EDITORIALE - Centro studi libertari...spagnola e della Resistenza. Nel secondo dopoguerra,...

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31 Cose Nostre Una scultura per Pinelli Memoria storica “L’Assiette au Beurre” e l’arte della caricatura Documentari Rinascita libertaria a Cuba Storia per immagini La makhnovtschina in dodici puntate Anniversari Il ‘68 di De André Biografie Le tante vite di Raoul Saccorotti

Transcript of EDITORIALE - Centro studi libertari...spagnola e della Resistenza. Nel secondo dopoguerra,...

  • 31Cose NostreUna scultura per Pinelli

    Memoria storica“L’Assiette au Beurre”e l’arte della caricatura

    DocumentariRinascita libertaria a Cuba

    Storia per immaginiLa makhnovtschinain dodici puntate

    AnniversariIl ‘68 di De André

    BiografieLe tante vitedi Raoul Saccorotti

  • EDITORIALEUna scultura per Pinelli

    Cose nostre

    • Cuba, rinascita libertaria• Errata corrige

    Tesi e ricerche

    • Gli Arditi del Popolo nel dibattito storiograficodi Andrea Staid• Il pensiero libertario francese tra Otto-cento e Novecentodi Gaia Raimondi

    Anniversari

    Conversazione con Fabrizio De André sul Sessantottoa cura di Luciano Lanza

    Memoria storica

    • Anarchico ed ebreodi Hanon ReznikovBIOGRAFIE

    • Le multiple vite di Raoul Saccorottidi Phil Casoar• La famiglia Dall’Oca e l’anarchismo a São Paulodi Marcolino Jeremias

    Storia per immagini

    FILML’armata di Makhno conquista gli schermi russidi Mikhail Tsovma

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    Hanno collaborato a questo numero, oltre agli autori delle varie schede:Amedeo Bertolo, Pierpaolo Casarin, Barbara Ielasi, Rossella Di Leo,

    Lorenzo Pezzica, Andrea Staid, Cesare VurchioImpaginazione grafica: Emilio BibiniRicerca iconografica: Roberto Gimmi, Gianfranco AresiIn copertina: John the Cook, pseudonimo di un anarchico italiano vissuto

    clandestinamente negli Stati Uniti per oltre sessant’anni. Foto scattata nel1980 a Los Gatos (California) nell’orto di Domenico e Aurora Sallitto.

    Quarta di copertina: Germania, il dito della Legge e il punk.

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    Una scultura per Pinelli *È alla memoria attiva, la memoria come somma delle esperienze che hanno se-gnato la personalità individuale o l’immaginazione collettiva e che continuanoperciò a influenzare i comportamenti dei singoli e dei gruppi sociali, la memoriache presiede alla prassi, la memoria come funzione vitale, è a questa memoria checi riferiamo quando diciamo che Pinelli e piazza Fontana sono e devono restarenella memoria di un’epoca e di un paese. È a questo tipo di memoria che pen-siamo quando promuoviamo iniziative come quella di installare in un luogo pub-blico una scultura per ricordare Pinelli. Con questa iniziativa non intendiamo com-memorare Pino come si ricorda con tristezza un amico morto quasi quarant’anni fa.Quel ricordo, quella nostalgia, hanno sede privata, per quanti lo hanno conosciutopersonalmente. Oggi intendiamo invece rafforzare la memoria attiva di un episo-dio esemplare della violenza di Stato. Con rabbia e con lucidità. Non commemo-riamo l’amico e neppure santifichiamo il martire: non amiamo il martirio, noncoltiviamo masochisticamente o furbescamente il culto dei martiri. Tuttavia visono episodi e figure che assumono un’importanza particolare nella memoria col-lettiva, che segnano un’impronta particolare nell’immaginazione sociale e il cui ri-cordo contribuisce alla coscienza delle persone libere. “Alcune morti pesano comemontagne”, diceva un noto tiranno, che doveva intendersene perché ha dato uncontributo non marginale alla lunga lista delle vittime del potere. Ebbene, la mortedi Pinelli ha pesato molto. Perché essa si è trovata a essere centrale, simbolica-mente, non solo a tutta la macchinazione connessa alla vicenda di piazza Fontanae a un lungo periodo di stragi di cui gli apparati statali sono risultati complici o con-niventi, ma centrale anche a un periodo importante della storia italiana ancor oggicoperto da misteri e depistaggi. E anche perché essa, proprio in quel delicato mo-mento, ha strappato per un attimo la maschera democratica delle istituzioni fa-cendo apparire il vero volto del potere. Per un attimo, storicamente parlando, ep-pure sufficiente a impressionare la pellicola dell’immaginazione collettiva con laviolenza del potere. Di ogni potere, anche di quello democratico. Anzi, il valoreemblematico di quei fatti nasce proprio dalla natura democratica dello Stato ita-liano, perché è allora emersa una verità sovversiva: le regole del gioco democraticovengono rispettate da chi detiene il potere solo se il suo dominio non viene messopericolosamente in discussione. Ma il 12 e il 15 dicembre 1969 non sono già nellamemoria collettiva? Che senso ha dunque continuare a parlarne? Ebbene, che ilfarlo abbia un senso, che si debba rafforzare il ricordo vero di quei fatti tanto lon-tani (e tanto vicini perché mai conclusi), che si debba rafforzare una memoria col-lettiva estremamente labile, ce lo dice l’intensità con cui l’intero mondo politico ei mass media (questa grande macchina di costruzione e ricostruzione del consenso)stanno lavorando per modificare il significato di quel ricordo, per capovolgerne ad-dirittura la valenza. Ecco perché dobbiamo – anche simbolicamente, noi icono-clasti – difendere la memoria di quel dicembre, oggi sfacciatamente manipolataper i più banali scopi elettorali da una politica tutta volta al recupero del consensoistituzionale e votata all’amnesia storica.

    * Elis Fraccaro è l’autore della scultura dedicata a Pino installata da tempo nellasede milanese di viale Monza 255. Il progetto “Una scultura per Pinelli, che oggiavrebbe ottant’anni” – promosso da Centro studi libertari, “A”, “Libertaria”,Federazione Anarchica Milanese... – prevede un primo appuntamento in ottobrea Milano per lanciare l’idea di una collocazione pubblica dell’opera.

  • Cuba,rinascita libertaria

    Taluni – i più romantici oforse i più disinformati –si ostinano a credere chela conquista del potere daparte di Fidel Castro e delsuo apparato statale possafregiarsi del titolo di Ri-voluzione cubana. Inrealtà, ormai da troppi de-cenni a Cuba esiste un re-gime liberticida simile aquelli che abbiamo cono-sciuti nell’Europa dell’Est(certo, un regime che haanche fatto cose positiveper il popolo... ma se è perquesto anche il fascismoha realizzato ammortizza-tori sociali per le classimeno abbienti, senza chequesto abbia modificato ilgiudizio libertario nei suoiconfronti). Che di un re-gime oppressivo si trat-tasse, gli anarchici cubani– per lo più costretti al si-lenzio o all’esilio se nonvolevano finire nelle ga-lere castriste – lo hannosempre saputo. E l’hannosempre detto, spesso cor-rendo il rischio di esseretacciati con l’accusa – invoga negli anni dellaGuerra Fredda e ancheprima – di essere agenti alsoldo degli americani.Come avvenne perfino in

    ambito anarchico. Adesempio, esattamente qua-rant’anni fa, durante il“mitico” ‘68, al Con-gresso Anarchico Interna-zionale di Carrara DanielCohn Bendit (allora re-duce-star del Maggio pari-gino, oggi eurodeputatoverde) e un gruppetto disuoi compagni interrup-

    pero il delegato del Movi-mento libertario cubano inesilio al grido di “CIA...CIA...”, scatenando peral-tro una sdegnata reazioneda parte di delegati e os-servatori. Molta acqua èpassata sotto i ponti da al-lora e quell’epoca non esi-ste più, ma il regime ca-strista esiste ancora. Efare il libertario a Cubacomporta ancora rischi.Lo sanno quelli del GAL-SIC (Grupo de apoyo a loslibertarios y sindicalistasindependientes en Cuba)che in questi momenti dicambiamento per la realtàcubana – quanto meno perragioni anagrafiche –stanno strenuamente lavo-rando per ampliare gli esi-gui spazi di libertà. E nelfarlo hanno ben presente

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    Foto-ricordo di fine lavori dell’Unión Municipal de AsociaciónLibertaria de Cuba.

  • di dover reinventare la ca-pacità di un’azione dalbasso e di dover recupe-rare la memoria, cioèquella ricca storia di anta-gonismo sociale che ha at-traversato tutta la storiacubana pre-Fidel. Il fil-mato Cuba, memoria sin-dacale, da loro prodotto eora tradotto in italiano dalnostro centro studi, in col-laborazione con il Collet-tivo Arti e Mestieri Liber-tari di Genova, rientraappunto in questo sforzodi chiudere con un pre-sente asfittico e di recupe-rare i sogni e i valori di unpassato non troppo lon-tano da traghettare in unfuturo che si spera ormaivicino.

    Erratacorrige

    A proposito del Bollettino30, Tobia Imperato ci se-gnala che la persona raffi-gurata in copertina è sì unOrtore, ma non quello danoi segnalato: ovvero nonè Francesco, bensì Vitto-rio Ortore, nato a Pont Ca-navese nel 1904 e mortoin Spagna, sul fronte diHuesca, nel 1937. Ci scu-siamo per la svista e rin-graziamo per la precisa-zione.

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    Cuba, memoria sindacaleanarco-sindacalismo e sindacalismoindipendente

    realizzato da Claudio Castillo e Jorge Massettiper il GALSICedizione italiana a curadel Centro Studi Libertari /Archivio G. Pinelli di Milanosottotitoli a cura del Collettivo Arti e MestieriLibertari di GenovaCD - durata: 26 minutiprezzo 10,00 euro (spese di spedizione in-cluse; per ordini di almeno5 copie sconto del 30%).

    In qualunque regime totali-tario il movimento sinda-cale non è altro che unostrumento dello Stato per ilcontrollo delle masse. Inquei regimi esistono solo isindacati ufficiali, come è

    appunto il caso di Cuba:la CTC (Confederación deTrabajadores de Cuba) èla famigerata “cinghia ditrasmissione” delle diret-tive economiche del poterecastrista. Questa trasfor-mazione del sindacalismoda strumento di lotta in di-fesa degli interessi delleclassi lavoratrici a stru-mento di subordinazioneagli interessi dello Stato-padrone, è stato il risultatodi un lungo processo di di-struzione e repressione delsindacalismo autonomo ecombattivo, in primo luogodella sua componenteanarchica. In questo mo-mento di aspettative per ilfuturo di Cuba, con lascomparsa di scena diFidel Castro, è più che mainecessario il recuperodella memoria storica sin-dacale, della intensa ericca storia del sindacali-smo che ha preceduto il re-gime castrista. Si deve farconoscere quella storia allegenerazioni di lavoratoriche dovranno ricostruireun movimento sindacaleche torni a essere espres-sione dei loro interessi difronte sia allo Stato-pa-drone sia alle imprese ca-pitalistiche nazionali ostraniere che sempre piùandranno a costituire larealtà dell’economia cu-bana.

