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FLAVIA VADRUCCI QUANDO LA PENNA ESPLODE DI VITA OBLIQUE STUDIO LA COLLANA FRANCHI NARRATORI FELTRINELLI 1970-1983 franchinarratori_dic2010:Layout 1 03/02/2011 16.42 Pagina 1

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FLAVIA VADRUCCIQUANDO LA PENNA ESPLODE DI VITAOBLIQUE STUDIO

LA COLLANAFRANCHI NARRATORIFELTRINELLI 1970-1983

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Quando la penna esplode di vitaLa collana Franchi Narratori − Feltrinelli 1970-1983

A cura di Flavia VadrucciImpaginazione di Rita Feleppa

© Oblique Studio, dicembre 2010

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Io credo, sinceramente credo, che non c’è miglior viaper arrivare a scrivere sul serio che di scribacchiaregiornalmente. Si deve tentare di riportare a galla dal-l’imo del proprio essere ogni giorno un suono, unaccento, un residuo fossile o vegetale di qualche cosache sia o non sia il puro pensiero, che sia o non sia sen-timento, ma bizzarria, rimpianto, un dolore, qualchecosa di sincero, anatomizzato, e tutto ciò e non di più.

Italo Svevo

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Nel gergo giornalistico si definiscono “franchitiratori” quei parlamentari che, nelle votazionia scrutinio segreto, non seguono l’indicazionedi voto suggerita dal partito. Ufficialmente nonhanno volto, ma sono molto temuti: il lorocomportamento imprevedibile è in grado disparigliare le carte, di cambiare l’esito già scrit-to di partite importanti, di rivelare orientamen-ti inconsueti in un’assemblea apparentementeingessata.

È a queste figure quasi mitiche che si èispirata la collana Franchi Narratori dellacasa editrice Feltrinelli. Nata nel 1970, hadato alle stampe trentasei titoli, terminandole sue pubblicazioni nel 1983. Solo due auto-ri sono rimasti, per motivi diversi, nellamemoria collettiva: Gavino Ledda, autoredel bestseller Padre padrone: l’educazione diun pastore, da cui venne tratto un film scan-dalo diretto dai fratelli Taviani, e TizianoTerzani, che nella collana pubblicò Pelle dileopardo: diario vietnamita di un corrispon-dente di guerra 1972-1973. Tutti gli altri sisono persi tra le pieghe del tempo, alcuni per-ché anonimi per scelta, altri perché sonostate le loro storie, più che il loro nome, asegnare con forza l’immaginario. Storie didisagio, di emarginazione, di violenza, didroga, di eccessi. Storie di persone irregolari,lontane dai riflettori, che decisero di spari-gliare le carte raccontando senza filtri la loroesperienza di vita.

Sono loro i franchi narratori: narratoriinaspettati, indisciplinati, al di fuori dellecategorie che negli anni ’70 tenevano ancora

inamidata la società italiana; narratori di sé,tanto sinceri e coraggiosi – franchi appunto –da scandalizzare i benpensanti. In un’Italiache amava guardarsi allo specchio e vedersiperbene, ma a cui la contestazione nata nel ’68aveva già cominciato a stracciare le vesti pic-colo-borghesi, la collana Franchi Narratoriambì a diventare una piccola molotov lancia-ta nel mucchio, da mano ignota, per far vede-re che la realtà non era quello che sembrava.Che da qualche parte, nel ventre ricco del cetomedio o in fondo alla provincia, sui lettinidegli psicologi o sotto il sole dei campi del Sud,si nascondevano storie dolorose in grado diraccontare l’Italia vera meglio di tanti trattatidi antropologia.

Questo lavoro si propone di analizzarel’esperienza editoriale della collana, studian-done lo spirito, il manifesto, le scelte grafi-che, i titoli, e provando a inquadrarla nelcontesto del tutto particolare – l’Italia deglianni ’70, infiammata dalla contestazione edalle neoavanguardie letterarie – in cui è natae si è sviluppata.

