Tesi di Flavia Cangini
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1
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO
“CARLO BO”
Facoltà di Sociologia
CORSO DI LAUREA IN COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA
_____________________________
“Il tuo nome ti precede”. Corporate Reputation, asset strategico per costruire
vantaggio competitivo sui mercati globali.
Relatore: Chiar.mo Prof. Marcello Zeppa
Tesi di laurea di: Flavia Cangini
_____________________________
ANNO ACCADEMICO 2007-2008
2
Indice Capitolo 1: Corporate Reputation
1.1. Ambiente e impresa evolvono
1.2. Reputazione, siamo quello che gli altri pensano
1.3. Le aziende e la loro reputazione
1.3.1. Pianificazione
1.3.2. Misurazione
1.3.3. Profittabilità
1.4. Il brand come asset indispensabile
1.4.1. Marca o non marca?
1.4.2. Funzioni e valore del brand
1.4.3. Dai trade mark ai love mark
1.4.4. La comunicazione integrata
Capitolo 2: Gestire la Corporate Reputation
2.1. Ripensare il comunication mix
2.1.1. Pubblicità
2.1.1.1. Above the line
2.1.1.2. Below the line
2.1.2. Promozioni
2.1.3. Personale di vendita
2.1.4. Pubbliche Relazioni
2.1.5. Comunicazione interna
2.2. I nuovi territori della marca
2.2.1. Comunità brandizzate
2.2.1.1. On-line
3
2.2.1.2. Off-line
2.2.2. I punti vendita: luoghi dove vivere esperienze
2.2.3. CSR, la strada etica
2.2.4. Spazi per collaborare
Capitolo 3: Personal Branding, un esempio concreto
3.1. Pianificazione
3.2. Misurazione
3.3. Profittabilità
Conclusioni
Bibliografia
Sitografia
4
1. Corporate Reputation
Negli ultimi anni il mondo delle imprese, ma anche quello politico e
istituzionale, hanno vissuto profonde trasformazioni dovute alle nuove
esigenze del mercato.
Aumenta la pressione competitiva, c’è una maggiore attenzione verso le
relazioni con tutti coloro che intrecciano rapporti con l’azienda, che
viceversa si rivelano sempre più infedeli, e ad organizzazioni e leadership
viene richiesta sempre maggiore trasparenza e responsabilità.
Per sopravvivere a questo scenario le organizzazioni cercano sempre più
di rafforzare e tutelare le relazioni coi propri stakeholder, quindi di
consolidare e difendere la propria reputazione. Francesco Guicciardini
sosteneva: a chi mantiene la Reputazione non mancano amici, grazia e
benevolenza.
E’ quindi chiaro che per una azienda una buona reputazione costituisce
un asset strategico fondamentale e garantisce vantaggio competitivo sui
concorrenti. 1
1.1. Ambiente e impresa evolvono
Se provassimo per un solo istante a ripercorrere la storia del mondo e
dell’uomo, ci renderemmo conto che l’evoluzione avveniva in tempi
completamente differenti da quelli cui siamo abituati oggi. La vera artefice
di questo cambiamento è la comunicazione.
Imparando prima a parlare poi a scrivere l’uomo è riuscito a tramandare
le proprie esperienze e se con la scrittura si eliminarono problemi di
trasmissibilità delle informazioni nello spazio e nel tempo, con la fioritura di
1 http://www.reputazione.it/content/view/20/65/lang,it/
5
tecnologie e sistemi per comunicare a distanza, primo tra tutti il telegrafo
ottico, le informazioni iniziarono a viaggiare alla velocità della luce.
Comunicare più rapidamente, a maggiori distanze e in maniera affidabile,
è la grande innovazione del nostro secolo e, come avvenuto nel passato,
l’evoluzione della comunicazione non ha potuto non apportare profondi
cambiamenti alla nostra società.
Uno dei protagonisti delle trasformazioni in atto è senza dubbio Internet e
più nello specifico il World Wide Web.
Oggi, chi dispone di un computer ed una connessione, si trova a poter
maneggiare migliaia di informazioni messe in Rete da aziende, media o altri
utenti.
Negli ultimi anni il Web è progredito, passando alla così detta fase 2.0:
un’evoluzione delle applicazioni Web che ora offrono agli utenti maggiori,
per non dire infinite, possibilità di interagire, pubblicare e condividere
contenuti. Il consumatore diviene così non solo più informato, ma anche più
attivo.
L'economista Giancarlo Pallavicini definisce la globalizzazione come
uno straordinario sviluppo delle possibili relazioni, non soltanto
economico-finanziarie, pur preminenti, tra le diverse aree del globo, con
modalità e tempi tali da far sì che ciò che avviene in un'area si ripercuota
anche in tempo reale sulle altre aree, pure le più lontane, con esiti che i
tradizionali modelli interpretativi dell'economia e della società non sono in
grado di valutare correntemente.2
2 http://it.wikipedia.org/wiki/Globalizzazione (Relazioni di Giancarlo Pallavicini al III° Encuentro Internacional de Economistas, "Globalizacion y problemas del desarrollo", La Habana, 24/29 de Henero del 2000, al Convegno Internazionale "Etica e Finanza", Fondazione Vaticana "Centesimus Annus Pro-Pontificie", Città del Vaticano, 30 aprile 2000 e alla 5.a Conferenza Internazionale Kondratiev "Evoluzione e prospettive delle trasformazioni sociali", San Pietroburgo, 19/22 ottobre 2004)
6
La crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale
ha portato ad una convergenza economica e culturale tra i Paesi del mondo
che divengono così sempre più dipendenti gli uni dagli altri.
La stretta connessione tra Stati porta inevitabilmente anche ad un altro
fenomeno legato alle grandi multinazionali:
[…] Nel nuovo modello il prodotto passa sempre in secondo piano
rispetto al vero prodotto, ossia il marchio, […]. Chiunque può produrre una
merce […]. Tali umili compiti, pertanto, possono essere affidati ad
appaltatori e subappaltatori, la cui unica preoccupazione è quella di
evadere l’ordine nel minor tempo e al minor costo possibile
(preferibilmente nel Terzo Mondo, dove il lavoro ha un prezzo bassissimo,
le leggi e il fisco sono permissivi).3
In un mercato come quello sopra descritto i canali distributivi si
moltiplicano, la quantità e varietà di beni e servizi offerti raggiungono
volumi mai pensati prima e i competitor aumentano, effetto dovuto in parte
alla frantumazione dei tradizionali confini settoriali.
Un venditore di sveglie – ad esempio - si troverà in difficoltà perché il
suo mercato di riferimento è stato soppiantato dall’avvento dei cellulari,
prodotto che in prima analisi non sembrerebbe ad esso correlato.
Le imprese, nonostante le maggiori possibilità strategiche, generano
quindi, oltre che profitti più bassi, anche minor valore per il mercato.
I consumatori, da parte loro, si trovano a poter scegliere, oltre che tra
diverse tipologie di prodotti/servizi, anche tra più aziende
produttrici/fornitrici avendo a loro disposizione quantitativi di informazioni
enormi. Nonostante tutto, spesso si scoprono però confusi e frustrati
dall’esperienza d’acquisto. Le motivazioni di questo atteggiamento sono da
3 Naomi Klein, No Logo, Baldini Castoldi Dalai, 2002
7
ritrovarsi nell’inesorabile evoluzione delle tecnologie, nell’alto numero di
opzioni possibili, troppo simili fra loro, e nella velocità con cui i prodotti
divengono obsoleti, quindi nella necessità di tenersi sempre aggiornati.
Aziende e consumatori vivono quindi una situazione paradossale: più
possibilità strategiche ma meno valore generato per i primi e più scelta ma
meno soddisfazione per i secondi.
In questo scenario è indispensabile che le aziende rivalutino il
tradizionale sistema di creazione del valore incentrato su se stesse ed
instaurino un dialogo coi consumatori. Perché questo sia possibile l’impresa
si trova a dover mettere in discussione due assiomi su cui si è sempre retta:
primo, che da sola, unilateralmente, sia in grado di generare valore e
secondo, che il valore risieda unicamente nel prodotto/servizio. Solo qualora
le alte sfere della direzione siano profondamente convinte che quanto sopra
detto sia veritiero, il consumatore potrà essere posto al centro dell’attività
aziendale. L’innovazione, a questo punto, non sarà più volta a migliorare la
“catena del valore” o a gestire la domanda, ma a creare reti di esperienze
positive, possibilmente personalizzate per ogni stakeholder. Seguendo
questa logica imprenditoriale, il mercato si configurerebbe come un grande
forum dove chi vuole può intervenire, dialogare e partecipare con l’azienda
alla co-creazione di valore.4
1.2. Reputazione, siamo quello che gli altri pensano
Il sociologo Steven Nock definisce la reputazione come “una condivisa,
o comune, percezione rispetto una persona”. Avere una buona reputazione
significa avere maggiori possibilità di intrecciare rapporti, lavorativi o
umani che siano. Noi dipendiamo dagli altri. Nella nostra società senza la
cooperazione ci troviamo spesso a non essere in grado di fare quel che 4 C.K. Prahalad Venkat Ramaswamy, Il futuro della competizione, co-creare valore eccezionale con i clienti, Il Sole 24 Ore, 2004
8
vorremmo. La nostra libertà d’azione dipende in buona parte da come la
società ci giudica. Gestire al meglio la propria reputazione, sia per gli
individui che per le organizzazioni, sarà quindi fonte di guadagno.
Gli elementi che la determinano sono due. Il primo è quello che viene
comunicato. Riportando quanto enunciato negli assiomi della
comunicazione di Watzlavich, Beavin e Jackson, stabiliamo che non si può
non comunicare e che gli esseri umani comunicano attraverso due moduli,
uno digitale l’altro analogico, quindi rispettivamente mediante linguaggio
verbale e del corpo. Le parole pronunciate e le azioni attuate influenzano
quindi, tanto quanto il non detto o non fatto, la percezione che gli altri
hanno di noi.
La reputazione però non è data solo dalla somma degli input lanciati. Le
esperienze vissute da tutti coloro che entrano, più o meno direttamente, in
contatto con noi sono altrettanto importanti. Che si abbia vissuto una
situazione positiva o meno, lo si tende a raccontare. Ricerche di mercato
hanno però rilevato una differenza nel comportamento tra cliente soddisfatto
e insoddisfatto: il primo tenderà a parlarne ad una media di 3,5 persone,
mentre il secondo lo riferirà a circa 7-8 persone.
Su Internet, dove le interconnessioni tra individui sono maggiori e il
mondo diventa davvero piccolo, questo discorso si amplifica, tanto che in
America si parla già di stress da web reputation.
Nell’ultimo secolo siamo passati dal vivere in piccoli villaggi, dove tutti
sapevano tutto dell’altro, ad una società altamente impersonale e vasta. Per
conoscere la reputazione di qualcuno non possiamo più chiedere al vicino di
casa, spesso anch’egli sconosciuto, ma siamo costretti ad assemblare
frangenti di dati reperibili nei più disparati modi.
Nel villaggio globale5 le informazioni disponibili sono molte e spesso
poco controllate o controllabili: tutte messe per iscritto, permangono nel
5 Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1964
9
tempo e possono riaffiorare quando meno te lo aspetti. Coi blog e i social
network informazioni personali vengono postate quotidianamente, ad una
velocità prima impensabile.
Uno degli strumenti più utilizzati per conoscere una persona è Google.
Googlare, verbo nato dal famoso motore di ricerca, significa cercare
informazioni su qualcuno all’interno della Rete. Googlare il nome di
qualcuno é facile e veloce e proprio per questo è un sistema utilizzato nelle
occasioni più disparate, con partner commerciali, clienti, datori di lavoro ma
anche più semplicemente con amici e conoscenti, magari incontrati proprio
sul Web.
Tra utenti Internet, mancando spesso una conoscenza pregressa, esistono
inoltre sistemi di raccomandazione, soprattutto all’interno di social network
come ad esempio e-Bay e Linked-In, che vanno anch’essi a plasmare e
definire la nostra immagine.
Nel Web 2.0 la vera moneta è la reputazione: può essere scambiata in
fama, richieste di consulenza, offerte di posti di lavoro e soprattutto in soldi.
Tenersi aggiornati su quello che appare digitando il nostro nome su
motori di ricerca e gestire i risultati cercando di dare un’idea ottimizzata di
noi, si rivela un buon sistema per rappresentarci e promuoverci.
Questa pratica, detta Personal Branding, riguarda il modo con cui ognuno
fa marketing di se stesso. Il nostro cervello è disegnato per riconoscere
schemi, somiglianze e differenze. Ogni volta che le persone interagiscono
tendono a far rientrare l’altro in una delle loro personali categorie. Il
Personal Branding è inevitabile6.
L’uomo, per sua natura, tende a giudicare, con le poche informazioni a
sua disposizione, le persone, senza tener conto né del contesto né della
complessità della loro identità e lo fa non tanto per ledere l’altro, quanto per
il piacere di conversare. Sul Web sparlare di una persona può rivelarsi 6 Luigi Centenaro, Personal Branding con i Social Media. Come proteggere la tua reputazione con i Blog, le Reti Sociali e gli altri strumenti del Web2.0, 2008 (e-book)
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micidiale. Le informazioni viaggiano a velocità inaudite e una volta sparse
per la Rete non sono più cancellabili. Esistono diversi casi di persone che
hanno già testato la potenza del www e ne hanno subito le conseguenze.