  • Benché l’antifascismo, inteso sia cometeorizzazione politica che come rispostamilitare nasca quasi contemporanea-mente alla comparsa dello squadrismo1,le prime forme di resistenza al fascismosono sicuramente meno note di quelle le-gate alle esperienze della guerra civilespagnola e della Resistenza. Nel secondodopoguerra, l’antifascismo sconfittodegli Arditi del Popolo è stato relegato aimargini della storiografia. Tra le ragionidi questa parziale rimozione, vi possonoessere quella delle origini e della naturadella prima associazione antifascista(permeata da miti arditistico-dannun-ziani, successivamente fatti propri dal fa-scismo, e al contempo atte-stata su posizionigenericamente rivoluzionarie)e quella della difficile autocri-tica degli attori di allora (dalleistituzioni alle forze politichee sociali), le quali non com-presero appieno la portata delfenomeno fascista e, trannequalche eccezione, ostacola-rono la diffusione dell’antifa-scismo del 1921-222. Tra i pochi storici specialistidel movimento operaio, delcombattentismo o del fasci-smo che si sono occupati delfenomeno ardito popolare si

    sono fatte strada diverse linee interpreta-tive all’interno delle quali sono presentivarianti sostanziali.La prima interpretazione (Paolo Spriano,nel testo Storia del partito comunistaedito nel 1967, Ferdinando Cordova, neltesto Arditi e legionari dannunziani editonel 1969 e infine Marco Rossi con iltesto Arditi non gendarmi edito nel 1997)sostiene che il movimento sia sorto instretto legame con l’arditismo di trincea elo spirito dannunziano (valutati come fe-nomeni, se non rivoluzionari, quanto-meno non reazionari). Gli Arditi del Po-polo sarebbero dunque una espressionedi quel sovversivismo irregolare, di

    stampo piccolo borghese, chenel corso del biennio rossoseguì una traiettoria inversa aquella fascista.Spriano, che considera gli Ar-diti del Popolo una “meteoranel cielo incandescente dellaguerra civile”3, sottolineal’infuocato clima italiano altermine della prima guerramondiale e il carattere di fu-gace apparizione, ma anche diconcreta visibilità del movi-mento. Lo storico afferma cheforse gli Arditi del Popolorappresentarono la grande oc-casione mancata dell’antifa-

    Gli Arditi del Popolo nel dibattito storiografico

    di Andrea Staid

    Tesi di laurea in Storia Contemporanea, Facoltà di Lettere e FilosofiaUniversità degli Studi di Milano, a.a. 2003-2004

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    scismo militante prima della marcia suRoma4, evidenziando l’aspetto sponta-neo del movimento e il fatto che nel girodi pochi giorni esso mutò natura, fino aoffuscare le origini combattentistiche5. Cordova si oppone a questa interpreta-zione, affermando che l’organizzazioneantifascista non nacque spontaneamente,né perché tagliò i ponti con il combattenti-smo, ma nacque su salde radici proletarie6. Rossi, infine, afferma che gli Arditi delPopolo nacquero in continuità con l’espe-rienza dell’arditismo di guerra, anche sequasi subito riuscirono ad assumere uncarattere popolare e spontaneo7. Lo sto-rico espone una valutazione critica dellastoriografia, distinguendo e ponendosotto accusa due grandi famiglie storio-grafiche, una legata alla destra, l’altraalla sinistra. Per la prima, infatti, “rimaneinammissibile che degli ex combattenti,per di più volontari dei reparti d’assalto,non solo si sottrassero alla strumentaliz-zazione mussoliniana dal loro disagio direduci, ma vi si opposero anche con learmi, contendendo al fascismo, assiemealle bandiere nere, l’eredità ‘spirituale’dell’arditismo di guerra; per la seconda:gli Arditi del Popolo restano un feno-meno non compreso e guardato con so-spetto sia per il loro passato militarista,sia per il carattere ‘estemista’ che assumela loro azione”8. Altri storici, tra i quali Giorgio Rochat,giudicano invece l’associazione antifasci-sta completamente estranea alle vicendedel sovversivismo degli ex combattenti.Le origini degli Arditi del Popolo andreb-bero ricercate nella storia e nelle tradi-zioni del movimento operaio. Nell’operaGli Arditi della grande guerra, edita nel1997, definisce il fenomeno dell’arditi-smo popolare una parentesi: per Rochatgli Arditi del Popolo sono un elementoestraneo all’arditismo di stampo combat-

    tentistico, indice comunque di quantofosse diffuso il mito dei combattenti deireparti d’assalto tra le masse9. Lo studio dei documenti, non può checonfermare lo stretto legame dell’arditi-smo popolare col combattentismo. Nonsolo l’organizzazione non sorse e non sisviluppò spontaneamente, ma i suoi prin-cipali dirigenti furono effettivamente excombattenti (per lo più ufficiali di com-plemento), molti dei quali inquadrati pro-prio nei reparti d’assalto. La matricecombattentistica del movimento, come illavoro propedeutico per la sua organizza-zione e diffusione, non sono però ricon-ducibili all’Associazione Nazionale Ar-diti d’Italia, ma alla Lega proletaria (fattaeccezione per la sezione madre capito-lina). Questo non deve sorprendere, datoche l’associazione reducistica legata aipartiti proletari rappresentava già la lineadi unione tra fabbrica e trincea, tra com-battentismo e movimento operaio10. Se èvero che la crescita degli Arditi del Po-polo avvenne, come afferma Rochat,“rompendo i ponti con l’arditismo, mito emovimento di troppo angusto respiro”11,è altresì vero che i legami con la matricecombattentistica andavano oltre il sem-plice mito. Tali legami, lungi dall’essererecisi, sono testimoniati, oltre che dalla

    “L’Ardito del Popolo”, giornale di difesa proleta-ria, 17 novembre 1922, Roma.

  • fraseologia tipicamente “ardita” dei do-cumenti interni e pubblici, dalla strutturaprettamente militarista dell’associazioneantifascista e dagli innumerevoli episodiresistenza organizzati con criteri che im-plicavano una certa conoscenza delle tec-niche di combattimento e una forma diorganizzazione militare, sino ad alloraestranea al movimento operaio italiano.Sul numero unico parmense “L’Arditodel Popolo”, a testimonianza del nessoesistente tra arditismo di trincea e antifa-scismo proletario, si legge: “Ti spoglia-rono della divisa del soldato e ti lancia-rono sulle piazze dell’italo suolo, piùaffannato, più miserabile di prima! Chi siricordò più di te? Ed oggi? Oggi gioventùardita, non sei più, per la borghesia che telo gridò, l’eroe nobile che difese la pa-tria. No! Oggi sei la teppa, sei la cana-glia! Oggi sei la teppa perché ti ergi a di-fesa delle istituzioni proletarie. Oggi seila canaglia perché ti opponi ai sicari chevorrebbero entrare nelle case operaie efare opera di distruzione sulle cose esulle persone! Signori borghesi chi seppecombattere ieri, per voi, sa combattereancora oggi, perché la causa è ben piùgiusta, e ben più nobile!”12.La palese ostilità degli organi direttivi dei

    due principali partiti operai nei confrontidegli Arditi del Popolo dovrebbe inoltreessere un elemento probante del fattoche, benché promossa da ex combattentidella lega proletaria, l’organizzazione an-tifascista veniva percepita (dai gruppi di-rigenti) come una sorta di corpo estraneoal movimento proletario tradizionale.Occorre soffermarsi sulla tesi sostenutada Del Carria, più politica che storica,che negli anni ha ottenuto una notevoleimportanza in ambito storiografico, laquale parte dal presupposto che neglianni in cui si crearono le prime forma-zioni ardito-popolari il movimento ope-raio e contadino era ormai definitiva-mente sconfitto in Italia. Egli sostieneche dopo le grandi speranze del bienniorosso, durante il quale era sembrato chel’ondata rivoluzionaria potesse risolvereuna volta per tutte le contraddizioni diclasse del capitalismo italiano, la rea-zione agraria e industriale, per mezzodella mano armata del fascismo, di-strusse in pochi mesi tutte le conquiste diquarant’anni di lotte proletarie. Ritieneinoltre che la cosa più grave sia stato ilcrollo, che avvenne senza lotte e senzaresistenza. E ancora, secondo Del Carria,“il riformismo, come ideologia e politicaborghese in seno al movimento operaio,mostrava di fronte alla dittatura armatadegli industriali e agrari la sua insuffi-cienza e il suo nullismo”13. Guardando però agli anni 1921-22 DelCarria è convinto che non tutto sia ancoraperduto, perché insieme alla volontàistintiva di negazione degli operai dell’in-dustria e dell’agricoltura esistevano lar-ghi strati di ceto medio su posizioni rivo-luzionarie14. Il sintomo di taleopposizione fu la costituzione, in ma-niera spontanea, degli Arditi del Popolo.L’autore sottolinea che: “Scrivere la sto-ria degli Arditi del Popolo vuol dire scri-

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    Barricate a Parma, 1922, Oltretorrente.

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    vere la storia dell’antifascismo militantefuori degli schemi della democrazia par-lamentare borghese”15. Ripensare agli Arditi del Popolo significaal contempo svalutare la politica del Par-tito comunista d’Italia, presentata comel’unica antitesi al fascismo. Tutti i partitidella sinistra ufficiale non vollero aval-lare in nessun modo tale movimento, anziaffermarono sempre e in ogni occasionedi voler scindere le loro responsabilità daquanto veniva compiuto dagli Arditi anti-fascisti. Lo stesso Partito comunista, perbocca di Umberto Terracini, accuserà gliArditi del Popolo senza mezzi termini diessere una manovra della borghesia: “Lacréation des Arditi del Popolo n’a étéqu’une manoeuvre intéressée de certainséléments de la bourgeoisie desireux dedétourner à leur profit une partie desénergies prolétariennes réveillés par lesattentats fascistes”16. Sempre Terracinisostiene inoltre che l’arditismo popolare,affatto rivoluzionario, non possa essereconsiderato una prima forma di arma-mento del proletariato e che il suo capo,Argo Secondari, è in sospetto di essereun agente provocatore: “Publiquementaccusé de provocation il ne s’était pasdéfendu. Sa seule personalité discréditaitles arditi”17. I partiti della sinistra, ai quali le classi su-balterne si erano sino ad allora rifatte,non fornirono alcuna garanzia di difesanella lotta contro il fascismo reazionario:“La giusta linea del proletariato era dun-que la via della lotta armata contro il fa-scismo e dell’unità sul terreno rivoluzio-nario tra proletariato e ceto mediocombattente. Tale linea era quella propu-gnata dagli Arditi del Popolo”18. Il fulcrodel pensiero di Del Carria si sofferma suquesta tesi, che vede nell’arditismo popo-lare la “giusta linea” non seguita dai varipartiti della sinistra italiana.

    Note1. Cfr. E. Francescangeli, Arditi del Popolo:Argo Secondari e la prima organizzazione an-tifascista (1917-1921), Roma, Odradek, 2000.2. Ibidem, pp. 96-102.3. P. Spriano, Storia del Partito comunista: daBordiga a Gramsci, Torino, Einaudi, 1967, p.139.4. Ibidem. 5. Ibidem.6. F. Cordova, Arditi e legionari dannunziani,Padova, Marsilio, 1969, p. 101.7. M. Rossi, Arditi non gendarmi! Dall’arditi-smo di guerra agli Arditi del Popolo, 1917-1922, Pisa, BFS, 1997.8. Ibidem, p. 7.9. G. Rochat, Gli arditi della grande guerra:origini, battaglie e miti, Gorizia, Libreria edi-trice goriziana, 1997, pp. 140-141.10. E. Francescangeli, op. cit., pp. 158-159.11. G. Rochat, op. cit., p. 141.12. Giulien, Gioventù ardita ricorda!, “L’Ar-dito del Popolo”, (Parma), 1° ottobre 1922.13. G. Del Carria, Proletari senza rivoluzione,vol. II, Milano, Oriente, 1970, p. 187. 14. Ibidem.15. Ibidem, p. 188.16. U. Terracini, Les Arditi del Popolo, “LaCorrespondance internationale”, 31 dicembre1921.17. Ibidem.18. G. Del Carria, op. cit., p. 192.