L’analisi si avvale dei preziosi contributi diNanni Balestrini, dal 1964 al 1972 responsa-bile della redazione romana di Feltrinelli, e diAldo Tagliaferri, responsabile narrativa dal1968. Balestrini fu curatore della collana neiprimi due anni, Tagliaferri la seguì dalla scel-ta del nome fino alla fine delle pubblicazioni,e in questo lavoro raccontano con passione elucidità quell’esperienza, restituendoci nonsolo l’anima dei Franchi Narratori, masoprattutto lo spirito del tempo.

INTRODUZIONE

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Nel 1970, anno di nascita dei FranchiNarratori, gli scossoni dei primi anni di vitadella casa editrice sono ormai acqua passata,ma lo è anche il clima ingenuo ed entusiastadei primi tempi, quando Bianciardi potevauscire indossando il cappotto di cammello diFeltrinelli e urlando «viva la lotta di classe!»con il pugno alzato. La casa editrice, a cui facapo anche una piccola rete di librerie nelleprincipali città italiane, è ormai un’istituzio-ne solida e affermata, ma questo non la pro-tegge dal tornado della contestazione, in cuiviene trascinata dalle passioni del suo “com-pagno padrone”. Prima c’erano stati gli scre-zi interni, lo “scontro generazionale” tra glieditor compassati, come Giorgio Bassani, e irappresentanti del Gruppo 63, sostenuti daFeltrinelli. Poi era andata sviluppandosi ladedizione totale, umana, culturale ed econo-mica, di Giangiacomo alla causa della rivolu-zione. Nei primi anni ’60 l’incontro con FidelCastro, nel 1967 il viaggio in Bolivia per ilprocesso a Régis Debray, nel dicembre 1969la scelta della clandestinità e poi la fondazio-ne dei Gap. L’editore ha ormai abbandonatofisicamente la casa editrice di via Andegari,che si regge quasi interamente sull’esperienzae la fedeltà allo spirito delle origini di GianPiero Brega, Giuseppe Del Bo e IngeFeltrinelli.

A ottobre del 1970 la collana FranchiNarratori si presenta ai lettori italiani. I cura-tori sono Nanni Balestrini, responsabile dellaredazione romana della casa editrice, e AldoTagliaferri, responsabile della narrativa, chericorda così l’origine di questa esperienza:

Ottobre 1970. Dopo quindici anni d’oro, anima-ti da idee brillanti, scelte controcorrente, grandisuccessi e strappi clamorosi, la casa editriceFeltrinelli è ormai una realtà consolidata nelpanorama editoriale italiano.

Era nata alla fine del 1954 da quattroamici intorno al tavolo di un bar e al portafo-glio di un figlio ribelle del grande capitale. Ilbar era in via Manzoni a Milano. Gli amicierano Luciano Bianciardi, Gian Piero Brega,Luigi Diemoz e Valerio Riva. Il portafoglioera quello di Giangiacomo Feltrinelli, figlio diCarlo, presidente della Edison e del CreditoItaliano e ultimo rappresentante di una delleprincipali dinastie industriali e finanziarie ita-liane. Alle spalle avevano l’esperienza dellaColip, la Cooperativa del Libro Popolare, cheaveva lanciato – negli stessi giorni in cuinasceva la Bur di Rizzoli, e poco dopol’Amena Garzanti e la Biblioteca ModernaMondadori – una delle prime collane di tasca-bili di qualità. Presentandosi al lettore italianocon i primi due titoli, Il flagello della svasticadi Lord Russell di Liverpool e l’Autobiografiadel primo ministro indiano Nehru, laGiangiacomo Feltrinelli Editore aveva dichia-rato subito di che pasta sarebbero state fatte lesue pubblicazioni: antifasciste, terzomondiste,legate a doppio filo all’attualità e libere dacondizionamenti e facili schematismi. Fissatigli intenti, era arrivato anche il successo, primacon Il dottor Živago di Boris Pasternak, censu-rato in Unione Sovietica e inviso al Pci, poi conIl Gattopardo di Giuseppe Tomasi diLampedusa, già rifiutato da Mondadori,Einaudi e Longanesi.