Sulla Rete girano migliaia di informazioni, alcune sono veritiere altre no.
La forza del Web potrebbe ritorcersi, da un giorno all’altro, contro una
persona e metterla verbalmente “al rogo”.
1.3. Le aziende e la loro reputazione
La reputazione di una organizzazione è il giudizio complessivo dato da
coloro che in modo diretto o indiretto ne influenzano l’operato.
La consapevolezza del valore che la corporate reputation ha per
un’azienda negli ultimi anni è aumentata vertiginosamente: Nel 2003 al
Corporate Reputation Watch si sosteneva che comportamenti poco etici
negli ultimi anni avevano portato a numerosi scandali e colpito la
reputazione di diverse aziende, danneggiandone le performance. Nonostante
questo, in quegli anni, pochi business leader si impegnavano ancora a
seguire i nuovi standard di Corporate Governance. Comportamenti etici,
trasparenza, qualità dei processi e delle relazioni, oggi più che mai,
dovrebbero essere alla base di qualsiasi piano di marketing e rappresentare
asset strategico per costruire vantaggio competitivo sui mercati globali.
Un costante monitoraggio e un’attenta gestione della propria reputazione
rappresentano attività importanti per costruire, mantenere o rafforzare il
consenso dei diversi interlocutori sociali.
Come sostiene Allegrini “l’entità del danno che un comportamento errato
può apportare alla reputazione di un’azienda è tanto più alto quanto il suo
settore di riferimento o le sue caratteristiche fanno leva su valori
immateriali, quali l’immagine, la fiducia e la creatività”.
11
Chris Anderson, inventore della “Coda Lunga”, riferendosi in particolare
al Web afferma:
Viviamo in un'epoca in cui ogni consumatore ha un megafono. Molti lo
stanno usando. E le aziende farebbero meglio ad ascoltare7.
Oggi, per parlare al mondo, non è più necessario lavorare all’interno dei
media mainstream, avere particolari licenze o chiedere permessi. Basta
pubblicare il proprio pensiero in un angolo dell’immensa Rete sperando che,
qualora accettato e condiviso, ottenga risonanza e produca risultati. É
quanto accaduto -ad esempio- a Barbara, mamma di un bimbo autistico di
quattro anni umiliato e deriso da dipendenti Carrefour durante una festa da
essa organizzata. Barbara, per denunciare l’avvenuto e ottenere giustizia, ha
scritto una mail alla Direzione della grande società di distribuzione, poi
inviata anche alla segreteria dell’onorevole Carfagna, a Striscia La Notizia e
pubblicata sul suo blog. Il passaparola sul Web, nell’arco di pochissimi
giorni, ha dato gran eco al “fattaccio” e leso la reputazione di Carrefour che
il lunedì ha prontamente risposto assumendosi l’impegno di approfondire
l’accaduto affinché ogni responsabilità venisse accertata e punita con il
massimo rigore.
Di esempi se ne possono citare altri. La storia dei lucchetti Kryptonite
che, secondo alcuni video pubblicati per la Rete potevano essere aperti con
una semplice penna biro, è quella che ha ottenuto maggiore risonanza.
L’azienda, che ai tempi non aveva dato subito peso al passaparola
ritrovandosi poi a dover sostenere costi altissimi per ritirare decine di
migliaia di lucchetti dal mercato, oggi ha aperto un corporate blog.
Diversa è invece la vicenda di Sergio Sarnari che a giugno di quest’anno,
dopo aver scritto un post nel quale raccontava l’esperienza d’acquisto 7 Chris Anderson, The long tail. Why the future of business is selling less of more, Hyperion, 2006
12
negativa vissuta con la Mosaico Arredamenti, si era ritrovato a dover
rispondere ad una richiesta per risarcimento danni di 400.000 euro.
Naturalmente tutta la blogosfera di fronte alla notizia si indignò e la
Mosaico Arredamenti non ottenne altro che ulteriore pubblicità negativa.
La reputation 2.0, ovvero le conversazioni che hanno luogo sulla Rete,
devono essere tenute costantemente sotto controllo. Questi dati pubblicati da
Nielsen8 ne sono ulteriore conferma:
39 milioni di internauti europei hanno rinunciato ad un acquisto a causa
di commenti negativi trovati sul web […] (Fonte: IPSOS MORI 2006)
[…] gli utenti vanno sui motori di ricerca per trovare informazioni
riguardanti un brand, per sapere chi è una persona, per sapere cosa si dice
di un prodotto; i motori di ricerca sono diplomatici, non fanno distinzioni di
merito, danno rilevanza ai blog ed ai siti “caldi” ma soprattutto non
dimenticano facilmente […] (Fonte: progetto SEO)
[...] La ricerca ha rivelato che il consumatore italiano è sempre più
multicanale, ovvero la sua decisione d’acquisto e la relazione con la marca
sono determinate dall’interazione con molteplici canali di comunicazione
[…]
[...] Il cliente multicanale non è uno sprovveduto, attinge a fonti diverse,
anche a quelle non controllate dall’azienda (blog, forum, social
networking), di cui non è sempre certa l’attendibilità. E’ molto attivo nel
8 http://www.reputazioneonline.it/pages/content.aspx?id=10¶m=analisi_reputazione_web (Nielsen, Nielsen Online, Connexia e la School of Management del Politecnico di Milano, novembre 2007. Nielsen Online, Nielsen Online comunica i dati internet relativi al mese di novembre e fa il punto sul trend della rete nel 2007, News Release, dicembre 2007.)
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passaparola con cui condivide la propria soddisfazione e soprattutto
l’insoddisfazione [...]
Al punto 12 del Cluetrain Manifesto si afferma inoltre che
Non ci sono segreti. Il mercato online conosce i prodotti meglio delle
aziende che li fanno. E se una cosa è buona o cattiva, comunque lo dicono a
tutti.
In realtà, che si tratti di mondo virtuale o reale, il passaparola è sempre da
tenere sotto controllo: è un virus e una volta propagatosi è difficile
debellarlo.
Che si tratti di mondo virtuale o reale i consumatori si scambiano
continuamente idee, esperienze e storie, vissute in prima persona o
raccontate loro da qualcun altro. Il valore riconosciuto alle parole
pronunciate da persone comuni e soprattutto disinteressate, è sempre
maggiore di quello attribuito alle comunicazioni aziendali. Il passaparola è
un virus e si propaga in tempi e luoghi imprevedibili. Controllarlo e gestirlo
è un “dovere” del brand: nell’arco di poco tempo potrebbe apportare
all’azienda enormi benefici, quanto disastrose perdite.
1.3.1. Pianificazione
La reputazione è un processo in continua evoluzione, alla cui formazione
partecipano diversi soggetti, alcuni più incisivamente, come giornalisti e
opinion leader, altri meno, come i consumatori passivi.
La reputazione non può quindi, per sua natura, essere semplicemente
costruita a tavolino dagli esperti della comunicazione e divulgata attraverso
i media.
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Pianificare una corporate reputation, per un’azienda, significa decidere
cosa e come comunicare ai propri pubblici di riferimento. Conoscere il
posizionamento del brand nella mente dei consumatori e seguire standard di
Corporate Governance sono punti di partenza importanti per pianificare una
comunicazione efficace. L’insieme dei messaggi inviati dal brand saranno
infatti pretesto di dialogo per i pubblici esterni che pian piano andranno a
delinearne, più o meno direttamente, la reputazione.
Pianificare una corporate reputation è quindi possibile, ma importante
sarà monitorarla ed evolvere con essa. Solo attraverso un costante impegno
comunicativo e relazionale si otterranno buoni risultati.
Sapere dove l’azienda è posizionata nella mente dei consumatori e perché
vi si trova, è fondamentale per capire quale strada intraprendere.
Rispondendo a questi interrogativi sarà possibile capire come prodotto e
marca vengono percepiti dai diversi stakeholder e quali sono, rispetto ai
competitor, punti di forza e di debolezza.
Solo allora, potendo identificare un obiettivo, quindi definire un
positioning, sarà possibile decidere come raggiungerlo.
L’azienda, per poter comunicare qualcosa di rilevante è però
fondamentale che gestisca il proprio business seguendo quelli che abbiamo
prima chiamato standard di Corporate Governance. Solo se avrà una buona
condotta potrà palesarlo ed incrementare fiducia e coinvolgimento emotivo
nei suoi confronti.
Una volta pianificato come l’azienda debba essere percepita, sarà poi
importante comunicarlo ai diversi pubblici di riferimento, soprattutto a
giornalisti e opinion leader, la cui opera di comunicazione ha una forte
influenza.
1.3.2. Misurazione
Per la misurazione della reputazione è necessario integrare:
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- ricerche qualitative: focus group, brainstorming e interviste in
profondità;
- ricerche quantitative: interviste e questionari telefonici, web o face-
to-face;
- ricerche desk: analisi web e analisi media.
Ogni anno, inoltre, il Reputation Institute di New York si occupa di
stilare a livello internazionale il Reputation Index. La ricerca valuta le
percezioni degli stakeholder sui vari brand attraverso venti attributi
raggruppati in sei dimensioni: prodotti e servizi, performance finanziaria,
ambiente di lavoro, responsabilità sociale, vision e leadership e appeal
emozionale. La classifica, pubblicata su The Wall Street Journal, viene poi
ripresa dai media che finiscono col creare un circolo virtuoso che si
autoalimenta, portando ovvi benefici a chi si trova nei primi posti, come
avvenuto per Barilla.
Per misurare la reputation 2.0, negli ultimi anni, a riprova del suo
aumentato valore, sono nate tantissime agenzie che si occupano
esclusivamente della sua rilevazione e, qualora i risultati lo richiedano,
nell’apporvi le giuste modifiche.
Ai singoli è però possibile monitorarla anche autonomamente attraverso
strumenti gratuiti disponibili on-line.
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Qualunque utente, dal più al meno esperto, può però, attraverso diversi
strumenti gratuiti disponibili on-line, monitorarla anche autonomamente,
senza ricorrere a terzi.
Basta iscriversi a Google Alert e inserire le parole chiave cui si è
interessati, ad esempio, il brand per cui si lavora. Il software prenderà in
esame notizie, commenti, video, blog e pagine web inerenti. Qualora le
parole ricercate siano popolari, onde evitare messaggistica inutile, sarà
importante restringere la ricerca. Molto simile è il funzionamento di Yahoo!
Alert.
Blog, commenti e forum potranno a loro volta essere monitorati
attraverso strumenti specifici come Technorati, Co.mments e Tracker.
1.3.3. Profittabilità
Determinare la profittabilità di una campagna di comunicazione è da
sempre un grosso problema e gli imprenditori più sprovveduti sono spesso
portati, proprio per questo, a non investire in un settore così immateriale.
Altrettanto complicato, se non di più, sarà quindi stabilire il valore
generato da una buona reputazione: i risultati si vedono nel medio-lungo
periodo e talvolta sono in contrasto con obiettivi a breve termine. Un
venditore, potrebbe optare per guadagnare proficuamente nel breve periodo
senza curarsi di tenere un atteggiamento leale e rischiando che il suo
prodotto/servizio, in futuro, venga boicottato, oppure scegliere di
guadagnare meno, ma onestamente, e migliorare la propria reputazione,
quindi le rendite, nel lungo termine.
I vantaggi apportati da una buona reputazione sono:
1. Maggiore forza contrattuale;
2. Aumento delle vendite;
3. Facilità di approvvigionamento di risorse, umane, materiali e
finanziarie;
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4. Miglioramento del grado di fedeltà delle persone;
5. Miglioramento della collaborazione e della qualità dei propri
fornitori;
6. Maggiore impegno e coinvolgimento del personale;
7. Miglioramento del dialogo con enti e media;
8. Maggiore sostegno di comunità locali.
Per valutare i risultati prodotti da una buona reputazione bisognerebbe
analizzare l’andamento di questi elementi nel tempo ed evidenziare le
connessioni che tra essi si vengono a creare.
Distinguere nettamente quali sono i vantaggi o meno, scindendoli da altre
variabili come l’andamento del mercato, la concorrenza e il prodotto, non è
possibile, ma studiare quanto una migliore reputazione influenzi tutte le
variabili sopra descritte si. I vantaggi apportati sono infatti evidenti non
appena si verifica la situazione contraria e cioè quando comportamenti poco
etici danneggiano le performance aziendali.
Le imprese devono quindi imparare a gestire il proprio rischio
reputazionale, minimizzando le probabilità di accadimento di eventi che
possano danneggiarla e predisponendo azioni da intraprendere qualora i
danni si siano già manifestati.
Minimizzare i fattori di rischio significa potenziare i meccanismi di
controllo su elementi come il personale, in particolare valutando la
congruità degli investimenti nel processo di selezione e formazione delle
risorse umane, prestare attenzione ai processi che alimentano la pubblicità
esterna, garantire standard qualitativi attraverso certificazioni riconosciute a
livello internazionale, controllare la natura dei reclami arrivati e rimuovere
meccanismi incentivanti comportamenti lesivi del giudizio esterno, come ad
esempio sistemi premianti non correlati a controlli sulle modalità di lavoro
dei singoli dipendenti.
