TURSI (op. cit.): “”Peraltro, il legislatore (ma, in questo caso, più quello delegante che quello delegato) mostra anche di ritenere che l’attribuzione alle regioni di competenze legislative concorrenti con quelle dello Stato, in materia di «previdenza complementare e integrativa», operata dal nuovo art. 117 della Costituzione « federalista » implichi una sorta di competenza all’istituzione, anziché alla regolazione normativa, della forme pensionistiche complementari. Questo «equivoco della regionalizzazione» della previdenza complementare, andrebbe respinto constatandosi, per un verso, l’assenza di deleghe legislative in tema di riforma dell’assetto delle fonti istitutive della previdenza complementare, e per l’altro, che nella disposizione delegata non si legge (nonostante l’inclusione nell’articolo
27
e) accordi fra soci lavoratori di cooperative,
promossi da associazioni nazionali di
rappresentanza del movimento cooperativo
legalmente riconosciute.
E’ previsto che i soci lavoratori di cooperative,
anche unitamente ai lavoratori dipendenti delle
cooperative interessate (limitatamente a questo
dedicato alle fonti istitutive) una attribuzione di competenze istitutive, ma solo di competenze regolative: si stabilisce, infatti, che «le regioni... disciplinano il funzionamento di tali forme pensionistiche complementari con legge regionale nel rispetto della normativa nazionale in materia»; ma nulla si dice quanto a modalità istitutive e costitutive di tali forme pensionistiche. Sicché non sarebbe affatto peregrina, sul piano teorico, e sarebbe certamente saggia sul piano pratico, la tesi secondo cui le regioni potranno utilizzare, per l’istituzione di tali fondi regionali, nulla più che gli strumenti negoziali deputati alla creazione di forme collettive o individuali: per esempio, promuovendo fondi negoziali, o partecipando ai soggetti istitutori di fondi aperti. Né contraddice tale assunto l’istituzione, prevista direttamente dall’art. 9 del decreto, di una «forma pensionistica complementare residuale presso l’INPS »: un fondo di default cui vanno devolute le quote di t.f.r. maturando da conferirsi tacitamente, nell’ipotesi in cui non abbia potuto operare il tacito conferimento né a fondi pensione istituiti da contratti collettivi, né a fondi pensione aperti ad adesione collettiva, né a fondi « regionali ». È vero, infatti, che si prevede, in proposito, una modalità istitutiva sicuramente non negoziale e pubblicistica; ma è anche vero che FONDINPS, nonostante la disposta applicazione « integrale » delle disposizioni del decreto, è un fondo largamente extrasistemico, di carattere eccezionale, con innegabili peculiarità anche operative, come dimostra anche l’esclusione dall’elenco delle fonti istitutive (e dei soggetti) contenuto nell’art. 3 del decreto””.
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caso si parla di “fondi pensione misti17” anche
nell’ipotesi in cui primi siano lavoratori autonomi),
possano aderire a forme di previdenza
complementare istituite da accordi promossi da
associazioni nazionali di rappresentanza del
movimento cooperativo legalmente riconosciute.
La lettera e) del decreto espone una delle possibili
fonti istitutive attivabili in questa sfera soggettiva di
applicazione, in quanto non sembra, in coerenza
con la natura dei rapporti di lavoro regolati, ci sia
alcun ostacolo all’utilizzo delle fonti istitutive di
natura contrattuale collettiva (18).
f) accordi tra soggetti destinatari del decreto
legislativo 16 settembre 1996, n. 565,
promossi anche da loro sindacati o da
associazioni di rilievo almeno regionale.
17(?)Vedi BESSONE M. (2000), La Previdenza Complementare, Giappichelli editore
18(?) Vedi CINELLI M. (2010), La previdenza complementare. Art.2123, Giuffrè Editore
29
Sono le forme di previdenza complementare,
promosse anche da associazioni o sindacati di
rilievo almeno regionale, per soggetti che svolgono
lavori di cura non retribuiti derivanti da
responsabilità familiari e per soggetti che svolgono,
senza vincolo di subordinazione, lavori non retribuiti
in relazione a responsabilità familiari e che non
prestano attività lavorativa autonoma o alle
dipendenze di terzi e non sono titolari di pensione
diretta.
Connotate dalla volontarietà dell’accesso e dalla
peculiarità della situazione reddituale dei soggetti,
queste forme di previdenza complementare sono
caratterizzate dalla disposizione normativa
riguardante il finanziamento, che consente una
contribuzione saltuaria e non fissa.
g) gli enti di diritto privato di cui ai decreti
legislativi 30 giugno 1994, n. 509, e 10
febbraio 1996, n. 103, con l'obbligo della
30
gestione separata, sia direttamente sia
secondo le disposizioni di cui alle
lettere a) e b).
Enti previdenziali, associazioni e fondazioni possono
istituire forme di previdenza complementare con
l’obbligo della gestione separata.
h) i soggetti di cui all'articolo 6, comma 1,
limitatamente ai fondi pensione aperti di cui
all'articolo 12.
Possono istituire fondi pensione “aperti” le imprese
assicurative, le società di gestione del risparmio, le
società immobiliari e i fondi comuni di investimento.
i) i soggetti di cui all'articolo 13, limitatamente
alle forme pensionistiche complementari
individuali.
Sono i contratti di assicurazione sulla vita o le
adesioni a fondi aperti e rappresentano le forme
individuali integrative.
31
Le lettere g), h), i) del comma 1 della legge
252/2005 regolano i “fondi pensione aperti” e le
“forme pensionistiche individuali” , di natura
bancaria o assicurativa (19).
Questi ultimi sono costituiti nell’ambito della singola
società o del singolo ente attraverso la formazione
di un patrimonio di destinazione, separato ed
autonomo, che, secondo gli effetti dell’articolo 2117
cod. civ., non può essere distratto dal fine al quale
è destinato e non può formare oggetto di
esecuzione.
La demarcazione fra istituzione e costituzione, in
questi casi, non è netta quando avviene nei fondi
costituiti mediante un patrimonio di destinazione,
19(?) L’esplicita menzione nella norma relativa alle fonti istitutive dei gestori dei fondi pensione nonché delle imprese assicurative è stata ritenuta una volta di più come espressione della volontà legislativa di equiparare sul piano funzionale tutte le forme pensionistiche complementari, superando l’impostazione del d. lgs n. 124/93, il cui articolo 3, infatti, non menzionava i suddetti soggetti, regolandone l’attività in altre disposizioni, quasi a sancire, anche da un punto di vista topografico, la distinzione tra fondi chiusi ed altre forme di previdenza complementare. Così A. BOLLANI, Fonti istitutive e autonomia collettiva nella riforma della previdenza complementare, in A. Tursi (a cura di), La nuova disciplina della previdenza complementare, Nuove leggi civ. comm., 2007, 594 ss.
32
che, non portando alla creazione di un nuovo ente
privato, sono istituiti tramite “apposita
deliberazione”, ponendosi quindi come
regolamento istitutivo e fonte costitutiva.
I fondi aperti si distinguono dai fondi chiusi anche
per il profilo soggettivo, in quanto sono istituiti in
via diretta dai gestori.
L’adesione ad un fondo aperto viene inquadrata,
quindi, come sottoscrizione di un contratto di
investimento o di intermediazione immobiliare.
La previdenza individuale si attua sia attraverso
l’adesione individuale a fondi aperti sia attraverso
la sottoscrizione di contratti di assicurazione sulla
vita.
Una delle caratteristiche di quest’ultima forma
pensionistica complementare è che l’adesione può
avvenire anche da parte di soggetti che non
beneficiano di una previdenza obbligatoria.
33
Inoltre, l’esercizio delle polizze vita è sottratto alla
vigilanza della Covip, mantenendo tuttavia l’obbligo
di predisporre i propri contratti secondo le sue
direttive e regolamenti e interamente assoggettato
al regime dei prodotti assicurativi.
Il comma due dell’art. 3 in esame prevede quanto
segue:
2. Per il personale dipendente dalle
amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
165, le forme pensionistiche complementari
possono essere istituite mediante i contratti
collettivi di cui al titolo III del medesimo decreto
legislativo. Per il personale dipendente di cui
all'articolo 3, comma 1, del medesimo decreto
legislativo, le forme pensionistiche complementari
possono essere istituite secondo le norme dei
rispettivi ordinamenti ovvero, in mancanza,
mediante accordi tra i dipendenti stessi promossi
da loro associazioni.”
34
Riguardo al settore pubblico, quindi, sono previste,
tramite contratti collettivi, forme di previdenza
integrativa per amministrazioni dello Stato, ivi
compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado
e le istituzioni educative, le aziende ed
amministrazioni dello Stato ad ordinamento
autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le
Comunita' montane e loro consorzi e associazioni,
le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case
popolari, le Camere di commercio, industria,
artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli
enti pubblici non economici nazionali, regionali e
locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del
Servizio sanitario nazionale.
Per magistrati ordinari, amministrativi e contabili,
avvocati e procuratori dello Stato, personale
militare e delle Forze di polizia di Stato, personale
della carriera diplomatica e della carriera prefettizia
le forme di previdenza integrativa sono disciplinate
35
dai rispettivi ordinamenti o possono essere
promossi delle loro associazioni tramite accordi.
La forte specialità dei rapporti di lavoro pubblico, se
pur ricondotti al regime contrattuale privatistico,
risulta accentuata dalla impossibilità di attuazione,
in alcuni casi, del d.lgs. 252/2005, in relazione alla
differente disciplina applicabile alla materia delle
indennità di fine servizio (20).
20(?)Per i dipendenti assunti anteriormente al 1 gennaio 2001 il passaggio opzionale al regime di trattamento di fine rapporto è peraltro legato alla adesione ad un fondo di previdenza complementare ed è condizionato dalla operatività dello stesso.
36
1.2 LIVELLI DI CONTRATTAZIONE E
RAPPRESENTATIVITA’ SINDACALE
Nell’ultimo periodo la rappresentatività sindacale in
riferimento alla negoziazione dei contratti collettivi
è stato un argomento di forte contrasto in quanto la
legge, nel settore pubblico, e gli accordi
interconfederali, nel settore privato, hanno imposto
un sistema di accesso alla contrattazione collettiva
da parte degli agenti sindacali legato al numero
degli iscritti e alla loro presenza in azienda.
Riguardo le forme previdenziali integrative la
rappresentatività sindacale non trova alcuna
definizione funzionale alla formazione di un fondo
pensione sindacale o aziendale.
Il legislatore non si preoccupa di selezionare gli
agenti negoziali collettivi alla stregua dei criteri di
rappresentatività usualmente impiegati in altri
contesti, come la sottoscrizione di contratti collettivi
nazionali.
37
Tuttavia può fondatamente rilevarsi che il
riferimento al requisito della “nazionalità”
dell’organizzazione sindacale venga inquadrato solo
ai fini del ruolo necessario di promotore degli
accordi fra i lavoratori.
E’ il caso di ricordare che per gli accordi tra
lavoratori autonomi e liberi professionisti e per i
soggetti che svolgono lavoro di cura non retribuito
nell’ambito di una relazione familiare si richiede che
i soggetti promotori siano sindacati o associazioni di
rilievo almeno regionale.
Inoltre, si richiede che gli accordi per i lavoratori
soci di cooperative siano promossi da associazioni
nazionali di rappresentanza del movimento
cooperativo legalmente riconosciute.
In un parere del gennaio 2000, indirizzato ad una
organizzazione sindacale, il direttore generale della
Covip ha sottolineato come lo stesso sindacato, in
quanto sede di interessi collettivi, costituisce
38
elemento sufficiente per l’istituzione e
l’autorizzazione di un fondo pensione (21).
Conclusioni così radicali sono talvolta motivate dal
principio di libertà che caratterizza la previdenza
complementare.
La mancata indicazione sia di soglie nazionali sia di
requisiti di rappresentatività delle parti contraenti è
perfettamente congeniale all’intenzione politica di
una normativa espressamente intesa a promuovere
nelle forme più varie l’attivazione di programmi
21(?) Si riporta il testo dell’atto citato.Gennaio 2000 - Oggetto: Fonti istitutive di fondi pensione(lettera inviata ad un’organizzazione sindacale)In merito al mancato coinvolgimento di codesta organizzazione sindacale nell’accordo istitutivo del Fondo in oggetto è da rilevarsi che l’art.3 del d.lgs. 124/1993 si limita a stabilire che possono fungere da fonti istitutive dei fondi pensione “contratti o accordi collettivi” senza fare riferimento a specifici requisiti delle associazioni stipulanti tali accordi.Pertanto, la ricorrenza di fattispecie contrattuali, che sotto il profilo contenutistico rispondono alle indicazioni fornite dal d.lgs.124/1993, costituisce per la Commissione elemento sufficiente in sede di istruttoria delle istanze di autorizzazione all’esercizio dell’attività, senza che si possa procedere a verifiche concernenti la rappresentatività dei sindacati stipulanti, tanto più se, come accade nel caso di specie, si tratta di associazioni che partecipano normalmente al sistema contrattuale di cui fa parte la fonte istitutiva del fondo pensione in questione.
39
intesi a garantire elevati livelli di copertura
previdenziale.
La lettera a) dell’articolo 3 della legge 252/2005
fissa, con estrema sintesi, a contenuto
indeterminato, le fonti istitutive come “contratti o
accordi collettivi”, riconoscendo quindi come fonti
anche contratti o accordi collettivi aziendali(22).
Ne deriva un regime che in linea di principio non
esclude una possibile interferenza tra contratti
collettivi e accordi di diverso livello ma che va ad
assicurare la maggior flessibilità degli strumenti di
negoziazione sindacale, sia a livello nazionale, sia a
livello territoriale o aziendale, così da attivare forme
di previdenza complementare alla soglia di una
contrattazione che, di volta in volta, possa
conseguire risultati utili per gli agenti contrattuali
(23).22(?)Vedi BESSONE M. (2000), La Previdenza Complementare, Giappichelli editore23(?)Di “tendenza a sovrapporre il concetto di fonti istitutive con le organizzazioni sindacali contraenti” parla Sandulli, Le fonti costitutive di fronte alle sfide della concorrenza, ne La previdenza complementare e la concorrenza tra i fondi pensione, Atti del convegno del Fondo pensioni del
40
Si tratta quindi di accordi “quadro” e “di comparto”,
che vanno ad inserirsi in una contrattazione
decentrata che prevede una delega di attribuzioni
in cui la contrattazione di secondo livello può
operare nelle materie ed entro i limiti stabiliti dai
contratti collettivi nazionali, che devono indicare i
soggetti e le procedure di eventuali contrattazioni
integrative.
Nelle loro istituzioni di vertice e in numerose
circostanze, sia le organizzazioni datoriali sia le
organizzazioni sindacali hanno preferito
l’attivazione di forme pensionistiche complementari
con lo strumento del contratto nazionale di
categoria 24.
Questo orientamento è motivato dalla
considerazione che i fondi pensione possono
conseguire una gestione finanziaria davvero
efficiente solo operando in una scala di grandezze
personale della BNL (3 maggio 2005), in Quaderni Mefop, 2005, p. 28.
24(?)Vedi BESSONE M. (2000), La Previdenza Complementare, Giappichelli editore
41
maggiori di quanto possa effettivamente realizzare
una forma pensionistica complementare attivata
dalle singole imprese.
Le iniziative già pervenute ad un risultato operativo
sembrano indicare la dimensione regionale come la
soglia di contrattazione più utilmente praticabile
per attivare fondi pensione a base territoriale.
-I fondi pensione territoriali accrescono la dinamica
e la competitività del sistema, dovunque esistano
categorie, comparti e raggruppamenti di lavoro
dipendente indicati come area di riferimento sia da
fondi pensione nazionali sia da fondi pensione
attivati su base regionale, assicurando ad ogni
lavoratore piena libertà di scelta tra l’una e l’altra
forma pensionistica complementare (25).
In linea di principio, dunque, e in assenza di
clausole di coordinamento, in un ordinamento
giuridico caratterizzato dalla natura privatistica
della contrattazione collettiva e dalla libertà di
25(?)Vedi BESSONE M. (2000), La Previdenza Complementare, Giappichelli editore
42
adesione individuale ai fondi di previdenza
complementare non sembra possibile immaginare
un accordo istitutivo che stabilisca l’unicità o la
prevalenza di un contratto collettivo sull’altro.
Appare difficile sostenere che la definizione
negoziale dell’assetto contrattuale possa avere
un’efficacia che invalidi gli accordi decentrati
conclusi in difformità(26).
Se la definizione appena esposta pare errata,
bisogna inquadrare la natura degli accordi
territoriali che sono partecipi di atti di autonomia
collettiva provenienti da soggetti di pari “dignità”.
I poteri negoziali esercitati restano in ogni caso
validamente esplicabili anche in presenza di
direttive o vincoli obbligatori provenienti dalle
organizzazione sovraordinate.
26(?)Vedi CINELLI M. (2010), La previdenza complementare. Art.2123, Giuffrè Editore
43
Il criterio di specialità27, che può portare a
conclusioni difformi, e il suo correlato “principio di
non eversione”, pur sottolineando la necessità di
una coerenza del sistema contrattuale, non sembra
in grado di superare il principio civilistico che nega
ad atti di autonomia privata, come i contratti
collettivi, il potere di incidere con effetti reali sulla
validità di altri atti privati.
Nell’eventualità, dunque, di una concorrenza di
fondi in relazione alle diverse fonti collettive, la
fortuna di ciascuno di essi non può essere che
rimessa alla capacità di persuasione dei soggetti
che li istituiscono e che li gestiscono.
La preminenza delle fonti istitutive di livello
superiore potrebbe riallacciarsi attraverso
27(?) Questo principio, secondo la pronuncia della Corte di Cassazione n.4517, 12 luglio 1986, opera solo “ove il contratto nazionale e contratti di portata più limitata possano ritenersi ricompresi in un insieme organizzativamente o funzionalmente coordinato” e alla condizione che le differenziazioni siano “giustificate da situazioni locali o particolari, quali una diversa qualità o quantità di lavoro o peculiare di singoli settori, oggetto dunque di legittima contrattazione periferica, purchè non evasiva degli scopi perseguiti da quella nazionale”.
44
l’intervento della Commissione di Vigilanza,
esercitando il meccanismo di controllo che fa capo
alla suddetta autorità, a cui è riconosciuto un
potere di “veto” e di coazione indiretta,
concretamente attuabile nella richiesta al fondo
pensione di trasmettere elementi conoscitivi e
valutativi ritenuti necessari all’approvazione dello
statuto o del regolamento di attuazione del fondo.
Il problema della pluralità di fondi pensionistici
complementari per la medesima categoria di
lavoratori sembra di più facile soluzione nel
pubblico impiego, dove opera una centralizzazione
del sistema contrattuale attuata per via legislativa
al fine di porre sotto controllo la spesa pubblica.(28)
Il d. lgs. 165/2001 garantisce il governo del sistema
di relazioni contrattuali attraverso la previsione di
soglie di rappresentanza e, quindi, mediante la
coerenza fra attori negoziali del contratto collettivo
con quelli decentrati, in modo che spetti agli stessi
28 Vedi CINELLI M. (2010), La previdenza complementare. Art.2123, Giuffrè Editore
45
soggetti che hanno stabilito la disciplina nazionale il
ruolo di adattare e svolgere i contenuti sul livello
decentrato.
Nell’ambito della previdenza complementare, lo
spazio aperto a forme di contrattazione istitutiva
decentrata si circoscrive nell’eventuale delega di
attribuzioni, stabilita dall’art. 40 comma 3, dove si
stabilisce che “la contrattazione collettiva
integrativa si svolge nelle materi e nei limiti stabiliti
dai contratti collettivi nazionali”, dovendo pur
sempre essere questi ad indicare ”i soggetti” e le
procedure” di eventuali contrattazioni integrative.-
Per quanto riguarda le regioni, l’attivazione di fondi
pensione territoriali ha comportato interventi degli
organi della regione “ente” sia nella qualità di
pubblica amministrazione sia in quanto legislatore
della materia pensionistica.
Si è perciò resa operante una contrattazione
collettiva su scala territoriale a sua volta integrata
46
da una legge speciale recante interventi per il
sostegno di fondi pensione a base regionale.
1.3 L’EFFICACIA SOGGETTIVA DEL CONTRATTO
COLLETTIVO
La duplice natura delle fonti istitutive, di matrice
sindacale o extra-sindacale, impone una riflessione
sul ruolo, nella previdenza complementare, della
contrattazione collettiva.