  • L’idea di questo studio nasce dalla vo-lontà di poter parlare, in ambito accade-mico, di qualcosa che troppo spesso ri-mane celato anche in ambiti di ricercaapprofonditi, come possono essere quelliuniversitari, dove la concezione di culturarimane, a parere di chi scrive, legata a ciòche viene definito “ufficiale”, quasi sle-gata dal contesto reale in cui essa si svi-luppa e si definisce, attenta prevalente-mente solo a ciò che è istituzionalmentericonosciuto, verificabile, e forse ancheper questo meno scomodo. Questo per-mette alla Storia, quella con la s maiu-scola, altrimenti detta ancora una voltaufficiale, di perpetuarsi dimenticandosicostantemente e in maniera volontariadegli individui che l’hanno effettiva-mente composta, della gente comune, oc-cultandone identità, forme di pensiero edi azione troppo distanti dai valori cheessa vuole trasmettere, decidendo cosatramandare e cosa cancellare. E così, dif-ficilmente si riscontrano studi universi-tari sul pensiero anarchico e le sue con-nessioni con i mondi che l’hanno creato ediffuso con diverse forme e modalità. Perquesto appena si è aperto uno spiraglio inquesta direzione, una voglia di ricercache uscisse dai canoni regolamentatidelle Facoltà, è nato questo studio. Pro-prio per ridar voce, attraverso l’analisi dicanali di comunicazione universalmente

    riconosciuti, come l’arte, e di quellimeno consueti, come le riviste e i quoti-diani politici di matrice rivoluzionaria,alla nascita e al consolidamento di ideelibertarie e rivoluzionarie, che proprio acavallo tra Ottocento e Novecento si in-trecciano più che in altre epoche tantocon le vite degli individui quanto conquelle di pittori, scrittori e artisti chesiamo solo soliti ricordare per le loroopere d’arte di fama internazionale, an-cora oggi ritenute patrimonio universale.Questo fenomeno sinergico creatosi fraarte e propaganda politica è sicuramentelegato alle vicende proprie del periodostorico ottocentesco, non a caso definitorisorgimentale, anche se forse sarebbepiù appropriato chiamarlo rivoluzionario.Come ben delinea Namier, nell’analisidella storia culturale francese, “Il conti-nente europeo, reagì agli impulsi e all’in-timo dinamismo della rivoluzione conuna notevole uniformità, nonostante ledifferenze di lingua e di razza, nonché dilivello politico, sociale ed economico deipaesi interessati: ma a quel tempo il de-nominatore comune era ideologico, epersino letterario, e vi era nel mondo in-tellettuale del continente europeo un’u-nità e una coesione fondamentale, qualesuole affermarsi nei periodi culminantidel suo sviluppo spirituale. Il 1848 nonsopraggiunse come ripercussione della

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    Il pensiero libertario francese tra Ottocento e Novecento

    di Gaia Raimondi

    Tesi di laurea in Scienze della Comunicazione, Facoltà di Lettere e Filosofia Università degli Studi di Milano, a.a. 2003-2004

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    guerra e della sconfitta, come tante rivo-luzioni del secolo successivo, ma fu il ri-sultato di trentatré anni di pace europea,pace accuratamente mantenuta su unabase consapevolmente controrivoluziona-ria. La rivoluzione scaturì quasi in egualemisura sia da speranze sia da scontenti”.Attraverso il trentennio di “pace forzata”hanno modo di svilupparsi e di maturareappieno tutte quelle idee, quei valori equei sentimenti che si erano consolidatinella Rivoluzione francese; concetti qualilibertà e progresso si radicano acqui-stando nuova concretezza. Se si osserva e si analizza la cultura fran-cese e più in generale la cultura europeadel XIX secolo, nelle sue espressioni lette-rarie e artistiche che verranno poi conno-tate nella maggior parte dei casi col ter-mine di “avanguardie”, appunto per ilcarattere innovativo e per certi versi stra-volgente di queste forme d’espressione,ci si accorge, come esprime De Micheliall’inizio del suo saggio Le avanguardie

    artistiche del Novecento, che: “L’arte mo-derna non è nata per via evolutiva dal-l’arte dell’Ottocento; al contrario è natada una rottura dei valori ottocenteschi”. Non si è trattato semplicemente di unarottura di tipo estetico: sarebbe riduttivoconsiderarla solo su questo piano e non siporterebbero in luce le cause, di tipo sto-rico e ideologico, di questa frattura cheva a toccare quella unità spirituale e cul-turale caratteristica dell’Ottocento. L’artenuova è sorta proprio dalle polemiche,dalle rivolte e dalle proteste nate in senoa questa unità. “L’Ottocento europeo haconosciuto una tendenza rivoluzionaria difondo, attorno alla quale si sono organiz-zati il pensiero filosofico, politico, lette-rario, la produzione artistica e l’azionedegli intellettuali”. L’azione per la libertàdiviene uno dei cardini della concezionerivoluzionaria dell’Ottocento. Le ideeanarchiche, socialiste e liberali, seppur inmodo diverso, spingevano gli intellettualia battersi non solo con le loro opere macon le armi in pugno.Un esempio tra i più celebri si riscontranella figura di Baudelaire, il quale du-rante le giornate parigine del Febbraio1848 fonda un giornale rivoluzionario,“Le Salut Public”, contemporaneamentescrive la prefazione alle poesie di PierreDupont, ove esplicita il suo rifiuto per ladottrina estetica dell’art pour l’art, esenza esitare si unisce agli insorti col fu-cile in spalla. “Mai tanti poeti e letteratisi sono mescolati così a una rivoluzione”. All’interno del movimento rivoluzionarioborghese si comincia ad avvertire unasempre maggior pressione da parte delleforze popolari, fenomeno che viene vistodagli intellettuali come momento deci-sivo per la storia moderna. L’arte e la let-teratura divengono l’immediato riflessodi questa realtà, espressione attiva del po-polo. Chiarezza, evidenza, impegno, di-

    Bernard Naudin et Grandjouan, “Lo Sciopero”, 6 maggio 1905 (tratta dalla rivista “L’Assiette aubeurre”).

  • ventano i requisiti fondamentali di un’o-pera d’arte, uniti a una richiesta di com-prensibilità e vicinanza per e al popolo.“In ogni campo è la realtà che preme, cheirrompe, che decide. Le istanze della li-bertà sono istanze reali, concrete, defi-nite: sociali, politiche, culturali. E taliistanze sono interdipendenti, impensabiliseparatamente”. La coscienza dellastretta relazione tra arte e popolo si ri-trova negli scritti di Courbet: “Senza larivoluzione di Febbraio forse non si sa-rebbe mai vista la mia pittura […]. Rin-negando l’ideale falso e convenzionale,nel 1848 innalzai la bandiera del reali-smo, la sola a mettere l’arte a serviziodell’uomo. È per questo che ho lottato lo-gicamente contro tutte le forme di go-verno autoritario e di diritto divino, vo-lendo che l’uomo governi se stessosecondo i suoi bisogni, a suo diretto pro-fitto e seguendo una propria conce-zione”. L’uomo e i legami con tutti gliaspetti del reale, della vita, anche conquelli più quotidiani, diventano il centrodi una nuova estetica.È da specificare la tipicità della situa-zione francese e in particolar modo dellacapitale, che in questo periodo diventacrogiuolo delle arti e delle nuove idee po-litiche. Proprio da Parigi si è deciso dipartire per analizzare la nascita di nuoveforme di pensiero, che appunto per ciòche è stato detto fin ora hanno avutoanche risvolti artistici e culturali. I docu-menti dell’epoca – riviste, periodici, illu-strazioni e dipinti – hanno guidato una ri-cerca che si è interrogata sulla nascita delpensiero libertario, tenendo conto sia delprofilo prettamente storico sia delle ma-nifestazioni artistiche che questo filonedi pensiero ha elaborato per comunicarele proprie idee e i propri valori. L’analisidei materiali è stata la testimonianzadella nascente, ma già ben radicata “con-

    trocultura” dell’ epoca, in cui alle singoleindividualità si uniscono gli intellettuali,per i quali il desiderio di abbracciare larealtà più vera e più profonda aveva ecce-zionalmente creato uno spirito davverorivoluzionario anche nell’arte. Le tecni-che pittoriche prendono le distanze daimodi “naturalisti” tradizionali del di-scorso e della rappresentazione e comu-nicano l’importanza innovativa della rela-zione con la forma. Agli inizi delNovecento, in Francia, molti modernisti,inclusi Picasso, Kupka, Vlaminck e moltialtri, consideravano il pensiero anarchicoinerente all’idea di avanguardia artisticae crearono un nuovo linguaggio formale,espressione di un desiderio di cambia-mento rivoluzionario nell’arte come nellasocietà. Inoltre, molti degli artisti cheaderirono a correnti come quella del cu-bismo, avevano lavorato come disegna-tori per la stampa umoristica parigina dicritica radicale. Benché ciò sia noto datempo, gli storici dell’arte hanno sempreesitato a collegare queste due soluzioni.Nonostante per molti pittori il fatto di di-segnare vignette fosse più un incarico re-munerato che una azione propagandi-stica, vi sono anche figure impegnate suentrambi i frangenti, come Juan Gris, pit-tore aderente al cubismo ma al tempostesso impegnato nell’espressione dellesue idee nelle vignette in prevalenza mo-nocromatiche che hanno popolato rivisteillustrate come quella su cui si concentraquesta tesi, per esempio “L’Assiette auBeurre”. Gris odiava la società capitalistae decise di combatterla con una dinamitefatta dell’acidità dei suoi disegni e con laviolenza nelle sue didascalie. Entrò incontatto con l’anarchismo in virtù del suoantimilitarismo e della sua vena anticleri-cale e collaborò con scrittori anarchicicome Charles Malato nella realizzazionedella rivista sopra citata, punto di par-

