Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

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Università per Stranieri di Perugia Facoltà di lingua e cultura italiana CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PROMOZIONE DELL’ITALIA ALL’ESTERO Percezione e promozione del Made in Italy in Cina Laureando Enrico Rosi Relatore Correlatore Prof.ssa Donatella Radicchi Prof.ssa Shelly Chen A.A. 2010-2011

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Università per Stranieri di Perugia

Facoltà di lingua e cultura italiana

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PROMOZIONE DELL’ITALIA ALL’ESTERO

Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

Laureando

Enrico Rosi

Relatore

Correlatore

Prof.ssa Donatella Radicchi Prof.ssa Shelly Chen

A.A. 2010-2011

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Indice

INTRODUZIONE................................................................................... 5

1. IL MARKETING DEL MADE IN ITALY......................................................9

1.1 Definizione, composizione e competitività del Made in Italy..................... 9

1.2 Il paradosso del Made in Italy e la valenza dei distretti industriali...........14

1.3 Immagine, qualità e Sistema Paese..................................................... 21

2. LO SVILUPPO DELL’ECONOMIA CINESE: OPPORTUNITÀ PER IL MADE IN ITALY.................................................................................. 29

2.1 Dall’apertura al libero mercato al secondo posto nell’economia mondiale............................................................................................29

2.2 Il mercato e il consumatore cinese...................................................... 34

2.3 L’export italiano in Cina.......................................................................44

3. L’IMPORTANZA DELLA COUNTRY IMAGE NELLA PROPOSIZIONE DEL MADE IN ITALY........................................................................... 50

3.1 Country image: un asset vincente per il Made in Italy........................... 50

3.2 Il country of origin effect e le implicazioni per le imprese...................... 53

3.3 Lifestyle e valore intangibile in Cina..................................................... 67

4. LA PERCEZIONE DEI CONSUMATORI CINESI VERSO IL MADE IN ITALY................................................................................................ 71

4.1 Percezione del Made in Italy in Cina.....................................................71

4.2 La country reputation italiana in Cina................................................... 82

5. LA PROMOZIONE DEL MADE IN ITALY IN CINA.................................... 86

5.1 Creare relazioni: guanxi e mianzi......................................................... 86

5.2 Ruolo e attori delle istituzioni italiane e di altre organizzazioni................89

5.3 Altri canali della promozione del Made in Italy in Cina........................... 94

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6. SONDAGGIO SULLA PERCEZIONE DEL MADE IN ITALY IN CINA E CONSIDERAZIONI FINALI................................................................. 101

6.1 Sondaggio........................................................................................101

6.2 Considerazioni conclusive.................................................................. 117

APPENDICE – Questionario in lingua cinese........................................ 120

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI........................................................... 122

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Introduzione

L’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio ha

sancito l’emersione di questa nuova potenza economica mondiale. Oggi, a

distanza di 11 anni, proprio mentre l’Occidente sperimenta una prolungata

fase di stagnazione economica, la Cina vede rimanere pressoché inalterati

i propri tassi di crescita e continua a guadagnare quote di mercato sulle

esportazioni mondiali. La politica cinese di attrazione degli IDE e la forte

propensione all’export sono considerate nei paesi economicamente

avanzati due cause paradigmatiche della disoccupazione della propria

forza lavoro e della perdita di competitività delle proprie aziende.

In Italia, più che altrove, il dibattito in merito è acceso: la

specializzazione settoriale dei due paesi è infatti molto simile e la

concorrenza proveniente dal Paese asiatico alimenta le ragioni di chi

considera la Cina una minaccia per le produzioni Made in Italy. Il punto di

vista da cui nasce questa tesi è invece speculare al precedente; lo sviluppo

economico e la conseguente crescita del reddito della popolazione cinese

stanno configurando uno dei mercati potenziali più attrattivi del mondo e

le opportunità per le imprese italiane sono altrettanto considerevoli. In

questo lavoro, per ‘opportunità’ si vuole intendere esclusivamente

l’incremento dell’attività commerciale delle aziende che producono beni di

consumo, generalmente realizzata in Italia tramite esportazione.

Il tema centrale di questa tesi ruota attorno al concetto di country of

origin effect, ovvero l’effetto che l’origine geografica del prodotto esercita

nell’alterare la valutazione e il comportamento d’acquisto di un

consumatore estero circa il prodotto stesso. Affinché la Cina possa

effettivamente rappresentare un’opportunità per le aziende italiane, le

produzioni Made in Italy devono necessariamente operare un

riposizionamento competitivo che esalti la qualità e la componente

intangibile di quanto offerto. Il mercato cinese di riferimento attuale è

infatti costituito da consumatori che ricercano (prevalentemente) nel

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prodotto estero esclusività e conferimento di uno status sociale. Si ritiene

dunque importante per le imprese, al fine di elaborare efficaci strategie di

marketing, conoscere la percezione che i consumatori cinesi hanno

dell’Italia e della sua offerta produttiva. Oltre che per le imprese, la stessa

conoscenza risulta utile inoltre al Sistema Paese italiano, relativamente

all’ideazione e all’attuazione di politiche di sostegno

all’internazionalizzazione commerciale delle imprese del Made in Italy.

L’obiettivo di questa tesi è pertanto quello di capire qual è

l’immagine dell’Italia in Cina, sia sotto il profilo produttivo sia considerando

un quadro storico-culturale-istituzionale d’insieme. Scopo secondario è

indagare come e attraverso quali canali il Made in Italy viene promosso in

questo medesimo mercato, cercando in entrambi i casi di cogliere

particolari valenze che possano suggerire in conclusione degli accorgimenti

efficaci per le imprese e delle indicazioni altrettanto utili per la promozione

del Made in Italy a livello di Sistema.

La tesi si compone di sei capitoli: il primo è dedicato interamente al

Made in Italy, che come composizione settoriale e apparato produttivo di

riferimento costituisce un esempio unico fra i paesi economicamente

sviluppati.

Il secondo capitolo è riferito invece allo sviluppo dell’economia

cinese. Oltre alle tappe storiche che hanno costituito un progressivo

processo di apertura verso l’estero, viene affrontata anche l’attuale

effettiva accessibilità del mercato, la sua potenziale ricettività nei confronti

del Made in Italy e la sua segmentazione (particolare importanza è

attribuita al comportamento d’acquisto del consumatore cinese). È inoltre

dedicato un paragrafo specifico all’export italiano in Cina, le cui quote

sono state suddivise per comparti merceologici.

Nel terzo capitolo si trova il nucleo teorico della tesi, composto come

detto dai concetti di country image e country of origin effect. In questa

parte si cerca dunque di capire cosa li determina e quali sono le

implicazioni per le imprese, anche alla luce dei comportamenti adottati

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dalle aziende italiane e sulla base del valore che i cinesi attribuiscono

all’aspetto intangibile delle produzioni.

Con il quarto e il quinto capitolo si entra nel merito della percezione

e della promozione del Made in Italy in Cina. Per quanto riguarda la

percezione, vengono citate tre indagini esplorative preesistenti che hanno

come oggetto di indagine un campione cinese a cui è stato chiesto di

esprimere giudizi su alcune caratteristiche di natura produttiva e socio-

culturale riguardanti l’Italia; grazie al contributo di queste ricerche,

realizzate da due diversi istituti di ricerca e da un altro team di ricercatrici,

è possibile delineare sommariamente l’immagine che i consumatori cinesi

hanno nei confronti dell’Italia e del Made in Italy e, di conseguenza, si

individuano i settori e le produzioni italiane che possono contare in Cina su

un effetto paese positivo. Relativamente alla promozione, il primo

paragrafo affronta due aspetti culturali caratteristici cinesi, guanxi e mianzi,

determinanti ai fini di efficienti comunicazioni e trattative nel mondo degli

affari; nel capitolo si individuano i soggetti che promuovono il Made in

Italy in Cina (sia a livello pubblico sia a livello privato) e si indicano le

azioni e gli strumenti principali di cui tali soggetti si servono.

La tesi si conclude con un’inedita indagine esplorativa su un

campione cinese che integra i contributi esistenti e attraverso cui vengono

affrontati àmbiti percettivi specifici della country image italiana. Nel sesto

capitolo, sulla base dei risultati emersi dal nuovo sondaggio, vengono

tratte le conclusioni e le considerazioni finali.

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Desidero porgere un ringraziamento speciale agli amici cinesi che mi hanno aiutato nella

traduzione del questionario e nella sua diffusione in Cina.

Una dedica e un augurio di cuore per il futuro a tutti i miei colleghi del corso in

Promozione dell’Italia all’estero, unici e sempre presenti durante due anni bellissimi.

Un altro grazie, sempre e comunque, alla mia famiglia e agli affetti più cari.

Enrico Rosi,

Aprile 2012

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1. Il marketing del Made in Italy

1.1 Definizione, composizione e competitività del Made in Italy

Se si potesse classificare sinteticamente l’economia italiana, non ci

sarebbero obiezioni nel definirla ‘reale’. Sulla base dei dati Eurostat e del

Fondo Monetario Internazionale si può sostenere, a supporto di questo

aggettivo, che l’Italia è il secondo Paese industriale manifatturiero

d’Europa dopo la Germania, che la propria economia è relativamente poco

finanziarizzata e si basa su un vasto e solido reticolo di piccole-medie

imprese e che la bilancia commerciale è decisamente positiva per quanto

riguarda i manufatti. Uniti al fatto di essere inseriti nel quadro

macroeconomico di una delle prime otto Economie mondiali in termini di

Pil, questi fattori denotano fortemente l’Italia come un Paese avente

un’offerta produttiva notevole e, nella fattispecie, competitiva e prestigiosa.

Assume dunque senso parlare di made in e nel caso dell’Italia è

ancor più opportuno selezionare alcuni comparti merceologici che

rappresentano per antonomasia (sia per volumi sia per valore) la

produzione nazionale. Tali settori accrescono il loro peso relativo

nell’ambito dell’export, presentano un saldo attivo e permanente della

bilancia dei pagamenti, dando appunto dimostrazione di un’evidente

specializzazione produttiva ed esportativa dell’economia italiana rispetto al

resto del mondo (Guerini 2004:17).

In ragione della presenza dei prodotti d’eccellenza italiani nella

scena commerciale mondiale fin dagli anni Ottanta, l’espressione Made in

Italy porta con sé un alone di autorevolezza marcato. Ciò è oltretutto

determinante per l’economia italiana ai fini del mantenimento dei propri

vantaggi comparati: questi ultimi non dipendono soltanto dalla dotazione

di specifici fattori o dal possesso di quelle determinanti del vantaggio

competitivo delle nazioni che Porter pone ai vertici del suo ‘diamante’,1

1 Viene citato a titolo esemplificativo uno dei paradigmi più significativi e recenti nell’ambito

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bensì anche da una serie di caratteristiche (quali ad esempio la creatività e

il design) che connotano ormai esclusivamente il Made in Italy.

Per quanto riguarda la composizione settoriale, il Made in Italy

riflette bene nelle sue diverse componenti e manifestazioni la cultura ed i

caratteri dell’italianità, ed i suoi prodotti finiscono per rappresentare

simboli significativi dell’immagine che il Paese vanta a livello mondiale

(Pratesi 2001:26).

I due grandi raggruppamenti di settori che fanno capo alle

cosiddette ‘4 A’ dell’eccellenza manifatturiera italiana sono quelli

tradizionali e ad offerta specializzata. I primi comprendono i beni di

consumo tradizionali legati alla persona e alla casa e valgono i ¾ della

suddetta offerta: Abbigliamento (si intendono anche calzature, pelletterie,

occhiali, oreficeria e gioielleria), Arredamento (mobili, elettrodomestici,

ceramiche, marmi, casalinghi) e Alimentazione (pasta, olio, vino e prodotti

tipici della cucina mediterranea). I settori ad offerta specializzata si

riferiscono invece all’Automazione: si tratta di meccanica strumentale (che

copre una estesa tipologia di impianti) e di componentistica specializzata

(elementi meccanici, elementi di trasmissione, membrane, utensili ecc.)

funzionali alla produzione dei beni di consumo sopra elencati (Valdani -

Bertoli 2007:44).

La non esclusiva specializzazione in settori tradizionali dimostra

come l’imprenditoria italiana sia stata in grado di evolvere la propria

produzione dalla manifattura di beni di consumo semplici alle produzioni

ad intensità tecnologica medio-alta (benché, come si vedrà, sussiste una

netta despecializzazione nei settori ad elevato contenuto tecnologico), sia

stata in grado altresì di creare un circolo produttivo virtuoso e di acquisire

competenze e conoscenze che consentono oggi di differenziare ed

adattare al meglio il prodotto ai bisogni della domanda.

È anche opportuno ribadire che la differenziazione produttiva delle teorie sul commercio internazionale. Le altre determinanti sono: strategia d’impresa, struttura di mercato e concorrenza; natura della domanda interna; industrie collegate o di supporto. Cfr. C.W.L. Hill, International Business, Hoepli, 2008.

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dipende, in questa fase di raggiunta maturazione imprenditoriale, da

un’innovatività di tipo soft, legata cioè a caratteristiche creative ed

originali molto apprezzate tral’altro all’estero. La base immateriale del

Made in Italy (lo stile appunto) permette alle aziende italiane di svincolarsi

da un’ampia concorrenza emergente che basa sulla variabile ‘prezzo’ il

proprio vantaggio competitivo e di attenuare l’effetto dell’inevitabile

trasferimento manifatturiero fuori dai confini nazionali.

Fra i tanti a disposizione, 2 sono stati scelti due indicatori per

quantificare a livello economico le virtù del Made in Italy: il valore

aggiunto generato dalle ‘4 A’ e il surplus commerciale con l’estero. Sono

due indici che esprimono soltanto il valore qualitativo della produzione e

dello scambio commerciale; volutamente, si vuole posticipare l’analisi

dell’aspetto quantitativo del fenomeno e lo stato di salute dell’economia

nazionale, che influisce naturalmente sulla competitività del Made in Italy.

“Le ‘4 A’ hanno generato nel 2006 un valore aggiunto di circa 142

miliardi di euro e rappresentano grosso modo il 65% del valore aggiunto

complessivo manifatturiero dell’Italia al costo dei fattori” (Fortis -

Carminati 2009:9). In particolare, 3 l’industria italiana degli Alimentari-

bevande ha espresso nel 2006 un valore aggiunto di 19 miliardi di euro,

quella dell’Abbigliamento-moda è stato di 26 miliardi di euro, Arredo-casa

oltre 16 miliardi e l’industria dell’Automazione-meccanica-gomma-plastica

ha originato un valore aggiunto di quasi 81 miliardi di euro.

Il surplus commerciale delle ‘4 A’ con l’estero ha raggiunto nel 2008 i

116 miliardi di euro: 4 anche in questo caso l’attivo commerciale è

preponderante nel comparto della meccanica (surplus commerciale di 78

miliardi di euro).

Se questi dati dimostrano un sostegno vigoroso del Made in Italy al

commercio estero (tanto da sostenere che se non fosse per la cronica

2 Fatturato, numero di occupati, quote di mercato, valore della produzione, numero di imprese ecc. 3 Elaborazione dati Fondazione Edison su dati Eurostat, Istat, Mediobanca. Cfr. Fortis – Carminati 2009. 4 Ivi, p. 10.

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dipendenza energetica, la bilancia commerciale italiana sarebbe in attivo),5

è pur vero che a dei valori economici sorprendenti occorre contrapporre

dei volumi aggregati dell’export per lunghi tratti stagnanti o recessivi, una

performance della produttività nazionale altalenante, una capacità

dell’Italia di rispondere alle sfide competitive tutta da dimostrare e

l’avanzata inesorabile della concorrenza proveniente specialmente dalle

economie emergenti.

Competitività nazionale e concorrenza internazionale sono due

variabili che influiscono inesorabilmente sulle sorti del Made in Italy.

L’interpretazione dei dati a riguardo da parte degli operatori economici è

spesso ambivalente. Così come l’apparizione sulla scena economica

mondiale di nuovi competitor è vista sia come possibilità sia come

minaccia per le economie avanzate, anche la performance economica

italiana del recente passato lascia spazio a considerazioni discordanti per il

futuro. Questo poiché, anche a livello mondiale, l’economia ha conosciuto

una serie di continui e repentini cambiamenti che hanno messo in

discussione il ruolo di leadership dei paesi avanzati.

I dati macroeconomici degli ultimi anni dimostrano comunque che

l’Italia ha accumulato una significativa perdita di competitività. Dal 2008 le

variazioni percentuali rispetto agli anni precedenti dei principali valori

macroeconomici sono negativi; il saldo di Conto corrente della Bilancia dei

pagamenti è peggiorato sensibilmente dal 2002 (-10 miliardi di euro) al

2008 (-53 miliardi di euro); la quota sulle esportazioni mondiali di merci

italiane ha subìto un calo di 1,2 punti percentuali in 13 anni, dal 4,5% del

1995 al 3,3% del 2008.6

Apparentemente discordanti, le due serie di dati che dimostrano le

potenzialità del Made in Italy e le difficoltà dell’economia nazionale e delle

esportazioni sono però conciliabili. La riduzione della quota dell’Italia sulle

esportazioni mondiali riguarda infatti i volumi: negli ultimi anni le perdite 5 Rapporto ICE 2010-2011. L’Italia nella competizione internazionale, p. 329. 6 Rielaborazione su dati Ice e Bollettino Economico della Banca d’Italia. Cfr. Valdani – Bertoli 2007: 41,43.

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maggiori si osservano per la quota in quantità, mentre, ad esempio, la

variazione percentuale dell’export in euro dal 2000 al 2006 è molto

positiva (+27,4%), un tasso inferiore fra i paesi industrializzati solo a

quello di Spagna e Germania (Masi 2007:14,15). In altre parole, i volumi

esportati sono minori ma il fatturato delle aziende, grazie a prezzi più alti,

rimane invariato o addirittura migliora.

“In presenza di volumi stagnanti, la buona performance dei valori

dell’export è interamente riconducibile alla sostenuta dinamica dei prezzi”

(Masi 2007:14). Come si vedrà, sarà proprio in funzione del valore

(tangibile e intangibile) del prodotto che il Made in Italy dovrà operare un

riposizionamento competitivo. Se ciò non dovesse accadere, le imprese

italiane sarebbero esposte ad una concorrenza di prezzo insostenibile con

le imprese dei paesi emergenti. Nei settori tradizionali infatti,

“l’Italia si trova oggi a doversi misurare con una concorrenza vieppiù

agguerrita, proveniente in particolare dalla Cina e da diversi paesi del sud-

est asiatico, i quali si distinguono per: costi del lavoro incomparabilmente

inferiori a quelli occidentali; macchinari aggiornati importati dall’estero (in

primis dal nostro7 Paese); capacità di imitazione (e addirittura, in non

pochi casi, di contraffazione vera e propria); miglioramento progressivo

della qualità dei prodotti; evoluzione in senso manageriale della gestione

aziendale. […] In questi settori, è dunque essenziale che le imprese

innalzino sempre più la capacità di innovare la propria offerta in termini di

stile-design-creatività-moda-qualità” (Valdani – Bertoli 2007:44).

Le quote di mercato provenienti dai settori ad offerta specializzata

soffrono invece meno (per il momento) la competizione della nascente

offerta estera, ancora ‘acerba’ e deficitaria di esperienza, flessibilità e

versatilità tecnologica.

È opinione diffusa8 che altre due cause riconducibili alla flessione del

volume dell’export italiano sono la distribuzione geografica dei mercati di

7 Italia, Nda 8 Cfr. Valdani – Bertoli 2007:43.

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sbocco (prevalentemente concentrata sui soli mercati maturi europei) e la

struttura dimensionale delle imprese (questo aspetto verrà trattato più

approfonditamente nel prossimo paragrafo).

1.2 Il paradosso del Made in Italy e la valenza dei distretti industriali

Il successo del Made in Italy, più o meno contrastato negli anni dalle

dinamiche economiche nazionali e dalle insidie concorrenziali internazionali,

non è facilmente spiegabile secondo le teorie economiche ortodosse del

commercio internazionale e dall’economia industriale. Come argomenta

Riccardo Varaldo,9 per molti aspetti il Made in Italy appare una sorta di

paradosso. I motivi di questo paradigmatico controsenso sono stati già in

parte accennati nel primo paragrafo: innanzitutto, le produzioni tipiche del

Made in Italy dei settori tradizionali ad alta intesità di lavoro unskilled sono

giudicate più consone a paesi di nuova industrializzazione che non ad

economie sviluppate come l’Italia; successivamente, l’eccezionalità del

Made in Italy è data dagli ottimi risultati ottenuti da un insieme di imprese

di dimensioni ridotte.

La despecializzazione italiana nelle produzioni high-tech è imputata

effettivamente di aver contribuito alla flessione delle quote di mercato

possedute dall’Italia. Indubbiamente questo fattore strutturale ha

penalizzato la presenza italiana all’estero perché ha lasciato le imprese

impreparate e manchevoli verso la domanda mondiale di prodotti ad alto

contenuto tecnologico. Anche in questo caso il dibattito fra gli studiosi a

proposito di questa caratteristica imprenditoriale italiana è acceso: ci si

domanda 10 se, per l’industria manifatturiera italiana, una supremazia

limitata ai settori tradizionali offra sufficienti garanzie per il futuro e se una

situazione d’arretratezza nei settori ad elevate economie di scala (chimica

industriale, metallurgia) e nei settori ad alta tecnologia (elettronica,

9 Cfr. Pratesi 2001:24. 10 Cfr. Pratesi 2001:9.

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farmaci, aerospaziale) non rappresenti uno squilibrio fortemente

penalizzante con gli altri paesi sviluppati, paesi che hanno dimostrato di

poter trarre ingenti vantaggi dalla commercializzazione di beni

appartenenti a questi settori.

In ogni caso, almeno ai fini di questo lavoro, si intende tralasciare

questo attributo imprenditoriale in quanto l’oggetto in questione è il Made

in Italy che si è già affermato nei mercati internazionali e che è stato

precedentemente delineato. Si cercherà pertanto di indagare quali sono le

strategie per valorizzarlo, senza cercare a tutti i costi un’alternativa ad

un’offerta già di per sé potenzialmente redditizia e a dei procedimenti

industriali efficienti. A tal proposito, sottolinea in maniera illuminante

Valdano:

“tutto considerato sembra quindi opportuno pensare ad una valorizzazione

intelligente del ‘paradosso del Made in Italy’ piuttosto che ad un suo

superamento. Questo servirebbe a far tramontare l’idea che il nostro

Paese possa (debba) essere ricondotto nell’alveo di una presunta, teorica

normalità, ovvero allineato ai modelli di industrializzazione delle altre

economie avanzate […] A questo punto della sua storia industriale l’Italia

non può ragionevolmente pensare di cambiare treno, quello del Made in

Italy e delle piccole imprese, per salire su un altro treno o addirittura

pensare di cambiare tipo di mezzo” (Pratesi 2001:10).

Molto c’è da ragionare invece circa il modo di ottimizzare la

produttività e la competitività delle PMI italiane. Il primo problema da

affrontare è la scarsa propensione all’internazionalizzazione e, per quanto

più riguarda questa ricerca, all’esportazione delle piccole imprese.

In Italia c’è un numero di imprese manifatturiere superiore a quello

di Francia, Germania e Olanda considerate insieme.11 Secondo dati Istat,

in Italia nel 2007 risultano 474.202 attività manifatturiere: fra queste, le

imprese con meno di 10 occupati sono 387.907; le imprese che hanno fra

11 Dati Eurostat 2006. Cfr. Italia – Geografie del nuovo Made in Italy, p. 13.

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i 10 e i 49 occupati sono 75.050; quelle tra i 50 e i 249 occupati sono

9.860; le imprese con più di 250 sono 1.385. Questa suddivisione non può

essere considerata una classificazione canonica per dimensione (micro,

piccola, media, grande) poiché per esserlo sarebbe necessario considerare

anche il fatturato. Sono numeri che rendono però immediatamente idea di

quale sia la realtà della strutturazione fisica del tessuto imprenditoriale.

Mediobanca – Unioncamere stimano12 che a quell’aggregato di circa

4.900 imprese medie e medio-grandi definite ‘Quarto capitalismo’ 13 (o

‘Multinazionali tascabili’ 14 ) fa capo circa il 25% del valore aggiunto

complessivo dell’industria manifatturiera italiana (che sale al 40%

considerando l’indotto) e il 34% circa dell’export manifatturiero.

Percentuali rilevanti se si considera che i gruppi con fatturato superiore ai

3 miliardi di euro generano circa il 5% e l’11% del valore aggiunto e

dell’export manifatturiero, a dimostrazione della maggiore propensione

all’internazionalizzazione delle imprese medie, medio-grandi e dei grandi

gruppi industriali rispetto alle imprese più piccole.

Una testimonianza aggiornata in proposito è fornita dal rapporto Ice

2010-2011: dopo un calo vertiginoso nel 2009, l’export italiano si è

risollevato nel 2010 ottenendo una variazione percentuale positiva del

16% (+ 9,4% di valore medio). La ripresa ha sì interessato tutte le classi

dimensionali delle imprese, ma in maniera disomogenea: “la crescita più

sostenuta ha riguardato le imprese più grandi, quelle con fatturato estero

superiore ai 50 milioni di euro, che hanno esportato il 21,2% in più

rispetto al 2009”. 15 L’aspetto determinante è stato la provenienza

geografica della domanda, in quanto i mercati più lontani sono stati

raggiunti più facilmente dalle imprese di dimensioni maggiori.

12 Ibidem 13 Si intende l’aggregato (categorizzato da Mediobanca, che da tempo lo analizza) di 4.345 imprese medie e circa 600 medio-grandi manifatturiere che si colloca come cuscinetto tra i grandi gruppi e le piccole imprese. Per crescita e redditività hanno surclassato le altre grandi imprese italiane. 14 Repubblica, 10 gennaio 2009, p.18. www.repubblica.it 15 Rapporto Ice 2010 – 2011, p.285

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Generalmente, le imprese più piccole presenti in un numero limitato di

mercati sono fortemente dipendenti dalle sorti politico-economiche di

pochi paesi e rischiano di subirne le relative eventuali complicazioni: “il

contributo più vistoso alla crescita delle importazioni mondiali è da

attribuire ai mercati dell’Asia Orientale e latino-americano, mentre alcune

aree geografiche di specializzazione dell’Italia, quali l’intero mercato Ue e

tutto il bacino Mediterraneo, con alcuni paesi coinvolti in una serie di

sommovimenti politici, sono cresciuti meno della media”.16

La considerazione positiva verso la piccola dimensione, reputata in

grado fin’ora di garantire flessibilità e adattamento rapido ai mutamenti

della domanda, sta lasciando il passo al convincimento diffuso che la

piccola dimensione costituisce un vincolo alla crescita e un rischio per le

posizioni acquisite sui mercati internazionali.17 “L’ampliamento del bacino

potenziale di consumatori cui le imprese dovrebbero rivolgere la loro

attenzione richiede una struttura organizzativa più complessa e sofisticata,

che si avvalga di reparti specializzati in marketing, promozione e pubblicità,

servizi post vendita”.18 Una governance familiare rappresenta inoltre un

ostacolo all’elaborazione di soluzioni manageriali avanzate, che

permetterebbero di adottare soluzioni a volte indispensabili come ad

esempio la diversificazione dei mercati di sbocco, l’instaurazione di

collaborazioni industriali, l’investimento in ricerca e sviluppo.

A far fronte a questa condizione strutturale di per sé penalizzante c’è,

in Italia, l’esperienza positiva dei distretti industriali. L’Istat definisce il

distretto industriale ‘entità socio-territoriale in cui una comunità di persone

e una popolazione di imprese industriali si integrano reciprocamente’;19 i

distretti discendono dai ‘sistemi locali del lavoro’, unità territoriali costituite

da più comuni contigui fra loro che rappresentano i luoghi della vita

quotidiana della popolazione che vi risiede e lavora.

16 Ibidem 17 Cfr. Masi 2007:12. 18 Ibidem 19 8° Censimento generale dell’Industria e dei Servizi 2001. www.istat.it

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La piccola impresa inscritta nell’alveo di un efficiente distretto

industriale trae da esso benefici in termini di competenze, innovazione e

procedimenti operativi che le consentono di sopperire alle difficoltà sopra

elencate. L’agglomerato, per tutti i nuclei di cui si compone, funge da

catalizzatore di interrelazioni economico-sociali che originano un sub-

sistema industriale locale. Infatti, una caratteristica essenziale del distretto

industriale è la divisione del lavoro tra imprese e la generazione di

interdipendenze produttive di natura intra- e intersettoriale.

Il distretto è tipicamente costituito da piccole-medie imprese che si

specializzano a loro volta in una specifica fase lavorativa di produzione: la

divisione del lavoro consente di sviluppare economie di scala e

apprendimento e di servire, indipendentemente, le imprese committenti

che si trovano a valle nella filiera industriale. La flessibilità della piccola

impresa è così asservita alle necessità che si presentano dapprima proprio

all’interno del distretto: nel reticolo nascono e crescono nuove imprese, si

ramificano dinamicamente conoscenze e scambi di natura economica e

sociale.

La performance economica del distretto dipenderebbe,20 pertanto,

da un elevato livello di efficienza collettiva, innovazione, coesione sociale

ed economie esterne interrelate (esterne all’impresa, ma interne all’area).

La fitta rete di relazioni tessute all’interno del distretto potrebbe

favorire altresì il miglioramento di quella formazione definita ‘on the job’;

specialmente nei settori tipici del Made in Italy, dove contano le abilità

artigianali, la creatività e le tendenze, il capitale umano dovrebbe

ragionavolmente trovare nel distretto terreno fertile per la crescita del

proprio valore.

Sulla base dell’8° Censimento generale dell’Industria e dei Servizi

(Istat) del 2001, si individuano in Italia 156 distretti industriali (81 al Nord,

49 al Centro e 26 nel Mezzogiorno).21 È significativo notare che le tipologie

20 Cfr. Guerini 2004:70. 21 Per i criteri e le procedure adottate per l’individuazione dei distretti industriali si rimanda alla

Page 19: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

19

di industria principale utilizzate per classificare i distretti industriali (Tavola

1) corrispondono pienamente (con la sola eccezione dell’industria

cartotecnica e poligrafica) ai settori caratterizzanti l’offerta Made in Italy.