Il contratto collettivo non è solo fonte principale
della regolazione dei rapporti di lavoro pubblico e
privato ma assume un rilievo importante quale
fattore propulsivo della previdenza complementare
nella veste di fonte istitutiva.
L’autonomia collettiva, come sede di interessi
collettivi, ha individuato nello strumento che
stabilisce la misura retributiva del costo del lavoro il
luogo più naturale per governare gli aspetti più
importanti della previdenza complementare, in
47
quanto il finanziamento è posto a carico delle parti
che regolano il rapporto di lavoro.
Il “successo” della contrattazione collettiva nella
previdenza privata trova terreno fertile
nell’adozione di norme adattabili al cambiamento
delle esigenze dei contraenti e delle circostanze
anche esterne alla collettività interessata.
Il ruolo di “fonte” o “parametro” svolto dal contratto
collettivo per la determinazione della retribuzione
diventa disciplina di rapporti individuali e gestisce
interessi collettivi che tende a tutelare (29).
La causa del contratto collettivo, quindi, è la
regolazione degli interessi fra gli stessi lavoratori o,
comunque, fra i datori di lavoro e i lavoratori
subordinati.
La contrattazione collettiva assicura la tutela di
interessi che può trovare solo nella negoziazione,
della parte datoriale e della parte sindacale, il luogo
29(?) Vedi PICCININI I. (2001), Autonomia collettiva e previdenza, Giappichelli editore
48
perfetto per realizzare la previdenza privata come
integrazione della previdenza sociale, perseguendo
un’idea di solidarietà collettivamente negoziata (30).
I poteri normativi dell’autonomia collettiva non si
circoscrivono all’ambito della forma pensionistica
“fondo pensione chiuso” legato al contratto
collettivo, essendoci la facoltà per l’accordo
aziendale fra datore di lavoro e sindacato di
prevedere, tramite la destinazione delle quote di
accantonamento del TFR, un programma di
adesione su base collettiva a “fondi pensione
aperti” predeterminato e concordato nelle modalità
di attuazione.
Quindi, l’adesione collettiva a fondi aperti necessita
della presenza di un contratto a monte il quale
disciplini i termini e le modalità dell’adesione
collettiva.
La funzione delle forme complementari sindacali è
assicurare più elevati livelli di copertura 30(?) Vedi BESSONE M. (2000), La Previdenza Complementare, Giappichelli editore
49
previdenziale ai lavoratori che aderiscono, con la
loro contribuzione e quella del datore di lavoro, al
finanziamento del fondo pensione previsto dal
contratto collettivo (31).
L’attivazione di forme di previdenza complementare
comporta iniziative, confronti fra le parti sociali e
prassi negoziali che influiscono notevolmente sulla
complessa dinamica dei rapporti nel mondo del
lavoro.
La funzione del contratto collettivo è, quindi, quella
di regolare il trattamento economico e giuridico dei
contratti individuali e dei rapporti ricompresi nel
suo ambito di operatività.
L’ambito soggettivo dei destinatari del contratto
collettivo si identifica in tutti i lavoratori accomunati
dall’appartenenza alla medesima categoria,
comparto o raggruppamento, anche
territorialmente delimitato, o per l’appartenenza
31(?) Vedi GIUBBONI S. (2009), La previdenza complementare tra libertà individuale ed interesse collettivo, Cacucci
50
alla medesima impresa, ente o gruppo di
imprese(32).
Occorre riconoscere che il legislatore ha configurato
l’efficacia del contratto collettivo istitutivo della
forma pensionistica basandola sul rapporto
oggettivo tra la norma ed il suo destinatario
potenziale, piuttosto che sulla verifica della
sussistenza dei consueti canali soggettivi di
collegamento negoziale.
Questo spiega l’effetto di adesione che il
conferimento tacito del TFR produce in capo a
coloro ai quali il contratto collettivo non risulti
applicabile secondo i comuni criteri di efficacia
soggettiva e che tuttavia facciano parte della
categoria ricompresa oggettivamente nel raggio
operativo della fonte istitutiva (33).32(?) Cfr. CIOCCA G. (2009), Il trattamento di fine rapporto e i fondi pensione, EUM. Il criterio del raggruppamento, secondo CIOCCA, ”consentirebbe ai lavoratori una reale esplicazione della libertà di aggregazione, non soltanto connotata a livello sindacale, ma anche a livello solidaristico-collettivo”.
33(?) TURSI (op. già citata) parla di effetto meta-negoziale del contratto collettivo, con un’efficacia soggettiva estesa “al di là della cerchia dei soggetti autovincolati, fino a farla
51
Le clausole “istitutive” del contratto collettivo, che
prefigurano forme pensionistiche complementari,
presentano caratteri negoziali che non disciplinano
contratti e rapporti individuali di lavoro ma
“obblighi” e “pretese” riguardo la successiva
formazione di contratti costitutivi di fondi pensione
(34).
L’intesa raggiunta in materia di previdenza
complementare ha naturalmente una notevole
incidenza sull’economia complessiva del contratto,
perché il fondo pensione per le imprese costituisce
un costo aggiuntivo che il sindacato dovrà
compensare con una strategia negoziale più
contenuta su altri fronti di rivendicazione di benefici
per i lavoratori.
coincidere con l’ambito oggettivo di applicazione del contratto collettivo, quale definito, con valenza eteronoma, dal contratto medesimo, in sede di individuazione della categoria interessata alla tutela previdenziale complementare”.
34(?) Vedi FERRARO G. (2000), La previdenza complementare nella riforma del welfare, Giuffrè Editore
52
La previsione di una libertà di adesione alle forme
di previdenza complementare sindacali costituisce
una deroga alla naturale efficacia erga omnes
dell’accordo sindacale che le istituisce (35).
Il contratto collettivo, quindi, come ogni altro
contratto di diritto comune, ha efficacia
esclusivamente per gli iscritti ai sindacati stipulanti
o per coloro che hanno aderito.
Il contratto collettivo istitutivo di una forma di
previdenza complementare non è mai esaustivo del
processo che porta all’adesione, di qualunque
livello sia.
La libertà di adesione, come manifestazione della
libertà individuale, si pone come libertà di rifiutare
gli effetti naturali del contratto, comportando
soltanto l’insussistenza del vincolo previdenziale, e
viene ricompresa solo nel rapporto soggettivo che
si viene a creare quando la fonte istitutiva nasce
35(?) Vedi PERSIANI M. (2010), La previdenza complementare, Cedam
53
dall’autonomia collettiva o da regolamenti di enti o
aziende.
Il principio della libertà di adesione implica
un’eccezione alla inderogabilità del contratto
collettivo, attribuendo al lavoratore (al quale la
fonte istitutiva trovi ambito di applicazione in virtù
dell’affiliazione al sindacato stipulante o
dell’accettazione del contratto collettivo da parte
del lavoratore non iscritto all’organizzazione
firmataria dello stesso, cui sia tenuto a dare
applicazione il datore di lavoro, o della ricezione del
contratto collettivo nel contratto individuale di
lavoro) la facoltà di rifiutare gli effetti normativi di
tale contratto.
Il legislatore ha, dunque, tutelato la garanzia
costituzionale della libertà della previdenza privata,
subordinando, in maniera eccezionale, l’interesse
collettivo a quello individuale nel momento
dell’attivazione della tutela configurata in sede
collettiva.
54
La scelta individuale di non aderire alla forma
previdenziale istituita dalla fonte collettiva
applicabile al rapporto si pone come deroga
all’efficacia soggettiva dei contratti o accordi
collettivi (36).
Il lavoratore che abbia esercitato in negativo la sua
libertà di adesione non si sottrae totalmente
all’efficacia soggettiva del contratto collettivo
istitutivo di una forma di previdenza
complementare, in quanto quest’ultimo pone un
diritto alla partecipazione, sempre esercitabile, in
capo al lavoratore, quando sussistano i requisiti,
manifestando espressamente la propria volontà di
aderire (37).
La valenza normativa, estesa oltre la sfera tipica
della regolazione del lavoro subordinato, non forza i
limiti naturali di funzione del contratto collettivo ma
assume forma di vincolo giuridico alla necessaria
36(?) Vedi PERSIANI M. (2001), La previdenza complementare tra iniziativa sindacale e mercato finanziario, in Arg. di Dir. del Lav.37(?) Vedi TURSI A. (2001) La previdenza complementare nel sistema italiano di sicurezza sociale, Giuffrè
55
relazione esistente tra atto negoziale istitutivo,
espressione dell’autonomia collettiva, e gli
strumenti negoziali che conferiscono all’atto
concretezza operativa e materiale.
Si tratta, quindi, di una dimensione promozionale
affidata alla funzione istitutiva che la legge indica
nel contratto collettivo sul duplice presupposto
della garanzia di libertà posta dal comma 5 dell’art.
38 e, più in generale, dal comma 1 dell’art. 39 della
Costituzione.
L’adesione perfeziona un contratto che costituisce
costantemente un rapporto sinallagmatico ed
eventualmente un rapporto associativo.
La nascita del rapporto associativo dipende dal
modello organizzativo adottato dal fondo pensione:
se questo trova luogo in un’associazione di
lavoratori, l’iscritto avrà la qualità di socio.
56
Qualità che il lavoratore non potrà avere se
l’organizzazione sindacale è in veste di socio o se il
fondo stesso ha una struttura fondazionale (38).
Nasce, quindi, un rapporto a prestazioni
corrispettive tra aderente e fondo, inquadrando il
primo come rapporto giuridico contributivo, il
secondo come rapporto giuridico previdenziale.
L’adesione su base collettiva consente ai contratti
collettivi, anche aziendali, di determinare le
modalità e la misura minima della contribuzione a
carico del datore di lavoro e del lavoratore.
In tutti gli altri casi, quindi, quando la fonte
istitutiva è un accordo fra lavoratori o questi
aderiscono a fondi aperti, la libertà di adesione si
confonde con la libertà di partecipazione o meno a
forme alternative e viene determinato solo il livello
minimo di contribuzione a carico degli stessi.
38(?) Vedi BESSONE M. (2000), La Previdenza Complementare, Giappichelli Editore
57
Il comma 13 dell’art. 8 d.lgs. 252/2005 stabilisce
che “gli statuti e i regolamenti disciplinano le
modalità in base alle quali l’aderente può
suddividere i flussi contributivi anche su diverse
linee di investimento all’interno della forma
pensionistica medesima, nonché le modalità
attraverso le quali può trasferire l’intera posizione
individuale a una o più linee”.
Il contratto collettivo, quasi sempre, nelle clausole
per il trattamento pensionistico complementare
prevede che al finanziamento del fondo pensione
indicato partecipi, oltre che il lavoratore con una
percentuale del suo salario, il datore di lavoro con
una contribuzione posta a suo carico.
Quindi, l’autonomia collettiva nel suo accordo
gestisce il monte delle retribuzioni, destinando una
quota a fini previdenziali, e soddisfa un interesse
comune a tutti i lavoratori ricompresi nel suo
ambito di applicazione (39).
39(?)Vedi PERSIANI M. (2010), La previdenza complementare, Cedam
58
L’accordo è efficace per tutti gli appartenenti alla
categoria dei dipendenti per i quali è stato stipulato
e, quindi, la libertà di adesione, prevista per legge,
non viene considerata rinuncia invalida ex art. 2113
cod. civ. e comporta una rinuncia ad una parte della
retribuzione rappresentata dal contributo posto a
carico del datore di lavoro.
Nell’economia della disciplina della libertà di
adesione il regime del contestuale trasferimento del
contributo datoriale assume una grande rilevanza
ed una sua soppressione da parte delle fonti
istitutive può sembrare una forte limitazione per il
lavoratore.
Si tratta della possibilità che l’impegno previsto nel
contratto collettivo di concorrere al finanziamento
del piano di previdenza complementare del
dipendente, assunto dal datore di lavoro, “segua” la
scelta del lavoratore nel caso in cui questi decida di
59
aderire ad una forma pensionistica diversa da
quella connessa al proprio rapporto di lavoro (40).
Nell’articolo 8, comma 10, della legge 252/2005
viene esplicitato il principio secondo cui il
contributo datoriale affluisce nella forma
pensionistica scelta dal lavoratore, diversa da
quella prevista dall’autonomia collettiva, nei limiti e
secondo le modalità previste dal contratto collettivo
o dall’accordo (41).
40(?) Vedi SANTORO PASSARELLI G. (2007), Trattamento di fine rapporto e previdenza complementare , Giappichelli.
41(?) Si riporta il testo della norma citata: “L'adesione a una forma pensionistica realizzata tramite il solo conferimento esplicito o tacito del TFR non comporta l'obbligo della contribuzione a carico del lavoratore e del datore di lavoro. Il lavoratore può decidere, tuttavia, di destinare una parte della retribuzione alla forma pensionistica prescelta in modo autonomo ed anche in assenza di accordi collettivi; in tale caso comunica al datore di lavoro l'entità del contributo e il fondo di destinazione. Il datore può a sua volta decidere, pur in assenza di accordi collettivi, anche aziendali, di contribuire alla forma pensionistica alla quale il lavoratore ha già aderito, ovvero a quella prescelta in base al citato accordo. Nel caso in cui il lavoratore intenda contribuire alla forma pensionistica complementare e qualora abbia diritto ad un contributo del datore di lavoro in base ad accordi collettivi, anche aziendali, detto contributo affluisce alla forma pensionistica prescelta dal lavoratore stesso, nei limiti e secondo le modalità stabilite dai predetti contratti o accordi”.
60
L’adesione ai fondi pensione “chiusi”, alla luce della
normativa, comporta l’acquisto di uno “status
collettivamente condiviso”, il quale implica una
serie di prerogative e di vincoli di solidarietà tra gli
aderenti.
La legge, quindi, si presta ad essere interpretata nel
senso di garantire ai fondi sindacali una rendita di
posizione, attraverso il governo del diritto alla
portabilità.
Si realizza uno speciale assetto di interessi, in cui si
afferma un più stretto legame tra piano individuale
e collettivo, in modo da mettere in dubbio
l’applicabilità della nozione di efficacia reale del
contratto collettivo nei confronti della posizione del
singolo lavoratore.
Non possono esistere vincoli ed obblighi idonei a
limitare la portata del principio, al quale si devono
uniformare le fonti istitutive del fondo, per cui viene
garantita la libertà di adesione individuale
all’iniziativa previdenziale.
61
Si tratta, quindi, di realizzare un contemperamento
fra interessi collettivi ed interessi individuali, che
risulta difficile nell’assenza di norme espresse in un
mondo del lavoro collegato all’efficacia del
contratto collettivo e alla preminenza dell’interesse
collettivo(42).
-Gli aspetti “dinamici” delle fonti istitutive, dovute
dal mutamento e dall’evoluzione di queste,
pongono delle problematiche in considerazione
dell’inevitabile contrasto fra la naturale attitudine
del contratto collettivo come “fonte normativa
definitiva” e la tendenza della vicenda pensionistica
a svolgersi durevolmente entro un più o meno
lungo arco di tempo.
Il mutamento delle fonti istitutive può dare origine a
situazioni di contrasto fra l’autonomia collettiva e
l’autonomia individuale degli iscritti, fra tutela delle
posizioni e delle aspettative dei lavoratori e
l’inesorabile evoluzioni delle prescrizioni poste da
42(?) Vedi PICCININI I. (2001), Autonomia collettiva e previdenza, Giappichelli editore
62
una contrattazione collettiva quanto mai sensibile
alle sollecitazioni del contesto socio-economico
delle imprese(43).
Il principio della “mutabilità condizionata”, in base
al quale si cerca di contenere il più possibile i
margini di aleatorietà della vicenda pensionistica
complementare, impone agli attori sindacali la
salvaguardia dei diritti quesiti e la rinegoziazione
del livello di tutela originariamente garantito,
lasciando la possibilità al datore di lavoro di avere
la facoltà di rescindere dell’accordo istitutivo di
fondo “chiuso” , stipulato senza limiti di durata.
La disdetta datoriale , interrompendo la dinamica
evolutiva, dei rapporti collettivi, può solo
“cristallizzare” definitivamente la regolamentazione
al momento vigente, determinando l’ultrattività solo
per i lavoratori aderenti al fondo, avendo effetto
solo verso i nuovi assunti e comportando soltanto
l’insussistenza del vincolo previdenziale in sede di
43(?) Vedi CINELLI M. (2010), La previdenza complementare. Art.2123, Giuffrè Editore
63
stipula di nuovi contratti di lavoro, ma non influisce
sui contratti individuali già in essere.
In ogni caso la modifica delle fonti istitutive non può
influire sulla “posizione di coloro che, avendo
maturato i requisiti ed esercitato il relativo diritto,
hanno ormai conseguito il trattamento
pensionistico”(44).
Le aspettative di chi, invece, non ha maturato i
requisiti per conseguire il trattamento possono
essere più o meno garantite a seconda che il
programma previdenziale sia oggetto di modifica
consensuale a livello collettivo o di modifica
unilaterale, nel caso di disdetta datoriale.
Nel primo caso, la regola generale per cui ogni
singolo contratto è sempre suscettibile di modifica,
anche retroattiva, ad opera del successivo è 44(?) Vedi pronuncia della Corte di Cassazione n. 6361 del 19 aprile 2003.Secondo A. STANCHI “è infondata la rivendicazione dell’applicazione della vecchia disciplina collettiva da parte del lavoratore che, entro il periodo dalla sua vigenza, aveva maturato ma non esercitato il diritto al pensionamento di anzianità(e che aveva conseguito il pensionamento di vecchiaia soltanto dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina collettiva)”.
64
affiancato un sindacato di “ragionevolezza”, che
ammette la possibilità di una nuova e diversa
regolamentazione rispetto a quella originaria solo
se ed in quanto imposta dalla necessità di
mantenere la giusta correlazione tra consistenza
patrimoniale del fondo e “prestazioni
erogande”(45).-
45(?) Vedi pronuncia di Corte di Cassazione n.689 del 21 gennaio 2000 e n. 6361 del 19 aprile 2003 in cui viene esposto il principio per cui “se non possono qualificarsi tout-court come diritti soggettivi le mere aspettative configurabili nelle posizioni soggettive anteriori alla maturazione del diritto a pensione, non si esclude la configurabilità di limiti alle suddette modificazioni, rintracciabili nella tutela che le stesse fonti convenzionali apprestano alle posizioni soggettive che si costituiscono in una fattispecie a formazione progressiva” e secondo cui “ chi invochi un tale di tipo di tutela ha l’onere di indicarne la fonte ed il contenuto”.
65
1.4 NORME DI LEGGE ORDINARIA E
NORMAZIONE SECONDARIA
La norma del codice civile che regola i fondi
pensione è l’art. 2117, la quale circoscrive la sua
portata alle sole forme pensionistiche
complementari che presuppongono l’iniziativa del
datore di lavoro (46).
L’articolo non descrive modelli di organizzazione
della previdenza e dell’assistenza complementare,
ma si limita ad istituire un vincolo di destinazione
dei cespiti che vi sono destinati (47).
Fermandoci alla normativa civile, la determinazione
degli strumenti organizzativi della funzione
previdenziale viene totalmente rimessa in capo al
datore di lavoro, secondo il principio di libertà
46(?) Si riporta il testo della norma citata.“I fondi speciali per la previdenza e l'assistenza che l'imprenditore abbia costituiti, anche senza contribuzione dei prestatori di lavoro, non possono essere distratti dal fine al quale sono destinati e non possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell'imprenditore o del prestatore di lavoro”.47(?) Vedi INFANTE G. (2002), I profili civilistici dei fondi speciali per la previdenza e l’assistenza. L’art. 2117 dopo gli interventi legislativi degli anni 90, Jovene
66
sancito dall’ultimo comma dell’art. 38 della
Costituzione (48).
Si ricavano indici organizzativi dall’articolo 2123
cod. civ., il quale dispone il diritto in capo al datore
di lavoro di “dedurre dalle somme da lui dovute a
norma degli artt. 2110, 2111 e 2120 quanto il
prestatore di lavoro ha diritto di percepire per
effetto degli atti medesimi” e stabilisce che, alla
cessazione del contratto, per qualsiasi causa, in
presenza di fondi di previdenza complementare
finanziati con il contributo di lavoratori, questi ultimi
abbiano il diritto alla liquidazione della propria
quota (49).