18
Per quel che riguarda la minimizzazione del danno reputazionale a cose
già fatte, è importante che l’azienda riconosca pubblicamente gli
avvenimenti, senza cercare coperture e, quando possibile, manipoli l’evento
negativo a proprio vantaggio, come fece la Mercedes quando la sua Classe
A non superò il “test dell’Alce”. Altre precauzioni possibili sono la
previsione di soluzioni straordinarie sulla corporate governance, come la
sostituzione degli amministratori, la diversificazione dei marchi per ridurre i
costi della loro perdita e la rapida sostituzione dei responsabili di
comportamenti giuridicamente o eticamente contestati9.
1.4. Il brand come asset indispensabile
I brand ci accompagnano in ogni momento della giornata. Ci svegliamo
raggomitolandoci tra le nostre coperte Zucchi, ci togliamo il pigiama
Intimissimi per ricoprirci di marche dalla testa ai piedi, ci laviamo i denti
col dentifricio Colgate e facciamo colazione con le merendine della Ferrero.
Prendiamo la nostra borsa Caterina Lucchi e via per le strade stracolme di
insegne, cartelloni e volantini, al volante della nostra strepitosa Mini.
Il brand, entità complessa, simbolo e sintesi di significati, valori ed
esperienze, diviene asset indispensabile in un mercato globalizzato,
caratterizzato da: l’omogeneizzazione dei gusti e dei prodotti, l’inarrestabile
sviluppo delle tecnologie, la diminuzione della vita utile del prodotto, la
convergenza dei settori merceologici e l’accresciuta importanza conferita al
mondo dell’intangibile. D’altro canto anche le imprese, avendo una struttura
meno gerarchizzata, esternalizzando parte delle proprie attività e
9http://www.almavivafinance.it/doc/aifirm%20gen%2008_Rischio%20reputazionale_Gabbi.pdf (Gianpaolo Gabbi, Il rischio reputazionale tra primo e secondo pilastro, Costruire il Pillar 2: il ruolo della Vigilanza, del management e dei professional Roma, 29 gennaio 2008)
19
organizzandosi in strutture policentriche, sentono l’esigenza di avere
un’identità forte cui fare riferimento.
Le marche, all’interno di questo sistema economico e sociale, permettono
alle aziende di affrontare i nuovi problemi legati all’evoluzione del mercato,
consentendo loro di differenziarsi, quindi posizionarsi all’interno della
mente dei consumatori, divenendo territorio comunicativo-relazionale,
all’interno del quale collaborare coi propri stakeholders e, come asserisce
Semprini, facendosi “motore semiotico”, ovvero veicolando messaggi e
valori che contribuiscono alla creazione delle identità degli individui.
1.4.1. Marca o non marca?
In questa sede più che di corporate reputation bisognerebbe parlare di
brand reputation, ovvero il giudizio complessivo dato da coloro che, in
modo diretto o indiretto, entrano in contatto ed influenzano l’operato della
marca.
Il brand, punto di riferimento nelle relazioni tra azienda e stakeholder,
diviene territorio d’incontro tra domanda ed offerta, luogo dove valori,
aspettative ed esperienze vengono scambiate ma, soprattutto, dove le
opinioni prendono forma. È sulla base di questo rapporto continuo che
l’azienda intrattiene coi suoi pubblici di riferimento che si costruisce la
brand reputation, asset strategico che nel lungo periodo permette alle
aziende di costruire rapporti fiduciari forti e stabili, che sviano, per quanto
possibile, l’infedeltà tipica dei consumatori.
D’altro canto, i prodotti unbranded, non possedendo un’entità sulla quale
catalizzare le proprie comunicazioni, come anche quelle degli stakeholder,
non possono costruirsi un’identità e tanto meno una reputazione.
20
1.4.2. Funzioni e valore del brand
Il valore della marca può essere analizzato da diversi punti di vista. Un
approccio economico ne calcolerebbe il valore iscrivibile in bilancio
valutandone le performance in termini finanziari e di potenzialità di
marketing. Diverso risulterebbe invece il calcolo dell’effetto differenziale,
che infonde unicità e riconoscibilità alle attività aziendali, come ancora
differente sarebbe la stima del valore relazionale del brand, visto come
risorsa strategica che nel lungo periodo permette di accrescere il valore dei
prodotti nei confronti dei clienti.
É il valore relazionale della marca a porre le basi per la costruzione della
brand reputation. Le aziende, proprio come le persone, al fine di
raggiungere gli obiettivi prefissati sono obbligate ad uscire dalla propria
autoreferenzialità e relazionarsi con l’esterno. É solo instaurando,
alimentando e rispettando relazioni coi diversi pubblici di riferimento, che il
brand può costruirsi una buona reputazione. Per fare questo bisogna che la
marca comunichi un’immagine attrattiva di sé, creando aspettative che
dovranno poi essere confermate nella realtà.
Riconoscimento, garanzia, fiducia e ripetitività sono solo alcune delle
funzioni che la marca svolge nei confronti del consumatore.
1.4.3. Dai trade mark ai love mark
La comunicazione, indispensabile per la sopravvivenza del brand,
permette di capitalizzare su di esso ciò che fino a quel momento l’azienda
ha costruito, dai capitali materiali, a quelli finanziari, quantitativi di mercato
e naturalmente relazionali.
Nella nostra economia il capitale di fiducia conquistato dalle aziende
assume talmente tanta importanza da aver spinto il pubblicitario Kevin
Roberts, CEO Worldwide di Saatchi & Saatchi, a scrivere nel 2005 il libro
21
Lovemarks - Il futuro oltre i brands, delineando i lovemarks come quei
brand per i quali i consumatori sentono una profonda fedeltà, una fedeltà
che va oltre la ragione.
Nel suo libro si legge. Una corrente emotiva sta sovvertendo le regole
del mercato: oggi il potere è sempre più nelle mani del consumatore, dotato
di accesso all’informazione, scelta e capacità di connessione e sempre meno
in quelle delle aziende, che per vincere non possono più solo contare su
vantaggi ‘razionali’ di prezzo, servizio, qualità e design. Il successo di
un’azienda dipende dal legame d’amore che tramite i suoi brand essa
stabilisce con l’individuo.10 Se un brand qualsiasi improvvisamente
scomparisse i consumatori lo rimpiazzerebbero, mentre se lo stesso
avvenisse ad un lovemarks la gente protesterebbe. I lovemarks sono
relazione e non semplice transizione. Acquistandoli abbracci il loro mondo.
Il rispetto è alla base di questo rapporto.11
Se inizialmente la marche nacquero per soddisfare bisogni molto naturali
da parte delle aziende come essere visibili, riconoscibili ed ottenere
protezione legale, dai trade mark si è poi passati ai trust mark, per cui
prodotti/servizi legati a un brand, una volta sul mercato, vedono aumentato e
riconosciuto il loro valore grazie a fiducia e goodwill associati alla marca.
In un mercato globalizzato, dove i prodotti sono molto simili tra loro e la
concorrenza diviene sempre più accanita, trasformare il brand in un
lovemarks è la strada giusta da intraprendere.
Il valore relazionale e fiduciario così costruito permetterebbe al brand di
creare intorno al proprio nome un’aura positiva, di apprezzamento, che
coinvolgerebbe non solo i pubblici di riferimento ma anche individui fino a
quel momento estranei al brand.
10 Kevin Roberts, Effetto Lovemarks - Vincere nella rivoluzione dei consumi, Franco Angeli, 2007 11 http://www.lovemarks.com
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1.4.4. La comunicazione integrata
Più volte abbiamo ripetuto che la reputazione è figlia del pensiero di tutti
coloro che, più o meno direttamente, hanno avuto a che fare con l’azienda.
Pensando al risultato finale dell’impresa, cioè la vendita, si parla spesso
di rapporto tra azienda e consumatore, dimenticando che i pubblici di
riferimento con i quali l’organizzazione entra in contatto quotidianamente
sono molteplici e ciascuno, a proprio modo, importanti.
Spesso, per semplificare, si tende a differenziare la comunicazione in
interna ed esterna. Le nuove esigenze del mercato evidenziano, invece, la
necessità di diversificare i canali ed i messaggi utilizzati dall’azienda in
riferimento a ciascun obiettivo che si prefigge nei confronti dei diversi
interlocutori. Comunicazioni personalizzate, ma tra loro coerenti.
Attraverso la gestione della propria comunicazione in un’ottica integrata,
l’azienda riesce ad organizzare e sovrintendere i messaggi che diffonde,
migliorando la percezione del brand e controllando, per quanto possibile, le
opinioni esterne.
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2. Gestire la Corporate Reputation
Marco Camisani Calzolari nel suo recentissimo libro, Impresa 4.0 –
Marketing e Comunicazione Digitale a 4 Direzioni, parla di nove circuiti di
relazione comunicativa che si vengono ad instaurare intorno al mondo
dell’azienda e che sono così rappresentati:
L’autore sottolinea come l’impresa possa controllare solamente la
comunicazione che va dal suo interno verso l’esterno e decidere di
organizzarsi per “ascoltare” i feedback che i diversi pubblici di riferimento
le mandano, ma non riesca assolutamente a gestire i circuiti interni di
mercato, stakeholder e dipendenti/collaboratori.12
E’ da questo incrocio di flussi comunicativi che nasce la Corporate
Reputation ed è proprio per la sua natura incontrollabile che le viene
riconosciuta tanta autorevolezza.
Pianificare i messaggi da inviare al proprio pubblico, allestire punti
vendita accoglienti o seguire il cliente in tutte le fasi della vita del prodotto,
sono solo alcuni degli strumenti del marketing che, ponendo l’individuo al
12 http://www.camisanicalzolari.com/2008/10/la-relazione-comunicativa-dimpresa.html
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centro del mondo del brand, migliorano le esperienze vissute con e
attraverso di esso, permettendo all’azienda non tanto di controllare, ma per
lo meno gestire, la sua Corporate Reputation.
2.1. Ripensare il comunication mix
Le aziende, a fronte dei cambiamenti repentini che il mercato ha subito
negli ultimi anni, si vedono costrette ad evolvere, sganciandosi dai vecchi
piani di comunicazione che fino ad oggi si sono rivelati validi strumenti di
crescita. In Italia, paese prettamente gerontocratico, i business leader, spesso
anziani, hanno una concezione del modo di fare impresa un po’antiquata,
autoreferenziale, che impedisce alle nostre aziende di “aprirsi” al mercato. É
in una nuova ottica di trasparenza, dialogo, collaborazione e rispetto
reciproco, che il comunication mix, ovvero l’insieme degli strumenti di
comunicazione pianificati dall’impresa, dovrebbe essere ripensato.
2.1.1. Pubblicità
La pubblicità, offrendo stimoli che modificano comportamenti, si dice
avere fine perlocutivo. Usando una terminologia semiotica si può affermare
che il discorso pubblicitario cerca di ottenere un comportamento (funzione
conativa) attraverso lo stabilirsi di una relazione col proprio destinatario
(funzione fatica) mediante linguaggi e tecniche espressive sempre diverse
(funzione poetica) che esprimono identità e valori della marca (funzione
espressiva).
In un’economia dove copiare le innovazioni di prodotto è facile e veloce,
il brand rimane l’unico attributo inimitabile, capace di differenziare la
propria merce. Consapevole di ciò, un’azienda orientata al marketing
punterà, quindi, su una pubblicità di marca, capace di accrescere il valore
del brand e non del singolo prodotto. La brand equity, valore intangibile,
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potrà infatti essere declinata su una vasta gamma di prodotti, altrimenti
anonimi.
Una linea immaginaria divide le tecniche pubblicitarie in due
macrocategorie: above e below the line. La prima sfrutta media mainstream
per divulgare il proprio messaggio ad un pubblico più ampio possibile,
mentre la seconda cerca di raggiungere un target più specifico attraverso
canali diretti. Nei piani di comunicazione, le due strategie solitamente
convivono, completandosi a vicenda.
2.1.1.1. Above the line
La comunicazione pubblicitaria above the line si avvale, per veicolare i
propri messaggi, di mass media come televisione, radio, stampa e affissioni.
Questo genere di comunicazione, diffondendo al grande pubblico un
messaggio semplice e conciso, viene al giorno d’oggi spesso accusato di
inadeguatezza. Un cambiamento dovuto principalmente alla crescita
esponenziale dei messaggi pubblicitari cui l’utente è sottoposto e
all’avvento del www, quindi alla possibilità, per l’utente comune, di
raggiungere in breve tempo, ed a costi limitati, ogni genere d’informazione.
I consumatori, sempre più attivi ed informati, accettano con meno facilità di
subire passivamente un messaggio preconfezionato da esperti del settore. I
pubblicitari sentono quindi la necessità di trovare nuove strade, che
integrino azioni mass mediatiche ad operazioni di comunicazione più dirette
ed incisive.
Ciò nonostante la comunicazione above the line continua a produrre
risultati importanti. La conoscenza del brand, brand awareness, le
associazioni di marca, brand association, e la sua qualità percepita,
perceived quality, ovvero tre dei quattro attributi che Aaker sostiene
formino la brand equity, sono, in buona parte, prodotti da messaggi diffusi
attraverso i media mainstream, che vanno quindi ad influenzare
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profondamente la reputazione del brand. Messaggi che raccontano la marca
e i sui valori, ne influenzano la percezione esterna e ne permettono il
riconoscimento da parte del consumatore.