Tavola 1

INDUSTRIA PRINCIPALE Distretti industriali % Addetti manifatturieri dei distretti

%

Tessile e abbigliamento

Meccanica

Beni per la casa

Pelli, cuoio e calzature

Alimentari

Oreficeria e strumenti musicali

Cartotecniche e poligrafiche

Prodotti in gomma e plastica

Totale

45

38

32

20

7

6

4

4

156

28,8

24,4

20,5

12,8

4,5

3,8

2,6

2,6

100

537.435

587.320

382.332

186.680

33.304

116.950

35.996

48.585

1.928.602

27,9

30,5

19,8

9,7

1,7

6,1

1,9

2,5

100

Elaborazione su dati Istat

Nel 2010 anche i distretti industriali hanno reagito positivamente

dopo la congiuntura particolarmente negativa che nel 2009 ha interessato

la domanda delle produzioni tipiche del Made in Italy. Nel Secondo

Rapporto dell’Osservatorio nazionale dei Distretti Industriali 22 si precisa

tuttavia che “i distretti non sembrano aver sofferto gli effetti della crisi più

gravemente rispetto al complesso dell’economia manifatturiera”. È stata

ancora una volta la propensione all’export a determinare il successo di

questo modello produttivo e organizzativo: rispetto al crollo (di livello

internazionale) del 2009, le esportazioni dei distretti sono aumentate nel

2010 del 10,5%. Ciò che è più significativo in un’ottica di medio-lungo

periodo è che, per la prima volta dopo diversi anni, nel 2010 i distretti

industriali hanno mostrato tassi di crescita superiori a quelli di aree non

distrettuali (la quota dei distretti sulle esportazioni dell’Italia è già di per sé

copia elettronica del Censimento consultabile nel sito web www.istat.it. Basti sapere, sommariamente, che per l’identificazione dei distretti è necessario prima individuare gli SLL (sistemi locali del lavoro) prevalentemente manifatturieri di piccola-media impresa per poi operare una classificazione per tipologia di industria principale. 22 L’Osservatorio fornisce dati riferiti ai 101 principali distretti industriali italiani.

Page 20: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

20

ottima: per i manufatti, nel 2007, è del 30,8%).23 “Spicca, in particolare, il

boom dell’export in Cina, dove i distretti hanno ottenuto performance di

gran lunga migliori rispetto ai già buoni risultati del manifatturiero italiano

(+81,6% vs +48,8%)”.24

Se i dati del 2010 propendono per l’uscita dal tunnel della recessione,

quel che è difficile affermare è che sia evidente una ripresa diffusa. Il fatto

che alcuni settori rivelano segnali di affaticamento,25 che la capacità di

recupero del tasso occupazionale appare ancora improbabile 26 e che

sembrano accentuarsi le differenze tra il Centro-Nord e il Sud,27 dimostra

l’occorrenza di misure di intervento mirate.

La turbolenza economica provocata dalla Crisi ha inoltre imposto alle

imprese, e a chi a livello governativo nazionale e locale si occupa del loro

sviluppo, di aggiornare e irrobustire una formula sinergica territoriale

(quella dei distretti industriali appunto) in una più vasta rete che possa

comprendere tutti gli agglomerati produttivi nazionali. In questo senso,

oltre alle proposte teoriche, si è già avuto un riscontro normativo e

giuridico con l’approvazione 28 del ‘contratto di rete’, uno strumento

utilizzabile per rilanciare forme nuove e più efficaci di aggregazione. In

particolare, due o più imprese operano in comune per accrescere

principalmente la capacità innovativa e la competitività sul mercato.

L’obiettivo è, spiega il Ministro Paolo Romani nel Secondo Rapporto

dell’Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani, aiutare le piccole imprese

di ‘fascia alta’ a crescere e favorire la trasformazione di piccole aziende

‘tradizionali’ (basate cioè su una conduzione familiare non

managerializzata) in una massa critica in grado di incidere maggiormente

sul piano macroeconomico. Ciò che viene auspicato è dunque l’evoluzione

23 Ice – Osservatorio sull’internazionalizzazione dei distretti industriali, maggio 2008. 24 2° Rapporto dell’Osservatorio Nazionale dei Distretti industriali, p.32. 25 Ivi, p.51. 26 Ivi, p.54. 27 Ivi, p.34. 28 Nell’ambito del Decreto incentivi 2009, Legge 99/2009; G.U. 31 luglio 2009. www.parlamento.it

Page 21: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

21

di forme organizzative più articolate, sia intra- sia interdistrettuali. Dallo

stesso Rapporto, Ferruccio Dardanello (Presidente Unioncamere):

“l’esperienza recente ribadisce la necessità che i distretti riorganizzino

l’insieme dei propri legami, aprendosi all’esterno e, soprattutto, allargando

la visuale ben oltre i confini locali, cercando nuove alleanze finalizzate non

più solo a raggiungere economie di scala produttive ma soprattutto ad

avviare attività di ricerca, innovazione, di distribuzione e

internazionalizzazione sempre più sofisticate e in linea con le mutevoli

esigenze di nuovi mercati e nuovi consumatori”.

La chance per il Made in Italy è grande: se gli sforzi e la

ristrutturazione dell’imprenditoria verrà assecondata dall’intero Sistema, a

competere non saranno più soltanto le imprese, bensì anche i territori: le

risorse sociali, culturali, economiche ed istituzionali di questi ultimi

offriranno ulteriori opportunità di relazionarsi nei mercati internazionali.

1.3 Immagine, qualità e Sistema Paese

Si è già accennato nel primo paragrafo che la valorizzazione

dell’aspetto immateriale dei prodotti Made in Italy è stata per certi versi

una mossa obbligata per impattare meno la concorrenza di prezzo dei

nuovi competitor. Questa politica di up-grading è però perseguibile solo da

parte di imprese che siano effettivamente in grado di poterla attuare. Non

a caso, accanto a quello che è stato definito ‘upgrading strategico’ (quello

di cui si è data menzione poco sopra), un processo di ‘distruzione creativa’

determinato proprio dalla crescente numerosità di concorrenti globali ha

prodotto una selezione naturale delle imprese tramite l’espulsione dal

mercato di quelle relativamente meno efficienti (‘upgrading indotto’).29 Le

imprese italiane hanno dimostrato, tutto sommato, di rispondere

alacremente ai cambiamenti dello scenario competitivo mondiale. L’offerta

29 Cfr. Masi 2007:22.

Page 22: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

22

Made in Italy ha immediatamente fatto leva sul valore tangibile e

intangibile del prodotto per attuare nei mercati internazionali un

riposizionamento competitivo. I due elementi della funzione ‘valore’

rivestono un peso specifico più o meno alto a seconda dei mercati

riceventi: in un mercato maturo, l’attribuzione della qualità da parte del

consumatore avviene considerando attentamente la componente

tangibile 30 del prodotto; al contrario, in un mercato emergente, la

percezione della qualità è data non solo dall’elemento tangibile ma anche

e soprattutto dal prezzo e dall’immagine che parallelamente viene

costruita e affiancata al prodotto durante la fase di commercializzazione.

In ogni caso, specialmente durante le fasi di ripresa ed espansione

economica, immagine e qualità sono fattori interdipendenti e inscindibili

che influiscono sull’atteggiamento di valutazione e scelta del consumatore

di qualsiasi paese. L’immagine positiva di cui il Made in Italy beneficia

all’estero supporta la riqualificazione del paniere dei beni offerto, così

come la qualità dei beni proposti contribuisce a rafforzare nel tempo

l’immagine della produzione manifatturiera italiana.

Tangibile ed intangibile sono perciò le facce della stessa medaglia e

ad ognuna di esse andrebbe rivolta eguale attenzione. Specialmente per

molte delle produzioni tipicamente italiane, il miglioramento qualitativo

non deve riguardare esclusivamente la tecnologia o i materiali, ma anche

la valorizzazione di quanto già prodotto. Ovviamente, così come le due

componenti pesano in maniera diversa a seconda della tipologia dei

mercati, anche le singole leve del marketing mix vanno utilizzate

relativamente al target prescelto.

Per quanto riguarda il miglioramento dell’elemento tangibile, i nuovi

modelli di consumo sono contraddistinti da fattori di natura tecnica,

funzionale ed estetica (Masi 2007:16). La domanda dei consumatori più

30 In questo specifico caso si vuole riversare lo stile nella componente tangibile del prodotto, nel senso che il design e la progettazione determinano l’aspetto e la forma percepibile tramite l’apparato sensoriale; la componente intangibile è invece intesa come un attributo latente del prodotto, rilevante ma immaginario.

Page 23: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

23

sofisticati, oltre ad essere più variegata ed attenta ai dettagli, esige inoltre

l’affidabilità del prodotto. Il raggiungimento di standard qualitativi elavati

può essere raggiunto dall’impresa con investimenti in R&S,

l’ammodernamento dei processi produttivi, il rafforzamento dei sistemi di

controllo della qualità (Masi 2007:16). Storicamente, le produzioni Made in

Italy hanno giovato di una continua innovazione di prodotto, piuttosto che

di processo: è questo, probabilmente,31 il tipo di innovazione più adatto a

cogliere il miglioramento qualitativo dell’export, in quanto, rispetto

all’innovazione di processo, è meno ripetibile dalla concorrenza. Il

consumatore attratto e soddisfatto dell’innovatività può iniziare ad

identificare il prodotto con l’impresa stessa, attribuendo al marchio un

privilegio di esclusività che può durare anche dopo che i concorrenti hanno

iniziato l’imitazione.

Il valore intangibile del prodotto è invece migliorabile agendo sul mix

promozionale, sul prezzo, la distribuzione e sullo sviluppo dei servizi post-

vendita. Tanto per fare un esempio, la facoltosa domanda che sta

emergendo negli ultimi anni dalle aree a forte incremento economico

mostra di apprezzare particolarmente i beni di lusso di origine italiana,

soprattutto se contraddistinti da brand famosi. Per alcuni consumatori, in

assenza di altre informazioni, è proprio il prezzo alto a suggerire la qualità

di un prodotto.

Accanto all’indispensabile innovazione di prodotto, un impegno

concreto è stato profuso dalle imprese anche per ridisegnare il processo

distributivo e, in genarale, per cercare di comprendere come collocare al

meglio i prodotti sui mercati esteri. Un’indagine del Centro Studi

Unioncamere sulle PMI manifatturiere32 (2010) rivela che tra le azioni su

cui si sarebbero concentrate le policy degli imprenditori nel 2011, dopo il

miglioramento del prodotto e del processo attraverso nuove tecnologie

31 Cfr. Masi 2007:32. 32 Cfr. 2° Rapporto dell’Osservatorio Nazionale dei Distretti industriali, p.57.

Page 24: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

24

(rispettivamente il 62,8% e 43% del totale),33 figurano proprio interventi

finalizzati ad un più forte radicamento nei mercati di riferimento. Così,

dunque, il 28% circa si sarebbe proposto di investire in comunicazione per

il rafforzamento del marchio; quasi il 24% intendeva spostare il target di

mercato verso una fascia più alta. Per molti, inoltre, era ancora prioritario

l’incremento delle quote di mercato nelle aree di riferimento tradizionali

(Italia, Europa): di conseguenza, la penetrazione di mercati così maturi ha

previsto l’adozione di ulteriori strumenti strategici.

Immagine aziendale e qualità del prodotto sono due variabili cardine

per la ricerca seguita in questo lavoro. Non le uniche, ma indubbiamente

concorrono a determinare la percezione che un gruppo di consumatori

esteri ha nei confronti dell’offerta produttiva di un altro paese. Conoscere

questa percezione significa per il produttore potersi muovere in quel

mercato efficacemente e promuovere i propri prodotti al meglio. Un’altra

variabile che influisce, direttamente e indirettamente, sulla costruzione e il

consolidamento dell’immagine all’estero e sulle capacità di promozione è la

possibilità di fruire, da parte dell’azienda, dell’appoggio multiforme

dell’apparato istituzionale, economico e culturale del proprio paese.

Quando si parla di sostegno extra-aziendale all’attività

imprenditoriale ci si riferisce al cosiddetto Sistema Paese. È questa

un’espressione spesso abusata, impiegata sovente per intendere solo le

funzioni dell’apparato istituzionale a sostegno delle imprese ed in

particolare alla competitività in ambito internazionale. Questo concetto

viene qui impiegato per contemplare invece un insieme eterogeneo di

elementi, non esclusivamente di carattere pubblico/istituzionale, che con

lo stesso peso sono in grado di determinare la percezione e la promozione

del Made in Italy all’estero. A tal proposito, si rimanda al capitolo quinto

l’elencazione delle principali azioni intraprese dai vari soggetti per la

promozione del Made in Italy in Cina. Quel che si vuole ora specificare

sono invece i presupposti e le basi da cui queste iniziative muovono. 33 Risposte multiple.

Page 25: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

25

Parlare di Sistema Italia significa identificare innegabilmente un

organismo non del tutto perfettamente funzionante: per quanto riguarda il

contributo dell’apparato istituzionale, potrebbero essere innumerevoli gli

esempi virtuosi provenienti dai tanti enti preposti all’internazionalizzazione

e alla promozione del commercio estero delle imprese italiane; il problema,

semmai, è dovuto alla mancanza di una struttura organica e coordinata

che permetta di elaborare strategie articolate per incrementare la

presenza nei mercati esteri specialmente delle piccole aziende. “Ciò che

sembra penalizzare di più le imprese italiane all’estero è il fatto di non

poter contare su un supporto nazionale analogo a quello degli altri paesi:

sotto vari punti di vista il sostegno pubblico appare frammentario,

eterogeneo, scoordinato e talvolta conflittuale” (Pratesi 2001:15). Le

azioni di Province, Regioni, Ministeri, Università, Camere di Commercio,

Fondazioni, altri Enti statali (senza contare le Organizzazioni

completamente private) necessiterebbero di un coordinamento comune (o

quantomeno della condivisione di linee direttrici comuni) e, come si dirà

fra poco, di un background di credibilità e onorevolezza sociale, culturale e

politica alle spalle.

Per quel che riguarda la concertazione tra agenzie di promozione e

attori istituzionali e privati, l’esempio arriva da alcuni paesi europei

(Germania, Francia, Finlandia, Svezia), asiatici (Australia, Singapore) e

dell’area Ocse (USA e Canada). 34 In questi paesi, la necessità di

fronteggiare la crescente competitività internazionale ha rappresentato

l’occasione per creare una rete di servizi funzionali alla promozione del

commercio estero demandata ad agenzie uniche per

l’internazionalizzazione. Il vantaggio è quello di evitare duplicazioni e

sovrapposizioni inutili delle iniziative, condividendo gli obiettivi e

minimizzando gli sforzi.

Il coordinamento del Germany Trade and Invest, l’ente unico

tedesco che agisce in stretta sinergia con l’amministrazione pubblica e le 34 Cfr. Rapporto Ice 2010-2011, p.332.

Page 26: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

26

organizzazioni private nell’attuazione di interventi promozionali e di

supporto alle imprese, è stato realizzato tramite l’informatizzazione di

alcuni processi, consentendo ad ogni impresa l’accesso a servizi informativi

e di assistenza per la penetrazione commerciale e le attività di

investimento; la digitalizzazione dei servizi e l’unicità del riferimento ha

permesso una più rapida ed economica gestione delle risorse disponibili ed

ha assicurato alle imprese una risposta diretta ai propri bisogni.35

La creazione di una piattaforma informatica sotto un’egida comune e

il concetto di interfaccia unica sono stati pensati e caldeggiati dalla

Commissione Europea al fine di creare un ambiente semplice e snello per

favorire il commercio. L’Italia ha recepito la direttiva europea e ha posto,

tramite il Ministero dello Sviluppo Economico, le fondamenta per la

digitalizzazione delle pratiche necessarie ai fini

dell’internazionalizzazione.36

La centralizzazione delle linee guida non deve comunque

soppiantare le preziose attività che nascono a livello locale: al pari della

valenza del distretto industriale, il terriorio circostante l’impresa può

rappresentare per questa il piatto d’argento su cui viene proposta l’offerta

produttiva. Specialmente per il Made in Italy, un’immagine unitaria e ben

definita del territorio conferisce al prodotto manifatturiero unicità e

inimitabilità, rendendolo il risultato del cammino storico-culturale di una

specifica popolazione e rispondendo in maniera efficace a quelle che sono

le istanze del glocalismo.

Scelte più ampie di natura politica, fattori economico-strutturali e

innumerevoli altre cause riconducibili all’inefficienza burocratica

concorrono alla formazione di un habitat non congeniale alle dinamiche

d’impresa. Si possono cogliere alcuni di questi fattori da una rassegna dei

cento divari strutturali fra l’Italia e la media europea ripresa da

35 Ibidem 36 Ivi, p.333.

Page 27: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

27

Confartigianato e basata su dati provenienti da numerose fonti ufficiali:37

fra i più significativi, è da segnalare il fatto che l’Italia presenta divari

negativi per quanto riguarda la natalità, la spesa sociale al netto di

pensioni e sanità, la dotazione di infrastrutture, l’uso di rigassificatori e

termovalorizzatori, il trasporto di merci su ferrovia, gli investimenti di

venture capital, l’utilizzo dell’e-commerce, l’uso di internet da parte della

popolazione e l’accesso delle imprese alla banda larga. Sempre dallo

stesso rapporto, spiccano in negativo le giornate perse in scioperi, i prezzi

dell’energia elettrica pagata dalle imprese, la percentuale dei giovani tra i

18 e i 24 anni con la sola licenza media, il tasso di disoccupazione

giovanile, la bassa attrattività delle università italiane, la quota

relativamente contenuta di laureati in materie scientifiche e tecniche e il

basso tasso occupazionale delle donne.

Come già accennato in precedenza inoltre, non si può ricondurre alle

sole costituenti pubbliche/istituzionali il mancato funzionamento a regime

del Sistema. “Dal punto di vista culturale non è difficile notare in Italia la

mancanza di una vera identità nazionale. Il nostro orgoglio, che è sempre

individuale e mai collettivo, non consente la formazione di un senso di

appartenenza e rende poco chiaro agli occhi del mondo il nostro

posizionamento sullo scenario internazionale” (Pratesi 2001:15). Dal punto

di vista sociale e morale l’analisi di vizi e virtù della società italiana

apparirebbe soltanto superficiale se ridotta ad una breve elencazione. È

importante semmai considerare che la reputazione politica, in termini di

credibilità, continuità e coerenza, dovrebbe essere l’amalgama che lega

autorevolmente ogni iniziativa del Paese, di qualsiasi natura essa sia.

L’intervento 38 dell’allora Viceministro Catia Polidori (delega al

Commercio estero del Ministero dello Sviluppo Economico) agli Stati

Generali del Commercio Estero del 28 ottobre 2011 fa da corollario a

quanto fin’ora detto. Dopo aver definito il Made in Italy “marchio di qualità

37 Cfr. 2° Rapporto dell’Osservatorio Nazionale dei Distretti industriali, p.168. 38 www.sviluppoeconomico.gov.it

Page 28: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

28

dell’Italia nel mondo” e dopo averne lodato la performance esportativa nel

2010 e l’exploit all’expo di Shangai, l’Onorevole ha tracciato il bilancio della

governance recente del commercio internazionale e ha individuato nella

sinergia Stato-Regioni (divenute nel 2000 co-titolari delle politiche di

export) una formula non sempre funzionante: “dobbiamo pensare assieme

al riassetto del comparto commercio estero per evitare sovrapposizioni di

programmi, eventi e presenze, che dilapidano la credibilità dell’Italia nel

mondo e le risorse dei cittadini”. Il Viceministro ha poi chiarito qual è il

ruolo della politica, “chiamata a predisporre un contesto migliore per

consentire alle imprese di svolgere proficuamente la propria attività e ai

flussi commerciali di svilupparsi e prosperare con il minimo possibile di

intralci” e ne ha precisato gli impegni principali: nell’ambito del negoziato

sui dazi e le barriere tariffarie dell’OMC, riuscire a ridurre i picchi tariffari

per le esportazioni nei mercati emergenti che, pure al netto delle barriere

non tariffarie, rendono “sostanzialmente inaccessibili” certi mercati

specialmente per le PMI; a livello europeo, sempre nell’ambito dei

negoziati OMC, rinnovare l’attenzione alla tutela dell’origine, ideazione,

inventiva e creatività dei prodotti; contrastare tutte le forme sleali di

dumping.

Page 29: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

29

2. Lo sviluppo dell’economia cinese: opportunità per il Made in Italy

2.1 Dall’apertura al libero mercato al secondo posto nell’economia mondiale

È del tutto normale concepire il fatto che il quarto paese del mondo

in termini di grandezza territoriale, nonché primo per popolazione con più

di un miliardo e trecento milioni di cittadini, si posizioni al secondo posto

nella classifica delle migliori economie mondiali in termini di Pil. Quando

però il paese in questione è la Cina, il successo economico desta

nell’opinione pubblica occidentale un po’ di stupore. Forse perché questo

Paese è stato assente, fino al recente passato, dallo scenario economico

contemporaneo a causa di scelte politiche che ne precludevano l’entrata;

forse invece a causa di un retaggio culturale della società occidentale che

reputa ancora un’inconsuetudine primeggiare con un antagonista asiatico.

È, culturalmente, importante sapere che la Cina ha detenuto nei

secoli (specialmente fra il XVI e il XVIII) una posizione di dominio dal

punto di vista scientifico-tecnologico ed economico e ha saputo sviluppare

modelli istituzionali oggetto di studio e ammirazione da parte di tanti

intellettuali europei.39 In quel periodo, l’Europa non era in grado di offrire

prodotti da scambiare con i raffinati beni di consumo cinesi (fra tutti, seta,

porcellane e gioielli venivano scambiati con ingenti quantità di oro e

argento) e la bilancia commerciale vedeva una forte sperequazione a

favore del Paese asiatico. Oltretutto, la Cina, rifiutando qualsiasi trattato

commerciale che prevedesse condizioni meno penalizzanti per le potenze

occidentali e respingendo ogni tentativo di ingresso straniero di natura

economica-politica nel proprio territorio, si è caratterizzata per essere

stato storicamente un paese chiuso e diffidente. Solo tramite il ricorso a

strumenti militari e politici gli europei riuscirono a trasmettere ed instillare

modelli di comportamento e di consumo occidentali e a garantire il ‘libero’

commercio (a loro condizioni favorevoli) e la rappresentanza diplomatica 39 Cfr. Storia dell’Asia Orientale, Enrica Collotti Pischel, Carocci, 1994.

Page 30: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

30

in Cina.40

Ancora oggi, pertanto, senza voler forzare un anacronistico

parallelismo, oltre alle consuete incombenze e problematiche che chi vuol

far business in un paese estero deve affrontare, occorre tener presente

che, in Cina, l’operatore economico straniero e i suoi prodotti trovano

successo solo se in grado di interpretare anche aspetti sociali e culturali

del tutto caratteristici. Dopotutto, l’imprenditoria privata cinese è

giovanissima e i rapporti instaurati con i partner stranieri sono altrettanto

recenti.

La prima apertura volontaria cinese verso l’estero si verifica nel 1978,

nell’ambito di un progetto economico-politico che, insieme alla graduale

valorizzazione dell’iniziativa privata, rappresenta la svolta modernizzatrice

per la Cina. Due anni dopo la morte di Mao Zedong, avvenuta nel 1976, si

svolge una lotta interna al Partito per il controllo del potere, risoltasi con la

vittoria di Deng Xiaoping, un politico riformista già dirigente nel Partito

comunista cinese guidato da Mao. Precedentemente, il trentennio iniziato

con la proclamazione della Repubblica Popolare cinese si distinse, dal

punto di vista economico, per l’assoluta chiusura nei confronti di ogni

influenza straniera e per un modello di sviluppo fondato sulla

pianificazione centralizzata di stampo sovietico.

Con l’avvento di Deng Xiaoping, il Comitato centrale del PCC non

solo dà avvio alla ‘demaoizzazione’ dell’economia, ma ribalta anche le

priorità politiche che per anni erano state ispirate soprattutto da ideologie

leniniste: “la modernizzazione socialista rimpiazza la lotta di classe come

parola d’ordine” (Valdani-Bertoli 2007:14). In realtà si parla di “quattro

modernizzazioni”,41 cioè dell’intervento riformatore su agricoltura, industria,

difesa e scienza. L’adozione di un sistema semi-privato di gestione della

terra si estende in pochi anni ai settori industriali urbani e si crea di fatto

un sistema di gestione economica misto che prevede la liberalizzazione dei 40 Il riferimento principale è alle Guerre dell’Oppio, 1839, 1858. 41 Cfr. Globalizzazione dei mercati e sviluppo dell’economia cinese. Giuseppe Bertoli, Impresa Progetto, 2008.

Page 31: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

31

prezzi, l’ampliamento dell’autonomia decisionale delle imprese pubbliche e

collettive e il decentramento del commercio con l’estero (Bertoli 2008:9).

La seconda metà degli anni Ottanta consacra, non senza dolore, la natura

di questo processo di riforma: i tassi di crescita si assestano ogni anno al

di sopra dell’11% ma il carattere autoritario del Partito unico si manifesta

in tutta la sua crudezza nel maggio del 1989 con la repressione in piazza

Tian’anmen della massa popolare manifestante, esasperata dall’alta

inflazione, da speculazione, corruzione e traffici illeciti. L’intero progetto

sembra vacillare, ma a quel punto le trasformazioni sembrano irreversibili:

“il mondo rurale e le autorità locali (specie quelle delle regioni costiere che

hanno acquisito un’importante libertà di manovra economica e finanziaria)

oppongono una forte resistenza al tentativo di ritornare allo status quo

ante” (Bertoli 2008:9) e, in maniera collaterale, il crollo dell’Unione

Sovietica convince l’ala moderata della classe dirigente che l’unica strada

percorribile in Cina è quella dello sviluppo economico e del miglioramento

delle condizioni di vita della popolazione.

Ancora oggi, gli elevati tassi di crescita economica sono usati come

‘merce di scambio’ dal governo cinese: “un rallentamento della crescita o

un’incapacità del governo di diffonderne i benefici a un numero sempre

maggiore di cittadini potrebbe innescare fenomeni di protesta, che

metterebbero in gravi difficoltà la leadership cinese stessa”.42 La garanzia

di prosperità per i cittadini è così scambiata con la rinuncia a mettere in

discussione l’autoritarismo politico e la limitazione dei diritti umani.

Un’altra tappa fondamentale è il convincimento, maturato nei primi

anni Novanta, che il socialismo non è in contraddizione con il libero

mercato, poiché, secondo la Dirigenza governativa cinese, anche nel

capitalismo sussistono forme di pianificazione economica. La formula del

‘socialismo di libero mercato’ (entrata nella Carta costituzionale del 1993)43

prevede il controllo statale sui soli settori strategici dell’economia, fatto 42 L’economia della Cina. Dalla pianificazione al mercato. Amighini-Chiarlone, Carocci, 2007, p.16. Citato in Valdani-Bertoli 2007:15. 43 Bertoli 2008:10.

Page 32: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

32

non estraneo a quanto succede in maniera più o meno marcata in ogni

paese avanzato. Piuttosto, il controllo statale si esplica tramite pratiche

burocratiche cavillose e limitanti (se ne darà conto parlando

dell’accessibilità del Paese).

La valorizzazione dell’iniziativa privata e l’apertura verso l’estero

definiscono il modello di sviluppo della Cina, incentrato appunto

sull’attrazione di investimenti diretti esteri e su una massiccia attività

esportativa. 44 Queste strategie rimangono comunque disciplinate

implicitamente da provvedimenti legislativi funzionali alla massimizzazione

dei propri vantaggi comparati (potendo sfruttare a costi bassissimi

manodopera in attività labour-intensive, la Cina è considerata ‘la fabbrica

del mondo’):45 gli IDE vengono attirati e canalizzati verso particolari aree

geografiche e settori di attività, così come le importazioni destinate alla

trasformazione o assemblaggio vengono esentate dai diritti doganali

(Bertoli 2008:11). Il livello protezionistico cala sensibilmente nel 2001,

quando la Cina entra a far parte dell’Organizzazione mondiale del

commercio; la riduzione dei dazi imposti dall’Organizzazione, insieme

all’accresciuto potere di acquisto della popolazione cinese e alla sua

crescente domanda di beni di consumo esteri, rende oggi il mercato cinese

altamente attrattivo anche per le imprese italiane.

La modifica propedeutica di alcune leggi all’adesione all’OMC

garantisce dal 2001 alle imprese straniere operanti in loco una maggiore

autonomia nel sourcing di materie prime e di non esser più soggette alle

restrizioni sulle vendite nel mercato interno cinese. Secondo la nuova

legge sul commercio estero, in vigore dal luglio 2004, tutte le tipologie di

imprese, comprese quelle private, possono registrarsi secondo il diritto

44 La Cina ha tuttavia da tempo avviato un ripensamento strategico sul proprio modello di sviluppo. I gruppi dirigenti hanno compreso l’urgente necessità di investire nell’economia della conoscenza e, quindi, nelle tecnologie ad alto contenuto di innovazione e nelle attività creative. 45 Nel 2010 la Cina, oltre ad aver raggiunto il secondo posto nell’economia mondiale, è anche diventata il primo paese per produzione manifatturiera: produce il 19,8% della quota globale. Ricerca Global Insight citata in www.bric.ubibanca.com

Page 33: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

33

commerciale. 46 Anche i residenti cinesi possono effettuare scambi con

l’estero, anche se poi, ai fini della commercializzazione, è decisivo

distinguere fra diritto di importare e diritto di distribuire, che implica

un’autorizzazione e delle condizioni specifiche.

Tavola 2

1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

Quota di mercato cinese sulle esportazioni mondiali (composizioni percentuali)

3,4 3,4 3,9 4,3 5,1 5,8 6,5 7,4 8,1 8,9

Saldi di conto corrente della bilancia dei pagamenti cinese (valori in miliardi di dollari)

31,5 15,7 20,5 17,4 35,4 45,9 68,7 160,8 249,9 360,7

Esportazioni mondiali cinesi (valori in miliardi di dollari)

183,7 194,9 249,2 266,7 325,7 438,3 593,3 762,3 969,2 1219,6

Elaborazione su dati del Rapporto Paese congiunti Ambasciate/Uffici Ice estero 2010

Nella tavola 2 sono riportati dati sintetici recenti che dimostrano

l’inarrestabile crescita economica-commerciale cinese. Fa ancora più

effetto considerare che nel 1980 la quota cinese sulle esportazioni

mondiali era pari allo 0,9% del totale. Al 2007 invece, la quota indicata in

tabella è la seconda più alta nel mondo dopo quella tedesca (9,7%) e

prima di quella statunitense (8,5%). La differenza fra le esportazioni e il

saldo positivo della bilancia dei pagamenti inoltre, dà come risultato le

importazioni, anch’esse costantemente in aumento.