L’applicazione dell’art. 2117 cod. civ. è integrata
dal d.lgs. 5 dicembre 2005 n. 252 che, abrogando
l’articolo 21 comma 8 d.lgs. 21 aprile 1993 n. 124,
fissa norme specifiche in materia e restringe
l’autonomia che la disciplina codicistica aveva
48(?) Si riporta il testo della norma citata: “L'assistenza privata è libera”.
49(?)Vedi CINELLI M. (2010), La previdenza complementare. Art. 2123, Giuffrè Editore
67
disposto, ponendo precisi ed inderogabili strumenti
organizzativi preposti al fine previdenziale.
La forte incidenza delle norme sul codice civile è
espressione della dinamica degli interventi nel
settore tramite una pluralità di fonti, primarie e
secondarie, le quali concorrono insieme a delineare
la struttura degli istituti.
In materia di fondi pensione e previdenza
complementare lo strumento di legge ordinaria più
utilizzato è il decreto legislativo, che l’autorità di
governo approva in conformità dei principi ed entro
i limiti di oggetto stabiliti dalla legge delega.
La previdenza complementare non fa eccezione alla
regola che caratterizza ogni settore
dell’ordinamento quando occorre prevedere ad una
produzione di genere molto particolare, sia per la
prevalenza di materie ad oggetto tecnicamente
complesso, sia per la presenza di numerosi e
divergenti interessi, che nelle norme devono
trovare una possibile composizione.
68
Con i decreti legislativi 124/1993 e 252/2005 la
materia della previdenza complementare è stata
innovata delimitando puntualmente in maniera
inderogabile i modelli organizzativi e delineando il
campo di azione e di gestione degli enti.
Questa innovazione ha portato a separare i fondi di
vecchia generazione, retti solo dall’art. 2117 cod.
civ., “preesistenti” al decreto legislativo 124/1993,
dai fondi di nuova generazione, plasmati in maniera
inderogabile nelle forme organizzative.
I fondi “preesistenti” continuano a beneficiare di
autonomia organizzativa più ampia di quella fruibile
dai fondi di successiva istituzione con il limite,
istituito dall’art. 18, comma 1, d.lgs. 124/1993 e poi
dall’art. 20, comma 1, d.lgs. 252/2005, dettato dalla
necessità di dotarsi di strutture gestionali
amministrative e contabili separate.
L’art. 23, comma 3, d.lgs. 252/2005, inoltre,
dispone che “tutte le forme pensionistiche devono
adeguarsi, sulla base delle citate direttive, alle
69
norme del presente decreto legislativo”, segnando
un passaggio fondamentale per l’autonomia
gestionale dei fondi preesistenti.
Il comma successivo dispone che dal 1° gennaio
2008 “solo le forme pensionistiche complementari
che hanno provveduto agli adeguamenti richiesti e
hanno ricevuto relativa autorizzazione anche
tramite la procedura del silenzio-assenso, da parte
della Covip, possono ricevere nuove adesioni anche
con riferimento al finanziamento tramite
conferimento del TFR”, delimitando il perdurare dei
fondi di vecchia generazione, che non si sono
regolarmente adeguati, fino all’esaurimento degli
aderenti (50).
Il decreto legislativo 252/2005, segnando una
precisa innovazione della disciplina, è una
normativa puntuale di modelli organizzativi dei
soggetti e delle attività amministrative e finanziarie
e si pone come fonte unica e primaria, capace di
50(?) Vedi CINELLI M. (2010), La previdenza complementare. Art. 2123, Giuffrè Editore
70
coniugare efficienza operativa e tutela dei diritti
maturati con l’adesione alla forma previdenziale.
Il lessico normativo individua e distingue riguardo le
fonti un profilo istitutivo e un profilo costitutivo,
separando il procedimento prodromico di diritto
privato creativo del fondo dal procedimento
amministrativo di regolazione interna al fondo.
L’art. 4 del d.lgs. 252/2005 descrive il profilo
costitutivo delle fonti, precisando i modelli
organizzativi utilizzabili per i fondi pensione,
dividendoli in tre schemi: due con portata generale
(comma 1, lettere a e b) e uno (comma 2)
applicabile solo alle ultime tipologie di fonti
istitutive, quindi secondo l’ art. 3 lettera g), h) e i)
(51). 51(?) Si riporta il testo delle disposizioni citate.
1. I fondi pensione sono costituiti: a) come soggetti giuridici di natura associativa, ai sensi dell'articolo 36 del codice civile, distinti dai soggetti promotori dell'iniziativa; b) come soggetti dotati di personalità giuridica; in tale caso, in deroga alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, il riconoscimento della personalità giuridica consegue al provvedimento di autorizzazione all'esercizio dell'attività adottato dalla COVIP; per tali fondi pensione, la COVIP cura la tenuta del registro delle persone giuridiche e provvede ai relativi adempimenti.
71
Quest’ultimo modello non crea un nuovo soggetto
di diritto ma si risolve nella formazione di un
patrimonio “separato”, costituito nell’ambito della
singola società o ente.
Portata generale hanno, invece, i modelli previsti
per i soggetti di natura associativa ai sensi
dell’articolo 36 cod. civ., distinti dai soggetti
promotori dell’iniziativa e dai soggetti dotati di
personalità giuridica che conseguono, su loro
richiesta, l’autorizzazione all’esercizio dell’attività
tramite l’autorizzazione da parte della Covip (52).
Il regime dettato dall’art. 2117 cod. civ. , quindi,
rileva solo ai fini della “destinazione” del
patrimonio, delimitando il suo ambito applicativo da
2. I fondi pensione istituiti ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettere g), h) e i), possono essere costituiti altresì nell'ambito della singola società o del singolo ente attraverso la formazione, con apposita deliberazione, di un patrimonio di destinazione, separato ed autonomo, nell'ambito della medesima società od ente, con gli effetti di cui all'articolo 2117 del codice civile.
52(?)Vedi BESSONE M. (2001), Fondi pensione “chiusi”. Le regole di organizzazione e l’attività degli amministratori, in Arg. Dir. Lav.
72
cogliere in precisi richiami delle fonti primarie e
secondarie a cui sono affidati i modelli organizzativi.
Infatti, esso rimane unica regola dei fondi con
funzione esclusivamente assistenziale di natura
negoziale e viene richiamato in maniera specifica
per i fondi pensione aperti.
Il rinvio a norme secondarie consente di
determinare vincoli potenzialmente indefiniti
all’attività e all’organizzazione dei fondi,
delimitando l’autonomia statutaria.
In questo campo meritano particolare attenzione le
attribuzioni della Commissione di Vigilanza dei fondi
Pensione.
Oltre a funzioni di promozione della previdenza
complementare, la Covip svolge funzioni di
regolazione del settore, che si sostanziano in
notevole misura in funzioni di carattere
normativo(53).
53(?) Vedi CINELLI M. (2010), La previdenza complementare. Art.2123, Giuffrè Editore
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Un ruolo di tal genere riconosciuto alla
Commissione di Vigilanza si spiega con la
particolare identità di un organismo “reggente di
settore”, che per le competenze ricevute dalla
legge 252/2005, e prima dalla legge 124/1993, ha
una evidente attitudine e una precisa legittimazione
a concorrere al complessivo disegno della disciplina
per le parti di materia a contenuto prevalentemente
tecnico (54).
Pur considerando i poteri di vigilanza assegnati ai
sensi degli artt. 18 (55) e 19 d.lgs. 252/2005, la
54(?) Vedi GIUBBONI S. (2009), La previdenza complementare tra libertà individuale ed interesse collettivo, Cacucci
55(?) Si riporta il testo della norma citata.
1. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali vigila sulla COVIP ed esercita l'attività di alta vigilanza sul settore della previdenza complementare, mediante l'adozione, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, di direttive generali alla COVIP, volte a determinare le linee di indirizzo in materia di previdenza complementare.
2. La COVIP è istituita con lo scopo di perseguire la trasparenza e la correttezza dei comportamenti e la sana e prudente gestione delle forme pensionistiche complementari, avendo riguardo alla tutela degli iscritti e dei beneficiari e al buon funzionamento del sistema di previdenza complementare. La COVIP ha personalità giuridica di diritto pubblico.
3. La COVIP è composta da un presidente e da quattro membri, scelti tra persone dotate di riconosciuta
74
posizione istituzionale della Covip segna un limite
obbligato come fonte di diritto della previdenza
complementare, operando in gran parte nella
disciplina delle fonti istitutive e costitutive (56).
competenza e specifica professionalità nelle materie di pertinenza della stessa e di indiscussa moralità e indipendenza, nominati ai sensi della legge 24 gennaio 1978, n. 14, con la procedura di cui all'articolo 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400; la deliberazione del Consiglio dei Ministri e' adottata su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Il presidente e i commissari durano in carica quattro anni e possono essere confermati una sola volta. Ad essi si applicano le disposizioni di incompatibilità, a pena di decadenza, di cui all'articolo 1, quinto comma, del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974, n. 216. Al presidente e ai commissari competono le indennità di carica fissate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. E' previsto un apposito ruolo del personale dipendente della COVIP. La COVIP può avvalersi di esperti nelle materie di competenza; essi sono collocati fuori ruolo, ove ne sia fatta richiesta.
4. Le deliberazioni della COVIP sono adottate collegialmente, salvo casi di urgenza previsti dalla legge o dal regolamento di cui al presente comma. Il presidente sovrintende all'attività istruttoria e cura l'esecuzione delle deliberazioni. Il presidente della COVIP tiene informato il Ministro del lavoro e delle politiche sociali sugli atti e sugli eventi di maggior rilievo e gli trasmette le notizie ed i dati di volta in volta richiesti. La COVIP delibera con apposito regolamento, nei limiti delle risorse disponibili e sulla base dei principi di trasparenza e celerità dell'attività, del contraddittorio e dei criteri di organizzazione e di gestione delle risorse umane di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in ordine al proprio funzionamento e alla propria organizzazione, prevedendo per il
75
La Covip ha assunto nel corso degli anni compiti e
attribuzioni sempre più ampi rispetto a quelli
previsti al momento della sua costituzione. La
funzione che è chiamata a svolgere è
essenzialmente quella di garantire ed assicurare la
coordinamento degli uffici la qualifica di direttore generale, determinandone le funzioni, al numero dei posti della pianta organica, al trattamento giuridico ed economico del personale, all'ordinamento delle carriere, nonche' circa la disciplina delle spese e la composizione dei bilanci preventivo e consuntivo che devono osservare i principi del regolamento di cui all'articolo 1, settimo comma, del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974, n. 216. Tali delibere sono sottoposte alla verifica di legittimità del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, e sono esecutive decorsi venti giorni dalla data di ricevimento, ove nel termine suddetto non vengano formulati rilievi sulle singole disposizioni. Il trattamento economico complessivo del personale delle carriere direttiva e operativa della COVIP e' definito, nei limiti dell'ottanta per cento del trattamento economico complessivo previsto per il livello massimo della corrispondente carriera o fascia retributiva per il personale dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Al personale in posizione di comando o distacco e' corrisposta una indennità pari alla eventuale differenza tra il trattamento erogato dall'amministrazione o dall'ente di provenienza e quello spettante al corrispondente personale di ruolo. La Corte dei conti esercita il controllo generale sulla COVIP per assicurare la legalità e l'efficacia del suo funzionamento e riferisce annualmente al Parlamento.
5. I regolamenti, le istruzioni di vigilanza e i provvedimenti di carattere generale, adottati dalla COVIP per assolvere i compiti di cui all'articolo 19, sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale e nel bollettino della COVIP.
56(?)La Covip ha adottato, con deliberazione del 31 ottobre 2006, gli schemi di statuto, di regolamento e di nota informativa e, con deliberazione del 30 novembre 2006, ha
76
trasparenza e la correttezza nella gestione e
nell’amministrazione dei fondi pensione.
L’articolo 19 del d.lgs. 252/2005 modella uno
schema in cui l’autorità governativa assume un
potere di ampio raggio in tutto il sistema della
previdenza integrativa (57), assegnando alla Covip il
compito di redigere l’albo dei fondi pensione
autorizzati ad esercitare l’attività di previdenza
complementare, vigilare sulla corretta gestione
tecnica, finanziaria, patrimoniale e contabile dei
fondi pensione e sull’adeguatezza del loro assetto
organizzativo, assicurare il rispetto dei principi di
trasparenza nei rapporti tra i fondi pensione ed i
propri aderenti e, infine, curare la raccolta e la
diffusione delle informazioni utili alla conoscenza
dei problemi previdenziali e del settore della
previdenza complementare (58).
adottato il regolamento recante le procedure relative agli adeguamenti delle forme pensionistiche complementari al d.lgs. 252/2005 e le istruzioni ai sensi dell’art.23 medesimo decreto. 57(?) Vedi PERSIANI M. (2010), La previdenza complementare, Cedam58(?) Si riporta il testo del citato art. 19.
77
Alla Direzione generale della Covip è attribuita la
responsabilità della stesura della normativa
regolamentare di competenza della Commissione,
nonché della elaborazione di proposte legislative da
prospettare ai Ministeri vigilanti.
1. Le forme pensionistiche complementari di cui al presente decreto, ivi comprese quelle di cui all'articolo 20, commi 1, 3 e 8, nonchè i fondi che assicurano ai dipendenti pubblici prestazioni complementari al trattamento di base e al TFR, comunque risultino gli stessi configurati nei bilanci di società o enti ovvero determinate le modalità di erogazione, ad eccezione delle forme istituite all'interno di enti pubblici, anche economici, che esercitano i controlli in materia di tutela del risparmio, in materia valutaria o in materia assicurativa, sono iscritte in un apposito albo, tenuto a cura della COVIP.
2. In conformità agli indirizzi generali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, e ferma restando la vigilanza di stabilità esercitata dalle rispettive autorità di controllo sui soggetti abilitati di cui all'articolo 6, comma 1, la COVIP esercita, anche mediante l'emanazione di istruzioni di carattere generale e particolare, la vigilanza su tutte le forme pensionistiche complementari. In tale ambito:
a) definisce le condizioni che, al fine di garantire il rispetto dei principi di trasparenza, comparabilità e portabilità, le forme pensionistiche complementari devono soddisfare per poter essere ricondotte nell'ambito di applicazione del presente decreto ed essere iscritte all'albo di cui al comma 1;
b) approva gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche complementari, verificando la ricorrenza dei requisiti di cui al comma 3 dell'articolo 4 e delle altre condizioni richieste dal presente decreto e valutandone anche la compatibilità rispetto ai provvedimenti di carattere generale da essa emanati; nel disciplinare, con propri regolamenti, le procedure per l'autorizzazione dei fondi pensione all'esercizio dell'attività e per l'approvazione degli
78
Con lo strumento dei “pareri” cura ogni richiesta e
approfondimento giuridico e svolge attività di
consulenza e supporto alle altre strutture in merito
a specifiche fattispecie, anche di natura fiscale e
comunitaria.
statuti e dei regolamenti dei fondi, nonche' delle relative modifiche, la COVIP individua procedimenti di autorizzazione semplificati, prevedendo anche l'utilizzo del silenzio-assenso e l'esclusione di forme di approvazione preventiva. Tali procedimenti semplificati devono in particolar modo essere utilizzati nelle ipotesi di modifiche statutarie e regolamentari conseguenti a sopravvenute disposizioni normative. Ai fini di sana e prudente gestione, la COVIP può richiedere di apportare modifiche agli statuti e ai regolamenti delle forme pensionistiche complementari, fissando un termine per l'adozione delle relative delibere;
c) verifica il rispetto dei criteri di individuazione e ripartizione del rischio come individuati ai sensi dei commi 11 e 13 dell'articolo 6;
d) definisce, sentite le autorità di vigilanza sui soggetti abilitati a gestire le risorse delle forme pensionistiche complementari, i criteri di redazione delle convenzioni per la gestione delle risorse, cui devono attenersi le medesime forme pensionistiche e i gestori nella stipula dei relativi contratti;
e) verifica le linee di indirizzo della gestione e vigila sulla corrispondenza delle convenzioni per la gestione delle risorse ai criteri di cui all'articolo 6, nonche' alla lettera d);
f) indica criteri omogenei per la determinazione del valore del patrimonio delle forme pensionistiche complementari, della loro redditività, nonche' per la determinazione della consistenza patrimoniale delle posizioni individuali accese presso le forme stesse; detta disposizioni volte all'applicazione di regole comuni a tutte le forme pensionistiche circa la definizione del termine massimo entro il quale le contribuzioni versate devono essere rese disponibili per la valorizzazione; detta disposizioni per la
79
CAPITOLO II
IL TRATTAMENTO
PENSIONISTICO
tenuta delle scritture contabili, prevedendo: il modello di libro giornale, nel quale annotare cronologicamente le operazioni di incasso dei contributi e di pagamento delle prestazioni, nonche' ogni altra operazione, gli eventuali altri libri contabili, il prospetto della composizione e del valore del patrimonio della forma pensionistica complementare attraverso la contabilizzazione secondo i criteri definiti in base al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, evidenziando le posizioni individuali degli iscritti e il rendiconto annuale della forma pensionistica complementare; il rendiconto e il prospetto sono considerati quali comunicazioni sociali agli effetti di cui all'articolo 2621 del codice civile;
g) detta disposizioni volte a garantire la trasparenza delle condizioni contrattuali di tutte le forme pensionistiche complementari, al fine di tutelare l'adesione consapevole dei soggetti destinatari e garantire il diritto alla portabilità della posizione individuale tra le varie forme pensionistiche complementari, avendo anche riguardo all'esigenza di garantire la comparabilità dei costi; disciplina, tenendo presenti le disposizioni in materia di sollecitazione del pubblico risparmio, le modalità di offerta al pubblico di tutte le predette forme pensionistiche, dettando disposizioni volte all'applicazione di regole comuni per tutte le forme pensionistiche complementari, sia per la fase inerente alla raccolta delle adesioni sia per quella concernente l'informativa periodica agli aderenti circa l'andamento amministrativo e finanziario delle forme pensionistiche complementari, anche al fine di eliminare distorsioni che possano arrecare pregiudizio agli aderenti; a tale fine elabora schemi per gli statuti, i regolamenti, le schede informative, i prospetti e le note informative da indirizzare ai potenziali aderenti a tutte le forme pensionistiche complementari, nonche' per le comunicazioni periodiche da inoltrare agli aderenti alle stesse; vigila sull'attuazione delle
80
COMPLEMENTARE COME
TRATTAMENTO ECONOMICO
COMPLESSIVO DEL
predette disposizioni nonche', in generale, sull'attuazione dei principi di trasparenza nei rapporti con gli aderenti, nonche' sulle modalità di pubblicità, con facoltà di sospendere o vietare la raccolta delle adesioni in caso di violazione delle disposizioni stesse;
h) detta disposizioni volte a disciplinare le modalità con le quali le forme pensionistiche complementari sono tenute ad esporre nel rendiconto annuale e, sinteticamente, nelle comunicazioni periodiche agli iscritti, se ed in quale misura nella gestione delle risorse e nelle linee seguite nell'esercizio dei diritti derivanti dalla titolarità dei valori in portafoglio, siano stati presi in considerazione aspetti sociali, etici ed ambientali;
i) esercita il controllo sulla gestione tecnica, finanziaria, patrimoniale, contabile delle forme pensionistiche complementari, anche mediante ispezioni presso le stesse, richiedendo l'esibizione dei documenti e degli atti che ritenga necessari;
l) riferisce periodicamente al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, formulando anche proposte di modifiche legislative in materia di previdenza complementare;
m) pubblica e diffonde informazioni utili alla conoscenza dei problemi previdenziali;
n) programma ed organizza ricerche e rilevazioni nel settore della previdenza complementare anche in rapporto alla previdenza di base; a tale fine, le forme pensionistiche complementari sono tenute a fornire i dati e le informazioni richiesti, per la cui acquisizione la COVIP può avvalersi anche dell'Ispettorato del lavoro.
81
LAVORATORE SECONDO LE
FONTI ISTITUTIVE
3. Per l'esercizio della vigilanza, la COVIP può disporre che le siano fatti pervenire, con le modalità e nei termini da essa stessa stabiliti:
a) le segnalazioni periodiche, nonche' ogni altro dato e documento richiesti;
b) i verbali delle riunioni e degli accertamenti degli organi interni di controllo delle forme pensionistiche complementari.
4. La COVIP può altresì:
a) convocare presso di se' gli organi di amministrazione e di controllo delle forme pensionistiche complementari;
b) richiedere la convocazione degli organi di amministrazione delle forme pensionistiche complementari, fissandone l'ordine del giorno.