Il brand, proprio per l’alto valore riconosciuto a questo genere di
comunicazione, necessita di reinventarne l’utilizzo per tornare a stupire,
proprio come una volta: un lavoro sempre più difficile, essendo ormai il
pubblico educato alle immagini mediatiche. Un esempio di inserzione
capace di attirare l’attenzione dell’utente e permanere nella sua memoria è,
di seguito, la pagina che emula le lunghe ciglia truccate di una donna, per la
sponsorizzazione del rimmel della Clinique.
Esempi di affissioni altrettanto spiazzanti sono: da una parte, il finto
vetro crepato per effetto di un prorompente seno retto dal reggiseno
Wonderbra e, dall’altra, il cartellone che “respira” grazie alla crema che
sponsorizza.
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Ulteriore alternativa per ravvivare la comunicazione tradizionale si
ottiene attraverso l’integrazione tra strumenti mass mediatici e mezzi più
diretti. Tetrapack, ad esempio, nella sua ultima campagna pubblicitaria,
incentrata sul suo contenitore riciclabile, supporta le classiche affissioni off-
line attraverso una comunicazione più diretta, personalizzata e ludica on-
line. La stessa insegna, nella sua versione digitale, può infatti essere
personalizzata e pubblicata da chiunque, con la propria foto, all’interno
della Rete. Altri casi di integrazione dei due mondi, virtuale e reale, sono gli
spot televisivi che rimandano a siti aziendali, per concorsi o
approfondimenti. Tra questi può essere menzionato, per la sua particolarità,
la campagna “Intimissimi, vicino al cuore delle donne”, progetto dell’anno
2007, da poco riproposto, che rinvia, attraverso uno spot televisivo, al sito
del brand, per la visione del film da lui prodotto, Heart Tango.
2.1.1.2. Below the line
Col termine below the line si indicano tutte le attività di promozione che
non utilizzano i media classici e che permettono di raggiungere il proprio
target in maniera diretta, con messaggi specifici. Come tutti i messaggi
inviati dalla marca, oltre ad influenzarne direttamente la reputazione,
andranno a condizionarne le conversazioni inerenti.
Operazioni di guerriglia marketing come quella di Parkcomodo, terzo
parcheggio in Italia ad elevata automazione, promosso agganciando gadget
a forma di maggiolone, dei veri e propri antistress, a diverse macchine in
sosta nei pressi del nuovo parcheggio, non possono lasciare indifferenti i
consumatori. Un’operazione simpatica e al contempo funzionale e
targettizzata, che ha ottenuto risonanza anche sul web, luogo appropriato
allo svilupparsi delle conversazioni.
Per guerriglia marketing si intende un insieme di tecniche di
comunicazione non convenzionale che consente lo sviluppo di strategie di
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mercato attraverso la messa in scena di pseudo-eventi concepiti in
integrazione all'immagine dell'azienda13. La necessità, per i brand, di
ricorrere al guerriglia marketing è dovuta al già citato affollamento dei
canali tradizionali, la declinata credibilità dei media verticali, la necessità di
lanciare in maniera nuova ed impattante i propri prodotti, la ricerca di
gruppi specifici in grado di diventare volano presso fasce sempre più ampie
di consumatori e, più in generale, la ricerca di una maggiore complicità con
il pubblico. Messaggi quindi che influenzando l’immagine del brand e ne
condizionano, nel lungo periodo, la reputazione.
Street, Buzz, Viral e Ambient Marketing sono solo alcune delle tecniche
di advertising che vengono fatte rientrare in questa categoria.
Un esempio di street marketing ben congegnato è stato realizzato nel
mese di ottobre a Roma per la promozione di un negozio di moto, Lanzi.
Moto a modo mio. Di notte sono stati lasciati per la città specchi dove era
possibile vedersi riflessi in sella ad una moto con sotto la scritta Finalmente
qualcuno di cui fidarti, firmato Lanzi. Moto a modo mio. Un’idea geniale
per attirare l’attenzione delle persone che di loro spontanea volontà
prendevano, probabilmente senza gettarlo, il depliant e, verosimilmente,
avrebbero raccontato quanto visto ad amici e parenti. Dell’operazione è
stato girato anche un video che, pubblicato su You Tube, ne ha permesso la
diffusione, attraverso il passaparola, sulla Rete.
Il Buzz, come anche il viral marketing, si basa sul word-of-mouth.
Intrattenimento o notizie di alto profilo sono sfruttate per far parlare le
persone della marca: messaggi divertenti o informativi progettati per essere
trasmessi in modalità esponenziale, creati e divulgati, spesso attraverso il
web. Molti video pubblicati on-line attraverso servizi di video sharing come
YouTube, sono così strutturati. “Jump into the jeans” della Levi’s, creato
per promuovere una linea di jeans senza cerniera, ne è un esempio. Nei viral 13 www.guerrigliamarketing.it/pdf/guerriglia_marketing.pdf (Andrea Natella, Guerriglia Marketing, una definizione convenzionale)
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video la marca non appare: il video gira in modo assolutamente anonimo
creando “chiacchierio” e attesa fino a quando il brand, attraverso un
successivo messaggio, si rivela al consumatore.
L’ambient marketing si basa invece
sull’integrazione della campagna nello spazio
cittadino. Ne è un esempio questo maiale
gigante, ideato dalla Saatchi & Saatchi di
NYC per pubblicizzare il filo interdentale
Glide. Lo spazio tra i palazzi in cui è
incastrato il mega-suino diviene metafora dei
pezzetti di carne che, rimanendo incastrati tra
le fessure dei denti, rendono necessario l’utilizzo del filo interdentale.
Immagini che difficilmente lasciano indifferenti media e consumatori, pronti
a raccontare e discutere quanto visto.
Per comunicazione below the line non si intendono però solo azioni di
guerriglia marketing. Tra gli strumenti non convenzionali rientrano anche
operazioni di direct marketing come il direct mailing o il telemarketing,
fiere, mostre, convegni, promozioni sul punto vendita, pubbliche relazioni,
sponsorizzazioni ed eventi. Il brand, attraverso questi strumenti, comunica
col proprio target in maniera più diretta e meno invasiva, ponendo le basi
per rapporti duraturi.
2.1.2. Promozioni
Obiettivo di una campagna promozionale è lo stimolo diretto all’azione,
quindi ad aumentare le vendite nell’arco di tempo in cui è circoscritta.
Spesso, per questo motivo, le promozioni vengono attuate in fase di calo
degli ordinativi o degli acquisti veri e propri. É però importante che la
promozione non si limiti ad ottenere buoni risultati di vendita nel breve
periodo, ma sia implementata all’interno di un preciso piano di marketing
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che rafforzi il valore di marca. Si rischierà altrimenti di produrre un boom
delle vendite che potrebbe non tramutarsi in un effettivo aumento dei clienti
ma che, viceversa, potrebbe ledere alla reputazione del brand. Gli avventori
potrebbero infatti decidere di non riacquistare il bene al nuovo prezzo
perché non ne hanno percepito la qualità, il prezzo è troppo alto o la fedeltà
o qualità percepita di altre marche è molto forte. D’altro canto, il
consumatore abituale, se il prodotto lo permette, potrebbe farne scorte ad un
minor prezzo, evitando, per molto tempo, di tornare nel punto vendita.
Al fine di non diminuire il valore percepito del brand, è quindi
importante valutare pubblicizzazione e momento di attuazione della
promozione. Nella fase di introduzione del prodotto, permette infatti al
brand di aumentarne la conoscenza, mentre nella fase di crescita, potrebbe
lasciare nel consumatore un’immagine negativa.
David Ogilvy sosteneva che un brand, per non entrare nel vortice del
ribasso e ledere la propria immagine, non può impostare le proprie politiche
sulla diminuzione di prezzo.
I costi sostenuti per ogni strumento del comunication mix, tanto più le
promzioni, vanno quindi pensati in relazione al rafforzamento
dell’immagine di marca, asset indistruttibile.
La promozione può essere attuata attraverso merchandising, quindi
accompagnando al prodotto gadget che permettono al consumatore di
percepire un risparmio o un minore sacrificio nell'affrontare la spesa; sconti
di prezzo, attraverso buoni sconto, coupon o offerte limitate nel tempo;
prove prodotto; premi, ad esempio attraverso una raccolta a punti;
provvigioni al venditore.
2.1.3. Personale di vendita
Il personale di vendita, interfaccia del brand, riveste un ruolo
fondamentale per l’immagine e la reputazione di un’azienda; tuttavia spesso
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non è tenuto sufficientemente in considerazione rispetto al valore che può
apportare. Sistemi di comunicazione interna come le classiche intranet o le
più recenti wiki aziendali, oltre che gli opportuni corsi di formazione,
aiutano il personale di vendita a gestire le situazioni che quotidianamente si
presentano, aumentando le possibilità di un buon rapporto con la clientela.
Tornando all’episodio del bimbo offeso da dipendenti Carrefour,
oltretutto non fissi ma occasionali, assunti proprio per affrontare il
supplemento di lavoro dovuto all’evento, chi ne ha risentito ed è dovuta
correre ai ripari è stata l’azienda che, nelle scuse presentate alla madre, ha
sottolineato la sua volontà di non ledere il rapporto di fiducia costruito con
le migliaia di clienti che ogni giorno frequentano i loro punti vendita e che li
scelgono anche per i valori che contraddistinguono la loro insegna.
Aiutare il consumatore a scegliere nell’ormai infinito parco di offerte e
spiegargli, qualora sia necessario, come il prodotto debba essere utilizzato,
per migliorare la sua esperienza d’acquisto, sono momenti decisivi per
l’instaurazione di una buona relazione col cliente, un rapporto che
continuerà durante l’intera vita del prodotto. Il personale di vendita riveste
quindi un ruolo fondamentale anche nella gestione della fase di
manutenzione del prodotto/servizio, momento critico della relazione brand-
consumatore, nel quale è importante comunicare al cliente la “presa in
carico” del problema.
2.1.4. Pubbliche Relazioni
Per pubbliche relazioni, o Public Relation (PR), si intende un’insieme di
attività di comunicazione volte a migliorare le relazioni del brand coi suoi
pubblici di riferimento e non solo. Rientrano in questa categoria l’ufficio
stampa, quindi la gestione delle comunicazioni aziendali sui media; le
sponsorizzazioni, o meglio l’erogazione di contributi a terzi per
l'organizzazione di manifestazioni sportive, musicali o di altro genere,
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ponendo affidamento sul ritorno delle spese sostenute in termini di
pubblicità; gli eventi organizzati dal brand e le fiere cui l’azienda partecipa.
Gli obiettivi, in base al momento e al contenuto diffuso, possono essere i più
disparati: aumentare la conoscenza del brand, attraverso un ufficio stampa
impegnato e attivo, capace di instaurare buone relazioni con gli opinion
leader; migliorare i rapporti coi clienti già acquisiti, come può avvenire
attraverso l’organizzazione di feste in occasione di anniversari del brand;
manifestare, attraverso sponsorizzazioni, la propria vicinanza ad un
determinato mondo.
Le possibilità, infinite, sono tutte accomunate dalla volontà di migliorare,
nel lungo periodo, la reputazione del brand.
2.1.5. Comunicazione interna
La comunicazione interna all’azienda viene spesso lasciata in secondo
piano, per disattenzione o ignoranza dei manager. Gli obiettivi che si
prefigge sono, anche in questo caso, i più disparati: aumentare il know-how
aziendale; conoscere spostamenti e lavori in cui sono impegnati i colleghi,
diminuendo perdite di tempo o inefficienze organizzative; condividere
obiettivi comuni; incrementare e/o migliorare i rapporti interni all’azienda
ed eliminare costi superflui.
Il primo strumento, e ancora oggi spesso l’unico, utilizzato all’interno
delle aziende per collegare i computer, sono le intranet, reti chiuse che
permettono lo scambio fra colleghi di file e informazioni senza connessioni
a server esterni. Le aziende, sulla base di questa tecnologia, creano software
specifici per rispondere alle proprie esigenze.
Inviare lo stesso file a tutti, con una semplice mail, potrebbe causare
confusione e perdite di tempo: dimenticanze e modifiche potrebbero creare
non pochi problemi di organizzazione, diversamente da quanto accadrebbe
se il file venisse caricato, quindi condiviso, sulla intranet.
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Oggi, la Rete, tramutandosi in 2.0, offre alle aziende nuove possibilità,
gratuite, di condivisione, da affiancare alle proprie intranet, tenendo però
sempre presente che i dati ivi caricati finiscono su server esterni. L’utilizzo
di questi strumenti ha il grande merito, tra gli altri, di avvicinare chi lavora
all’interno dell’azienda al mondo di Internet. Blog accessibili attraverso
password possono essere utilizzati per comunicazioni aziendali, meno
ufficiali, o per l’archiviazione di documenti. Wiki interne possono
permettere a più utenti di collaborare allo stesso progetto. Calendari on-line,
come il Google Calendar, consentono di conoscere presenze, riunioni e
scadenze di lavori.
Un sistema di comunicazione interna efficace ed efficiente, capace di
creare relazioni stabili, permette al brand di rafforzarsi, quindi di riflettere
all’esterno le proprie qualità.