Il prodotto interno lordo a prezzi correnti nel 2010 ammonta47 a

5.878 miliardi di dollari, il secondo valore mondiale dopo quello degli Stati

Uniti d’America. Il Pil pro capite è ovviamente ancora molto basso (4.382

dollari pro capite nel 2010) anche se come si vedrà la distribuzione della

ricchezza è tutt’altro che uniforme. La crescita di questi indicatori è stata

in ogni caso esponenziale: soltanto nel 2001, anno dell’entrata nell’OMC,

Pil e Pil pro capite ammontavano rispettivamente a 1324 miliardi e 1038

46 Rapporti Paese congiunti Ambasciate/Uffici Ice estero 2010, p.12. 47 Dati: Fondo Monetario Internazionale.

Page 34: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

34

dollari.48

La letteratura sullo sviluppo economico cinese è vastissima, così

come lo è la quantità di dati in merito. Quel che è più significativo ai fini di

questa tesi è ciò che potenzialmente può favorire l’internazionalizzazione

commerciale delle imprese italiane; pertanto, col prossimo paragrafo si

intende ricercare fra i dati a disposizione le opportunità per il Made in Italy

in questo grande mercato. Anche la natura delle importazioni della Cina è

infatti variata negli ultimi anni: con un aumento del reddito pro capite e il

conseguente aumento dei consumi è aumentata anche la domanda e

l’importazione di beni finiti. L’Italia ha beneficiato di questa apertura al

commercio internazionale per la quale la Cina, in quest’ultima fase, si pone

non solo come paese trasformatore ma anche come consumatore.

La politica di aumento dei consumi è uno dei punti rilevanti del 12°

piano quinquennale approvato il 14 marzo 2011 dal Comitato centrale del

Partito comunista cinese: “le linee guida del nuovo piano quinquennale

promettono ulteriori manovre atte a stimolare il consumo interno, per

rendere possibile l’auspicata trasformazione della Cina da fabbrica del

mondo a polo di consumo, e poter così dipendere di meno dalle

esportazioni verso i paesi dell’Ovest”.49

2.2 Il mercato cinese

Una premessa introduttiva è doverosa: con questo paragrafo non si

vuole compiere un’analisi completa dell’attrattività commerciale della Cina.

In mancanza di un prodotto/settore specifico a cui riferire l’analisi, sarebbe

errato fare una stima indistinta del mercato potenziale50 per tutti i prodotti

italiani. Lo scopo è tracciare un quadro d’insieme delle variabili che

48 Fondo monetario internazionale. www.imf.org 49 Bollettino economico Repubblica Popolare Cinese – secondo semestre 2010. Camera di Commercio Italiana in Cina, 2011. 50 “Il mercato potenziale può essere inteso come la massima capacità del paese di assorbire, in un definito ambito spazio-temporale, il prodotto considerato e quindi come espressione del suo grado di attrattività”. (Valdani-Bertoli 2007:116).

Page 35: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

35

comunque concorrono a rendere il mercato cinese appetibile per le

imprese del Made in Italy. Vengono considerate alcune variabili

demografiche-economiche, il comportamento d’acquisto del consumatore

cinese e le normative che regolano gli scambi commerciali. Quest’ultimo

aspetto è quantomai rilevante nel determinare il successo o il fallimento di

un seppur eccellente piano di marketing: “la diffusione del Made in Italy in

Cina è legata a fattori che spesso esulano dal prezzo di vendita ed

attengono invece alle restrizioni del mercato. Far arrivare un abito di griffe

in una vetrina di Pechino è più difficile che venderlo”.51

2.2.1 Variabili socio-demografiche ed economiche

La crescita economica cinese ha ovviamente innalzato il potere

d’acquisto della popolazione, ma, come detto, il pil pro capite ancora

basso è solo uno dei tanti elementi che impongono cautela di fronte ad un

numero di abitanti così elevato. Non si può di certo pensare che il miliardo

e 330 milioni di persone che popolano questo paese siano tutti potenziali

consumatori di prodotti Made in Italy, tutt’altro. Innanzitutto, di questi,

coloro che vivono in condizioni di povertà (cioè con meno di un dollaro al

giorno) sono 173 milioni;52 inoltre, 721,35 milioni di abitanti, circa il 54,3%

del totale, vive nelle campagne 53 ed è ancora avulso dai bisogni tipici

dell’economia della vita borghese. La distribuzione della popolazione sul

territorio, altro fattore che si correla con la differenza di reddito, è

irregolare: il 56,5% della popolazione vive nella Cina Orientale e

Meridionale, che corrispondono insieme al 18,8% del territorio. 54 Una

qualsiasi analisi non può dunque trascurare la disomogeneità dei

consumatori cinesi; oltre alle disparità geografiche e di reddito, anche in

quella fascia che può acquistare a prezzi tipicamente occidentali occorre

51 La Cina per le aziende italiane: minacce ed opportunità, Romeo Orlandi, in Mondo Cinese n.118, 2004. 52 Bertoli 2008:17. 53 Profilo economico della Cina, Ice Shanghai, 2010, p.7. 54 Ibidem

Page 36: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

36

soppesare le incognite legate ad un mercato culturalmente diverso e che

si sta interfacciando per la prima volta al consumismo.

Attualmente il riferimento per le imprese italiane deve essere la

classe benestante cinese, stimata nel 2010 in circa 95 milioni di individui55

(per classe benestante si intende l’insieme di persone con un Pil pro capite

di almeno 30.000 dollari a parità di potere d’acquisto e prezzi del 2005).

Questo numero ammonta per ora al 7,1% dell’intera popolazione ed è

superiore al numero di abitanti residenti in Germania (81 milioni di

individui con un Pil pro capite di 32.138 dollari nel 2010).56 Secondo altre

stime,57 i nuovi benestanti con redditi superiori a 50.000 euro annui sono

circa due milioni, di cui soltanto 300.000 sono i veri nuovi ricchi, ovvero

coloro che possiedono ingenti capitali finanziari e redditi davvero elevati.

In ogni caso, ciò che rende la Cina un inestimabile mercato di sbocco è la

previsione secondo la quale la classe benestante raddoppierà ogni cinque

anni nella decade 2010-2020.58 Nel 2015 i cinesi abbienti ammonteranno

dunque a 201 milioni, per poi raggiungere nel 2020 una cifra paragonabile

a quella di tutta la popolazione dell’Europa Occidentale (421 milioni di

abitanti con Pil medio pro capite di 36.088 dollari).

Già oggi, al raggiungimento di un certo livello di reddito, la ‘voglia di

benessere’ abbassa la propensione al risparmio e fa scattare la domanda

di beni associati a modelli di consumo più sofisticati. Nel 2010 il consumo

55 È stata accettata questa stima di Manuela Marianera (Marianera 2011) benché nella letteratura a riguardo ce ne siano di discordanti. Ad esempio, Bertoli (in Bertoli 2008) cita una ricerca di Ivana Casaburi (China as a Market: what is the real market for international brands?, 2008) in cui viene profilato un segmento definito ‘classe media’, composto da 300 milioni di persone con un reddito fra i 3.600 e 7.000 euro annui. A questo segmento viene attribuita “un’alta propensione alla spesa finalizzata alla ricerca di riconoscimento sociale”. Il segmento più alto in termini di reddito (7.200-18.000 euro) sarebbe composto soltanto da 10 milioni di persone. Relativa concordanza c’è con Bicchielli (Bicchielli 2010) solo nella stima del microsegmento dei super ricchi: Casaburi indica dalle 320 mila alle 500 mila persone con reddito sopra i 60.000 euro annui; Bicchielli ne individua 2 milioni con reddito sopra i 50.000 euro annui. Questa incongruenza di dati testimonia la limitatezza delle informazioni disponibili e la difficoltà di condurre analisi di mercato in Cina. In questo caso la stima proposta da Marianera è parsa più selettiva e affidabile, considerando anche che i dati reddituali trascritti da Bertoli (in euro) non si sa se siano a parità di potere di acquisto o meno. 56 Ibidem 57 Cfr. Bicchielli 2010:108. 58 Marianera 2011:2.

Page 37: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

37

privato sul Pil della Cina è stimato a quasi il 36% (calcolato su valori

nominali), pesando a PPA per l’8,7% su quello mondiale. Se le politiche di

stimolo dei consumi avranno successo, l’incidenza sul Pil potrebbe

raggiungere il 45% nel 2015 e il 50% nel 2020.59

Per le imprese diventa anche essenziale localizzare questa classe

benestante, essendo la Cina un paese vasto 9,6 milioni di kmq, più del

doppio dell’UE. La suddivisione amministrativa attuale prevede 22 province,

5 regioni autonome, 4 municipalità e 2 regioni amministrative speciali,

ognuna delle quali si rapporta diversamente con il governo centrale. Da

ogni ricerca in merito, appare evidente che il reddito e il consumo della

popolazione sono più alti nelle aree urbane e aumentano in relazione al

posizionamento geografico e alla dimensione delle città.

Secondo la suddivisione utilizzata anche dal Governo cinese per

predisporre i piani di sviluppo, si individuano 3 macro-aree economiche:

l’Ovest, che copre il 71% del territorio nazionale e conta il 28% della

popolazione; il Centro, che occupa il 18% del territorio e ospita il 32%

della popolazione; l’Est, che comprende soltanto l’11% del territorio ma

accoglie il 40% della popolazione e genera il 58% del Pil e il 60% dei

consumi dell’intera Cina.60 L’Est è costituito dalle province che si affacciano

sul mare: la presenza di infrastrutture, una più solida base produttiva e le

migliori condizioni territoriali sono alla base della maggiore prosperità

dell’area costiera, in cui si stima viva il 73% dei cinesi benestanti.61

Una ricerca di Normandy Madden62 citata da Bertoli (Bertoli 2008:22)

suggerisce la seguente macrosegmentazione geografica dei consumatori

cinesi: consumatori residenti nelle città di medie dimensioni delle regioni

interne; consumatori residenti nelle grandi città delle regioni interne e

costiere; consumatori residenti nelle città di maggiori dimensioni. Nel

primo segmento, il reddito pro capite e la conoscenza dei mercati esteri

59 Ivi, p.3. 60 Marianera 2011:5. 61 Ibidem 62 Tier tale: how marketers classify cities in China, 2007.

Page 38: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

38

sono limitati; questi consumatori non evidenziano propensione all’acquisto

di prodotti importati e in ogni caso non considerano la componente ‘moda’

di un bene, per cui i prodotti possono eventualmente riscuotere successo

alla fine del loro ciclo di vita. I consumatori del secondo segmento

dispongono di un reddito più alto ma, anche in questo caso, la funzionalità

del bene continua ad essere l’attributo chiave nei loro acquisti. Nel terzo

segmento si trovano consumatori che dispongono di un reddito pro capite

elevato e vivono nelle aree maggiormente interessate dallo sviluppo

economico; in questo caso, c’è maggior familiarità e ricezione verso i

prodotti importati e la ricerca di comfort, qualità e design portano questi

potenziali acquirenti a corrispondere un premium price per ottenere

quanto desiderato.

Fra le città più ricche si distinguono Shanghai, Pechino, Guangzhou e

Shenzhen, mentre le province con la classe benestante più vasta sono:

Guangdong, Jiangsu, Shandong, Shanghai e Pechino.

Altre caratteristiche socio-demografiche dei consumatori cinesi sono

interessanti ai fini della commercializzazione dei prodotti Made in Italy.

L’età media in Cina è 34,1 anni, nettamente inferiore a quella dei paesi

occidentali più giovani; nel 2009 c’erano 460 milioni di persone di età

compresa tra i 20 e i 44 anni, la fascia di età che spende di più (Marianera

2011:12) ed è più scolarizzata. I giovani in particolare mostrano interesse

verso le nuove tecnologie, i modelli di comportamento e consumo

occidentali e sono avvezzi all’uso di internet. Il numero di internauti

nell’intera Cina ha raggiunto i 420 milioni nel giugno 2010 e l’e-commerce

sta crescendo più che in qualunque altra parte del mondo: da gennaio a

giugno 2010 il numero di persone che ha utilizzato la rete per fare

shopping ha raggiunto i 142 milioni (Marianera 2011:11).

Determinante è anche l’ascesa delle donne nella società cinese:63

oltre a costituire un target a sé stante portatore di relativi bisogni, 63 Nelle università cinesi sono iscritte 104 studentesse ogni 100 studenti maschi; ogni 100 tecnici 52 sono donne e in Parlamento il rapporto è 21/100. Il reddito medio delle donne è stimato essere il 68% di quello maschile, ancora basso ma in costante aumento (Marianera 2011:13).

Page 39: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

39

l’impatto di un tale fenomeno contribuirà al cambiamento delle priorità di

spesa anche all’interno del loro nucleo familiare e relazionale.

2.2.2 Comportamento d’acquisto del consumatore cinese

Precedentemente si è accennato in nota alla difficoltà di quantificare

e definire macro e micro segmenti di consumatori in un mercato così

grande e variegato. La stessa difficoltà si riscontra nell’attribuire ad

ognuno di questi segmenti un appropriato atteggiamento di consumo.

Grazie alla corrispondenza fra alcune ricerche e le impressioni personali di

chi in Cina soggiorna e lavora, si è in grado quantomeno di delineare qual

è l’approccio del ceto medio-alto cinese verso i brand internazionali.

Un primo documentato fenomeno 64 dovrebbe essere il punto di

partenza per ogni considerazione successiva: contrariamente ad una

percezione largamente diffusa in Occidente, i consumatori cinesi (anche se

abbienti) preferiscono l’acquisto di prodotti nazionali qualora non

dovessero riscontrare in quelli esteri delle particolari qualità esclusive. Non

è un caso infatti che il riposizionamento competitivo del Made in Italy

venga proprio incontro all’esigenza di accrescere la qualità materiale ed

intangibile dei prodotti. C’è però da dire che, almeno in assenza di

informazioni e nell’impossibilità di paragonare direttamente l’offerta, i

prodotti stranieri godono fra i consumatori cinesi di maggior reputazione

rispetto agli omologhi nazionali.

Prendendo come riferimento l’indagine ‘Check-in Cina’, condotta

dalle società di ricerca GPF e ABG,65 si sostiene che i cinesi reputano i

prodotti stranieri migliori e desiderabili perché attribuiscono loro il primato

della qualità e dello stile. Il prodotto straniero è concepito come un

simulacro moderno da integrare nella propria tradizione culturale, a cui i

cinesi si sentono molto legati. In questo senso, il prodotto consente di

64 Cfr. Orlandi 2004; Cfr. Symbolic value of foreign products in the People’s Republic of China, Lianzi-Hui, Journal of International Marketing, 2003. 65 Non è stato possibile consultare la fonte primaria; un rapporto dettagliato è presente nella sezione ‘analisi e ricerche’ del sito www.agichina24.it

Page 40: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

40

emulare un modello comportamentale occidentale e il consumatore cinese

che ostenta brand internazionali ottiene riconoscimento e prestigio sociale.

“I cinesi si sentono in cammino verso la modernità che in molti campi è

oggi rappresentata da alcune categorie di prodotti occidentali, ma al

tempo stesso sono orgogliosi della loro tradizione culturale”.66

Il consumatore cinese non è dunque alla ricerca dell’identificazione

valoriale col brand, si serve di esso solo in modo strumentale, sfruttando il

riferimento all’elevato standard di vita che caratterizza il mondo dal quale

il marchio proviene. Da questo punto di vista, oggi tanti prodotti Made in

Italy (in particolare quelli del settore moda) sono innanzitutto dei totem,

miti materiali da possedere e sfoggiare.

Altri beni considerati attualmente indispensabili dalle famiglie

benestanti vanno dalla casa (vero e proprio status symbol ambìto dal ceto

medio) ai prodotti d’arredo che la completano; dalla telefonia,

elettrodomestici, elettronica, mezzi di trasporto fino anche a sconfinare in

modelli consumistici di natura ricreativa come l’happy hour. Il carattere di

questi nuovi consumatori si può definire aspirazionale, cioè di sostanziale

aspirazione allo status (Pietrasanta 2009:121) e l’approccio verso i

consumi è ancora dettato dal possesso materiale, diversamente da quanto

accade ormai in mercati più maturi in cui l’acquisto deve garantire anche

una maggiore qualità della vita.

Queste indicazioni sono fondamentali per le imprese italiane ai fini di

una pianificazione promozionale efficace: una comunicazione referenziale

del prodotto non sarà sufficiente a conquistare un consumatore desideroso

di possedere un ‘simbolo’; ad essa andrà affiancato un immaginario, e

soprattutto un’esperienza, che assecondino le dimensioni del sogno e del

desiderio del fruitore. Ad esemplificare bene il concetto di ‘esperienza’

legata al prodotto è un piccolo esperimento tratto nuovamente dalla

ricerca ‘Check-in Cina’. Sono state scelte tre produzioni tipiche alle quali gli

italiani conferiscono una sorta di esclusiva e alle quali è riconosciuto un 66 Le opportunità per i prodotti italiani in Cina, www.agichina24.it

Page 41: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

41

primato di gusto e qualità: la pizza, il caffè, il gelato. È stato poi chiesto ai

cinesi intervistati di pensare a delle associazioni mentali riferite a questi

prodotti. Si poteva supporre che le associazioni riguardassero Napoli, il

Colosseo o per esempio piazza San Marco. Niente di tutto questo. Secondo

i risultati della ricerca, i tre prodotti sono stati associati rispettivamente a

Pizza Hut, Starbucks e Haagen-Dazs.67

Non si consuma solo un prodotto: oggi più che mai in Cina, il

marchio offre al consumatore un’esperienza e lo rende partecipe di uno

stile di vita. Nel caso di prodotti del settore agro-alimentare comunque, la

domanda cinese si è mostrata sensibile anche ad aspetti concreti quali la

genuinità e i contenuti nutrizionali, determinando la richiesta di prodotti

alimentari premium.68

2.2.3 Aspetti normativi e legislativi

L’apertura commerciale della Cina ha ricevuto una sorta di

ufficializzazione con l’ingresso nell’OMC; tuttavia, fenomeni corruttivi e

clientelari ricorrenti, un sistema legislativo ambiguo e la ridotta

trasparenza di alcune pratiche burocratiche costituiscono ostacoli al libero

commercio per le imprese estere. Per di più, i governi locali spesso non

hanno le risorse e la volontà politica di recepire gli atti legislativi che a

livello centrale entrano in vigore per disciplinare l’ambiente economico in

costante evoluzione; quando poi gli atti vengono ratificati, il governo

cinese pubblica degli ‘avvisi di pubblica informazione’ che molto spesso

non vengono nemmeno tradotti in inglese.69

Nella ‘panoramica di rischio paese’ redatta dalla Fondazione Italia

Cina nel 2010 si continua a dare per “certa” l’attività protezionistica cinese

nei confronti della propria industria nazionale, cosicché le difficoltà di

67 Sono tutte e tre famose multinazionali americane che hanno commercializzato i loro prodotti (pizze, caffetteria, gelati e dolci) in pressoché tutti i paesi sviluppati del mondo. Ovviamente in Italia non hanno mercato. 68 Rapporti Paese congiunti Ambasciate/Uffici Ice estero, 2010. 69 Cfr. Rapporti Paese congiunti Ambasciate/Uffici Ice estero, 2010. p.32.

Page 42: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

42

accesso al mercato in numerosi settori rimarrà inalterata. Il filtro

protezionistico si basa prevalentamente su barriere non tariffarie, in

particolare relative agli standard. La Cina, non adottando spesso standard

internazionali, invalida il principio di parità di trattamento (che dovrebbe

costituire uno dei cardini della partecipazione all’OMC) e richiede requisiti

(di sicurezza, fitosanitari, di qualità ecc.) più alti alle aziende straniere. Fra

i tanti, si segnalano il ‘sistema di certificazione obbligatoria’ (China

Compulsory Certification System) che non appare del tutto conforme con

alcuni princìpi posti dal WTO technical Barriers to Trade Agreement (per

esempio pone ostacoli al settore auto causando costi addizionali di

omologazione) e la regolamentazione in materia di etichettatura per i

prodotti alimentari preconfezionati (General Standard of Labelling) che

implica restrizioni eccessive rispetto agli obiettivi perseguiti. 70 L’Italia è

colpita da queste forme di protezionismo del mercato sia nei settori

industriali (parti per auto, apparecchiature domestiche di cottura a gas) sia

nel comparto agroindustriale, dove la Cina impone appunto una serie di

misure sanitarie smisurate e frappone ostacoli tecnici (ispezioni continue,

non-adesione agli standard internazionali quali il Codex Alimentarius,

ritardi alle richieste di autorizzazione ecc.) che di fatto frenano l’apertura

di questo segmento produttivo.

Le barriere tariffarie, in conformità con gli adempimenti assunti nel

protocollo di adesione all’OMC, si stanno progressivamente abbassando: la

tariffa media dei dazi è scesa dal 35% ad valorem del 2001 al 9,8% del

2009 (nel 2008 si registra ancora un 15,3% di media sui prodotti agricoli e

8,8% su quelli industriali). 71 In fase di sdoganamento permangono

tuttavia sia un dazio doganale (ad valorem) sia l’imposta sul valore

aggiunto da versare direttamente alle autorità doganali.72

La scelta di commercializzare i prodotti italiani in Cina prevede anche

la possibilità di investire in territorio cinese per, ad esempio, costituire una 70 Ibidem 71 Ibidem 72 Business Atlas 2011, Assocamerestero.

Page 43: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

43

società di trading o un semplice ufficio di rappresentanza. La normativa

cinese sugli investimenti stranieri permette infatti di realizzare diversi tipi

di società, denominate dal diritto locale ‘Foreign invested enterprise’ (FIE).

Le principali tipologie di FIE sono due: le ‘Wholly foreign-owned enterprise’

(WFOE), cioè società a totale capitale straniero e le Joint Venture, società

miste che a loro volta si dividono in ‘Equity joint venture’ e ‘Cooperative

joint venture’. La scelta della forma di investimento dal punto di vista della

proprietà consiste dunque nel decidere se investire autonomamente o

insieme ad un partner locale. Quel che più interessa ai fini di questo lavoro

è l’investimento finalizzato allo svolgimento di un’attività commerciale: il

settore della distribuzione e vendita all’ingrosso e al dettaglio è stato

aperto nel 2004 agli investitori stranieri; a questi ultimi è consentito

costituire società commerciali dette FICE (‘Foreign invested commercial

enterprises’), anche se non sempre è consentita la libera scelta73 fra la

forma WFOE o Joint Venture. La normativa in vigore denominata

‘Measures for the Administration of Foreign Investment in the Commercial

Sector’ disciplina le attività di vendita al dettaglio (si intendono anche

vendite attraverso TV, telefono, posta, internet e distributori automatici),

vendita all’ingrosso, distribuzioni sulla base di contratti di agenzie,

franchising e apertura di punti vendita (per le società straniere di trading

già presenti in Cina). Spesso, la condizione restrittiva a cui sono soggetti

questi settori comporta l’obbligo di avere un partner locale con una

percentuale di quote societarie minima ben definita; in ogni caso, la

distribuzione diretta dei propri prodotti, oltre ad incrementare i profitti,

73 In alcuni casi l’investitore estero è obbligato a scegliere la sola forma della Joint Venture, visto che in alcuni settori è imposta dallo Stato la compartecipazione di un partner locale. Il Catalogue for the Guidance of Foreign Investment Industries elenca i settori industriali nei quali gli investimenti stranieri sono incoraggiati, ristretti o proibiti. Nel Catalogo c’è un capitolo relativo proprio all’Industria del Commercio all’ingrosso e al dettaglio: fra i più significativi, sono ristretti gli investimenti per la costituzione di società commerciali di vendita diretta e per corrispondenza/internet di “commodity” (non si capisce bene se ci sono delle merci specifiche colpite dalla restrizione), il franchising, la distribuzione e vendita di prodotti audiovisivi (film esclusi), commercio all’ingrosso e distribuzione al dettaglio di beni fra cui zucchero, medicinali, tabacchi, automobili e beni strumentali per la produzione agricola. In moltissimi casi oltretutto i cinesi devono detenere la maggioranza delle azioni. Fonte: www.investment.gov.cn

Page 44: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

44

permette una maggiore conoscenza del mercato e una posizione solida

che garantisce una presenza stabile e non basata sulla volontà

discrezionale dell’agente o del distributore.

L’ufficio di rappresentanza è una presenza non dotata di personalità

giuridica e non abilitata a svolgere attività commerciali dirette (non può

importare o vendere prodotti); per alcune esigenze specifiche resta

tuttavia una forma di presenza di veloce avviamento e dai costi

relativamente limitati, che può svolgere funzioni di promozione e raccordo.

La ‘Company Law’ (la normativa che disciplina le società di capitali in Cina)

prevede anche la possibilità di costituire una sede secondaria detta

‘branch’ per la società straniera; come l’ufficio di rappresentaza non è

dotata di personalità giuridica, ma al contrario di esso, previo ottenimento

delle licenze necessarie, può svolgere attività commerciali e produttive.

Un importante provvedimento del Governo cinese è stato adottato in

merito alla tutela dei segreti commerciali: nell’ambito del contratto di

franchising, il franchisee sarebbe passibile di risarcimento danni nel caso

in cui comunicasse o consentisse a terzi l’utilizzo di tali segreti

commerciali.74

2.3 L’export italiano in Cina

L’Italia rappresenta al 2010 il quindicesimo partner commerciale

della Cina per volume complessivo degli scambi commerciali. Questa

posizione non manifesta però la natura dell’interscambio e rappresenta

anzi una sorta di media beffarda nei confronti del Paese europeo; l’Italia è

infatti decima nella classifica dei paesi importatori di prodotti cinesi ma è

soltanto ventunesima nella classifica degli esportatori verso la Cina. Nel

2010 l’Italia ha importato merce cinese per un valore pari a circa 31

miliardi di dollari ed ha esportato al contrario per un valore pari a circa 14

74 Fare affari in Cina. Guida alle normative cinesi sugli affari. Ice, 2010.

Page 45: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

45

miliardi di dolllari.75 In Europa comunque l’Italia è terza fra i paesi che

esportano in Cina, alle spalle di Germania e Francia; nel 2009, anno del

crollo economico-commerciale mondiale, proprio dall’export è venuto un

dato incoraggiante per il futuro del Made in Italy in Cina: a fronte di una

contrazione media degli scambi globali del 12%, le esportazioni italiane in

questo mercato si sono ridotte in misura molto meno accentuata (-5,4%).

La serie storica di dati relativi all’interscambio (Tavola 3) mostra un

aumento costante a tassi lievemente decrescenti sia delle importazioni sia

delle esportazioni italiane in Cina. Progressivamente crescenti (se si

eccettua il brusco calo del 2009) sono invece i saldi commerciali positivi

per la Cina: solo nei primi sei mesi del 2011 il saldo provvisorio ha

raggiunto i 9 miliardi di dollari, più della metà del dato annuale 2010; le

esportazioni sono oltre il doppio delle importazioni cinesi dall’Italia.

Tavola 3

2006 2007 2008 2009 2010

Interscambio commerciale Cina-Italia (Mln USD)

24.581,05 31.393,91 38.265,78 31.272,82 45.129,53

Importazioni dall’Italia (Mln USD)

8.605,62 10.216,50 11.657,47 11.026,60 13.993,69

Esportazioni verso l’Italia (Mln USD)

15.975,43 21.177,41 26.608,31 20.246,22 31.135,84

Saldo commerciale italiano (Mln USD)

- 7.369,81 - 10.969,91 - 14.950,84 - 9.219,62 -17.142,15

Rielaborazione da Italian Trade Commission – Shanghai Office

La composizione dell’export italiano in Cina è piuttosto polarizzato: a

pochi settori viene ascritta la maggior parte del valore complessivo.

Approssimando, nel 2011 il 50% dell’export italiano in Cina è composto da

macchinari (elettrici e non), il 21% si riferisce ai semilavorati industriali

(tra cui si distinguono le pelli e i prodotti farmaceutici) e l’abbigliamento e 75 Cfr. Bollettino economico Repubblica Popolare Cinese 2010, Camera di Commercio Italiana in Cina e Dati Ice. La quota italiana rappresenta l’1% del totale delle importazioni cinesi.

Page 46: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

46

gli accessori rappresentano il 14% del totale. Più staccati in graduatoria

sono i veicoli e mezzi di trasporto (4%) e due settori tradizionali del Made

in Italy: l’agroalimentare (1,3%) e l’arredamento (1,2%). Il restante 10%

circa riguarda essenzialmente materie prime.76 Tutto sommato, la quota

del settore arredamento è ragionevolmente alta, considerando che

attualmente i prodotti italiani sono destinati solo ad una piccola nicchia di

consumatori e che le abitudini abitative della classe media cinese sono in

divenire. È invece decisamente in ritardo il settore agro-alimentare: come

si dirà nei focus dedicati, dall’Europa perfino la Germania esporta in Cina

più prodotti alimentari dell’Italia.

Al di là delle specifiche strategie aziendali e delle politiche

istituzionali di cui si darà conto nei prossimi capitoli, ai fini dell’export

viene reputata importante dagli operatori economici la presenza diretta

delle imprese sul territorio estero.77 Questo vale tanto più per l’Italia, che

a fronte del sistema distributivo cinese estremamente frammentato,

sconta l’ulteriore debolezza di non disporre di operatori nazionali nella

grande distribuzione. In Cina sono circa 2.000 le imprese stabilitesi

attraverso le più varie modalità. I settori italiani più radicati sono quelli

della meccanica e del tessile ma gli investimenti sono comunque

abbastanza diversificati e la presenza italiana è virtualmente estesa in

tutto il territorio cinese.78 In particolar modo, la delocalizzazione produttiva

non permette soltanto il risparmio sui costi di produzione, ma agevola

anche i tempi di consegna sul mercato locale, la gestione dell’assistenza e

dei servizi post-vendita. Inoltre, “la tangibilità assicura una diversa

percezione del prodotto/servizio straniero da parte della controparte

cinese, conferendogli una credibilità che, spesso, anche un’indiscussa

fama internazionale non è in grado di assicurare”. 79 Questa teoria va

76 I dati indicativi sono tratti da alcuni rapporti Ice, ma sono forniti originariamente in dettaglio da Global Trade Informations Services, via internet al sito www.gtis.com 77 Rapporti Paese congiunti Ambasciate/Uffici Ice estero, 2010, p.21. 78 Ibidem 79 Ibidem

Page 47: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

47

apparentemente in conflitto con quella di chi sostiene che produrre in Cina

beni a forte caratterizzazione stilistica e qualitativa potrebbe screditare agli

occhi del consumatore cinese il prodotto stesso: viene pertanto reputata

vantaggiosa, per i beni di consumo, la produzione in Cina destinata alla

locale fascia media, mantenendo in Italia la manifattura destinata alla

fascia alta.

