Tesi e ricerche 20 - Centro studi libertari · Venezia, 25-27 marzo 1978, Convegno internazionale...

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37 Inserto speciale Ricordo di Clelia Premoli Fedeli Storia per immagini Le strips anni Settanta di “Anarchy” Memoria storica Il circolo di via Scaldasole Incontri Riflessione sull’antispecismo Anniversari La resistenza libertaria al bolscevismo Arte Pino Pinelli visto da Francesco Arena

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37Inserto speciale Ricordo diClelia Premoli Fedeli

Storia per immaginiLe strips anni Settantadi “Anarchy”

Memoria storicaIl circolo di via Scaldasole

IncontriRiflessione sull’antispecismo

AnniversariLa resistenza libertariaal bolscevismo

ArtePino Pinelli visto da Francesco Arena

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Cose nostre 8• 35 anni di attività anarchica: incontro conviviale a Milano• Il fondamento vivente delle architetturedel dominiodi Massimo Filippi e Filippo Trasatti• Nuove donazioni per la biblioteca/emeroteca• Errata corrige

Anniversari 12• La resistenza libertaria al bolscevismo• Machno, il cosacco dell’anarchia• Conversando con Mackhno di Ugo Fedeli

Tesi e ricerche 20INSERTO SPECIALE

• “Ho fatto impallidire il tribunale”Clelia Premoli nell’anarchismo internazionale (1916-1974)di Antonio Senta

Storia per immagini 32FUMETTI

• La rivolta machnovista in Ucraina• La rivolta dei marinai di KronstadtARTE

• A colloquio con Francesco Arenaa cura di Luca Vitone

Memoria storica 42• Quei ragazzi di via Scaldasoledi Pietro Spica

Incontri 44• Filosofia dell’anarchia: teorie libertarie,pratiche quotidiane e ontologiadi Andrea Breda

Anarchivi 46• XV incontro della FICEDLa Lisbona• Bibliografia anarchicain lingua francese 2010

Hanno collaborato a questo numero, oltre agli autori delle varie schede,Amedeo Bertolo, Rossella Di Leo, Luciano Lanza, Lorenzo Pezzica,

Gaia Raimondi, Andrea Staid, Cesare VurchioImpaginazione grafica: Emilio BibiniRicerca iconografica: Roberto Gimmi, Gianfranco AresiIn copertina: Clelia Premoli Fedeli nel 1955.Quarta di copertina: Scritta anonima in memoria di Gaetano Bresci

sulle rovine del carcere in cui venne rinchiuso e “suicidato”.37

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Il 2011 è stato un anno di ricorrenze. Non solo la rivista “A” hacompiuto 40 anni e la casa editrice Elèuthera 25, ma anche il

nostro centro studi/archivio compie a settembre 35 anni di attività.Il progetto muove infatti i primi passi al Convegno internazionaledi studi bakuniniani che si è tenuto nel settembre 1976 a Venezia.Da lì è iniziato un cammino pluridecennale che nel tempo si è svi-luppato lungo linee parallele. In parte, abbiamo infatti voluto ri-costruire e rivisitare le nostre radici storiche, in un periodo in cuiquesto patrimonio di idee e azioni rischiava di cadere nell’oblio eandare materialmente disperso. Il compito di preservare e alimen-tare la memoria anarchica se lo è assunto l’Archivio Giuseppe Pi-nelli, nato intorno alla modesta biblioteca messa insieme dalgruppo Bandiera Nera di Milano (allora non c’era circolo che nonavesse la sua biblioteca), e poi arricchita da donazioni importanticome quelle di Pio Turroni, Michele Damiani, Luciano Farinelli,Luce Fabbri, Eliane Vincileoni e tanti altri. Parallelamente, il Centro studi libertari si è invece posto l’obiettivodi indagare e promuovere la cultura anarchica e libertaria del qui eora, proponendosi di ripensare l’anarchismo classico alla luce nonsolo dei profondi cambiamenti in atto, ma anche della feconda in-fluenza reciproca con pensieri e sensibilità libertarie diverse macontigue. Se nel primo caso, quello della memoria, abbiamo fattodell’eterodossia un metodo, cercando di cogliere la complessitàdell’anarchismo al di fuori della prevalente vulgata, nel secondo,quello di una riflessione innovativa nel contesto di una postmo-dernità in fieri, abbiamo fatto del riferimento costante ai valori e aimetodi anarchici la nostra bussola.È stato un viaggio lungo, intenso e mai banale, che ha coinvolto unnumero incalcolabile di compagni di strada. Nelle pagine che se-guono, tentiamo di ricostruire a grandi linee questo percorso at-traverso una serie di immagini che ci porta all’oggi. Perché ovvia-mente il viaggio non è finito. Dunque avanti, si continua. Senzaillusioni e senza rimpianti, come ci ha insegnato Louis MercierVega. Con la tenacia di chi costruisce e ricostruisce senza posa,come ci ha insegnato Pio Turroni, muratore anarchico. Sempregrati per la straordinaria generosità di alcuni, Attilio Bortolotti inparticolare, che ci hanno consentito di andare avanti per decenni(senza chiedere contributi pubblici), di avere spazi sufficienti incui depositare e ordinare, scaffale dopo scaffale, una memoriatutt’altro che virtuale. Solidali e grati infine verso i tanti che cihanno aiutato a realizzare con la militanza e la passione quello chealtrove si realizza con i soldi e il tornaconto personale. È stato un viaggio lungo, spesso faticoso, durante il quale ci siamotalvolta chiesti se avesse senso continuare, se lo sforzo non fossesproporzionato all’obiettivo e ai tempi. Se siamo qui è perché la ri-sposta ce la siamo data.

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Quella che segue è una carrellata diimmagini che ci consente di ripercorrereinsieme la nostra storia. In effetti possia-mo farlo soprattutto attraverso i momentipubblici, per i quali esiste (e neppuresempre) una documentazione fotografica.Documentazione che è invece quasi deltutto assente per l’impegno quotidiano,anche se ovviamente è questa la parteprevalente. Ma tant’è, ecco questa sortadi “come eravamo” che ci porta (a grandibalzi e con ovvie omissioni) all’oggi.

1. Venezia, 24-26 settembre 1976, Convegnointernazionale di studi bakuniniani. È durantequesto convegno – che come tutti quelli orga-nizzati negli anni a Venezia è fatto in collabo-razione con il gruppo Nestor Machno diMarghera, poi Laboratorio libertario – cheviene annunciata la nascita a Milano delCentro studi libertari Giuseppe Pinelli.

2. Non a caso l’archivio è dedicato a Giusep-pe Pinelli: il gruppo fondatore è infatti Ban-diera Nera di Milano, lo stesso in cui ha sem-pre militato Pino, qui in una delle sue ultimeapparizioni pubbliche insieme all’amico ecompagno Cesare Vurchio (a sinistra).

3. La prima sede, molto spartana e ancoracon tanto spazio, sarà in viale Monza 255.Nel 1987 il centro studi/archivio, già ingran-dito, si trasferirà nei locali di via Rovetta 27e dal 2006, con l’espandersi della bibliote-ca/emeroteca, avrà a disposizione dei nuovilocali non lontani dalla sede principale.

4. Venezia, 25-27 marzo 1978, Convegnointernazionale di studi su i nuovi padroni. Lariflessione sulla tecnoburocrazia segna inmaniera forte il lavoro di ricerca di questiprimi anni, portato avanti in stretta collabo-

razione con la rivista “Interrogations” eLouis Mercier Vega. Nella foto, da sinistra adestra, Nico Berti, Roberto Ambrosoli, Ame-deo Bertolo e Luciano Lanza.

5. Venezia, 28-30 settembre 1979, Convegnointernazionale di studi sull’autogestione.Nella progressione dei convegni internazio-nali organizzati negli anni Settanta, questochiude la serie con una formidabile parteci-pazione di oltre mille persone presenti ailavori. Sono ancora i ruggenti anni Settanta,ma il riflusso è dietro l’angolo...

6. L’attività non era scandita solo da conve-gni e seminari. Qui una “festa astensionista”per le elezioni del 1979 nel cortile di vialeMonza, con tanto di schede infilzate sul palo.

7. Milano, 26-27 settembre 1981, L’utopia.Giornate di studio sull’immaginazione sov-versiva. Negli anni Ottanta la riflessione sisposta verso altre aree di ricerca e in parti-colare verso il concetto di immaginario apartire dalle elaborazioni di Cornelius Casto-riadis. Nella foto (da sinistra a destra) NicoBerti, Luciano Lanza ed Eduardo Colombo alconvegno sull’utopia.

8. 24-30 settembre 1984, Venezia, Campo SanPolo/Campo Santa Margherita/Facoltà diArchitettura, Incontro internazionale anarchicoVenezia ‘84. Sicuramente l’incontro più impe-gnativo di tutti questi decenni, cui partecipanooltre 3.000 persone provenienti da circa 30paesi (Corea e Cina comprese). Il libro foto-grafico Ciao anarchici ci dà oggi, a ventisetteanni di distanza, una vivida testimonianza diquell’evento che ha messo insieme i tantianarchismi e le diverse generazioni. Nella foto(da sinistra a destra) Nico Berti, Amedeo Ber-tolo, Colin Ward, Murray Bookchin.

4Come eravamo

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9. Milano, 15-19 dicembre 1986, Re Ubu aChernobyl, ovvero da Pinelli all’Apocalisse,performance teatrale, per la regia di MarioMattia Giorgetti, in cui attori-mimi animanole sagome realizzate nel laboratorio artisticodiretto da Enrico Baj.

10. Lyon, 30-31 ottobre/1 novembre 1987,Anarchica, riflessioni sulla diseguaglianzasessuale, incontro organizzato in collabora-zione con l’Atelier de Création Libertaire.Nel corso di tutti questi anni molte delle rela-zioni discusse durante i convegni e i seminarisono state pubblicate, fino alla sua chiusuranel 1996, sulla rivista “Volontà”.

11. Dalla sua costituzione nel 1978, questidecenni sono stati scansiti dalle periodicheriunioni della FICEDL (Fédération Interna-tionale des Centres d’Etudes et de Documen-tation Libertaires). Nella foto l’incontro bien-nale che si è tenuto alla fine degli anniOttanta nella sede del nostro archivio.

12. Milano, 8 aprile 1995, giornata di studiin occasione del 50° anniversario della resi-stenza su Le Brigate “Bruzzi-Malatesta” e ilcontributo degli anarchici alla Resistenza(1943-1945), in collaborazione con la Fonda-zione Kuliscioff. In occasione di questoincontro è stato realizzato, grazie a FerroPiludu e Lucilla Salimei, anche il video Glianarchici nella Resistenza, basato su intervi-ste originali a vecchi partigiani anarchici divarie parti d’Italia.

13. Roma, Libreria Internazionale Il Manife-sto, 19 ottobre 1996, giornata di studi suCamillo Berneri, un anarchico tra Gramsci eGobetti, organizzata in collaborazione con“il Manifesto”, “Rivista storica dell’anarchi-smo” e Libreria Anomalia di Roma. Nella

foto (da sinistra a destra) Valentino Parlato,Gabriele Polo, Claudio Venza, Nico Berti,Enzo Santarelli e Aldo Garzia.

14. Venezia, 5-7 maggio 2000, convegnointernazionale di studi Anarchici ed ebrei,storia di un incontro. Una inedita ricostruzio-ne storica per rispondere alla domanda:come mai tanti militanti e tanti pensatorianarchici hanno avuto origini ebraiche?Nella foto Judith Malina, Hanon Reznikov ealtri membri del Living Theatre durante laloro esibizione nell’ambito del convegno.

15. Marghera, 4-5 luglio 2009, Anarchismo,post-anarchismo e nuovi anarchismi, semina-rio dedicato alle nuove riflessioni in ambitofilosofico organizzato in collaborazione con ilLaboratorio libertario di Marghera. Qui unafoto di gruppo di chi ha partecipato alladiscussione, introdotta da Salvo Vaccaro,Vivien García, Tomás Ibáñez e Mário RuíPinto.

16. Milano, 30 maggio 2010, Anarchia comeorganizzazione: ricordando Colin Ward, unomaggio alla memoria dell’anarchico ingleseappena scomparso, con il quale si era svilup-pata nel corso dei decenni una lunga e ami-cale collaborazione. All’incontro è stato pre-sentato il filmato La pratica della libertà,un’intervista inedita a Colin Ward realizzatada Paolo Cottino ora visibile su YouTube.

17. Milano, 6 novembre 2010, seminarioRivoluzione?, in collaborazione con A.speri-menti. Le relazioni al seminario, che ha inau-gurato la sede secondaria del centrostudi/archivio, in via Jaures a Milano, sonostata pubblicate nell’omonimo libro, edito daA.sperimenti e liberamente scaricabile anchedal nostro sito.