LA NASCITA

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In quel periodo avevamo un gettito continuo dimanoscritti e di autori, o presunti autori, che arri-vavano in casa editrice con delle proposte, e ioero convinto che qualcosa di buono ci fosse.L’idea della collana nacque anche per ospitarli. Ioe Balestrini ne parlammo direttamente conFeltrinelli e lui fu subito entusiasta. «Fatela subi-to», ci disse, «altrimenti ci penserà qualcunaltro». Il nome, invece, fu oggetto di lunghissimedisquisizioni, soprattutto tra me, Gian PieroBrega, che allora era il direttore editoriale, e AlbaMorino dell’ufficio stampa. Ci fu una lunga ricer-ca e alla fine saltò fuori questo nome che a me ea Alba parve appealing: decidemmo di utilizzarlo,ma nessuno, in quel momento, poteva prevedereun successo così.

I primi due titoli della collana sono Harry:ritratto di uno psicopatico di Ronald Lloyd eStanley Williamson e Diario di un omoses-suale di Giacomo Dacquino. La carica inno-vativa è dirompente: si tratta di storie vere,drammatiche, di testimonianze in presa diret-ta che raccontano un presente scabroso. Glianni ’60 hanno avuto un effetto telluricosulla società italiana, le piazze sono inondateda slogan libertari, e i vecchi valori, i pregiu-dizi, le ipocrisie delle generazioni nate primadella guerra cominciano a ricevere potentispallate. Ma l’anima di fondo del Paese, lacoscienza silenziosa, il polso della maggio-ranza è ancora espressione di una mentalitàprovinciale e perbenista, che lava in famigliai panni sporchi, abbassa gli occhi quando siparla di sesso e come soluzione al disagiosociale conosce solo la carità cristiana. IFranchi Narratori, in anticipo di quasi ven-t’anni, sono i “casi umani” che faranno lafortuna della Rai guidata da AngeloGuglielmi (esponente, peraltro, del Gruppo63): racconti di vita che smuovono lecoscienze, istantanee di realtà che nessunoaveva mai avuto il coraggio di mostrare.

Lo spirito forte che è alla base della colla-na viene presentato nel risvolto di copertina,pensato da Tagliaferri: quasi una cornice alritratto di questi alfieri che testimoniano, conil loro corpo e la loro storia, verità difficili

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ma drammaticamente attuali. Queste leparole del manifesto, che accompagna ogniuscita:

La collana dei Franchi Narratori raccoglie queitesti, “irregolari” rispetto ai parametri sia dellaletteratura pura sia del semplice documentarismo,in cui si raccontano esperienze direttamente vissutedagli autori stessi, e che rappresentano “spaccati”di problematiche profondamente vincolate allarealtà storico-sociale della situazione culturale dioggi; testi quindi esemplari, che spesso costitui-scono, in senso lato, delle testimonianze di unaantropologia “in fieri”, di una realtà troppo viva,attuale, complessa, per essere ingabbiata in giàscontati moduli editoriali.

La voce, la forma, i temi. Sono queste lechiavi che riassumono il senso della collanae definiscono il forte carattere di novità chei Franchi Narratori detengono nel panoramaeditoriale italiano. La voce è autobiografica,ma di un autobiografismo del tutto partico-lare, perché il “narratore” non è uno “scrit-tore”. Non c’è una rielaborazione stilisticadelle storie, non c’è una ricerca della parolaletteraria. L’autore arriva al lettore senza fil-tri, gli scaraventa addosso la sua storia senzamodulazioni del registro. Per questo, e nonper una scelta di stile, il registro è quasi sem-pre medio-basso, il tono è colloquiale. Il rac-conto viene dalla strada e si sente. La vocenon manipolata è anche un rafforzamentodella forma autobiografica o diaristica.«Ecco, questo sono io», sembrano dire i“franchi” protagonisti, esattamente come livuole il manifesto della collana. Schietti, sin-ceri e senza timori reverenziali o scrupoli discandalo. Uno scandalo che, però, puntual-mente arriva, già solo con i titoli, a causa deitemi trattati. Malattie psichiche e delinquen-za, omosessualità e pedofilia, sesso in abitotalare, droga e adolescenza, violenza fami-liare, alienazione. Scorrendo i trentasei tito-li che compongono la collana si potrebbecostruire un catalogo pressoché completodel disagio, provinciale e metropolitano.«La collana non voleva “dire la verità”»,

sottolinea Tagliaferri. «Voleva soprattuttomettere a fuoco qualcosa che non dovevaessere dimenticato, voleva illuminare dellequestioni importanti in modo da farlesopravvivere».