2.3.1 Focus comparti merceologici

Lusso – L’Ice stima in una percentuale del 20/30% annuo il saggio

di crescita atteso per il mercato dei beni di lusso; un Rapporto della

Fondazione Italia Cina lo attesta invece al 10% annuo. Quel che è certo è

che nei prossimi anni, con la crescita esponenziale della classe medio-alta,

la Cina sostituirà il Giappone quale secondo mercato mondiale del lusso e

la domanda verso i già rinomati beni di lusso italiani dovrebbe essere

sempre maggiore. Sono già in aumento le importazioni anche da città di

seconda fascia e anche i marchi ‘minori’ che hanno dedicato attenzione e

risorse per adeguarsi al contesto cinese avranno numerose opportunità.80

A livello settoriale, occasioni rilevanti anche per il calzaturiero, pellettiero,

occhialeria e, a dispetto degli elevati dazi, anche di oreficeria e gioielleria.

Il tessile-abbigliamento può vantare sulla prestigiosa reputazione costruita

negli anni dalle Case di moda storiche, Armani su tutte. Questo è il

settore nel quale il consumatore cinese oltre alla semplice qualità cerca

esclusività: per quanto riguarda l’abbigliamento, la distribuzione sul

mercato è prevalentemente nella forma di negozio monomarca per i brand

di lusso e, per i capi casual, in corner all’interno di centri commerciali delle

grandi città. Vetrine importanti sono anche gli hotel di lusso che spesso

ospitano eventi mondani e sfilate di grandi firme (Pietrasanta 2009:97).

Arredamento – Come già anticipato, le notevoli potenzialità di

questo settore possono contare sul cambiamento delle esigenze abitative

della pololazione cinese, desiderosa di riflettere il proprio status su 80 La Cina nel 2010. Scenari e Prospettive per le imprese, Fondazione Italia Cina, 2010.

Page 48: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

48

un’abitazione di qualità. L’Italia si colloca al quarto posto tra i paesi

fornitori della Cina nel settore arredamento e le proprie quote sono in

aumento.

Agro-alimentare – L’urbanizzazione, l’influenza internazionale e

l’aumento del reddito hanno contribuito al cambiamento degli stili di vita

dei cinesi, che si aprono a modelli di consumo alimentare occidentali. La

propensione verso prodotti tracciabili e di marca e la preferenza d’acquisto

presso canali commerciali moderni si è accentuata inoltre notevolmente

dopo lo sdegno provocato dal caso melamina del 2008 che ha sconvolto il

settore lattiero-caseario.81 Il mercato delle categorie di prodotti con forte

caratterizzazione locale è saturo e fortemente presidiato; maggiori

possibilità sono concesse a tipologie di prodotti di ispirazione decisamente

più occidentale, come gli alimenti surgelati, il cioccolato, i cereali a

colazione, i succhi di frutta in bottiglia82 e soprattutto il vino. Anche per

questo settore, l’emersione di nuove città in ambienti sociali diversi

richiede un’offerta di prodotti sostenuta da azioni di marketing ad hoc.

Ovviamente, l’apprezzamento in senso più ampio della cucina del Bel

Paese necessita di un’attività propedeutica di educazione al prodotto

italiano che dovrà essere sostenuta anche e soprattutto a livello nazionale.

A livello di preferenza, l’agroalimentare italiano soffre tuttavia

pesantemente la concorrenza di altri paesi europei, Francia in particolare:

secondo la pubblicazione del MAE ‘Diplomazia economica italiana’ del

giugno 2011, nel settore bevande e alcolici la Francia è nettamente al

primo posto come paese fornitore della Cina, con un volume di export pari

a 277,8 milioni di dollari contro i 21,8 milioni dell’Italia.

Automazione – L’Italia potrà presumibilmente contare ancora per

molti anni su una domanda cinese particolarmente sostenuta di macchine

utensili, meccanica di precisione, componenti e semi-lavorati, logistica

81 In Cina melamina nel latte, gelati e yogurt, venerdì 19 settembre 2008, www.ilsole24.com 82 La Cina nel 2010. Scenari e Prospettive per le imprese, Fondazione Italia Cina, 2010.

Page 49: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

49

interna e automazione, meccanica strumentale in genere. 83 L’industria

cinese sta innalzando il valore tecnologico delle sue produzioni ma,

tuttavia, di questo up grade potrà beneficiare anche il settore della

componentistica italiana andando a soddisfare l’indotto del settore cinese

automobilistico (la Cina è il terzo principale produttore di automobili), che

può contare oggi sul mercato domestico più grande del mondo.84

Turismo – Si è deciso di annoverare il turismo in questa lista in

quanto il processo di assimilazione culturale che spesso segue la visita di

un paese può fungere da volano per la diffusione di prodotti italiani in Cina.

Non solo: i tour dello shopping, specie della classe benestante,

contribuiscono alla vendita di prodotti di lusso direttamente in Italia. Il

turismo è una fonte di reddito inestimabile per tutta l’economia italiana; il

Consiglio di Stato cinese incentiva la mobilità turistica e prevede che nel

2015 il flusso di turisti cinesi all’estero raggiungerà 83 milioni di persone,

con un tasso di crescita annuo del 9%.85 Nel 2008 le mete europee hanno

assorbito un flusso turistico del 5%: quasi 200.000 tusisti cinesi durante

quel periodo hanno fatto la loro prima tappa in Italia.86

83 Rapporti Paese congiunti Ambasciate/Uffici Ice estero, 2010, p.20. 84 Ferrari ha conquistato la leadership del mercato del suo settore. L’immagine del Made in Italy in Cina è promossa anche da Maserati, Brembo e Magneti Marelli per la componentistica, Pininfarina e Icona tra i designer. Fiat dal settembre 2011 commercializza la nuova 500 e ha promosso il lancio ufficiale con una brillante azione di marketing, presentando al Salone dell’auto di Shanghai una Limited edition impreziosita da motivi grafici nati dalla creatività di cinque designer cinesi. Fiat è inoltre in procinto di lanciare un nuovo autoveicolo, prodotto in collaborazione con Guangzhou Automotive Company. (Fonte: Diplomazia Economica Italiana, Ministero degli Affari Esteri, n.9, 2011). 85 La Cina nel 2010. Scenari e Prospettive per le imprese, Fondazione Italia Cina, 2010, p.56. 86 Ibidem

Page 50: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

50

3. L’importanza della country image nella proposizione del Made in Italy

3.1 Country image: un asset vincente per il Made in Italy

Il riposizionamento competitivo del Made in Italy ha risposto ad una

logica di miglioramento qualitativo funzionale ad una maggiore

competitività internazionale. Si è detto che, oltre a far leva sulla

componente tangibile del prodotto, la creazione di maggior valore avviene

anche agendo su un insieme di fattori intangibili (prezzo, mix

promozionale, distribuzione, servizi post-vendita) che favoriscono il

consolidamento di un’immagine positiva da affiancare al prodotto. Il

fattore che influisce in maniera più efficace sulla valorizzazione della

componente intangibile resta tuttavia quello emozionale: in questo senso,

il prodotto si avvale dei valori e del carattere dei quali nel tempo la marca

di riferimento si è appropriata. Oltre al brand però, anche l’immagine del

paese di origine contribuisce alla valorizzazione delle proprietà immateriali

di un bene; per di più, la dimensione nazionale è inclusiva, e in alcuni casi

la politica di marca potrebbe risultare inefficace qualora l’immagine del

paese di appartenenza del brand non ne fosse rappresentativa o in

sintonia. Inoltre, una volta individuate le determinanti che concorrono a

definire la country image, anche decisioni manageriali relative alla

configurazione internazionale delle attività andranno attentamente

analizzate: delocalizzare per esempio la produzione di un bene di lusso in

un paese in cui è riconosciuto un basso profilo qualitativo della

manifattura, sicuramente assicura un vantaggio comparato (quello

derivante dallo sfruttamento del costo della manodopera), ma

probabilmente comporta lo svantaggio competitivo dovuto alla perdita

dell’originaria localizzazione della produzione (si prenderanno in

considerazione le implicazioni per le imprese nel prossimo paragrafo).

In molti casi pertanto, nell’impossibilità di effettuare una scelta

razionale basata sulla comparazione di un numero elevato di variabili, il

Page 51: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

51

consumatore ‘internazionale’ assume il paese di origine del prodotto come

indicatore sintetico della qualità o di alcuni attributi del prodotto stesso.

Sebbene la letteratura economico-aziendale si esprima diversamente in

merito all’importanza che la country image riveste nella performance

internazionale dell’impresa,87 alcune ricerche empiriche hanno dimostrato

la rilevanza dell’origine geografica quale fattore di differenziazione in

un’ottica di marketing internazionale.88

L’origine è rappresentata dalla nazione, ma può anche essere

ricondotta ad una regione o alla località da cui il cliente percepisce

provenire il prodotto. In virtù di questa considerazione, il Made in Italy

può vantare molteplici identità: all’immagine Paese generale, la cui

gestione, accanto alle imprese, è di pertinenza dell’operatore pubblico, si

affiancano diverse valenze geografiche specifiche che sono state esaltate

dai pregi dei distretti industriali, da particolari dinamiche territoriali di

natura socio-culturale e da caratteristiche innate di rilievo storico-artistico.

Nel caso dell’Italia, più o meno indipendentemente dal Paese, l’immagine

riflessa all’estero è anche fortemente condizionata (in negativo o positivo)

da stereotipi e preconcetti.

Nel primo capitolo si è cercato di dare un senso al Paradosso, si è

cercato cioè di spiegare come, pur in presenza di una struttura industriale

costituita essenzialmente da PMI e operante in settori tradizionali ad alta

intensità di lavoro unskilled, il Made in Italy abbia saputo difendere la

propria quota sul commercio internazionale. Si è detto che la

specializzazione produttiva nazionale connotata da elevata qualità e la

valenza dei distretti industriali sopperiscono alle peculiarità del modello

capitalistico italiano: ora, oltre questi elementi, viene considerata appunto

rilevante la country image, una risorsa immateriale che determina le scelte

di molti consumatori a favore delle produzioni italiane. Per il momento,

senza suffragare questo assunto con particolari ricerche scientifiche, è

87 Cfr. Cattaneo, Guerini, Uslenghi 2006. 88 Alcune ricerche empiriche e gli studi teorici principali verranno citati nel prossimo paragrafo.

Page 52: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

52

obiettivamente accettabile affermare che in certi settori la country image

italiana ha una forte capacità di attrazione e la domanda internazionale è

(secondo i dati citati precedentemente) oggettivamente disposta a

premiarne i vantaggi distintivi.

La percezione dell’immagine di uno specifico paese non è la stessa

per ogni consumatore: alcune determinanti della country image sono

pressoché oggettive (background economico, storia, caratteristiche

geografiche), altre sono soggettivamente interpretabili (background

politico, tradizioni, stereotipi della popolazione, prodotti rappresentativi

della nazione). Inoltre, oltre ad un’operazione cognitiva, il consumatore

definisce l’immagine paese tramite considerazioni affettive derivanti da

esperienze personali d’acquisto, socializzazione e sentimenti verso il paese

o la popolazione, passaparola ecc. Ovviamente, una marca affermata e

riconosciuta in tutto il mondo che si identifica con gli aspetti caratteristici

del proprio territorio concorre a formare a sua volta la country image del

proprio paese. Al di là delle differenze soggettive comunque, è impossibile

evitare delle generalizzazioni a livello di ricerche empiriche volte ad

indagare la percezione di una specifica country image in un gruppo più o

meno ampio di consumatori.

La relazione esistente fra immagine paese e immagine del prodotto

è alla base del country of origin effect, cioè dell’effetto che la provenienza

geografica esercita nell’alterare la percezione di un consumatore verso un

prodotto o una categoria di prodotti. “L’effetto della stereotipizzazione

dell’origine è quello di mutare la posizione del prodotto nello spazio

percettivo del consumatore rispetto alle offerte dei concorrenti e di

alterare la valutazione complessiva delle sue caratteristiche estrinseche ed

intrinseche” (Guerini 2004:32).

Lo scopo di questa tesi è proprio quello di indagare come i

consumatori cinesi percepiscono il Made in Italy, quali sono le

determinanti più significative che permettono loro di definire la country

image italiana e quali sono le attività promozionali che possono favorire la

Page 53: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

53

considerazione e la commercializzazione dei prodotti italiani in Cina.

L’immagine paese è infatti soggetta a modifiche, sia per effetto di una

gestione attiva sviluppata da governi, associazioni nazionali o imprese, sia

a causa di eventi eccezionali incontrollabili che sono in grado di

influenzarla notevolmente. Un problema rilevante in questo tentativo di

indagine riguarda i limiti metodologici di ricerca: un’indagine empirica che

adottasse un approccio mono-variato rischierebbe di sovradimensionare

l’impatto del paese di origine sul processo valutativo del consumatore; i

filoni di ricerca più recenti89 hanno valutato l’impatto del paese di origine

in termini relativi, ossia rispetto ad altre variabili che tipicamente

intervengono nei processi di scelta degli individui.

3.2 Il country of origin effect e le implicazioni per le imprese

Per le imprese, la principale implicazione del country of origin effect

è l’esplicarsi dell’effetto prisma, che consiste nell’alterazione della

percezione che i consumatori hanno di un prodotto estero. Il prisma in

questo senso è una sorta di filtro distorcente, attraverso cui il

posizionamento di cui un prodotto beneficia nel proprio paese d’origine

subisce un’alterazione (nel mercato estero) che provoca tre possibili

effetti:90 effetto trasparente, quando all’estero il prodotto è percepito e si

posiziona analogamente a quanto avviene nel paese d’origine dell’impresa;

effetto amplificante, quando nel mercato estero il prodotto è percepito di

livello superiore rispetto al mercato interno; effetto riducente, se, rispetto

al paese d’origine, il prodotto viene percepito di livello inferiore.

Il prisma non è altro che il costrutto mentale del consumatore

riferito all’immagine del paese di origine del prodotto. L’informazione sul

89 Si è deciso di non affrontare una rassegna dei contributi teorici in merito. Un’analisi dei principali filoni di studio sull’effetto del paese di origine è stato proposto in Bertoli-Busacca-Molteni 2005. 90 Cfr. Gestion internationale de l’enterprise, Henrì de Bodinat, 1984. Citato da Valdani-Bertoli 2007:321.

Page 54: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

54

paese di origine del prodotto esercita un duplice effetto sul consumatore,

indotto poi, come detto, ad un’alterazione amplificante, riducente o di

fatto nulla. L’effetto alone (halo construct) è il primo dei due

condizionamenti che si verificano sul consumatore: si riferisce all’influenza

esercitata sul processo valutativo di quegli acquirenti che non hanno

maturato alcuna esperienza diretta nei confronti dei prodotti provenienti

da un dato paese; l’effetto sintesi (summary construct) scaturisce invece

dalle precedenti esperienze del consumatore (non necessariamente dirette,

possono derivare anche da media o comunicazioni interpersonali) e dalla

percezione degli attributi che caratterizzano altri beni della stessa nazione

(Valdani-Bertoli 2007:323).

L’immagine paese è dunque fortemente rilevante prima di qualsiasi

familiarità con i prodotti di un determinato paese, operando come un

alone in grado di influenzare aspettative e convinzioni; in una situazione di

primo acquisto infatti, mancando l’esperienza, i novizi sembrano affidarsi

interamente alle informazioni stereotipate. In seguito all’acquisto,

l’immagine del paese di origine del bene viene modellata sulla base delle

esperienze maturate e il consumatore sviluppa nuove attese nei confronti

degli attributi dei prodotti. Di conseguenza, un consumatore divenuto

esperto sarà meno suggestionabile da un’eventuale informazione

stereotipata negativa, al contrario di un novizio che ne sarà maggiormente

influenzato.

L’impresa reagisce alle alterazioni scaturite dall’effetto prisma

adottando diverse strategie che consentono di esaltare le proprie

caratteristiche evocative del paese d’origine qualora l’effetto prisma fosse

amplificante, oppure mascherare la propria provenienza se l’effetto prisma

risultasse riducente o anche trasparente. Nel primo caso si parla di

‘strategia dell’immagine paese legittima’; negli altri casi, invece, si

definiscono ‘strategia dell’immagine paese parzialmente legittima e

prestata’ quell’insieme di accorgimenti che portano il consumatore a

ritenere che il prodotto abbia un’origine diversa da quella reale. Uno dei

Page 55: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

55

tanti esempi intuitivi di queste pratiche proviene dall’azienda italiana Tod’s,

che ha scelto deliberatamente un brand name britannico in quanto il

prodotto è indirizzato a un segmento di clienti ritenuti esterofili e amanti

dello stile casual-chic associato solitamente agli inglesi (Valdani-Bertoli

2007:325); un’altra azienda italiana, Napapjiri, ha deciso con successo di

commercializzare i propri capi invernali di abbigliamento sportivo con un

nome che evoca zone nordiche e a cui è graficamente accostata una

bandiera norvegese. Altri casi, riferiti alla strategia intermedia detta

parzialmente legittima, riguardano l’attribuzione al prodotto di un’origine

diversa da quella effettiva tramite la diffusione al consumatore di

informazioni che riguardano, ad esempio, la localizzazione della

produzione o la diversa nazionalità del designer rispetto al produttore

(case automobilistiche che dichiarano un proprio modello ‘engineered in

Germany’ o ‘designed in Italy’).

Il reperimento dell’informazione relativa alla provenienza geografica

del prodotto non è sempre semplice per il consumatore: capita che

un’impresa preferisca omettere l’indicazione geografica dell’origine del

prodotto sul prodotto stesso o scelga, in mancanza di un obbligo di legge

definito a livello mondiale,91 indicazioni generiche (made in Europe), di

assoluta fantasia (made in nowhere) o piuttosto complesse (assembled

in…). In ogni caso, il consumatore è propenso a percepire l’immagine del

paese associato allo specifico prodotto o alla particolare marca, piuttosto

che ricavare informazioni dall’immagine del paese designed-in (il paese in

cui il prodotto è stato progettato) o del paese made in (il paese in cui

avviene la manifattura o l’assemblaggio dei componenti). Certo è che, in

casi specifici, l’immagine del country of manufacture, se non

corrispondente al country of origin effettivo, può semmai destare nel

consumatore delle reticenze all’acquisto: si è già detto che un prodotto di

lusso destinato ad un consumatore sofisticato non sarebbe gradito da

quest’ultimo se fosse, ad esempio, made in Vietnam. 91 Cfr. Bertoli-Busacca-Molteni 2005:7.

Page 56: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

56

Una modalità descritta dalla letteratura scientifica 92 per gestire

attivamente l’effetto made in consiste nel valutare la significatività

dell’immagine paese per il prodotto aziendale: tramite una ricerca

esplorativa su un gruppo di consumatori, si qualifica il paese di origine del

prodotto attraverso alcuni attributi e, sulla base del profilo risultante, si

identificano associazioni prodotto-paese (quando proprietà tipiche di una

determinata categoria di prodotti vengono associate con frequenza elevata

ad una determinata origine) o dissociazioni. Ciò significa che un paese può

essere identificato con un profilo produttivo caratterizzato in maniera più o

meno rilevante da, seguendo la metodologia citata, innovatività

tecnologica, design, eleganza o affidabilità. Ovviamente, design ed

eleganza possono essere caratteristiche considerevoli per un consumatore

in procinto di acquistare un

Figura 1

Importanti Effetto paese

positivo Effetto paese

negativo

Caratteristiche

del prodotto

Non importanti

Effetto paese mancato

Effetto paese neutralizzato

Positiva Negativa

Immagine del paese d’origine

Rielaborazione da Valdani-Bertoli 2007

capo di abbigliamento, non per quello che valuta l’acquisto di un prodotto

alimentare.

Rilevata l’immagine paese e valutata la relazione tra questa e gli

attributi del prodotto, si è in grado di stabilire la rilevanza dell’effetto made

in (Figura 1) e di identificare le relative opzioni a cui ispirare le politiche di

marketing. Con un effetto paese ‘positivo’, l’impresa può esaltare l’origine

92 Cfr. Guerini 2004:42 e Valdani-Bertoli 2007:326. La teorizzazione originale è di Martin S. Roth e Jean B. Romeo in Matching product category and country image perceptions: a framework for managing country of origin effect, Journal of International Business Studies, 1992.

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57

del prodotto per aumentare la propensione all’acquisto del consumatore e

sviluppare nei mercati esteri una politica premium-price, impiegando un

nome di marca evocativo, una confezione che susciti un richiamo

altrettanto chiaro al paese d’origine tramite colori o elementi grafici, un

piano di comunicazione che punti sulle caratteristiche particolarmente

apprezzate dalla domanda nel prodotto e nell’immagine paese. Nel caso di

effetto paese ‘negativo’ invece, gli attributi rilevanti del prodotto non

trovano attinenze con il profilo produttivo del paese di origine; l’impresa

deve quindi minimizzare il legame del prodotto con il proprio paese

ricorrendo ad immagini ‘parzialmente legittime o prestate’, può in

alternativa privilegiare una modalità di entrata nel mercato estero in

collaborazione con imprese appartenenti a paesi che hanno un’immagine

positiva o può direttamente esercitare la propria influenza sull’immagine

paese mediante campagne di comunicazione. Se l’effetto paese è

‘mancato’, significa che i punti di forza del paese attengono ad attributi

secondari del prodotto; l’impresa può comunque valorizzare l’immagine

positiva del paese d’origine come beneficio secondario del prodotto.

Quando infine l’effetto paese è ‘neutralizzato’, l’immagine negativa del

paese influisce in maniera marginale sul consumatore, poiché le

caratteristiche del prodotto che intende acquistare non sono degne di

eccessiva considerazione; in ogni caso, è preferibile per l’impresa omettere

ogni riferimento al paese d’origine del prodotto.

La metodologia sopra descritta è solo una delle tante adottate per

svolgere ricerche sul country of origin effect. Oltre alle associazioni

prodotto-paese e all’attribuzione di peculiarità produttive, le indagini

esplorative prevedono numerose variabili per stabilire l’influenza del paese

d’origine del prodotto sul consumatore. Fra queste, le più indagate in

letteratura 93 sono quelle socio-demografiche: è stato rilevato 94 che, in

presenza di elevati livelli di reddito e scolarizzazione, la preferenza verso 93 Cfr. Bertoli-Busacca-Molteni 2005:9. 94 Quanto affermato è tratto da fonti secondarie; per il riferimento specifico ad ogni asserzione confrontare Bertoli-Busacca-Molteni 2005.

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58

prodotti di provenienza straniera sembra accrescersi, mentre pare ridursi

al crescere dell’età. L’atteggiamento etnocentrico è un altro aspetto

relativo al gruppo di variabili socio-demografiche: il consumatore

‘patriottico’ manifesta a priori una preferenza nei confronti dei prodotti del

proprio paese rispetto a quelli provenienti dall’estero. Ci sono variabili

connesse all’ambiente economico del paese di origine del prodotto: la

rilevanza politico-economica di un paese è in grado di influenzare

l’intenzione dei consumatori esteri di acquistare i prodotti da esso

provenienti, indipendentemente dal giudizio inerente la qualità. Più

articolate sono invece le ricerche che correlano all’immagine paese

variabili legate alla marca: in alcuni casi, in quelle categorie di prodotto in

cui non esistono marchi particolarmente affermati è maggiore l’influenza

esercitata dall’origine geografica sul processo di scelta. È anche vero però

che le marche rinomate a livello internazionale possono richiamare alla

mente una specifica provenienza.

L’analisi del country of origin effect fornisce al responsabile di

marketing internazionale una strumentazione complementare per stabilire

efficienti politiche di marketing mix, modalità di entrata ed eventuale

delocalizzazione della produzione. La grande quantità di variabili prese in

considerazione nelle ricerche scientifiche già realizzate suggerisce che la

scelta metodologica della ricerca è personalizzabile in base al mercato

estero di riferimento, alla tipologia di prodotto che si intende

commercializzare e alle caratteristiche del luogo d’origine dell’impresa. Ciò

è più che mai vero per le aziende italiane, che si trovano a dover gestire

(oltre alla propria) più livelli di immagine (nazionale, regionale, locale).

3.2.1 Indagine sulla significatività del made in per gli esportatori italiani

Si intende qui riportare in maniera sintetica e argomentativa i

risultati di una ricerca curata da Carolina Guerini e pubblicata in ‘Made in

Italy e mercati internazionali’ (Guerini 2004). L’indagine è stata condotta

con lo scopo di verificare indirettamente la valenza dell’immagine del

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59

paese di origine del prodotto sulle preferenze dei clienti internazionali di

un gruppo di imprese italiane. La valutazione della rilevanza dell’I.P.O.

(immagine paese d’origine) è stata definita ‘indiretta’ in quanto non si è

provveduto ad intervistare i consumatori, bensì le stesse imprese (500),

appartenenti nella fattispecie a 8 distretti industriali nei quali la

specializzazione settoriale è ricollegabile al macrosettore moda, alimentare,

mobiliero e meccanica strumentale.95 Il punto di vista è percui quello di chi

deve gestire la valorizzazione del country of origin effect e dunque,

indirettamente, la ricerca analizza anche le politiche di marketing

internazionale delle imprese distrettuali. Guerini ricerca un motivo di

importanza dell’indagine nella possibilità di trovare nell’I.P.O. e nell’I.D.O

(immagine distretto d’origine) uno strumento valido per la differenziazione

e la promozione internazionale delle PMI, dotate di insufficienti risorse e

competenze per definire e sviluppare autonome politiche di marca.

L’ipotesi è che, stante la debolezza delle imprese italiane

nell’affrontare il processo di internazionalizzazione sulla base di

comportamenti strutturati e formali, l’I.P.O. potrebbe assurgere a fattore

di sostegno per le imprese stesse. Qualora ciò avvenga, si sono ipotizzate

le seguenti situazioni: la prima, in cui l’impresa, pur riconoscendo il valore

dell’origine geografica e godendone i vantaggi connessi con l’avviamento

da essa garantito, non si adopera per esaltarne le valenze e conta solo

sull’attività del cliente o sulla denominazione evocativa della provenienza

del prodotto per la ricognizione dell’origine; l’altra situazione vede

l’impresa impegnata ad ottenere il massimo ritorno economico attraverso

una valorizzazione attiva dell’immagine paese già consolidata.

In merito ai risultati, sulla base delle risposte dalle imprese, 96 si

distinguono tre diversi atteggiamenti nei confronti del ruolo dell’I.P.O. Il

95 Moda: distretti di Empoli e Biella; macchine utensili: distretti di Torino e Piacenza; mobili: distretti di Pesaro e Brianza; alimentare: distretti di Parma e Nocera Inferiore-Gragnano. Nella scelta sono state volutamente escluse imprese con un numero di addetti inferiore a 10 e con un fatturato inferiore a 5 milioni di euro. (Guerini 2004:199). 96 Cfr. Guerini 2004 cap.4.

Page 60: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

60

primo e il secondo riconoscono l’importanza dell’origine geografica:

secondo alcuni rispondenti ciò non è vero soltanto per la domanda di

primo acquisto, ma anche per quella di ripetizione, ritenendo l’origine

egualmente importante sia per la domanda finale sia per la domanda

intermedia nell’influenzare le preferenze e le scelte; per altri è l’I.D.O. a

prevalere nel determinare le preferenze della domanda, ma in ogni caso il

tema dell’origine geografica è ritenuto importante per circa l’80% del

campione. Il restante 20% circa ritiene che, pur esercitando una certa

capacità di attrazione, il country of origin effect sia nullo, ovvero non

eserciti alcuna influenza quale fattore di preferenza della domanda.

Relativamente al primo atteggiamento citato, una larga maggioranza

dei rispondenti appartiene al macrosettore della moda e del comparto

alimentare; Guerini spiega questo dato sostenendo che, nel caso della

moda, il consumatore vive passivamente la scelta, preferendo precise

marche e origini a cui riferire capacità trend-setting. L’importanza

dell’origine è particolarmente rilevante in questo settore così come in

quello alimentare, in cui l’Italia gode di una certa superiorità comparata (si

pensi al comparto della pasta). Nel gruppo di chi ritiene più importante

l’immagine distrettuale sono prevalenti quelle di più piccole dimensioni,

mentre fra quelle che non assegnano alcuna rilevanza all’immagine paese

nel sostegno della loro proiezione internazionale si concentrano

soprattutto imprese di medio-grandi dimensioni (coloro che effettivamente

sono in grado di coltivare un’immagine propria e in autonomia).

La maggior parte delle imprese ritiene che sia differente il ruolo

svolto dall’I.P.O. a seconda delle aree di destinazione; in particolare, c’è

conformità nell’affermare che la domanda europea esprime una preferenza

fondata sulla qualità tangibile piuttosto che sulle componenti sensoriali ed

affettive dell’immagine paese. Sempre secondo l’opinione degli intervistati,

l’attrattività della country image italiana deriva da benefici funzionali

(qualità, personalizzazione, ma anche tecnologia e prezzo basso), benefici

simbolici (sicurezza, tradizione) e affettivi (creatività, fantasia). Chi

Page 61: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

61

connota la presunta I.P.O. con la valenza dell’avanguardia tecnologica è

localizzato nella Robot Valley piacentina o comunque in aree votate alle

produzioni ad alto contenuto tecnologico. Sono invece alimentari e

meccaniche le imprese che, nella categoria ‘altro’, indicano con altissima

frequenza (86%) la certificazione come fattore distintivo delle produzioni

italiane (fattore ampiamente riconosciuto dalla domanda estera).

Un altro contributo interessante fornito dalla ricerca attiene al

comportamento che le imprese adottano per la gestione e la valorizzazione

del country of origin effect. A testimonianza della scarsa proattività delle

PMI e dell’incapacità di servirsi di un’adeguata cultura di marketing, le

strategie aziendali si basano sulla continua, e a volte superflua, politica di

innovazione di prodotto (si è comunque visto che l’innovazione di tipo soft

garantisce all’immagine italiana superiorità in molti settori). Ridotta

importanza viene invece data alle altre variabili del marketing mix, in

special modo alla distribuzione e alla comunicazione, volta, quest’ultima,

prevalentemente alla partecipazione fieristica e raramente alla veicolazione

del messaggio pubblicitario.