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35 annidi attivitàanarchica:incontro

conviviale aMilano

sabato 10 settembre 2011

Per festeggiare insieme i35 anni di attività anar-chica del nostro centrostudi/archivio l’appunta-mento è per sabato 10 set-tembre alla Cascina Auto-gestita Torchierasenz’acqua di Milano(Piazzale Cimitero Mag-giore 18, MM1 Uruguay,

bus 40 tram 14). Ecco ilprogramma di massima,ancora in corso di defini-zione, in cui abbiamo cer-cato di far rientrare laparte più storica, di con-servazione della memoria,e quella più legata alla ri-flessione attuale sui saperie le pratiche della contem-poraneità. Vi aspettiamo aMilano!

ore 16.00Saper creareEco-hackingciclofficina, file sharing,riuso e rimessa in uso,scambio di saperi

ore 18.00:Saper ricordareArchivi anarchici: No fu-ture? Sull’utilità e ildanno degli archivi per lastoria: la memoria storicatra custodia del passato eprogetto per il futuro a cura di Lorenzo Pezzica

Il titolo è ovviamente unacitazione provocatoria cherimanda alla questione at-tualissima del rapportomemoria/oblio con la suapreoccupata visione di unoggi dove i giovani (e nonsolo) sembrano aver persoun rapporto significativocon il passato. Il rischio èdi vivere in un presentepermanente: un’occasioneghiotta per il ogni tipo dipotere. L’incontro vuol es-sere l’occasione per riflet-tere sull’importanza degliarchivi, delle biblioteche edei centri di documenta-zione anarchici e sul ruolodelle fonti – e sulla loroaccessibilità – per rico-struire una memoria sto-rica da tramandare: comeva narrata la storia? cosaancora ci può insegnare?con quali fonti, mezzi,scopi?

ore 19.00Saper gustareLa società convivialea cura di Andrea Perin

aperitivo con buffet

ore 20.30: Saper raccontareReading musicale pervoce e sassofono con Paolo PasiLa poetica di Fabrizio DeAndré con Carlo GhirardatoConcerto acustico conAlessio Lega

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ore 22.00: Saper autoprodurreinterventi musicali diTetano, punx per l’anar-chia da Benevento Ultimo Giro, hc da NapoliKalashnikov Collective,romantic punx da MilanoDrowning dog e Dj Mala-testa, anarchist rap da SanFrancisco-Milano Acero Moretti, anarchistrap da Rozzano-Milano

Il nostro sito

Sempre nell’ambito delle“celebrazioni” per questaricorrenza, stiamo arric-chendo il nostro sito –www.centrostudiliber-tari.it – di nuovi materialie immagini, lavoro che siprotrarrà per tutto l’au-tunno. Segnaliamo chesono invece già disponibilidiversi materiali, e in par-ticolare la storia di questidecenni egregiamente ri-costruita da Luigi Balsa-mini (La nostra storia);l’elenco delle attivitàsvolte con il lungo elencodelle tante persone chehanno condiviso con noi illoro sapere e le loro espe-rienze (Attività); tutti i nu-meri del Bollettino seme-strale dell’Archivio Pinellicon la sua storia minore;una selezione delle ricer-che fatte, con testi scarica-bili in formato pdf.

Sabato 29 ottobre 2011 ilcentro studi organizza unseminario di studio dedi-cato al tema dell’antispe-

cismo. Il seminario siterrà nei nuovi locali di

via Jean Jaures a Milanocon inizio alle ore 14. Perpartecipare al seminario,

qui presentato dai suoicoordinatori, è necessarioiscriversi confermando lapropria adesione via mail

o telefonicamente.

Il fonda-mento

vivente dellearchitetturedel dominio

di Massimo Filippi e Filippo Trasatti

Il seminario proponecome oggetto di rifles-sione la questione del fon-damento specista del do-minio, ossia di come lalunga storia della domesti-cazione e dello sfrutta-mento animale, la costru-zione di un’ideologiaantropocentrica che giu-stifica il dominio incon-trastato della specieumana sui viventi dellaTerra, siano il fondamento

occulto (e operante a di-versi livelli) del dominiointraspecifico.Si tratta in altri termini dimostrare come l’opera-zione fondativa che separaviolentemente l’uomo dal-l’animale, quella mac-china antropogenica chetrasforma la differenza ingerarchia e dominio,possa essere assunta comechiave di lettura per unamolteplicità di fenomenicontemporanei caratteriz-zati da quella che si puòdefinire come l’estensionedella “biopolitica” (su cuia partire dagli anni Set-tanta ha attirato l’atten-zione Michel Foucault)come progressiva diffu-sione di una politica diproduzione, incremento egoverno sulla vita. A par-tire da qui si declinanoquell’insieme di tecnolo-gie del potere che miranoalla cura della popola-zione come specie, all’in-cremento dell’efficienzalavorativa, gestione e pro-mozione dell’istruzionesociale, salute, riposo,emarginazione di alcuneforze sotto lo stigma dellafollia e della perversione,attraverso la medicina so-ciale, profilassi, igiene,miglioramento razziale,riproduzione.Ora si può affermare chela chiave di lettura anti-specista è in grado di ve-dere la genesi e l’evolu-

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zione di queste tecniche epratiche e nel corso diquesto seminario si èscelto di farlo attraversol’analisi delle architetturedel dominio: Grattacielo,Albergo, Campo, Labi-rinto, Tana, Travi…A partire da qui, dopoaver analizzato le architet-ture del dominio, si puòcominciare a pensare al-l’utopia di altri luoghi,dove gli animali e noi conloro saranno di casa. Astanze con infiniti pas-saggi e vie di fuga, astanze dove la vita nonsarà acriticamente esaltatao violentemente annien-tata, a stanze dove nonavranno più posto le astra-zioni spiritualistiche econcettuali rappresentatedalle specie, dagli indivi-dui, dalle persone e dallefigure medie della scienzae del diritto, ma dove abi-teranno singolarità imper-sonali, accomunate dalleloro irriducibili diffe-renze.

Per non partire da zero,proponiamo all’attenzionedei partecipanti alcunitesti che possono essereun’utile premessa alla di-scussione.

Letture di riferimento

Michel Foucault, La vo-lontà di sapere, Feltri-nelli, Milano, 1978 (in

part. il cap. quinto: Dirittodi morte e potere sullavita).Michel Foucault, Bisognadifendere la società, Fel-trinelli, Milano, 1998(in part. Lezione del 17marzo 1976).Roberto Esposito, Bios.Biopolitica e filosofia, Ei-naudi, Torino, 2004.Roberto Esposito, Terminidella politica, Mimesis,Milano, 2009 (in part.parte terza).Giorgio Agamben, Homosacer, Einaudi, Torino,1995 (in part. parte terza:Il campo come paradigmabiopolitico del moderno).Giorgio Agamben, L’A-perto, Bollati Boringhieri,Torino, 2002.Jacques Derrida, L’ani-male che dunque sono,Jaca Book, Milano, 2006.Jacques Derrida, La bestiae il sovrano, Jaca Book,Milano, 2009.Alain Brossat Droit à lavie?, Seuil, Parigi, 2010.Materiali su antispecismotratti da saggi di MassimoFilippi e Filippo Trasatti,in particolare: Nell’al-bergo di Adamo, Mimesis,Milano, 2010 e I marginidei diritti animali, Ortica,Aprilia, 2011.

Nuove donazioni

per labiblioteca/emeroteca

A circa quindici anni dallamorte di Attilio Bortolotti,avvenuta nel febbraio1995, la parte restantedella sua biblioteca (dopola donazione fatta neglianni Ottanta agli EmmaGoldman Papers di SanFrancisco) è stata suddi-visa per volontà del figlioLee fra tre archivi anar-chici: il CIRA di Lau-sanne, l’archivio CarloVanza di Locarno e il no-stro archivio. A noi sonoarrivati i carteggi degli ul-timi anni di vita di Attilioe i libri non in italiano, inprevalenza quelli in linguaspagnola e portoghese.Tra gli autori principali:Victor Garcia, FedericoArcos, José Peirats, AbelPaz, Federica Montseny,Joan Ferrer, Edgar Rodri-guez. Il piccolo fondo, an-cora da catalogare, in-clude anche alcune testaterecenti, come “A Ideia”,“Antitese”, “Umbral”,“Polemica”, “Orto” e “Ellibertario”. Grazie a Lee per questaulteriore presenza di Atti-

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lio nella nostra biblioteca-emeroteca.

Siamo inoltre stati avver-titi dai suoi esecutori te-stamentari che l’amicoCarlo Ottino di Torino,che da anni seguiva la no-stra attività, ha lasciato di-sposizione che dopo lasua morte, avvenuta loscorso 25 aprile, la partedella sua biblioteca dedi-cata all’anarchismo ve-nisse donata all’ArchivioPinelli, cosa che diventeràeffettiva dall’autunno. Un grazie postumo a que-sto rigoroso amico laico.

Errata corrige

Abbiamo ricevuto due se-gnalazioni per correggeredue nostri svarioni e vo-lentieri le pubblichiamo. La prima rettifica ci arrivada Roberto Carocci, il cuiarticolo Il laboratorio ro-

mano dell’anarchismo èstato pubblicato nel Bol-lettino 35. Nella frase se-guente, all’interno dellaseconda colonna di p. 20,è saltata una riga e sonoscomparsi alcuni nomi,per cui la lettura correttadel brano è la seguente:

“Cesare Colizza, AttilioPaolinelli, Argo Secon-dari e altri furono inter-preti eccentrici di ipotesieversive spurie, nellequali si coniugarono leistanze di classe con ilcombattentismo più dispo-nibile all’azione popolare,fino alla nascita della se-zione romana degli Arditidel Popolo”.

Mauro De Agostini ci fainvece notare che nell’ar-ticolo Dalla Sûreté alKGB e ritorno, pubblicatosul Bollettino 36, c’è unerrore nella frase se-guente:

E si badi all’anno di que-sta “oculata” richiesta: il

1926, l’anno delle leggi“fascistissime”, con lequali si ha la trasforma-zione dello Stato nel re-gime fascista vero e pro-prio, con la messafuorilegge di partiti e mo-vimenti e la chiusura digiornali, tra i quali“Umanità Nova”.

In effetti la chiusura di“Umanità Nova” è prece-dente, essendo avvenutagià del 1922, mentre nel1926 a dover chiudere ibattenti è la rivista “Pen-siero e Volontà”.

Grazie a entrambi per leprecisazioni.

11 Cose nostre

Da sinistra a destra: Libera, Lee e Attilio Bortolotti insieme a FedericoArcos a Windsor (Canada) alla fine degli anni Ottanta

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La resistenza

libertaria albolscevismo

Il 1921 è un anno crucialeper la storia dell’anarchi-smo, perché rende dram-maticamente evidentel’impossibilità di dare unasvolta libertaria alla rivo-luzione russa. In quell’an-no il nascente regime bol-scevico liquida in modoirreversibile la resistenzadi anarchici e libertari. Cisono tre momenti crucialiche segnano simbolica-mente questo passaggio:la morte di Kropotkin,l’annientamento dellarivolta di Kronstadt e lasconfitta militare dellamachnovcina in Ucraina. Il primo episodio, al di làdell’ovvio dato anagrafico(Kropotkin muore settan-tanovenne), è significativoperché i suoi funerali (ilcui filmato, dove si rico-noscono Emma Goldmane Aleksander Berkman, èora visibile su:http://bakunista.nadir.org/downloads/video/Kro-potkin.avi) sono l’ultimamanifestazione anarchicaprima del gelo dei gulag.A dire il vero, per glianarchici il tempo dellarepressione è già iniziato,tanto che un buon numero

di quelli che partecipanoai funerali sono in realtàprigionieri politici rila-sciati per un solo giornoappunto per assistere allacerimonia. Non proprioun “onore delle armi”,come si è talvolta detto,verso i vecchi compagnidi barricata, tanto che in

cambio di quelli provviso-riamente rilasciati altrianarchici vengono tratte-nuti come ostaggi in atte-sa del loro ritorno. Di lì apoco anche una possibilitàcome questa sarà del tuttoinimmaginabile. Il secondo episodio è lanotissima rivolta dei mari-nai di Kronstadt, schiac-ciata dall’Armata Rossaagli ordini di Leon Trot-sky, allora tra i massimiartefici del nascente regi-me bolscevico. Il terzo èla sconfitta militare diquell’armata contadinache in Ucraina, influenza-ta da anarchici comeMachno, Volin, Arsinov,sta tentando di dareun’impronta libertaria allarivoluzione sociale in atto. A novant’anni da queglieventi vogliamo ricordarlisenza tuttavia affrontarequell’anno così critico perla storia del Novecento intutta la sua complessità.Anzi, lo facciamo inan

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i Un’immagine tratta dal filmato dei funerali di Kropotkin,

morto a Mosca l’8 febbraio 1921

12Anniversari

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modo piuttosto insolito,rimandando più che a testi(anche se ripubblichiamol’intervista a Machno diUgo Fedeli) a immagini.In particolare, rimandia-mo al filmato sugli eventiin Ucraina prodotto dalnostro centro studi/archi-vio in formato vhs nel2000 e ora riproposto informato dvd, e alle rico-struzioni di questi dueavvenimenti storici propo-ste dalle strips pubblicatenegli anni Settanta dallarivista americana “Anar-chy” (vedi sezione Storiaper immagini). Sia labreve storia a fumettidedicata a Machno, siaquella dedicata agli eventidi Kronstadt sono statepubblicate nel 1978 sulprimo numero della rivistaamericana, di cui sonousciti in tutto tre numeri.