Oggi il disagio custodito dai FranchiNarratori è stato quasi completamente meta-bolizzato da una frequentazione continua diquei problemi, dall’aumento dell’informazio-ne, dalla caduta delle barriere di protezionedella società “bene”, ma anche dall’aumentodi un onesto interesse da parte della culturaoccidentale alla comprensione e alla cura delmalessere più profondo. Negli anni ’70 que-sti temi erano soltanto il lato non illuminatodella luna. Averli portati alla luce non è statasolo un’azzeccata operazione editoriale,capace in molti casi di solleticare le curiositàpruriginose di lettori timidi. Il suo valore puòessere considerato quello di un’operazioneverità, di uno stimolo politico, magari bruscoe avventato, ad aprire gli occhi sulla realtà chefa più male e che, spesso, è proprio dietrol’angolo.

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Ronald Lloyd e Stanley Williamson, Harry: ritrattodi uno psicopatico (1970)Giacomo Dacquino, Diario di un omosessuale(1970)Don Luca Asprea, Il previtocciolo (1971)Armando Rossini, Educatore autorizzato (1971)Ugo Marzuoli, Il sogno come autobiografia (1971)Alfredo Bozzi, Il detenuto scomodo: manuale dalcarcere (1972)Anonimo, Alice: i giorni della droga (1972)Orazio Barbieri, I sopravvissuti (1972)Jean Aceti, Bella vita, malavita (1972)Sante Notarnicola, L’evasione impossibile (1972)Maria Luisa Marsigli, La marchesa e i demoni:diario di un manicomio (1973)Armando Tagliavento (Hermann), Tra fascisti egermanesi (1973)Angela Zago, Qui non è successo niente: unaragazza nella guerriglia (1973)Tiziano Terzani, Pelle di leopardo: diariovietnamita di un corrispondente di guerra1972-1973 (1973)Antonio Serra, Cosa accadde veramente quellanotte (1974)Renzo Tomatis, La ricerca illimitata (1974)Luciano Musmeci, L’ultima età: diario di unmedico (1974)Sergio Casati, Colpo di grazia alla sezioneterza (1974)Gavino Ledda, Padre padrone: l’educazione diun pastore (1975)

Victoria Therame, Notturno: racconto di un’in-fermiera (1975)Lucia Roselli, Gli altri: un figlio subnormale(1976)Maria Marcone, Analisi in famiglia (1977)Matteo Mureddu, Il Quirinale del re (1977)Giuseppe Mancini, Devotissimo in Cristo: unprete sotto processo (1977)Luca Anstalt, Banche d’azzardo: un’avventurafinanziaria in Svizzera (1977)Tommaso Di Ciaula, Tuta blu: ire, ricordi esogni di un operaio del Sud (1978)Caterina Saviane, Ore perse: vivere a sedicianni (1978)Mauro Benedetti, La morte colorata: storie difabbrica (1978)Carlo Monico, Mia cara: da un amico compa-gno (1979)Vittorio Borelli, Diario di un militante: intornoa un suicidio (1979)Lorenzo Barbera, I ministri dal cielo: i contadinidel Belice raccontano (1980)Rita Maritt, Gioco sfrenato: avventure di unsex-symbol (1980)Tommaso Di Ciaula, Prima l’amaro, poi ildolce: amori e altri mestieri (1981)Matteo Mureddu, Il Quirinale dei presidenti(1982)Dea Trier Morch, Bambini nati d’inverno (1982)Ram Dass, L’unica danza: alla ricerca dellasaggezza orientale (1983)

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La collana Franchi Narratori ha avviato le sue pubblicazioni nell’ottobre del 1970 e si è conge-data nel 1983. Trentasei i titoli all’attivo: alcuni sono passati quasi inosservati, altri hannoavuto un discreto successo, altri ancora sono diventati dei bestseller. Ecco tutte le uscite dellacollana:

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I TITOLI

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Cominciamo dai due titoli di apertura:Harry: ritratto di uno psicopatico di RonaldLloyd e Stanley Williamson e Diario di unomosessuale di Giacomo Dacquino. Nelprimo caso si tratta della ricostruzione dellavita di Harry Howard, fortemente disturba-to e autore di diversi crimini, realizzata daidue autori della trasmissione radiofonicadella Bbc che ospitò Howard e le sue confes-sioni. Lloyd e Williamson, partendo dallaviva voce di Howard, ripercorrono l’infanziaviolenta, l’adolescenza difficile e poi lamaturità drammatica del protagonista,dando vita a un racconto che va a colpire lacoscienza del lettore. «Non è stato inventatonulla», precisano Lloyd e Williamson nellaprefazione, «abbiamo solo scelto il meglio».Anche nel Diario di un omosessuale i ricor-di di chi non ha voce giungono a noi attra-verso un canale, ma qui la forma è quella deldiario: il diario di un uomo gay in cura dauno psicologo che a lui racconta desideri,pulsioni e perversioni della sua condizione.In anni in cui l’omosessualità è ancora untabù, il lettore si trova di fronte a confessio-ni morbose, a scene di quotidiano squallore,a pentimenti e a istinti a ripetersi, il tuttoraccontato con una voce ossessiva e malata,solo verso la fine serena e “guarita”. Untesto che forse oggi non potrebbe mai vede-re la luce, cambiata com’è la percezione (el’autopercezione) dell’omosessualità, ma chenel 1970 rappresenta un piccolo dardo sca-gliato contro i benpensanti.

Tra i titoli che più fanno scalpore c’è Ilprevitocciolo di Don Luca Asprea, «la storiadi una esasperata, panica sensualità e diun’autentica vocazione sacerdotale che nellaChiesa non si possono conciliare; e, al con-tempo, un potente squarcio di vita meridio-nale aperto su una terra saccheggiata dallamiseria». Siamo nel cuore della Calabria,dove la vita è scandita dal lavoro nei campi,dalla messa e dal rosario del vespro, e i rap-porti sono schiacciati da una morale ses-suofobica e da una diffusa ignoranza. È quiche gli istinti si fanno insopportabili e sfo-garli diventa l’unico pensiero, per ragazzine

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esuberanti come per sacerdoti in seminario.Con il terzo titolo della collana, dunque, con-tinua la vocazione allo scandalo dei FranchiNarratori, il coraggio di affrontare temi tabùdal punto di vista di protagonisti provati edolenti, per i quali l’autobiografia non èun’ostentazione del proibito, ma un’autodife-sa contro l’emarginazione a cui sembranocondannati.

Ricorda Balestrini:

Fu Asprea a farsi vivo con la casa editrice. Cimandò un manoscritto enorme, di una prolissitàpazzesca, oltre 500 pagine, che io tagliai di circala metà. Fu faticosissimo lavorarci. Lui si nascon-deva in una portineria, perché pensava che laChiesa lo perseguitasse, e lì ero costretto furtiva-mente a incontrarlo per lavorare all’editing. Eraun personaggio simpatico, ma invadente, esoprattutto ossessionato da questo suo desideriodi vivere la sessualità in modo inscindibile dal-l’amore con Dio.

Anche Tagliaferri ricorda di essere intervenutocon un «potente lavoro di limatura».«Spesso», spiega, «il problema della collanaera proprio il tempo e l’energia che la reda-zione impiegava per avere manoscritti pub-blicabili».

Un altro titolo molto forte e in anticiposui tempi è Alice: i giorni della droga, cheesce anonimo nel 1972. Ritorna la forma deldiario, particolarmente riuscita poiché aparlare è un’adolescente, che restituisce allettore la testimonianza in presa diretta diuna sedicenne che si avvicina alla droga e neesce distrutta. Nove anni prima di Noi, iragazzi dello zoo di Berlino, pubblicato inItalia da Rizzoli nel 1981, il racconto auto-biografico di una figlia del benessere sedottae abbandonata dalla trasgressione. Per lacollana è un altro libro che fa discutere e cheproduce una lunga serie di ristampe, neiFranchi Narratori prima, nell’UniversaleEconomica poi, fino alla trentaduesima edi-zione del 2007.