Le argomentazioni addotte dalle imprese a giustificazione del

mancato ricorso alla valorizzazione dell’I.P.O. sono riconducibili alle ridotte

conoscenze della domanda internazionale (56%), alle limitate conoscenze

di marketing (48%), l’esistenza di preferenze internazionali basate su

fattori diversi dall’I.P.O. (24%), l’orientamento al prodotto quale

strumento principale. Per le piccole imprese eportatrici inoltre la scelta

delle tipologie distributive appare obbligata verso modalità indirette o

vincolate dal ridotto potere contrattuale, mentre per la valorizzazione

dell’I.P.O. anche questa leva andrebbe usata in maniera congrua.

Altrettanto interessante ai fini della tesi è l’opinione delle aziende

circa il supporto delle istituzioni (si affronterà il tema della promozione del

Made in Italy da parte del Sistema Italia nel capitolo 5): gli strumenti

suggeriti dalle imprese per superare gli ostacoli sopra menzionati vengono

rinvenuti, soprattutto, nel supporto esterno per la promozione

Page 62: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

62

dell’immagine paese e per il reperimento di informazioni sulla domanda

estera, ma il supporto istituzionale locale non sembra supplire alla carenza

conoscitiva delle possibilità di manovra nella promozione dell’immagine.

Non è menzionata alcuna opinione circa il ruolo delle Istituzioni nazionali

in merito.

In definitiva, Carolina Guerini traccia quattro differenti cluster di

imprese che si caratterizzano per un diverso comportamento. Il primo

gruppo, il più numeroso, contiene i ‘fruitori passivi dell’I.P.O.’: sono quelle

imprese, appartenenti prevalentemente al settore moda ed alimentare,

che dichiarano di essere state avvantaggiate dall’immagine Paese senza

tuttavia aver deliberatamente gestito il suo impatto, se non attraverso

l’indicazione d’origine e avendo mantenuto un elevato livello qualitativo

della produzione. È stato individuato poi il cluster dei ‘fruitori passivi

dell’I.D.O.’, secondo in termini di dimensione, che raggruppa quelle

imprese che ritengono l’immagine distrettuale più rilevante di quella

nazionale; non è un caso che una leggera prevalenza dei rispondenti

appartenga al settore della meccanica, a dimostrazione di una maggiore

rilevanza dell’I.D.O. sull’I.P.O. per i beni industriali rispetto a quelli di

consumo. Il cluster degli ‘attivatori’ comprende invece coloro che hanno

dichiarato di aver gestito sinergicamente il mix di marketing (solo il 15%

circa del totale delle imprese intervistate) con l’intento di evocare ed

esaltare le valenze riconosciute internazionalmente all’I.P.O o all’I.D.O.

Infine, nel gruppo delle imprese definite ‘autonome’, si trovano coloro che

dichiarano di poter (e voler) contare su un’immagine di marca distintiva ed

esclusiva piuttosto che su quella astratta legata alla nazione o al territorio

locale; sono queste imprese leader di distretto, fortemente proiettate sui

mercati internazionali e caratterizzate da una maggiore attenzione agli

aspetti commerciali e di marketing (questa scelta manageriale intrapresa

dall’8% circa del campione non implica che un’azienda leader nel proprio

settore non possa puntare specificamente sulla valorizzazione

dell’immagine del proprio paese d’origine; è semmai logico ritenere che chi

Page 63: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

63

detiene una posizione consolidata a livello internazionale possa puntare

come primo strumento sulla propria immagine piuttosto che su quella

comune).

3.2.2 Il danno causato dalla contraffazione all’immagine Paese

Il fenomeno della contraffazione rappresenta ad oggi un vero e

proprio settore dell’economia sommersa; perduta, alla fine degli anni ’70,

la propria dimensione artigianale locale, l’affermarsi della fase ‘matura’

della globalizzazione ha contraddistinto dagli anni ’80 per elevata

industrializzazione e internazionalità anche questo sistema imitativo.

La quantificazione del fenomeno trova nella sua natura clandestina

notevoli ostacoli al suo dimensionamento. Dalle stime più o meno

attendibili fornite a vario titolo da organi statali nazionali e internazionali,

organismi privati e associazioni rappresentative dei vari settori economici,

si ha comunque un’idea dei principali problemi economico-sociali provocati

dalla contraffazione a livello mondiale. Se ne riassume qui un’elencazione

proposta da Guerini (Guerini 2004:104): a livello internazionale, il

fenomeno ha registrato negli anni ’90 un aumento del 1600% e ha

comportato, nello stesso arco temporale, una perdita complessiva di

250.000 posti di lavoro all’anno (di cui 100.000 nell’UE e 150.000 negli

USA); la quota delle vendite di merci contraffatte nell’ambito del

commercio mondiale è pari a circa 450 miliardi di dollari, con un peso

compreso tra il 6 e il 7% (si passa dal 5% dell’industria degli orologi, al

10% della profumeria, al 20% del tessile fino al 35% del software). Il

70% della produzione mondiale proviene dal Sud-Est asiatico mentre il

restante 30% della produzione mondiale di merce contraffatta nasce nel

bacino del Mediterraneo (l’Italia si aggiudica il terzo posto nel mondo e il

primo in Europa per produzione e consumo di falsi). La merce contraffatta

è, invece, destinata per il 60% all’Unione Europea e per il 40% al resto del

mondo.

Le produzioni Made in Italy, come visto in precedenza

Page 64: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

64

particolarmente valorizzate dagli intangible assets, vengono pesantemente

penalizzate dai falsi, facilmente reperibili nel mercato tramite svariati

canali. L’aumento dell’importanza degli attributi immateriali è, infatti, la

causa primaria dell’aumento delle contraffazioni, soprattutto nel settore

della moda e del lusso (i prodotti più facilmente imitabili sono quelli a cui è

la marca ad attribuire il vero valore aggiunto, ma l’evoluzione tecnologica

dell’industria abusiva ha ampliato la tipologia delle merci contraffatte,

includendo anche beni di largo consumo quali prodotti per la casa, parti di

ricambio per auto, medicinali, alimenti e bevande alcoliche).

È il pubblico dei consumatori costituito dalle fashion victim e da tutti

coloro che cercano gratificazione sociale tramite il brand che

contribuiscono ad alimentare il business dei falsi. Lo sviluppo della

domanda, non a caso, è positivo durante i cicli economici negativi: in

situazioni di ristrettezza economica, per i consumatori sopra descritti, la

soluzione più opportunistica e conveniente per mantenere il proprio

apparente tenore di vita (senza rinunciare al valore edonistico di

acquistare beni con un elevato valore simbolico) è certamente l’acquisto

del prodotto falso (Guerini 2004:108).

L’acquisto di prodotti contraffatti da parte del consumatore non è

tuttavia sempre dettata da consapevolezza: negli ultimi anni, lo sviluppo

tecnologico, i macchinari innovativi e il più rapido reperimento delle

informazioni consentono all’industria del falso (generalmente gestita da

organizzazioni criminose) di produrre prodotti sempre più simili agli

originali in termini di qualità fisica e di accelerare i tempi di introduzione

dei nuovi modelli imitati nel mercato tramite una rete di commercio che ai

classici canali ambulanti e telematici aggiunge anche regolari punti vendita

presenti sul territorio.97 Al momento, il canale più profittevole è comunque

97 Il giornalista Fabrizio De Feo ha firmato un recente articolo pubblicato in ‘www.ilGiornale.it’ il 20 gennaio 2012 dal titolo ‘Emergenza falsi d’autore: ci fanno perdere 25 miliardi’ . Nell’articolo si sottolinea come la crisi economica contribuisca ad accrescere la contraffazione: secondo questa fonte (basata sulle stime di Confcommercio) le imitazioni hanno un giro d’affari di 60 miliardi nel solo comparto alimentare e impediscono l’impiego regolare di 130 mila posti di lavoro in Italia. Relativamente al canale distributivo, vengono citati vari controlli della Guardia di Finanza,

Page 65: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

65

internet: il web conferisce al business una dimensione globale ed è inoltre

il mezzo ideale per occultare ai potenziali acquirenti la natura delle merci

offerte. Con l’e-buy risulta infatti più difficile per i consumatori poter

valutare la qualità prima dell’atto d’acquisto; l’acquirente crede, in genere,

di avere a che fare con un bene originale e si spiega il minor prezzo sulla

base delle caratteristiche del mezzo (Guerini 2004:110).

Specialmente in Italia, elementi favorevoli alla contraffazione

vengono rinvenuti anche nell’offerta, oltre che nelle caratteristiche della

domanda. Il riferimento è al cosiddetto insider counterfeiting, ovvero alla

contraffazione che nasce all’interno del sistema di business del produttore,

precisamente nelle imprese satellite dell’impresa-guida. Come visto in

precedenza, uno dei fattori critici di successo del Made in Italy è la

possibilità di poter contare su un sistema industriale ‘decentrato’, in cui

l’impresa leader collabora con una serie di altre (generalmente medio-

piccole) imprese, autonome sul piano giuridico e patrimoniale, verso cui

vengono decentralizzati alcuni processi produttivi. In alcuni casi, il sistema

reticolare non consente alle imprese leader di avere un pieno controllo

sulle fasi di lavorazione decentrate. Succede così che, ad esempio, il

terzista possa commercializzare i beni dell’azienda leader anche senza il

rinnovo della licenza o che possa produrre in sovrabbondanza,

canalizzando il surplus verso operatori diversi rispetto al detentore della

proprietà intellettuale.

Gli effetti negativi causati dalla contraffazione non coinvolgono

soltanto le imprese, bensì anche i consumatori e lo Stato. I consumatori

che acquistano beni falsi, oltre ad incorrere in illeciti civili e penali,

compromettono la loro tutela, non potendo contare su alcuna garanzia di

alcun genere e, ancor più gravemente, mettendo a repentaglio la propria

impegnata a smascherare negozianti della rete di vendita tradizionale che tentano di vendere merce contraffatta e a volte, inconsapevolmente, ospitano falsi sui propri scaffali. In certe zone di Italia, inoltre, sempre secondo la medesima fonte, c’è il sospetto che le Mafie impongano ai commercianti la vendita di una quota di prodotti contraffatti, potendo così contare su una nuova forma di pizzo collegata alla tentazione di diventare produttori e non solo distributori di falsi.

Page 66: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

66

salute (componenti non omologati, beni come medicinali e cibi falsificati

che possono mettere in serio pericolo di vita). Lo Stato vede invece

crescere l’evasione fiscale e l’operosità della criminalità organizzata, con

tutte le implicazioni negative che ne conseguono. Per quanto riguarda le

imprese, i danni economici si considerano ‘diretti’ nel caso in cui

comprendano mancate vendite, perdita di quote di mercato, danni

finanziari derivanti dal ritardato recupero degli investimenti; vengono

chiamati ‘indiretti’ quell’insieme di costi che l’impresa deve affrontare

relativamente alla tutela legale, allo studio di metodi preventivi per la

protezione del marchio, alla comunicazione volta ad informare gli operatori

e gli stessi consumatori sul pericolo della contraffazione e sulle modalità

con le quali distinguere i prodotti originali dai falsi.

L’immagine del paese d’origine di un certo prodotto viene screditata

nel caso in cui la stessa immagine di marca venisse danneggiata (si

ricorda che in alcuni casi l’immagine di marca contribuisce a formare

l’immagine del proprio paese di origine). Ben più grave e diretta è

l’apposizione di una diversa origine geografica su un prodotto contraffatto

o che comunque non sia stato prodotto in conformità con specifiche

adottate da un dato paese: in questo caso viene danneggiato l’intero

aggregato made in e il consumatore (inconsapevole) è indotto a credere

che le produzioni di quel paese non siano qualitativamente elevate.

Nel caso specifico, la percezione e la promozione del Made in Italy in

Cina incontrano un ostacolo da tenere in debita considerazione: in Cina si

produce allo stesso tempo e nella stessa area il prodotto originale e la

rispettiva copia contraffatta, spesso indistinguibili. I consumatori cinesi

sanno perfettamente che, in molti casi, il prodotto che compreranno in

boutique è stato comunque realizzato in Cina, quindi tanto vale comprarlo

in uno degli innumerevoli fakes markets ad un prezzo nettamente inferiore

(d’altronde, per molti di loro, il prodotto di marca rappresenta solo il

simbolo da esibire). La cultura cinese legittima la copia di ciò che viene

ritenuto, per qualità e importanza, un modello (Pietrasanta 2009:101); la

Page 67: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

67

contraffazione cinese è stata mossa dall’indubbio fascino che esercita il

Made in Italy ma, se ciò è avvenuto in violazione delle norme

internazionali, è anche vero che una concezione meno rigida del copyright

che affonda le radici in valori artistici presenti da molto tempo in questo

Paese sembrano in parte legittimare la riproduzione illegale. Diventa

pertanto essenziale favorire una cultura repressiva nei confronti del

fenomeno e una sensibilizzazione verso la qualità, il valore della creatività

e dell’origine. “Le autorità cinesi hanno più volte ribadito che esiste un

livello basso di percezione dell’importanza della proprietà intellettuale e del

suo rispetto; per questo motivo si è concordato di elaborare e realizzare

un programma formativo nelle scuole e campagne di comunicazione

rivolte al consumatore”.98

La Cina ha intrapreso azioni volte alla tutela dei diritti di proprietà

intellettuale anche, ovviamente, attraverso la modernizzazione della

propria legislazione. I provvedimenti più significativi sono avvenuti negli

ultimi anni, a seguito dell’ingresso nell’OMC: nell’ambito di uno specifico

Piano d’azione varato nel 2007, la Cina ha lavorato sulla formulazione di

nuovi testi di legge, regolamenti e misure relative al rafforzamento della

tutela dei marchi, diritti d’autore, brevetti e protezione doganale. Il

problema resta l’esecuzione delle sentenze relative appunto alla tutela

giurisdizionale dei vari diritti di proprietà industriale, osteggiati dai gravosi

adempimenti burocratici che vengono richiesti a coloro che presentano

istanza di esecuzione.99

3.3 Lifestyle e valore intangibile in Cina

Considerando le caratteristiche del mercato ed in particolare il

comportamento d’acquisto del consumatore cinese (cfr. par. 2.2), il

prodotto e la sua qualità non sempre rappresentano gli unici fattori critici

98 Rapporti Paese congiunti Ambasciate/Uffici Ice estero, 2010, p.35. 99 Ivi, p.34.

Page 68: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

68

di successo in Cina. È invece molto importante, più che altrove,

l’immaginario che viene costruito intorno al prodotto e come esso viene

comunicato attraverso il costante e coerente lavoro di marketing

(Pietrasanta 2009:102). È proprio tenendo presente questo presupposto

che, in questa tesi, si intende capire qual è la ‘pàtina’ valoriale che

circonda il prodotto italiano e come questa possa suggerire all’operatore

economico il giusto metodo promozionale.

Secondo alcuni contributi in merito, 100 nonostante il costante

aumento dei flussi commerciali, prevale fra gli imprenditori italiani una

velata insoddisfazione sull’andamento degli affari, come se la Cina non

mantenesse le sue aspettative. Le difficoltà dell’approccio a questo

complicato mercato asiatico prevalgono ancora sulle opportunità offerte:

non sono poche le aziende italiane che rimandano il loro impegno verso la

Cina dopo una prima esperienza non soddisfacente. Ciò avalla la tesi di

chi101 sostiene che, generalizzando, uno dei fattori limitanti del Sistema

Paese italiano sia proprio la scarsa capacità nella ‘manutenzione’ di ciò che

viene realizzato: “questo atteggiamento spesso si riverbera nel modo in

cui le PMI esportatrici si comportano nei mercati esteri, che è troppo

spesso orientato ad adottare soluzioni temporanee, unicamente per far

fronte a problemi contingenti” (Pratesi 2001:16). Bicchielli102 ribadisce che,

in Cina, “azioni non incisive, parziali e non prolungate nel tempo non

possono che portare al fallimento dell’attività commerciale” (Bicchielli

2010:109).

Le azioni intraprese dalle imprese esportatrici italiane sono dunque

troppo spesso ancora improvvisate e lasciate all’iniziativa individuale, tra

l’altro supportate da un sistema istituzionale frammentato. L’esigenza di

colmare le lacune nella gestione delle leve del marketing e di sostenere

programmi promozionali sinergici deve tenere anche conto delle

100 Cfr. La Cina per le aziende italiane: minacce ed opportunità, Romeo Orlandi, Mondo cinese n.118, 2004; Made for China, Stefano Bicchielli, Gruppo 24ore, 2010, p.109. 101 Cfr. Pratesi 2001. 102 Cfr. Bicchielli 2010.

Page 69: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

69

caratteristiche culturali, delle tradizioni e delle nuove tendenze del

consumatore cinese.

Dalle pubblicità delle aziende di successo veicolate in Cina si può

intuire come il valore di un prodotto debba essere espresso soprattutto da

componenti più immateriali rappresentati da cultura, immaginario e

lifestyle. Esemplificativa è una pubblicità su rivista dell’azienda ‘Fotile’

(brand numero uno in Cina per l’arredamento e i componenti per la cucina)

analizzata da Pietrasanta (Pietrasanta 2009:109): nel messaggio

dell’annuncio vengono presi a prestito usi e immaginari di un vivere

occidentale, introducendo aspetti relativi alla protezione e alla salute in

ambito domestico e sul ruolo maschile in cucina. Viene quindi proposto un

lifestyle che suggerisce un diverso modo di arredare e vivere la cucina,

legato alla modernità (i cinesi hanno estrema considerazione per la propria

cucina tradizionale) piuttosto che alle ristrettezze del passato.

I prodotti italiani non possono però contare esclusivamente sulle

tradizioni proprie del contesto nazionale o della tradizione culturale

occidentale; essenziale è entrare in sintonia con la cultura locale e

proporre un lifestyle che catturi l’immaginario di chi è alla ricerca di una

identificazione sociale, trovando nei punti di forza del marchio e del paese

di origine delle valorizzazioni opportune.

Anche se la promozione di carattere pubblicitario non è direttamente

indagata in questa tesi, è innegabile che una corretta veicolazione del

messaggio è indispensabile per soddisfare i requisiti sopra elencati. In

particolare, risulta determinante la corretta traduzione del marchio, intesa

sia a livello linguistico (è vano e deleterio comunicare in modo errato non

tenendo conto delle peculiarità della lingua del ricevente), sia a livello di

mission aziendale. In Cina, anche e soprattutto a livello aziendale, la

creazione di un’immagine integra e coerente (magari pure sostenuta dalle

migliori organizzazioni locali) è condizione necessaria per una successiva

commercializzazione redditizia. Si parla in questo caso di mianzi aziendale,

una particolarità culturale legata al concetto pragmatico di salvare/perdere

Page 70: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

70

la faccia, che implica condizionamenti comportamentali pressoché ignorati

in Occidente (verrà approfondito il concetto nel primo paragrafo del cap.

5).

I contributi empirici proposti nel prossimo capitolo sono volti ad

indagare quale sia la percezione dei consumatori cinesi verso la country

image italiana e trovano fondamento proprio nel fatto che il prodotto

estero, in Cina, deve possedere una grande forza d’immagine. Si può

sostenere che in Cina c’è di tutto: ciò che manca sono gli status,

determinati dalle firme e dal costo delle cose (l’acquisto consapevole di

merce contraffatta rappresenta una sorta di compromesso che è

naturalmente presente in un insieme di consumatori molto vasto e

variegato).

La griffe straniera, la sua provenienza, il suo prezzo e, non di meno,

il luogo d’acquisto, sono dunque determinanti. “Come avviene per un

italiano, che non si aspetta di trovare un prodotto di griffe al mercato

rionale e la buona pasta nell’hard discount tedesco, un cinese non

considera originale e di status un prodotto in vendita in uno store per il

loro mass-market, in mezzo a prodotti e a costi cinesi” (Pietrasanta

2009:187).

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71

4. La percezione dei consumatori cinesi verso la country image italiana 4.1 Percezione del Made in Italy in Cina

Al di là del fatto che l’effetto del paese d’origine agisce in

concomitanza di altre variabili nell’influenzare le decisioni di acquisto di un

consumatore, per le aziende è indispensabile conoscere la percezione del

target di riferimento verso la provenienza della propria offerta al fine di

adottare (come visto nel precedente capitolo) efficaci politiche di

marketing. In tema di country of origin effect, la percezione proviene da

un’intera popolazione ed è riferita all’immagine di un intero paese e della

relativa produzione industriale. Si ha immediatamente l’idea di quanto sia

necessario soppesare attentamente ogni considerazione in merito:

innanzitutto, l’opinione di un’intera popolazione (che nel caso della Cina

ammonta a circa un miliardo e 330 milioni di individui), così come

l’immagine del paese che ne viene delineata, non può che essere una più

o meno accurata generalizzazione. La percezione di un gruppo di

consumatori verso un paese estero è frutto di un insieme di componenti

cognitive, affettive, esperenziali ed è condizionata da stereotipi che

variano nel tempo, anche a causa di eventi fortuiti non controllabili. I vari

prodotti afferenti ad un certo paese sono, inoltre, passibili di valutazioni

stereotipate legate ai relativi settori di appartenenza: può succedere così

che una casa di moda emergente italiana si avvantaggi dell’immagine

prestigiosa di cui il settore italiano abbigliamento gode nel mondo o, al

contrario, possono verificarsi difficoltà per il prodotto italiano high tech che,

non valorizzato da un’eccelsa reputazione nazionale per i beni di consumo

ad alto contenuto tecnologico, voglia proporsi nei mercati internazionali

(nonché in quello domestico).

Oltretutto, le indagini quantitative volte a determinare la percezione

di un’intera popolazione si basano spesso su tecniche di estrazione del

campione non probabilistiche e su campioni molto ristretti. Queste ricerche

Page 72: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

72

possono ugualmente assumere rilevanza scientifica, essendo tuttavia

basate sull’opinione di una parte infinitesimale dell’intero universo di

riferimento.103

È proprio questo il caso delle pochissime ricerche, ad oggi disponibili,

sulla percezione della country image italiana da parte di consumatori cinesi,

ricerche che sono state prese come riferimento per la stesura di questo

capitolo. Due delle indagini in questione, per quanto riguarda

specificamente la percezione del Made in Italy in termini di qualità

produttive e caratteristiche/immaginari riferiti ai beni di consumo, sono

state commissionate dal Comitato Leonardo all’Istituto ISPO e all’Istituto

Piepoli,104 rispettivamente per convegni organizzati dal Comitato stesso nel

2010 e nel 2004. Un’altra indagine, tratta da un saggio di Vittoria Marino e

Giada Mainolfi, 105 riguarda invece in senso più ampio il “capitale

reputazionale” dell’Italia nel mercato cinese prendendo in considerazione

anche fattori legati all’immagine del paese e non solo quelli strettamente

legati alla produzione.

Come detto, sono tutte e tre ricerche basate su campioni ridotti e

non scelti con tecniche probabilistiche; tuttavia, considerata

103 Le indagini quantitative prevedono un disegno della ricerca costruito a tavolino, cioè le operazioni di ricerca sono rigidamente strutturate e ‘chiuse’. La ricerca quantitativa differisce da quella qualitativa, dove invece il disegno della ricerca si modella nel corso della rilevazione. Il metodo quantitativo ripone un’importanza preponderante sulla rappresentatività della società che viene studiata, dunque sulla rilevanza statistica del campione. Spesso però l’universo di riferimento è difficilmente rappresentabile tramite campioni probabilistici (cioè campioni determinati con una tecnica di estrazione casuale o simile); in questi casi, si ricorre a campioni non probabilistici, cioè campioni scelti sulla base di un criterio proprio del ricercatore (ad esempio, campionamento per quote, laddove il campione rispetti la proporzione di genere, età, provenienza geografica dell’universo di riferimento; campionamento a scelta ragionata, quando le unità campionarie sono scelte sulla base di alcune loro caratteristiche; ecc.). 104 Il Comitato Leonardo è stato fondato nel 1993 dall’iniziativa di un gruppo di imprenditori, artisti, scienziati e uomini e donne di cultura con l’intento di promuovere e affermare la “Qualità Italia” nel mondo; ne fanno parte inoltre le più alte cariche dello Stato e, per la sua azione, il Comitato ricorre alla collaborazione di tutti gli Organi Istituzionali preposti alla promozione degli interessi italiani all’estero. ISPO è un istituto di ricerca sociale, economica e di opinione, guidato dal Professor Renato Mannheimer con sede a Milano; è stato fondato nei primi anni ’80 da un gruppo di docenti di diverse università italiane. L’Istituto Piepoli è un’azienda che fornisce supporto marketing e consulenza basata su ricerche di mercato; è nato nel 2003 e ne è Presidente Nicola Piepoli. 105 Marino-Mainolfi 2010.

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73

l’autorevolezza degli Istituti di ricerca e delle due Ricercatrici citate (la loro

indagine è stata edita da Franco Angeli), questi lavori sono molto

significativi per questa tesi e si è deciso dunque di assumerne i risultati

come fondamenta veritiere ed attendibili. Ci si propone in ogni caso di

integrare questi contributi pre-esistenti con una nuova indagine (cap. 6) al

fine di poter sviluppare considerazioni finali che tengano conto non solo

della percezione, ma anche della promozione (cap. 5) del Made in Italy in

Cina.

Benché gli obiettivi delle due ricerche Ispo e Piepoli siano

prevalentemente gli stessi, si è deciso, per comodità di trattazione e per

evitare continue citazioni, di suddividere i suddetti contributi in due distinti

sotto-paragrafi.

4.1.1 Sondaggio ISPO106

La ricerca condotta da ISPO è di tipo quantitativo ed ha riguardato

un campione di 301 cinesi. Il gruppo selezionato rispecchia le quote di

genere, macrofasce di età e macroaree geografiche rappresentative della

rispettiva popolazione totale, ma ogni unità è stata selezionata in quanto

almeno in parte interessata all’argomento di indagine. Le interviste sono

state effettuate telefonicamente attraverso l’utilizzo di un questionario

strutturato.

Il primo, generico, dato significativo riguarda la sensazione che

suscita l’espressione Made in Italy: per l’80% dei rispondenti il richiamo

porta verso una sensazione positiva (40% abbastanza positiva, 40% molto

positiva) e solo una minima parte, il 4%, gli attribuisce un’impressione

molto negativa. Il concetto di Made in Italy si caratterizza dopo averlo

messo in relazione con specifici attributi e parole: alla domanda “quanto il

Made in Italy le evoca le seguenti parole” (Figura 2), il maggior riscontro

positivo è stato ottenuto dai sostantivi estetica/bellezza, parole ricorrenti

anche in tutte le altre ricerche. Altre parole evocative per il campione 106 Le strade del Made in Italy: mercati, direzioni e proposte. Istituto ISPO, Milano, 2010.

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74

cinese sono state qualità, cultura, creatività, passione, a testimonianza del

fatto che le migliori valenze delle produzioni italiane, anche nella

percezione dei consumatori, risiedono prevalentemente nelle componenti

intangibili del prodotto. Pur con una prevalenza meno netta, anche

innovazione e tecnologia ottengono comunque un discreto successo (cfr.

Figura 2), mentre non è particolarmente evocativo l’attributo durata nel

tempo. Una piccola notazione critica nei confronti di questi primi dati

riguarda il fatto che la richiesta di giudizio è stata avanzata per un

concetto generale e non settorialmente determinato e non ancora posto in

relazione con altre variabili: pare quindi logico aspettarsi un’alta frequenza

di risposte positive, in quanto anche un singolo prodotto o una singola

marca italiana può in questo caso avere la forza di caratterizzare l’intera

produzione nazionale per, ad esempio, qualità, estetica, tecnologia.

Figura 2

Quanto il Made in Italy evoca le seguenti parole

Immagine ed elaborazione di Istituto ISPO

La percezione viene poi riferita ai singoli settori merceologici del

Made in Italy. Una risposta interessante mostra come solo la metà

dell’aggregato cinese riconduca le qualità intrinseche per le quali è

61

45

41

37

44

40

26

28

22

15

33

35

35

27

30

39

32

30

32

1

3

4

5

3

5

3

3

10

13

10

15

13

15

17

15

23

27

23

26

4

4

7

8

9

10

9

10

15

14

24ESTETICA/BELLEZZA

QUALITA'

CULTURA

CREATIVITA'

IL GUSTO DEL SAPERVIVERE/DEL VIVERE BENE

PASSIONE

INNOVAZIONE

TECNOLOGIA

ATTENZIONE ALL'AMBIENTE

DURATA NELTEMPO/INVESTIMENTO

Molto Abbastanza Non so Poco Per nulla

Page 75: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

75

riconosciuto il Made in Italy a tutti i settori dell’industria italiana (49%),

mentre il 47% sostiene che possano essere applicabili solo ai settori

tradizionali.107 Per i cinesi, effettivamente, come indicato dalle risposte ad

un’altra domanda, i settori maggiormente associati al Made in Italy sono

quello della moda e dell’agroalimentare. La moda italiana esercita in Cina

un fascino enorme ed è vista come punto di riferimento ineguagliabile nel

mondo (c’è riscontro anche nelle altre due ricerche citate nel capitolo,

oltre agli altri contributi provenienti dai riferimenti bibliografici). Avendo

avuto una sola possibilità di scelta fra i diversi settori indicati, il 42% dei

rispondenti cinesi ha associato il Made in Italy a ‘moda e accessori’, il 25%

a ‘prodotti alimentari e vini’ e la restante quota si è divisa sostanzialmente

fra ‘arredamento e design’ (10%) e ‘navi, aerei, automobili e moto’

(11%).108 Verrebbe da dire che le specializzazioni dell’offerta italiana siano

state in gran parte identificate, ma è altresì vero che la strutturazione

rigida del questionario non lasciava comunque molta scelta, essendo

indicati soltanto altri 4 settori (le grandi infrastrutture e opere di

ingegneria sono state indicate dall’1% del totale; 2% sia per tecnologie

per energie rinnovabili sia per robotica ed elettronica; nessuna menzione

per impiantistica ed automazione industriale; 7% non ha saputo

rispondere). Inoltre pare totalmente mancato il riconoscimento per il

settore dell’automazione, sostituito (e forse identificato) però logicamente

da consumatori costituenti la domanda finale da un settore comprendente

beni di consumo quali automobili e motocicli (a livello di percezione, è

plausibile sia sfuggita al consumatore la qualità di macchinari che non

fanno parte della propria vita quotidiana, se non dal punto di vista

107 4% non sa. Nel testo della domanda, l’intervistatore aveva suggerito un vestito d’alta moda e una bottiglia di vino pregiato per i settori tradizionali e un auto di Formula 1, progetti di ingegneria, architettura e robotica a rappresentanza di settori non tradizionali. 108 Il settore ‘prodotti alimentari e vini’, pur essendo associato al Made in Italy in prima battuta dal 25% del campione cinese, non riscuote ancora un corrispondente successo nell’export. Come detto al paragrafo 2.3.1, le prospettive di crescita per questo settore sono molto alte; resta però il fatto che, ad oggi, nel sub-settore ‘vini’ la Francia surclassa l’Italia nel valore dell’export in Cina (cfr. paragrafo 2.3.1). Scopo del sondaggio integrativo sarà pertanto anche quello di capire se il prodotto alimentare italiano soffra di qualche condizione sfavorevole per fruibilità o se sia soltanto secondo, a livello di percezione qualitativa, ad altri prodotti alimentari di altri paesi.