5. Nell'esercizio della vigilanza la COVIP ha diritto di ottenere le notizie e le informazioni richieste alle pubbliche amministrazioni. I dati, le notizie, le informazioni acquisiti dalla COVIP nell'esercizio delle proprie attribuzioni sono tutelati dal segreto d'ufficio anche nei riguardi delle pubbliche amministrazioni, ad eccezione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e fatto salvo quanto previsto dal codice di procedura penale sugli atti coperti dal segreto. I dipendenti e gli esperti addetti alla COVIP nell'esercizio della vigilanza sono incaricati di un pubblico servizio. Essi sono vincolati al segreto d'ufficio e hanno l'obbligo di riferire alla COVIP tutte le irregolarità constatate, anche quando configurino fattispecie di reato.
6. Accordi di collaborazione possono intervenire tra la COVIP, le autorità preposte alla vigilanza sui gestori soggetti di cui
82
SOMMARIO: 2.1 La disciplina del finanziamento - 2.2
Il trattamento di fine rapporto – 2.2.1 Il
conferimento tacito - 2.3 Il contributo datoriale
2.1 LA DISCIPLINA DEL FINANZIAMENTO
Nelle forme di previdenza complementare il
finanziamento consiste nell’imposizione al datore di
lavoro e al lavoratore di un obbligo di contribuzione.
Il sistema della previdenza complementare, si
caratterizza per la centralità del ruolo svolto dalle
fonti istitutive dei fondi pensione nella definizione
delle differenti modalità di adesione e di
partecipazione.
I contenuti e l’articolazione delle forme
pensionistiche possono, infatti, variare anche
all'articolo 6 e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato al fine di favorire lo scambio di informazioni e di accrescere l'efficacia dell'azione di controllo.
7. Entro il 31 maggio di ciascun anno la COVIP trasmette al Ministro del lavoro e delle politiche sociali una relazione sull'attività svolta, sulle questioni in corso di maggior rilievo e sugli indirizzi e le linee programmatiche che intende seguire. Entro il 30 giugno successivo il Ministro del lavoro e delle politiche sociali trasmette detta relazione al Parlamento con le proprie eventuali osservazioni.
83
significativamente in relazione ai contenuti e
all’articolazione delle fonti istitutive, con particolare
riferimento alle caratteristiche del bacino dei
potenziali destinatari, dei settori produttivi e dei
sistemi di relazioni sindacali di origine.
Questa ultrattività della contrattazione collettiva nel
regolare e definire i limiti e le modalità di
partecipazione dei lavoratori alle forme
pensionistiche complementari ha giustificato il
“favor” accordato dal legislatore alla contrattazione
collettiva.
Tuttavia, dopo una fase che si è contraddistinta per
l’ampia libertà della contrattazione collettiva di
definire i propri bacini di utenza, le modalità di
adesione e di collocamento, le forme e i contenuti
della partecipazione dei lavoratori ai fondi
pensione, i limiti territoriali di azione, i contenuti
della promozione e del sostegno all’iniziativa
previdenziale, si è passati ad una fase
caratterizzata per una sostanziale riduzione degli
elementi di differenziazione dell’offerta
84
previdenziale, concentrando l’attenzione sulle
modalità di finanziamento della previdenza
complementare e di copertura degli oneri di
amministrazione e gestione dei fondi pensione.
Il principio di “favor” per la contrattazione collettiva
ha subito un ulteriore rafforzamento con
l’operatività del meccanismo del “silenzio-
assenso”(59). 59(?) SANDULLI P., Il conferimento, tacito e non, del TFR come strumento giuridico per la partecipazione al sistema di previdenza complementare. Riflessioni critiche, dal volume “La previdenza complementare” a cura di MARCELLO MESSORI (2006), Il Mulino. Sul punto l’Autore esprime il suo dissenso nell’utilizzo improprio dell’espressione “silenzio assenso”. “”Prima ancora di procedere nell’approfondimento del tema, avverto la necessità di un chiarimento terminologico: è invalso, forse per ragioni di apparente semplificazione del linguaggio e di correlata suggestione mediatica, l’orientamento ad usare l’espressione silenzio-assenso in sostituzione di quella, invero correttamente, usata dal legislatore, appunto di conferimento tacito (per la precisione, la legge delega, e sostanzialmente anche il progetto di legge delegata, parla di “Modalità tacite di conferimento” del TFR). Un tale orientamento terminologico non merita di essere condiviso, e tanto meno incoraggiato, per la sua assoluta improprietà?
specialmente in ragione delle ambiguità che esso determina in ordine al significato da attribuire al meccanismo in sé nel contesto degli atri modelli di conferimento, ed in ordine alla natura del rapporto che ne deriva, profili che entrambi verranno esaminati appresso. Il silenzio assenso si colloca nell’ambito di un procedimento con interlocutori definiti, di cui uno in posizione tendenzialmente sovrastante, e nel presupposto dell’esistenza dell’invito di uno degli interlocutori all’altro, dalla cui mancata risposta si deduce ex lege un ben definito effetto, seppure di natura negoziale. Ben altro, dunque, dalla situazione che il legislatore, pienamente consapevole, intende qui realizzare””.
85
La nuova disciplina della previdenza
complementare, infatti, prevede che le modalità
tacite di adesione alla previdenza complementare
operino secondo una precisa gerarchia nella
sequenza delle fonti, che privilegia gli accordi
raggiunti a livello aziendale.
Con la riforma del 2005 la crescita del settore della
previdenza complementare viene in buona parte
affidata al conferimento del TFR a tutte le forme
pensionistiche complementari, incluse quelle
individuali.
Viene pertanto superato il vincolo normativo,
imposto dalla disciplina del 1993, di destinare il
trattamento di fine rapporto solo a forme
previdenziali di natura collettiva, a condizione che
fosse esplicitamente previsto dalle fonti istitutive
della forma pensionistica(60).
A riprova della centralità riconosciuta al TFR, per
60(?) Vedi CINELLI M. (2010), La previdenza complementare. Art.2123, Giuffrè Editore
86
i lavoratori dipendenti è possibile contribuire ai
fondi anche solo con il versamento del TFR
maturando, ovvero a quello che matura dopo la
data di adesione alla forma pensionistica
complementare, senza alcun obbligo di versare altri
contributi né da parte del dipendente né da parte
del datore di lavoro.
In conformità alle previsioni delle fonti istitutive e
coerentemente con le disposizioni di legge, lo
statuto del fondo pensione indica i criteri generali
del sistema di finanziamento.
E’ prevista anche la possibilità dello statuto, al fine
di favorire la conformità dell’ordinamento interno
del fondo all’assetto del finanziamento delineato, di
contenere un rinvio alle fonti istitutive per regolare
la disciplina.
Sotto il profilo contributivo è poi prevista la
possibilità per il lavoratore di definire il contributo a
proprio carico, ferma restando, nelle forme
pensionistiche collettive, la competenza delle fonti
87
istitutive a fissare la misura minima della
contribuzione a carico dei lavoratori e del datore di
lavoro; nelle forme pensionistiche individuali, nel
caso in cui il dipendente versi anche contributi a
proprio carico egli ha diritto alla contribuzione del
datore di lavoro, nei limiti e secondo le modalità
stabilite dai contratti ed accordi collettivi.
Tuttavia nulla impedisce che il datore possa
decidere, anche in mancanza di accordi collettivi, di
versare un contributo a proprio carico alla forma
pensionistica alla quale il lavoratore abbia aderito.
Uno dei principali obiettivi della riforma del 2005 ha
riguardato la ridefinizione dei criteri di
finanziamento della previdenza complementare e,
in particolare, si basa in ampia misura sulla
scommessa di individuare meccanismi idonei a far
confluire il TFR verso i fondi pensione, in modo da
favorire l’affermazione del secondo pilastro
previdenziale, così superando l’impianto
precedente.
88
L’art. 8 del d.lgs. 124/1993 si apriva, infatti, con
l’affermazione secondo la quale “Il finanziamento
delle forme pensionistiche complementari di cui al
presente decreto legislativo grava sui destinatari e,
se trattasi di lavoratori subordinati, ovvero di
soggetti di cui all’articolo 409, punto 3), del codice
di procedura civile, anche sul datore di lavoro,
ovvero sul committente, secondo le previsione delle
fonti costitutive che determinano la misura dei
contributi”; nonché su quella per cui “le fonti
istitutive fissano il contributo complessivo da
destinare al fondo pensione”.
Infine, in maniera più specifica, si affermava ancora
che le fonti istitutive “ su base contrattuale
collettiva possono prevedere la destinazione al
finanziamento anche di una quota
dell’accantonamento annuale al TFR, determinando
le quote a carico del datore di lavoro e del
lavoratore; le medesime fonti, qualora prevedano
l’utilizzazione di quota dell’accantonamento
89
annuale al TFR da destinare al fondo, determinando
la misura della riduzione della quota degli
accantonamenti annuali futuri al TFR”.
La posizione sovraordinata della fonte istitutiva, di
provenienza contrattual-collettiva, risultava
evidente nel sistema precedente dal carattere
piramidale delle determinazioni in tema di
finanziamento, lasciando al lavoratore la sola
possibilità di sottrarsi ai vincoli di finanziamento con
la negazione dell’adesione alla previdenza di
secondo livello.
L’art. 8 del vigente d.lgs. 252/2005 è di tutt’altra
consistenza e dispone che ”il finanziamento delle
forme pensionistiche complementari può essere
attuato mediante il versamento di contributi a
carico del lavoratore, del datore di lavoro o del
committente e attraverso il conferimento del TFR
maturando”; dispone inoltre che, “ferma restando
la facoltà per tutti i lavoratori di determinare
liberamente l'entità della contribuzione a proprio
90
carico, relativamente ai lavoratori dipendenti che
aderiscono ai fondi di cui all'articolo 3, comma 1,
lettere da a) a g) e di cui all'articolo 12, con
adesione su base collettiva, le modalità e la misura
minima della contribuzione a carico del datore di
lavoro e del lavoratore stesso possono essere fissati
dai contratti e dagli accordi collettivi, anche
aziendali”.
Si assiste, quindi, in tema di finanziamento, ad una
virata normativa, finalizzata ad ampliare gli spazi
dell’autonomia individuale, secondo i principi e
criteri direttivi della legge.
In un sistema che tende ad equiparare le varie
tipologie di fonti istitutive, la contrattazione
collettiva conserva comunque un ruolo importante
perché nei settori e nelle aziende, dove si applicano
contratti collettivi, la determinazione di importi o
limiti per la contribuzione, a forme pensionistiche
complementari tramite regole collettive uniformi,
91
rappresenta un risultato coerente con la disciplina
dei rapporti di lavoro.
In questo sistema le fonti istitutive di origine
contrattuale devono tener conto comunque dei
maggiori spazi di cui gode, con la normativa
attuale, l’autonomia individuale in tema di
finanziamento, come risulta dalle misure della
contribuzione, se fissate da contratti o accordi
collettivi, che riguardano una percentuale minima
solo per i lavoratori e non per i datori di lavoro, e
dalla previsione normativa e non più
contrattualistica, e quindi sottratta alla sede
sindacale, del conferimento del TFR, in relazione ad
una scelta del lavoratore, come mezzo di
finanziamento.
Nel caso di fondi negoziali o di fondi pensione
“aperti” attivati su base collettiva, la disciplina del
finanziamento trova negli accordi sindacali correlati
il punto di riferimento principale, ma deve misurarsi
con una normativa che ritaglia i margini di
92
intervento, anche in favore dell’autonomia
individuale, in quanto lasciano solo al lavoratore le
determinazioni relative al TFR, gli concedono di
determinare o variare il suo contributo ed infine non
escludono che gli accordi individuali fra le parti del
rapporto di lavoro possano derogare alle
disposizioni collettive, perfezionando un regime
migliore in tema di misura del contributo datoriale.
Tutta questa importanza che viene affidata
all’autonomia individuale si coniuga in un sistema
improntato alla equiparazione e alla concorrenza tra
le varie forme pensionistiche e che individua nei
diretti interessati, i lavoratori, i soli soggetti che,
tramite il potenziamento delle loro prerogative su
vari fronti, possono decidere sull’utilizzo dei mezzi
di finanziamento.
Le fonti istitutive, quindi, possono prevedere che il
contributo a carico del lavoratore sia costituito
anche dall’accantonamento annuale, o da una parte
di esso, del trattamento di fine rapporto.
93
Sulla natura dei contributi la giurisprudenza (61) si è
espressa qualificando i versamenti del datore di
lavoro, per finanziare le forme pensionistiche
complementari, “di natura previdenziale” e non “di
natura retributiva”.
L’art. 8 del d.lgs. 252/2005, nei primi tre commi,
individua le modalità con le quali i soggetti
dell’obbligazione contributiva pongono in essere il
finanziamento.
Quest’ultimo, quindi, può essere attuato per i
lavoratori subordinati tramite il loro contributo, il
contributo datoriale e il conferimento del TFR
maturando.
Per lavoratori autonomi e liberi professionisti il
finanziamento è a carico dei soggetti stessi;
mentre, per “i soggetti diversi dai titolari di reddito
e lavoro o d’impresa e di soggetti fiscalmente a
carico di altri”, il finanziamento grava sugli stessi
soggetti o sui soggetti dei quali sono a carico.
61(?)Vedi pronunce della Corte di Cassazione n. 421/95, 178/00 e 393/00.
94
Per i soci lavoratori di società cooperative il
finanziamento è regolato secondo la tipologia del
rapporto di lavoro “ in percentuale della
retribuzione assunta per il calcolo del TFR ovvero
degli imponibili considerati ai fini dei contributi
previdenziali obbligatori ovvero in percentuale del
reddito di lavoro autonomo dichiarato ai fini IRPEF,
relativo al periodo d'imposta precedente”.
Per i dipendenti pubblici il finanziamento è regolato
dalla definizione dei contributi “in sede di
determinazione del trattamento economico,
secondo procedure coerenti alla natura del
rapporto”.
Nel comma 2 dell’art. 8 d.lgs. 252/2005 è espresso
il principio secondo cui, per tutti i lavoratori, l’entità
del contributo è liberamente determinata dal
singolo e che le modalità e l’importo minimo a
carico del datore di lavoro e del lavoratore possono
essere fissati da contratti o accordi collettivi anche
aziendali, mentre gli accordi fra soli lavoratori
95
possono determinare unicamente la misura minima
a carico degli stessi.
La possibilità, in capo alle fonti istitutive, di
determinare il minimo importo previsto per i propri
aderenti e di condizionare il principio della libera
determinazione, iniziale o continua, del contributo si
può spiegare con la natura previdenziale del
fenomeno, garantendo continuità di contribuzione,
e con la necessità nell’ambito dei sistemi di
finanziamento a capitalizzazione, avvertita dal
legislatore, di prevedere i flussi di cassa, poiché
solo una certa parte delle risorse viene
effettivamente investita, utilizzando l’altra parte per
l’erogazione delle prestazioni.
Posto che è proprio della libertà di adesione
l’obbligarsi, attraverso la manifestazione della
volontà individuale, alle condizioni imposte dalle
fonti istitutive, a queste ultime si riconosce la
regolazione della misura minima del contributo, se
96
pur in percentuale, al pari di ogni altro rapporto
associativo o negoziale.
Infatti, per le forme individuali di previdenza
complementare si riconosce la possibilità di
successive variazioni dell’importo dei contributi
versati, sia per l’assenza di fonti istitutive di tipo
collettivo regolatrici del rapporto, sia per espressa
disposizione della normativa(62).
Il comma 11 dell’art. 8 consente che il
finanziamento del fondo possa “proseguire
volontariamente oltre il raggiungimento dell’età
pensionabile prevista dal regime obbligatorio di
appartenenza, a condizione che l’aderente, alla
data del pensionamento, possa far valere almeno
un anno di contribuzione a favore delle forme di
previdenza complementare”, lasciando, quindi, in
capo al lavoratore la possibilità di “determinare
62(?) Si riporta il testo dell’art. 13 comma 4 d.lgs. 252/2005: “L'ammontare dei contributi, definito anche in misura fissa all'atto dell'adesione, può essere successivamente variato. I lavoratori possono destinare a tali forme anche le quote dell'accantonamento annuale al TFR e le contribuzioni del datore di lavoro alle quali abbiano diritto”.
97
autonomamente il momento di fruizione delle
prestazioni pensionistiche”.
Le modalità e i criteri del finanziamento sono
determinati nell’atto costitutivo del fondo pensione.
Nel comma 13 dell’art. 8 d.lgs. 252/2005 è disposto
che i regolamenti e gli statuti disciplinano, secondo
i criteri stabiliti dalla Covip, le modalità in base alle
quali l’aderente può suddividere i diversi flussi
contributivi, anche su diverse linee di investimento,
all’interno della forma pensionistica, nonché le
modalità attraverso le quali può trasferire l’intera
posizione individuale a una o più linee.
98
2.2 IL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO
Un’innovazione del decreto 252/2005 risiede
indubbiamente nella disciplina della devoluzione del
trattamento di fine rapporto ai fondi pensione.
Per le modalità di finanziamento della previdenza
complementare e per lo sviluppo del sistema
pensionistico integrativo risultano cruciali le
significative masse di denaro che possono trovarsi
nell’affidamento e l’accantonamento delle quote
annuali del TFR maturando (63).
Il trattamento di fine rapporto, corrisposto, ai sensi
dell’art. 1 della legge 297/82 (64), in ogni caso alla
63(?) Vedi BESSONE M. (2000), La Previdenza Complementare, Giappichelli editore, che indica il nodo del t.f.r., unitamente all’opportuna modulazione degli incentivi fiscali, come leva determinante per un maggior sviluppo dei fondi pensione.
64(?) Si riporta il testo dell’art. 1 della legge 297/82, che riporta modifiche a disposizioni del codice civile. ““L'articolo 2120 del codice civile è sostituito dal seguente: <<Art. 2120 - (Disciplina del trattamento di fine rapporto). - In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni. Salvo diversa previsione dei contratti collettivi la retribuzione annua, ai fini
99
cessazione del rapporto di lavoro, aveva
originariamente natura di retribuzione differita.
La dottrina e la giurisprudenza hanno assegnato
anche al TFR una funzione “previdenziale”, in una
del comma precedente, comprende tutte le somme, compreso l'equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale, e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese. In caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell'anno, per una delle cause di cui all'articolo 2110, nonché in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l'integrazione salariale, deve essere computato nella retribuzione di cui al primo comma l'equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro. Il trattamento di cui al precedente primo comma, con esclusione della quota maturata nell'anno, è incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l'applicazione di un tasso costituito dall'1,5 per cento in misura fissa e dal 75 per cento dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall'ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell'anno precedente. Ai fini della applicazione del tasso di rivalutazione di cui al comma precedente per frazioni di anno, l'incremento dell'indice ISTAT è quello risultante nel mese di cessazione del rapporto di lavoro rispetto a quello di dicembre dell'anno precedente. Le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si computano come mese intero.
Il prestatore di lavoro, con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, una anticipazione non superiore al 70 per cento sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta. Le richieste sono soddisfatte annualmente entro i limiti del 10 per cento degli aventi titolo, di cui al precedente comma, e comunque del 4 per cento del numero totale dei dipendenti. La richiesta deve essere giustificata dalla necessità di: a) eventuali spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;b) acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli,
100
definizione che non considera gli effetti dell’istituto
almeno come delineato nella legge 297/82.
La normativa, già nel d.lgs. 124/93 e in maniera più
specifica nel d.lgs. 252/05, consente al lavoratore di
documentato con atto notarile. L'anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro e viene detratta, a tutti gli effetti, dal trattamento di fine rapporto. Nell'ipotesi di cui all'articolo 2122 la stessa anticipazione è detratta dall'indennità prevista dalla norma medesima. Condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti collettivi o da patti individuali. I contratti collettivi possono altresì stabilire criteri di priorità per l'accoglimento delle richieste di anticipazione>>.
L'articolo 2121 del codice civile è sostituito dal seguente: <<Art. 2121 - (Computo dell'indennità di mancato preavviso). - L'indennità di cui all'articolo 2118 deve calcolarsi computando le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili o ai prodotti ed ogni altro compenso di carattere continuativo, con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese. Se il prestatore di lavoro è retribuito in tutto o in parte con provvigioni, con premi di produzione o con partecipazioni, l'indennità suddetta è determinata sulla media degli emolumenti degli ultimi tre anni di servizio o del minor tempo di servizio prestato. Fa parte della retribuzione anche l'equivalente del vitto e dell'alloggio dovuto al prestatore di lavoro>>.