    12Tesi e ricerche

  • 13 Tesi e ricerche

    tenza di questo studio. Infatti, dopo unaprima parte di ricostruzione storica delleproduzioni letterarie dei personaggi chehanno fondato l’anarchismo francese –come Proudhon, Bellegarigue, Dejacque,Coeurderoy – e un’analisi sull’avventodel giornalismo libertario unito alla dot-trina mutualista sviluppata durante l’In-ternazionale (con accenni anche al pe-riodo della “propaganda col fatto”e allaComune di Parigi), ci si è concentrati sul-l’espressione comunicativa presente inalcune riviste dell’epoca. In particolare sisono presi in esame periodici come “LesTemps Nouveau”, diretto da Jean Grave,“Le père Peinard”, “La guerre social”,“La Voix du peuple” e tantissimi altrifino ad arrivare alle riviste illustrate, perla maggior parte umoristiche, di cui Pa-rigi era colma, come “Le Rire”, “Le jour-nal pour tous”, “Le Figaro illustré”, soloper citarne alcune, e soprattutto “L’As-siette au Beurre”. Quest’ultima fu un punto di incontro traanarchismo e modernità, proponendo unagrande quantità di approcci diversi del-l’anarchismo, da quello innocuo e fattoapposta per divertire al criticismo selvag-gio, sfiorando il fiero individualismo cheperveniva dagli artisti stessi. Edito da Sa-muel Schwarz e André de Joncières, fupensato e realizzato su uno schema fisso,pagine intere con un solo disegno e unadidascalia ironica sotto ogni disegno,ogni numero su un tema e disegnato dauno o più artisti supportati da scrittori. Lacolonna portante delle riviste satiricheera costituita infatti da un folto numero diumoristi di professione, ciascuno con unapropria specializzazione:il clero, l’am-biente militare, la società, i personaggipolitici, i quartieri poveri o la vita incampagna. Le motivazioni politiche diquesti lavori sono state trascurate per lestesse ragioni per cui questi lavori sono

    stati ignorati: le preoccupazioni mondanenon si adattavano alle concezioni propriea un’arte di alto impegno. Al contrarioqueste litografie comunicavano con li-bertà espressiva, attraverso la semplifica-zione, la deformazione violenta e la com-posizione non letteraria connessa con lepitture. È anche vero che il fumetto forseoffriva un modo all’artista per formare lasua identità di pittore “declassato” cheperò sapeva raggiungere differenti varietàdi pubblico grazie al fatto di poter goderedi una grande libertà di espressione. Cisono studiosi che considerano “L’Assietteau Beurre” come un’operazione più com-merciale che militante, una testata che“malgrado il suo carattere aggressivo,mantiene per lo più una posizione com-piacente, che ‘segue la corrente’”. Al di là delle diverse opinioni, tutto ciòrimane uno spunto interessante per l’ana-lisi del rapporto tra disegno umoristico,cubista e caricaturale che sempre veico-lano la volontà dell’osservatore di rico-noscere il soggetto e di percepirlo in unarealtà che lo circonda. Secondo vari stu-diosi, inoltre, l’arte della caricatura fuquasi un modello su cui si plasmò il lin-guaggio dei segni che rende leggibili iquadri cubisti e i disegni. Tecniche“basse” per creare un’arte “alta”, impe-gnata, che ha la quasi stessa valenza delmanifesto attuale. Tutto ciò risulta signi-ficativo poiché permette di ribadire l’im-portanza che la stampa e la comunica-zione hanno esercitato all’interno delmovimento stesso anche in rapporto allasocietà e alla cultura della Francia di finesecolo. In particolare, è interessante rile-vare come l’idea anarchica fosse tenutain considerazione dalle cosiddette avan-guardie artistiche in quanto veicolo edespressione di un principio inalienabile:la libertà dell’essere umano.

  • 14Anniversari

    Che cosa ha rappresentato per te la con-testazione nata nel 1968?In certa misura tutti abbiamo partecipato aquell’evento, perché era impossibile sfug-gire al prorompere di idee nuove che cir-colavano un po’ dappertutto. Alcunihanno preceduto l’evento e tra que-sti, senza falsa modestia, mettereianche me stesso. Già dai primi anniSessanta ero fortemente influenzatodalle canzoni di Georges Brassens,un vero anticipatore delle tematichelibertarie del Sessantotto, quindi èabbastanza naturale che in Italia ioabbia messo alla berlina alcuni tabùche vennero poi distrutti dalla ven-tata del Sessantotto. Ma va subitoprecisato che il Sessantotto non èuna storia da raccontare perché con-clusa. Non è ancora finito.

    Che cosa intendi dire?Non considero il Sessantotto sol-tanto come un periodo storico defi-nito, un crogiuolo di idee innova-trici: è una categoria dello spirito. Èil perenne risvegliarsi dell’uomo difronte alle ingiustizie, alla sopraffa-zione, alla tracotanza del potere.

    Per un libertario, e io mi definisco tale, ilSessantotto ha rappresentato una grandeoccasione per rilanciare le idee di libertà euguaglianza nella diversità. Il Sessantottoè esploso all’improvviso lasciando tutti

    sorpresi, anche gli stessi protagoni-sti, eppure rileggendo gli avveni-menti che l’hanno preceduto si no-tano dei sintomi... All’epoca facevoancora l’università, ero uno dei tantifuori corso, e nella scuola montavagiorno dopo giorno l’insofferenzaverso l’autoritarismo di alcuni pro-fessori e soprattutto verso il modo incui veniva trasmesso il sapere. Iltutto era accompagnato da inutili so-prusi del corpo accademico. Era evi-dente che qualcosa sarebbe successo.

    E nella produzione musicale checosa cambia in quell’anno?Come dicevo prima, ero cresciutosotto l’influenza di Brassens, e nellaprima metà degli anni Sessantaavevo già composto canzoni comeBocca di rosa, Il pescatore, Tutti mo-rimmo a stento, La guerra di Piero.Canzoni in cui si esaltava il liberoamore, si dava un volto a quelli defi-

    Le commemorazioni del Sessantotto sono una ricorrenza ciclica alla quale neanchenoi ci sottraiamo del tutto. Per i trent’anni, nel 1998, avevamo proposto una serie

    di interviste inedite ad alcuni militanti anarchici del maggio francese (si vedano i Bollettini 11 e 13). Questa volta proponiamo un’intervista a

    Fabrizio De André – qui in una foto di Reinhold Kohl – apparsa sul numero 3/1988della rivista “Volontà”, che appunto nel ventesimo dedicava a quell’evento

    un numero speciale intitolato La dimensione libertaria del Sessantotto.

    Conversazione con Fabrizio De André sul Sessantotto

    a cura di Luciano Lanza

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    niti banditi, si metteva in luce la stupiditàdella guerra, quindi ero già in sintoniacon i grandi temi che da lì a pochi annisarebbero stati patrimonio comune digrandi masse di giovani. Da un punto divista culturale il Sessantotto ha realizzatouna profonda trasformazione nei cantanti,che da quel momento in poi hanno accen-tuato il carattere sociale dei loro versi,mentre da quella strettamente musicale,non mi sembra che ci siano state profondetrasformazioni, salvo alcuni casi isolaticome la PFM, che è stata una meteora lu-minosa anche se di breve durata.

    Anche nella tua produzione si nota, però,una differenza tra le canzoni di prima edopo il Sessantotto.Sicuramente alludi al disco Storia di unimpiegato. Il messaggio che intendevolanciare con quelle canzoni era abba-stanza semplice, derivato proprio dallelotte degli studenti parigini: “Anche se voivi credete assolti, siete lo stesso coin-volti”. Da quel maggio, infatti, le cosesono veramente cambiate e nessuno po-teva dirsi completamente estraneo ai mu-tamenti che si succedevano sempre più ra-pidamente. Ma se devo essere onesto,debbo anche dire che quelle canzoniscritte nel 1972, cioè quattro anni dopo larivolta, sono un gran “bordellone”. Perchési pretende racchiudere nella forma can-zone quello che nelle intenzioni era unsaggio politico-sociale. Ora credo che sidebba essere molto rigorosi: se uno vuolescrivere un saggio scrive quello e non unaserie di canzoni, peraltro carenti dal puntodi vista creativo e poetico.

    E rispetto alla tua ultima produzione,come Creuza de ma, che differenza notirispetto alle canzoni che facevi prima delSessantotto?Quello che ho fatto nell’ultimo periodo

    (adesso non sto facendo nulla, preferiscoleggere e studiare) è un modo più preciso,più meditato di quello che facevo venti,venticinque anni fa. Dopo tutto Bocca dirosa era una tarantella, cioè musica etnicacome quella di Creuza de ma.

    Quali sono le forme espressive che uncantante non conformista può utilizzare?Non credo si possano fare canzoni di rot-tura come si facevano venti anni fa, e nonsolo perché è cambiato il contesto socialenel quale ci muoviamo, ma perché sonoaltri i compiti dei libertari in questo scor-cio di fine secolo. Dopo aver spezzatol’immaginario sociale bigotto e conserva-tore dell’Italia di allora, bisogna saper an-dare avanti per far progredire le idee cheun tempo erano dirompenti e che adessodevono venir rafforzate. Bisogna conmolta umiltà allargare il gusto per la li-bertà, senza tanto clamore ma con un’o-pera continua, bisogna puntare su una tra-sformazione culturale dell’uomo eavvicinarci sempre più a quella meta ir-raggiungibile che è la società anarchica,cioè senza dominio e dove nessuno abusadella sua libertà. Un’utopia, certo, ma cheserve a far progredire la società.

  • La mia formazione è avvenuta proprionella culla dell’anarchismo ebraico –New York – e in un momento particolare:sono nato e cresciuto nel dopoguerra,negli anni Cinquanta. In quel periodo aNew York si sentiva, nelle case popolaridove abitavamo noi, un ottimismo forte,perché si credeva – o almeno, io credevo– che i disastri dell’olocausto e della se-conda guerra mondiale fossero stati taliche l’umanità non avrebbe più accettatocomportamenti di questo genere, e quindipensavamo di essere alla soglia di unanuova epoca in cui non si sarebbero piùseguite le dottrine dell’autoritarismo, delnazionalismo, della violenza. Credevamoche l’esperienza degli anni Quarantafosse stata tale che non sarebbe più statoconcepibile andare avanti così, e devodire che, con tutte le difficoltà che ancorarimangono, resto ottimista sotto questoaspetto, anche perché questoesperimento che chiamiamociviltà è secondo me ancoramolto giovane, è durato finoratroppo poco, se si considerache la storia scritta esiste soloda circa seimila anni.Pensateci un momento: secome affermano gli antropo-logi sono sempre esistite per-sone che hanno vissuto sino acento anni, seimila anni nonsono che il periodo di vita disessanta persone, questo è undato matematico... non ètanto.A volte mi pare che il tipo diproblemi che vediamo adesso

    nel mondo siano problemi legati all’ado-lescenza dell’umanità, e conservo la spe-ranza che si arrivi prima o poi a una fasedi maturità… se non ci distruggiamo,cosa che rimane una possibilità abba-stanza reale.Per quanto riguarda la mia formazione ri-prendo da dove si è fermata Judith [Ma-lina]: dalla parola ecuod, che è il termineebraico per unità, per uno.Per me questo è sempre stato il punto cri-tico della filosofia ebraica: l’ebraismo,cioè, si riferisce non tanto a un dio –quella figura con la barba bianca e lepalle di piombo – quanto invece a un’u-nità cosmica, al segreto della spaventosaarmonia del cosmo.Quindi, cercando di capire cosa può si-gnificare questo sul piano sociale, mi haaiutato molto il pensiero dei Chassidim,che ho scoperto attraverso gli scritti di

    Buber, il quale si è molto in-teressato a questa filosofia ri-ferendosi, in particolare, allapromessa della venuta delmessia come punto chiave diquella filosofia. Per i Chassi-dim la storia della venuta delmessia è molto semplice: sitratta di creare un mondodegno di Dio, quando avremocreato un mondo senza sfrut-tamento e senza violenza –cioè un mondo etico – a quelpunto Dio verrà a viverepresso il suo popolo.Questo è per me il concettopiù radicale dell’ebraismo, alivello politico, ed è anche

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    Anarchico ed ebreodi Hanon Reznikov

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    Lo scorso 2 maggio è morto a NewYork, dove era nato il 23 settembre1950, Hanon Reznikov, uno dei mem-bri storici del Living Theatre, di cui eracondirettore dal 1985 insieme aJudith Malina. Abbiamo conosciuto Hanon a metàdegli anni Settanta, quando il Living siè trasferito per la prima volta in Italia.A quel tempo Julian Beck, che conJudith aveva fondato il Living nel1947, aveva preso contatto con ilnostro gruppo per saperne di più sullaa dir poco complessa situazione ita-liana. Aveva individuato come testo dipartenza un saggio d Amedeo Ber-tolo – Lettera dall’Italia – pubblicatosul numero 3 (giugno 1974) della rivi-sta internazionale “Interrogations”. Eproprio il giovane Hanon (che cono-sceva l’italiano) aveva avuto l’incaricodi tradurlo in inglese. Da alloraabbiamo sempre mantenuto i contatti.In particolare lo ricordiamo a Vene-zia, nel maggio 2000, quando hapartecipato, insieme ad altri del Livingal convegno internazionale Anarchicied ebrei: storia di un incontro, orga-nizzato dal nostro centro studi. Qui pubblichiamo il suo interventoalla tavola rotonda su La doppia iden-tità che si è tenuta in quel convegno elo ricordiamo con due foto (la secon-da insieme a Judith Malina e StephanSchulberg) che lo ritraggono durantela performance messa in scena dalLiving nel chiostro della facoltà diArchitettura di Venezia durante quellostesso convegno.