Page 76: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

76

lavorativo. Molto più percepibili i beni di consumo menzionati).

Tuttavia, pur avendo polarizzato le proprie preferenze verso moda e

agroalimentare, i cinesi esprimono un giudizio positivo per ogni settore

sopra citato (Figura 3). Anche in questo caso l’interpretazione dei risultati

è soggettiva: un’alta percentuale di giudizi ottimi ricade soltanto sui settori

di specializzazione rinomati, tutti nettamente sopra il 50% tranne il settore

automazione-meccanica per beni di consumo al 40%. Gli altri settori

registrano comunque buone percentuali di giudizi positivi, ma soltanto

“discreti” e non più “ottimi”: crescono sensibilmente in questi comparti,

infatti, giudizi non sufficienti.

Figura 3

Il giudizio di alcuni settori associati al Made in Italy

Immagine ed elaborazione di Istituto ISPO

La situazione cambia drasticamente quando ai consumatori cinesi è

chiesto di esprimere preferenze fra più made in relativamente ad alcune

caratteristiche dei prodotti. Come sintetizza la Figura 4, il Made in Italy

soffre in questo caso la concorrennza di altre produzioni nazionali di Paesi

avanzati, ricevendo estrema considerazione esclusivamente per la

Page 77: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

77

caratteristica estetica/bellezza. Per i consumatori cinesi, il Made in migliore

per qualità, innovazione tecnologica, sicurezza e affidabilità è senza alcun

dubbio quello tedesco. Per quanto riguarda la convenienza, i cinesi

riconoscono nelle proprie produzioni nazionali maggiore economicità.

Anche in questo caso è comunque doveroso specificare che le preferenze

dei rispondenti, vincolati dalla possibilità di una sola risposta, si orientano,

prevalentemente, per ogni categoria verso un solo paese, quasi a

riconoscere ad ogni singolo paese una specifica peculiarità. L’univocità

della scelta dà un risultato di natura quantitativa che non lascia spazio ad

interpretazioni qualitative (in altre parole, il rispondente che ha scelto il

Made in Germany come made in migliore per affidabilità, non è detto che

non reputi gli altri Made in altrettanto validi per questa caratteristica).

Figura 4

Il Made in… migliore per…

Immagine ed elaborazione di Istituto ISPO

Semmai, è importante notare che per l’attributo ‘innovazione

tecnologica’, sebbene l’opinione dei cinesi sia frammentata nelle scelta fra

i vari paesi, il Made in Italy accusa un netto ritardo in termini di preferenze

9

66

3 4 5 6

66

8

31

4

6466

8 8

21

4

17

811 11

27

57

11

6 7

18

83

79

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

Qualità Estetica/bellezza Innovazionetecnologica

Convenienza Sicurezza Affidabilità

Italy Germany USA Japan China

Page 78: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

78

rispetto ai concorrenti.

La preferenza forzata fra più scelte valide testimonia tuttavia che

l’effetto del paese d’origine, seppur positivo, all’atto d’acquisto incide

soltanto in maniera marginale, o quantomeno relativa. Naturalmente, per

l’impresa offerente, oltre al prezzo, all’immagine di marca, alla funzionalità,

esercitano un peso importante nelle decisioni d’acquisto del consumatore

anche le immagini del paese di origine dei prodotti concorrenti.

4.1.2 Sondaggio Istituto Piepoli109

Anche il disegno di ricerca di questo questionario è di tipo

quantitativo. La ricerca è stata condotta in Cina e il campione si compone

di 1000 intervistati tramite il sistema CATI (computer assisted telephone

interviewing); non è stato indicato il criterio adottato per garantire la

rappresentatività della popolazione nazionale.

Nel riassumere i risultati di questa ricerca, si intende rintracciare per

primi gli stessi quesiti che sono stati inclusi anche nel sondaggio ISPO:

anche in questo caso, alla domanda “che percezione ha dei prodotti italiani

complessivamente”, il 91% degli intervistati esprime un giudizio positivo

(40% molto positivo, esattamente come la ricerca ISPO; 51% abbastanza

positivo). Si passa poi all’immagine dell’Italia tout court: le risposte a

questa e alle prossime domande qui riportate sono state precodificate dai

ricercatori; ciò significa che gli intervistati avevano delle indicazioni pre-

esistenti fra cui scegliere. Con l’opportunità di indicare più di una

preferenza, il 39% ha scelto ‘abbigliamento’, il 31% ha scelto ‘cibo e vini’ e

‘calcio’ (Figura 5); seguono percentuali a doppia cifra per luoghi e

paesaggi, mentre restano emarginate voci come ‘arte’ e ‘cultura’.

L’unica sostanziale sorpresa che emerge da questa ricerca è la bassa

menzione di ‘arte’ quale elemento evocato dall’Italia; si conferma invece

109 L’immagine dei prodotti italiani in Cina, Russia, Svezia e Stati Uniti. Istituto Piepoli. 2004.

Page 79: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

79

nettamente l’associazione dell’Italia con abbigliamento e agroalimentare,

due settori produttivi che più di ogni altra cosa contribuiscono a connotare

l’italianità. La riprova a ciò viene da due domande successive mirate a

scoprire quali prodotti specifici vengono accostati all’Italia (Figura 6): dopo

abbigliamento, pelletteria e scarpe, indicati rispettivamente dal 33%, 27%

e 18% del campione totale, seguono in doppia cifra soltanto prodotti

alimentari. Arredamento e automobili, prodotti rappresentanti gli altri due

settori di specializzazione italiani, appaiono di nuovo più distaccati rispetto

a quelle che i cinesi reputano vere e proprie eccellenze.

Figura 5

Cosa Le evoca, cosa Le fa venire in mente l’Italia?

(% sul totale dei rispondenti per ogni voce)

Immagine ed elaborazione di Istituto ISPO

Abbigliamento, pelletteria e scarpe sono anche i prodotti che,

secondo il campione, i cinesi preferirebbero acquistare se fossero in buone

condizioni economiche (“se non avesse alcun problema di denaro, quali

prodotti italiani le piacerebbe acquistare?”, questo il testo della domanda);

buone percentuali a riguardo anche per automobili (18%, preferenza

39

31

31

19

13

5

4

3

2

2

2

2

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65

Abbigliamento

Cibo e vini

Calcio

Luoghi ITA

paesaggi

Arte

Cultura

Qualità di vita

Mare, spiagge…

Musica

Crimine organizz.

Cinema

Page 80: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

80

probabilmente condizionata dall’influenza del marchio Ferrari) e

arredamento (17%); i prodotti alimentari e i vini vengono citati all’incirca

dal 10% del campione, ma per questi prodotti l’ostacolo legato al prezzo è

relativamente meno determinante.

Figura 6

Quali sono i primi prodotti italiani che le vengono in mente?

(% sul totale dei rispondenti per ogni voce)

Immagine ed elaborazione di Istituto ISPO

Per quanto riguarda le caratteristiche principali dei prodotti italiani,

prevalgono senza sorprese le componenti intangibili quali design, status

symbol, bellezza (Figura 7). Pare, così come rilevato anche dalla ricerca

ISPO, che i cinesi attribuiscano alle produzioni italiane anche una buona

durata (caratteristica scelta dal 29% del totale dei rispondenti); il dato

assume significato considerando che per altri campioni di altre nazionalità,

specialmente quelli rappresentanti paesi avanzati con un buon apparato

produttivo (le ricerche ISPO e Piepoli hanno indagato la percezione del

Made in Italy sottoponendo lo stesso questionario anche a campioni di

altre popolazioni), la componente ‘durata’ dei prodotti italiani non riscuote

33

27

18

15

15

10

8

7

6

5

4

4

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65

abbigliamento

pelletteria

scarpe

pasta/ salse

pizza

altro tipo di cibo

automobili

arredamento

accessori moda

vino

tecnologia

arte/ design

Page 81: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

81

38

32

29

29

28

22

22

16

15

6

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60

Design

Accuratezza particolari

Qualità

Durata

Status symbol

Bellezza

Alto prezzo

Originalità

Fantasia

Sexy

lo stesso successo (solo il 13% del campione statunitense e solo il 4% del

campione svedese ritengono che la durata nel tempo sia una prerogativa

dei prodotti italiani).

In Cina, il prodotto italiano soffre meno lo stereotipo

dell’inaffidabilità (basti pensare che negli USA, almeno fino all’acquisizione

parziale di Chrysler, si è giocato con l’acronimo FIAT proponendo

un’alternativa e irriverente versione in inglese, Fix It Again Tony,

alludendo ai -presunti- frequenti problemi di natura meccanica e

strutturale che si verificavano alle automobili della Casa torinese).

Altre due questioni interessanti affrontate in questa ricerca sono la

reperibilità e la contraffazione dei prodotti italiani; sono, questi, temi da

tenere in debita considerazione nella commercializzazione del Made in

Italy in Cina. Si è visto nei capitoli precedenti che, sia per una politica di

esclusività perseguita dai marchi italiani, sia per vincoli di carattere

burocratico, la reperibilità di molti prodotti italiani si limita ai supermercati

di alto livello, boutiques e negozi prestigiosi delle grandi città.

Figura 7

Tra le seguenti, secondo Lei, quali sono le caratteristiche principali dei prodotti italiani?

(% sul totale dei rispondenti per ogni voce)

Immagine ed elaborazione di Istituto ISPO

Page 82: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

82

Sarebbe dunque interessante capire se il Made in Italy potesse esser

pronto ad allargare il proprio raggio di presenza in Cina, estendendolo fin

nelle città medio-piccole pur mantenendo una coerente politica di

placement. Dal sondaggio Piepoli, il 62% del campione ritiene sia facile

trovare prodotti italiani in Cina (17% molto facile, 45% abbastanza facile);

per una considerevole parte dei rispondenti, il 30%, ciò non appare invece

molto facile. Purtroppo le risposte a questo quesito non sono state

incrociate con altre variabili, quali ad esempio la provenienza geografica

del campione, che avrebbero permesso di capire se la reperibilità dei

prodotti italiani (o quantomeno la percezione dell’esistenza) variasse con il

variare della dimensione delle città o di altri fattori. Inoltre, operando a

livello di percezione, è fondamentale anche distinguere fra prodotti

originali e prodotti falsi. La Cina è un paese in cui i prodotti contraffatti

venduti nei fakes market vengono contraddistinti da una classe che ne

qualifica la bontà della copia.110 Un prodotto di ‘classe A’ sarà pressoché

identico all’originale e il consumatore cinese trova garanzia di affidabilità

soltanto facendo acquisti nei grandi negozi o supermercati (anche il basso

prezzo è normalmente l’indicatore più evidente della falsità di un prodotto).

Il dato che proviene dal sondaggio Piepoli è tuttavia incoraggiante:

l’88% del campione cinese dichiara che i prodotti contraffatti sono peggiori

di quelli originali. In ogni caso, con il questionario integrativo proposto nel

capitolo 6 di questa tesi, ci si propone di indagare in maniera più articolata

sia l’aspetto ‘reperibilità’ sia ‘contraffazione’ del Made in Italy in Cina.

4.2 La country reputation italiana in Cina111

Con questo lavoro, Vittoria Marino e Giada Mainolfi sostengono che

la reputazione del paese di origine può influenzare sia la percezione dei

110 Testomonianza raccolta dall’autore. 111 Marino-Mainolfi 2010.

Page 83: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

83

consumatori esteri relativamente ai sistemi di offerta straniera sia il

comportamento d’acquisto dei consumatori stessi. Per country reputation

si vuole intendere un giudizio di valore, relativo ai diversi attributi in cui è

scomponibile il sistema paese, determinato dalle diverse country image

che nel tempo si susseguono e contribuiscono a delineare appunto

l’immagine che una popolazione sviluppa circa un certo paese. Le

caratteristiche intrinseche che consentono ad un paese di sedimentare nel

tempo il proprio capitale reputazionale sono identificabili negli asset

tangibili (come ad esempio infrastrutture, risorse naturali, paesaggi, città

d’arte, ecc.) e in quelli intangibili (capacità e competenze delle risorse

umane qualificate e non, cultura del sistema politico, sociale ed

economico). In questo senso, la reputazione nazionale è attivamente

gestibile dall’operatore pubblico e ha delle ripercussioni decisive sui diversi

ambiti d’azione del Sistema Paese, come ad esempio quelli relativi

all’instaurazione di alleanze con partner esteri, la promozione del turismo

nazionale, l’attrattività degli investimenti. La percezione della reputazione

di un paese estero si riflette di conseguenza sulle scelte che i consumatori

affrontano durante l’atto d’acquisto dei beni di quel determinato paese.

La capacità, da parte di una nazione, di gestire la propria

reputazione rappresenta una vera e propria risorsa pubblica, in grado di

promuovere molteplici interessi nazionali (la promozione del Made in Italy

in Cina a livello istituzionale è l’argomento cardine del capitolo 5).

L’indagine condotta dalle due Ricercatrici si è avvalsa dello

strumento dell’intervista personale: il campione è composto da cento

consumatori cinesi, scelti sulla base di un processo di campionamento non

probabilistico. Tutti e cento gli intervistati risiedono infatti in aree urbane

della Cina orientale, zone considerate -e di fatto- maggiormente dinamiche

ed economicamente avanzate. Il campione si presenta equilibrato per

genere (52 maschi, 48 femmine), variegato per età (il 66% del totale è

costituito da soggetti tra i 25 e i 45 anni, il 20% sotto i 25 anni e il

Page 84: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

84

restante 14% sopra i 65 anni) e caratterizzato da un livello di istruzione

medio-alta.

Per esaminare il capitale reputazionale italiano sono stati analizzati i

giudizi dei soggetti cinesi in merito ad un costrutto multidimensionale

costituito dai diversi àmbiti del sistema paese (ambiente fisico, socio-

economico, culturale, politico-istituzionale). L’ambiente fisico, più che per

la dotazione di risorse naturali, è considerato molto importante in termini

di patrimonio storico-artistico: Leonardo da Vinci, l’architettura, il

Rinascimento e la pittura sono fra gli aspetti più indicati.

Per quanto riguarda l’economia italiana, i consumatori cinesi

intervistati ritengono per il 60% che la competitività delle imprese italiane

sia molto (23%) e abbastanza (37%) importante: il dato è comunque da

porre prevalentemente in relazione al settore che i cinesi identificano

maggiormente con l’economia italiana, cioè la moda. Ben il 37% del

campione non ha infatti dubbi nel citare la moda quale settore di punta

italiano, capace di influenzare positivamente anche il settore tessile e delle

pelli.

Da alcuni indicatori legati all’ambiente culturale e sociale si evince

che, per i cinesi, l’Italia è la patria del bello, in cui il design e la creatività

contraddistinguono gran parte dei sistemi di offerta. L’Italia, inoltre, è

giudicata un paese non laico: all’asserzione “l’Italia è un paese laico”, solo

il 5 e l’8% dei giudizi si concentra nelle posizioni di pieno accordo (molto,

abbastanza), mentre maggiore discordanza si verifica quando è stato

chiesto di esprimersi circa il grado di nazionalismo degli italiani e sulla

capacità della società italiana di coesistere con le minoranze etniche.

Questi due ultimi aspetti sono stati reputati fondamentali nell’eventuale

compromissione della credibilità internazionale del Paese: la gran parte

degli intervistati non ritiene di poter esprimere un giudizio a riguardo e,

anche sulla base delle risposte ottenute, non si è in grado di ottenere

un’indicazione completamente chiara. Questa condizione di confusione e di

Page 85: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

85

eterogeneità nelle risposte può essere attribuibile alle diverse vicende che

hanno caratterizzato la società italiana e che hanno calamitato l’attenzione

dei media anche a livello internazionale. A tale proposito, ancor più

sintomatiche appaiono le risposte riguardanti l’ambiente politico-

istituzionale: l’Italia è reputata un paese in cui la corruzione è un

fenomeno ricorrente nella classe politica, così come la limitata trasparenza

è ricorrente nel sistemo finanziario (è possibile ipotizzare un’influenza

determinante degli scandali che hanno coinvolto la classe politica e note

aziende italiane durante gli ultimi anni).

Le ipotesi di partenza trovano fondamento nel fatto che i cinesi

orientano le proprie scelte di consumo verso le categorie merceologiche in

cui si riproduce il capitale reputazionale del Sistema Italia. Ciò è avvalorato

anche dal fatto che le valutazioni sui prodotti italiani sono le medesime

anche in assenza di contatto diretto con l’offerta, ossia con l’acquisto (halo

construct); la reputazione del Paese costituisce dunque un criterio guida

importante per i consumatori. Tra coloro che hanno dichiarato di essere

acquirenti di prodotti italiani (il 69% del campione), il 77% li considera

sinonimo di qualità. Lo stile e il design sono gli elementi alla base della

reputazione produttiva italiana e la domanda cinese è ben disposta a

premiarli in termini di acquisti, con netta predominanza del settore

dell’abbigliamento e delle calzature. Il 31% del campione che non si

dichiara cliente di prodotti Made in Italy indica nella misura del 35% la

difficile reperibilità dei prodotti e in quella del 29% la scarsa convenienza.

Se i prezzi elevati tendono a spostare parte della clientela su offerte

similari, cinesi o estere, che richiamano lo stile italiano, è pur vero che

l’esclusività delle produzioni Made in Italy soddisfano l’esigenza di quella

parte preponderante dei consumatori benestanti che cercano nel prodotto

il conferimento di uno status.

Page 86: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

86

5. La promozione del Made in Italy in Cina 5.1 Creare relazioni: guanxi e mianzi

Ai fini di una efficace pianificazione di marketing, oltre che sulla base

delle indicazioni relative alla percezione dei consumatori cinesi verso il

Made in Italy, le scelte in merito alle variabili del marketing mix di una

azienda italiana che volesse interfacciarsi con il mercato cinese dovrebbero

considerare anche i diversi aspetti culturali che caratterizzano la società

asiatica. La politica promozionale è forse quella che, ancor più delle

politiche di prodotto, prezzo e distribuzione, richiede in Cina una maggiore

contestualizzazione. Contestualizzare, piuttosto che standardizzare,

significa adottare scelte differenziate in funzione delle specificità

economiche e socio-culturali di un certo paese.

Tuttavia, in questo capitolo, con la parola ‘promozione’ non si vuole

soltanto intendere l’attività aziendale funzionale alla più ampia

pianificazione di marketing per il singolo prodotto. Viene anche, e

soprattutto, considerata la promozione del Made in Italy a livello di

Sistema Paese e di relazione inter-aziendale. In questa ottica, considerare

alcuni specifici aspetti culturali cinesi significa poter accrescere

notevolmente le possibilità di successo di un’azienda in questo grande e

variegato mercato. In Cina il concetto di politica è fortemente legato al

mondo degli affari (leciti): l‘stituzione governativa è vista come un partner

sicuro e la relazione con essa non è semplicemente auspicabile, bensì

spesso necessaria. Siccome, ovviamente, dietro l’entità astratta di

istituzione governativa risiedono funzionari in carne ed ossa, ogni azienda,

istituzione o organizzazione italiana dovrebbe considerare attentamente i

concetti culturali di guanxi e mianzi nel rapportarsi con un interlocutore

pubblico o privato cinese.

Con ‘mianzi’ si intende la ‘faccia’, cioè la reputazione e l’integrità di

una persona e, nel caso di relazioni commerciali, di un’intera immagine

aziendale. In questo caso dunque la faccia rappresenta un ruolo sociale:

Page 87: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

87

nell’assumere un ruolo, una persona (o un’azienda) accetta un set

standardizzato di caratteristiche comportamentali e di aspettative sociali

che non devono ledere la reputazione altrui. L’importanza del ‘salvare la

faccia’, se in Occidente è paragonabile al concetto di rispetto, in Oriente

implica condizionamenti comportamentali altrove inusuali. Concretamente,

perdere la propria faccia (ad esempio tornando su decisioni prese o

venendo pubblicamente smentiti e denigrati), al pari di far perdere la

faccia altrui (ad esempio riprendendo o smentendo un cinese davanti ad

altre persone), significa perdere definitivamente l’appoggio della

controparte.112 Nel mondo cinese infatti, far perdere la faccia è una forma

di aggressione che può creare serie ripercussioni sulla relazione coinvolta.

Difendere la propria faccia, d’altro canto, è così importante che le persone

potrebbero arrivare a mentire per conservarla.

Non è raso il caso in cui un gruppo di lavoro occidentale riceva, ad

esempio, una tiepida approvazione ad un progetto commerciale da parte

di un interlocutore che invece poi non si fa più sentire.113 Questo è dovuto

esclusivamente al fatto che un no diretto cinese alla proposta farebbe

perdere la faccia alla controparte occidentale (questo anche se, per molte

culture, della propria e altrui faccia importa spesso ben poco). Il salvare o

(far) perdere la faccia si manifesta in tante diverse forme di gesti simbolici

così come d’atti sostanziali.

Relativamente all’impresa, la creazione della mianzi aziendale

consiste nella formazione di un’immagine e una reputazione che deve

112 Cfr. Valdani-Bertoli 2007:424. 113 A proposito di questi comportamenti, sotto quella disciplina che viene denominata Pragmatica interculturale, si individuano due principali contesti culturali: quelli, appunto, ad alto e basso contesto. I cinesi vengono classificati entro una cultura ad alto contesto; ciò significa che nella produzione e nell’interpretazione dei messaggi comunicativi danno molta importanza alla situazione e ai comportamenti non verbali, al contrario di un soggetto rappresentante una cultura a basso contesto che premia la sostanza, il discorso esplicito e i fatti. Dalle culture low context l’ambiguità è considerata negativa e il coinvolgimento personale è tenuto tendenzialmente in minore considerazione. Al contrario, nelle culture high context, i legami personali sono molto forti anche nel mondo degli affari e i membri di queste culture investono tempo ed energia nella creazione di un rapporto di fiducia con la controparte, mentre attribuiscono meno importanza ai dettagli dell’accordo.

Page 88: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

88

consolidarsi ben prima della fase di commercializzazione. “Purtroppo, non

tutte le società che decidono di proporre al mercato cinese prodotti di

qualità e di lusso hanno la giusta lungimiranza e determinazione

nell’avviare iniziative dedicate inizialmente solo alla creazione

dell’immagine” (Bicchielli 2010:112). In molti casi si teme che certi

investimenti non portino ad alcun ritorno commerciale e pertanto anche la

visione temporale è spesso limitata e parziale (esempi di efficaci azioni di

aziende italiane concertate in Cina con organizzazioni locali verranno citati

nel paragrafo 5.3).

Parzialmente legato al concetto di mianzi è quello di guanxi. Guanxi

letteralmente significa ‘relazione’; in Cina, forse in misura maggiore di

qualsiasi altro paese, le relazioni rappresentano una forma di capitale

sociale, anche nell’ambiente economico. In nome della guanxi si sviluppa e

si governa un sistema a rete di contatti e di relazioni attraverso cui le

persone elargiscono favori e ne ricevono in cambio. In Cina, questo

vincolo interpersonale aggira perfino la scala gerarchica (anche la

gerarchia ha un’importanza notevole nelle interazioni sociali e dunque

anche nelle negoziazioni e negli affari): laddove presente, una solida

guanxi permette anche ad un membro di livello inferiore di chiedere ed

ottenere illimitati favori a chi occupa un ruolo gerarchicamente superiore.

Anche questa peculiarità della cultura cinese andrebbe dunque

opportunamente sfruttata durante il dialogo istituzionale o commerciale fra

aziende e istituzioni. Anche in questo caso però, se è vero che una giusta

guanxi può assicurare il successo di un affare, è pur vero che il tempo

richiesto per coltivarla non è trascurabile e l’obbligazione che ne deriva è

vincolante per il successo di affari futuri.

A volte si tende a scambiare il sistema delle relazioni con quello

corruttivo: effettivamente, nel momento in cui la relazione è usata per

aggirare una norma e ottenere un vantaggio illegittimo, la guanxi sfruttata

impropriamente dà luogo ad una forma di corruzione, pratica ad oggi

Page 89: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

89

ritenuta in Cina dilagante. 114 Tuttavia sarebbe riduttivo e offensivo

considerare una guanxi alla stregua di una pratica corruttiva; la cultura

cinese premia il rispetto, l’amicizia e soprattutto la coerenza: secondo un

preconcetto cinese, gli occidentali sono interessati soltanto a rapporti a

breve termine e dai profitti ingenti e veloci.115

Una proficua rete di guanxi può assicurare molte opportunità; da

parte italiana, oltre alle relazioni personali instaurate dai dipendenti delle

varie aziende, i punti di contatto sono garantiti da molteplici attori pubblici

e privati.

5.2 Ruolo e attori delle Istituzioni italiane e di altre Organizzazioni

Si è già detto nel paragrafo 1.3 che i soggetti preposti alla

promozione del Made in Italy all’estero sono molteplici e non sempre

coerenti fra loro nell’attuazione di linee operative. In particolare, le

maggiori difficoltà si riscontrano nel concertare le politiche dei vari governi

locali con quello centrale; la competizione, che oltre alla dimensione

nazionale coinvolge anche i territori, ha spinto diverse regioni italiane ad

instaurare accordi quadro con governi esteri e a dotarsi di autonome

politiche per l’internazionalizzazione che a volte contrastano le misure

prese a livello di governance superiore.116

A livello pubblico nazionale, al Ministero dello Sviluppo Economico

sono demandati i compiti di indirizzo e coordinamento nazionale della

politica economica con l’estero; le proposte si concretizzano nella

predisposizione ed applicazione delle Linee Direttrici per l’attività

114 L’Associazione contro la corruzione Transparency international ha stilato per il 2011 la classifica di 182 paesi per corruzione percepita. Ai vertici sono stati posizionati i paesi più virtuosi: la Cina si è piazzata al 75° posto (l’Italia al 69°). www.transparency.it 115 Cfr. Ramella 2006:43. 116 Per una rassegna dei principali strumenti adottati dalle diverse regioni italiane cfr. Le politiche per l’internazionalizzazione nelle regioni italiane, Brancati-Sensenhauser, in Cina e Made in Italy, Pietroni-Oppedisano-Perini (a cura di), Alinea, 2008.

Page 90: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

90

promozionale, un documento indirizzato a tutti gli enti di supporto

pubblico e che trova nell’Istituto per il commercio estero il più significativo

centro operativo. Ma, oltre all’Ice, delle cui attività si parlerà in seguito,

altre società, agenzie ed enti pubblici si occupano di adempiere a specifici

programmi promozionali sui mercati esteri dettati dal Ministero dello

Sviluppo Economico (che provvede ad erogar loro finanziamenti pubblici).

Tra questi, è significativa l’azione di consorzi export, consorzi agro-

alimentari, camere di commercio italiane all’estero, nonché l’attività di

Simest (la società finanziaria pubblica che recentemente ha introdotto due

nuovi prodotti finanziari per le aziende, il primo orientato ad accrescere la

solidità delle PMI esportatrici ed il secondo mirato a promuovere la

partecipazione di imprese italiane in società dell’UE) e SACE (l’Agenzia di

Credito all’Esportazione che ha anch’essa potenziato l’offerta di garanzie

assicurative dedicata alle PMI).117

In chiave nazionale massima attenzione viene posta sulla

concertazione delle politiche promozionali, anche grazie alla sottoscrizione

di accordi di settore con le Associazioni rappresentative delle varie

categorie produttive e con attività in partenariato con Regioni e altri Enti

territoriali. All’estero, considerata anche la crisi economica e il bisogno di

contare su iniziative di impatto che si traducano facilmente in commesse

per le imprese, si è ritenuto appunto prioritario valorizzare l’offerta delle

diverse reti italiane: uffici Ice, Camere di Commercio, banche.

Per far fronte agli effetti ancora persistenti della crisi economica, nel

2010 gli interventi del Programma promozionale sono stati rimodulati dal

punto di vista geografico per favorire gli investimenti nelle aree

economiche in ascesa (fra cui i paesi Bric, quindi anche la Cina). L’Asia ha

assorbito oltre un terzo delle risorse e gran parte delle attività sono state

destinate alla Cina, primo mercato assoluto di intervento con il 14% della

spesa totale.

117 Rapporto Ice 2010-2011, p.331.

Page 91: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

91

Con l’obiettivo di sostenere in via prioritaria i settori di vantaggio

comparato dell’export italiano, le risorse promozionali sono state destinate

in misura prevalente al comparto della meccanica-elettronica (ha assorbito

il 25% circa dei fondi) e al comparto dei beni di consumo, ambito moda-

persona-tempo libero (oltre 20%) e dell’agroalimentare (17%).118

Dal punto di vista delle tipologie di intervento, le manifestazioni

espositive hanno assorbito oltre il 40% del budget: questo strumento di

promozione tradizionale incontra da sempre le preferenze delle imprese

perché assicura visibilità esterna e contatto immediato. Oltre all’attività

fieristica, altri strumenti sono i seminari, i nuclei operativi, le task force e i

presìdi costituiti in funzione di specifici progetti. Fra queste ultime attività,

emblematica è l’organizzazione del workshop/convegno, durante il quale

vengono presentate specifiche realtà produttive italiane all’estero e dove si

svolgono anche incontri B2B. Per i beni di consumo, un’altra forma di

attività promozionale è data da azioni di carattere comunicativo e

pubblicitario, quali sfilate di moda, giornate gastronomiche per i prodotti

alimentari ed eventi promozionali presso la grande distribuzione. Alle

molteplici attività di tipo operativo si affiancano poi degli strumenti

comunicativi di supporto: siti web specializzati, cataloghi, newsletter ecc.

Accanto al Piano annuale si affianca, integrandolo, il Programma

straordinario per il Made in Italy, impostato su un’ottica strategica e di

sistema con una previsione di risultato a medio e lungo termine e un

prevalente, se non esclusivo, intervento pubblico (alle imprese che

aderiscono alle iniziative è altrimenti chiesto, generalmente, un contributo

finanziario a titolo di compartecipazione ai costi di realizzazione delle

attività stesse). Anche in questo caso i paesi obiettivo sono individuati nei

paesi Bric, nei mercati maturi e in altri mercati dinamici emergenti. Il 70%

delle risorse totali è destinato alle 4A mentre la restante parte sostiene la 118 Ivi, p.340. La spesa complessiva per l’attività promozionale realizzata dall’Ice nel 2010 è stata pari a 122 milioni di euro. Si ribadisce che tramite l’Ice si realizza la gran parte delle azioni elaborate dal Ministero dello Sviluppo Economico, ma questa non è la cifra complessiva erogata dallo Stato.