L'articolo 2776 del codice civile è sostituito dal seguente:<<Art. 2776 - (Collocazione sussidiaria sugli immobili). - I crediti relativi al trattamento di fine rapporto nonché all'indennità di cui all'articolo 2118 sono collocati sussidiariamente, in caso di infruttuosa esecuzione sui mobili, sul prezzo degli immobili, con preferenza rispetto ai crediti chirografari. I crediti indicati dagli articoli 2751 e 2751-bis, ad eccezione di quelli indicati al precedente comma, ed i crediti per contributi dovuti a istituti, enti o fondi speciali, compresi quelli sostitutivi o integrativi, che gestiscono forme di assicurazione obbligatoria per
101
destinare gli accantonamenti annuali del
trattamento di fine rapporto al finanziamento delle
forme pensionistiche complementari.
Il TFR cessa di restare nella disponibilità del datore
di lavoro e di essere corrisposto al lavoratore in
forma di capitale e diventa tramite gli
accantonamenti, durante lo svolgimento del
rapporto di lavoro, un mezzo di finanziamento delle
forme pensionistiche complementari, qualificandosi
come trattamento previdenziale e, quindi, come
contributi in funzione previdenziale.
Le modalità di conferimento degli accantonamenti,
non solo espresse ma anche tacite, hanno esteso in
maniera notevole la platea dei lavoratori che
destinano il trattamento di fine rapporto ai fondi di
l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, di cui all'articolo 2753, sono collocati sussidiariamente, in caso di infruttuosa esecuzione sui mobili, sul prezzo degli immobili, con preferenza rispetto ai crediti chirografari, ma dopo i crediti indicati al primo comma. I crediti dello Stato indicati dal terzo comma dell'articolo 2752 sono collocati sussidiariamente, in caso di infruttuosa esecuzione sui mobili, sul prezzo degli immobili, con preferenza rispetto ai crediti chirografari, ma dopo i crediti indicati al comma precedente>>.””
102
previdenza, con il risultato di istituzionalizzare
progressivamente la previdenza complementare.
Il datore di lavoro è tenuto a trasferire il TFR alla
forma di previdenza complementare indicata dal
dipendente, secondo le modalità e nel rispetto delle
scadenze dettate dal contratto collettivo o dal
regolamento della forma individuale, oltre agli
eventuali contributi a carico dell’azienda e del
lavoratore.
La periodicità dei versamenti è dettata dai contratti
o accordi collettivi, anche aziendali. Il dipendente è
libero, previa comunicazione al datore di lavoro, di
variare o sospendere il versamento del proprio
contributo aggiuntivo.
I versamenti del datore di lavoro ai fondi di
previdenza, nella misura in cui costituiscono i mezzi
di finanziamento dei fondi stessi, non sono destinati
a soddisfare direttamente interessi individuali del
lavoratore ma sono diretti a soddisfare interessi
103
collettivi come individuati nel contratto collettivo
(65).
Se il TFR rimane in azienda, e quindi nella
disponibilità del datore di lavoro, ed è corrisposto
alla fine del rapporto di lavoro, continua a
soddisfare un interesse individuale del lavoratore.
Nella stessa maniera con cui il contributo
previdenziale alla previdenza obbligatoria non è
considerato come quota di retribuzione, poiché è
diretto al soddisfacimento dell’interesse generale, il
finanziamento di una forma pensionistica
complementare non permette di considerare il
contributo di natura retributiva qualora sia diretto a
soddisfare un interesse collettivo.
Gli accantonamenti, relativi al trattamento di fine
rapporto, cessano di avere natura retributiva e
“acquistano natura di atto previdenziale in senso
stretto perché sono diretti a soddisfare un interesse
collettivo o meglio a subordinare la soddisfazione 65(?) Vedi SANTORO PASSARELLI G. (2007), Trattamento di fine rapporto e previdenza complementare, Giappichelli
104
dell’interesse individuale alla preventiva
soddisfazione dell’interesse collettivo” (66), in forza
della destinazione affidata all’iniziativa del singolo
lavoratore (67).
La funzione previdenziale del TFR, inquadrata come
generica nella legge 297/82, non faceva venire
meno la natura retributiva dei contributi, mentre,
nei limiti dell’art. 8 del d.lgs. 252/2005, attualmente
il TFR ha acquisito solo natura previdenziale.
Il rilievo che i fondi di previdenza a contribuzione
definita, secondo il principio di capitalizzazione
individuale, erogano prestazioni in proporzione ai
contributi versati non può escludere la natura
66(?) Così SANTORO PASSARELLI G. (2007), Trattamento di fine rapporto e previdenza complementare, Giappichelli
67(?) SANDULLI P., Il conferimento, tacito e non, del TFR come strumento giuridico per la partecipazione al sistema di previdenza complementare. Riflessioni critiche, dal volume “La previdenza complementare” a cura di MARCELLO MESSORI (2006), Il Mulino. L’Autore parla di ”punto più elevato di applicazione del conclamato principio di libertà” che “sta nella previsione del conferimento esplicito del TFR, ispirato alla logica della opzione nel libero mercato dei fondi pensione; esso è destinato ad articolarsi in vari modelli o schemi negoziali, a seconda - è da ritenere – del tipo di fondo pensioni in cui favore si intende disporre il conferimento”.
105
previdenziale del contributo, in quanto l’esistenza
del fondo stesso giustifica la comunanza degli
interessi degli iscritti, distinguendo la previdenza
privata dalle forme di assicurazione e di risparmio.
L’art. 8, quindi, modifica gli effetti della disciplina
della legge 297/82, consentendo al lavoratore di
sottrarre continuativamente al datore di lavoro la
disponibilità materiale delle somme relative al TFR
prima della cessazione del rapporto.
Sottrazione consentita, nella legge 297/82, solo una
volta nei casi determinati dalle forme di
anticipazione(68), in cui l’autonomia collettiva può
stabilire condizioni di miglior favore al regime
legale, stabilendo nuove ipotesi e nuovi criteri di
priorità senza discriminazioni, non dovendosi
riservare solo per una parte dei dipendenti e non
pregiudicando i diritti di coloro che sono già in
68(?) Se non prevista dai casi indicati dalla legge o autonomia collettiva, costituisce un mutuo del datore di lavoro con clausola di restituzione differita e volontaria, con una compensazione tramite il trattamento di fine rapporto.
106
possesso dei requisiti previsti dalla legge per
ottenere un’anticipazione(69).
Inoltre, gli accantonamenti del TFR sono reali,
dovendo effettivamente affluire al fondo di
previdenza complementare, a differenza degli
accantonamenti virtuali del TFR trattenuti in
un’azienda con meno di cinquanta dipendenti,
accantonamenti che costituiscono un credito
nominale del lavoratore a carico del datore di
lavoro.
Per compensare la sottrazione del TFR, alle imprese
sono stati attribuiti appositi benefici, previsti
dall’art. 10, che consistono in sgravi fiscali e da altri
risparmi correlati sul costo del lavoro.
L’art. 8 comma 7 del d.lgs. 252/2005 dispone che il
conferimento del TFR alle forme pensionistiche
complementari comporti l’adesione alle stesse.
69(?) Con queste precisazioni pare logico pensare che l’autonomia collettiva sia libera solo di aumentare il numero delle anticipazioni.
107
In ogni caso, la scelta di conferire il proprio TFR alla
previdenza complementare è irreversibile e non
ammette ripensamenti del lavoratore: una volta che
la volontà di aderire è stata espressa in modo
esplicito, non sarà più possibile riportare il TFR in
azienda.
La stessa disposizione introduce, oltre alle modalità
esplicite, le modalità tacite, indicando una serie di
modalità e criteri per il conferimento del TFR in
mancanza di una espressa indicazione da parte del
lavoratore.
Il principio del d.lgs. 124/93 del “silenzio-rifiuto di
aderire”, quindi, viene totalmente modificato e
capovolto con il principio del “silenzio-assenso
all’adesione”, presente nel d.lgs. 252/05.
Il lavoratore dovrà, quindi, dichiarare
espressamente, entro sei mesi dalla sua
assunzione, di non voler aderire al sistema della
108
previdenza complementare tramite la scelta di non
conferire il suo trattamento di fine rapporto(70).
L’adesione attraverso il solo conferimento del TFR
non comporta l’obbligo contributivo del lavoratore o
del datore di lavoro al fondo, previsto dal contratto
o accordo collettivo istitutivo della forma di
previdenza, a cui il trattamento di fine rapporto è
destinato.
Il lavoratore può, in ogni caso, attivare
autonomamente la sua contribuzione e, qualora
avesse diritto, anche la contribuzione del datore di
lavoro, secondo le regole della fonte istitutiva scelta
per il conferimento del trattamento di fine rapporto
70(?) SANDULLI P., Il conferimento, tacito e non, del TFR come strumento giuridico per la partecipazione al sistema di previdenza complementare. Riflessioni critiche, dal volume “La previdenza complementare” a cura di MARCELLO MESSORI (2006), Il Mulino. L’Autore parla di ”momento costitutivo del rapporto pensionistico individuale, piuttosto sull’atto del conferimento che non sulla adesione in quanto tale, con un potenziale, non irrilevante impatto sul relativo meccanismo negoziale e sulla stessa configurazione del rapporto”. “Si tratta di un’indicazione adombrata nella delega e del tutto esplicita nel progetto, laddove nell’incipit del comma 7 dell’art. 8 si legge: “Il conferimento dunque, del TFR maturando alle forme pensionistiche complementari comporta l’adesione alle forme stesse”.
109
e, anche in assenza di accordi collettivi, decidere di
destinarvi una quota della retribuzione (71).
Il conferimento esplicito del TFR si realizza
attraverso una dichiarazione espressa della volontà
del lavoratore mediante la compilazione dei modelli
“t.f.r 1“ e “t.f.r. 2”, disciplinati dal decreto
ministeriale 30 gennaio 2007(72).
71(?) SANDULLI P., Il conferimento, tacito e non, del TFR come strumento giuridico per la partecipazione al sistema di previdenza complementare. Riflessioni critiche, dal volume “La previdenza complementare” a cura di MARCELLO MESSORI (2006), Il Mulino. L’Autore parla di ””delicatissima, ulteriore questione della sorte del contributo datoriale. Essa va esaminata muovendo dal testo della delega che, sul punto, alla lett. e), n. 3, così recita: “la possibilità che, qualora il lavoratore abbia diritto ad un contributo del datore di lavoro da destinare alla previdenza complementare, detto contributo affluisca alla forma pensionistica prescelta dal lavoratore stesso”. E’ ben noto che uno degli argomenti utilizzati per contenere la portata del trascinamento si incentra sull’estrapolazione del termine “qualora”, che viene inteso come mera eventualità, e che sarebbe di per sé idonea a collegare il meccanismo in parola alla volontà contrattuale collettiva. Ritengo che questa lettura sia assolutamente monca, dovendosi essa estendere all’intero inciso, nel quale ha un ruolo dominante la destinazione dell’eventuale (questo è il significato da attribuire al termine qualora) contributo alla previdenza complementare, intesa come obiettivo esterno alle parti, alla cui realizzazione di “sistema” concorrono in termini tendenzialmente paritari tutti i fondi abilitati. Questo criterio legale presiede la scelta che il legislatore delegato si sta accingendo a fare (art. 8, c. 9), seppure un po’ confusamente, e quindi non sembrano giuridicamente fondate le contestazioni sul punto formulate dalle parti sociali in sede di avviso comune, nelle sue varie edizioni””.
110
Il lavoratore può liberamente conferire il TFR a tutte
le tipologie di forme di previdenza complementare,
sia quelle su base contrattual-collettiva, anche
previste dal contratto regolativo del rapporto di
lavoro, sia a quelle individuali, e riguarda tutte le
somme che costituiscono il trattamento di fine
rapporto.
Un aspetto innovativo della disciplina delineata dal
d.lgs. 252/2005 riguarda i lavoratori iscritti alla
previdenza obbligatoria antecedentemente il 29
aprile 1993 (73).
Questi lavoratori, infatti, incontravano il doppio
limite per il conferimento del TFR, ai sensi dell’art. 8
comma 2 del d.lgs. 124/1993: era previsto solo se
le fonti istitutive indicavano tale possibilità ed era
consentito solo “pro quota”.
72(?) La Covip, con deliberazione del 21 marzo 2007, ha fornito direttive recanti chiarimenti operativi circa l’applicazione del decreto ministeriale adottato ai sensi dell’art. 1 comma 765 della legge 27 dicembre 2006 numero 296.
73(?) Art. 8 comma 1 lettera c) del citato decreto.
111
In particolare, questa categoria di lavoratori, se
iscritti ad una forma di previdenza complementare,
entro il 29 aprile 1993, che prevede il conferimento
del TFR, ovviamente solo pro quota, possono
mantenere invariata la loro situazione, mantenendo
la parte residua presso il datore di lavoro o
destinare l’intera quota al fondo.
Se, invece, non iscritti ad una forma di previdenza
complementare, possono conferire solo la quota di
TFR maturando, già fissata dai contratti collettivi,
mantenendo quella residua presso il datore di
lavoro, o conferire, anche se non previsto dalle fonti
istitutive, un quota non inferiore al cinquanta per
cento del TFR.
La legge, quindi, determina una compressione
dell’autonomia collettiva, rendendo possibile una
facoltà individuale del lavoratore, in cui è fissato
solo il minimo, senza escludere il conferimento
totale, che le fonti istitutive espressamente non
prevedono.
112
La dichiarazione deve essere effettuata entro sei
mesi dalla data di assunzione o dalla data di entrata
in vigore del decreto legislativo (1 gennaio 2007)
per i lavoratori con un rapporto di lavoro già in
essere.
La dichiarazione esplicita può anche consistere
nella scelta di trattenere il trattamento di fine
rapporto nella disponibilità del datore di lavoro.
Il lavoratore, che può successivamente e in
qualsiasi momento revocare tale decisione, sceglie,
alla cessazione del rapporto di lavoro, di avvalersi
della corresponsione del TFR tramite una somma in
capitale calcolata secondo quanto previsto dall’art.
2120 cod. civ.
I datori di lavoro, che abbiano alle proprie
dipendenze almeno 50 addetti, sono tenuti a
versare il TFR, trattenuto in azienda dai propri
dipendenti, al “Fondo per l’erogazione ai lavoratori
dipendenti del settore privato del trattamento di
113
fine rapporto”, istituito dall’art. 1 comma 755 della
legge 296/2006.
114
2.2.1 IL CONFERIMENTO TACITO
Accanto all’ipotesi in cui il lavoratore, entro il
termine semestrale, scelga di devolvere
espressamente il TFR maturando ad un fondo di
previdenza complementare, si pone la fattispecie
del silenzio del lavoratore ovvero del conferimento
tacito.
Il criterio del conferimento tacito era stato già in
passato praticato dalla contrattazione collettiva,
trovando sostegno anche nella dottrina (74), nella
prospettiva di rendere più agevole l’iscrizione dei
singoli alle forme di previdenza collettiva, senza
tuttavia menomare la libertà di adesione individuale
del lavoratore, che costituiva uno dei più importanti
principi su cui si basava l’impianto del d.lgs. n.
124/93.
74(?) Vedi PANDOLFO A., La nuova cornice legislativa della previdenza complementare, in Dir. prat. lav., inserto, 1993; PESSI R., Lezioni di diritto della previdenza sociale, Padova, 2000; TURSI A., La previdenza complementare nel sistema italiano; FERRARO G., La problematica giuridica dei fondi pensione, in, La previdenza complementare nella riforma del welfare
115
Non potendosi escludere che un ostacolo alla
diffusione per via negoziale di pattuizioni di questo
tipo derivasse da una sotterranea ostilità degli
imprenditori, con il timore di dover rinunziare al
flusso di auto-finanziamento costituito dal TFR, si
può ipotizzare che le parti nutrissero comunque un
dubbio circa la legittimità di disposizioni del
contratto collettivo che prevedessero meccanismi di
adesione tacita.
La disposizione, contenuta nell’art. 8 comma 7 del
d.lgs. 252/05, colma le lacune della legge delega
che non risolveva il problema della contemporanea
presenza di più forme pensionistiche
complementari abilitate a ricevere il conferimento
tacito del TFR.
In questa prospettiva, dunque, l’adesione tacita è
inquadrata come mezzo per una diffusione quanto
più ampia possibile delle iscrizioni al fondo,
consentendo la creazione di una sorta di piano
inclinato, che conduce a considerare come
116
concludenti comportamenti meramente omissivi
(75).
Il trattamento di fine rapporto, quindi, deve essere
conferito alla forma pensionistica collettiva prevista
dagli accordi collettivi, anche territoriali, salvo la
presenza di un accordo aziendale che regoli la
materia.
Se in presenza di più contratti o accordi collettivi
sono frequenti i casi di conflitto fra fondi su base
nazionale e su base territoriale, il TFR maturando è
conferito alla forma pensionistica alla quale abbia
aderito il maggior numero di dipendenti, secondo il
criterio del calcolo delle adesioni esplicite (76).
75(?) Vedi SANTORO PASSARELLI G. (2007), Trattamento di fine rapporto e previdenza complementare, Giappichelli
76(?) SANDULLI P., Il conferimento, tacito e non, del TFR come strumento giuridico per la partecipazione al sistema di previdenza complementare. Riflessioni critiche, dal volume “La previdenza complementare” a cura di MARCELLO MESSORI (2006), Il Mulino. L’Autore parla di ””un concorso di fonti istitutive ed un conseguente concorso di fondi, e per questo motivo si rende necessario individuare un meccanismo idoneo a stabilire un congruo collegamento causale, affinché alla inerzia, ovvero mancata attivazione, del titolare di diritto da TFR nella scelta di adesione ad un fondo cui conferire esplicitamente il TFR, si attribuisca l’effetto di conferimento tacito. Si tratta di criterio destinato a presiedere una vicenda, ben nota al diritto sindacale, di concorso conflitto fra fonti contrattuali collettive, sul quale la giurisprudenza si
117
Il comma 7, lett. b, n. 3 del citato decreto detta
infine una norma di chiusura, stabilendo che,
qualora non siano applicabili le disposizioni
precedenti, il datore di lavoro debba trasferire il TFR
maturando alla forma complementare presso l’Inps,
ai sensi dell’articolo successivo.
L’art. 9 d.lgs. 252/2005 regola una forma
pensionistica complementare a contribuzione
definita, del tutto residuale.
La costituzione di tale forma previdenziale si è resa
necessaria per la destinazione delle quote di TFR,
secondo modalità tacite, in assenza di contratto o
accordo collettivo, regolativo del rapporto di lavoro,
o accordo aziendale istitutivi di una forma di
previdenza complementare, nell’impossibilità di
è da tempo cimentata, prospettando – in assenza di criteri legali, che risulterebbero incoerenti con il principio di libertà contrattuale collettiva – volta a volta meccanismi risolutivi fondati sul criterio della gerarchia delle fonti anche sindacali, ovvero sul criterio della priorità nel tempo della posizione del regolamento collettivo, o infine sul criterio della specialità, assumendosi cioè la prevalenza del contratto collettivo più “vicino” ai destinatari del comando, con un vero e proprio rovesciamento del criterio gerarchico.””
118
destinarle alle altre forme pensionistiche previste
dalla legge (77).
Il fondo, come previsto nel decreto ministeriale 30
gennaio 2007, segue le stesse regole di
funzionamento delle altre forme pensionistiche
complementari, ed è denominato “Fondo
complementare Inps” o semplicemente “Fondinps”.
L’autonomia collettiva sarebbe, quindi, l’unica fonte
capace di disporre un’offerta di adesione,
suscettibile di perfezionarsi per effetto del mancato
dissenso, posto che il conferimento ai sensi dell’art.
77(?) SANDULLI P., Il conferimento, tacito e non, del TFR come strumento giuridico per la partecipazione al sistema di previdenza complementare. Riflessioni critiche, dal volume “La previdenza complementare” a cura di MARCELLO MESSORI (2006), Il Mulino. L’Autore parla di “tentativo di trasformare l’intervento del legislatore a sostegno della previdenza pensionistica complementare in una misura, più o meno criticamente, finalizzata al riequilibrio finanziario del bilancio pubblico e di indicazione della delega, che parla di costituzione del fondo, per così dire residuale, presso enti di previdenza obbligatoria e la, deviante e deviata, ricezione nel progetto di decreto delegato, che parla brutalmente di costituzione di “forma pensionistica complementare istituita presso l’INPS. Si tratta di una inammissibile semplificazione nominalistica dai gravi risvolti istituzionali, che non può trovare giustificazione nel palese disprezzo della doverosa astrattezza della norma”.