L’altro titolo che, anche più di Alice, halasciato un segno indelebile nell’immaginario

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collettivo è Padre padrone di Gavino Ledda,pubblicato nel 1975. Il romanzo si apre suuno degli episodi dell’infanzia dell’autore. Ilpiccolo Gavino, mentre è in classe con i com-pagni di scuola, viene prelevato dal padre,pastore del Logudoro: il bambino “è suo” ene ha bisogno per “guardare le pecore”. Daquel momento in poi Gavino crescerà prigio-niero dell’ignoranza e della violenza, costrettoall’analfabetismo e a una difficile sopravvi-venza in una terra ostile.

Il processo con cui Gavino diviene esperto dellavita dei campi, e che coincide con un arcaico per-corso di formazione, si svela attraverso quadri diindiscutibile forza narrativa, nei quali i richiamialla tradizione biblica, all’immaginario cristianoe al folklore, la cura stilistica e l’attenzione per illinguaggio – un complesso espressionismo, unamescolanza, in alcuni luoghi forse un po’ disordi-nata, di italiano e logudorese, di inserti dialogicie di ampi spazi narrativi, di zone liriche conammiccamenti alle misure classiche – si aggiun-gono ad una sapiente costruzione dell’intreccio,articolato soprattutto attraverso il dosaggio delleprolessi, della suspense e dell’imprevisto1.

Nel libro si fondono propositi documentali eambizioni romanzesche. Numerosi elementidella narrazione rimandano al romanzo diformazione e a quello di avventura, ma sonoi connotati autobiografici a identificarel’opera con maggiore forza. A questi siaggiunge il valore politico della denuncia diuna situazione di degrado, della recrimina-zione di un altro destino e della rivincitafinale sul sopruso. Gavino, infatti, riesce aliberarsi dal giogo paterno, torna a studiaree si laurea, diventando linguista. Il libro è ungrande successo. Vince subito il premioViareggio e diventa un film diretto dai fratel-li Taviani. «In momenti di grande difficoltàeconomica», confessa Aldo Tagliaferri, «fu

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1 Giovanni Ronchini, «Corsi e ricorsi dell’autobiografia. La colla-

na dei Franchi Narratori», in Anna Dolfi, Nicola Turi, Rodolfo

Sacchettini, Memorie, autobiografie e diari nella letteratura italia-

na dell’Ottocento e del Novecento, Ets 2008.

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proprio Padre padrone a salvare la casa edi-trice. Il libro andò benissimo, ma forse ebbel’effetto di stroncare Gavino come autore.Credo sia un po’ il destino del franco narra-tore quello di essere autore di un solo libro».

E infatti, scorrendo insieme a Tagliaferril’intero piano dell’opera, non ci si imbatte inaltri titoli eclatanti sul piano letterario. Sitratta sempre di piccoli casi personali, priva-ti ma resi collettivi, la cui forza è la scomodi-tà dell’argomento trattato e la genuinità, avolte quasi rozza, primitiva, della voce.Alcuni, ricorda l’ex dirigente Feltrinelli, «die-dero molto filo da torcere alla casa editrice»,coinvolgendola in scandali, polemiche e deli-cati casi giudiziari; altri rimangono oggi nellamemoria per alcuni aneddoti singolari che neaccompagnarono la gestazione. Così ce lirestituisce Tagliaferri:

Un titolo molto particolare era Il sogno comeautobiografia, che poteva sembrare un’ideapostsurrealista, ma aveva un fondo di verità e perquesto lo pubblicammo. A un certo punto michiamò “il sognatore”, arrabbiato come un ser-pente a sonagli, con il suo psichiatra ma anchecon me, perché evidentemente non aveva graditola pubblicazione. Scoprii che era un mio amico,un artista milanese di una certa fama. Leggendo ilmanoscritto neanch’io l’avevo riconosciuto.Divertente anche la figura di Jean Aceti, un“papillon”, un personaggio da cinema. Tutte levicende narrate in Bella vita, malavita erano veri-diche, lui era un personaggio terribile e la suavicenda era molto complessa. La donna con cuiviveva mi telefonava di nascosto per raccontarmile sue scorribande. In più quel libro fu un casolinguistico: pagine di verità venivano raccontatecon un argotique davvero particolare. Si parlòmoltissimo anche di L’evasione impossibile diSante Notarnicola, a causa del nesso tra crimina-lità e rivolta politica, molto attuale a quei tempi.Un’altra creatura incredibile fu la marchesaMarsigli. Era fuggita da un manicomio criminalee io la andavo a trovare, durante la lavorazionedel libro, in un hotel di Lugano, dove mi accoglie-va vestita da marchesa. Poi la incontrai molti annidopo a New York, sposa felice di un ricco texano