Machno, il cosacco

dell’anarchiaTra il 1918 e il 1921Nestor Ivanovic Machno èla figura centrale di unvasto movimento contadi-no che coinvolge unaregione dell’Ucraina gran-de quanto la pianura pada-na. A capo di un esercitoinsurrezionale che da lui

prende il nome (machnov-cina) e che arriva a conta-re fino a 50.000 effettivi,combatte (a tratti alleatodell’Armata Rossa, a trattisuo avversario) controoccupanti austro-tedeschi,nazionalisti ucraini erevanscisti zaristi, dandoun contributo fondamenta-le alla disfatta dei Bianchidi Denikin e Wrangel.L’armata machnovista,che innesca e sostiene unagrandiosa jacquerie conta-dina con notevoli esperi-menti di autogestione edemocrazia diretta, vieneinfine proditoriamenteannientata dagli ex-alleatibolscevichi.Dopo i lunghi decenni di

silenzio imposti dalla sto-ria ufficiale, Hélène Châ-telain, regista belga difamiglia russo-ucraina, ètornata sui luoghi dellamachnovcina raccogliendoinedite testimonianze cheattestano una sorprendentesopravvivenza della figuradi Machno nell’immagina-rio popolare. Viene cosìricostruita, anche attraver-so rare immagini d’archi-vio, non solo l’insurrezio-ne libertaria, ma anche lavita straordinaria del suoleader carismatico.Dopo la sconfitta militareMachno è costretto a fug-gire dall’Ucraina e, dopovarie peregrinazioni, nel1925 si rifugia infine aParigi. Lo insegue unadomanda di estradizioneda parte del nuovo regimedi Mosca per “tradimentodella patria, omicidio esaccheggio”. Muore inesilio nel 1934 in un infi-mo alberghetto parigino.Eppure, la sua tomba alcimitero di Père Lachaiseè ancor oggi meta di uncurioso pellegrinaggiolaico, come testimonianole scritte lasciate non soloda anarchici, ma anche davisitatori ucraini che nonhanno dimenticato la sto-ria ormai leggendaria delloro Bat’ko Machno, il“piccolo padre” chenovant’anni fa aveva datosperanza alla loro aspira-zione di libertà.

Per elèuthera (www.eleuthe-ra.it) è in uscita il cofanettoLa rivoluzione anarchica in

Ucraina, 1918-1921, compo-sto dal libro di Alexander

Shubin, Bandiera nera sull’U-craina, guerriglia libertaria erivoluzione contadina, e dal

dvd Nestor Machno, il cosac-co dell’anarchia di HélèneChâtelain (59’30’’, colore)

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Questa testimonianza diprima mano scritta da

Fedeli è stata pubblicatasul numero 7 di

“Volontà” del 1947. La riportiamo integral-

mente nella versione ori-ginale come contributoalla ricostruzione di unuomo e di un periodo.

Conversando con Nestor

Machnodi Ugo Fedeli

Il compagno NestorMachno è oramai mortoda parecchi anni, e quelliche possono portare uncontributo allo studio deiproblemi che il Movimen-to Insurrezionale dei Con-tadini Ucraini, Machnovi-sta, ha sollevato, benpochi sono oramai. Qual-cuno passato al bolscevi-smo, ha tutto l’interesse atacere, gli altri sono quasitutti scomparsi. Eppure,proprio ora, particolar-mente in Italia, incomin-cia un vivo interessamen-to attorno all’esperienzadi questo movimento.In proposito ho ritrovatoalcune vecchie note diuna conversazione avutacol Machno. quando que-sti, dopo esser riuscito ascappare dalla Romania,

dove era stato fatto pri-gioniero, e dal campo diconcentramento polacco,raggiunse la Germania.Notavo allora, e a piùragione ora, come la suapopolarità avesse varcatogià da lungo tempo lefrontiere dell’Ucrainaribelle, che fu per circacinque anni il teatro del-l’epopea Machnovista,per arrivare sino a noi.Disgraziatamente ancoratroppi compagni, troppirivoluzionari, posseggonouna deficiente conoscenzadell’insieme e soprattuttodella profondità raggiuntadal movimento insurre-zionale dei contadiniucraini per poter valutaretutta l’importanza e lavastità dell’opera svoltada questo ribelle.Troppe cose, in parte perle difficoltà di poterlecontrollare, ma soprattut-to per la vena “poetica” dialcuni, che invece di rac-contare fatti ed avveni-menti, fecero della poesia,contribuendo così a nutri-re e dare forma leggenda-ria a fatti che non eranoche storici. Fu così creatapiù che una idea confusa,una falsa, su questoimportante avvenimentodella storia della rivolu-zione russa.Molti errori vennero giàcorretti e molte leggendesfatate, grazie soprattuttoalla documentazione che

l’Arshinov per primoportò col suo libro: Storiadel Movimento Makhno-vista. Ma le leggende e leesagerazioni che ancoracircondano e gli uomini etutto il movimento mach-novista mi hanno convin-to che l’avere, dallo stes-so Machno direttamente,la conferma o la smentitadi certi fatti sarebbe statosempre un contributo utilealla storia della rivoluzio-ne russa, del nostro movi-mento e soprattutto del-l’attività nostra in taleperiodo. In una amiche-vole conversazione è piùfacile che in qualsiasialtro modo rilevare tuttiquei particolari che in unprimo tempo possonosembrare di secondariaimportanza, mentremeglio di molti altri rie-scono a mettere in lucetutto un avvenimento, afarlo comprendere emagari amare.Le origini della Machno-vicina, mi sembra sianostate insufficientementemesse in rilievo, mentreche molto bene potrebbe-ro dimostrare quantofosse radicata l’aspirazio-ne del basso popolo, dellaclasse più povera ma piùnumerosa dell’Ucraina,verso una forma di vitamigliore, e come in que-sto movimento vedesse ilmezzo potente per con-quistare la libertà da tutti

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schiacciata e il benessereda tutti promesso ma nonportato.L’essenza veramentepopolare di questo movi-mento insurrezionale stanel fatto che per lunghianni, senza costrizioni disorta, il movimento rac-colse il fior fiore delpopolo ucraino nella lottacontro i vari e numerosinemici che tentarono, avarie riprese, di curvarlosotto il loro giogo.Machno era figlio di con-tadini poveri e contadinolui stesso. Uscito di pri-gione all’avvento dellarivoluzione, visse semprecoi contadini e con lorocombatté per la libertà eduna migliore esistenza.Dopo cinque anni di lottaveramente epica, sconfittoe soprattutto gravementeferito, riparò all’estero.Fu un vero calvario: mamai abdicò.Dacché era sortito dall’U-craina ribelle, NestorMachno non aveva avutoun attimo di riposo né ditregua. Braccato in tutti ipaesi come una belva,egli non aveva trovatoospitalità che nelle prigio-ni. Nessun paese osavaospitarlo. Così in Roma-nia. così in Polonia aDanzica. In ogni paese siripeteva la medesima sto-ria, qualunque fosse ilpoliziotto che lo arrestas-se: prigione, processo,

campo di concentramentoin attesa di nuove decisio-ni, fuga.E quando con sforzi esacrifici immensi riuscivaa fuggire da qualcuno diquesti luoghi, nel nuovopaese dove capitava, loattendeva una ugualesorte.Qualcuno forse si ricor-derà ancora oggi come,dopo essere riuscito adevadere da un campo diconcentramento rumenoed arrivare in Polonia,fosse arrestato subito edaccusato ora non mi ricor-do più di quanti misfatti,e della campagna che sifu costretti a condurre per

poterlo strappare dallemani del carnefice polac-co. Fu solo l’esito fortu-nato di tale azione cheriuscì a fargli concedereun po’ più di libertà e cosìanche a fargli trovare lapossibilità di fuggire.Dalla Polonia riparò aDanzica. Nuova galera,nuova fuga, infine la Ger-mania, poi la Franciadove morì.Nei brevi intervalli dilibertà e di relativa calmadella sua vita egli lavorò;lavoro intellettuale emanuale perché nemmenonell’emigrazione dimen-ticò d’essere un figlio delpopolo.

“L’esercito machnovista non è un esercito anarchico. L’ideale divita anarchico non può essere difeso da un esercito, qualunqueesso sia. Esso è assolutamente impotente e nefasto per quanto

concerne la formazione della coscienza e la capacità di creare.Ma ogni machnovista è un possibile anarchico e, quando a guerra

finita ritornerà a casa, sarà un costruttore di futuro”Nestor Machno

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Scrisse numerosissimiarticoli, ma diede manoall’opera che gli stava piùa cuore, la sua autobio-grafia, che indubbiamentese fosse riuscita a vederela luce tutta avrebbe por-tato un contributo impor-tantissimo nella chiarifi-cazione di molti episodidella rivoluzione russa esoprattutto di quelliriguardanti l’insurrezionedei contadini ucraini. Male difficoltà finanziarie dauna parte, nonostante ilmecenatismo di un bravocompagno francese, e lamalattia dall’altra impedi-rono al Machno di portarea termine l’opera sua.Ci ritrovammo… Ma diche cosa parlare quandoinfinite sono le questioniche ci vengono alle lab-bra? Da che parte inco-minciare? Tutto e tuttehanno importanza e atutte si vorrebbe avereuna risposta.Siamo nel 1925 e in Italiaè possibile ancora pubbli-care qualche cosa. È unarticolo apparso nelnumero del 1° agosto1925 di “Pensiero eVolontà”, dopo essereapparso in altri giornali,sul Movimento anarchicoin Russia durante la rivo-luzione a firma, del com-pagno Levandovschi, chemi serve quale spunto perentrare in discussione,tanto più che, in tale,

scritto sono contenutediverse critiche, che pos-siamo dire non fosserodel solo Levandovschi,ma anche di altri numero-si compagni.“Certamente”, diceNestor Machhno, “ilmovimento insurrezionaleucraino, o Machnovista,ha avuto, e soprattutto orache è caduto ha, moltinemici anche nel campoanarchico. Cosa vuoi,quando eravamo forti edil nostro movimento siimponeva per la suavastità ed importanza, masoprattutto perché posse-deva mezzi, allora sì, gliamici erano numerosi enumerosi quelli che, perquanto non completamen-te favorevoli a noi, cidimostravano molti segnidi ‘amicizia’.Mi ricordo, per parlaresolo del compagno che hamotivato questi schiari-menti, che Levandovschi,oltre a tanti altri, fu duegiorni solo fra di noi,quando però il venirenella regione di Gulae-Pole non implicava reatoverso le autorità bolscevi-che, in quanto allora noieravamo degli ‘amici’,degli ‘alleati’.Ad ogni modo, noi erava-mo sempre contenti quan-do qualche compagnoveniva da noi: anzidomandavamo semprequesto; noi lo cercavamo,

perché grande era il biso-gno che, avevamo diforze intellettuali per lapropaganda fra le massecontadine che ci seguiva-no e simpatizzavano connoi.Dunque Levandovschivenne da noi e ci presentòun grande progetto per lacreazione di una Univer-sità Anarchica da costi-tuirsi in un centro dellaRussia. Ma tale realizza-zione domandava deifondi, molti mezzi, cin-que, dieci, forse piùmilioni di rubli.Il progetto Levandovschiera interessante, ma noinon potevamo fare nulla.Sarebbe stato comecostruire su della sabbiamobile, da un momentoall’altro avrebbe potutoinghiottire tutto quantoavessimo eretto con sacri-fici immensi, tanto lasituazione era difficile e,lo vedevamo noi stessi,insicura.Noi vedevamo chiaro chel’alleanza coi bolscevichiera e non poteva esserealtro che una cosa tempo-ranea, che non potevadurare che l’attimo delpericolo rappresentatodalla reazione che minac-ciava tutti. Alleanza chedurò meno ancora diquanto noi stessi pessimi-sti pensavamo.Pochi furono i compagnid’accordo con la proposta

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Levandovschi, in quantosi pensava che questa ini-ziativa, anche se portataavanti nella realizzazione,sarebbe stata inevitabil-mente e completamentedemolita. Ma anche un’al-tra ragione ci spinse a nonaccettarla. Quando Levan-dovschi venne fra noi, ioero gravemente ferito aduna gamba ed ero costret-to a trascinarmi ancoracon le grucce, ragione percui mi trovato a Gulae-Pole e personalmentepotei seguire la discussio-ne che tale progetto sol-levò fra i compagni.Arrivato a Gulae-Pole,Levandovschi ci pregò diconvocare il Soviet dellaregione onde poter pre-sentare la sua propostaconsistente in una richie-sta di soldi, dieci milionidi rubli, per creare unaUniversità Anarchica aKarcoff. Io domandai laparola subito dopo Levan-dovschi volendo chiarireuna questione che misembrava di grandeimportanza, e dissi pres-sappoco questo: ‘Noioccupiamo una regione dicirca 200 chilometri diprofondità su 300 di lun-ghezza. Vi sono con noimilioni e milioni di conta-dini, e quasi non abbiamoscuole, manchiamo diuomini che vogliano,oltre che potere, aiutarequeste masse ad elevarsi

culturalmente; e voi, chevenite dalle città dove giànumerose sono le possibi-lità di apprendere, voi chepotreste portarci un largocontributo, che potresteaiutarci largamente inquest’opera, voi venite danoi solo a domandarci deisoldi per creare unanuova università a Kar-coff. Ma perché proprio aKarcoff? Perchè è un cen-tro, voi rispondete. Ebbe-ne, no. Noi non vogliamoche si continui a ripeterel’errore centralista, com-messo anche da numerosidecentralizzatori, da molticompagni la cui più gran-de preoccupazione fu diportare la sede delle loroorganizzazioni e tutta laloro attività di propagan-disti nella capitale. Siguardi Mosca. Tutto è aMosca: la FederazioneAnarchica di Kareline,“Golos Trouda”1 ecc.Tutto. Quel poco cheancora ci rimane è là e siè invece abbandonatacompletamente la provin-cia, la campagna che cer-tamente avrebbe molto emolto bisogno dellanostra propaganda edopera, più che la città.Fra di noi non si dovreb-be continuamente ripeterequesto errore.Sì, si faccia, una Univer-sità, ma la si faccia qui,fra questa gente, fra que-sti contadini che hanno

molto bisogno d’impara-re; si crei qualche cosache tenda ad elevare ededucare queste masse, enoi daremo tutto quantopotremo’.Questo ragionamento raf-freddò forse l’entusiasmodi Levandovschi. Il fattoè che egli, invece di rima-nere fra noi e con noi alavorare fra le masse con-tadine insorte, ondeinfondere in esse unasempre più profondacoscienza rivoluzionariaed anarchica, perché glivennero rifiutati i fondirichiesti partì, ed ora diceche “il movimento Mach-novista fece molto maleal movimento anarchico”.Il caso Levandovschi nonè unico. Altri vennero adomandarci soldi, quali ilGordin, che divenne poiun anarchico-bolscevico,ed altri ancora, ma sem-pre ed ogni volta chefummo costretti a nonconcederli, ci creammoun nuovo nemico.Ma, al di là di tutto quan-to dissi, l’articolo delLevandovschi di cui cistiamo occupando oradeve essere chiarito innumerosissimi punti,soprattutto su quantoriguarda il movimentoinsurrezionale dei conta-dini ucraini, ed io lo farò.Del resto il lavoro cuiattendo ora [la sua auto-biografia] smentirà molte

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di quelle false asserzioni.Ma una cosa va chiaritasubito, ed è quella riguar-dante le pretese differenzeche esistevano fra me egli anarchici durante laMachnovicina: differenzeche invece non esistettero.Fra una persona ed ungruppo possono sempreesistere o prodursi deidissidi, delle divergenze,dei malintesi, senza perquesto dividerli su unaquestione fondamentale.Certo è pure facile che frauna organizzazione viva-ce ed attiva, una organiz-zazione che lavora, edaltre congeneri, si possa-no pure produrre delledifferenze magari tattiche,ma mai teoriche. Detto questo, e per ritor-nare alla questione dipoc’anzi, in realtà fra ilmovimento anarchico eme, personalmente, sequalche differenza ci fu opotette esserci, essa nonfu mai, né poteva esserlo,sostanziale o teorica,avendo io sempre lavora-to quale anarchico tra lemasse contadine ucraine.Basterebbe citare qualchefatto per dimostrare cheesistettero sempre imigliori accordi fra ilnostro movimento insur-rezionale ed il movimentoanarchico.Molti di questi fatti già siconoscono, ma non èforse male ripeterli.