    A.B. e R.D.L.

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  • una interpretazione radicale del concettodi Sion, in cui Sion non è un territorio: èappunto questo stato, questa condizionedi armonia sociale che permette una vitaspirituale tra la gente... e noi, nel Living,abbiamo puntato in questa direzione.Pur non avendo lavorato tanto su testi oleggende ebraiche, ogni tanto ci è capi-tato di toccarle: per esempio ci siamo de-dicati per dieci anni a fare teatro per lestrade sotto un titolo complessivo che eraL’eredità di Caino. E questo perché, inbase a una nostra analisi, i più gravi pro-blemi nel mondo derivano da un conflittoquasi originario tra classi sociali. Comeraccontava Judith ieri durante il nostrointervento artistico, il sacrificio con ilgrano da parte dei coltivatori, di Caino,non è gradito a Dio quanto il sacrificioanimale da parte di Abele; questi duemodi di vivere sono quindi in conflitto, equesto ci è parso una buona base da cuipartire per studiare la situazione politica.Ultimamente abbiamo ripreso questa te-matica in quanto ci siamo impegnati inun progetto contro la pena di morte.Negli Stati Uniti, come sapete, la penacapitale è molto praticata: ci sono più ditremila condannati a morte e li fannofuori al ritmo di uno o due alla settimana.Noi scendiamo in piazza, a TimesSquare, nel mezzo della città, proprio neigiorni in cui ci sono le esecuzioni, e inquesti interventi facciamo riferimentoalla storia di Caino e Abele, ma per unmotivo diverso stavolta. Il racconto dellaGenesi, infatti, è molto bello anche sottoun altro aspetto: il primo assassinio nonviene punito, non inizia un ciclo di ven-dette con l’uccisione di Abele da parte diCaino. Dio dà invece un segno di prote-zione a Caino contro la rabbia degli altri,di modo che questi possa andare avantianche dopo avere ucciso... Non si avviadunque un meccanismo di punizione e

    vendetta, ma si cerca invece di portarequesta situazione su un altro piano; credoche in questo vi sia una lezione molto im-portante su cui si può lavorare per capirecome affrontare questo problema nel no-stro mondo.Recentemente abbiamo scoperto un altrotesto della Bibbia, una storia poco cono-sciuta: quella su Corac. Corac è un ri-belle che, con la sua tribù, si è rivoltatocontro l’autorità di Mosè e Aronne du-rante la traversata del deserto, dicendo:“Tutti dobbiamo entrare nel Sancta Sanc-torum! Cosa significa che solo tu,Aronne, e i preti avete questo diritto? LaRivelazione dice che siamo tutti santi,non è così?”. Per aver osato dirlo – rac-conta la storia – Dio fa inghiottire tutta latribù: la terra si apre e tutti spariscono (ilche significa che qualcuno deve averescavato qualche fossa nel deserto, evi-dentemente). Questa di Corac ci è sem-brata una storia così fortemente anar-chica che vogliamo lavorare a una suaversione teatrale.Come diceva Judith, è molto importanteper noi la forma teatrale, che deve preve-dere una partecipazione attiva da partedel pubblico. Ormai, credo, se uno vuoleproporre una visione artistica, è megliofare uso del video, del cinema, mentre sesi vuole fare teatro, questo ha senso solose usufruisce di quella qualità particolaredel teatro che è l’incontro tra i due gruppidel pubblico e degli attori, che stanno vi-vendo insieme quel momento, facendo inmodo che la loro sia una interazionecreativa. Noi cerchiamo sempre di darepiù importanza a quello che il pubblicofa, in modo che il teatro si realizzi comeun modello di comportamento sociale. Equesto sempre a partire dalle basi filoso-fiche e spirituali di cui parlavo.

    18Memoria storica

  • Il breve schizzo biografico di Raoul Sac-corotti, “l’Arsenio Lupin di Grenoble”,che abbiamo tracciato sul n. 29 del Bol-lettino, è stato scompigliato da nuovescoperte fatte all’Archivio di Stato diRoma, negli archivi giudiziari di Genovae Massa e negli archivi dipartimentalidell’Isère.Il fascicolo di Saccorotti nel CasellarioPolitico Centrale racconta una storia sen-sibilmente differente da quella che avevaraccontato ai suoi amici e anarchici e an-tifascisti.Quando Raoul arriva in Francia, nell’e-state del 1930, si presenta come un anti-fascista che ha appena finito di scontarecinque anni di confino in Italia e aderisceal Partito socialista italiano. È proprio aquesto punto che s’apre il suo dossier alCasellario Politico Centrale. Le autoritàconsolari e la polizia politica mussoli-niana cominciano a interessarsi a questopersonaggio che ha appena fondato unasezione socialista tra i lavoratori italianiche stanno costruendo la diga di Sautet.Il paradosso della vicenda è che leggendoil dossier di Raoul ci si rende conto cheben presto anche i suoi compagni sociali-sti cominciano a porsi domande su que-sto curioso personaggio che, pur essendoun semplice lavoratore manuale, ha le ta-sche piene di denaro. Se i fascisti sospet-tano Saccorotti di essere un pericoloso

    sovversivo, i socialisti da parte loro pen-sano che possa trattarsi di un informatorefascista. Quando Raoul dice alla sezionesocialista di Grenoble che ha fatto fare unduplicato delle chiavi per entrare nellasede del vice-consolato italiano per met-terci una bomba, i socialisti pensano diavere a che fare con un provocatore, e de-cidono di allontanarlo.La polizia italiana, che dispone di supe-riori mezzi d’indagine, delinea ben prestoil personaggio Saccorotti. La prefetturadi Genova fornisce i suoi precedenti giu-diziari. Raoul Saccorotti, negli anni Ventiera già uno scassinatore, un ladro matri-colato, multirecidivo; non aveva ancorasedici anni quando si è beccato la primacondanna. In effetti all’inizio del 1916 ilgiovane Raoul era stato arrestato alla sta-zione Principe Genova mentre cercava di

    BIOGRAFIE

    Continua la saga di quel personaggio controverso e intrigante sulle cui tracce si sta movendo il ricercatore e regista francese Phil Casoar, che qui ci racconta un altro pezzo di una vita certamente non convenzionale.

    Le molteplici vite di Raoul Saccorottidi Phil Casoar

    19 Memoria storica

    La testata del settimanale comunista “Le Tra-vailleur” del 25 febbraio 1938.

  • rubare vari oggetti in un deposito delleferrovie. L’adolescente, orfano di padre,era in fuga da un mese e vagabondava perGenova.Nel dicembre del 1930, il funzionario chemanda il fascicolo giudiziario di Raoul alministero degli Interni di Roma, segnalache fino ad allora in Italia l’interessato“non diede luogo a rilievi in linea poli-tica”. Solo che questo funzionario nonaveva spulciato minuziosamente tutti iprocessi di Saccorotti, se no non avrebbemancato di segnalare che, nell’ottobredel 1921, mentre prestava servizio mili-tare nel 21° reggimento di fanteria aMassa, Raoul, sospettato di vari furti av-venuti in caserma, aveva confessato alcolonnello del reggimento la sua apparte-nenza al Partito comunista. Perquisendole sue cose, gli inquirenti avevano trovato

    un opuscolo dei soviet, oltre a una piantadella caserma e una chiave che apriva ildeposito delle armi. Raoul sosteneva chei suoi compagni comunisti gli avevanochiesto di procurare armi e documenti inbianco. Tuttavia le autorità militari e giu-diziarie non credettero a questo miste-rioso complotto comunista, ritenendo cheSaccorotti si fosse inventato tutta questastoria per stroncare i sospetti di furto didenaro, che continuava a negare. Nondi-meno, i dettagli che Raoul dà nel corsodel suo interrogatorio inducono a credereche egli fosse all’epoca effettivamente incontatto con dei giovani militanti comu-nisti. Così fin dalla giovinezza Raoulsembra avere conciliato la sua carriera diladro professionista con una propensioneper la politica e la giustizia sociale. Unsemplice delinquente comune non sa-rebbe potuto diventare dall’oggi al do-mani segretario di una sezione socialista.Quali che fossero i suoi talenti disbruffone, bisogna pure che avesse unminimo di cultura politica per convincerei dirigenti del PSI in esilio ad affidargliquell’incarico.Ritornando al suo dossier del CPC, si puòvedere che nel 1932 l’agente consolaredella località frontaliera di Modane se-gnala che Raoul si dedica a un traffico tral’Italia e la Francia di oggetti verosimil-mente rubati. Poi, dopo la sua espulsionedal PSI, c’è un buco di alcuni anni nellasorveglianza di Saccorotti. È l’epoca incui Raoul, sposato con la figlia di unsarto chic, vive da borghese a Grenoble;è anche l’epoca in cui diventa, all’insa-puta di tutti, “l’Arsenio Lupin delle sof-fitte”, svaligiando giorno dopo giorno isolai e i sottoscala della città.Nel dicembre del 1936, una nota segnalache Saccorotti e un antifascista di Mo-dane, Giovanni Fenati, militante di Giu-stizia e Libertà, hanno fatto passare clan-

    20Memoria storica

    Con Giovanni Fenati (a sinistra) nel 1932.