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e incurante delle leggi italiane. Era una donnaforte, che aveva saputo risalire la china e rifarsiuna vita. Effettivamente di questi personaggi sin-golari ve n’erano molti, tra gli autori della colla-na. A un certo punto in redazione mi prendevanoanche in giro chiamandomi “lo psichiatra AldoTagliaferri”…

Tra affascinanti ricordi privati e casi chehanno fatto la storia dell’editoria, rimaneuna carrellata di titoli che rappresentanoaltrettanti problemi sociali incisi nella storiaistituzionale d’Italia. La droga di cui sicominciava a parlare, il risentimento neiconfronti della Chiesa prevaricatrice, larealtà di contadini fuori dal mondo, l’am-biente operaio, il buio delle carceri, il dram-ma dei manicomi alla vigilia della leggeBasaglia. Ne viene fuori uno spaccato dellasocietà italiana di quegli anni, e forse un po’anche di questi. Il ritratto di un Paese cheforse ha meno zone d’ombra, ma sempretante, troppe crepe aperte, sempre tantidrammi irrisolti.

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Immagini forti, violente, un bianco e nerotinto di rosso e il nome della collana – piùgrande del titolo del libro e del nome dell’au-tore – ai piedi di ogni copertina. Anche lagrafica dei Franchi Narratori, moderna, rico-noscibile, di impatto, fu per la collana unmanifesto dai toni sovraccarichi, un bigliettoda visita maleducato, che urlava al lettore laverità, l’eccesso, la drammaticità e l’anticon-formismo delle sue storie. Realizzata daSilvio Coppola, uno dei grafici di punta dellaFeltrinelli insieme a Albe Steiner, fu una delleespressioni memorabili del design italianodegli anni ’70, figlia legittima della grandescuola che, a partire da Bruno Munari, inse-gnò al mondo come “vestire il libro”.

L’analisi del progetto grafico della collananon può non partire da quello che ne fu untratto unico, raramente replicato altrove: ilnome della collana in copertina. La peculia-rità dei Franchi Narratori è l’importanza diquesto elemento nell’equilibrio generale. Lascritta è in stampatello, ha un caratterebastoni in grassetto, come bastoni è il carat-tere scelto per titolo, autore e nome dellacasa editrice, in controtendenza con la prassistorica di Feltrinelli, che grazie a Albe Steineraveva introdotto il Garamond come marchiodistintivo dell’immagine della casa. I caratte-ri bastoni occuparono prepotentemente lecopertine dei libri di Giangiacomo con l’arri-vo di Massimo Vignelli e Bob Noorda, notoper essere l’ideatore dell’attuale logo di viaAndegari. La novità della scritta FranchiNarratori è il formato, oltre alla posizione: il

LA GRAFICA

nome della collana supera in grandezza iltitolo, il nome dell’autore e quello della casaeditrice. Il proposito è chiaro: l’appartenenzaalla collana è un elemento pregnante per ognilibro, un portatore di significato quanto losono titolo e autore, forse anche di più. Ogniautore, al di là della storia che racconta,della sua provenienza, dello stile e della lin-gua, è prima di tutto un franco narratore, untestimone privilegiato di una materia signifi-cativa, di una storia esemplare, che vienerestituita al lettore senza filtri.