Nel gennaio del 1919 igruppi anarchici di Moscainviarono nella regione diGulae Pole un delegato, ilcompagno Uralov, ondestudiare sul luogo ilnostro movimento e poiinformare i compagni. Ilcompagno Uralov rimasediverso tempo tra di noi,e sempre tenne informati icompagni di Mosca sullevicende, gli sviluppi o ledisfatte del nostro movi-mento, non solo, ma sem-pre inviò loro le sueimpressioni sui metodi danoi impiegati e i fruttiottenuti. In seguito a que-sta corrispondenza, daMosca vennero altri com-pagni. Poi, la guerra daun lato e la reazione bol-scevica dall’altra citagliarono tutte le comu-nicazioni con le altre parti

della Russia, spezzandotutte quelle file che cosìfaticosamente eravamoriusciti ad annodare.Verso la fine del 1920, indicembre, doveva averluogo a Karcoff il famosoCongresso AnarchicoPanrusso. In quei momen-ti noi eravamo “alleati”dei bolscevichi e godeva-mo di una relativa libertàdi movimento. Molticompagni potettero venireda noi, qualcuno deinostri riuscì a mettersi inrelazione con i compagnidi altri centri. Il compagno Volin ed altrinumerosi lasciarono lanostra regione per poterpartecipare attivamente ailavori del progettato con-gresso, ma verso la finedel mese di novembre,prima che il congresso

La tomba di Nestor Machno al cimitero Père Lachaise di Parigi,visitata sia da anarchici sia da visitatori ucraini, come

si deduce dai graffiti e dai bigliettini lasciati sulla lapide

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incominciasse i suoi lavo-ri, nel contempo che letruppe bolsceviche ciassalivano da tutte leparti, i delegati anarchiciche già si trovavano aKarcoff vennero arrestatidalle autorità bolsceviche,le stesse che avevanoconcesso di tenere taleriunione.Così, anche questa occa-sione, che avrebbe per-messo agli anarchici russidi poter esaminare fatti edavvenimenti e discuteremagari se era necessariomuovere delle critiche almovimento insurrezionaleucraino, venne fatta falli-re per la violenza reazio-naria del governo.Numerose sempre furonole organizzazioni anarchi-che che inviarono i lorodelegati nella nostraregione e che sul luogopotettero vedere il lavoroda noi svolto. Ma percomprendere tutto questonon bastavano due giorni

o anche due sole settima-ne, occorreva rimanere alfianco nostro e seguirciper qualche tempo. Nonera in un dettaglio ma nelsuo insieme che bisogna-va giudicare il nostrolavoro. Non hanno perconseguenza, alcuni com-pagni, il diritto di critica-re nella maniera chefanno, perché tutte le lorocritiche sono basate su deifatti che non hanno avutola possibilità di controlla-re e su false impressioni:questo per certuni chenon rimasero con noi chepoche ore o qualche gior-no. Da queste fugaciimpressioni, non possonoavere che una idea falsa,o incompleta, di quel chefu il movimento Machno-vista, di tutta la sua azio-ne, influenza e sviluppo.

Nota

1. In Russia vi erano diverseorganizzazioni nostre, anchedopo la repressione. Quelladel “Golos Trouda” (LaVoce del Lavoro) era peròpiuttosto una organizzazionesindacalista della quale face-va parte Schapiro, Massi-moff ecc.

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Un’immagine giovanile di Mach-no, che iniziò prestissimo la suamilitanza rivoluzionaria

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Clelia Premoli nacque a Milano il 6 ago-sto 1899 da Antonio e Celestina Catta-neo, in un ambiente familiare aperto alleidee democratiche e socialiste che per-mearono presto sia lei, sia le due sue so-relle, Ines e Ida. Fu un’anarchica con-vinta tanto quanto il compagno UgoFedeli, che conobbe quand’era ancora ra-gazza, ma già attiva nelle battagliesociali1. I due rimasero vicini tutta la vitae cominciarono sin da allora a racco-gliere quel materiale documentario sulmovimento anarchico internazionale cheoggi costituisce gli Ugo Fedeli Papers,conservati presso l’Istituto internazionaledi storia sociale (IISG) di Am-sterdam2.Dopo le disavventure di unavita passata perennemente infuga da un paese all’altro, ri-petutamente espulsi e perse-guitati dal fascismo, a metàanni Cinquanta Ugo Fedeli eClelia Premoli andarono adabitare nel Canavese, prima aIvrea, poi a Borgofranco, in-fine a San Giorgio Canavese.Qui collezioni di periodici,manifesti e pile di libri riempi-vano le pareti e invadevanoogni angolo disponibile3. Ugolavorava come bibliotecariopresso la Olivetti di Ivrea egrazie al ruolo di “assistente

culturale” che Adriano Olivetti gli asse-gnò, lui e Clelia ebbero modo di visitarevari istituti di ricerca e di conservazionedi documenti in Olanda, Francia e Sveziae mantennero relazioni di collaborazionee amicizia con diversi enti, tra cui l’IISGdi Amsterdam. Fu Clelia alla morte diUgo, nel 1964, a firmare il contratto conl’Istituto olandese, secondo gli accordipresi in precedenza per la cessione delfondo. I circa tre milioni di lire che i rap-presentanti dell’IISG versarono per l’ac-quisizione costituirono una sorta di pen-sione che permise a Clelia di viveredegnamente gli ultimi anni prima della

morte nel 1974.

Di corporatura minuta, già asedici anni lavorava alla Pi-relli e prendeva parte alle atti-vità che le donne anarchiche esocialiste organizzavano aMilano. Allo scoppio dellaguerra e in particolare dopo ilPatto di Londra del 26 aprile1915 che impegnava il go-verno italiano a entrare inguerra contro l’Austria e laGermania entro un mese, in-tensificò la propria attività antimilitarista, che vedeva ledonne in prima fila, mentreuna parte del popolo italianosi faceva abbagliare dalle ra-Te

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“Ho fatto impallidire il tribunale”Clelia Premoli nell’anarchismo

internazionale (1916-1974)di Antonio Senta

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diose giornate di maggio delle mobilita-zioni nazionaliste. Nel corso dell’annosuccessivo in molte fabbriche del mila-nese la presenza delle donne divennemaggioritaria, via via che rimpiazzavanogli uomini costretti a partire per il fronte.I loro salari erano inferiori a quelli degliuomini in un periodo in cui la paga eragià estremamente instabile e il cottimogeneralizzato: per le “sovversive” le pro-teste contro la guerra e lo sfruttamentodiventavano un tutt’uno.Il pomeriggio del 30 aprile 1916 le donneantimilitariste organizzarono una manife-stazione in Piazza Duomo, cui Clelia de-cise di partecipare insieme alle sorelle.Circolarono allora due appelli: uno, so-cialista, che incitava le donne di tutto ilmondo a unirsi in nome della fratellanza

umana4; l’altro invece dal titolo Donnetutte in piazza fu scritto dall’anarchicaNella Giacomelli e distribuito in cinque-mila copie5. I manifestanti riempivano lapiazza, ma polizia e soldati presidiavanole vie adiacenti e così ben presto scoppia-rono i primi tafferugli. Nei ricordi di Cle-lia essi iniziarono quando le donne co-minciarono a gridare “abbasso la guerra”e fu quindi loro ordinato di scogliere l’as-sembramento: “Io non volli e mia sorellapure e altre ci seguirono, così che facemmo una vera dimostrazione effi-cace”. Clelia fu arrestata per grida sedi-ziose insieme a altre ventidue donne (trale quali le due sorelle, Palmira Corbetta eNella Giacomelli) e a vari uomini. Se-condo un altro protagonista dei fatti, En-rico Arrigoni “gli scontri andarono avantiper cinque ore, fino all’una di notte”6.Nel tragitto da piazza del Duomo allaquestura di S. Fedele, ricorda ancora Cle-lia, “continuammo a gridare abbasso laguerra […] passammo in mezzo ai sol-dati, qualcuno ci salutava di nascosto equalcuno ci faceva coraggio”. In questurafurono malmenate e insultate dal com-missario che le accusava di essere pagatedall’Austria, contestazione comune con-tro chi si azzardava a fare propaganda antimilitarista, e quindi antinazionale.“Quanto schifo mi fecero questi merce-nari al soldo e alla parola di Mussolini”!Sono le sue parole cinquant’anni dopo, enon dovettero essere molto diverse al-lora, nonostante le minacce e le violenzeesacerbate dalla propaganda de “Il Po-polo d’Italia” che dava loro delle “isteri-che”, refrain maschilista sempre in voga.Dopo otto giorni di carcere fu liberata echiamata a processo nel settembre suc-cessivo7. Clelia era la più giovane tra gliimputati. A fianco a lei sedevano tra lealtre “[Nella] Giacomelli, [Tarcisio] Rob-biati, [Palmira] Corbetta, donne socialiste

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Ugo Fedeli alla metà degli anni Cinquanta nellabiblioteca della sua casa di Ivrea

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[e] molte donne del popolo”. “Io” è sem-pre Clelia a rammentare “ero entusiastadi poter gridare ai giudici del tribunale ea tutto il popolo, perché il tribunale eragremito fino di fuori di gente, la maggiorparte erano compagni e socialisti […] Almio turno mi feci una difesa in milanese,spiegando che ero andata in piazza delDuomo per fare la manifestazione controla guerra. Parlai del lato umano e buonodegli uomini e alla fine gridai abbasso laguerra, la guerra sia maledetta dall’uma-nità intera. Immaginarsi, i giudici e la po-lizia erano sbigottiti, la folla gridava digioia ho avuto tanti applausi, io ero rag-giante avevo potuto dire quello che vo-levo facendo impallidire il tribunale”8. Fu condannata a cinque giorni di pri-gione e proprio in galera ebbe modo distringere ulteriormente relazione con Pal-mira Corbetta e Nella Giacomelli, attra-verso la quale, una volta scarcerata, co-nobbe Ugo Fedeli9. Poche settimanedopo, la chiamata alle armi costrinse Ugoalla clandestinità; i due continuarono avedersi a casa Premoli in via Galilei, gra-zie anche alla complicità che univa la fa-miglia di lei e la madre di lui10. Quandonei primi mesi del 1917 decise di diser-tare in Svizzera pur di non servire la pa-tria nella Grande Guerra, Clelia lo ac-compagnò alla stazione provando ainfondergli coraggio11. Giovanissimi esubito costretti alla distanza erano giàdavvero uniti. Nei due anni successiviFedeli fu attivo nei gruppi anarchici sviz-zeri, in collegamento con l’ambiente de“Il Risveglio” di Bertoni e della LibreriaInternazionale di Zurigo fino a che noncadde nelle maglie della giustizia incar-cerato insieme a decine di compagni conl’accusa di possesso di esplosivi.In questo difficile periodo Clelia rimaseattiva prendendo parte alle agitazionioperaie e all’attività specifica delle donne

anarchiche. Quando seppe che il compa-gno era rinchiuso in prigione si attivò persupportarlo facendo da riferimento per lasottoscrizione che il movimento attivò infavore degli arrestati12. I due si ricon-giunsero nel gennaio del 1920 quandoUgo, dopo varie peripezie, riuscì a tor-nare a Milano per vivere senza remore lafrenesia rivoluzionaria dei mesi culmi-nanti il Biennio Rosso: gli scioperi si sus-seguivano, mentre il capoluogo lombardodiventava il centro dell’unità “dal basso”teorizzata dai rivoluzionari che vedevanoi proletari pronti al grande salto. Un pe-riodo di attività febbrile anche sul pianodella pubblicistica: da una parte Clelia eUgo collaboravano a “Nichilismo” diCarlo Molaschi e Maria Rossi, dall’altrasi impegnavano a fondo nell’impresa di“Umanità Nova”, il quotidiano anarchicoche proprio in quel febbraio muoveva isuoi primi passi13.Il 3 marzo, dopo l’ennesimo eccidio deicarabinieri e uno sciopero di due giorni,gli anarchici e i sindacalisti dell’USI, checontinuavano ad appoggiare quei settorioperai che reclamano l’occupazione dellefabbriche, convocarono per il secondo