2.2. I nuovi territori della marca
Nel libro di Patrizia Musso sono così definiti i nuovi territori creati dalla
marca per comunicare col proprio pubblico. Un’esigenza nata dalla cultura
post-moderna che predilige elementi intangibili come i sentimenti, le
emozioni ed i rapporti empatici, ma che risponde anche alle aumentate
esigenze di dialogo e collaborazione col consumatore. I “nuovi territori della
marca” si prefiggono infatti di far sentire l’individuo al centro del mondo
della marca, permettendo al brand di differenziarsi, farsi notare ed infine
essere scelto. Strumenti ad alto valore relazionale che, integrati all’interno
del comunication mix, apportano valore aggiunto alla brand equity.
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2.2.1. Comunità brandizzate
Le comunità brandizzate, o brand community, sono gruppi di persone
accomunate da un forte legame con la marca, quindi coi suoi valori e stile di
vita.
Creare una community di “fedeli”, per un brand, significa poter applicare
su di essa quelle che Bernard Cova, suo maggiore esponente insieme a
Michel Maffesoli, definisce tecniche di marketing tribale. La tribù, gruppo
di individui che condividono legami d’identità forti, può essere vista come
una segmentazione creata direttamente dagli stessi clienti in modo
spontaneo e, contrariamente a quanto accade con le segmentazioni di
marketing, è una realtà. Tuttavia la tribù, rispetto alle comunità tradizionali,
è volatile ed effimera: l’affiliazione può essere plurima ed ognuno ha la
possibilità di uscirne facilmente.
Le tecniche di marketing tribale si differenziano in intensive, quando
vengono applicate su tribù già esistenti ed estensive, quando l’obiettivo è di
favorirne lo sviluppo. Nei confronti di una tribù costituita sarà infatti
possibile applicare “riti tribali”, quali la vendita di “oggetti di culto” come
calendari, portachiavi e orologi e “costumi rituali”, come magliette e
bandane, oppure la condivisione di “luoghi di culto”, “formule magiche” ed
“icone”.
Uno dei brand che meglio è riuscito ad applicare questo concetto,
ricavandone vantaggi facilmente intuibili, è Harley Davidson. Feste, raduni,
slang, immagini, oggettistica e abbigliamento, accomunano gli harleysti di
tutto il mondo.
Il legame che intercorre tra consumatore e marca all’interno delle
community è talmente forte che spesso i due ruoli si capovolgono,
trasformando il consumatore in prosumer, ibrido tra consumatore e
produttore.
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Le brand community soddisfano quindi bisogni di trasparenza, apertura
al dialogo e relazione, rispondendo alla nuova esigenza per il consum-attore
di rivestire un ruolo attivo nei confronti del brand. Attraverso contest con
premi in denaro, gadget o altro, la marca chiede infatti ai propri “fedeli” sia
quali migliorie apportare ad un prodotto esistente, sia di inventarne di nuovi.
Ogni individuo appartenente alla tribù, oltre a rappresentare un’ottima
base di mercato, diverrà quindi fedele portavoce del brand, supportandone la
comunicazione ed aumentandone credibilità ed incisività. Un sistema
efficace per ascoltare i feedback provenienti dall’esterno, ma anche una
possibilità di influenzare indirettamente i circuiti di comunicazione interni a
mercato, stakeholder e dipendenti/collaboratori; quei circuiti che Marco
Camisani Calzolari, giustamente, definisce impossibili da gestire.
2.2.1.1. On-line
Il www è uno dei territori più fertili sui quali costruire la propria brand
community. La possibilità per individui, fisicamente lontani, di comunicare
ed intrecciare facilmente relazioni, offre maggiori occasioni d’incontro tra
soggetti con interessi simili. Le opportunità di scambio, veloce e gratuito, di
contenuti scritti, audio e video, creati dai consum-attori o pubblicati dal
brand stesso, migliora inoltre la qualità del rapporto, dando modo alla
community di svilupparsi e consolidarsi.
Instaurare relazioni è una delle opportunità più interessanti che la Rete
offre ai brand. Un esempio tra tutti è l’AlfaMiTo blog14, nato nel marzo 2008
per dar credito alle “voci” presenti in Rete intorno al lancio della nuova Alfa
MiTo. Il blog vive, oltre che delle tradizionali notizie commentabili, di
materiali inediti, creati dal brand insieme ai blogger, invitati, spesso
attraverso contest, a conoscere, condividere e vivere di persona il mondo
14 http://www.alfamitoblog.it/
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Alfa Romeo. Esperienze create e vissute con e attraverso il blog, hanno
permesso al brand d’istaurare un rapporto profondo con alfisti, e
automobilisti in genere, presenti online. I risultati, decisamente positivi,
sono stati, già nel settembre 2008, di 20.900 iscritti e un buon numero di
commenti per post.
Diverso è il caso di community nate direttamente dalla passione dei
consumatori più fedeli. Brand conosciuti ed amati che, partecipando
attivamente alla vita della community, rinforzano il proprio rapporto coi
clienti.
Possedere tribù di persone comuni, quindi più credibili, che parlano bene
del proprio prodotto e brand, in un mercato dove i consumatori, prima di
procedere ad un acquisto, hanno sempre più l’abitudine di cercare
informazioni in Rete, è un importante vantaggio competitivo.
2.2.1.2. Off-line
Le possibilità d’incontro nel mondo reale sono più coinvolgenti rispetto a
quello virtuale ma, ovviamente, meno frequenti. Per unire i vantaggi legati
ai due diversi mondi, eventi realmente vissuti continuano spesso a rivivere
on-line attraverso siti, blog e social network.
Ne sono esempi il Nike Plus Human Rice 10 km e il Diesel XXX Party,
entrambi allestiti contemporaneamente in diverse città del mondo, il primo
per unire corridori Nike in una maratona di beneficenza e dare slancio al
nuovo prodotto Nike+, l’altro per festeggiare il trentesimo anniversario
Diesel. Brand legati al movimento come Mini, 500 e Vespa, dal canto loro,
riuniscono i propri “fedeli” per attraversare le più disparate terre del
continente. Altri esempi sono i concerti organizzati da Nokia, il Nokia
Trends Lab Tour, o il D-Play, evento Playstation organizzato a Lecce dalla
Sony Computer Entertainment Italia, durante il quale, i partecipanti, sono
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stati coinvolti in una serie di bizzarre competizioni sportive ispirate al
mondo dei videogiochi.
Luoghi d’incontro eccezionali, organizzati intorno al mondo della marca,
dove le vere protagoniste sono le emozioni. Eventi che permettono ai
consumatori di vivere e condividere la propria passione per il brand.
Un’esperienza unica, che rafforza il legame con la marca e permette ai
consumatori stessi di stringere tra loro rapporti più o meno duraturi. Spazi
nati non solo per unire, ma anche per collaborare: conoscere, ascoltare e
fidelizzare il proprio target, migliorare la propria immagine e presentare
nuovi prodotti, sono obiettivi che il brand può raggiungere.
2.2.2. I punti vendita: luoghi dove vivere esperienze
Il punto vendita, detto anche PDV o POP , point of purchase, ha subito
negli ultimi anni profonde trasformazioni. I cambiamenti avvenuti nel
mercato hanno spinto i manager a reinterpretare questo spazio in un’ottica
relazionale, trasformandolo da mero luogo di transizione, in territorio per la
costruzione di un rapporto dialettico col cliente.
Esperti designer non si limitano più ad ideare spazi esteticamente
piacevoli, ma creano dei veri e propri “luoghi parlanti” che comunicano, a
chiunque vi entri, valori e mondo della marca. Una relazione empatica, che
infonde fiducia e trasmette emozioni, capace di parlare al cuore, oltre che
alla mente, delle persone, è quanto i brand vorrebbero instaurare coi propri
clienti all’interno dei punti vendita.
Spazi accoglienti che attraverso luci, suoni e forme, permettono al cliente
di vivere un’esperienza d’acquisto sensorialmente piacevole e coinvolgente:
un ambiente studiato intorno al proprio target, ai suoi bisogni e alle sue
abitudini d’acquisto.
Negozi come Prenatal seguono le neomamme dal primo mese di
gravidanza offrendo, al loro interno, corsi, spesso gratuiti, per la
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preparazione al parto e al “lavoro di mamma”, instaurando con le clienti un
rapporto fiduciario, che supera i tradizionali confini tra brand e
consumatore. Coop trasforma il punto vendita in un vero e proprio luogo
d’incontro e socializzazione attraverso l’organizzazione di mostre,
conferenze, attività e convegni all’interno dello Spazio Scopri Coop.
Feltrinelli è invece riuscita a prendere le distanze dalle semplici librerie,
divenendo luogo dove sperimentare la “cultura”, dall’editoria, alla musica,
ai video e alla multimedialità in genere, creando contesti su misura che
permettono di sperimentare nel migliore dei modi i diversi prodotti presenti
al suo interno. Napapijri, attraverso un’operazione di co-marketing con
Nintendo, ha di recente allestito all’interno del nuovo punto vendita, il
Napapijri Gallery Store di Milano, una divertente piattaforma di gioco dove
coppie formate da genitore-figlio si sfidano, creando un’atmosfera ludica e
coinvolgente.
Postazioni di prova, aree per bambini, spazi per la socializzazione o la
dimostrazione delle attività sociali in cui il brand è impegnato, sono tutti
luoghi studiati per mettere il cliente a proprio agio, creare un rapporto
empatico, invogliare all’acquisto, ma soprattutto sedurre ed indurre al
ritorno.
2.2.3. CSR, la strada etica
La CSR, Corporate Social Responsability, è la responsabilità sociale
delle aziende che scelgono di contribuire volontariamente al miglioramento
della società in cui vivono. Attenzione per l’ambiente, la salute o le persone
sono le diverse strade etiche che l’impresa può percorrere per migliorare la
propria immagine, ma soprattutto il rapporto col territorio.
John Grant nel suo “The Green Marketing Manifesto” parla di marketing
come nuovo alleato dell’ambiente. Il New Marketing, essendo basato sulla
partecipazione e il coinvolgimento, richiede infatti una condivisione prima
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di tutto ideologica: la sensibilità dei consumatori verso le modalità di
produzione e distribuzione del prodotto, il rispetto dell’azienda per
l’ambiente, i suoi dipendenti e la società, è in costante aumento. Sempre più
persone pensano infatti sia importante trovare il modo per combinare i
benefici individuali con quelli della collettività. I brand, in risposta a questo
accresciuto bisogno di moralità e trasparenza, si impegnano ad adottare un
proprio codice etico, redigono bilanci e rapporti sociali, sottoscrivono
certificazioni ed investono in concrete “attività etiche”. Comportamenti che
delineano la personalità del brand ed influenzano la sua percezione esterna,
conferendogli valori positivi, facilmente condivisibili da parte dei
consumatori.
2.2.4. Spazi per collaborare
Per il brand assume sempre più rilevanza la ricerca di terreni fertili per la
costruzione di relazioni stabili, capaci di superare l’alta infedeltà del
consumatore. Bar monomarca, come il Mercedes-Benz Cafè, sono solo
un’altra delle strade intraprese per far fronte a questo bisogno inesauribile.
Nuovi territori da colonizzare potrebbero essere palestre, sale
cinematografiche, stazioni radio e parchi divertimento. Marche che, così
facendo, possono realmente costruire mondi nei quali invitare i consumatori
a vivere esperienze uniche, costruire relazioni e collaborare per la
realizzazione dei bisogni di entrambi.
Non dover più sottostare a vincoli imposti dai diversi proprietari e
dividere lo spazio con altri brand, come è già avvenuto per manifestazioni
sportive come il Torneo Birra Moretti, concerti come l’Heineken Jammin’
Festival e riviste come Cartier Art, spinge i grandi brand a spostare i propri
investimenti da sponsorizzazioni e acquisti di spazi pubblicitari, alla
creazione di territori propri, che esprimano passione e valori del brand.
40
Personal Branding, un esempio concreto
Curare la propria reputazione, on e off line, che si tratti di persona
giuridica o fisica, è importante per essere apprezzati, rispettati ed infine
scelti: Tom Peters, nel 1997, coniò il termine Personal Branding, ovvero
l’arte di costruire il proprio brand.
Dare una buona immagine di sé, comunicare i propri valori ed
instaurare relazioni, sono operazioni che, più o meno consapevolmente, tutte
le persone compiono quotidianamente. Quando più individui interagiscono
tra loro, ognuno, inevitabilmente, inquadra l’altro in una propria personale
categoria: etichettare le persone è, per nostra natura, indispensabile.
Il marketing di sé stessi consiste in sostanza nel promuovere la propria
persona cercando di raggiungere obiettivi personali, considerando che nel
web, la richiesta di informazioni arriva prima e ad un numero
esponenzialmente più alto di soggetti.
Per verificare le affermazioni precedenti, ho deciso di costruire un caso
aziendale che avesse come obiettivo la costruzione della mia immagine su
Internet: a tal fine ho aperto un blog, Brand 2.0
(http://branduepuntozero.wordpress.com).
Digitando il mio nome e cognome su un motore di ricerca, si otterrà
come risultato i miei profili sui social network (Facebook, LinkedIn e
Twitter), le wiki cui sono iscritta e naturalmente l' indirizzo del blog, fulcro
di tutte le mie attività sul web.