  • destinamente in Francia la compagna diun anarchico italiano esule a Grenoble,un certo Ugo. Secondo questo rapporto,Saccorotti professa ormai idee anarchi-che. Altri dispacci ci dicono che Raoul hainviato in Spagna dei pacchi di indumentidestinati ai miliziani e che ha scrittoqualche articolo “di carattere violento”su un giornale libertario, utilizzando lopseudonimo “Sara”. Il suo nome com-pare anche in una rubrica di indirizzi sot-tratta all’anarchico Giuseppe Casotti, cheorganizzava a Perpignan il passaggiodalla frontiera per i volontari italiani.Quando nel febbraio del 1938, RaoulSaccorotti viene smascherato dalla poli-zia francese, lo scambio di corrispon-denza tra il console italiano a Chamberye il ministero degli Interni di Roma ri-prende a ritmo accelerato. Una nota con-fidenziale della Divisione di polizia poli-tica presenta Saccorotti come un“anarchico espropriatore”, alla testa diuna banda di ladri, responsabili in Spa-gna di una serie innumere di incendi efurti. Il loro bottino sarebbe stato conse-gnato direttamente al noto “capo anar-chico barcellonese Santillan”. Secondoquesto rapporto Raoul si sarebbe recatovarie volte a Barcellona (senz’altro primadel maggio 1937), dedicandosi al trafficod’armi per conto degli anarchici spa-gnoli, fino a quando il crescente poteredei comunisti rese troppo pericolosi isuoi viaggi. Avrebbe successivamentemantenuto dei rapporti con alcuni anar-chici francesi, fra cui un certo Deturche.Tuttavia, la testimonianza della primamoglie di Saccorotti, ritrovata nel dossierdi indagine della Sureté di Grenoble,getta un dubbio sulla vicenda delle infor-mazioni della Divisione di polizia poli-tica. Raymund segnala i frequenti sposta-menti di suo marito a Modane e un“viaggio di piacere” in sua compagnia a

    Marsiglia, e dice che Raoul potrebbe es-sersi rifugiato a Barcellona, dove lei hadei parenti, ma non fa riferimento a pre-cedenti viaggi di suo marito in Spagna.Il dossier di polizia conservato negli ar-chivi di Grenoble contiene un documentoimportante: una lettera di Raoul, speditasubito dopo il suo mancato arresto, al ca-poredattore di “La Dépèche Dauphi-noise”, quotidiano locale di sinistra. Sac-corotti, in tono gioviale e un po’spaccone, spiega i motivi delle sueazioni: è lo spettacolo della miseria dellefamiglie operaie italiane di Grenoble edintorni che l’ha spinto a lanciarsi nel-l’impresa di “recupero” dei beni relegatinei sottotetti delle case dei ricchi. Nonsenza malizia fa notare che i derubatisono stati talvolta più disonesti di lui, inquanto hanno dichiarato all’assicurazioneun valore molto superiore al dannosubìto. Parla infine del suo impegno a fa-vore della repubblica spagnola e fornisceun elenco di una mezza dozzina di citta-dini grenoblesi a cui avrebbe rubato dellearmi da guerra e che non avrebbero de-nunciato il furto. A seguito di questa di-chiarazione, la procura di Grenoble apreun’inchiesta. I risultati sono modestis-simi: secondo i rapporti di polizia, Sac-corotti avrebbe rubato solo qualche armada collezione, vecchi fucili non funzio-nanti, a due ufficiali in pensione. Tutta-via, un altro rapporto menziona che lacorrispondenza sequestrata a Saccorotti“ha dimostrato le sue relazioni con mem-bri influenti del Partito comunista diMarsiglia e coi repubblicani spagnoli acui avrebbe fornito armi”.Purtroppo queste lettere, in particolaremissive provenienti da Barcellona checonsentirebbe di chiarire la dimensionedel traffico d’armi organizzato da Raoul,sono state inserite nel fascicolo istrutto-rio che è introvabile.

    21 Memoria storica

  • Nel clima sovreccitato della Francia del-l’epoca (con la scoperta di depositid’armi della Cagoule, l’organizzazionesegreta di estremisti di destra), l’immagi-nazione popolare s’infiamma: il quoti-diano “La Liberté”, organo del PPF, il par-tito fascistizzante di Doriot, accusaSaccorotti di essere un agente comunista,“l’Arsenio Lupin di Mosca”, e di fornirearmi ai rossi spagnoli, mentre il “Travail-leur Alpin”, settimanale comunista diGrenoble, lo denuncia come agente OVRAe della quinta colonna franchista.Intanto Raoul resta latitante. La poliziafrancese lo cerca invano, ma le autoritàfasciste italiane, meglio informate, sannoche Saccorotti è a Parigi, “aiutato e pro-tetto segretamente da pochissimi compa-gni anarchici” (si tratta di Charles Ridel,il futuro Louis Mercier Vega, e di LucineFeuillade).Arrestato cinque mesi più tardi a Marsi-glia, di ritorno da una viaggio a Barcel-lona, con una valigia piena di antichitàromane probabilmente “espropriate”dagli anarchici spagnoli, Raoul vienecondannato a quattro anni di carcere. Alsuo rilascio viene internato nel campo diconcentramento di Vernet d’Ariegè. Quichiede il rimpatrio in Italia.Il 30 gennaio del 1943, a Mentone, lagendarmeria francese consegna Sacco-rotti alla polizia italiana, che lo arresta elo trasferisce nella prigione Marassi diGenova. Lì, interrogato da un ispettore,Raoul rilascia una confessione stupefa-cente: dichiara di essere stato reclutatocome informatore dal conte Staffeti,vice-console italiano a Grenoble, per in-filtrare il Partito socialista italiano e laLIDU. Riconosce di aver fatto trafficod’armi, ma per conto delle Croix-de-feu,il movimento nazionalista francese. So-stiene, infine, che sono stati i comunistilocali a orchestrare “una colossale mon-

    tatura” contro di lui per farlo accusare ditutti i furti commessi a Grenoble.Il verbale di interrogatorio viene inviatodalla prefettura di Genova al ministerodegli Interni. Subito il ministero smenti-sce le dichiarazioni di Raoul: Saccorottinon ha mai lavorato per il conte Staffeti,è un pericolosissimo ladro internazio-nale, ha svolto anche una notevole atti-vità sovversiva e conviene mandarlo inconfino per cinque anni alle Tremiti.In effetti un esame attento del dossierSaccorotti dimostra chiaramente che nonpoteva essere al servizio delle autorità fa-sciste, che queste al contrario lo sorve-gliavano attentamente ed erano preoccu-pate dei suoi legami con i socialisti primae gli anarchici poi. L’abile confessione diRaoul, in cui mescola sfacciatamentecose vere e cose false, è palesemente unbluff giocato nel tentativo di sfuggire allaprigione. Ma Raoul non poteva immagi-nare fino a che punto la polizia fascistafosse informata sul suo conto. Un fattosicuramente significativo è che Sacco-rotti nelle sue “confessioni” passa accu-ratamente sotto silenzio i suoi rapporticon gli anarchici, i suoi viaggi a Barcel-lona e la sua consegna di armi alla CNT-FAI. Di certo questo documento sorpren-dente dimostra una propensioneall’affabulazione e alla dissimulazione,un’immaginazione sbrigliata e fanta-siosa, al confine con la mitomania. Dueanni più tardi, quando Raoul si confideràcon lo scrittore Salvator Gotta (che loraffigura nel suo romanzo Macerie aPortofino con il personaggio di RaoulSaccomanni), ritoccherà ancora una voltala sua biografia, presentandosi comeanarchico sin dalla prima giovinezza.Cancellando il suo casellario giudiziario,la sua carriera da svaligiatore a Grenoblee il suo soggiorno in galera, sostiene diaver partecipato a tutta la guerra di Spa-

    22Memoria storica

  • gna, il che gli sarebbe costato l’interna-mento nel campo di concentramento diVernet assieme ai miliziani repubblicaniin rotta. Dopo la seconda guerra mondiale Raoulsembra, a prima vista, aver “messo giudi-zio”. Vive a Milano con la sua ultimacompagna, la principessa russa Olga Eri-stoff, in un appartamento che la coppiadivide con il fratello di Olga, Nicolai, e illoro cane Mabul. I parenti si ricordano diRaoul come di uno zio tenero, un signoretranquillo che passava le giornate colle-zionando francobolli. In realtà Raoulcontinuava a condurre una doppia vita,aggiungendo nuovi meandri a un per-corso già molto sinuoso. Nicolai Eristoff,suo cognato, che aveva combattuto sulfronte russo con l’esercito italiano, mili-tava nell’Alleanza nazionale dei russi so-lidaristi, la NST. Questa organizzazione,fondata a Belgrado nel 1930, di ispira-zione cristiana e anti-bolscevica ma con-traria al neo-feudalesimo della vecchiaGuardia Bianca, cercava di svolgereazione clandestina in Russia. Raoul,ormai legato agli Eristoff, mette il suo ta-lento cospirativo al servizio della lottaanticomunista. Durante l’ultimo anno di guerra Sacco-rotti stringeva rapporti con la resistenzacomunista dell’Italia del nord. È proba-bilmente in quest’ambito che Raoul fa-ceva conoscenza di Mario Arnò e diLuigi Cavallo, membri del gruppo parti-giano piemontese Stella Rossa. Alla Li-berazione Cavallo diventerà giornalistadel “l’Unità”, prima di rompere clamoro-samente con il comunismo nel 1949, par-tecipando in seguito al movimento anti-comunista Pace e Libertà. Negli anniSessanta, sempre in funzione anticomu-nista, Luigi Cavallo lancerà il giornale“Tribuna operaia” e avrà un ruolo di ri-lievo nella fondazione del sindacato

    giallo SIDA alla FIAT. Finirà con il rifu-giarsi in Francia nel 1977, accusato diaver partecipato a un progetto di colpo diStato con Edgardo Sogno. Ma questa èun’altra storia.A metà degli anni Cinquanta Cavallo pre-sentava Raoul al colonnello RenzoRocca, uno dei capi del SIFAR (servizi se-greti militari), che si interessava di espor-tazione di materiali “sensibili” versol’URSS e i paesi satelliti. ApparentementeRaoul era in grado di fornire informa-zioni sui carichi delle navi e dei treni inpartenza dall’Italia settentrionale e desti-nati all’URSS. Dal canto suo, Saccorottipresentava a Mario Arnò e a Luigi Ca-vallo suo cognato, il principe Eristoff,che li metterà in contatto con un dissi-dente russo, il generale Grigorienko, in-ternato in un ospedale psichiatrico sovie-tico per aver denunciato la deportazionedei Tatari della Crimea.Mancano ancora dei pezzi al puzzle dellabiografia di Raoul Saccorotti e alcunisono andati irrimediabilmente persi. Mascommettiamo di non aver esaurito lasorprese, con questo personaggio inaffer-rabile, anarchico occasionale e avventu-riero per vocazione, che merita più chemai il soprannome di Arsenio Lupin.

    Traduzione di A. B.

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    Raoul Saccarotti in una foto segnaletica del 1943.

  • È molto comune nella storiografia dell’a-narchismo, specie se prodotta da accade-mici, concentrarsi sulle biografie di per-sonaggi che sono stati scrittori prolifici,direttori di giornali, autori di libri o ec-cellenti oratori. Ma il movimento anar-chico fu formato in gran parte da lavora-tori manuali, che generalmente nonpoterono terminare i propri studi e che incerti casi nemmeno frequentarono lascuola. Ignorare questa base militante diautodidatti vorrebbe dire commettere ungrave errore storico, che limiterebbe a unsolo aspetto la più variegata composi-zione di un movimento sociale formato inmaggioranza da militanti di base che inmolti momenti decisivi svolsero una fun-zione più rilevante di quella svolta dascrittori, oratori o intellettuali dell’anar-chismo.Questo testo intende, per l’appunto, ri-scattare un po’ di questa storia negletta,prendendo come esempio l’operosa vitadella famiglia Dall’Oca, che si dipanò al-l’interno del movimento anarchico di SãoPaulo in Brasile.Questa traiettoria ha inizio con la nascita,il 26 di giugno 1917, nella città di Ri-beirão Preto, di Virgilio Dall’Oca, figliodi Ercole Dall’Oca (un italiano di Mi-lano) e di Maria Lombo (brasiliana di Ri-beirão Preto), una coppia di contadini cheebbe otto figli. Poco dopo la nascita diVirgilio, la famiglia si spostò nella cittàdi Araçatuba. Virgilio perse la madre

    quando aveva cinque anni; studiò fino alterzo anno di scuola rurale, per dedicarsipoi al lavoro nei campi.Il padre di Virgilio, un ammiratore del fa-scismo di Mussolini, era così severo con ifigli che la matrigna di Virgilio, la gio-vane baiana Olimpia Dall’Oca, tentava(spesso invano) d’impedire i sistematicicastighi corporali inflitti ai bambini.“Una delle poche qualità di mio padre eradi essere ateo”, ci avrebbe raccontatoanni dopo lo stesso Virgilio.È in questo difficile periodo che egli co-nobbe la donna che sarebbe divenuta lacompagna della sua vita, Nair Lazarine,nata il 23 aprile 1923 ad Araçatuba, figliadi Carmino Lazarine e Rosa Furlan (en-trambi brasiliani di Ribeirão Preto), una

    BIOGRAFIE

    La famiglia Dall’Oca e il movimento anarchico a São Paulo

    di Marcolino Jeremias

    24Memoria storica

    Clara Dall’Oca nella pièce anarchica Como RolaUma Vida (1966), di Pedro Catallo, messa inscena dal Laboratório de Ensaios do Centro deCultura Social de São Paulo.