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Clelia (la seconda da sinistra) e Ugo insieme adue compagne nel giardino della casa di Ivrea

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giorno di fila un comizio all’Arena, no-nostante il divieto imposto dalle auto-rità14. In serata furono compiuti molti ar-resti e tra questi quello delle tre sorellePremoli, nei pressi di Porta Venezia15.In quella primavera lo sciopero in solida-rietà agli operai metallurgici si dispiegòin maniera inedita, trovando una larga so-lidarietà in molti centri della penisola,mentre si susseguivano le agitazioni insolidarietà alla Russia e contro la rea-zione. In una Milano particolarmente ef-fervescente i proletari scalpitavano, conun crescendo di conflittualità che vedevai giovani individualisti molto attivi tantonelle scaramucce di piazza quanto inquelle azioni in ordine sparso che con illoro boato turbavano il sonno dei bor-ghesi. Clelia, così come Ugo, partecipòattivamente a questa fase di aspro con-flitto, in cui gli arresti e le persecuzionipoliziesche erano minaccia quotidiana. Il22 luglio i due si sposarono con rito ci-vile e un mese dopo l’agitazione dei me-tallurgici sfociava nell’occupazione dellefabbriche. A fine settembre tuttavia il quadrò mutòrapidamente: dopo un’estenuante tratta-

tiva le fabbriche furono sgomberate paci-ficamente e da quel momento in poi ilmovimento operaio cominciò ad arretrarepaurosamente, tra gli arresti e le recrimi-nazioni dell’ala più radicale contro iriformisti “traditori”.Nel febbraio 1921 Clelia coadiuvò Fedelinella fondazione del nuovo periodico“L’Individualista”, le cui pubblicazionidovettero essere interrotte poco più di unmese dopo, quando una potente esplo-sione presso il teatro Diana causò ven-tuno morti e decine di feriti. Agli inqui-renti la bomba sembrò inserirsi in una piùvasta agitazione volta a liberare alcunianarchici imprigionati, tra i quali ErricoMalatesta e Armando Borghi; la repres-sione contro gli anarchici, tra le cui file lapolizia individuò gli autori dell’attentato,fu generalizzata. Se Ugo Fedeli, insiemeai compagni Pietro Bruzzi e FrancescoGhezzi, fu sin da subito ricercato dallapolizia perché ritenuto a torto correodella strage, Clelia poté godere di una li-bertà relativamente maggiore, facendocosì da tramite tra i vari compagni co-stretti alla clandestinità.Ugo e Clelia tuttavia furono costretti asepararsi di nuovo. Lei rimase a Milano,mentre lui doveva intraprendere un lungoviaggio che attraverso la Svizzera e Ber-lino lo condusse in qualche settimanaprima a Pietrogrado, poi a Mosca. Neimesi in cui Ugo rimase in Russia conti-nuarono a scriversi di frequente. Poi, trala fine del 1921 e l’inizio del 1922 riusci-rono a riunirsi a Berlino, dove lui era ri-parato dopo l’esperienza russa, in occa-sione del Congresso internazionaleanarchico che si tenne in città. Scarsesono le notizie su questa fase della vita diClelia. Quel che sappiamo è che stette inGermania circa un anno: furono mesiduri, segnati dalla disoccupazione, dallamiseria e dal terrore di essere acciuffati

Le foto pubblicate in questa sezione fanno partedel Fondo Ugo Fedeli dell’IISG di Amsterdam.

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dalla polizia e incriminati per l’attività ri-voluzionaria degli anni precedenti. La si-tuazione peggiorò ulteriormente quandosi ammalò seriamente e fu quindi co-stretta a tornare in Italia, lasciando Ugoin terra tedesca, ricercato per l’attentatodel Diana. In patria trovò una situazionesociale mutata: Mussolini aveva preso ilpotere e lo schieramento sovversivo erain rotta, con molti dei suoi aderenti co-stretti a battere le vie dell’esilio.Dopo alcuni mesi, nell’autunno del 1923,si rimise in salute e partì clandestina-mente per l’estero, in direzione di Parigi,dove nel frattempo doveva giungereanche Ugo. I due si incontrarono allasede del Comitato Italiano e andarono astare “a metà di Rue Belleville”, a casa diLucien Haussard, che avevano cono-sciuto al Congresso di Berlino16. Eranosenza un soldo, ma trovarono la solida-rietà degli anarchici di ogni nazionalitàche popolavano la capitale francese.Dopo alcuni mesi Clelia trovò lavoro nel-l’industria dell’ago e, con il marito anch’egli impiegato come operaio, pre-

sero in affitto “un appartamento minu-scolo, dal soffitto basso, vicino al cimi-tero di Père Lachaise […] sempre pienodi voci e di fumo”, luogo che divennepresto punto di incontro della comunitàanarchica internazionale e che Luce Fab-bri ricorderà poi come “una delle cosebelle fra le tante brutte dell’esilio”17. Fuinfatti in questa casa che nel corso del1926 Luce trovò rifugio, insieme al padreLuigi costretto all’esilio e fu sempre là,ricorda Raffaele Schiavina, altro riparatoin Francia e sodale di Clelia e Ugo, chel’anno successivo fu lanciata l’idea delperiodico “La Lotta Umana”, alla cui re-dazione parteciparono, oltre ai due, variaderenti al gruppo Pensiero e Volontà, tracui Felice Vezzani, Torquato Gobbi, Ca-millo Berneri, Leonida Mastrodicasa,Emilio Spinaci, sotto la guida sapiente diLuigi Fabbri.Ugo e Clelia continuarono anche nellaloro comune passione per la raccolta dimateriale documentario anarchico: “quelche rimaneva dei salari percepiti lo spen-devano nell’acquisto di libri, opuscoli, ri-viste, collezioni di giornali, in qualunquelingua si trovassero, purché avessero re-lazione con la storia del pensiero del mo-vimento anarchico”. Un’attività cui lastessa Clelia si dedicava con assiduità econvinzione, ma “in silenzio come erasuo costume, senza ostentazione”18.Gli anni dell’esilio francese furono assaidifficili: la pressione poliziesca rimasecostante e all’attività dei fasci all’esterosi sommava l’attività di vigilanza delleautorità francesi. Nel maggio 1924 fu as-solta dall’imputazione di oltraggio adagenti italiani “per sopravvenuta amni-stia”, i funzionari della questura scrive-vano che continuava a seguire “idee so-cialiste”19. Proprio il 1924 fu poi un annoparticolare per l’azione antifascista: dopoil sequestro Matteotti di giugno,

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Ugo Fedeli in uno scatto preso durante il Congresso della FAI di Senigallia nel 1957:

“Il più bonario e sorridente di tutti” secondo igiornali borghesi. La foto sembra confermare...

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il governo ebbe momenti di sbandamentoe sembrò poter cadere da un momento al-l’altro. Da parte loro gli esuli diederonuova linfa alle proprie attività. In questocontesto Ricciotti Garibaldi jr, figlioomonimo del patriota Ricciotti Garibaldie nipote di Giuseppe Garibaldi, proposeagli antifascisti di organizzare legioni ar-mate per una spedizione in Italia con l’in-tento di rovesciare il regime e molti anar-chici accettarono la proposta. Dopo pochimesi di preparativi però la grande mag-gioranza di questi prese le distanze dallaquestione, denunciando il tentativo distrumentalizzazione della massoneria e diRicciotti Garibaldi stesso; Clelia stessaebbe, per un breve periodo iniziale, latessera garibaldina, salvo allontanarsi intempo, alla pari del marito, da un am-biente che per molti versi stava diven-tando torbido. Solo alcuni anarchici atte-sero fino all’inizio dell’anno successivoper rendersi conto dell’impraticabilità delprogetto. Effettivamente Ricciotti Gari-baldi non diede mai seguito alla propostae anzi si fece usare strumentalmente dalregime fascista sia per screditare il go-verno francese, che aveva garantito lapropria neutralità nella questione, sia pergettare scompiglio tra gli esuli20.In tutti questi anni il nome di Clelia Pre-moli compare poco nei documenti sia diparte anarchica sia delle autorità vigi-lanti. Eppure ci sono segnali di quanto lasua attività nel movimento fosse a tuttotondo. Nel luglio 1927, insieme all’anar-chica francese Berthe Fabert21, si mise inviaggio alla volta di Le Havre, dove sitrovava Luigia Vanzetti pronta a salpareper Boston per salutare per l’ultima voltail fratello Bartolomeo, condannato allasedia elettrica, alla pari di Nicola Sacco.Il capitano dell’imbarcazione le avevaperò rifiutato l’imbarco; Clelia e Berthela convinsero allora a trasferirsi momen-

taneamente a Parigi, da dove seguì le ul-time settimane di agonia giudiziaria, con-tribuendo all’agitazione per la libera-zione dei due emigranti anarchici: adagosto guidò un grande corteo di duecen-tomila persone che si concluse al Bois deVincennes. Grazie alle pressioni deglianarchici francesi e in particolare dell’in-faticabile Louis Lecoin, le autorità leconcessero infine il necessario visto con-solare “sicché [Luigia] arrivò in tempo ariabbracciare il fratello… non a strap-parlo dalle mani del boia!”, facendomesto ritorno con le ceneri del fratello22.Nel corso del 1929 l’intera redazione di“La Lotta Umana”, le cui pubblicazionierano uscite abbastanza regolarmentesino ad allora, fu espulsa dal paese. Fe-deli fu costretto a varcare il confinefranco-belga, mentre Clelia optò per ri-manere a Parigi alcune ulteriori setti-mane; qui continuò nell’amministrazionedel giornale, compito cui aveva assolto,insieme al marito, negli anni precedenti.Quando decise di raggiungere Ugo, preseaccordi con Luigi Fabbri per passarglil’indirizzario e la cassa del periodico,oltre a una collezione doppia di “Uma-nità Nova”23.A Bruxelles Ugo e Clelia trovarono unprecario rifugio. Nel freddo dell’invernobelga, costretti alla clandestinità in unasoffitta e sotto la minaccia dell’arresto,riuscirono a curare da soli gli ultimi duenumeri de “La Lotta Umana” (marzo eaprile 1929), poiché anche Fabbri erastato espulso dalla Francia, rifugiandosi aMontevideo con la famiglia. In agostodecisero quindi di salpare anch’essi dalporto di Antwerpen alla volta della capi-tale uruguayana.Si apriva così un nuovo capitolo della suavita: appena arrivata si diede da fare perdare il proprio contributo all’attivitàanarchica e antifascista sulle due sponde

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del Plata, così come fece Ugo, che trovòsubito lavoro. Si stabilirono nella primaperiferia, non lontano dalla casa dei Fab-bri, dove trovarono la compagnia diamici fidati, in particolare i Fabbri, Do-menico Aratari, Torquato Gobbi, con iquali formarono il gruppo Volontà, cheben presto dette alla stampe “Studi So-ciali”, un periodico di grande spessore incui trovavano spazio le riflessioni e pro-poste dell’anarchismo organizzatore,sulla scia di “La Lotta Umana”.Anche per quanto riguarda questo pe-riodo scarse sono le notizie specifiche sudi lei. Si desume però che tra le varie atti-vità che svolgeva a Montevideo, si ritro-vasse regolarmente a riunione con ungruppo di donne, presso i locali del Sin-dacato panettieri. Riacquistata la neces-saria serenità economica, rispetto aglianni di reale indigenza cui erano stati co-stretti in Europa, Clelia e Ugo visseroanni di relativa tranquillità, anche se levicende interne al movimento anarchicosulle due rive dal Plata, segnato da dis-sidi che raggiunsero livelli inediti diasprezza, li preoccupavano non poco.Nel giugno del 1933 nacque il figlio Hu-ghetto. Era un momento di gioia dopotante avventure e fatiche, ma nel corso diquell’anno salì al potere Gabriel Terra,che si rese presto protagonista di un girodi vite autoritario, con connotazioni fa-sciste: meno di sei mesi più tardi Fedelifu nuovamente arrestato, espulso e de-portato in Italia.Solo a fine di marzo del 1934 Clelia riu-scì a sapere che Ugo, sbarcato a Napoli,era stato portato a Milano, interrogato perdue giorni, e poi costretto nel carcere diPavia. Appresa la notizia, partì per l’Ita-lia insieme al figlioletto di pochi mesi,sebbene sconsigliata dai compagni. È diquesto periodo, con Clelia a Milano eUgo ancora in carcere, uno dei docu-

menti umanamente più significativi cheho trovato in questa ricerca, una lettera diClelia in cui traspare l’amore enorme chelegava i tre: “In casa tua quando c’è Hu-ghetto è una festa e i tuoi fratelli si diver-tono un mondo, sono omoni eppure simettono per terra con lui, gli fanno ilgatto e il cane, e lui è felice. Se lo vedessicome è vispo, già fa qualche passino,spero che quando compia l’anno possacamminare un po’; sembra un topolino,ha due gambette irrequiete mai è tran-quillo un solo minuto […] Ugo che sod-disfazione, che orgoglio essere madre[…] è un legame così grande, mi sembrache tra noi non ci sia più nessuna di-stanza, seppure tra noi sempre fu unamore grande, però ora mi pare non tiperderò più. Hughetto ci ha uniti eterna-mente, solo con il cuore, perché gli uo-mini non ci lasceranno mai uniti e felici.Ci separarono, ma il nostro grande amoreci unisce, sempre, anche separati da in-ferriate”24. Il mese successivo Ugo fu scarcerato e itre si ristabilirono in città, sorvegliati dalministero degli Interni e in condizioni diindigenza, per la mancanza di lavoro.Ugo riuscì a farsi assumere in fabbrica,ma tra febbraio e marzo del 1935 le auto-rità lo assegnarono al confino a Ponza,accusandolo di attività sovversiva. Cleliadecise quindi di seguirlo, insieme al fi-glio che ebbe così il triste primato di es-sere il più giovane tra i confinati. Trovarono una situazione non facile: iconfinati avevano appena messo in attoun’agitazione collettiva per protestarecontro un’ordinanza che vietava loro diprendere in affitto camere private inpaese, di entrare nelle abitazioni dei resi-denti e di gestire in proprio le mense,luogo di socialità e solidarietà umana epolitica. Ai confinati era vietato raggrup-parsi in più di tre alla volta e dovevano