Page 92: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

92

chimica farmaceutica, il settore diagnostica e biomedicale, audiovisivo e

cinema, nautica, impiantistica, infrastrutture e logistica. La differenza

sostanziale col Piano ordinario è l’uso prevalente di missioni governative di

sistema, cioè missioni commerciali in cui sono coinvolti privati, enti italiani

(insieme all’Ice, generalmente Confindustria e ABI), istituzioni ed autorità

pubbliche del paese estero; in questo modo è assicurata un’integrazione

multilivello fra diversi attori pubblici e privati dei paesi coinvolti e,

soprattutto, la presenza economica italiana è garantita dalla relazione

government to government, una condizione in Cina imprescindibile per

l’accesso e il successo in determinati settori.

Le iniziative degli Enti territoriali italiani in Cina (molto attivi nel 2010

in occasione dell’EXPO universale a Shanghai con 12 Regioni presenti

presso il Padiglione italiano) sono supportate dal Programma MAE-Regioni-

Cina, un nuovo strumento volto alla realizzazione di accordi di partenariato

con province cinesi (Guangdong, Zhejiang e Jiangsu le più importanti).

Come detto, la valenza principale delle varie iniziative intraprese

dagli Enti pubblici, organizzazioni private e imprese è quella di muoversi

all’unisono facendo sistema, assicurando così alla produttività italiana

solidi e dinamici supporti di natura istituzionale, finanziaria e culturale. In

Cina, nel 2010, le iniziative sotto forma di seminari, missioni, mostre, desk

informativi, forum e conferenze sono state numerose;119 ciò che è tuttavia

importante definire è un’impronta comune, una sorta di ‘marca Italia’ che,

pur salvaguardando e valorizzando le specifiche particolarità territoriali,

possa comunicare coerentemente i valori, le tradizioni, le capacità tipiche

dell’intera Nazione e soprattutto il modo in cui vengono create le

produzioni Made in Italy, forse uno dei pochi veri elementi culturali

caratterizzanti l’italianità da veicolare all’estero.

Fra le Organizzazioni senza fini di lucro che svolgono un ruolo molto

importante di promozione del Made in Italy in Cina spicca la Fondazione

119 Rapporti Paese congiunti Ambasciate/Uffici Ice estero, 2010, pp.39-44.

Page 93: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

93

Italia Cina, costituita a Milano nel 2003 dalla partecipazione di Ministeri,

Regioni, Confindustria e importanti aziende e gruppi finanziari italiani.120

La Fondazione, con sede in Cina a Pechino, si occupa di assistere gli

operatori italiani in progetti di penetrazione del mercato, consulenza

strategica e legale, oltre che promuovere gli scambi culturali fra i due

paesi. Si attiva con le autorità italiane e cinesi al fine di instaurare strette

relazioni economiche e, fra le varie attività, rientrano appunto anche le

missioni settoriali.

L’associazione principale che si occupa di favorire lo sviluppo di

relazioni commerciali, industriali e culturali fra operatori, imprenditori ed

organizzazioni economiche italiane e cinesi è in ogni caso la Camera di

Commercio italiana in Cina. Gli scopi, dichiarati esplicitamente nello

Statuto della Camera, riguardano: lo sviluppo di collaborazioni economiche

e tecniche fra imprese ed organizzazioni italiane e cinesi; la raccolta e la

fornitura ai soci di informazioni di carattere economico, finanziario, sociale

e legale circa il mercato cinese; l’organizzazione di missioni, seminari,

conferenze, mostre ed ogni altra attività atta a sviluppare relazioni fra i

due paesi; la collaborazione con le Autorità diplomatiche e la

sensibilizzazione degli organi governativi e delle amministrazioni pubbliche

in relazione a questioni di interesse comune dei Soci.

Dall’Italia, un tentativo per progettare una campagna comunicativa

pro Made in Italy in Cina di carattere pubblicitario si è verificato nel 2009,

quando la ‘Direzione Generale per le politiche di internazionalizzazione e la

promozione degli scambi’ del Ministero dello Sviluppo Economico aveva

bandito una gara d’appalto per l’ideazione e la realizzazione di una

campagna di comunicazione integrata finalizzata a promuovere il Made in

Italy e l’immagine dell’Italia in Cina. L’obiettivo era quello di “rafforzare la

credibilità e la reputazione dell’Italia quale partner privilegiato della RPC,

promuovendo il sistema di valori del Paese e i settori industriali e

120 www.italychina.org

Page 94: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

94

commerciali di maggiore rilievo. L’immagine che si intende promuovere

agli occhi dei target di riferimento è quella dell’Italia come Paese del

futuro”. 121 Purtroppo, con un Decreto del Direttore Generale del

Dipartimento in questione,122 il Bando è stato revocato nel 2010 a causa,

si legge nel Decreto, di “sopraggiunti elementi di valutazione economica e

di opportunità non noti al momento della pubblicazione del bando”. La

campagna di comunicazione era rivolta a due tipi di target, l’elite e la

business & financial community cinesi e i giovani consumatori (20-35 anni)

delle maggiori aree metropolitane. Nelle intenzioni di chi aveva progettato

la campagna, i messaggi relativi al primo target sarebbero stati veicolati

da canali televisivi, comunicazione editoriale inflight e su stampa,

organizzazione di eventi, pubbliche relazioni e azioni di pubblicità mirata;

per il secondo target, quello dei giovani, era previsto un uso strategico dei

nuovi mezzi di comunicazione. I contenuti del messaggio e i suoi elementi

creativi sarebbero potuti essere per la prima volta un esempio di corporate

identity del Made in Italy in Cina.

5.3 Altri canali della promozione del Made in Italy in Cina

L’obiettivo del governo cinese di far aumentare i consumi e

l’oggettivo incremento dei redditi medi della popolazione si concilia con il

desiderio e la necessità di emancipazione di un popolo che si vuol sentire

moderno e che vuole proporre modelli economici e socio-culturali di

riferimento. La voglia di riscatto anima questo popolo che si è sentito da

sempre, nell’epoca contemporanea, avulso dai centri propulsivi delle

vicende economiche e culturali internazionali. Questo spirito di rivalsa non

è biecamente chiuso e basato sulle proprie tradizioni: c’è, anzi, la voglia di

scoprire, capire e far entrare nel proprio paese nuovi concetti e modelli

121 http://www.sviluppoeconomico.gov.it 122 http://www.mincomes.it/circ_dm/circ2010/settembre_10/decreto_170910.pdf

Page 95: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

95

che configurano una sorta di melting pot comportamentale. La promozione

deve tener conto anche di questo: sapere che un quinto della popolazione

mondiale è in fermento e alla ricerca di un contatto di qualsiasi natura

oltre i propri confini nazionali, implica a chi vuole farsi conoscere ed

accettare, nella fattispecie l’Italia e le sue produzioni, di fare la propria

parte, cioè proporsi ed essere presenti.

Le iniziative di carattere istituzionale elencate nel precedente

paragrafo sono senz’altro qualitativamente encomiabili; d’altra parte però,

il grande pubblico in Cina è raggiungibile solo grazie al sistema dei mezzi

di comunicazione di massa che, seppur posto sotto un attento controllo

dello Stato, rappresenta un veicolo di comunicazione potente e in crescita.

Comunicare alla massa sarebbe oggi un tentativo comunque azzardato: è

vero che usi e costumi stanno gradualmente cambiando per la

contaminazione con la cultura occidentale, ma è pur vero che la società

cinese “sta uscendo da una fase di assorbimento passivo e sta elaborando

nuovi modelli che congiungono il nuovo e la tradizione” (Pietrasanta

2009:144), per dar luogo a nuovi stili che sarebbe sbagliato pretendere di

conoscere ed individuare in poco tempo da parte di chi comunica

dall’esterno.

Per il momento, come detto nel capitolo 2, l’obiettivo di chi si

propone dall’esterno è quello di far parte di un mondo fatto di apparenze,

soddisfare consumatori che usano icone e miti che provengono da lontano

e che conferiscono status e valore estetico. Oggi ad esempio, per il grande

pubblico interessato alla moda, il canale privilegiato è sia il magazine,

fondamentale nel dare indicazioni su come ci si abbiglia e in cui la marca

dà senso al nuovo stile proposto, sia il luogo d’acquisto delle griffe

accessibili a pochi, veri e propri templi del lusso che contribuiscono a

promuovere se stessi e l’immaginario che ruota loro attorno.

Non a caso, relativamente all’Italia, sono la moda ed il lusso ad aver

più popolarità in Cina, poiché gli interpreti di entrambi i settori sono riusciti

Page 96: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

96

a penetrare da tempo fra le maglie serrate di una cultura e una società in

evoluzione e che assorbe ancora prestigiosi modelli esteri.

Con l’aumento del reddito pro capite è altresì cresciuto il consumo di

prodotti culturali e dei media in generale. Il mezzo di comunicazione più

pervasivo dal punto di vista commerciale è, anche in Cina, la televisione:

nel sistema televisivo cinese, un ruolo molto importante viene svolto dalle

emittenti straniere; già dalla fine degli anni Ottanta infatti, il governo

cinese ha gradualmente liberalizzato il mercato televisivo permettendo ad

emittenti estere di trasmettere in determinate zone del paese (Guangdong

è stata la prima provincia a sperimentare le riforme economiche e la

ricezione di canali esteri via satellite). La ricezione è comunque

strettamente regolamentata dal Governo: per uso privato non si possono

installare parabole satellitari e la programmazione di canali via satellite,

non potendo essere ricevuta direttamente, è ritrasmessa agli utenti finali

via cavo (Lupano 2010:25). Alcune emittenti televisive straniere riscuotono

tra l’altro maggior successo presso il pubblico e godono di un livello di

reputazione superiore a quello di Cctv, l’emittente di stato (tacciata di

essere ancora direttamente la voce del Governo e ritenuta faziosa nella

diffusione delle informazioni) nata nel 1958 e che oggi vanta comunque

ben 16 canali tematici, tra i quali Cctv 9, canale internazionale in lingua

inglese.

Relativamente al mezzo televisivo, la problematica principale nel

veicolare il messaggio, oltre allo stile comunicativo e ai costi, è proprio

quello di trovare il giusto canale. Occorre considerare che disperdere il

budget per veicolare un messaggio in un mezzo a diffusione nazionale

potrebbe essere inutile nel caso in cui la distribuzione del prodotto

reclamizzato non abbia ancora coperto un’area significativa; al contrario,

non bisogna dimenticare che un mezzo a diffusione locale può comunque

garantire il raggiungimento di un numero elevatissimo di contatti: basti

pensare che, ad esempio, l’impero da audience milionario rappresentato

Page 97: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

97

dalla tv pubblica è stato curiosamente battuto nel 2005 da una piccola tv

locale, la Hunan tv, che trasmettendo la finale di un concorso canoro

basato su un format inglese ha bruciato ogni record di ascolto con 400

milioni di telespettatori (Pietrasanta 2009:158). Questo a testimonianza

anche della volubilità delle preferenze di un pubblico non ancora ben

fidelizzato e dunque difficilmente segmentabile anche per quanto riguarda

la fruizione dei mezzi di comunicazione.

La pubblicità in tv ha fatto registrare negli ultimi anni (i dati

disponibili vanno dal 2003 al 2007) 123 una crescita esponenziale degli

investimenti, da 620 milioni a 5,20 miliardi di euro. Dal punto di vista del

messaggio dello spot (diverso è il caso degli annunci a stampa, molto più

allineati con la struttura occidentale), si riscontra una fruizione affascinata

ed entusiastica che in Occidente risulterebbe superata ed immatura. Di

fronte ad uno spot veicolato in Cina si può assistere spesso ad

un’esagerazione rispetto alla promessa e ai benefit di un prodotto, con

cambiamenti miracolosi che, agli occhi del consumatore occidentale

abituato da tutta la vita a doversi difendere dal ‘bombardamento’

pubblicitario, appaiono ridicoli: shampoo che mostrano allungamenti

istantanei dei capelli, pelli che si sbiancano e ringiovaniscono

immediatamente in una rappresentazione narrativa quasi comica e

grottesca, bevande che dopo esser state bevute trasformano

miracolosamente il seno di una donna (Pietrasanta 2009:164). La forza

della comunicazione commerciale in Cina è molto grande, e solo il fatto di

esser presenti in certi circuiti assicura credibilità al prodotto.

Esaminando la ripartizione della spesa pubblicitaria sul mezzo

televisivo per i settori merceologici, sono i cosmetici a realizzare il più alto

volume di investimento pubblicitario, seguiti da medicinali, generi

alimentari, settore commercio e servizi, bevande, ecc.124

Sia a livello nazionale che a livello locale è inoltre molto utilizzata la 123 Cfr. Lupano 2010:25. 124 Ivi, p.27.

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98

radio; i quotidiani sono altrettanto innumerevoli e, ancora, solo il settore

abbigliamento/lusso trova nella carta stampata dei magazine italiani rivolti

principalmente ad un pubblico femminile e tradotti in lingua cinese un

opportuno mezzo di comunicazione.

A livello giornalistico, una funzione di raccordo equiparabile a quelle

delle istituzioni e organizzazioni citate nel precedente paragrafo viene

svolta dalla redazione AgiChina24; presente a Roma e Pechino e on line

con un portale dedicato, rappresenta un collegamento informativo e

autorevole fra la Cina e l’Italia su temi che spaziano dall’economia, alla

politica, mercato, costume e società.

L’affissione è ancora poco organizzata a livello di impianti e

diffusione; quella dinamica, cioè quella sui mezzi di trasporto e sulle aree

ad essi collegate è in uno stato iniziale, anche se in rapido sviluppo

(Pietrasanta 2009:166); ciò non significa che un tale mezzo di

comunicazione non possa già esser preso in considerazione dalle aziende

italiane che, anzi, potrebbero sfruttare la capillarità dell’affisione statica e

dinamica per comunicare il prodotto distribuito dapprima in aree ristrette.

È invece, come detto nel paragrafo 2.2.1, già molto considerevole la

presenza degli internauti cinesi nel web: da qui l’esigenza per le aziende

che intendono affacciarsi al mercato cinese di essere raggiungibili on line e

dotarsi di un sito web in lingua.

Per concludere questo capitolo, si è ritenuto importante riportare

alcune concrete iniziative ed esperienze di promozione del Made in Italy in

Cina, non tanto come casi da analizzare criticamente ma come esempi di

attività virtuose. A livello pubblico, la Rai ha instaurato dei rapporti molto

interessanti e culturalmente proficui con alcuni media cinesi: grazie

all’attività di RaiTrade e di alcuni agenti in loco, Rai è riuscita a vendere i

diritti di diverse fiction italiane a Shanghai Television, come ad esempio

Incantesimo, Cefalonia e L’uomo che sognava le aquile (la serie Nonno

Libero è stata rifiutata in quanto propone il tema della famiglia allargata

Page 99: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

99

che contrasta con la campagna demografica sul controllo delle nascite).

Intensa è anche la collaborazione fra Rai e Cctv: l’emittente cinese ha

acquistato programmi italiani, come lo speciale in sei puntate sulla Sicilia

del programma Lineablu (la Sicilia, dai risultati emersi dal sondaggio

inedito organizzato per questa tesi, è una delle regioni italiane più

conosciute in Cina). Altrettanto interessanti sono delle co-produzioni sino-

italiane fra cui una serie televisiva, Love in Sicilia, realizzata per Cctv-8 e

altri cartoon dedicati ai bambini che si ispirano alla vita di Marco Polo. Fra i

due operatori pubblici è stato inoltre siglato nel 2006 un accordo di

scambio che prevede la messa in onda del canale Cctv-9 sul Multiplex B

del Digitale Terrestre Rai in cambio di 3 ore e mezzo alla settimana di

programmi Rai (doppiati o sottotitolati in cinese) trasmessi in onda sui

principali canali della Cctv. Un secondo accordo, con la partecipazione del

MAE, è stato raggiunto nel 2009 fra Rai e Cctv per la creazione di una

società mista per la realizzazione di 16 canali regionali in lingua cinese in

Europa e la promozione del Made in Italy in Cina e della produzione

audiovisiva italiana (Lupano 2010:51).

Un altro esempio è dato da una testimonianza di Vittorio Renzi,

direttore generale della Scavolini: 125 Scavolini, dalle parole di Renzi,

intercetta la domanda collegata a un mercato immobiliare in forte

espansione di una nuova classe di ricchi affascinati dal Made in Italy,

investendo importanti risorse a sostegno dell’immagine aziendale per

consolidare la posizione del brand che rappresenta di fatto il massimo

riferimento per quanto riguarda l’approccio alla cucina. Gli investimenti,

continua il Direttore, sono stati allocati sia su testate importanti sia su

testate più mirate, destinate allo sviluppo di alcune relazioni

particolarmente utili nell’ambito dell’interior design. Il problema più grande

riscontrato nella gestione della campagna pubblicitaria è stato quello di

calcolare il costo/contatto, a causa dell’assenza di enti in grado di

125 Cfr. Pietroni-Oppedisano-Perini 2008:81.

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100

quantificare le copie distribuite (è un problema che riguarda tanti paesi

non particolarmente evoluti nell’ambito della trasparenza pubblicitaria).

Per rafforzare la comunicazione di Scavolini in loco, è stata incrementata

la disponibilità di materiale promozionale in lingua cinese e sviluppata la

nuova versione in cinese del sito web aziendale. Grande è anche

l’attenzione alla distribuzione: sono stati aperti negozi estremamente

sofisticati, con superfici molto importanti, arredati con grande cura (sono

negozi esclusivi che servono sì a vendere ma, aggiunge Renzi, anche a

comunicare l’italianità e la riconoscibilità del brand nell’ambito della

cucina). I clienti principali di Scavolini in Cina non sono tuttavia i

consumatori finali, bensì i costruttori che vendono appartamenti già

arredati con arredi italiani e che desiderano comunicare un certo tipo di

status.

Un’altra testimonianza proviene da Barbara Pietrasanta (Pietrasanta

2009:188), consulente per un gruppo di imprenditori cinesi ed italiani che

nel 2006 stava valutando e organizzando la creazione di una piattaforma

commerciale a Dalian, città che conta 6,5 milioni di abitanti in una

provincia che ne conta circa 50, zona turistica e di mare di alto pregio.

L’idea è stata quella di proporre, tramite il sostegno della Provincia di

Milano, l’Assessorato al Lavoro del comune milanese e delle Autorità cinesi,

un accordo tra Italia (Milano) e Cina (Dalian) per veicolare verso il mercato

cinese le eccellenze del settore lusso-abbigliamento italiane, supportando

la CIGF (la China International Garment & Textile Fair, la Settimana della

Moda e textile più vecchia in Cina con sede appunto a Dalian) con la

partecipazione di importanti e prestigiosi marchi della moda italiani. La

municipalità di Dalian pretende la partecipazione delle aziende italiane per

garantire lustro e visibilità alla fiera in Asia e nel mondo; d’altro canto,

all’interno della fiera nasce una piattaforma commerciale tutta italiana, che

non promuove soltanto la moda ma anche altre eccellenze, a partire da

design, food and beverage, arte e turismo.

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101

6. Sondaggio sulla percezione del Made in Italy in Cina e considerazioni finali 6.1 Sondaggio

La percezione della country image italiana in Cina e le dinamiche

promozionali attuali e potenziali costituiscono degli elementi imprescindibili

nell’elaborazione di strategie di marketing per le aziende italiane che

vogliano interfacciarsi con il mercato cinese. Al fine di giungere a delle

considerazioni finali, si è ritenuto importante, per questa tesi, svolgere un

ulteriore indagine su un campione cinese per indagare ulteriormente qual

è la considerazione di essi circa l’Italia e le produzioni Made in Italy.

L’intento è stato quello di confermare alcuni punti fermi emersi dai

sondaggi citati nel capitolo 4 e integrare gli stessi sollecitando i rispondenti

cinesi su temi particolari che erano sfuggiti all’analisi degli altri ricercatori.

In particolare, un obiettivo del nuovo questionario sottoposto al campione

cinese è quello di far emergere elementi tipici dell’italianità che possano

rappresentare il lifestyle italiano e che possano veicolare al meglio i

prodotti italiani nel Paese asiatico. Inoltre, un altro scopo è quello di capire

qual è la considerazione che i cinesi hanno del cibo italiano, quali sono le

tipicità che riconoscono e quali sono state le loro esperienze di consumo in

Cina. Il settore alimentazione è stato particolarmente preferito agli altri

settori caratteristici del Made in Italy in quanto relativamente poco

indagato dagli altri sondaggi; inoltre, nel sollecitare i rispondenti su

domande riguardanti il cibo, l’esigenza è stata anche quella di capire come

mai la cucina italiana riscuote in Cina un buon successo a livello di

immagine (capitolo 4) ma non riesce ancora ad imporsi come vera e

propria esperienza di consumo (paragrafo 2.3).

Ancora, in un’ottica di promozione di immagine distrettuale e/o

territoriale, si è voluto capire qual è il grado di conoscenza delle città e

delle regioni italiane; questo poiché, affiancare il nome di una città, luogo

specifico o regione ad un prodotto potrebbe portare dei benefici al bene

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102

(si pensi alla forza che Milano, come nome e città, esercita nel settore

moda) qualora il territorio sia noto e magari riconoscibile per determinate

particolarità. Altri temi toccati dal questionario proposto sono stati la

reperibilità dei prodotti italiani (dato che, avendo a disposizione le

caratteristiche socio-demografiche dei rispondenti è stato messo in

relazione con variabili determinanti, quali ad esempio la grandezza delle

città di appartenenza), il fenomeno della contraffazione, l’effetto della

delocalizzazione produttiva sulla percezione del prodotto e la

considerazione più o meno marcata del consumatore cinese verso la

tradizione e gli anni di attività di un’impresa (a fronte di aziende

occidentali che vantano anche più di un secolo di storia, l’imprenditoria

cinese è molto giovane e può avere alle spalle una ventina di anni al

massimo). Infine, è stato chiesto di qualificare l’Italia sotto il profilo

produttivo con dei voti a degli attributi significativi dei prodotti.

I limiti di questa ulteriore ricerca riguardano la rappresentatività del

campione intervistato: il questionario è stato trasmesso via e-mail a dei

cittadini cinesi tramite una rete di conoscenze dell’autore che ruotano, per

interesse ed esperienze, attorno all’Università per Stranieri di Perugia.

Tuttavia, le persone intervistate sono contatti che risiedono

esclusivamente in Cina e possono esser stati condizionati soltanto in

maniera marginale da tale rete di conoscenze; inoltre, le domande sono

state formulate in modo tale da minimizzare l’eventuale influenza

trasmessa dal contatto della rete di conoscenze dell’autore. Si crede che,

pur non essendo un campione rappresentativo (come del resto non lo

sono nemmeno quelli delle indagini citate nel capitolo 4), i rispondenti non

siano stati particolarmente condizionati dall’esperienza avuta dai contatti a

monte della rete (coloro cioè che hanno avuto un’esperienza di studio

presso l’Università perugina e che hanno provveduto a inoltrare verso

propri contatti il questionario predisposto dall’autore della tesi): solo in un

caso su 70, infatti, è stata citata Perugia fra le città conosciute dal

rispondente, così come in un solo caso su 70 è stata indicata l’Umbria fra

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103

le regioni italiane conosciute. Un’altra limitazione che è doveroso

menzionare riguarda il fatto che non c’è stato diretto controllo dei

rispondenti durante la compilazione del questionario: in questo caso però

ci si appella alla buona fede di chi ha partecipato, visto che era stato

chiesto loro di rispondere con sincerità e basandosi esclusivamente sulle

proprie conoscenze.

Il questionario prevede 9 domande a risposta chiusa (1 delle quali

con la possibilità di scegliere più di una preferenza), due domande a

risposta aperta (è stato chiesto di menzionare nomi di determinate

categorie relative all’Italia conosciuti) e l’attribuzione di un voto da 1 a 10

per ogni caratteristica (pre-codificata) delle produzioni italiane.

Una volta compilato, è stato chiesto di re-inviare il questionario via

mail per l’elaborazione. Il campione si compone di 70 soggetti, 42,9%

maschi e 57,1% femmine; l’età è compresa per il 58,6% nella fascia fra i

25-30 anni, per il 32,9% fra i 17-24, 7,1% fra i 31 e i 45 anni e solo

l’1,4% del campione ha più di 45 anni. Il livello di istruzione dei

rispondenti è alto: il 95,7% dichiara di svolgere o aver compiuto studi a

livello universitario; il campione è geograficamente molto diversificato (i

70 soggetti del campione risiedono in 23 diverse città cinesi che si

posizionano lungo l’intera direttrice nord-sud della parte est del paese) e

la provenzienza, come variabile, verrà incrociata in seguito con alcune

risposte per verificare eventuali influenze; dal punto di vista occupazionale,

il 54,2% del campione dichiara di lavorare, il 18,6% è studente, il 2,9%

discoccupato e il 24,3% del totale non indica.

Di seguito è riportata una copia del questionario tradotto in italiano.

Questionario

Per favore, risponda alle domande basandosi solo sulle Sue conoscenze. Digiti una X accanto alle risposte desiderate o scriva le parole quando richiesto. Una volta terminato, salvi il file. Grazie. INFORMAZIONI PERSONALI

Page 104: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

104

a) Sesso a-1) Maschio [ ] a-2) Femmina [ ] b) Fascia di età b-1) 17-24 [ ] b-2) 25-30 [ ] b-3) 31-45 [ ] b-4) 46-70 [ ] c) Professione …… d) Istruzione d-1) Media inf. [ ] d-2) Media sup. [ ] d-3) Laurea [ ] e) Città …… INIZIO QUESTIONARIO f) Parlando di Italia, può scrivere cosa Le viene in mente per ogni categoria sotto riportata? f-1) Città …… …… ……

f-2) Regioni …… …… ……

f-3) Personaggi famosi …… …… ……

f-4) Eventi storici, manifestazioni …… …… ……

f-5) Brand …… …… ……

g) Durante la sua vita quotidiana, con quale frequenza Le capita di sentir parlare dell’Italia? g-1) Mai [ ] g-2) Raramente [ ] g-3) Frequentemente [ ] h) Se Le capita, a cosa si riferiscono le notizie di cui sente parlare? (da 1 a 6 risposte) h-1) Cronaca [ ] h-2) Politica [ ] h-3) Economia [ ] h-4) Prodotti e industria [ ] h-5) Sport [ ] h-6) Cultura [ ] i) Crede che i prodotti italiani siano reperibili nella Sua città? i-1) Per niente [ ] i-2) Poco [ ] i-3) Abbastanza [ ] i-4) Molto [ ] l) Considera un prodotto di un brand italiano fabbricato in Cina, più italiano o più cinese? l-1) Più italiano, perché il progetto e il design nascono in Italia [ ] l-2) Più cinese, perché di fatto viene realizzato in Cina [ ] l-3) Un po’ italiano, un po’ cinese [ ]

Page 105: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

105

m) Ha difficoltà a riconoscere un prodotto originale italiano da un finto prodotto italiano? m-1) Spesso ho difficoltà [ ] m-2) A volte ho difficoltà [ ] m-3) Non ho mai difficoltà [ ] n) Se avesse disponibilità economica, sarebbe disposto a pagare un prezzo molto più alto pur di avere un prodotto originale e garantito piuttosto che un falso? n-1) No, non mi interessa se è falso [ ] n-2) No, meglio spendere poco [ ] n-3) Sì, però solo per qualche prodotto [ ] n-4) Sì, sempre [ ] o) Reputa la cucina italiana parte della cucina occidentale in genere, o le attribuisce delle caratteristiche distintive? o-1) Cucina occidentale [ ] o-2) Cucina distintiva [ ] p) Saprebbe nominare alcuni prodotti tipici dell’alimentazione italiana? ...... …… …… …… q) Ha mai mangiato in un autentico ristorante italiano in Cina? q-1) No, la cucina italiana non mi attrae [ ] q-2) No, la cucina italiana è troppo costosa [ ] q-3) No, non ci sono autentici ristoranti italiani nella mia città, ma vorrei provare [ ] q-4) Sì, ma non mi è piaciuto [ ] q-5) Sì, mi è piaciuto [ ] q-6) Ho mangiato in un ristorante con cucina italiana, ma non credo fosse autentico [ ] r) Secondo Lei, un’azienda che vanta decenni di attività alle spalle è migliore di una appena nata? r-1) No, per molti prodotti non è un particolare importante [ ] r-2) Sì, per prodotti tecnologici e alimentari l’esperienza conta [ ] r-3) Sì, è sempre preferibile [ ] s) Valuti con una scelta fra 1 a 10 (1= assolutamente non rilevante; 10= molto rilevante) questi attributi delle produzioni italiane s-1) Innovatività ……

s-2) Design ……

s-3) Qualità artigianale ……

s-4) Affidabilità/durata ……

s-5) Contenuto tecnologico ……

s-6) Economicità ……

Con la prima parte del questionario (f), si è cercato di provocare un

richiamo spontaneo di nomi italiani nella mente dei rispondenti: per ogni

categoria è importante la percentuale dei non rispondenti, cioè di coloro

che non hanno saputo menzionare alcun nome e che dunque ignorano del

Page 106: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

106

tutto luoghi, protagonisti, eventi e/o brand italiani. Nel riportare i risultati,

sono state citate soltanto le principali e più significative risposte. Lo scopo

di questa prima parte è stata quella di capire quanto e cosa i cinesi

conoscono dell’Italia per ogni categoria considerata: ciò è potenzialmente

utile nella valorizzazione di un prodotto che si serva di un elemento tipico

dell’italianità per richiamare ed esaltare la propria origine.

Questionario, domanda-f

Parlando di Italia, può scrivere cosa Le viene in mente per ogni categoria sotto

riportata?