  • coppia modesta che ebbe sette figli. Ilpadre di Nair, oltre che lavorare come fa-legname, dava lezioni alla scuola ruraledove la figlia studiò per tre anni.Nel 1932, all’età di quindici anni, Virgi-lio Dall’Oca si ribellò ai maltrattamentidel padre e fuggì, andando a stare da suazia, nella città di Marília. In seguito co-minciò a lavorare alla ferrovia Santos-Jundiaí trasferendosi nella casa degli ziiAída e Nicola D’Albenzio, a São Paulo.Nicola D’Albenzio, allora attivo mili-tante anarchico della Federação Operáriade São Paulo (FOSP), risvegliò pian pianol’interesse del giovane Virgilio per le ideelibertarie. Il primo contatto che Virgilioebbe con altri anarchici fu quando suozio lo portò a visitare la redazione delgiornale “A Plebe”, nella avenida RangelPestana, n. 251 (ex Ladeira do Carmo, n.9). Là incontrò il noto militante GusmãoSoler, grazie al quale poté rafforzare lesue convinzioni libertarie. Da allora Vir-gilio cominciò a collaborare alla “Plebe”,anche occupandosi dell’impaginazione.Nello stesso anno, il 1936, Virgilio entrò

    in contatto con il Centro de Cultura So-cial de São Paulo, con sede in rua Quin-tino Bocaiúva 80 (lo stesso locale avevafatto da sede per la FOSP dal 1932 al1935), che all’epoca aveva un folto nu-mero di frequentatori locali oltre a moltirifugiati spagnoli.Dopo quattro anni vissuti con gli zii, Vir-gilio tornò ad Araçatuba per sposarsi conNair. Entrambi si trasferirono a SãoPaulo, andando a vivere con Aída e Ni-cola D’Albenzio. Virgilio lavorò comemanovale, bigliettaio d’autobus, camioni-sta e, alla fine, tassista. Nair lavoravacome sarta, per suo conto. Le difficilicondizioni economiche non impedironoloro di contribuire finanziariamente a in-numerevoli campagne di solidarietà,come per esempio a quella in appoggio airifugiati anarchici dopo la fine dellaguerra civile spagnola (1939), organiz-zata dagli anarchici brasiliani in rispostaall’appello del giornale “Tierra y Liber-tad”. Dopo la nascita dell’estado novo, nel no-vembre 1937, il Centro de Cultura Socialfu obbligato a chiudere la propria sede.Gli anarchici, che fin dall’inizio della dit-tatura di Getúlio Vargas si erano disputatiquello spazio con i riformisti, persero illoro principale campo d’azione. È in que-sto contesto sociale che un gruppo dianarchici, in maggioranza vegetariani enaturisti, svilupperà un progetto di co-struzione di una chácara nella città diItaim, nell’entroterra dello stato di SãoPaulo, che segnerà un periodo completa-mente nuovo nella vicenda dell’anarchi-smo brasiliano.Il gruppo di volontari anarchici che ac-quistò il terreno e diede inizio alla co-struzione di Nossa Chácara (la nostrachácara) era composto inizialmente daGerminal Leuenroth, Nicola D’Albenzio,Virgilio Dall’Oca, Justino Salguero, Sal-

    25 Memoria storica

    Nicola e Aída D’Albenzio nella Nossa Chácara,probabilmente negli anni Cinquanta.

  • vador Arrebola, Antônio Castro, JoãoRojo, Dito Romano, José Oliva Castillo,Roque Branco, Antônio Valverde, CecílioDias Lopes e Lucca Gabriel – tutti ac-compagnati dalle loro famiglie. “Chi de-molì la vecchia casa, lavorò la terra, co-struì e pagò Nossa Chácara fu questogruppo iniziale. In seguito, altri membridel Centro de Cultura Social, insieme aun nuovo gruppo di anarchici che si stavaformando a Vila Bertioga (São Paulo), siunirono all’iniziativa”, ci raccontano Vir-gilio Dall’Oca e sua moglie Nair, proba-bilmente le uniche persone ancora vivedel gruppo di pionieri di Nossa Chácara.La Sociedade Naturista Amigos da NossaChácara fu registrata il 9 novembre 1939,e anche dopo la riapertura del Centro deCultura Social, il 9 luglio 1945, NossaChácara venne utilizzata per i congressilibertari nazionali e le riunioni clande-stine, che furono essenziali nel processodi riorganizzazione del movimento anar-chico brasiliano dopo il difficile periododella repressione della dittatura Vargas.Virgilio Dall’Oca e il gruppo originariodi Nossa Chácara, ben al di là delle dona-zioni in denaro, contribuirono con operemateriali, risultato di un lavoro pesante efaticoso, che furono di enorme beneficioper la collettività. Di non minore impor-tanza fu il lavoro di Aída D’Albenzio eNair Dall’Oca che, per la maggior partedel tempo, furono le responsabili dell’ali-mentazione di tutti i frequentatori diNossa Chácara. Virgilio lavorò poi come tassista a Rio deJaneiro per quattro mesi, mentre la sua fa-miglia rimase a São Paulo. In quel pe-riodo, per buona parte del tempo Virgiliofu ospitato dalla famiglia Bottino, a Ni-terói, entrando in contatto con molti anar-chici che vivevano a Rio de Janeiro.Quando ritornò a São Paulo, la famigliaprese residenza stabile in quella città.

    Successivamente nacquero i giornali “OLibertário” nell’ottobre1960 e “Dealbar”nel settembre 1965: sebbene non scri-vesse articoli, Virgilio contribuì finanzia-riamente a entrambi e aiutò anche adiffonderli: “Nei giorni del Primo Mag-gio e in altre date distribuivamo i gior-nali. Io stesso li portavo, di domenica,quando ero ragazzo e anche da sposato.Li infilavo sotto le porte nell’avenidaCelso Garcia, ognuno faceva la sua parte,per divulgare la nostra idea. Il nostro eradiverso dal giornale borghese, il nostrogiornale noi lo dovevamo diffondere, ca-pisci? Era così, e io lo facevo… Credoche sia grazie a questo gruppo di diffu-sori se poi sono arrivati i compagni dioggi”, ci racconta Virgilio, che fu ancheuno dei sostenitori della casa editriceEditora Mundo Livre di Rio de Janeiro,tra le cui pubblicazioni figurano i se-guenti testi anarchici: Ritratto della ditta-

    Virgilio, Nair e Clara Dall’Oca, a São Paulo (Viaduto do Chá) nel 1943.

    26Memoria storica

  • 27 Memoria storica

    tura portoghese di Edgar Rodrigues(1962), La dottrina anarchica alla por-tata di tutti di José Oiticica (2ª ediz.1963), Anarchismo – Percorso dell’e-mancipazione sociale di Edgard Leuen-roth (1963), La scienza moderna e l’a-narchia di Pëtr Kropotkin (1964) e Errorie contraddizioni del marxismo di VarlanTcherkesoff (1964).Dopo l’insediamento della dittatura mili-tare dell’1° aprile 1964, la Sociedade Na-turista Amigos da Nossa Chácara decisedi vendere la sua proprietà a Itaim percomprare una fattoria a Mogi das Cruzes,che sembrava più appropriata per la con-tinuazione del progetto libertario. Lacampagna per la raccolta fondi durò dal28 agosto1965 al 31 dicembre 1966.Nella lista delle persone che contribui-rono finanziariamente all’acquisto figu-rano anche Virgilio Dall’Oca e sua figliaClara.Anche Clara Dall’Oca collaborò attiva-mente al movimento anarchico di SãoPaulo tra il 1961 e il 1964. Inoltre, feceparte del Laboratório de Ensaios (labora-torio di teatro) del Centro de Cultura So-cial, un gruppo d’arte drammatica che ri-cevette critiche favorevoli da varie testatecome “Jornal da Tarde”, “Diário Popu-lar”, “City News”, “A Gazeta”, il Canale2 della televisione, “Última Hora”,“Folha de São Paulo”…Tra le pièces cui partecipò Clara Dal-l’Oca ricordiamo Como Rola Uma Vida(Come rotola una vita, 1966), di PedroCatallo, dove gli attori, oltre a Clara,erano Faria Magalhães, Helena Nunes,Ailso Braz Corrêa, Milton Netto Morenoe Cesário Melantonio Neto, sotto l’at-tenta direzione di Francisco Cuberos(Neto). È importante sottolineare chequesti pezzi anarchici e contestatari ven-nero rappresentati durante la dittatura mi-litare, che esercitava sistematicamente la

    repressione e la censura anche in ambitoartistico e teatrale.Nel dicembre 1968 venne promulgato ilfamigerato atto istituzionale n. 5, e ilCentro de Cultura Social, che stava giàattraversando diverse difficoltà d’ordineorganizzativo e finanziario, si risolse aterminare, con l’inizio dell’anno nuovo,la propria attività, anche per ragioni di si-curezza. Il pericolo previsto dagli anar-chici di São Paulo verrà ben presto con-fermato quando a Rio de Janeiro, l’8 e il21 ottobre 1969, il Centro de EstudosProfessor José Oiticica (CEPJO) fu presod’assalto da truppe dell’aeronautica mili-tare e i suoi membri – tutti militanti anar-chici – vennero arrestati e in parte anchetorturati.Virgilio rammenta quei giorni difficili:“Dopo l’assalto al Centro de Estudos diRio de Janeiro, i compagni del Centro deCultura Social mi chiesero di bruciare lecarte che potevano compromettere. Dinotte, io e Nair bruciammo, a poco a pocoper non richiamare l’attenzione dei vicini:bilanci contabili, liste dei soci contri-buenti e altri documenti che contenevanonomi di collaboratori in generale”.Durante questo periodo, i militanti di SãoPaulo si organizzarono e raccolsero ano-nimamente (per precauzione) del denaroper contribuire ai costi del processo mili-tare istruito contro gli anarchici di Rio deJaneiro (che durò fino al 1972). Fu unacampagna di grande solidarietà cui preseparte ancora una volta la famiglia Dal-l’Oca. Dopo aver trascorso alcuni anni aItanhaem, la famiglia Dall’Oca si è tra-sferita stabilmente a Santos, dove viveancora oggi.