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inoltre tenere le porte dei cameroniaperte e le luci accese, sotto l’occhio at-tento dei sorveglianti, non potevano farsitrovare in un camerone che non fosse illoro, veniva loro censurata la corrispon-denza e i pacchi postali spesso seque-strati25. Una vita d’inferno: “Si volevasoprattutto levare la possibilità di stu-diare. Era con gioia veramente sadica chequegli analfabeti volevano strappare aiconfinati anche quell’ultimo rifugio cheera lo studio, nel quale ognuno cercava diaffinare le proprie conoscenze, ma anchedi dimenticare la dura vita di disciplina edi soprusi. Se si ricevevano libri da partedei privati, venivano sequestrati. Se se nevolevano comprare, bisognava spiegarealla direzione o all’ufficio censura, il per-ché; ed alle volte un libro veniva autoriz-zato o rifiutato a seconda che il richie-dente fosse un operaio o un contadino oun intellettuale. Per gli studi non si pote-vano tenere note. Per poter scrivere eraindispensabile avere un quaderno, le cuipagine erano contate, numerate e control-late ad una ad una dalla polizia, pagineche per nessuna ragione potevano esserestrappate”26.Sull’isola Clelia, alla pari di Ugo, man-tenne “inalterate le proprie idee”, fre-quentando gli “elementi più pericolosi”della colonia. Una militanza, quella diClelia, tanto “nascosta”, quanto inde-fessa, anche sull’isola. Durante i duris-simi anni di confino le autorità ebberomodo di annotare: “ha avuto sempre con-tatti con gli elementi più pericolosi dellaColonia, con i quali si è sempre vista incompagnia e quasi ogni sera si affiancaalle confinate, trattenendosi in conversa-zioni sospette. La Premoli è donna moltoscaltra e capace di infiltrarsi ovunque perrendere dei servizi ai confinati più noti”.Una presenza, la sua, che divenne cosìparticolarmente scomoda. Considerata

“elemento indesiderabile” viene ripetuta-mente interrogata, infine ammonita e mi-nacciata di “rimpatrio coattivo”27.Dopo ripetute battaglie e sofferenze, nel-l’estate del 1938 la famiglia fu trasferitaa Cerisano, in provincia di Cosenza, e in-fine, scontati i rimanenti due anni dipena, i tre riuscirono a tornare a Milano.Ma la vita degli antifascisti doveva es-sere indicibilmente dura: Fedeli vennesubito arrestato nuovamente, Clelia ri-mase ancora sola con il figlio, con pochisoldi e un marito nuovamente in pri-gione. Dopo un mese in gattabuia, nel lu-glio 1940 Ugo fu di nuovo condannato edeportato al campo di concentramento diColfiorito, altipiano a 750 metri di altitu-dine in provincia di Perugia, dove trovò icompagni Dario Fieramonti e TarcisioRobbiati. Fu costretto alla miseria in uncampo in cui il problema principale era ilvitto scarso, la mancanza di igiene e, pre-sto, il freddo. A dicembre, nel gelo del-l’appennino umbro-marchigiano, Clelia eHughetto lo raggiunsero per pochi giorni,il tempo di una visita28. Nello stessomese, Fedeli, dopo avere ottenuto la revi-

San Giorgio Canavese, inizi anni Sessanta:Ugo e Clelia a tavola con Enrico Arrigoni (al

centro), detto Brand, in visita dagli Stati Uniti.

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sione del provvedimento, fu trasferitonella cittadina di Monteforte Irpino e lì loraggiunse Clelia con il figlio. Ma era unsusseguirsi di peregrinazioni continue:dopo che Ugo fu accusato di avere prote-stato per i maltrattamenti subiti e di con-tinuare a fare propaganda sovversiva, allafine del 1941 i tre furono nuovamente co-stretti su un isola, a Ventotene. Diventò un’epopea drammatica: Hu-ghetto, di otto anni, morì stroncato dalladifterite, e dalla mancanza di cure cuierano costretti i confinati. Clelia e Ugo

vissero allora un dolore enorme; avevanoperso l’unico figlio, il solo raggio di lucedi una vita difficilissima. “Hughetto”,scrisse il padre, “era sempre stato nelleisole di deportazione con noi e non ha co-nosciuto altri se non detenuti e confinati.Per lui il mondo si divideva in due cate-gorie di persone: confinati da una parte,dall’altra fascisti e poliziotti. Era già unomino e sapeva quello che bisognavafare e quello che un uomo con caratterenon deve mai fare. Essendo sempre vis-suto tra uomini fatti si era subito abituatoa pensare come un uomo, e forse è statoun male perché così egli non ha potutoavere una vera e propria fanciullezza, cheè forse il periodo più bello e felice nellavita di un uomo.” Eppure nonostantetutto anche a Ventotene, come in prece-denza a Ponza e negli altri luoghi di con-fino, Clelia non desistette mai dalla lotta.Sull’isola prese parte alle discussioni po-litiche che portarono gli anarchici a in-tese programmatiche che furono poi labase per la ricostruzione delle attività delmovimento alla caduta del fascismo29. Nel corso del 1942 i due riuscirono afarsi trasferire in continente, nel paese diBucchianico vicino Chieti, che fu occu-pato dai nazisti all’indomani dell’8 set-tembre 1943. Clelia fu catturata dai sol-dati mentre cercava di mettere in fugaaltre persone e venne quindi internata nelcampo di concentramento di ChietiScalo, da dove riuscì però a scappare inmaniera rocambolesca “grazie alla suapresenza di spirito e al fatto che sapendoparlare abbastanza bene il tedesco riuscìa confondere chi la sorvegliava”30. Siriunì quindi al marito e trovarono rifugioall’ospedale di Chieti, aiutando la Crocerossa nell’assistenza ai feriti. Nel corsodel 1944 vissero a Bucchianico, paese delquale Ugo fu nominato sindaco per circaotto mesi e solo dopo la Liberazione riu-

Ugo e Clelia nel cortile della loro casa a Borgofranco d’Ivrea nel 1955

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scirono a tornare a Milano, in buonaparte a piedi31. Qui si misero subito in contatto con glianarchici e le anarchiche che avevanodato vita alle Brigate partigiane “Malate-sta-Bruzzi” e “Amilcare Cipriani” e conle altre forze antifasciste; Clelia lavoròalla riorganizzazione del movimentoanarchico di cui Ugo fu protagonista fon-damentale. I due contribuirono alla riu-scita del Convegno interregionale dellaFederazione Comunista Libertaria AltaItalia (FCLAI) che si tenne a Milano nelgiugno 1945; Ugo presiedette il Conve-gno, scrisse il programma della FCLAI esvolse poi un’importante opera di media-zione tra le varie correnti interne al movi-mento. Soprattutto a Milano e in Lombar-dia, e in altre zone del nord del paese,buona parte di coloro che avevano com-battuto i nazifascisti propendevano per-ché gli anarchici rimanessero o entrasseronei Comitati di Liberazione Nazionale;alcuni inoltre avevano un atteggiamentopossibilista nei confronti delle elezioni emolti propendevano per un accordo di al-leanza duratura con gli altri organismidella sinistra e in particolare con i sociali-sti32. Eppure la maggioranza dei gruppianarchici si proclamavano astensionisti eriottosi verso un’intesa con i partiti dimassa. Il Congresso di Carrara del set-tembre 1945 rifiutò le opzioni elettoralidei comunisti libertari della Lombardia edichiarò fondata la Federazione Anar-chica Italiana, organizzazione che pureriuniva le diverse tendenze dell’anarchi-smo e di cui Ugo Fedeli fu segretario ecomponente del Consiglio nazionale33.All’inizio degli anni Cinquanta, i due an-darono ad abitare a Carrara, seguendosempre in prima persona le alterne vi-cende del movimento, partecipando amoltissime iniziative sociali, politiche eculturali. Da lì a poco decisero però di

trasferirsi nel Canavese, luogo più ritiratodal quale non fecero mai mancare il pro-prio appoggio e partecipazione alle atti-vità del movimento, continuando tra l’al-tro a mantenere un fitto scambioepistolare con compagne e compagni ditutto il mondo. In una di queste lettereUgo scrisse riferendosi alle esperienzepassate: “Avendo una compagna del ge-nere mi pare che non sia poi grande onoresaper sostenere quello che ho dovuto so-stenere, perché la Clelia mi fu sempre alfianco”34. Secondo diverse testimonianzeClelia fu davvero l’artefice e la “gelosaguardiana” dell’archivio dei due35.Alla morte di Fedeli nel 1964, Clelia sipremurò di far inserire un trafiletto sulsettimanale del movimento anarchico incui chiedeva ai compagni di segnalare“ogni cosa riguardo Ugo Fedeli, per unaraccolta di documentazioni e attestazioniatte ad una eventuale biografia” . Conti-nuava così nella solitudine un lavoro dipreservazione della memoria i cui risul-tati sono oggi una fonte di conoscenzapreziosa per gli studiosi, i ricercatori e icompagni che intendono fare luce sullastoria del movimento anarchico.

Note1. Un mio lavoro su Ugo Fedeli e il movimentoanarchico internazionale (1911-1933) è in via dipubblicazione per le edizioni Zero in Condotta.

2. Ugo Fedeli Papers, Amsterdam, InternationaalInstituut voor Sociale Geschiedenis (IISG), Anto-nio Senta (a cura di), <http://www.iisg.nl/archi-ves/en/files/f/10748450full.php>

3. Gaspare Mancuso, Ricordando Ugo Fedeli. Visitaa S. Giorgio Canavese, in “Seme Anarchico”, mag-gio 1964; Ildefonso González, El hombre y su obra.La pasion de Ugo Fedeli, Paris, luglio 1964, p. 3.

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4. Cfr. Donne di tutto il mondo unitevi, ArchivioEttore Molinari, cart. 2.12, Le donne e la guerra,Biblioteca Civica A. Mai, Bergamo.

5. Archivio Centrale dello Stato (ACS), CasellarioPolitico Centrale, b. 2375, fasc. Nella Giacomelli,12 maggio 1916.

6. Paul Avrich, Anarchist Voices, Oakland-Edimbur-gh, Ak press, 2005, p. 171, traduzione in italiano inBrand, alias Arrigoni, Milano, in “Bollettino Archi-vio Pinelli”, luglio 1996, n. 7.

7. Cfr. “Il Libertario”, 28 settembre 1916. “Milano,23-9-16 (Ilia). Alla Pretura la scorsa settimana si èsvolto il processo contro 22 nostre valorose compa-gne imputate di grida sediziose perché nella dimo-strazione in Piazza del Duomo la sera del 3 aprilescorso, gridarono: Abbasso la guerra! Queste com-pagne, che già avevano subito 8 giorni di carcerepreventivo, mantennero al processo un ammirevolecontegno. Furono valorosamente difese dagli avv.Podreider e Costa. Il pretore ne condannò 2 chedichiararono di avere emesso il grido, a 10 giorni dicarcere e due altre furono condannate a 5 giorni per-ché dichiararono di aver gridato Abbasso la guerra!,in seguito all’arresto arbitrario. Questa sentenza èuna dura lezione per quei pennivendoli che, oltreaver coperto di insulti le dimostranti, chiedevano lepiù tremende punizioni”. Cfr. anche Palloncini chesi sgonfiano, in “Avanti!”, 25 settembre 1916, p. 3.

8. Cfr. Gruppo di amici di U. F., a cura di, Questio-nario / intervista a Clelia Premoli su Ugo Fedeli,1965, Milano, Fondo Ugo Fedeli, Archivio Pinelli,1965, risposta alla quinta domanda. Cfr. anche [UgoFedeli], Un trentennio di attività anarchica 1914-1945, Cesena, Antistato, 1953, pp. 13-14 e GinoCerrito, L’antimilitarismo anarchico in Italia nelprimo ventennio del secolo, RL, Pistoia, 1968, p. 49.

9. Cfr. Intervista a Maria Rossi del 29 novembre1987 a cura di Cristina Valenti e Massimo Ortalli,Archivio personale Massimo Ortalli, Imola.

10. “In quel periodo di guerra in casa venivano molticompagni bisognosi di aiuto, da parte dei miei geni-tori c’era tanta comprensione per il compagno, c’erasempre un piatto di minestra per chi aveva fame, imiei compagni erano figli in casa mia”, Gruppo diamici di U. F., a cura di, Questionario / intervista aClelia Premoli su Ugo Fedeli, cit.

11. Cfr. Gruppo di amici di U. F., a cura di, Questio-nario / intervista a Clelia Premoli su Ugo Fedeli,cit. “Mi ricordo quando partì, aveva un viso da bam-bino, magro, era un ragazzino. Io gli infondevo tantocoraggio, allora avevo 16 anni” – così ricorderà annidopo Clelia Premoli – “piena di entusiasmo loaccompagnai alla stazione dove dovevano trovarsialtri compagni. Partivano clandestini, un salutino,un’occhiata in giro se non c’era pericolo e Ugo èpartito”.