Amici, conoscenti, colleghi o futuri possibili datori di lavoro o
collaboratori, googlando il mio nome, dovrebbero percepire l’immagine che
ho voluto costruire di me, accreditata dalle opinioni scambiate on-line con
gli altri utenti, a conferma del mio modo di essere, sia nella vita privata, sia
in quella lavorativa.
3.1. Pianificazione
41
Le aziende, al fine di raggiungere i propri obiettivi, pianificano attività,
tempi e risorse necessarie alla loro realizzazione. Lo stesso processo viene
seguito dai marketers per l’elaborazione del comunication mix e nello
specifico dei singoli mezzi di comunicazione. Pertanto ho adottato anch’io
la stessa metodologia.
Per prima cosa mi sono chiesta quale fosse il mio obiettivo. La risposta
era costruire relazioni al fine di migliorare la mia reputazione. A questo
punto bisognava scegliere il media più adatto al raggiungimento dello
scopo. Internet per la sua velocità, capillarità, interattività e capacità di
instaurare rapporti uno ad uno, si è dimostrato il più consono alla creazione
e al mantenimento di relazioni. Una volta scelto il media, ho poi analizzato i
diversi strumenti sociali disponibili in Rete. Le alternative erano: blog, wiki,
forum e social network. Tutti strumenti che trovano nelle relazioni la loro
forza, ma che le sviluppano e mantengono seguendo ognuno le proprie
peculiarità.
Le wiki, offrendo agli utenti la possibilità non solo di pubblicare
contenuti, ma anche di modificare quanto scritto dagli altri, si rivelano
perfette per la collaborazione, quindi estranee al mio obiettivo. I forum, una
delle prime forme di partecipazione sul web, si dimostrano strumenti capaci
di creare legami forti, ma allo stesso tempo inadatti per le difficoltà legate
alla necessità di “popolarlo” e tenerlo animato, quindi per il dispendio
eccessivo di risorse in capo ad un’unica persona. I social network,
generalisti e tematici, hanno anch’essi la capacità di creare relazioni,
raggruppando persone più o meno accomunate da specifici interessi ma,
come i forum, richiedono grande impegno per essere popolati ed animati e
non si dimostrano adatti alla pubblicizzazione delle singole persone in
quanto pongono tutti gli iscritti sullo stesso piano.
Rimangono quindi i blog, strumenti personali nei quali solo l’autore, o
al massimo gli autori, possono pubblicare contenuti, mentre ai lettori è
42
permesso solo commentare. Proprio questa loro peculiarità che, come
sottolinea Massarotto, garantisce a ogni blogger un elevato controllo sul
suo spazio ma, al contempo, una forte partecipazione dei lettori, ne ha
probabilmente determinato il successo planetario […]15e mi ha certamente
convinta che era lo strumento adatto per la promozione della mia persona.
Scelto il mezzo dovevo decidere di cosa avrei parlato. Elaborare una
vera e propria strategia di contenuti è importante per identificare gli
argomenti sui quali è vantaggioso aprire una discussione. Argomenti
preferibilmente di forte appeal, capaci di creare intorno al blogger un
pubblico di lettori, il più possibile inesauribili, adatti a portare avanti una
conversazione per lungo tempo.
Seguendo il filo conduttore della mia tesi ho deciso di parlare di
reputazione e dell’utilizzo della Rete come territorio per la co-creazione di
valore. Un tema che ritengo attinente anche alla promozione della mia
persona sotto il profilo professionale: parlando di comunicazione e web
marketing con persone più o meno vicine a questo mondo, pensavo di poter
facilmente intrecciare rapporti importanti per la mia vita lavorativa, oltre
che presentare il blog a colloqui per accreditare le mie competenze. La forte
concorrenza che esiste in Rete sull’argomento, dovuta all’implicazione
lavorativa dei marketers con il web e i social media, offre numerosi spunti
di conversazione e sviluppa discussioni di elevata qualità, anche se d’altro
canto le molteplici, riconosciute ed autorevoli fonti inerenti, attraggono
molto del pubblico interessato, rendendo difficile ai “piccoli” la conquista e
la fidelizzazione degli utenti.
Un'operazione di decisiva importanza per il futuro del blog è stata la
scelta della description, pagine e categorie. Inesperta su sistemi capaci di
individuare le parole più ricercate sui motori di ricerca ho scritto
istintivamente, seguendo solo il mio bisogno di comunicare all’utente di 15 Marco Massarotto, Internet P.R., il dialogo in Rete tra aziende e consumatori, Apogeo, 2008
43
cosa trattava il blog. Eliminando le alternative per cui non era più
disponibile il dominio, ho scelto come titolo Brand 2.0, rifacendomi allo
stesso concept di Aziendeconleorecchie16 quindi parlando anche di quei
brand che in Rete stavano seguendo strategie di comunicazione volte alla
costruzione di relazioni. La description, ovvero la descrizione della pagina
che appare nei motori di ricerca sotto il titolo, importante perché artefice
della scelta dell’utente tra le alternative che si presentano nella pagina, è:
Brand 2.0 vuole raccontare e analizzare la comunicazione delle
aziende sul web. Corporate blog, wiki aziendali, social network sono solo
alcuni dei nuovi strumenti che i brand devono imparare ad utilizzare per
crearsi un’identità, quindi una reputazione, in Rete.
Le pagine sono tre: Blog, About Brand 2.0 e About me. Blog, in
continuo aggiornamento, contiene in ordine cronologico i post da me
pubblicati.
About Brand 2.0 spiega al visitatore gli obiettivi del blog:
Essere presenti sul Web significa entrare all’interno delle
conversazioni che si sviluppano tra le maglie di questa intricata Rete, porsi
alla pari con gli altri utenti ed instaurare con loro delle vere e proprie
relazioni. Relazioni che, come sostiene Kevin Roberts, portano alla fedeltà
oltre la ragione. Le marche diverrebbero così dei Lovemarks.
Questo blog si propone di parlare di tutte quelle aziende che hanno
deciso di percorrere questa strada, quindi di costruirsi un’identità sul
web17.
16 http://aziendeconleorecchie.wordpress.com/ 17 http://branduepuntozero.wordpress.com/about/
44
Infine, About me, parla di me, dei miei studi e delle motivazioni che mi
hanno spinta ad aprire Brand 2.0.
Il passo successivo era individuare le categorie:
1. brand 2.0, dove scrivo di brand impegnati nella costruzione di
relazioni attraverso la Rete;
2. Buzz marketing, nel quale riporto campagne buzz, dai viral video al
buzz per il sociale;
3. Corporate reputation, la mia tesi, i cui post non sono altro che parti
della tesi;
4. informazioni e statistiche;
5. nozioni di web marketing;
6. strumenti web per le aziende.
Un’altra piccola ma importante scelta affrontata prima di lanciare il
blog ha riguardato la mia immagine: foto o disegno? Inizialmente avevo
pensato di creare come mio avatar, ovvero come rappresentazione di me
all’interno del mondo virtuale, una formichina su sfondo verde, in modo da
riprendere la grafica del blog, ma considerando che se si fosse presentata in
futuro la possibilità di incontrare realmente le persone con cui ero entrata in
contatto in Rete la foto si sarebbe rivelata utile per essere riconosciuta, optai
per quest’ultima alternativa.
Scegliere la fotografia fu una ulteriore complicazione: non volevo
risultare né troppo seria, né troppo ironica, originale, ma non eccentrica e
soprattutto volevo permettesse alle persone di individuarmi.
45
Questa è la foto che utilizzo ogni volta che
mi registro a nuovi servizi e che, affiancata al mio nick, flavia85, permette a
chi mi conosce di essere certo che a “parlare” sia proprio io.
Sul nick non c’è stato uno studio: il primo giorno di lezione di Web
Content è stato chiesto a tutti i partecipanti al corso, di aprire subito un
nostro spazio su Wordpress.com, piattaforma gratuita per la creazione di
blog e un po’ per mancanza di nick liberi, un po’ per fretta, la mia scelta è
ricaduta su flavia85. Successivamente ho pensato di non modificare il nick
con l’apertura del nuovo blog per non perdere i contatti già consolidati.
La piattaforma che decisi di utilizzare fu Wordpress.com, una delle più
apprezzate per quel che ho potuto leggere sulla blogosfera. Le
manchevolezze della piattaforma, che decisi di accettare in cambio dello
spazio gratuito su un suo server, dello sfruttamento del suo software e del
suo posizionamento sui motori di ricerca, sono: la possibilità di inserire
linguaggio Java, di poter liberamente modificare il codice sorgente, di
guadagnare dal blog inserendo annunci pubblicitari e di aggiungere plug in.
Tutte funzionalità cui sarebbe stato possibile accedere utilizzando la
piattaforma a pagamento Wordpress.org, a cui decisi di rinunciare per
difficoltà legate alla necessità di possedere un mio spazio personale su un
server e dover scaricare ed installare sul mio computer il software. Il mio
fine non commerciale avvalorò ulteriormente la mia scelta.
Una volta registrato il dominio,
www.branduepuntozero.wordpress.com, (prima di scegliere il nome avevo
naturalmente già controllato che il dominio fosse libero) non mi mancava
altro che costruire la grafica del blog. Tra i templates disponibili scelsi K2-
lite: un tema pulito, di colore blu, diviso su due colonne, che consentiva
46
l’inserimento di widget e la personalizzazione della testata. Per
differenziarmi dai tanti blog che utilizzano templates e testate di default,
modificai l’immagine della testata. Scelsi quindi di disegnare quattro
formiche, in fila, che trasportano metaforicamente feed, wiki, social network
e blog. La motivazione, riportata anche nelle pagina About Brand 2.0, è da
ricondurre al paragone tra formiche e blogger che Sergio Maistrello fa nel
suo libro, La parte abitata della Rete:
[...] ogni giorno escono in cerca di cibo e materiale utile (informazioni,
spunti, contenuti rilanciati da altri), ciascuno per conto proprio. Nessuno
dice loro come o dove procurarselo, ognuno segue le proprie piste e il
proprio fiuto. Quando incontrano riserve di cibo, lasciano traccia del loro
passaggio (sotto forma, per esempio, di catene di link che conducono alle
fonti originarie), aprendo la strada ai propri simili. Quanti più si
interesseranno a un particolare percorso, seguendo le tracce altrui e
moltiplicando i link, tanto più quella pista diventerà popolare e frequentata,
passando di gruppo sociale in gruppo sociale fino agli hub più influenti.
[...] Il feromone di Internet è il collegamento ipertestuale [...]18
Il logo del sito, posto a fianco delle formichine, vuole invece simulare
un timbro, come se il blog certificasse l’essenza 2.0 dei brand che analizza.
Una testata significativa e al contempo particolare, capace di rimane
impressa nella memoria degli utenti, tanto da aver sentito chiamare il mio 18 Sergio Maistrello, La parte abitata della Rete, Tecniche Nuove, 2007
47
blog “quello delle formichine”. La scelta del colore è ricaduta sul verde.
Brand 2.0, come si può intendere anche dal tone of voice con cui sono scritti
gli articoli, vuole essere uno spazio in cui si parla di argomenti importanti
ma in allegria. Il verde, un colore freddo ma meno duro del blu, trasmette
tranquillità e serietà, lasciando aperto un piccolo spiraglio al gioco e
all’ironia.
Dovevo adesso decidere quali widget sarebbero andati a comporre la
colonna destra della pagina e in quale ordine inserirli. Questo il risultato,
dall’alto verso il basso:
due icone per l’iscrizione ai feed, quella usata per convenzione, My
Feed RSS, e quella specifica di Google, entrambe gestite attraverso
FeedBurner;
l’iscrizione alla newsletter, sempre gestita attraverso FeedBurner
(inserita in un secondo momento);
l’icona di Technorati;
le icone dei miei profili su Linked In, My Space, Facebook e Twitter;
My Del.icio.us, ovvero il collegamento alle pagine che condivido
sull’applicazione più famosa per il social bookmarking;
Categorie;
Pagine;
Post più letti;
il widget rilasciato da MyBlogLog per vedere i visitatori registrati al
servizio che entrano nel blog (aggiunto successivamente);
Blogroll;
Licenza Creative Commons.
L’ordine determina l’importanza dei widget. I primi, sempre ben
visibili, sono legati alla pubblicizzazione del blog, ovvero feed, newsletter e
technorati. Scendono, a seguire, widget per la pubblicizzazione della mia
48
persona ed infine, sotto la piega della pagina, My Del.icio.us e i widget
inerenti il blog. Da sottolineare che aprire un blog ed entrare ne “la parte
abitata della Rete” implica iscriversi ai più famosi ed utilizzati social
network al fine di promuovere se stessi, il proprio blog e mantenere i
contatti creati nelle più disparate occasioni.
L’ultima scelta da operare ha riguardato i commenti, che decisi di
lasciare liberi, senza bisogno dell’approvazione dell’admin per la
pubblicazione, tenuto conto che Wordpress applica di default il “nofollow”
nei commenti, attributo che rende vani i tentativi di utenti poco onesti di
promuovere il proprio sito. In questo modo i commenti sono pubblicati in
tempo reale, senza che io debba prima concedere l’approvazione: una
pratica che non sempre piace agli utenti, che trovano soddisfazione, e qui mi
ci metto anch’io, a vedere pubblicati subito i propri pensieri.