119
9 si contraddistingue per la sua natura
tendenzialmente provvisoria.
A garanzia del lavoratore gli statuti e i regolamenti
di qualsiasi forma pensionistica complementare
prevedono, in caso di conferimento tacito del TFR,
l’investimento delle somme nella linea più
prudenziale, individuabile nell’investimento nel
medio -lungo periodo, così da garantire la
restituzione del capitale ed assicurare rendimenti
compatibili al tasso di rivalutazione del TFR
trattenuto dal datore di lavoro.
Le modalità tacite di conferimento operano anche
sulle quote residue di TFR quando i lavoratori, che
conferiscono già il TFR pro “quota”, non
manifestano alcuna volontà.
Il conferimento del TFR comporta l’automatica
adesione del lavoratore alla forma di previdenza
complementare, senza che la natura del
conferimento tacito, nella sua sfera volontà non
espressa, ostacoli la formazione di un rapporto
120
associativo, dove previsto, o di normale iscritto, con
la conseguente attribuzione di diritti di
partecipazione, di garanzia, d’informazione e tutela,
conseguenti all’adesione (78).
Diversamente, le forme pensionistiche
complementari individuali non sono investite dal
conferimento tacito.
Le adesioni individuali a fondi aperti o la
sottoscrizione di piani di assicurazione individuali,
78(?) SANDULLI P., Il conferimento, tacito e non, del TFR come strumento giuridico per la partecipazione al sistema di previdenza complementare. Riflessioni critiche, dal volume “La previdenza complementare” a cura di MARCELLO MESSORI (2006), Il Mulino.
L’Autore sostiene che “”appare evidente che mentre il conferimento esplicito costituisce il punto terminale di una serie di contatti preliminari o immediatamente attuativi dell’adesione esplicitamente voluta - nel cui svolgimento si consumano le esigenze di trasparenza, di informazione, di individuazione dei dati personali del rapporto, attraverso gli impulsi alla gestione della posizione, relativi alle opzioni di rischiosità, di eventuale designazione dei beneficiari -, nel caso invece di conferimento tacito, l’inerzia del titolare sposta tutti questi adempimenti ad una fase successiva alla costituzione del rapporto. Si creano così le condizioni giuridiche, a seconda delle diverse modalità del conferimento, per un diverso grado di responsabilità, oltre che dei datori di lavoro, anche e soprattutto degli amministratori del fondo; su queste considerazioni trova fondamento la previsione del progetto (art. 8, c. 8) che grava il fondo destinatario di conferimento tacito della adozione delle più prudenziali linee di investimento per le risorse da esso derivanti””.
121
essendo impensabili modalità di conferimento del
TFR a queste forme pensionistiche complementari,
non possono che trovare origine da decisioni
personali legate al singolo lavoratore.
In relazione alla libertà di scelta della forma cui
conferire il TFR, il legislatore detta una norma di
legge (art. 8 comma 10) che si sovrappone
all’autonomia collettiva, in quanto il decreto regola
e indica i limiti che discendono dal finanziamento di
una eventuale attribuzione patrimoniale, nella
misura determinata dagli accordi collettivi.
Il conferimento tacito del TFR, individuato nelle
disposizioni di legge, si caratterizza per una parziale
compressione del principio di libertà della scelta
della forma pensionistica e deve essere
accompagnato da una serie di informative, affinché
l’adesione risulti consapevole.
Il comma 8 dell’art. 8 del decreto prevede che
“prima dell’avvio del periodo dei sei mesi previsto
dal comma 7, il datore di lavoro deve fornire al
122
lavoratore adeguate informazioni sulle diverse
scelte disponibili”.
Specificando, la disposizione della norma prevede
che a “trenta giorni prima della scadenza dei sei
mesi utili ai fini del conferimento del TFR
maturando, il lavoratore che non abbia ancora
manifestato alcuna volontà deve ricevere dal datore
di lavoro le necessarie informazioni alla forma
pensionistica complementare verso la quale il TFR
maturando è destinato alla scadenza del semestre”.
Nessun effetto è imposto al lavoratore
indipendentemente dalla sua volontà in quanto, sia
nel caso egli, espressamente, non voglia aderire ad
una forma pensionistica, trattenendo il trattamento
di fine rapporto in azienda, sia nel caso di
conferimento tacito, non si incide sulla libertà,
affidata allo stesso, di aderire in futuro o spostare le
somme del TFR già conferite, secondo i criteri
123
seguiti dal datore di lavoro, ad una forma di
previdenza complementare prescelta(79).
In questa ottica si realizzerebbe un passaggio da
una previdenza complementare libera a una
previdenza complementare semi-obbligatoria.
E’ importante, a questo punto, qualificare il
“silenzio” del lavoratore, che contraddistingue
l’ipotesi del conferimento tacito.
La normativa impone al lavoratore, che non vuole
aderire alle forme pensionistiche complementari, di
dichiarare espressamente la sua volontà
rispettando limiti temporali ed obblighi di
79(?) SANDULLI P., Il conferimento, tacito e non, del TFR come strumento giuridico per la partecipazione al sistema di previdenza complementare. Riflessioni critiche, dal volume “La previdenza complementare” a cura di MARCELLO MESSORI (2006), Il Mulino. L’Autore sul punto sostiene che “”il conferimento tacito finisce per risultare l’effetto di una, più o meno forzata, estensione dell’efficacia delle fonti istitutive, intese in senso oggettivo, secondo cioè la loro ordinaria configurazione di contratto collettivo volto alla istituzione e regolazione di una forma pensionistica complementare, a sua volta intesa come trattamento di origine contrattuale costituente un segmento, per quanto importante, di un più ampio e complessivo contenuto contrattuale riferito a fattispecie di lavoro dipendente. Questa ricostruzione, considerata dal punto di vista del sistema delle relazioni industriali, si deve confrontare con il non poco arduo problema della estensione di efficacia del contratto collettivo anche ai soggetti non iscritti””.
124
informazione previsti nella legge, qualificando il
silenzio, quindi, come manifestazione della sua
espressione di volontà di aderire.
Precisando ulteriormente, va rilevato che l’obbligo
previsto dal d.lgs. 252/2005 al lavoratore il quale
non voglia conferire il TFR alle forme di previdenza
complementari, previste dall’accordo aziendale o
collettivo, fa perdere al “silenzio” ogni carattere di
ambiguità e lo rende idoneo a manifestare la
volontà di aderire alle forme pensionistiche,
indicate dalla legge, “con la stessa chiarezza di una
dichiarazione espressa” (80).
80(?) Così SANTORO PASSARELLI G. (2007), Trattamento di fine rapporto e previdenza complementare, Giappichelli
125
2.3 IL CONTRIBUTO DATORIALE
Il datore di lavoro può decidere di riconoscere
un contributo aggiuntivo a proprio carico a chi
desidera aderire alla previdenza complementare.
Solitamente, questo contributo viene previsto in
sede di contrattazione collettiva o in presenza di un
accordo aziendale, ma il datore di lavoro può
decidere di versarlo anche in assenza di accordi
collettivi e anche nel caso in cui il lavoratore scelga
una forma pensionistica diversa da quella prevista
dalla contrattazione.
Il contratto collettivo che prevede il contributo a
carico del datore di lavoro comporta un obbligo di
concorrere, assieme al lavoratore, al finanziamento
del fondo pensione previsto dalla fonte istitutiva.
Stabilisce, quindi, le modalità con cui deve essere
adempiuta l’obbligazione retributiva, in quanto ne
attribuisce una parte al fondo pensione, tesa alla
soddisfazione di un interesse comune a tutti i
126
lavoratori, in quanto destinata a realizzare una
funzione previdenziale comune.
L’obbligo del datore di lavoro di contribuire al fondo
pensione, di matrice contrattual-collettiva,
costituisce un diritto di credito della forma di
previdenza complementare.
Dal punto di vista della tutela realizzata, il
contributo datoriale assolve la funzione di
contributo di natura previdenziale, essendo
destinato a realizzare la soddisfazione dell’interesse
comune individuato dall’autonomia collettiva (81).
L’obbligazione contributiva del datore di lavoro
trova la sua fonte nella esplicita previsione da parte
dell’autonomia collettiva e si “attiva” a condizione
che il lavoratore abbia aderito alla forma, prevista
dal contratto o accordo collettivo, con la
contribuzione prevista a suo carico.
81(?) Vedi PERSIANI M. (2010), La previdenza complementare, Cedam
127
Dal punto di vista strutturale, la fonte istitutiva
prevede un importo fisso per il contributo datoriale,
mentre contempla solo un minimo in relazione al
contributo a carico del lavoratore.
La specifica previsione che il contributo datoriale
sia un diritto di credito, che solo l’autonomia
collettiva affida al fondo pensione e quindi alla
collettività degli interessi degli iscritti, pone dei
limiti alla volontà di soddisfare un interesse
meramente individuale del lavoratore.
Le scelte dei singoli lavoratori non possono
sovrapporsi e sostituirsi a quelle dell’autonomia
sindacale alterandone la logica, che vede nella
solidarietà degli iscritti un mezzo per soddisfare un
interesse comune, con il rischio di impedirne la
realizzazione.
I presupposti necessari per ottenere migliori
investimenti, e conseguentemente migliori livelli di
trattamento pensionistici, passano soprattutto dalla
natura inscindibile dei finanziamenti previsti dal
128
contratto collettivo, che realizzano un interesse
comune ed indivisibile.
La dottrina (82) ha ritenuto legittimo che un accordo
sindacale possa esonerare il datore di lavoro dalla
sua obbligazione contributiva in presenza di una
sopravvenuta riduzione della capacità contributiva
del datore di lavoro dovuta allo stato di crisi
aziendale, al fine di una parziale conservazione
dello stato occupazionale.
D’altra parte, il problema di stabilire, in concreto,
quando si configuri una giusta causa di recesso
rimane nei casi, indicati dalla legge, in cui le
modificazioni delle fonti istitutive rispondano
all’esigenza di adeguare la forma pensionistica a
nuove norme regolative del settore, fra cui anche
quelle della Covip, o a quanto occorra per
uniformare gli assetti del fondo a necessità
sopravvenienti.
82(?) PERSIANI M. (1998), Aspettative e diritti nella previdenza pubblica e privata, in Arg. Dir. Lav.
129
Da queste precisazioni si può facilmente intuire che
lo stato di crisi aziendale o comunque le necessità
sopravvenienti possono ledere i diritti del singolo
lavoratore, ma solo nel periodo “limitato” di
permanenza obbligatoria della posizione individuale
nella forma pensionistica (83).
In ogni caso, le eventuali modificazioni delle fonti
istitutive o delle discipline statutarie non trovano
alcun ostacolo nell’integrità e nel rispetto delle
posizioni individuali dei lavoratori, in quanto ad essi
non è riconosciuto il “diritto al regime”.
Con quest’ultima locuzione si intende il diritto degli
aderenti ai fondi pensione di non veder modificate,
da discipline successive, le condizioni che li hanno
spinti ad aderire al fondo stesso.
L’autonomia sindacale è, quindi, libera di
rinegoziare la disciplina che regola la contribuzione.
83(?) In questo senso SANTORO PASSARELLI G. (2007), Trattamento di fine rapporto e previdenza complementare, Giappichelli
130
Tale negoziazione non incide su diritti quesiti, cioè
su quei diritti che si possono ritenere perfezionati
ed acquisiti nella titolarità del soggetto, in questo
caso il diritto alla prestazione pensionistica, ma
soltanto su aspettative del singolo lavoratore, non
essendosi ancora completata la fattispecie
generatrice del diritto.
Il d.lgs. 252/2005, infine, nelle sue disposizioni,
condiziona l’effettivo trasferimento discrezionale
della posizione individuale del lavoratore, in una
ambiguità di fondo relativamente al contributo
datoriale, affidando all’autonomia collettiva la
facoltà di imporre limiti e modalità, in un sistema
previdenziale di secondo livello che tende
all’equiparazione e alla concorrenza di tutte le
forme pensionistiche complementari.
CAPITOLO III
131
LIBERTA’ DI ADESIONE A
FONDI APERTI E DI
CIRCOLAZIONE NEL SISTEMA:
LO SPAZIO RISERVATO ALLE
FONTI ISTITUTIVE
SOMMARIO: 3.1 La portabilità della posizione
individuale – 3.2 La portabilità del contributo
datoriale - 3.3 La libertà di adesione a fondi aperti –
3.4 Le peculiarità del pubblico impiego
3.1 LA PORTABILITA’ DELLA POSIZIONE
INDIVIDUALE
Con la locuzione “portabilità della posizione
previdenziale individuale” si indica la facoltà in
capo al lavoratore di trasferire la posizione
maturata da una forma pensionistica ad un’altra.
La disciplina del trasferimento e del riscatto è
regolata dall’art. 14 d.lgs. 252/2005.
132
Questa disposizione indica la “cornice legale” (84)
all’interno della quale gli statuti e i regolamenti dei
fondi, come mezzi strumentali delle fonti istitutive,
sono chiamati a disciplinare le modalità di esercizio
delle opzioni relative ai requisiti e alla
partecipazione alle forme pensionistiche, alla
portabilità delle posizioni individuali e della
contribuzione, nonché al riscatto parziale o totale.
La disposizione valorizza il principio della libera
portabilità della posizione previdenziale maturata,
in coerenza con l’equiparazione delle forme
pensionistiche complementari di natura sindacale e
di natura commerciale, ma sembra lasciare dei
dubbi sull’eventuale portata del diritto al
trasferimento del contributo datoriale(85).
Ai sensi del comma 7 della norma citata, le
operazioni di trasferimento nell’ambito di forme
pensionistiche sono esenti da ogni onere fiscale.
84(?) Così SANTORO PASSARELLI G. (2007), Trattamento di fine rapporto e previdenza complementare, Giappichelli
85(?) Vedi TURSI A. (2007), La nuova disciplina della previdenza complementare, Nuove leggi civ. comm., Cedam
133
Non solo, ai sensi del comma 6 “sono comunque
inefficaci clausole che, all'atto dell'adesione o del
trasferimento, consentano l'applicazione di voci di
costo, comunque denominate, significativamente
più elevate di quelle applicate nel corso del
rapporto e che possono quindi costituire ostacolo
alla portabilità”.
Il trasferimento è posto in essere dopo almeno due
anni di partecipazione alla forma pensionistica e i
regolamenti e gli statuti devono prevedere
espressamente questa facoltà, non potendo
contenere clausole limitative alla portabilità
dell’intera posizione individuale.
Inoltre, ai sensi del comma 8 dell’art. 14 d.lgs.
252/2005, “gli adempimenti a carico delle forme
pensionistiche complementari conseguenti
all'esercizio delle facoltà” di trasferimento o riscatto
“devono essere effettuati entro il termine massimo
di sei mesi dalla data di esercizio stesso”.
134
Il comma 2 dell’art. 9 del d.lgs. 124/93 condizionava
la scelta del lavoratore di aderire a fondi aperti
all’inesistenza e alla inoperatività nei suoi confronti
di un fondo pensione “chiuso”, istituito da un
contratto collettivo applicato al suo rapporto di
lavoro.
Non solo, in origine il trasferimento o il riscatto della
posizione individuale erano permessi in presenza di
un evento critico nella vita lavorativa del
dipendente, tassativamente indicato dalla legge
nella perdita dei requisiti di partecipazione al fondo
pensione (86).
La centralità di questo principio era stata
progressivamente ridimensionata dal legislatore,
consentendo anche al lavoratore iscritto a un fondo
chiuso la possibilità di uscirne e di aderire dapprima
soltanto ai fondi aperti (art. 10 comma 1 335/1993)
e, poi, anche alle forme pensionistiche individuali (l.
47/2000), a condizione, in entrambe le ipotesi, che
86(?) Vedi PANDOLFO A., Trasferimento e riscatto della posizione individuale, in BESSONE M. (2000), La Previdenza Complementare, Giappichelli editore
135
si fosse maturata una permanenza di almeno
cinque anni presso il fondo di provenienza durante i
primi cinque anni di vita di questo e,
successivamente alla fase di lancio del fondo, una
permanenza di almeno tre anni.
Il d.lgs. n. 252/05 realizza la piena libertà di scelta
del lavoratore sin dal momento del primo accesso al
sistema, non sussistendo alcun limite obbligato di
accesso e permanenza temporanea in un fondo
chiuso, anche nel caso in cui il lavoratore rientri
nell’ambito di applicazione di un contratto collettivo
istitutivo di un fondo sindacale.
Il lavoratore può, quindi, accedere al sistema della
previdenza complementare anche aderendo per la
prima volta a un fondo aperto o a una forma
pensionistica individuale.
È così venuta meno la sostanziale posizione di
vantaggio in cui erano stati posti i fondi di matrice
sindacale.
136
La perdita di questo vantaggio viene compensata
dalla previsione di portata assai più contenuta
dell’adesione automatica del lavoratore al fondo
chiuso istituito dal contratto collettivo di lavoro
applicato al suo rapporto, dove è destinato a essere
automaticamente conferito il suo TFR in mancanza
di una sua espressa manifestazione di volontà o di
una diversa previsione del contratto collettivo
aziendale(87).
La Covip, sul punto, nella deliberazione del 28
giugno 2006 ha sottolineato la necessità che si dia
piena attuazione alla semplificazione degli
strumenti informativi di costi e rendimenti delle
gestioni per attenuare il “default effect”, ovvero
quell’effetto secondo cui, per la complessità della
scelta, i lavoratori hanno la tendenza a un
atteggiamento passivo, che li induce a non uscire o
a non modificare il piano di previdenza cui si siano
87(?) Vedi TURSI A.(2007),La nuova disciplina della previdenza complementare, Nuove leggi civ. comm.,Cedam
137
inizialmente iscritti in virtù dell’adesione del proprio
datore a quella forma previdenziale(88).
In un sistema che regola l’equa concorrenza ed il
libero passaggio fra le varie tipologie di fondi, senza
alcuna distinzione, la libertà di adesione e di
accesso non è corrisposta da una libertà, nella
stessa misura, di “uscita” dal sistema previdenziale
complementare (89).