12. Cfr. “Il Risveglio”, 7 ottobre 1918, p. 3: “fr.85.20 vennero rimessi alla compagna di F. U.”. Cfr.ad esempio la scheda di sottoscrizione da lei curatariportata in “Umanità Nova” del 26/28 febbraio1920 e la sottoscrizione di 5 lire nel numero del 26maggio 1920.

13. Cfr. Notizie da Milano. Un’agitata giornata, in“Avanti!”, 3 marzo 1920, p. 3.

14. [Ugo Fedeli], Un trentennio, cit., p. 26.

15. Cfr. ACS, CPC, b. 1985, fasc. Ugo Fedeli, 8 gen-naio 1934.

16. Luce Fabbri, pref. a Ugo Fedeli, Luigi Fabbri,Torino, Gruppo Editoriale Anarchico, 1948, p. 8.

17. M. S. [Max Sartin – Raffale Schiavina], CleliaFedeli, in “L’Internazionale”, 1 aprile 1974.

18. ACS, Pubblica Sicurezza, Confinati Politici,fasc. Ugo Fedeli, 13 maggio 1924.

19. Cfr. Antonio Senta, Una vicenda rimossa: l’af-faire Ricciotti Garibaldi e l’antifascismo di lingua

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italiana in Francia, in via di pubblicazione in “Sto-ria e Futuro”.

20. Berthe Fabert, cfr. Ugo Fedeli Papers, cit., fol-der n. 72.

21. M.S., Clelia Fedeli, in “L’Internazionale”, 1aprile 1974; Ugo Fedeli, Louis Lecoin: di prigionein prigione, in Ugo Fedeli Papers, cit., folder n. 892.

22. Cfr. Luigi Fabbri, Epistolario ai corrispondentiitaliani ed esteri (1900-1935), a cura di RobertoGiulianelli, Pisa, BFS, 2005, pp. 154-155, 226.

23. Clelia Premoli a Ugo Fedeli, 2 giugno 1934, inUgo Fedeli Papers, cit., folders nn. 180-181.

24. Per una testimonianza della vita e delle lotte aPonza, cfr. Giovanni Domaschi, Le mie prigioni e lemie evasioni. Memorie di un anarchico veronese dalcarcere e dal confino fascista, a cura di AndreaDilemmi, Verona, Cierre, 2007, pp. 97-101; cfr.anche Paolo Finzi (a cura di), Insuscettibile di rav-vedimento. L’anarchico Alfonso Failla (1906-1986). Carte di Polizia/Scritti/Testimonianze, Ragu-sa, La Fiaccola, 1993, pp. 35-36.

25. Ugo Fedeli, Una resistenza lunga vent’anni, in“Bollettino Archivio Pinelli”, luglio 1995, n. 5, p. 12

26. ACS, PS, cit., settembre 1937.

27. Cfr. Olga Lucchi (a cura di), Dall’internamentoalla libertà. Il campo di concentramento di Colfio-rito, Atti del convegno di studi Foligno, palazzoTrinci, 4 novembre 2003, Foligno, EditorialeUmbra, 2004, pp. 24-98.

28. Cfr. Ugo Fedeli e Giorgio Sacchetti (a cura di),Congressi e convegni della Federazione AnarchicaItaliana. Atti e documenti, Chieti, Camillo Di Sciul-lo, 2003, p. 12; Giovanni Domaschi, Le mie prigio-ni e le mie evasioni, cit., pp. 102-103.

29. ACS, PS, cit., settembre 1937.

30. Ugo Fedeli, diario inedito, archivio del CSLCamillo Di Sciullo, Chieti, cit. in Edoardo Puglielli,Il movimento anarchico abruzzese 1907-1957, L’A-quila, Textus, 2010, pp. 206-207.

31. Cfr. Guido Barroero, Anarchismo e resistenza inLiguria, in “Rivista storica dell’anarchismo”,luglio-dicembre 1998, pp. 71-98,

32. Cfr. Ugo Fedeli e Giorgio Sacchetti, a cura di,Congressi e convegni, cit., pp. 19-42; su questi annicfr. Italino Rossi, La ripresa del Movimento Anar-chico Italiano e la propaganda dal 1943 al 1950,RL, Pistoia, 1981.

33. Ugo Fedeli a Severin Ferandel, 8 maggio 1959,in Ugo Fedeli Papers, cit., folder n. 80.

34. Cfr. Ildefonso González, El hombre y su obra,cit., pp. 3 e 15-16. Cfr. anche Carlo Frigerio a UgoFedeli, settembre 1950, Ugo Fedeli Papers, cit., fol-der n. 86.

35. “Umanità Nova”, 29 marzo 1964.

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32Storia per immagini

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33 Storia per immagini

La rivolta machnovista in Ucraina (Anarchy)

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La rivolta dei marinai di Kronstadt (Anarchy)

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Francesco Arena: Quando ero bambinola domenica si pranzava a casa dei mieinonni materni, c’erano i fratelli e sorelledi mia madre con i rispettivi fidanzati/e e spesso la conversazione verteva su cosastesse facendo la DC in quel dato mo-mento, cosa dicesse il PCI, e come sa-rebbe stato diverso se Moro fosse statoancora vivo. Era una famiglia di demo-cristiani, cattolici non praticanti, però eragradito che io e mio fratello di quattroanni più piccolo andassimo a messa lamattina alle 10, alla “messa del fan-ciullo”. E pensa che mio fratello adessolavora alla questura di via Fatebenefra-telli di Milano. Spesso con mia madrepassavamo dalla casa paterna anche disera e alle otto mio nonno rientrava per iltelegiornale, si sedeva su una sedia adondolo e mi dava i cioccolatini che por-

tava dalla sede della DC, perché lì gio-cava a carte con gli amici e la posta era incioccolatini. Io non sapevo cos’era que-sta DC. Un’entità vaga. Ed è così che èavvenuto il mio approccio vocale alla po-litica: cioccolatini, DC, Moro e BrigateRosse. Un po’ senza differenziazione.Queste cose, nonostante le avessi dimen-ticate, mi hanno accompagnato collas-sando nella memoria. Al liceo ho capito meglio certe cose: laDC, Moro, le BR… e a questi nomi se nesono affiancati altri, Pinelli, Piazza Fon-tana, la P2. I nomi hanno smesso di averesolo un suono che mi ricordava le dome-niche da bambino e sono diventate storieper niente chiare ma con dati precisi.

Luca Vitone: Un chiaro racconto biogra-fico di un ragazzino cresciuto nella pro-

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A R T E

A colloquio con Francesco Arena

a cura di Luca Vitone

Francesco Arena è un trentenne artista pugliese che abita a Cassano delle Murgein provincia di Bari. Spesso in viaggio per seguire i suoi progetti, torna appena

può alla sua terra e alla famiglia, arricchitasi ultimamente dalla nascita di Anna.Porta una barba rosso fuoco che lo fa apparire come un barricadiero di più di un

secolo fa, e nei suoi numerosi progetti tra gallerie private e spazi pubblici, in Italia e all’estero, sulle barricate dell’Arte ci sta con onore adottando temi

politici e sociali per esprimere il suo fare artistico. Nel 2009 ha dedicato una serie di lavori a Giuseppe Pinelli. Tramite la sculturamette a confronto il fruitore, mediante le proprie misure fisiche, con i luoghi che

hanno ospitato un avvenimento storico che ha coinvolto drammaticamente unuomo, divenuto metafora suo malgrado di cosa sia la sopraffazione del potere.

Non riuscendo a incontrarci per impegni reciproci gli abbiamo scritto per chiedergli perché Giuseppe Pinelli diventa importante per un’opera d’arte.

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vincia italiana a metà degli anni Ottantadurante il disincanto del riflusso. Però,nonostante il decennio acritico, dei nomie dei luoghi sono affiorati… Ma il lavorosu Pinelli proviene dal fatto che tuo fra-tello sia andato a lavorare in via Fatebe-nefratelli?

Francesco Arena: No, quella è unastraordinaria coincidenza, perché proprioquando ho deciso di approfondire la sto-ria di Pinelli, mio fratello è stato desti-nato a via Fatebenefratelli. In realtà l’in-teresse per Pinelli nasce molto prima,quando in un libro vidi la foto dell’opera

di Enrico Baj I funerali dell’anarchicoPinelli. Non sapevo chi fosse Pinelli e al-lora cercai informazioni (internet ancoranon era tanto diffusa). Poi un professoremi spiegò. Certo, è strano che Baj abbia intitolatoquell’opera I funerali dell’anarchico Pi-nelli mentre ciò che vediamo è il mo-mento della caduta. Ma forse perché inquel passaggio tra sopra e sotto, tra vivoe morto, c’è il funerale appunto comemomento di passaggio da una vita all’al-tra: in questo caso, si passa da una vita diprivato cittadino a quella di nome di pub-blico dominio, dall’umano all’icona,

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La strada di Pinelli: 18.900 metri su ardesia (2009)È il cammino dell’ultimo giorno da uomo libero di Pinelli, dalla stazione a casa e poi al bar e ai cir-coli anarchici sino in questura. Questa strada dà una misura, una cifra, 18.900 metri. Il mio progettoprevede di utilizzare delle lastre di ardesia di cm 60x60x1 cm di spessore sulle quali vengono incise 98linee di 3 mm di spessore e 2 di profondità. Su ogni lastra in totale è incisa una linea di 58,8 metri. Sule 322 lastre che compongono l’opera sono incisi i 18.900 metri del cammino di Pinelli

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dalla memoria personale a un evento de-stinato alla memoria collettiva, alla suacondivisione o incondivisibilità. È questo il momento che mi interessa,questa trasformazione, malgrado loro,che passa attraverso la morte. E a questomomento mi approccio attraverso i dati.I lavori su Pinelli, come altre mie opere,utilizzano dei dati numerici che emer-gono dalla ricostruzione dei fatti diquelle giornate milanesi; di quelle gior-nate, questi numeri sono le poche cosecerte. Perciò l’altezza della ringhiera da cui Pi-nelli precipitò diventa il limite per deglioggetti che avevo nel mio studio: unasedia, un armadio, una scopa, un paio dipantaloni e una porta vengono tagliati a92 cm da terra come a disegnare unnuovo orizzonte.L’altezza da cui Pinelli precipita – 19,45metri – è il quantitativo di metallo cheviene utilizzato per costruire una scala aforbice: l’andare verso il basso del corpodi Pinelli in questo caso è l’andare versol’alto di un altro corpo oggi.La distanza percorsa dentro Milano il 12dicembre del 1969, l’ultimo giorno dauomo libero del nostro, diventa un segnoda incidere su un pavimento di ardesiacosì che le distanze interne alla città ven-gono trasferite in una stanza.Questi dati nel mio lavoro diventano og-getti, come l’aggrapparsi a cose certe inun marasma di interpretazioni e visionidiscordanti.

Luca Vitone: E come si diceva primametti a confronto l’osservatore dellascultura con le misure fisiche del sog-getto preso in esame… una sorta di iden-tificazione. Può essere questo il ruolodella scultura?

Francesco Arena: Penso che inevitabil-

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La caduta di Pinelli: 63,81 piedi di metallosotto forma di scala (2009)19,45 metri di barre di metallo zincato sonostate utilizzate per costruire una scala a pioli aforbice. La metratura di metallo utilizzato è lamisura della caduta di Pinelli dalla finestra delquarto piano della questura di via Fatebenefra-telli di Milano

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mente la scultura ha a che fare con uncorpo, perché come un corpo occupa lospazio nelle tre dimensioni. Un corpo haun peso, un’altezza, una stazza, cosìcome una scultura. La scultura è un altrocorpo, probabilmente un’altra persona, oun gemello di cui ignoravamo l’esistenzae attraverso il quale percepiamo la nostra.

Luca Vitone: Un corpo, oltre la forma el’aspetto fisico, detiene un pensiero, cosìpure la scultura. Quando ti riferisci a Pi-nelli, pensi all’uomo, all’anarchico o allasua forma? Voglio dire: Pinelli può essereun pretesto, ma non è un cognome qua-lunque. Il suo suono, quando viene pro-nunciato, rimanda inevitabilmente a uncontesto. Enunciandolo, si coinvolgel’ambito che rappresenta? In quantoicona, influisce sulla pratica del lavoro?E l’ideale che incarna può suggerire

un’attitudine nel procedimento discipli-nare artistico?

Francesco Arena: Parlare di Pinelli vuoldire raccontare un contesto, trasportarloaltrove, utilizzarlo come materia cheinforma l’opera. Le storie che indagosono come la creta, il legno, il marmo o ilbronzo di cui l’opera è fatta. Certo, que-ste storie così strettamente legate a un in-dividuo in realtà sono filtri attraverso cuiguardare il mondo e la ciclicità con cuigli eventi si ripetono. Come cercare Pi-nelli in altre cento storie che di volta involta hanno nomi diversi di persone, unavolta Stefano Cucchi, un’altra Aufi Farid,e così via.