Brand 2.0 è “nato” il 9 luglio 2008 con un post che parlava di Nuvenia
e della sua ancora troppo limitata presenza in Rete.
3.2. Misurazione
Durante la fase di pianificazione del blog mi ero posta l’obiettivo di
stringere buoni rapporti con persone che condividono con me la passione
per la comunicazione online, al fine di dimostrare la capacità del mezzo
Internet di farsi territorio per la co-creazione di valore tanto per i singoli che
per i brand, senza prefiggermi obiettivi di tipo quantitativo. Il secondo
risultato che mi proponevo di raggiungere, dedicando tempo ed impegno
alla costruzione della mia reputazione online, era trovare lavoro nel settore
del web marketing.
I tempi di Internet, apparentemente veloci se studiati sotto il profilo
della propagazione dei messaggi e dei tempi di misurazione di una
campagna di comunicazione, si rivelano paradossalmente lenti nella
costruzione di relazioni, per loro natura difficili da instaurare e consolidare.
49
In questa sede analizzerò i dati quantitativi e qualitativi raggiunti al 31
dicembre 2008, al fine di elaborare una valutazione obiettiva del blog a circa
sei mesi di “vita”.
Definire i KPI, Key Performance Indicators, non è semplice: ogni
amministratore in base agli obiettivi prefissati per il proprio sito, stabilirà
quali indici sono più consoni ad analizzare le proprie performance. Di
seguito riporterò quindi oltre ai risultati raggiunti anche l’importanza da
attribuire ad ognuno di essi.
Visitatori:
I tre grafici che seguono riportano il numero delle visite al blog
analizzandone l’andamento mensile, settimanale e, entrando più nello
specifico, giornaliero riferito all’ultimo mese.
Figura 1 Andamento mensile delle visite da Luglio a Dicembre 2008
Osservando il grafico inerente l’andamento delle visite mese per mese è
possibile affermare che il trend è in aumento (il calo registrato nel mese di
gennaio è fittizio avendo creato il grafico al terzo giorno del mese). Dato
importante in quanto dimostra un miglioramento delle relazioni, soprattutto
se analizzato tenendo conto della diminuzione del numero di post da me
scritti, soprattutto nel mese di dicembre. Offrire costantemente nuovi
50
interessanti contenuti è importante, sia per ottenere visite, sia per mantenere
le relazioni. Impegnata in altre attività, mi pongo l’obiettivo di scrivere
almeno un post a settimana mentre prima ne pubblicavo anche due o tre.
Figura 2 Andamento settimanale delle visite dalla 27° settimana del
2008 alla 1° settimana del 2009
Nel secondo grafico, relativo l’andamento settimanale del blog, si
percepisce maggiormente la discontinuità delle visite, dovute per lo più al
maggiore o minore impegno dedicato alla scrittura di post. I picchi di
maggiore rilievo sono infatti dati da un maggior numero di post scritti, ad
eccezione del picco toccato la 47° settimana con 366 visite, registrato grazie
ad un link ottenuto all’interno di un articolo scritto da Fabio Sutto nel blog
che gestisce insieme a Federico Calore, l’On Line Marketing Blog, dove si
felicitava di avermi conosciuta di persona all’evento Rimini Web Marketing
Event, tenutosi il 22-23 novembre, dopo esserci più volte incontrati e
scambiati opinioni in Rete. Il 24 novembre, giorno in cui è stato pubblicato
il post, Brand 2.0 ha raggiunto 136 visite. L’On Line Marketing Blog è
infatti un blog di settore con più di 600 abbonati al proprio feed.
L’andamento delle visite nelle settimane successive suppone un aumento
della popolarità del blog e di conseguenza dei lettori, dato che cala solo
nella ultime due settimane, probabilmente per effetto delle festività.
51
Figura 3 Andamento giornaliero delle visite dal 6 dicembre 2008
al 3 di gennaio 2009.
L’andamento delle visite giornaliere a Brand 2.0 non è particolarmente
alto: da una media iniziale di 11 visite nel mese di avvio del blog, sono
passata ad una media di 18 visite, nel mese di dicembre. Il picco, raggiunto
a novembre è in media di 25 visitatori al giorno. Nel primo semestre di vita,
il blog ha registrato 2870 visite.
Risultato che ritengo discreto tenuto presente della quantità e qualità di
blog inerenti l’argomento che popolano la Rete: blog di nicchia che nella
maggior parte dei casi superano l’anno di vita e sono riusciti a costruire
intorno a loro un pubblico di affezionati lettori/collaboratori.
Informazioni relative ai tempi di permanenza su Brand 2.0, molto
interessanti per capire se il contenuto soddisfa o meno le aspettative del
lettore, purtroppo non ne ho.
Siti che portano traffico al blog e performance sui motori di ricerca:
Le statistiche di Wordpress visualizzano siti e parole chiave che portano
traffico al blog. Tra i siti spicca MyBlogLog, un servizio di Yahoo!: un
social network che permette di creare il proprio profilo, pubblicizzare il blog
e condividere le attività online, interessante per la possibilità che offre di
52
tracciare le visite tra profili e di cercare utenti seguendo aree d’interesse. Un
sistema di promozione molto efficace, che permette di creare community
intorno alla propria persona o al proprio blog. Importantissimo anche per il
widget che offre: una volta inserito il codice rilasciato da MyBlogLog su
qualsiasi sito, è possibile vedere chi, tra gli utenti registrati al servizio, entra.
Diverse visite arrivano anche da Facebook, dove al mio profilo ho aggiunto
il feed ai miei post; da Wordpress e il suo motore di ricerca interno; da On
Line Marketing Blog, che mi vede da poco tra i suoi autori; Twitter, servizio
di micro-blogging sul quale “twitto” link ai miei post ogni volta che ne
pubblico di nuovi; Ikaro.net per il quale ho scritto un guest post; Twine,
social network sul quale sono stati condivisi i miei post sulla Corporate
Reputation e socialnetworking.ning.com, social network tematico, sul quale
ho aggiunto il link al mio blog nella home, all’interno della sezione riservata
ai bookmarks. Tanti piccoli link che producono circa la metà del traffico di
Brand 2.0; la restante metà è portata dai motori di ricerca. Difficilmente
riesco ad ottenere visite dai termini generici, sui quali c’è molta
concorrenza, mentre molti ingressi sono portati dai nomi delle cose di cui
scrivo, che si tratti di brand, come Nike, Diesel o Coin, personaggi o
applicazioni. Un blog che vive quindi di quella che Chris Anderson
definisce La Coda Lunga. Alcuni termini sui quali ho effettuato ricerche per
vedere il mio posizionamento su Google sono:
1. Brand 2.0: rientro nella prima pagina ma sotto la piega;
2. Corporate Reputation: appaio in terza pagina con un link dal motore
di ricerca di Wordpress;
3. Corporate Reputation tesi: prima della prima pagina;
4. Strumeti web aziende: prima con Wordpress e in seconda pagina col
blog;
5. Buzz marketing: in seconda pagina con Wordpress;
6. Community marketing: in terza pagina;
53
7. Marketing tribale raduni: prima pagina, in seconda posizione;
8. Aziende web reputation: seconda pagina;
9. Web marketing: non avendo trovato il mio blog, alla decima pagina
mi sono fermata!
Backlink:
Di backlink al mio sito rilevati da Wordpress ne ho davvero pochi: solo
tre, tra cui il famoso link dall’Online Marketing Blog, uno dal blog di
Francesco Piersimoni, SEO di un’agenzia di web marketing a Rimini ed
infine l’ultimo link, o meglio il primo, quello che mi ero creata dal mio
precedente blog per avvisare i miei lettori del “cambio indirizzo”. Risultati
decisamente poco soddisfacenti dal punto di vista quantitativo ma ottimi
qualitativamente: hanno sicuramente apportato miglioramenti nella SERP di
Google provenendo da siti “trusted” e a tema. D’altro canto, effettuando
un’analisi del mio sito attraverso l’applicazione WebSiteGrader19 e per
sicurezza da altri servizi gratuiti presenti in Rete, gli inbound link rilevati in
data 2 gennaio 2009 sono 728. Un numero decisamente alto, che giustifica
l’aumento del mio Page Rank a 3.
Il numero di commenti:
I commenti sono un elemento importante da valutare, soprattutto
tenendo sempre presente che il mio obiettivo era costruire relazioni, alla
base delle quali ci sono le conversazioni. Stimolare le persone a lasciare la
propria opinione significa sfruttare il blog per le sue effettive capacità
comunicative e non come mero strumento informativo. Sotto questo profilo
posso ritenermi decisamente soddisfatta: 132 commenti per 60 posts quindi
una media di poco più di 2 commenti per post. Media ancora più importante
se relazionata al basso numero di visite ricevute dal blog.
19 http://website.grader.com/
54
Iscritti a feed e newsletter:
Il programma che utilizzo per la gestione dei feed è FeedBurner. Ecco
un grafico che mostra i miei iscritti giorno dopo giorno.
Il numero di iscritti rimane mediamente uguale, senza forti aumenti o
abbandoni. Aver fidelizzato delle persone, per quanto poche, in un mercato
come quello del web marketing e della comunicazione online mi sembra,
dopo sei mesi, un discreto risultato, soprattutto in considerazione
dell’impegno profuso per raggiungere questi risultati:
55
All’inizio del mese di dicembre ho aggiunto tra i widget la newsletter.
Un ulteriore strumento di promozione che non sta però ottenendo grandi
risultati: ha solo un iscritto. Un sistema per tenersi aggiornati che ad oggi,
grazie agli aggregatori, si rivela obsoleto.
Le pagine più viste: la pagina About me è il secondo post più letto con
181 visite, il primo è un articolo su Nike e lo Human Rice 10 km (240
visite), molto letto per la popolarità del brand spesso digitato sui motori di
ricerca. Oggi gli utenti vivono il Web come un testo unico e si curano
sempre meno dei singoli siti, vanno alla ricerca di risposte attraverso i
motori di ricerca e non gli interessa dove trovano la soluzione20. Partendo da
questo presupposto, il dato relativo il numero di utenti che hanno cliccato
sulla pagina About me è decisamente importante per un blog personale:
conferma che gli utenti apprezzano i contenuti tanto da essere spinti a
conoscere l’autrice di quei pensieri.
Le community:
Per un blog personale il cui fine è la creazione di una buona reputazione
quindi dell’instaurazione di relazioni, le community create intorno al blog e
alla propria persona, visti nel mio caso come una cosa unica, sono
certamente risultati importanti da valutare. Uno spazio sul blog dedicato alla 20 Jakob Nielsen, Hoa Loranger, Web Usability 2.0 L’usabilità che conta, Apogeo, 2006
56
mia community non è presente, posso avvalermi però, come la maggior
parte dei blogger fanno, di servizi esterni. Tra questi il già citato MyBlogLog
che ad oggi conta 13 membri nella community del blog e 17 utenti iscritti
alle mia persona, Twitter con 29 followers e Facebook con 27 amici
all’interno della mia lista web&comunicazione. Dati apprezzabili tenuto
presente che gli iscritti che si ripetono non sono molti, sono tutte persone
interessate alla materia di cui scrivo e la maggior parte sono stati loro per
primi a chiedermi l’amicizia o il follow.
Valutazione generale:
Per analizzare nel complesso i risultati raggiunti al 2 gennaio 2009 ho
usato il già citato WebSiteGrader, servizio messo a disposizione da
HubSpot. Brand 2.0 ha ottenuto voto di 87/100. Di seguito lo Score
Summary, ovvero il riassunto dei dati rilevati dall’applicazione che ne
hanno influenzato la valutazione:
Risultati fino a questo punto abbastanza soddisfacenti. Non posso
nascondere di aver creduto di poter raggiungere un numero più alto sia di
lettori che di iscritti al feed, ma commenti e conversazioni intrattenute in
Rete mi fanno supporre un futuro promettente per il mio blog, soprattutto se
si effettua su questi dati un’analisi qualitativa, basata sulla misurazione della
positività o negatività dei commenti ricevuti e sull’utilità degli stessi per la
57
mia persona. Altri dati cui posso riferirmi per valutare la qualità dei rapporti
instaurati, mi sono offerti dal widget di MyBlogLog che permette di vedere
gli utenti che vengono sul mio blog e constatare ripetitività nel loro
comportamento. Mi ritengo quindi pienamente soddisfatta delle relazioni
che sono riuscita a stringere in questi mesi, tanto da farmi concludere di
essere riuscita a raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissata.
Analizzare i risultati ottenuti e rivedere le metodologie e gli strumenti
usati che hanno permesso il raggiungimento di tali obiettivi, permette di
imparare dai propri errori ed impostare una migliore strategia che consenta
al blog di raggiungere nuovi traguardi. Nel mio caso, dopo aver osservato i
risultati raggiunti, mi sono proposta di colmare la mia lacuna più grande ed
incrementare il numero di visitatori. Uno scopo non fine a se stesso, i
numeri diverrebbero infatti importanti qualora decidessi di inserire
all’interno del blog annunci pubblicitari, ma volti ad aumentare le possibilità
di conoscere persone interessanti e di crearmi un’identità più forte, quindi
allargare la mia community.