Non risp Indicazioni espresse in percentuale sul totale dei rispondenti

CITTÀ 7,1% Roma 83,1%

Milano 72,3%

Firenze 43,1%

Venezia 41,5%

Torino 20%

REGIONI 60% Sicilia 46,4%

Lazio 46,4%

Lombardia 39,3%

Toscana 35,7%

Emilia-Romagna 17,9%

PERSONAGGI FAMOSI 20%

L. da Vinci 55,4%

Calciatori 41,1%

S. Berlusconi 30,4%

Dante 25%

L. Pavarotti 19,6%

EVENTI STORICI, MANIFESTAZIONI

25,7% Rinascimento

63,5% Eventi calcistici

40,4%

Settimana della Moda milanese

15,4%

Opera 13,5%

Impero romano 13,5%

BRAND 15,7% Lusso 72,9%

Automobili 52,5%

Abbigliamento 27,1%

Alimentazione 6,8%

L’analisi dei risultati mostra che, per quanto riguarda le città italiane,

soltanto il 7,1% del totale non sa nominarne alcuna. Le città più indicate

da chi risponde sono Roma e Milano, che vantano una distanza

percentuale considerevole da Firenze e Venezia; più staccata Torino,

mentre altre città sono menzionate soltanto da una percentuale del

campione irrilevante. In un’ottica di promozione territoriale in cui le città

possano sostituire l’entità nazionale comunicando tratti d’italianità

caratteristici, è bene dunque tenere presente che solo 2 città italiane

(Roma e Milano appunto) danno garanzia di riconoscibilità in alte

percentuali. Venezia e Firenze sono senz’altro luoghi tipici a cui, nel caso

della città toscana, viene accostato un periodo storico che, come si vedrà,

è per i cinesi uno dei momenti storico-culturali italiani (e non solo) più

prestigiosi: il Rinascimento.

Page 107: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

107

Le conoscenze dei cinesi calano drasticamente quando sono

chiamati a menzionare le regioni italiane: il 60% del campione non

risponde; Sicilia, Lazio, Lombardia e Toscana sono fra le più conosciute,

probabilmente grazie alla loro fama di mete turistiche (la quinta regione

menzionata in ordine di peso percentuale è l’Emilia Romagna con il 17,9%)

e grazie alla presenza al loro interno di eventi, dinamiche, luoghi e

produzioni contingenti. Dall’emersione di questi dati, sembrerebbe

ragionevole ritenere che una comunicazione promozionale per i beni di

consumo che voglia far leva sulla valenza territoriale debba tenere in

maggior considerazione (per la Cina) la sola dimensione nazionale italiana,

tralasciando le peculiarità regionali e, casomai, puntando solo su alcune

città caratteristiche che possano identificarsi col prodotto commercializzato.

Tra i personaggi famosi rappresentativi dell’identità nazionale

italiana spicca con il 55,4% delle indicazioni Leonardo da Vinci, l’eclettico e

geniale esponente del Rinascimento; quest’ultimo periodo storico pervade

la percezione dei cinesi riferita all’Italia, tanto che altri due artisti

dell’epoca (Michelangelo e Raffaello) così come un uomo di scienza

(Galileo) sono citati in maniera spontanea rispettivamente dal 14,3%, il

10% e l’8,6% del totale dei rispondenti. Il Rinascimento è, come detto, il

periodo storico più menzionato nella categoria ‘eventi storici,

manifestazioni’: ciò dimostra il prestigio e la considerazione dell’arte

rinascimentale italiana, anche in Cina oggetto di particolare ammirazione.

L’Italia, agli occhi dei cinesi, non è ovviamente però solo arte e

cultura: il 41,1% di chi menziona almeno un nome nella categoria

‘personaggi famosi’ nomina un calciatore (dato curioso, Roberto Baggio è

tuttora il calciatore italiano più famoso in Cina); lo sport, e il calcio in

particolare, è un elemento identificativo importante e sembra essere

l’evento italiano attuale più seguito ed ammirato dai cinesi: le vicende

calcistiche delle squadre di calcio e della Nazionale italiana (vittorie dei

Mondiali di calcio, Serie A, derby) sono citate dal 40,4% dei rispondenti,

una percentuale consistente che, a livello di ‘evento’, distanzia fortemente

Page 108: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

108

la Settimana della moda milanese (15,4%) e l’opera (13,5%). Del resto,

come si dirà di seguito, lo sport è l’argomento principale a cui si riferiscono

le notizie che i cinesi dichiarano di ricevere in Cina riguardo l’Italia.

Anche l’opera dunque, come manifestazione moderna, è un discreto

elemento identificativo dell’italianità, capace di precedere in termini di

notorietà ed evocazione spontanea eventi quali le Guerre mondiali (11,5%)

ed eguagliare l’emblema della Civiltà latina, l’Impero romano (13,5%).

Conferma ne è la celebrità di Luciano Pavarotti, il tenore italiano maggior

interprete di questo genere teatrale e musicale nominato dal 19,6% dei

rispondenti per la categoria ‘personaggi famosi’.

È spinto dalle vicende della scena politica italiana e da altri fatti di

cronaca ed attualità, anche in Cina, il nome di Silvio Berlusconi, secondo

personaggio italiano in assoluto più conosciuto dal campione cinese (nella

tabella riepilogativa -parte f- si trova al terzo posto poiché la voce

‘calciatori’ è un aggregato composto da più nomi), le cui peripezie

giudiziarie sono finite nella misura del 4,3% anche nella categoria ‘eventi

storici, manifestazioni’.

Intramontabile invece, con il 25% delle indicazioni, il poeta

fiorentino Dante Alighieri.

La moda, altra grande icona italiana in Cina, oltre ad essere esaltata

dalle sfilate milanesi, trova un riscontro alla sua notorietà nei brand

nominati dal campione cinese: il 72,9% dei marchi italiani citati

appartengono ad aziende del settore lusso e, fra questi, le griffe più

famose sono Gucci (74,4% di indicazioni da parte di chi nomina un brand

del settore lusso), Prada (55,8%), Armani (39,5%, che ha una grande

storia in Cina ma che gode evidentemente di meno appeal da parte del

giovane campione cinese), D&G (27,9%) e Versace (18,6%). È questo il

gotha del lusso italiano che ha aperto la strada e veicola in Cina il settore

moda Made in Italy.

I brand più nominati appartengono anche al settore auto (52,5% del

totale) fra cui si distingue in primis il marchio Ferrari; buone percentuali

Page 109: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

109

anche per Fiat e Lamborghini. Il settore abbigliamento (non di lusso)

annovera il 27,1% dei brand menzionati dal campione cinese (ottima

notorietà per il marchio KAPPA), mentre i marchi dell’agroalimentare sono

scarsamente conosciuti (6,8% del totale).

Dalla domanda -g- il questionario assume una struttura chiusa: le

domande sono cioè a risposta pre-codificata e, salvo la domanda -h-,

prevedono una sola scelta possibile.

Questionario, domanda-g

Durante la Sua vita quotidiana, con quale frequenza Le capita di sentir parlare

dell’Italia?

2,8%

78,6%

18,6%

Mai Raramente Frequentemente

Questionario, domanda-h

Se Le capita, a cosa si riferiscono le notizie di cui sente parlare? (da 1 a 6 risposte)

17,9%

23,9%

37,3%

40,3%70,1%

58,2%

Cronaca Politica Economia Prodotti e industria Sport Cultura

A quanto pare, si sente parlare raramente dell’Italia in Cina e,

quando accade, le informazioni percepite dai cinesi riguardano

Page 110: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

110

prevalentemente lo sport; altre due voci significative scelte dal campione

cinese sono cultura e produzioni industriali: anche in questo caso, il mix di

conoscenze dei cinesi è costituito da una base culturale acquisita con

molta probabilità durante gli studi (il campione consta quasi interamente

di soggetti con un alto titolo di studio), dai successi e dal fascino

esercitato dallo sport e dai prestigiosi brand italiani.

Con la domanda -i- si è inteso affrontare il tema della reperibilità dei

prodotti italiani in Cina; in realtà questa è la domanda che più risente della

non rappresentatività del campione: le città di provenienza dei rispondenti

sono infatti quasi tutte relativamente medio-grandi (oltre i 5 milioni di

abitanti). Dovrebbero essere queste le città dove la distribuzione del Made

in Italy è già parzialmente avviata, tuttavia, dati alla mano, la reperibilità

dei prodotti italiani dichiarata dal campione cinese è, per più della metà

dei rispondenti, bassa. Effettivamente, incrociando le risposte con la

variabile della provenienza geografica, si nota che il 79% circa di chi

reputa abbastanza e molto reperibili i prodotti italiani risiede in città con

più di 8 milioni di abitanti.

Questionario, domanda-i

Crede che i prodotti italiani siano reperibili nella Sua città?

4,3%

55,7%

28,6%

11,4%

0,0%

20,0%

40,0%

60,0%

80,0%

100,0%

Per niente Poco Abbastanza Molto

Le interpretazioni delle risposte alla domanda -i- possono essere

molteplici, così come le conseguenti considerazioni; ciò che pare evidente

è che la distribuzione sarà nei prossimi anni un aspetto da non

Page 111: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

111

sottovalutare per il soddisfacimento dei crescenti bisogni degli abitanti

delle grandi aree urbane dell’Est del Paese (paragrafo 2.3).

Per l’elaborazione di efficienti strategie internazionali, tra cui la

configurazione delle attività che compongono la catena del valore

dell’impresa e le modalità di ingresso nel mercato, molto interessanti e

significative sono le risposte alla domanda -l-, di seguito riportata:

Questionario, domanda-l

Considera un prodotto di un brand italiano fabbricato in Cina, più italiano o più

cinese?

24,2%

50,0%

25,8% Più italiano, perché il

progetto e il design nascono

in Italia

Più cinese, perché di fatto

viene prodotto in Cina

Un po' italiano, un po' cinese

Il prodotto fabbricato in Cina viene percepito a tutti gli effetti cinese

dal 50% del campione: è questa una percentuale sorprendentemente alta

che rischia di inficiare, specialmente nelle produzioni manufatturiere dei

settori tradizionali, l’ottima reputazione detenuta dai produttori italiani

qualora questi ultimi delocalizzassero le proprie produzioni all’estero. Ad

esempio, il prodotto di lusso italiano (il capo di abbigliamento soprattutto)

prodotto in Cina perderebbe gravemente quelli che sono i tratti

caratteristici della propria essenza, percepita e molto apprezzata oltretutto

dallo stesso consumatore cinese: stile, tradizione e competenza artigianale,

originalità ed esclusività. Questo aspetto deve dunque esser tenuto in

considerazione da qualsiasi azienda che intenda trasferire al proprio

prodotto una netta identità nazionale e che voglia altresì trasferire la

produzione al di là dei confini domestici: minori costi di produzione

potrebbero comportare minore valore percepito dal cliente.

Page 112: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

112

Si è cercato poi di capire qual è l’approccio dei cinesi alla

contraffazione. È stato detto precedentemente (paragrafo 3.2.2) che la

Cina è uno dei punti nevralgici a livello mondiale di produzione di prodotti

contraffatti; si è detto poi che l’uso del brand da parte del consumatore

cinese è spesso funzionale alla ricerca di gratificazione sociale e che

dunque, più che la bontà del prodotto, è importante il simbolo da esibire,

vero o falso che sia. Queste sono senza dubbio generalizzazioni dalle quali

però sarebbe azzardato trarre delle indicazioni per l’elaborazione di precise

strategie aziendali: ciò che appare oggettivo e incontrovertibile è semmai

la difficoltà che i cinesi hanno nel riconoscere un prodotto originale dalla

copia contraffatta.

Questionario, domanda-m

Ha difficoltà a riconoscere un prodotto originale italiano da un finto prodotto

italiano?

30,4%59,5%

10,1%

Spesso ho difficoltà A volte ho difficoltà Non ho mai difficoltà

Il 90% circa del campione dichiara di aver difficoltà (spesso o a volte)

nel riconoscere un prodotto originale. Manca senz’altro l’abitudine e

l’esperienza in un mercato che si è aperto recentemente all’estero e che

ingloba un turbinio di marche e modelli che vengono proposti ad un

consumatore non ancora sensibile al dettaglio e non del tutto accorto

verso la scelta dei luoghi d’acquisto. Il consumatore cinese ha imparato a

basarsi sul prezzo (più è alto, più è garanzia di autenticità) e

Page 113: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

113

sull’esclusività del punto vendita. Questi fattori tuttavia potrebbero non

bastare, specialmente in ottica futura, quando non tutte le aziende

potranno permettersi di commercializzare i propri prodotti in negozi

monomarca o in grandi e prestigiosi centri commerciali. Al di là della

contraffazione, ci sono anche tante aziende estere che si appropriano di

alcuni elementi che richiamano l’Italia (ad esempio un brand name che

suona italiano pur con evidenti dissonanze fonetiche che sarebbero

riconoscibili immediatamente da un italiano) e propongono prodotti

sfruttando appunto il country of origin effect esercitato dall’Italia. È per

questo che, oltre che sul piano normativo, le aziende e il Sistema Paese

italiano devono necessariamente farsi conoscere e comunicare

incessantemente la propria identità, magari (a livello di Sistema)

adottando un’unica e coerente country image per l’estero. Un’altra

soluzione, forse la più importante, resta la qualità.

Questionario, domanda-n

Se avesse disponibilità economica, sarebbe disposto a pagare un prezzo molto più

alto pur di avere un prodotto originale e garantito piuttosto che un falso?

5,8% 5,8%

65,2%

23,2%

0,0%

10,0%

20,0%

30,0%

40,0%

50,0%

60,0%

70,0%

80,0%

90,0%

100,0%

No, non mi interessa se

è falso

No, meglio spendere

poco

Sì, però solo per

qualche prodotto

Sì, sempre

Parlando di qualità infatti, si rovescia la medaglia e si affronta l’altra

faccia della contraffazione, cioè la scelta (questa volta consapevole) del

consumatore che si trova a dover decidere se compiere o meno un certo

sacrificio economico per un prodotto originale. La domanda-n sollecita i

Page 114: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

114

rispondenti proprio su questo punto: i cinesi sembrano voler premiare

l’autenticità dei prodotti, anche a costo di un ingente sacrificio economico;

si tratta però prevalentemente di un sì con riserva, cioè una disponbilità a

certe condizioni (sì, però solo per qualche prodotto). La condizione

potrebbe essere appunto la qualità del prodotto, il suo possesso di

caratteristiche esclusive e il conferimento di prestigio al consumatore,

attributi per i quali il cinese è disposto a premiare il prodotto estero e a

spendere un prezzo alto.

Il questionario ha poi affrontato specificamente il settore

agroalimentare italiano. Innanzitutto, è stato chiesto al campione se la

cucina italiana è considerata distintiva o parte della cucina occidentale in

genere (domanda-o); ovviamente una percezione di carattere distintivo

permetterebbe di sfruttare strategie di differenziazione che

determinerebbero un vantaggio considerevole sulla concorrenza. Il 47,8%

del campione reputa la cucina italiana distintiva, mentre il 52,2% la

considera parte della cucina occidentale in genere. Si intende valutare

queste percentuali come un risultato positivo, o quantomeno incoraggiante,

per il settore agroalimentare italiano, anche alla luce delle risposte alla

domanda-q che delineano un quadro altamente eterogeneo per quanto

riguarda le esperienze di consumo e le preferenze culinarie dei cinesi.

Questionario, domanda-p

Saprebbe nominare alcuni prodotti tipici dell’alimentazione italiana?

Non risp Numero di preferenze espresse in percentuale sul totale dei rispondenti

22,9% Pasta 94,4% Pizza 51,9% Risotto 14,8% Tiramisù 13% Carne 11,1% Caffè 7,4%

La pasta è il piatto tipico per eccellenza, il prodotto che forse più di

qualunque altro può sfruttare la valenza della propria origine geografica.

La pizza è considerata un prodotto tipico dal 51,9% dei rispondenti, un

ottimo risultato se si pensa che tante esperienze di consumo, per questo

prodotto, in Cina sono state offerte da multinazionali americane (paragrafo

Page 115: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

115

2.2.2). A quanto pare, potrebbero essere questi due alimenti a fungere da

‘apripista’ per l’agroalimentare italiano in Cina e fare da ponte fra una

vasta e variegata offerta perlopiù sconosciuta ed un mercato altrettanto

vasto e ricettivo (anche il vino, con la sperimentazione di modelli di

consumo occidentali quali l’happy hour, potrebbe rappresentare un valido

veicolo dell’agroalimentare italiano. Il vino è stato menzionato da una

percentuale molto ridotta del campione, ma questa carenza è stata

probabilmente dovuta dalla natura della domanda).

Questionario, domanda-q

Ha mai mangiato in un autentico ristorante italiano in Cina?

15,7%

5,7% 7,1%

17,2%20,0%

34,3%

0,0%

10,0%

20,0%

30,0%

40,0%

No, la cucina

italiana non

mi attrae

No, la cucina

italiana è

troppo

costosa

Sì, ma non mi

è piaciuto

Sì, mi è

piaciuto

Ho mangiato

in un

ristorante

con cucina

italiana, ma

non credo

fosse

autentico

No, non ci

sono

autentici

ristoranti

italiani nella

mia città, ma

vorrei

provare

Con la domanda-q si è cercato di capire quali sono le possibilità di

successo per l’avvio di un’attività di ristorazione italiana in Cina, anch’essa

potenziale precorritrice di una conseguente esportazione dall’Italia verso la

Cina di prodotti del settore agroalimentare. Le interpretazioni delle

risposte sono molteplici: innanzitutto, le occasioni di consumo. Il 24,3%

del campione (sì, ma non mi è piaciuto + sì, mi è piaciuto) dichiara di aver

mangiato in un autentico ristorante italiano nel proprio paese; chi non lo

ha fatto, invece, dichiara di essersi recato in un presunto ristorante

italiano che ha propinato piatti non autentici (20%), di non aver avuto

Page 116: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

116

occasione di mangiare italiano poiché nella propria città non sono presenti

ristoranti autentici (34,3%) e di non aver provato per mancanza di

interesse (15,7%) e mancanza di convenienza (5,7%). La seconda

interpretazione delle risposte riguarda appunto la stima del mercato

potenziale al netto dell’interesse che la cucina italiana suscita fra i

consumatori cinesi: una percentuale non irrilevante del campione, il 28,5%

(no, la cucina italiana non mi attrae + no, la cucina italiana è troppo

costosa + sì, ma non mi è piaciuto) non sembra costituire un gruppo di

potenziali clienti della cucina italiana. Il dato percentualmente più

importante segnala tuttavia la mancanza di autentici ristoranti italiani nelle

città cinesi: l’incrocio di queste risposte con la variabile geografica non ha

mostrato particolari discrepanze; è cioè percepita l’assenza dei ristoranti

italiani sia nelle città di residenza del campione più piccole sia in quelle più

grandi. Ci sono comunque buone ragioni per reputare efficienti

investimenti i futuri insediamenti di attività di ristorazione italiane in Cina:

a fronte di una fisiologica mancanza di interesse verso la cucina italiana,

l’impedimento attuale ad un consumo abituale pare essere la mancanza di

reperibilità dell’offerta, sfruttata in buona misura da sostituti locali non

autentici.

Alla luce delle risposte date alle 3 domande (o-p-q) inerenti il

comparto agroalimentare italiano, pare in ogni caso necessaria una

promozione specifica del settore che possa ‘educare’ il consumatore e

stimolare la sua curiosità prima che i ristoratori o gli stessi prodotti

facciano il loro ingresso sul mercato.

I cinesi si mostrano sensibili e bendisposti verso la tradizione e la

storia di un brand: il 74,3% (r-2 65,7%; r-3 8,6%) ritiene migliore

un’azienda che vanta decenni di attività alle spalle piuttosto che una

appena nata. In alcuni casi, come testimonianza di esperienza e successo,

potrebbe premiare comunicare il numero di anni trascorsi dall’inizio della

propria attività.

Il questionario si conclude con una votazione ad alcuni attributi in

Page 117: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

117

grado di qualificare l’Italia sotto il profilo produttivo. Questo metodo è

usato nella letteratura di marketing per formulare un costrutto

multidimensionale che rappresenta, dal punto di vista produttivo appunto,

l’immagine paese.

Questionario, domanda-s

Valuti con una scelta fra 1 a 10 (1=assolutamente non rilevante; 10=molto

rilevante) questi attributi delle produzioni italiane

4,76

6,46

7,79

8,36

8,51

6,62

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Economicità

Contenuto tecnologico

Affidabilità/Durata

Qualità artigianale

Design

Innovatività

I cinesi premiano particolarmente, e questa è solo una conferma, il

design delle produzioni italiane. L’effetto paese positivo si ha inoltre con

quei prodotti che richiedono fasi di lavorazione artigianale, mentre per i

prodotti ad alto contenuto tecnologico non si registra una significativa

rilevanza produttiva. Così come nel sondaggio dell’Istituto ISPO,

l’affidabilità e la durata del prodotto italiano godono di una buona

considerazione. I prezzi dei prodotti italiani inoltre, per i cinesi, sono alti: si

è detto che questo aspetto tuttavia è tutt’altro che negativo.

6.2 Considerazioni conclusive

L’effetto paese esercitato dall’Italia in Cina è senz’altro positivo per i

prodotti dei settori tradizionali del Made in Italy. L’opportunità maggiore è

data proprio dalla necessità delle imprese italiane di puntare sulla qualità e

di riposizionare i propri prodotti in uno spazio percettivo di alto livello

qualitativo. A livello di domanda finale, i consumatori cinesi con un reddito

Page 118: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

118

medio-alto sono disposti a premiare le produzioni che affiancano alla

componente tangibile un elevato valore immateriale. L’effetto paese

tuttavia svanisce o è comunque poco rilevante per i beni del settore

automazione, destinati alla domanda intermedia e, ad oggi, costituenti il

50% circa del totale delle esportazioni italiane in Cina. Per il successo

dell’export italiano in Cina, altri fattori sono dunque determinanti: fra quelli

afferenti le dinamiche interne all’impresa è decisiva una continua e attenta

innovazione, oltre ad una consapevole pianificazione di marketing e all’uso

sinergico ed efficace delle politiche di marketing mix. Circa i fattori

determinanti del mercato cinese sono rilevanti invece gli accordi

commerciali, il sostegno istituzionale e la conoscenza dei vincoli burocratici

che assicurino una presenza mirata e possibilmente stabile in Cina (anche

solo a livello di immagine).

L’effetto del paese d’origine, benché riesca a premiare alcune

produzioni tipiche italiane, non può dunque essere da solo un elemento di

successo per il Made in Italy; in Cina, la promozione ha il ruolo essenziale

di sostenere e valorizzare quanto già percepito positivamente e di

costruire nel tempo una solida reputazione nazionale che si pensa potrà

ripagare nei prossimi anni, quando il mercato cinese sarà con molta

probabilità il polo mondiale dei consumi. La promozione deve correre

lungo due coppie di binari, quello autonomo aziendale e quello comune

istituzionale, che a volte devono incrociarsi e fondersi in un unico percorso

verso la stessa meta.

Per la singola azienda, condividere gli obiettivi con un partner locale

potrebbe rappresentare il primo passo verso una presenza duratura in

Cina; a fianco poi del sostegno istituzionale dei due paesi è indispensabile

anche sviluppare un’immagine autonoma e una politica di comunicazione e

di prodotto che, se in sintonia con un effetto paese positivo, deve basarsi

su elementi che richiamano l’italianità e, in ogni caso, l’esclusività.

A livello di Sistema invece, l’esigenza è quella di definire una

strategia promozionale coerente e comune fra tutti gli enti locali che

Page 119: Tesi Enrico Rosi. Percezione e promozione del Made in Italy in Cina

119

operano in svariate forme sul territorio cinese, oltre naturalmente a fornire

la consulenza e il sostegno finanziario idoneo per le PMI esportatrici.

L’attività promozionale istituzionale deve anche poter contare su una

solida cooperazione politica fra i due paesi; nondimeno, gli scambi culturali

rappresentano un ulteriore veicolo promozionale e il turismo deve poter

rappresentare il primo punto di contatto fra il patrimonio storico-artistico

italiano (riconosciuto ed apprezzato in Cina) e l’offerta Made in Italy.

L’integrazione, la conoscenza della cultura e delle tradizioni italiane

aiutano oltretutto il consumatore cinese a riconoscere le specialità del

Made in Italy e a fargli compiere delle scelte consapevoli che premiano

l’autenticità dei prodotti.

A proposito della modalità di ingresso sul mercato, al di là di una

valutazione di carattere economico, per i beni di consumo è auspicabile

per quanto possibile il mantenimento delle produzioni in Italia, al fine di

sfruttare appieno i vantaggi derivanti dal country of origin effect. È invece

consigliata una presenza in loco sotto forma di società commerciale con

una quota partecipativa propria, ufficio di rappresentanza o rete di vendita,

al fine di presidiare e conoscere meglio il mercato, piuttosto che affidarsi a

terzi come intermediari. Un fattore critico di successo è la reperibilità dei

prodotti e, nel prossimo futuro, quando anche le città cinesi di medie

dimensioni costituiranno un potenziale sbocco redditizio, sarà essenziale

assicurare un’adeguata presenza dei prodotti sul mercato.

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Appendice

Questionario in lingua cinese 请基于您的认知回答以下问题。请在你的选项旁边标记 X 或者在需要回答的问题下面写出答案。 个人信息 性别性别性别性别 男性 【】 女性 【】 年龄段年龄段年龄段年龄段 17~24 【】 25~30 【】 31~45 【】 46~70 【】 职业职业职业职业 …… 教育程度教育程度教育程度教育程度 中学 【】 高中 【】 大学 【】 城市城市城市城市 …… 开始问卷调查 谈到意大利谈到意大利谈到意大利谈到意大利,,,,您会想到哪些与以下项目有关的意大利的事物您会想到哪些与以下项目有关的意大利的事物您会想到哪些与以下项目有关的意大利的事物您会想到哪些与以下项目有关的意大利的事物? 城市: …… …… …… 大区: …… …… …… 著名人物: …… …… …… 著名事件(历史,文化,体育,文艺): …… …… …… 品牌: …… …… …… 著名产品: …… …… …… 在日常生活中在日常生活中在日常生活中在日常生活中,,,,您听到人们谈论意大利的频率是您听到人们谈论意大利的频率是您听到人们谈论意大利的频率是您听到人们谈论意大利的频率是? 从不 【】 很少 【】 经常 【】 当您听到人们谈论意大利时当您听到人们谈论意大利时当您听到人们谈论意大利时当您听到人们谈论意大利时,,,,会听到人们谈论关于意大利哪方面的消息会听到人们谈论关于意大利哪方面的消息会听到人们谈论关于意大利哪方面的消息会听到人们谈论关于意大利哪方面的消息?((((给出给出给出给出 1~~~~6个答案个答案个答案个答案)))) 时事 【】 政治 【】 经济 【】 工业和产品 【】 体育 【】 文化 【】 您觉得在您的城市可以购买到意大利产品吗您觉得在您的城市可以购买到意大利产品吗您觉得在您的城市可以购买到意大利产品吗您觉得在您的城市可以购买到意大利产品吗? 没有任何意大利产品 【】 很少 【】 比较多 【】 很多 【】

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您觉得在中国制造的意大您觉得在中国制造的意大您觉得在中国制造的意大您觉得在中国制造的意大利品牌的产品利品牌的产品利品牌的产品利品牌的产品,,,,更加算是意大利产品还是中国产品更加算是意大利产品还是中国产品更加算是意大利产品还是中国产品更加算是意大利产品还是中国产品? 更算是意大利产品,因为产品设计是在意大利完成 【】 更算是中国产品,因为在中国完成生产 【】 相比而言,更加算是意大利产品 【】 您能够识别出一件意大利产品是正品还是仿冒品吗您能够识别出一件意大利产品是正品还是仿冒品吗您能够识别出一件意大利产品是正品还是仿冒品吗您能够识别出一件意大利产品是正品还是仿冒品吗???? 经常会遇到困难 【】 有时会遇到困难 【】 不会遇到困难 【】 如果经济条件允许如果经济条件允许如果经济条件允许如果经济条件允许,,,,您愿意以相对较高的价格去购买有保证的意大利产品还是会买仿冒品您愿意以相对较高的价格去购买有保证的意大利产品还是会买仿冒品您愿意以相对较高的价格去购买有保证的意大利产品还是会买仿冒品您愿意以相对较高的价格去购买有保证的意大利产品还是会买仿冒品???? 不会,我不在乎是否是正品 【】 不会,花的钱越少越好 【】 是的,但是仅限于一些产品 【】 是的,一定会 【】 您觉得意大利菜属于您觉得意大利菜属于您觉得意大利菜属于您觉得意大利菜属于:::: 西方菜系的一种 【】 有特色的一个独立菜系 【】 您能说出一些意大利菜的名称吗您能说出一些意大利菜的名称吗您能说出一些意大利菜的名称吗您能说出一些意大利菜的名称吗???? …… …… …… …… 您在中国吃过正宗的意大利菜吗您在中国吃过正宗的意大利菜吗您在中国吃过正宗的意大利菜吗您在中国吃过正宗的意大利菜吗???? 没有,我不感兴趣 【】 没有,意大利菜太贵了 【】 没有,我的城市中没有正宗的意大利餐馆,但我想吃正宗的意大利菜 【】 有吃过,但我不喜欢 【】 有吃过,我很喜欢 【】 我在意大利餐馆吃过,但我不觉得那是正宗的意大利菜 【】 根据您的看法根据您的看法根据您的看法根据您的看法,,,,一家有很多年历史的意大利公司比一家刚一家有很多年历史的意大利公司比一家刚一家有很多年历史的意大利公司比一家刚一家有很多年历史的意大利公司比一家刚刚诞生的意大利公司更好吗刚诞生的意大利公司更好吗刚诞生的意大利公司更好吗刚诞生的意大利公司更好吗???? 不,对于很多产品来说这并不重要 【】 是的,对于一些科技产品和食品公司来说经验很重要 【】 是的,对于所有的产品都是这样 【】 请根据您的认知给以下意大利产品的特点做出评分请根据您的认知给以下意大利产品的特点做出评分请根据您的认知给以下意大利产品的特点做出评分请根据您的认知给以下意大利产品的特点做出评分 1~~~~10分分分分((((1分是根本没有此类特点分是根本没有此类特点分是根本没有此类特点分是根本没有此类特点 10分此类特点很显著分此类特点很显著分此类特点很显著分此类特点很显著)))) 创新 …… 设计 …… 手工质量 …… 可靠和经久耐用性 …… 科技含量 …… 经济性 …… 调查结束。您可以将您的问卷发送到 [email protected] 谢谢谢谢谢谢谢谢

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www.firstonline.it Cina: non solo fabbrica, ma anche mercato www.osservatoriodistretti.org 2° Rapporto Osservatorio Nazionale Distretti Italiani www.investment.gov.cn Catalogue for the Guidance of Foreign Investment Industries www.mincomes.it / www.sviluppoeconomico.gov.it Bando di gara appalto campagna comunicazione Italia in Cina www.transparency.it Corruption Perception Index 2011