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La ringhiera di Pinelli: 92 centimetri su oggetti (2009)Vari oggetti sono stati tagliati a un altezza massima di 92 centimetri. I 92 centimetri sono gli stessi dell’altezza della ringhiera della finestra della questura di Milano da cui il 15 dicembre 1969 precipitòGiuseppe Pinelli

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Avevo sedici anni. Ne sonopassati più di quaranta. Alcunimanifesti sui muri colpironola mia attenzione: chiedevanola liberazione di GiovanniCorradini, Eliane Vincileoni,Paolo Braschi, Tito Pulsinelli,Angelo Della Savia e PaoloFaccioli. Anarchici incarceratiingiustamente per le bombealla Fiera campionaria e allastazione Centrale di Milano.Non avevo mai visto un anar-chico in carne e ossa e quelgiorno alcuni compagni eranoseduti sui gradini del Palazzodi giustizia levando in altocartelli e pugni chiusi. Rimasi

folgorato. Avevo appena ini-ziato a leggere L’anarchia diGeorge Woodcock.Alcuni giorni dopo, tuttoemozionato, a bordo del miomotorino decisi di andare inpiazzale Lugano 31, al Cir-colo anarchico Ponte dellaGhisolfa. Avevo letto l’indi-rizzo su un volantino. Lì in-contrai Fausta Bizzozzero,Luciano Lanza, Amedeo Ber-tolo e Cosimo Scarinzi cir-condati da manifesti, libri evolantini. Ricordo di avercomprato L’anarchia di Er-rico Malatesta, che conservogelosamente. Tornai al Ponte

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Quei ragazzi di via Scaldasoledi Pietro Spica

Lo striscione dell’MSL alla manifestazione del 1° maggio 1972 sui Bastioni di Porta Venezia a Milano

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altre volte. Poi arrivò il 12 dicembre conle bombe, l’arresto di Pietro Valpreda el’assassinio di Giuseppe Pinelli. Conti-nuai a leggere appassionatamente i “mae-stri” dell’anarchismo.A quel punto ero un po’ più disinvolto emeno timido. E nel 1970 cominciai a fre-quentare il Circolo di via Scaldasole inzona Ticinese. Due volte alla settimanapartecipavo alle riunioni del gruppopomposamente denominato Movimentosocialista libertario, introdotto da MarcoSignori, mio compagno delle scuolemedie. In quel circolo si riunivano altrigruppi. Ricordo soprattutto il gruppoPrimo maggio con Daniele Moltrasio,detto “Naso”, e Pino Maffezzoni. E Lottaanarchica con Massimo Varengo e PaoloArioli. Una volta al mese ci si incontravacon altri gruppi (fra questi il “mitico”Bandiera nera) sotto la sigla Organizza-zione anarchica milanese.Per arrivare al circolo bisognava attraver-sare un cortile cosparso di pezzi d’auto-mobile di un carrozziere. Poi si scendevauna scaletta e si arrivava in un grandecantinone con imponenti colonne dimarmo. Ci definivamo “gruppi di affi-nità”, ma sempre sorgevano dispute conaccuse reciproche di “circolismo”, “inter-classismo”, “purismo”, “individualismo”,“dogmatismo”, “avventurismo”, “buro-craticismo” e “renudismo”.Nel mio gruppo ricordo il già citato Si-gnori, denominato “Spranghetta”, il teo-rico; Fabio Ragghianti, il chitarrista; An-tonio Cavalet, il poeta; Riccardo detto“Ciardo”; Michele Serra, solitamente si-lenzioso ma con improvvisi guizzi iro-nici; Walter Marossi, il pragmatico buro-crate; Mario Giovannini, da noi moltoamato perché figlio di un ristoratore delTicinese; Roberto “Roby” Garavaglia, ilfrikkettone; Guido Salvini, timido e gen-tile; Davide Vitetta, pugliese e reincarna-

zione di Carlo Cafiero; Enrico Mentana,interista rubacuori; Mario “Coniglio”Ferrandi, sempre ombroso. Per fortunac’erano anche due compagne: Lisa, labellissima, e “Teti” Giani, appassionata dieconomia. Eravamo come una famigliola,sempre pronti a rimbeccarci e a creare ef-fimere alleanze.Anche noi per darci un tono abbiamo ci-clostilato in trecento copie il nostro mini-documento di 23 pagine: Per una azionepolitica socialista e libertaria.Quel ciclostilato faceva bella mostra per-fino in una delle vetrine della Libreria Sa-pere di piazza Vetra e da bravi militantil’abbiamo distribuito davanti alle scuole.Arrivando a scontrarci con alcuni stalini-sti del Movimento studentesco. Insomma,ci sembrava di aver riscritto la storia delmondo. E ne andavamo molto fieri. So-prattutto del terzo capitolo intitolato Tec-noburocrazia, il nostro cavallo di batta-glia teorico. In quei due anni di accesamilitanza ci siamo sentiti protagonistidella scena politica. Adesso Fabio è un apprezzato liutaio evive nella sua amata Versilia. Antonio èmorto in un incidente stradale e mi mancamolto. Guido è un giudice che ha inda-gato sulla strage di piazza Fontana indivi-duando i colpevoli, ma Corte d’appello eCassazione hanno assolto tutti. Roby si ètagliato i capelli. Io dopo averli fatti cre-scere li sto perdendo, ma continuo a di-pingere. Enrico è un volto del telegior-nale. Walter e Davide hanno fattocapolino nel Partito socialista. Coniglio èfinito nella lotta armata e si è fatto anni digalera. Spranghetta per molti anni ha la-vorato all’ufficio studi della UIL. Micheleè un giornalista e scrittore più che sati-rico. E chissà dove sono Lisa e “Teti”.Insomma, è stata una bella storia di ami-cizia e di anarchia.

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Filosofia del-l’anarchia:

teorie libertarie,pratiche

quotidiane eontologia(convegno di

studi, Lione,

12-15 maggio

2011)

di Andrea Breda

Il 12 maggio un’allegradelegazione milanese,composta da ben settepersone, è sbarcata in queldi Lione per partecipare auna quattro giorni dieventi e iniziative e perintrecciare relazioni nuovecon i compagni lionesi.L’arrivo è stato deimigliori, ancora tutti unpo’ intontiti dal viaggio cisiamo ritrovati in una cittàsorprendentemente acco-gliente, affacciata sulRodano e la Saona eabbarbicata sulle collinecircostanti i due fiumi. Dabuon milanese sono rima-sto subito colpito dall’ab-bondanza di verde, di

piste ciclabili e dal fasci-no del Rodano che ser-peggia fra i quartieritagliando in due la città.Anche la storia recente siè fatta sentire, durante laricerca del parcheggiosiamo passati per PlaceBellecour, una delle piùgrandi d’Europa e teatrodegli scontri di novembre.Essendo arrivati tardi,abbiamo perso gli incontridel primo giorno,

ma grazie alla nostra effi-ciente rete di contattiabbiamo subito raggiuntoValentina e Carlo, amici eciceroni che ci hannoaccompagnati durante ilresto dei giorni, e Viviene Gwendolyn, francese ilprimo e tedesca la secon-da. Vivien, Gwendolyn eCarlo sarebbero anchestati tutti e tre relatori neigiorni successivi. Maentriamo nel vivo dellafaccenda. Non tutto èstato perfetto, ma perindole io preferisco vede-re la bottiglia mezzapiena e penso che anche avoi che leggete interessidi più sapere quali sianostati gli spunti significati-vi di questa esperienza. Per prima cosa penso chesia da evidenziare unaforte presenza di giovani,sia tra i relatori che tra ilpubblico. Per quantoriguarda i relatori, hannodato la loro impronta siaIn

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Da sinistra a destra: Daniel Colson e Vivien García, due tra imolti relatori intervenuti al convegno

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sui contenuti sia sullaforma di esposizione. Daun lato, hanno saputo por-tare in un contesto forma-le e potenzialmente retori-co i loro interessi e le loropassioni, dimostrandocome tematiche spessoaccusate di essere lontanedal presente e rifiutate dalreale, come la filosofia el’anarchismo, possanoessere invece veicolo diidee fresche, attuali e vis-sute. Dall’altro, ho notatoe sono rimasto piacevol-mente colpito dal tentati-vo di rinnovare l’ormaiusurata pratica della pre-sentazione frontale. Alcu-ni esempi, l’utilizzo dipiccoli spezzoni diimprovvisazione teatralecome nel caso della rela-zione di Carlo Milani, ola dinamica collettiva dipresentazione che il GRA(Groupe RechercheAction), un gruppo disociologi lionesi, è riusci-ta a ricreare con successo.

Un secondo punto diforza è stato il rapportoparticolare che si è creatocon la città di Lione. Lequattro giornate di rela-zioni e dibattiti si sonoinfatti svolte in posti dif-ferenti: in parte all’EcoleNormale Supérieure deLyon, in parte alla Condi-tion des soies, e infine,parallelamente al Salonedell’editoria libertaria,nella Maison des Associa-tions du IVe Arrondisse-ment. Il fatto di spostarsinell’arco dei giorni hapermesso, a chi partecipa-va agli incontri e venivada lontano, di muoversinella città e conoscerlameglio anche grazie allafigura di Mimmo Puccia-relli e del CEDRATS(Centre de documentationet de recherches sur lesalternatives sociales), chehanno saputo creareun’atmosfera del tuttoparticolare. Come se ciònon bastasse, per la mag-

gior parte dei giorni losfondo è stato quello dellaCroix Rousse, quartierestorico di Lione che con-serva ancora il fascino ele storie delle rivolte edelle lotte dei canut, dicui è stata testimone nel1831 e poi nel 1848. Seda un lato c’è stato unottimo lavoro da partedell’organizzazione, dal-l’altro la città ha in qual-che modo saputo far suaquest’esperienza.Dulcis in fundo, pensoche il maggior successodi questo convegno su“Philosophie de l’anar-chie” sia stato quello diriuscire a legare il dire eil raccontare con il fare.Una presenza transgene-razionale, il rapporto par-ticolare con il territorio,la varietà e la freschezzadegli approcci e dei con-tenuti hanno creato unacondizione che ha resopossibile una commistio-ne e uno scambio di prati-che basati non solo su unconfronto teorico maanche su una condivisionedella quotidianità. Insom-ma, sia per gli obiettiviche si era posta, siasoprattutto per il vissutodi chi ha partecipato,penso che sia stata un’e-sperienza importante, diquelle che vorremmovedere più spesso.

Da sinistra a destra: Tomás Ibáñez insieme a due compagni delcentro studi libertari/A.sperimenti

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XV incontrodella FICEDL

a Lisbona 16-18 settembre

2001

Con la solita scadenzabiennale (l’ultima riunio-ne si era tenuta a Pisa nelsettembre 2009), il prossi-mo incontro della Fédéra-tion Internationale desCentres d’Etudes et deDocumentation Libertai-res, ovvero la federazioneche raggruppa a livellointernazionale gli archivie i centri studi anarchici,avrà luogo in settembre aLisbona, organizzata dalBOESG. Il programma dimassima dell’incontro(ancora in fase di defini-zione) prevede una primasezione alle ore 14.00 divenerdì 16 settembre conla presentazione dei cen-tri/archivi presenti, segui-ta da una sessione più tec-nica dedicata alla conser-vazione cartacea e alladigitalizzazione di mani-festi, locandine, volantinie altri documenti. Dopocena è prevista la proie-zione del documentarioMemória Subversiva diJosé Tavares sulla storiadell’anarchismo porto-ghese. Il giorno successi-vo, sabato 17 settembre,

sarà interamente dedicatoa una dibattito sul temaRivoluzione?, che ripren-de il seminario organizza-to lo scorso novembre dalnostro centro studi e daA.sperimenti (vedi Bollet-tino 36). Altre tematicheverranno segnalate nelprogramma definitivo,che metteremo sul nostrosito. Per avere maggiori infor-mazioni sull’incontro:

BOESGBiblioteca e Observatóriodos Estragos da Socieda-de [email protected]

Bibliografiaanarchica in linguafrancese

2010 Il CIRA Marseille ha pub-blicato anche quest’anno(il ventunesimo) la biblio-grafia che raggruppa itesti sull’anarchismo usci-ti in lingua francese nelcorso dell’anno preceden-te. Il bollettino, curato daFelip Equy, elenca i 399titoli usciti sull’argomen-to, dei quali 253 rientranonella saggistica e 146nella narrativa. Sempre consistenti i libridi o su i pensatori classicianarchici. Per quantoriguarda il 2010 si segna-la un prevedibile picco(23 titoli a testa) di libridedicati a Leo Tolstoj, peril centenario della morte,

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e ad Albert Camus, per ilcinquantesimo dellamorte. Per quanto riguarda lastoria, i due temi piùricorrenti sono stati laguerra civile spagnola,che si riconferma un argo-mento ampiamente dibat-tuto, e la Comune di Pari-gi, di cui cade il 140°anniversario nell’anno incorso). Quanto alle tematiche piùricorrenti nei testi di sag-gistica, si conferma comesempre un’incontenibilevarietà di soggetti: fem-minismo, media, urbane-simo, trasporti, educazio-ne, psicoanalisi, suicidio,religioni, colonialismo,sindacalismo, sport, eco-nomia, lavoro…

Un ruolo di rilievo spettaperò all’arte, tanto che la casa editrice K’A ha fattouscire il primo di unaserie di volumi intitolataappunto Art et anarchie.Tra gli editori anarchici,le Editions Libertairessono quelle che hannopubblicato più titoli (14per il 2010), seguite aruota da un buon numerodi iniziative editorialiormai consolidate – Acratie, Atelier de CréationLibertaire, CNT-RP, L’E-chappée, Le Flibustier,L’insomniaque, Libertalia,Editions du Monde Liber-taire, Rue des cascades eSpartacus – che hannopubblicato almeno unpaio di nuovi titoli nelcorso dell’anno.

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GIUGNO 2011Centro Studi Libertari / Archivio Giuseppe Pinelli

via Rovetta 27, 20127 Milanotel. 02 28 46 923- fax 02 28 04 03 40

orario di apertura 10:00-18:00 dei giorni feriali – orario di consultazione 14:00-18:00e-mail: [email protected] - web: http://www.archiviopinelli.it

c/c postale n. 14039200 intestato a Centro studi libertari, Milanotutti i numeri precedenti sono liberamente scaricabili dal sito

stampato e distribuito daelèuthera editrice

via Rovetta 27 – 20127 Milano