88
89(?) Lettera dell’aprile 2009 inviata dalla Covip ad un fondo pensione negoziale Oggetto: Quesito in materia di trasferimento della posizione individualeSi fa riferimento alla nota del … con la quale codesto Fondo ha chiesto un parere in merito alla disciplina del trasferimento della posizione individuale contenuta nell’art. 14, comma 6, del d.lgs. n. 252/2005.In particolare, con detta nota, è stato fatto presente che alcuni dipendenti della Società …, con sede a … e …., iscritti al Fondo pensione …, a seguito della maturazione del periodo biennale di permanenza, hanno chiesto il trasferimento della posizione al Fondo pensione complementare per i lavoratori dipendenti della Regione ….In merito alla legittimità della richiesta di trasferimento, codesto Fondo manifesta alcune perplessità, ritenendo che la disciplina sulla portabilità della posizione prevista dal citato art. 14, comma 6, riguardi unicamente i trasferimenti da un fondo pensione negoziale ad un fondo pensione aperto o ad un PIP e viceversa, non contemplando, invece, la possibilità di spostare la posizione da un fondo pensione negoziale ad altro fondo pensione negoziale.In sostanza, secondo quanto prospettato nella richiesta di parere, gli aderenti, pur avendo potuto scegliere, in sede di adesione, tra il Fondo … e il Fondo pensione complementare per i lavoratori dipendenti della Regione …, una volta aderito ad uno dei due fondi sarebbero vincolati a permanere presso lo stesso, ferma restando la possibilità di trasferire la
138
In maniera più specifica, qualora il lavoratore
eserciti il suo diritto di riscatto sulle somme del suo
montante contributivo, le stesse sono soggette a
ritenute a titolo di imposta del 15%.
posizione ad un fondo aperto o ad un PIP.Viene, inoltre, sollevato un ulteriore aspetto di problematicità. Ad avviso di codesto Fondo, infatti, risulterebbe preclusa la portabilità del contributo datoriale verso il Fondo pensione complementare per i lavoratori dipendenti della Regione …, in considerazione del fatto che il CCNL istitutivo del Fondo … non contiene disposizioni in proposito.Con riguardo al primo profilo, si osserva che l’art. 14, comma 6, prevede che decorsi due anni di partecipazione alla forma “l’aderente ha facoltà di trasferire l’intera posizione individuale maturata ad altra forma pensionistica.”.La disposizione appare, nella sua ampia formulazione, molto chiara nell’accordare agli aderenti la facoltà di scegliere liberamente la forma pensionistica di destinazione tra tutte quelle alle quali abbiano titolo di accedere, a prescindere dalla natura dell’adesione, collettiva o individuale, o della tipologia di forma. Non sembra possa dubitarsi, infatti, che come il lavoratore in fase di adesione può scegliere la forma pensionistica cui aderire, analogamente può esercitare la medesima scelta anche in una fase successiva, optando per il trasferimento della posizione ad altra forma.La diversa impostazione prospettata nella richiesta di parere, oltre a non essere coerente con l’ampia previsione di cui al citato art. 14, comma 6, non trova rispondenza neanche nelle previgenti disposizioni in materia di trasferimento della posizione.Il d.lgs. n.124/1993, infatti, all’art. 10 disciplinava il trasferimento volontario della posizione con due distinte disposizioni riconducibili l’una, alle forme a carattere collettivo e l’altra alle forme pensionistiche individuali. Con riferimento alle prime, il comma 3-bis disponeva che le fonti istitutive dovessero prevedere la facoltà di trasferimento della posizione individuale dell’iscritto presso altro fondo pensione negoziale o aperto o presso forme pensionistiche individuali, decorso un periodo minimo di permanenza di
139
Riscatto che può essere esercitato, a differenza del
regime delle anticipazioni, solo con il venir meno
dei requisiti di partecipazione alla forma
pensionistica.
cinque anni, limitatamente ai primi cinque anni di vita del fondo, e a regime, di tre anni.Per le forme pensionistiche individuali il comma 3-quinquies prescriveva che i relativi regolamenti o contratti dovessero contemplare la facoltà di trasferimento verso fondi negoziali, fondi aperti e verso altre forme pensionistiche individuali, non prima del decorso di tre anni dall’adesione o dalla conclusione del contratto.Il d.lgs. n.124/1993 prevedeva, dunque, espressamente la possibilità di trasferire la posizione a forme pensionistiche della medesima tipologia di quella di appartenenza, sia nel caso di adesioni collettive che individuali.L’art. 14, comma 6, del d.lgs. n. 252/2005, invece, reca un’unica disciplina dei trasferimenti volontari relativa a tutte le forme pensionistiche, prevedendo genericamente che la posizione individuale possa essere trasferita “ad altra forma pensionistica complementare” e uniformando per tutte le forme il periodo minimo di permanenza (riducendolo a due anni).Alla luce di quanto sopra rilevato, si ritiene che il legislatore della riforma non abbia inteso dettare una disciplina più restrittiva del trasferimento della posizione rispetto al sistema previgente; ciò, soprattutto, se si considera il principio di delega contenuto nella legge n. 243/2004 relativo alla “eliminazione degli ostacoli che si frappongono alla libera adesione e circolazione dei lavoratori all’interno del sistema della previdenza complementare.”.L’interpretazione prospettata da codesto Fondo, oltre che contraria alla lettera della norma, si porrebbe, infatti, in contrasto anche con i criteri ispiratori della riforma, tesi a valorizzare la facoltà di scelta della forma cui accedere sia in fase di adesione che di trasferimento.Si ritiene, quindi, che l’art. 14, comma 6 del decreto n.252/2005 consenta il trasferimento volontario della posizione verso una qualsiasi forma pensionistica complementare, individuale o collettiva, alla quale l’aderente possa aderire, a prescindere dalla natura della
140
I requisiti di partecipazione sono stabiliti dalle fonti
istitutive, o dai loro regolamenti o statuti, e
consistono nello svolgimento di una determinata
attività e possono riguardare anche la qualifica
rivestita dal lavoratore in azienda.
forma di provenienza e di quella di destinazione.Quanto alla seconda questione prospettata, relativa alla portabilità del contributo datoriale, si ha presente che il medesimo art. 14, comma 6, prevede che, in caso di esercizio della facoltà di trasferimento, il lavoratore ha diritto al versamento del contributo del datore di lavoro alla nuova forma prescelta “nei limiti e secondo le modalità stabilite dai contratti o accordi collettivi anche aziendali”.Sul punto codesto Fondo esprime il convincimento che il lavoratore che trasferisce la posizione dallo stesso Fondo … al Fondo pensione complementare per i lavoratori dipendenti della Regione … non abbia diritto al contributo datoriale in quanto il CCNL istituivo di … nulla prevede in merito.Anche su tale questione, l’impostazione prospettata non appare condivisibile in quanto il diritto di beneficiare del contributo datoriale da parte del lavoratore che trasferisce la posizione al Fondo regionale trova, in realtà, fondamento nelle previsioni contenute nell’accordo collettivo istitutivo dello stesso Fondo regionale …, a prescindere dalla previsioni contenute nel contratto nazionale di categoria del Fondo ….D’altra parte, il sistema delle fonti istitutive delle forme pensionistiche complementari, delineato dall’art. 3 del d.lgs. n.252/2005 (e ancor prima dall’art. 3 del d.lgs.124/1993) rende possibile la compresenza, in materia di previdenza complementare, di fonti istitutive di diverso livello, dirette alla medesima categoria o raggruppamento di lavoratori.La previsione, in tale norma, di un’ampia articolazione delle possibili aree di aggregazione lascia, pertanto, notevole facoltà di scelta ai promotori nell’individuazione dei criteri di formazione dei gruppi a cui riferire i fondi. Per quanto concerne la fonte costituita da contratti e accordi collettivi, non è, dunque, dato rinvenire nella normativa di riferimento, per il settore privato, limitazioni di sorta in ordine ai livelli della contrattazione collettiva, né alla rappresentatività dei sindacati stipulanti.
141
E’ importante precisare che le cause che
comportano il venir meno dei requisiti di
partecipazione riguardano solo le forme
pensionistiche collettive e non le forme individuali,
non ponendo limitazioni ai potenziali aderenti.
Il venir meno dei requisiti di partecipazione
impedisce, innanzitutto, l’ulteriore finanziamento
della forma pensionistica attraverso il contributo
datoriale o il conferimento del TFR.
Quanto sopra ha già formato oggetto di ampie precisazioni negli Orientamenti COVIP del 12 novembre 2003 (“Coordinamento di forme pensionistiche complementari collettive aventi ambiti di destinatari parzialmente o totalmente sovrapposti”). Come chiarito in detto documento, la sussistenza di una pluralità di forme pensionistiche di carattere collettivo con aree di destinatari parzialmente coincidenti si traduce, in sostanza, in una pluralità di offerte che vengono prospettate al lavoratore, il quale, nell’ambito del principio della libertà di adesione, ha facoltà di esercitare l’opzione di scelta tra i diversi fondi ad ambito definito, tutti riferiti al rapporto di lavoro di cui è parte.Pertanto, nel caso di specie, i lavoratori che hanno titolo, in base alle fonti istitutive del Fondo … e del Fondo regionale …, di aderire sia all’uno sia all’altro, sono liberi di scegliere a quale Fondo accedere, o successivamente trasferire la propria posizione individuale.Quanto, poi, alla contribuzione, i predetti lavoratori avranno diritto al contributo datoriale nella misura e alle condizioni previste dalle rispettive fonti istitutive. Nel caso di adesione al Fondo regionale …, il lavoratore può pertanto continuare a ricevere la contribuzione datoriale in forza dell’impegno assunto dallo stesso datore di lavoro in base alle previsioni dei relativi accordi.
142
Le ipotesi che si possono ricondurre alla fattispecie
del venir meno dei requisiti si possono ricondurre
alla modifica o alla cessazione dell’attività svolta
dal lavoratore e, quindi, si identificano nel
licenziamento, dimissioni, pensionamento,
mutamento del rapporto contrattuale o della
qualifica e il fallimento dell’azienda.
A differenza del trasferimento, in cui si determina
una circolazione di risorse all’interno del sistema, il
riscatto, comportando la sottrazione delle risorse al
sistema stesso, si identifica nella restituzione delle
risorse nella disponibilità del lavoratore.
Il riscatto può essere parziale o totale.
E’ parziale, nella misura del 50 per cento della
posizione individuale maturata, nei casi di
cessazione dell’attività lavorativa che comporti
l’inoccupazione per un periodo di tempo non
inferiore a 12 mesi e non superiore a 48 mesi,
ovvero in caso di ricorso da parte del datore di
lavoro a procedure di mobilità, cassa integrazione
143
guadagni ordinaria o straordinaria (art. 14, comma
2, lettera b, del d.lgs 252/2005).
Il riscatto totale della posizione individuale
maturata è previsto per i casi di invalidità
permanente che implichi la riduzione della capacità
di lavoro a meno di un terzo e a seguito di
cessazione dell’attività lavorativa che comporti
l’inoccupazione per un periodo di tempo superiore a
48 mesi (art. 14, comma 2, lettera c, del d.lgs
252/2005).
In un quadro in cui il legislatore disciplina i requisiti
previsti per il riscatto, un’attenta dottrina (90) ha
fatto notare che le ipotesi di cassa integrazione e di
invalidità non fanno venire meno i requisiti di
partecipazione alle forme pensionistiche
complementari.
Il diritto di riscatto, in ogni caso, non è esercitabile
nei cinque anni precedenti la maturazione del
diritto alle prestazioni pensionistiche, prevedendo la 90(?) Vedi PESSI R. (2006), Lezioni di diritto della previdenza sociale, Cedam
144
facoltà del lavoratore di richiedere la erogazione
anticipata delle prestazioni.
Il diritto di riscatto, peraltro, è previsto anche in
caso di decesso del lavoratore e può essere
esercitato da eredi o beneficiari, ai sensi dell’art. 14
comma 3 d.lgs. 252/2005.
In mancanza di soggetti titolari del diritto al riscatto
delle somme, la posizione individuale viene
devoluta a finalità sociali in caso di forme
pensionistiche individuali; invece, nel caso di forme
pensionistiche collettive, di qualsiasi natura, viene
acquisita dal fondo.
Il venir meno dei requisiti di partecipazione alla
forma pensionistica complementare è presupposto
anche per il trasferimento “occasionato” della
posizione previdenziale, in cui ovviamente non sono
presenti limiti relativamente alla permanenza nel
fondo per esercitare tale diritto.
145
Si parla di trasportabilità “occasionata” per
distinguere il trasferimento determinato dalla
circostanza che il lavoratore non possiede più i
requisiti per partecipare alla forma pensionistica
dal trasferimento “discrezionale” o “volontario”,
che si contraddistingue per la libera scelta del
lavoratore.
In realtà, anche la trasportabilità “occasionata” è
volontaria, in quanto il lavoratore non trova nessun
obbligo ex lege di trasferire la sua posizione e,
soprattutto, essa non si produce automaticamente
una volta persi i requisiti di partecipazione.
Come chiarito dalla direttiva generale della Covip
del 28 giugno 2006, in mancanza dell’esercizio del
trasferimento, in caso di perdita dei requisiti di
partecipazione del lavoratore, la posizione
individuale continua ad essere gestita dal fondo
pensione.
Ai sensi dell’art. 14 comma 1, quindi, è disposto che
il trasferimento sia verso una qualsiasi forma
146
pensionistica, contemplata dal decreto, alla quale il
lavoratore acceda in relazione della nuova attività.
Nell’ipotesi, invece, di trasportabilità
“discrezionale” la legge non prevede condizioni di
legittimità del trasferimento.
La decisione rimane, comunque, affidata al
lavoratore ma, nel caso specifico, è determinata da
scelte che incorrono in valutazioni di tipo
economico, in ordine all’andamento del fondo e dei
suoi rendimenti.
Si può ricondurre all’ipotesi di trasportabilità
“discrezionale” anche la scelta del lavoratore di
trasferire la posizione individuale dal “fondo
complementare Inps” ad un’altra forma
pensionistica complementare, trascorso almeno un
anno di permanenza nel fondo, in un’ottica del
legislatore che privilegia la successiva modalità
esplicita della manifestazione della volontà
individuale, consentendo entro un termine più
breve il trasferimento della posizione individuale.
147
Un’ulteriore ipotesi di trasferimento è contemplata
dall’art. 23 comma 4 d.lgs. 252/2005 e riguarda la
possibilità di trasferire l’intera posizione individuale,
anche in mancanza del periodo minimo di
partecipazione di due anni, dalla forma
pensionistica che al 30 giugno 2007 non abbia
ricevuto l’autorizzazione da parte della Covip, a
seguito dei mancati adeguamenti necessari per
raccogliere nuove adesioni anche relativamente al
conferimento del TFR.
Il legislatore, in questo caso, si occupa di
incrementare i flussi di finanziamento della
previdenza complementare, impedendo che i
mancati adempimenti, relativi all’adeguamento
delle forme pensionistiche complementari, alle
previsioni di legge ostacolino la facoltà del
lavoratore di avvalersi del TFR come strumento per
incrementare la posizione individuale.
148
3.2 LA PORTABILITA’ DEL CONTRIBUTO
DATORIALE
L’aspetto più problematico della nuova disciplina,
nell’economia del trasferimento volontario, è quello
della portabilità in altre forme pensionistiche del
contributo a carico del datore di lavoro in favore del
lavoratore iscritto al fondo “chiuso”, istituito da un
contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro o
al fondo “aperto” ad adesione collettiva.
In questo caso si discute della possibilità che
l’impegno dei datori di lavoro, assunto in sede di
negoziazione del contratto collettivo, a concorrere
al finanziamento del piano di previdenza
complementare, segua il lavoratore nel caso in cui
questi decida di trasferire ed aderire ad una forma
pensionistica diversa da quella prevista, proposta e
connessa al proprio rapporto di lavoro(91).
Già nel sistema previgente, in assenza di qualsiasi
espressa previsione del d.lgs. n. 124/93 sul punto,
91(?) Vedi TURSI A.(2007),La nuova disciplina della previdenza complementare, Nuove leggi civ. comm., Cedam
149
era controverso se il lavoratore potesse vantare un
diritto al contributo datoriale in favore di forme
pensionistiche diverse da quella che era stata
istituita dal contratto collettivo di lavoro applicato al
suo rapporto e in relazione alla quale era stato
negoziato l’obbligo del datore di lavoro a contribuire
al finanziamento della posizione pensionistica del
lavoratore.
Attualmente, la situazione risulta regolata in
maniera espressa, in caso di adesione, dall’art. 8
comma 10 d.lgs. 252/2005 e, in caso di
trasferimento, dall’art. 14 comma 6, assumendo
rilevanza cruciale nel governo della portabilità della
posizione individuale, in quanto affida alle fonti
istitutive l’indicazione dei limiti e delle modalità con
cui il lavoratore può trasferire i contributi del datore
di lavoro che sono confluiti nella sua posizione
individuale, fino all’effettiva inesistenza del diritto
alla portabilità di tali somme.
A sostegno della portabilità del contributo datoriale
si è sostenuto che, avendo questo una natura
150
retributiva (92), entri nel patrimonio giuridico del
lavoratore come ogni altro componente della
retribuzione minima ed egli divenga libero di
conferirlo a qualsiasi forma pensionistica
complementare di suo gradimento.
A conforto della compatibilità costituzionale delle
previsioni negoziali di non esportabilità del
contributo datoriale al di fuori del sistema
contrattuale che lo aveva generato, si è
argomentato che tale contributo risponderebbe a
un vincolo di destinazione previdenziale che lo
distinguerebbe dalla retribuzione minima di cui
all’art. 36 Cost., finalizzata alle sue ordinarie
esigenze di mantenimento o ancora che il
contributo datoriale non avrebbe affatto natura
retributiva, pur atteggiandosi quale corrispettivo nel
sinallagma complesso del contratto individuale di
lavoro.
92(?) La Corte costituzionale, con la sentenza 421/95, si è espressa nel senso che i contributi datoriali non sono semplicemente elementi retributivi con destinazione previdenziale, ma sono strutturalmente dei contributi di natura previdenziale.
151
La questione incide in modo rilevante sulla
concorrenza tra le diverse forme pensionistiche
complementari.
La non esportabilità del contributo datoriale al di
fuori del fondo sindacale disincentiva i lavoratori a
trasferirsi o ad aderire ad altri fondi, in quanto
significherebbe rinunciare a una parte rilevante
delle posizioni pensionistiche complementari dei
lavoratori e i fondi sindacali vengono così a trovarsi
in una posizione di relativo vantaggio rispetto alle
altre forme complementari.
La legge delega n. 243/2004 sembrava destinata a
rimettere al legislatore delegato il compito di
disegnare un sistema che avrebbe dovuto
assicurare la portabilità del contributo datoriale in
ogni forma pensionistica complementare.
I punti 3 e 4 della lettera e del comma 2 dell’art. 1
della legge delega, infatti, prevedono quali caratteri
del sistema la “possibilità” che, qualora il lavoratore
abbia diritto a un contributo del datore di lavoro da
destinare alla previdenza complementare, detto
152
contributo affluisca alla forma pensionistica
prescelta dal lavoratore stesso e, in modo ancor più
inequivocabile, “il riconoscimento al lavoratore
dipendente che si trasferisca volontariamente da
una forma pensionistica all’altra del diritto al
trasferimento del contributo del datore di lavoro in
precedenza goduto”.
Il legislatore delegato ha, invece, disposto che la
portabilità del contributo datoriale non sia assoluta,
ma condizionata alle previsioni dei contratti
collettivi e che ne disciplinino le modalità di
esercizio.
L’art. 14, comma 6, d.lgs. n. 252/05 prevede che, in
caso di esercizio della facoltà di trasferimento della
posizione individuale ad altra forma pensionistica, il
lavoratore abbia diritto al versamento dell’intera
posizione e “dell’eventuale contributo a carico del
datore di lavoro nei limiti e secondo le modalità
stabilite dai contratti o accordi collettivi, anche
aziendali”.
153
Non si deve confondere il diritto alla portabilità
della contribuzione datoriale in favore del
lavoratore per il futuro con il diritto al trasferimento
presso altre forme pensionistiche della quota parte
del montante contributivo, accantonato dal
lavoratore nel passato in virtù del contributo
datoriale.
L’art. 14, comma 6, del d.lgs 252/2005 (come già
l’art. 10, comma 3 bis, d.lgs. n. 124/93) precisa
espressamente che l’iscritto abbia “diritto alla
portabilità dell’intera posizione individuale”,
inibendo così qualsivoglia limitazione alla
trasferibilità di quote.
L’ultimo periodo dell’art. 14, comma 6, intende
rimettere alla contrattazione collettiva la
disponibilità del contributo datoriale da erogarsi e
non anche quello già erogato, dove la disciplina del
trasferimento di tale diritto è accomunata a quella
del TFR maturando.
La compressione della libertà, in capo all’autonomia
collettiva, nel disciplinare le sorti del contributo
154
datoriale già erogato al fondo in favore del
lavoratore appare costituzionalmente giustificata
dall’esigenza di bilanciamento sia con la tutela della
libertà di scelta della propria occupazione di lavoro,
sia con l’esigenza di garantire l’adeguatezza dei
mezzi dei lavoratori durante la vecchiaia, cui è ora
chiamata a concorrere anche la previdenza
complementare(93).
L’interpretazione che la scelta del legislatore
delegato sia stata, invece, quella di non violare
l’autonomia delle parti sociali circa il regime della
contribuzione datoriale futura trova fondamento nel
tenore degli artt. 12, comma 1, e 13, comma 4, del
decreto, secondo cui anche gli iscritti a fondi
pensione “aperti” e a forme pensionistiche
individuali vi possono destinare le contribuzioni del
datore di lavoro alle quali abbiano diritto(94).
Questa specificazione contenuta in entrambi gli
articoli chiarisce che non si è inteso attribuire un
93(?) Vedi Ciocca G. (2009), Il trattamento di fine rapporto e i fondi pensione, EUM94(?) Vedi Giubboni S. (2009), La previdenza complementare tra libertà individuale ed interesse collettivo, Cacucci
155
diritto assoluto alla portabilità della contribuzione
datoriale negando la sua fonte negoziale, ma
semplicemente che qualora tale diritto sia previsto
dal contratto collettivo, la forma pensionistica
prescelta dal lavoratore non possa opporre alcuna
preclusione o limitazione al suo conferimento.
Ammettendo che il legislatore delegato abbia inteso
riservare all’autonomia negoziale delle parti
firmatarie del contratto collettivo la disciplina della
contribuzione datoriale, l’illegittimità apparente di
questa scelta si porrebbe in un insanabile contrasto
con l’equiparazione delle forme pensionistiche
complementari, che ispira il decreto 252/2005, a
vantaggio dei fondi sindacali, e con l’art. 76 della
Costituzione, negando il principio esplicito dettato
dalla legge delega 243/2004.