Aspetti che ritengo importante migliorare, sulla base delle mie
esperienze pregresse, per raggiungere questi obiettivi sono:
- Il numero di commenti su blog inerenti: scrivendo commenti a post
altrui, lascio una piccola traccia della mia presenza su di uno spazio
nel quale, probabilmente, andranno persone in target con gli
argomenti del mio blog. Più il commento sarà interessante, più le
persone decideranno di cliccare sul mio nick e venire a leggere
quello che scrivo.
- Un utilizzo maggiore dei social network, soprattutto per conoscere
nuove persone e tenermi in contatto con loro. Fino a questo
momento uno strumento erroneamente utilizzato più per mantenere
relazioni che per instaurarne. Tra questi, in particolare, mi propongo
58
di iniziare ad utilizzare FriendFeed, un servizio che aggrega feed
provenienti dai più utilizzati social network. Un’applicazione ad alto
valore relazionale che permette di seguire tutte le attività dei propri
amici e degli “amici degli amici” all’interno di un unico spazio e al
contempo di interagire commentandole e, se necessario, aprendo
discussioni all’interno di room.
- Una scrittura più attenta ai motori di ricerca: analizzare le parole più
ricercate, ad esempio attraverso il servizio gratuito Keyword Tool di
Google AdSense ed inserire le keyword in titoli e tag, ma anche
valutare la concorrenza che esiste su ognuna di esse e conquistare
traffico proveniente dalla “coda lunga”.
- La pubblicizzazione del blog all’interno di directory, siti di social
news e di social bookmarking che, oltre a restituire link in entrata,
offrano visibilità ai miei contenuti, migliorando il mio
posizionamento sui motori di ricerca quindi la mia popolarità. Per il
momento tra i siti di social news ho sfruttato solo il famoso
OkNotizie ma non portandomi risultati gratificanti, immagino per gli
argomenti di nicchia postati, non ho continuato ad utilizzare questo
sistema per la pubblicizzazione di Brand 2.0, concentrandomi su
visite e commenti su siti a tema. Una strada che cercherò di
ripercorrere informandomi meglio sulle possibilità presenti sul
mercato.
Tra queste in particolare ritengo fondamentali per il raggiungimento dei
miei obiettivi le prime due operazioni, mentre le ultime due, anche se utili,
le reputo secondarie. Attività che, pur portano via tempo alla scrittura di
post, mi permetteranno di attirare e possibilmente fidelizzare nuovi lettori.
Mi prefiggo quindi, nei prossimi sei mesi, di passare da una media di
diciotto visite al giorno ad una di trenta e di raddoppiare gli iscritti al feed
59
giungendo così, dopo un anno di vita del blog, ad essermi costruita una
buona e conosciuta reputazione online.
3.3. Profittabilità
Il concetto di profittabilità in un territorio particolare come quello di
Internet necessita di essere ridefinito. Il guadagno, nella parte abitata della
Rete, non nasce infatti dal possesso, quindi dalla vendita, ma viceversa dalla
condivisione, gesto al quale nella vita reale non siamo abituati. In un mondo
dove la riproducibilità dei dati è semplice, veloce ed economica, mettere a
disposizione non significa impoverirsi, ma viceversa arricchirsi. Un sistema
indiretto di arricchimento talmente lontano dal nostro concetto di guadagno
che spesso ne è difficile percepire il ritorno: alla parola ricco riconduciamo
istintivamente il concetto monetario del termine, senza capire fino in fondo
quali enormi vantaggi una buona reputazione possa apportare alla nostra
persona, benefici di cui parlavo nel primo capitolo.
Ogni soggetto, in base alla propria natura e ai propri obiettivi può
ottenere vantaggi differenti: un brand, migliorando il proprio rapporto coi
dipendenti costruirebbe un ambiente lavorativo più sereno e proficuo,
mentre un libero professionista migliorando la propria reputazione potrebbe
aumentare il numero di collaborazioni o la propria parcella. Tutti vantaggi
in fin dei conti economici che non vengono però conseguiti direttamente
dall’instaurazione di relazioni, ma che senza di esse non sarebbero mai
potuti esistere.
Per una studentessa universitaria ormai giunta alla fine del proprio
percorso di studi, mostrare le proprie conoscenze e al contempo accrescerle
attraverso il confronto continuo che si vive sulla Rete, significa fare
promozione di se stessa, oltretutto in un periodo fondamentale della propria
vita. Un’esperienza che può aggiungere valore al proprio curriculum, ma
che può anche rivelarsi luogo d’incontro e d’instaurazione di rapporti
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lavorativi importanti. Aprire un proprio spazio su Internet significa far
conoscere la propria persona quindi ribaltare le regole del gioco e diventare
paradossalmente “target” del datore di lavoro. Quest’ultimo dopo avere
apprezzato le competenze di un blogger, se deciderà di instaurare con lui un
rapporto professionale, sarà infatti il primo ad andare a cercarlo. Ottenere
rispetto e stima non è facile. Richiede tempo, costanza, dedizione e tanta
passione.
Naturalmente nel mio caso l’obiettivo era innanzitutto dimostrare la
capacità della Rete di farsi territorio ideale per la creazione delle relazioni,
quindi per la formazione della propria reputazione. Qualora fossi riuscita a
mettere io stessa in pratica questi concetti, a coronamento della buona
reputazione costruita, avrei voluto trasformare alcuni dei legami instaurati,
in rapporti lavorativi.
Il primo obiettivo è stato pienamente raggiunto. Ho conosciuto tante
diverse persone legate per passione e per lavoro al mondo della
comunicazione online, col tempo tramutatesi in “amici” coi quali poter
discorrere tanto di comunicazione, quanto di frivolezze. Intono a me si è
venuto a creare un vero e proprio network di persone che comunicano e si
scambiano opinioni su contenuti pubblicati o condivisi. Una community alla
quale potersi rivolgere per chiedere consigli o collaborare alla divulgazione
di una notizia. Sul web le relazioni sono tutto: qualsiasi cosa detta, solo se
letta, commentata e condivisa dagli altri, sarà capace di emergere e produrre
reazioni. Mantenere e rafforzare la propria community seguendo le attività
degli amici e partecipando alle conversazioni scaturite su piattaforme altrui
è quindi fondamentale. Un’attività, quella di social networking, da svolgere
giorno dopo giorno.
Grazie alla profondità dei rapporti instaurati, ho avuto la possibilità di
iniziare a realizzare anche il secondo obiettivo prefissatomi ovvero una
collaborazione con l’On Line Marketing Blog per la creazione di contenuti
61
ed una seconda collaborazione con un’agenzia di Rimini per la realizzazione
di un sito ottimizzato per i motori di ricerca.
La Rete, uno spazio comunitario a disposizione di tutti, si dimostra
pertanto capace di costruire e gestire percorsi relazionali con persone vicine
e lontane, conosciute o sconosciute, per motivi personali o professionali e
quindi di realizzare obiettivi di business. Le aziende contemporanee hanno
sempre più bisogno di strutturarsi in network di relazioni: un nuovo modello
organizzativo che necessita di strumenti come i social network per
sopravvivere, un sistema che attiva meccanismi di risposta e di circolazione
della collaborazione spesso indispensabili.
62
Conclusioni
Fino allo scorso marzo avevo sentito parlare di Web 2.0 da un paio di
amici senza comprendere effettivamente di cosa si trattasse. Ricordo che mi
parlavano di Del.icio.us e spiegavano che era semplicemente uno spazio
online sul quale salvare le proprie pagine preferite, in poche parole la
versione 2.0 dei “Preferiti” del browser. Ma non riuscivo a capire quali
vantaggi avrei ottenuto utilizzando un’applicazione web e condividendo i
miei gusti con gli altri. Atteggiamento che mi divenne facile comprendere
solo quando iniziai a “vivere” la Rete attraverso il blog. Operare con uno
strumento interattivo che impone di cercare informazioni, farle proprie per
poi condividerle e aprire conversazioni con altri utenti, “obbliga” l’autore ad
entrare pian piano ne “La parte abitata della Rete” e a comprenderne i
meccanismi interni.
La blogosfera è stata per me una scoperta: un territorio che, grazie alla
sua vastità e ai suoi continui sviluppi, non mi smette mai di entusiasmare e
di offrire nuovi spunti di riflessione. In questi sei mesi da blogger ho avuto
modo di analizzare le diverse strategie e campagne di comunicazione attuate
dai brand e conversare con altri utenti più o meno esperti, su libri, teorie,
tecniche SEO, applicazioni web e social media, ma anche di partecipare agli
eventi che hanno investito questo mondo come la vicenda di Sergio Sarnari
e la Mosaico Arredamenti, il Blogfest a Riva del Garda o il tanto
chiacchierato Codice Internet. Tutte esperienze che hanno contribuito alla
mia formazione.
Un mondo che vive di relazioni che possono svilupparsi solo attraverso
la bontà dei contenuti. Creare una wiki, un blog o un social network sono
operazioni sempre più user friendly, le vere difficoltà si incontrano nel
trasformare questi strumenti in piattaforme conversazionali. Nel mondo dei
social media è l’idea a fare la differenza. Solo guardando e analizzando le
esperienze altrui è possibile capire come attivare queste piattaforme che
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divengono significative grazie alla partecipazione degli utenti. Infatti, solo
qualora gli atti comunicativi raggiungano il livello perlocutivo della
comunicazione, ovvero influenzino una persona che, interagendo, conferma
l’avvenuta socializzazione, si potrà ritenere raggiunto il loro fine.
Condividere contenuti validi è quindi indispensabile per iniziare a creare la
propria buona reputazione.
Nel web 2.0 un rapporto può avere inizio grazie ad un semplice
commento o ad un “follow”. La relazione si mantiene poi continuando il
confronto su conversazioni proprie o di “amici”; un rapporto che va quindi
curato seguendo l’utente sulle piattaforme che abita. Attraverso Brand 2.0 e
i tanti social network che completano la mia presenza in Rete ho conversato
con molte persone e con alcune di esse ho instaurato rapporti più profondi,
facendo mie, di volta in volta, queste logiche d’azione. Logiche che si
ripropongono all’interno di tutti i social media, seguendo ogni volta le
specificità del mezzo: sui social network, ad esempio, la condivisione
avviene attraverso una segnalazione del link, eventualmente accompagnata
da un piccolo commento, mentre sul blog gli argomenti trattati vengono
approfonditi.
Pertanto i marketers, nell’affrontare questa nuova sfida, devono essere
consapevoli che la natura del web è legata alla struttura delle relazioni e che
la loro peculiarità consiste nello svilupparsi nelle direzioni più impensate.
L’effetto serendipity è il fenomeno che prevale sulla Rete: scoprire una cosa
non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un'altra, ma anche
l’essere aperti alla ricerca e attenti a riconoscere il valore di esperienze che
non corrispondono alle originarie aspettative21. I brand, pur pianificando il
proprio ingresso nel 2.0 secondo attente analisi di marketing, devono sapere
affrontare le sfide che di giorno in giorno gli utenti, partecipando o meno,
gli pongono di fronte. Il web 2.0 è quindi un mezzo che, vivendo di
21 http://it.wikipedia.org/wiki/Serendipit%C3%A0
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feedback immediati, consente di verificare velocemente l’efficacia della
propria azione, tenendo costantemente in allerta i marketers coinvolti.
Dopo la mia pur limitata esperienza di blogger posso quindi confermare
quanto ad inizio tesi avevo solo potuto teorizzare: il web e più nello
specifico la sua evoluzione in 2.0, offre alle marche opportunità di crescita e
consolidamento importanti che, se non sfruttate, potrebbero anche ritorcersi
contro la marca, come avvenuto nel caso dei lucchetti Kryptonite. I social
media si dimostrano infatti strumenti estremamente utili per l’ascolto di
conversazioni tra utenti permettendo così al brand di comprendere le
esigenze del mercato, il livello di soddisfazione dei consumatori e di testare
il lancio di nuovi prodotti o servizi.
Un vero e proprio strumento di marketing, ma anche uno spazio grazie
al quale aumentare il brand engagement attraverso la soddisfazione di
esigenze dell'utente come la trasparenza, l’interazione e il coinvolgimento.
I social media si dimostrano pertanto territori ideali per la co-creazione
di valore permettendo alla marca di offrire un’immagine di sé il più
possibile positiva, avvalorata dalle opinioni altrui. Attraverso i social media
il brand può perciò gestire la propria reputazione online ed evitare di venire
danneggiato da opinioni negative che, qualora non trovassero smentite o
giustificazioni, diverrebbero per lui deleterie. L’immagine del brand che si
andrà così a delineare influenzerà le decisioni d’acquisto degli utenti,
sempre più interessati alle opinioni altrui.
Le capacità del Web 2.0 sono quindi indubbie, sta ora alle marche
comprendere come sfruttarle. Solo osservando, testando ed imparando dai
propri errori i brand potranno di volta in volta migliorare il proprio rapporto
con il popolo della Rete e trasformarsi in quelli che ho chiamato Brand 2.0.
Nuove esigenze hanno portato alla concezione di un nuovo rapporto
impresa-mercato; un rapporto che per crescere e maturare necessita di
nuovi strumenti. Tra questi spicca il web 2.0.
65
Bibliografia
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