    Traduzione di Luca Bertolo

  • Il film Le nove vite di Nestor Makhno,probabilmente la più lunga biografia diun anarchico mai messa su pellicola, èsuddivisa in dodici puntate. Girata inUcraina circa due anni prima, per qual-che oscuro motivo è stata pro-grammata dalla TV russa sulprimo canale (analogo a RaiUno) solo nell’estate 2007,anche se era già apparsa sullebancarelle dei mercati sottoforma di DVD pirata. Pocoprima della messa in ondadella serie TV e dell’uscita diun DVD “autorizzato”, è statopubblicato anche un doppiovolume con la storia del film.Quando è stato finalmentemesso in onda, nel luglio2007, il film è riuscito a cattu-rare l’attenzione di un vastopubblico televisivo: ciò è statoin parte dovuto all’intenso bat-tage pubblicitario, ma soprat-tutto perché si è trattato delprimo film mai dedicato a

    Makhno (sebbene il suo personaggiofosse stato incluso in qualità di “cattivo”in diversi film dell’Unione Sovietica). Latelevisione russa non manca certo di serieTV – in realtà, oggi è una noiosa sequenza

    di serie TV – ma non tutte ot-tengono un’uguale attenzionee non di tutte si parla cosìtanto. La qualità delle soapopera è raramente buona,come si può immaginare, main questo caso i telespettatorierano molto interessati allastoria.Vale la pena citare una recen-sione molto positiva (e condi-visa): “In questa serie TV l’i-deale anarchico, così come èsentito e compreso daMakhno, appare il più puro edetico tra quelli che guidavanola gente in quei giorni tumul-tuosi”. Scommetto che nonindovinereste mai su qualegiornale è apparsa questa re-censione: niente di meno che

    A volte un sogno realizzato può essere totalmente differente da ciò che si era sognato. L’estate scorsa è andata in onda in Russia

    una serie televisiva dedicata a Makhno e alla makhnovtschina, il movimento ucraino contadino di ispirazione libertaria che durante la rivoluzione

    del 1917-1921combatté contro le guardie bianche zariste, i nazionalisti ucraini e i bolscevichi. I produttori hanno assicurato che questa serie è stato

    “il primo film verità su Makhno”, destinato finalmente a pagare un tributo a un uomo sul quale in Unione Sovietica sono circolate molte menzogne

    ma che non è mai stato dimenticato dal popolo.

    L’armata di Makhno conquista gli schermi russi

    di Mikhail Tsovma

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    FILM

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  • “Krasnaya Zvezda” (Stella Rossa), l’or-gano ufficiale del ministero della Difesa!A diversi mesi dalla proiezione, si pos-sono ancora trovare discussioni in Inter-net sul film, non solo nei blog ma anchenei siti anarchici e di sinistra, e moltospesso i giudizi sul film non sono legatialla particolare visione politica di questoo quel commentatore. Tra coloro chel’hanno apprezzato ci sono sia anarchicisia loro oppositori, ma i giudizi vanno daltotale apprezzamento a critiche estrema-mente negative.Quello che è triste e fuorviante, pur-troppo, è che il film ha spesso poco a chevedere con le reali tendenze della Rivolu-zione russa e della guerra civile, per nonparlare di come Makhno e l’anarchismovengono presentati. A volte perfino glianarchici cadono vittime del ritratto idea-lizzato – agiografico – di Makhno propo-sto dal film, rifiutando di vedere comeciò porti alla creazione di nuovi miti epregiudizi sull’”eroe anarchico”.A mio modesto parere Le nove vite diNestor Makhno è una serie TV di infimaqualità, simile alle numerose altre oggi inprogramma. D’altronde la produzione èstrettamente influenzata dal budget, edunque bisogna girare velocemente e abasso costo (e questa è una delle ragioniper cui la serie è stata girata in Ucraina:

    produrre film laggiù è più economico).Ciò nondimeno, una parte importante delbudget è ancora usata per i passaggi pro-mozionali. Un altro risultato dei limitiimposti dal budget è che la ricostruzionestorica, dai costumi alle inverosimiliscene di guerra o dei mezzi blindati, nonconvince affatto. Il che non sarebbe disa-stroso se almeno la vicenda fosse raccon-tata in maniera giusta, ma in realtà glisceneggiatori sono riusciti a mettere in-sieme realtà e menzogna. Probabilmente,l’unica grande bugia su Makhno che noncompare nel film è che lui e i suoi se-guaci erano antisemiti. La maggior partedella recitazione è scadente e la regia hafallito nel suo tentativo di fare un ritrattostorico realistico: anarchici, bolscevichi enazionalisti ucraini hanno tratti franca-mente comici, mentre la nobiltà russa, leguardie bianche e la polizia politica zari-sta hanno connotati più seriosi (e gliebrei vengono ritratti con una mesco-lanza di aspetti comici e tragici nel tu-multo della guerra civile). In poche pa-role, nominate uno stereotipo politicorelativo a quell’epoca e lo troverete certa-mente nel film, magari mescolato conqualche novità, ma sempre presente.Ciononostante, ho avuto a tratti la sensa-zione che il film sia al contempo un’o-pera misconosciuta sull’epica rivoluzio-naria. In effetti, Makhno e i suoi seguacisono spesso ritratti in modo buffo, mamai come personaggi negativi. È possi-bile che non siano in grado di compren-dere l’alta politica, ma di certo non sonoassassini maledetti e violenti. D’altrondesarebbe sbagliato pensare che gli autoriintendessero fornire una visione impar-ziale e storicamente corretta della makh-novtschina: prima di tutto, è uno spetta-colo destinato a intrattenere il grandepubblico e i personaggi storici sonospesso caricature.

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  • Makhno, interpretato dall’attore PavelDerevyanko (a volte la recitazione non èmale ma più spesso è inadeguata), è unavia di mezzo tra un giovane di buone in-tenzioni e un rivoluzionario non partico-larmente intellettuale, insomma un popo-lano in tutto e per tutto. Non è abbastanzabrillante per parlare il linguaggio degliintellettuali, ma comprende la gente, sacomunicare in modo efficace e guida lalotta popolare contro tutti i generi di op-pressori. È un uomo con i piedi per terra,senza fronzoli, ma anche pieno di sag-gezza e umorismo contadino. Il modo incui viene messo sullo schermo potrà es-sere differente dal reale personaggio sto-rico, ma non era forse Makhno, nel suoessere profondo, tutto quanto detto sopra?A volte viene descritto come una speciedi psicotico, un alcolizzato o un rivolu-zionario pronto a tutto, ma è pur sempre“l’eroe”.La lunga lista di figure storiche nel film èmolto lontana dai personaggi reali. Arshi-nov, il famoso militante e storico dellamakhnovtschina, un rivoluzionario di pro-fessione in grado di rapinare banche e uc-cidere poliziotti, diventa un intellettualebuffo e fuori dal mondo, il tipico perso-naggio che i film sovietici usavano per in-carnare il sognatore anarchico. Per qual-che motivo, Vsevolod Voline è invececompletamente assente. Kropotkin fa unabreve apparizione, ma è un lunatico os-sessionato dai suoi libri e incapace per-fino di notare la presenza di Makhno.Lenin, che Makhno incontrò a Mosca, èpiuttosto noioso e assume la voce delpragmatismo politico in opposizione alromanticismo rivoluzionario e alla ristret-tezza di vedute, tipicamente contadina,diMakhno, mentre Trotsky è giustamenteritratto come un oppositore strenuo e osti-nato della makhnovtschina, anche se as-somiglia troppo a una figura diabolica da

    fumetto piuttosto che al dittatore che era.I comandanti in campo di Makhno sonoper lo più invenzioni cinematografiche,personaggi adatti a intrattenere il pub-blico, molto liberamente ispirati agli ori-ginali. Tutto sommato, è la recitazione agiocare il ruolo maggiore nel determinarequanto il personaggio sia accattivante.Per esempio, Leva Zadov, a capo dellapolizia politica di Makhno e figura moltocontraddittoria, nel film è una personapiacevole e un discreto anarchico. VictorBelasi, capo di stato maggiore, pure luiun tipico esempio di lavoratore rivoluzio-nario, si vede cambiato il nome, inspiega-bilmente, in Chernysh. Forse per legare ilsuo cognome alla bandiera nera dell’anar-chia (in russo, Cherny vuol dire nero,mentre Bely vuol dire bianco).Nemmeno gli eventi storici sono moltorealistici. Se la descrizione generale dellamakhnovtschina è abbastanza corretta, ilfilm travisa parecchi episodi. Gli autorinon sono certo dalla parte dei bolscevi-chi, eppure questi ultimi sono investiti diuna qualche capacità governativa (ma nonsono al contempo gli istigatori di una ri-voluzione e di una guerra civile sangui-nose, come la propaganda della Russiamoderna va dicendo oggi?). La tormen-tata alleanza fra bolscevichi e makhnovi-sti contro le guardie bianche è ancora unavolta vista nel film dalla parte dei bolsce-vichi. Alcuni eventi maggiori come labattaglia di Peregonovka – un colpo terri-bile inferto alle guardie bianche che percerti aspetti decise le sorti della guerra ci-vile – sono omessi, mentre vengono inse-riti episodi – come l’assassinio dellaprima moglie e del figlio di Makhno daparte degli anarchici nel tentativo di le-garlo indissolubilmente agli eventi poli-tici – che sono delle pure invenzioni degliautori per rendere il film stesso un thril-ler! La mancanza di un’adeguata consu-

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  • 31 Storia per immagini

    lenza storica è evidente: le prigioni zari-ste sembrano quelle di oggi. A volteMakhno fa strane affermazioni xenofobecontro gli americani, i cinesi o gli estoni– un evidente tentativo dei produttori dicollegarlo alla politica odierna – che suo-nano decisamente ridicole. E infine unodei luogotenenti di Makhno canta addirit-tura alcune strofe di una canzone russapunk degli anni Ottanta, Bandiera nera,anziché l’omonima canzone anarchicaperduta! Nel film molti dei dialoghi ver-tono su cosa l’anarchia combatta. Sfortu-natamente per gli spettatori, è impossibilecapirne alcunché. In diverse occasioni glianarchici tentano di spiegarsi, ma la cosasi traduce puntualmente in conversazionisenza senso, del tipo comune nei film so-vietici: “Cosa proponi? Tu non proponiun bel nulla! Dici che praticamente tuttodovrebbe essere abolito!”. Nel film, glianarchici sono oratori incapaci di dire ciòche pensano, oppure danno spiegazioniinfantili e banali. Alla fine non è chiaroperché i contadini continuassero a seguireMakhno e gli anarchici malgrado bolsce-vichi, ucraini e guardie bianche infligges-sero loro dure repressioni.Senza dubbio, ognuno vedrà nel film ciòche la sua convinzione politica lo porteràa vedere (benché alcuni anarchici tendanoa identificare il personaggio televisivocol Makhno reale). Pur essendo criticonei confronti della pellicola, non ho po-tuto fare a meno di pensare che, malgradotutto, il film è un tributo alla tragica sto-ria della makhnovtscina e alla fallita rivo-luzione russa. La storia della makhnovt-scina è di per sé una saga tragica e unasua trasposizione anche solo tiepidamentepartecipe non può non commuovere. Maancora una volta, abbiamo proprio biso-gno di un film per la TV per ricordare icompagni caduti? In conclusione, la veri-dicità storica della pellicola è dubbia,

    sebbene sia stata l’asso nella manica dellasua promozione pubblicitaria. Malgradociò, il film ha generato un interesse popo-lare verso Makhno. Negli ultimi annisono state pubblicate la sua autobiogra-fia, la Storia del movimento makhnovistadi Arshinov (un classico del genere) emolti libri di grande diffusione, ma senzadubbio la serie TV mandata in onda inprima serata ha esteso notevolmente l’in-teresse verso di lui. E se qualcuno, spintodal film, leggesse almeno un paio di pub-blicazioni decenti, potrebbe essere unbuon inizio per conoscere meglio il popo-lare enfant terribile della rivoluzionerussa. Basterebbe solo chiarire che innessun modo una serie televisiva può es-sere considerata come un testo di storia.

    Traduzione di Barbara Ielasi

  • GIUGNO 2008Centro Studi Libertari / Archivio Giuseppe Pinelli

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