In ogni modo, l’interpretazione della disciplina in
tema di portabilità del contributo datoriale deve
seguire il dato letterale del d.lgs. 252/2005.
E l’interpretazione del dato letterale della
disposizione, quindi, individua nella sola
156
contrattazione collettiva l’unica fonte di diritto al
contributo datoriale.
A sostegno di questa interpretazione milita il fatto
che il diritto al trasferimento del contributo
datoriale non è incluso nel principio di libertà di
adesione, in quanto la stessa adesione ad un fondo
sindacale comporta una subordinazione delle scelte
individuali del lavoratore in ordine alla gestione del
risparmio previdenziale a quelle operate
dall’autonomia collettiva, a tutela di un interesse
comune a tutti i lavoratori.
Inoltre, la previsione del contratto collettivo che
impone un contributo a carico del datore di lavoro,
se pur come parte della retribuzione, corrisponde
ad un diritto di credito di cui è titolare il fondo
pensione, regolato dalle fonti istitutive, e non il
singolo lavoratore(95).
Analizzando la questione nei minimi termini, il
concreto diritto o la possibilità della portabilità del
contributo datoriale può incidere sulla posizione del 95(?) Vedi PERSIANI M. (2010), La previdenza complementare, Cedam
157
singolo, ma non è determinante al fine di tutelare la
circolazione nel sistema delle somme che
costituiscono il secondo pilastro previdenziale, in
quanto, una volta negato il trasferimento dei
contributi datoriali, queste somme rimangono nella
disponibilità del fondo sindacale.
Questa osservazione può essere utile
nell’inquadrare il ruolo delle banche depositarie dei
fondi, le quali non vedono, in ogni caso, una
sottrazione delle somme in questione, in quanto i
fondi aperti o, comunque, i fondi di “destinazione”
del trasferimento della posizione individuale si
avvalgono delle stesse banche depositarie dei fondi
sindacali o dei fondi a matrice collettiva.
Il lavoratore, che voglia esercitare il diritto alla
portabilità delle somme previste a carico del datore
di lavoro al di fuori dei limiti e della modalità
previsti dalla contrattazione collettiva, disporrebbe
di un diritto di cui non è titolare, in quanto la fonte
dell’obbligazione contributiva è la contrattazione
158
collettiva e potrebbe trasferirsi esclusivamente alle
condizioni previste dalla fonte che l’ha creata.
Ne deriva che il contratto collettivo, nella sua veste
di fonte istitutiva, non solo potrà porre limiti al
diritto alla portabilità, fino ad escludere il diritto
stesso, ma, in assenza di un’espressa previsione, il
diritto non potrà essere riconosciuto.
Questa ricostruzione trova la sua legittimità nel
dato letterale della legge delega 243/2004, in cui si
parla di mera “possibilità” del diritto alla portabilità
e che indica la fonte del riconoscimento del diritto
stesso non nella legge, ma solo ed esclusivamente
nella contrattazione collettiva, che continua ad
avere una posizione predominante nel panorama
delle fonti istitutive a discapito del principio
ispiratore di fondo del decreto, e ciò a seguito di
una forte pressione del mondo sindacale (96).
I sospetti, più in generale, di illegittimità
costituzionale, ai sensi dell’art. 76 Cost., del decreto
96(?) Vedi PROSPERETTI G., La previdenza complementare e l’autonomia colletiva: il problema della portabilità del contributo datoriale, in AA.VV. (2008), Scritti in Onore di Edoardo Ghera(Tomo II) , Cacucci Editore
159
252/2005, di non aver rispettato i criteri della legge
delegante, vengono fugati dalla necessaria
applicazione del criterio di specialità (97).
La disposizione di cui all’art. 1, comma 2, lettera e,
numero 4, della legge delegante 243/2004 non
vincola il legislatore delegato per la semplice
ragione che il diritto alla portabilità
dell’obbligazione contributiva datoriale è prevista
come semplice enunciazione di tutti gli strumenti
ritenuti opportuni per realizzare la circolazione dei
lavoratori nel sistema della previdenza
complementare.
In questi termini, quindi, bisogna porre l’attenzione
sui criteri direttivi contenuti nella disposizione
dell’art.1, comma 2, lettera e, numero 3, che
individua in maniera specifica le modalità con le
quali il principio, che estende la portabilità al
contributo datoriale, deve attuarsi(98).
97(?) Vedi PERSIANI M. (2010), La previdenza complementare, Cedam98(?)Vedi PERSIANI M. (2010), La previdenza complementare, Cedam
160
E’ prevista, espressamente, la sola “possibilità” e
non il diritto, non potendosi correttamente
affermare l’esistenza di un vincolo posto al
legislatore delegato di una portata tale da
escludere l’autonomia collettiva a porre limiti e
modalità con le quali la eventuale portabilità del
contributo datoriale possa trovare concreta
attuazione.
Dunque, considerato che il sindacato ha la piena
facoltà di gestire la tutela dell’interesse collettivo, si
ritiene che il singolo riceva diritti, derivati, che
esistono solo in quanto sussiste la disciplina
collettiva attributiva di situazioni giuridiche che il
sindacato può gestire all’interno di uno scambio
contrattuale complessivo, in uno scenario di fondo
che vede nel contratto collettivo la fonte normativa
finalizzata alla tutela di un interesse collettivo
superiore a quello individuale del singolo
lavoratore.
Questa impostazione rispetta anche il principio di
libertà di adesione, in quanto la scelta del
161
lavoratore si è pienamente compiuta nel momento
in cui ha spontaneamente aderito alla forma di
previdenza complementare sindacale, rilevando che
l’obbligazione contributiva del datore di lavoro
sussiste solo in quanto l’adesione è effettuata verso
un fondo sindacale.
Non solo, il legislatore ha ritenuto di affidare
all’autonomia collettiva il potere di stabilire limiti e
modalità e termini di esercizio della portabilità del
contributo datoriale, in base a valutazioni che
considerano l’interesse comune dei lavoratori
iscritti e l’interesse del singolo, in un “equo”
contemperamento che può trovare solo nella
contrattazione collettiva la sede legittima per
realizzare l’interesse di tutti i lavoratori che restano
iscritti al fondo pensione sindacale e di limitare i
possibili rischi in cui può incorrere con una
portabilità “di massa” dei singoli lavoratori(99).
99(?) Vedi PERSIANI M. (2010), La previdenza complementare, Cedam
162
3.3 LA LIBERTA’ DI ADESIONE A FONDI
APERTI
Il d.lgs. n. 252/05, al fine di perseguire l’obiettivo di
creare un mercato concorrenziale delle prestazioni
di previdenza complementare, ha compiuto un
decisivo passo in avanti rispetto alla disciplina del
d.lgs. n. 124/93, in direzione di una equiparazione
del regime giuridico applicabile a tutte le forme
pensionistiche complementari.
Queste nel nuovo regime sono alternative tra loro e
il lavoratore è totalmente libero di decidere a quale
aderire sin dal momento del suo ingresso nel
sistema di previdenza complementare.
Il comma 2 dell’art. 12 del decreto prevede che
l’adesione a fondi aperti possa avvenire su base
individuale o su base collettiva.
In realtà, l’adesione a qualsiasi forma pensionistica
complementare non può che essere in ogni caso
individuale, espressa cioè autonomamente dal
singolo e fonte esclusiva del suo impegno negoziale
di partecipazione al fondo.
163
La necessità dell’adesione individuale consente al
legislatore di astenersi dal dettare qualsiasi
requisito selettivo del soggetto legittimato a questa
contrattazione(100).
Nel caso dei fondi aperti è soggetto istitutore
soltanto il soggetto imprenditoriale gestore del
fondo, così come non vi è distinzione tra fonte
istitutiva e fonte costitutiva del fondo,
identificandosi funzionalmente entrambe nella
delibera di adozione del regolamento del fondo.
Secondo le previsioni dell’art. 5 del decreto, la
partecipazione collettiva a un fondo aperto non
attribuisce alla collettività degli iscritti alcuna
rappresentanza negli organi di amministrazione del
fondo né alcun diretto potere decisionale.
Solo qualora vi sia l’adesione di un gruppo di
almeno 500 lavoratori appartenenti alla stessa
azienda o a un medesimo gruppo, l’organismo di
sorveglianza è integrato da un rappresentante
100(?) Vedi TURSI A.(2007),La nuova disciplina della previdenza complementare, Nuove leggi civ. comm., Cedam
164
dell’azienda o del gruppo e da un rappresentante
dei lavoratori.
E solo con un accordo preventivo con il soggetto
istitutore la “collettività”, cui intende rivolgersi il
fondo, può impegnare quest’ultimo ad adottare un
regolamento che le attribuisca condizioni di
rappresentanza negli organi decisionali del fondo e
criteri di determinazione delle spese e delle
prestazioni più favorevoli per gli iscritti rispetto a
quelli rinvenibili nei fondi diretti indistintamente al
mercato dei consumatori.
In assenza di previsioni regolamentari di questa
natura, la collettività di riferimento potrà
condizionare le scelte del gestore esclusivamente
minacciando di esercitare la propria opzione di
uscita, con il trasferimento ad altra forma
pensionistica nelle forme e nei tempi previsti
dall’art. 14 del decreto, opzione che in ogni caso,
come l’adesione, non potrà che esercitarsi
individualmente(101).101(?)Vedi TURSI A.(2007), La nuova disciplina della previdenza complementare, Nuove leggi civ. comm.,Cedam
165
I fondi aperti, infine, possono anche essere su base
individuale; in tal caso il diritto di adesione alla
relativa forma pensionistica individuale non è
condizionato dal possesso del requisito soggettivo
di appartenenza a una determinata collettività di
lavoratori subordinati o autonomi, né alla
sussistenza di specifiche previsioni nelle fonti
istitutive.
166
3.4 LE PECULIARITA’ DEL PUBBLICO IMPIEGO
L’analisi dei caratteri distintivi della previdenza del
settore pubblico non può non tener conto dell’art.
23 comma 6 del decreto 252/2005, in cui è disposto
che “fino all'emanazione del decreto legislativo di
attuazione dell'articolo 1, comma 2, lettera p), della
legge 23 agosto 2004, n. 243, ai dipendenti delle
pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
165, si applica esclusivamente ed integralmente la
previgente normativa”.
Il richiamo, al regime del d.lgs. 124/1993, è dovuto,
più che dalle sistematiche esigenze di
armonizzazione auspicate dalla legge delega,
dall’incompleta attuazione nel settore pubblico di
una uniformazione della differente disciplina delle
indennità di fine servizio con il regime del TFR (102).
102(?) Vedi CINELLI M. (2010), La previdenza complementare. Art. 2123, Giuffrè Editore
167
Venendo meno il TFR, la previdenza complementare
non trova la principale fonte di finanziamento del
sistema.
I dipendenti pubblici, quindi, hanno potuto aderire
alle forme pensionistiche soltanto all’esito di una
progressiva evoluzione normativa che ha consentito
il passaggio dal regime di TFS a quello di TFR,
transito che si è realizzato gradualmente attraverso
un processo di assimilazione dei due regimi,
innescato dagli interventi della Corte Costituzionale
(103) ed è continuato sulla base di un concorso di
discipline di fonte collettiva e legale.
Si possono individuare dei criteri che in linea
generale, verificando la tipologia contrattuale a
tempo indeterminato o determinato e la data di
assunzione, distinguono per i lavoratori del settore
pubblico il regime di trattamento di fine servizio da
quello di fine rapporto.
103(?) Vedi le pronunce del 19 marzo 1993 n.99, 19 maggio 1993 n.243, 4 aprile 1996 n.196, 18 luglio 1997 n. 243 e 30 aprile 1998 n.154.
168
La nota operativa INPDAP numero 11 del 29 maggio
2005 riassume le differenze dei vari regimi
applicabili al settore pubblico.
E’ previsto il regime del TFR per i dipendenti assunti
con contratto di lavoro a tempo determinato in
corso o successivo al 30 maggio 2000, per i
dipendenti assunti a tempo indeterminato per la
prima volta presso una pubblica amministrazione
dal primo gennaio 2001 e per i dipendenti assunti
dopo il primo gennaio 2001, anche se non per la
prima volta, solo a condizione che ci sia stata
soluzione di continuità (individuabile in almeno un
giorno di intervallo) rispetto a precedenti rapporti di
lavoro a tempo determinato con pubbliche
amministrazioni, iscritte all’INPDAP, con riferimento
ai quali il lavoratore rientrava nel regime di
trattamento di fine servizio.
Quest’ultimo regime, invece, è previsto per i
dipendenti assunti antecedentemente al primo
gennaio 2001, anche se solo ai fini giuridici con
decorrenza economica successiva al 31 dicembre
169
2000, o assunti anche dopo ma senza soluzione di
continuità (104).
Il regime di trattamento di fine servizio si
caratterizza per una funzione previdenziale e non
retributiva, in cui le somme non sono computate in
base ad un sistema di tipo additivo sulla base degli
accantonamenti delle retribuzioni per i singoli anni
di retribuzione, come nel regime del trattamento di
fine rapporto, ma di tipo moltiplicativo in base ad
un rapporto percentuale dell’ultima retribuzione
moltiplicata per gli anni di servizio ed erogate
secondo la tecnica della ripartizione.
Con l’estensione ai dipendenti pubblici del regime
del TFR, non si può tralasciare che le
caratteristiche, che assume questo regime solo nel
settore pubblico, attraverso l’accantonamento
figurativo o virtuale, incidono fortemente nel
finanziamento, nelle prestazioni e nella disciplina
del trasferimento.
104(?) Il personale in regime di TFS poteva esercitare l’opzione verso il regime di TFR entro il termine del 31 dicembre 2010 secondo le modalità previste dall’accordo quadro del 3 febbraio 2006.
170
Infatti, come previsto dall’art.11 comma 4
dell’accordo quadro nazionale del 29 luglio 1999, gli
accantonamenti del TFR, non coperti dagli appositi
stanziamenti, devono essere trattati come
accantonamenti figurativi e quindi non versate ai
fondi pensione, ma solo nominalmente individuati e
liquidati dall’INPDAP all’atto della cessazione del
rapporto di lavoro del dipendente.
Solo in questo momento l’INPDAP conferirà al fondo
pensione il montante maturato con gli
accantonamenti figurativi, individuabili nel
trattamento di fine rapporto accresciuto dai
rendimenti netti di un paniere di fondi di previdenza
complementare presenti sul mercato da individuarsi
tra quelli con maggior adesione dei dipendenti.
Pertanto, la posizione individuale del dipendente
pubblico, in un fondo pensione previsto dalla
contrattazione collettiva regolativa del rapporto di
lavoro, consiste in una parte reale detenuta dal
fondo stesso, formata dai contributi a carico del
171
lavoratore e del datore di lavoro, e da una parte
figurativa, costituita presso l’INPDAP.
Non può essere, quindi, trascurata la diversità (105)
del regime per ciò che riguarda le anticipazioni e i
riscatti nel pubblico impiego, limitata dalla
applicabilità di queste prestazioni alla sola parte
reale e non a quella figurativa.
Un discorso simile si può fare anche per la
circolazione all’interno del sistema di previdenza
complementare, constatando che tutti gli strumenti
previsti dal decreto 252/2005 sono limitati alla sola
parte reale e negando tutto l’impianto descritto per
il trasferimento del TFR, ovviamente non coperto
dagli appositi stanziamenti.
La COVIP, interpellata dall’INPDAP con la nota del
29 aprile 2000, dopo aver ricordato che, ai sensi
dell’art. 2 comma 5 d.p.c.m. 20 dicembre 1999, il
montante maturato da accantonamenti figurativi
viene conferito al fondo pensione alla cessazione
del rapporto di lavoro, ha dedotto che, in caso di 105(?) Vedi CINELLI M. (2010), La previdenza complementare. Art. 2123, Giuffrè Editore
172
trasferimento da un fondo negoziale per pubblici
dipendenti ad un’altra forma pensionistica
complementare, l’accantonamento figurativo
rimane tale e non può essere oggetto né di
trasferimento o di riscatto, né può essere conferito
in caso di mobilità obbligatoria o volontaria.
Per quanto riguarda la permanenza nel fondo e la
perdita dei requisiti, ai sensi dell’art. 10 d.lgs.
124/1993, la Covip ha precisato che per le somme
reali, di qualsiasi natura, il trasferimento debba
avvenire anche in caso di costanza di lavoro, a
prescindere dalla cessazione dal servizio.
173
CONCLUSIONI
Le riflessioni sopra svolte certamente consentono di
affermare conclusivamente che il sistema della
previdenza complementare, come evolutosi negli
ultimi anni, ha assunto un ruolo importante,
nell’ambito di un concetto di “solidarietà di tipo
universalistico in considerazione della crisi del
sistema a ripartizione e delle profonde modificazioni
del mercato del lavoro” (106), segnato nell’attualità
dall’aggravarsi della crisi del sistema pensionistico
obbligatorio.
E’ proprio nei periodi in cui si prospettano sempre
maggiori restrizioni alle disponibilità di risorse ed è
comunque sempre più pressante l’esigenza di
utilizzare al meglio quelle esistenti, che diventa
imperativo dotarsi di strumenti elastici ed articolati,
che permettano di scegliere forme di previdenza
che garantiscano un livello adeguato di reddito.
106(?)Vedi PROSPERETTI G., La previdenza complementare e l’autonomia colletiva: il problema della portabilità del contributo datoriale, in AA.VV. (2008), Scritti in Onore di Edoardo Ghera(Tomo II) , Cacucci Editore
174
Si è detto che “può ipotizzarsi un futuro dove il
primo pilastro garantisca un minimo di tutela in una
situazione ibrida previdenziale – assistenziale,
mentre il secondo pilastro, quello della previdenza
complementare dovrebbe garantire un livello di
pensionamento meritocratico di tipo previdenziale –
assicurativo”(107).
A fine 2012 gli aderenti ai fondi negoziali erano
1.969.771, in calo dell’1,2%, dato che può apparire
uniforme al normale andamento del sistema se non
per l’esplosione in termini percentuali degli iscritti,
in rapporto al solo anno precedente, ai fondi aperti,
3,7% con 913.913 iscritti, e delle forme
pensionistiche individuali, 22,4% con 1.777.024
iscritti (108).
Il motivo è semplice: i piani individuali sono offerti e
venduti da banche, assicurazioni e promotori
finanziari, i quali, grazie alle loro campagne
commerciali, all’alta remuneratività dei loro piani
107(?) Vedi PROSPERETTI G., op. cit.108(?) Vedi Relazione Covip per l’anno 2012
175
pensionistici, spingono i clienti a sottoscrivere i loro
prodotti a discapito dei fondi negoziali.
Nella previdenza complementare di tipo bancario –
assicurativo si nota un forte segno di continuità,
distante da tutti i problemi interpretativi e dalle
vicende modificative dei fondi pensione sindacali,
che guarda all’autonomia individuale come uno,
forse l’unico, non volgendo lo sguardo ai dati che
descrivono il predominante montante contributivo
che costituiscono i fondi negoziali, strumento di
operatività per il futuro del sistema pensionistico di
secondo livello.
In effetti, una tale prospettiva richiede una efficace
sinergia che renda (co)attori del sistema tutti i
soggetti interessati e per primi i destinatari delle
forme previdenziali complementari.
Indubbiamente, l’autonomia collettiva rimarrà
protagonista in questa trasformazione, con il ruolo
che viene affidato all’attività sindacale all’ombra di
176
una legislazione che si può descrivere come
“vincolistica”(109).
L’opzione che privilegia la contrattazione collettiva
alla ricerca di strumenti di vincolatività in favore
delle forme pensionistiche istituite dalla stessa
contrattazione collettiva (110) non può trascurare,
però, l’arduo problema della estensione di efficacia
del contratto collettivo anche ai non iscritti (111),
sicché il sistema pensionistico complementare
continua a giovare di questo impianto legislativo e a
finanziarsi con le tecniche di estensione
dell’efficacia del contratto collettivo.
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109(?) Vedi PROSPERETTI G., op. cit.110(?) Cosi PROSPERETTI G., op. cit.111(?) Si vedano nello stesso senso riflessioni critiche di SANDULLI (op. cit.) con riferimento alla fattispecie del conferimento, tacito e non, del TFR come strumento giuridico per la partecipazione al sistema di previdenza complementare.
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