L’altro elemento fondante della graficasono le immagini scelte per la copertina esoprattutto la loro lavorazione. In linea conlo stile inaugurato da Steiner, le immagininon sono mai puramente ornamentali, ma sicollegano direttamente al contenuto dellibro. Sono l’altra metà del messaggio datodal titolo e hanno la funzione, ben primadella quarta di copertina, di immergere ilfuturo lettore nella materia rovente che tro-verà all’interno. Sono sempre immagini dure,ancora più forti perché scontornate, che arri-vano allo sguardo come uno schiaffo. Adaumentarne l’impatto c’è anche la manipola-zione: spesso l’immagine si moltiplica, ruota,viene capovolta, è arricchita da elementi arti-ficiali e colorata a tratti da un rosso stranian-te. A volte, come nel Previtocciolo o in Padrepadrone, il successo è dato da un fotomon-taggio raffinato e geniale; altre volte, come inDiario di un omosessuale, la forza viene solodal particolare taglio della foto e dalla suadisposizione sull’intera copertina.

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L’altro elemento originale e modernissimo della collana è l’utilizzo della cover come uncontinuum, che dalla prima di copertina si estende alla quarta e alle bandelle. Ciò vale per leimmagini, ma anche per la scritta Franchi Narratori, che non si interrompe mai, a segnareancora una volta la natura di questi autori, che diventa quasi un destino.

Dalla prima uscita fino quasi ad arrivare alla fine delle pubblicazioni, con l’esclusione dun-que degli ultimi volumi, sono presenti due bandelle. La prima è riservata ai titoli usciti fino aquel momento, la seconda al manifesto della collana. Nei primi titoli, il primo risvolto ospitala biografia dell’autore, che ben presto lascia il posto al piano dell’opera.

Negli interni, si segnala il ritorno a pagina 1 della scritta Franchi Narratori, nella medesi-ma posizione che aveva in copertina, e seguita, a distanza di due pagine, dal numero di rife-rimento rispetto al piano delle uscite. In alcuni titoli si nota la maestria nel lettering di SilvioCoppola, che dà alla scritta un effetto allungamento di raffinato impatto artistico.

Un’ultima notazione riguarda la carta scelta per la copertina. All’inizio si tratta di una pati-nata lucida plastificata, che forse aumenta l’effetto rotocalco di questi titoli verità.Successivamente si passa a una carta opaca, molto ruvida, che invece rimanda alla naturagrezza di queste storie, quasi alla sofferenza insita nel fatto di averle vissute.

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Tutto nasce nel ’68. Volevamo che a prendere laparola fossero non solo gli scrittori professionisti,ma chiunque avesse qualcosa da dire. Anche iFranchi Narratori sono espressione di questo. Sitratta di un’idea che ha attraversato tutti gli anni’70: la costruzione di una storiografia non ufficia-le, fatta da chiunque avesse un caso esemplare,una storia rappresentativa da raccontare. In que-sto caso, poi, le storie erano ancora più forti:erano storie di personaggi irregolari, marginali.Storie dal basso. Se lo ricorda lei il libro di DaniloMontaldi Autobiografie della leggera? Ecco, pos-siamo dire che i Franchi Narratori nascono da lì.È come se quel bellissimo libro fosse un franconarratore ante litteram.

Ecco le radici della collana secondo NanniBalestrini. Le Autobiografie della leggera,uscite per Einaudi nel 1961, raccoglievanoracconti autobiografici di vagabondi, ex car-cerati, ladri, prostitute, i «dimenticati di sem-pre», recitava la quarta di copertina, «gliemarginati dai cento incerti mestieri e dal-l’esistenza precaria». I Franchi Narratorirecuperarono quell’eredità e ne fecero unprogetto letterario figlio del suo tempo, pie-namente in linea con il vento che in queglianni spirava negli ambienti culturali italiani,e alla Feltrinelli in particolare, dove l’avvi-cendamento tra due modi di intendere ilromanzo e la letteratura aveva dato vita,all’inizio degli anni ’60, a un vero e proprioscontro generazionale. Da un lato i direttoridi alcune collane, come Marcello Venturi eGiorgio Bassani, scrittore e scopritore delGattopardo, dall’altro i “ragazzi” del Gruppo

63, tra cui lo stesso Balestrini, appoggiatida Inge Schoental e da Feltrinelli; i primisostenitori di una concezione aristocraticadella letteratura e della cultura, i secondiintenzionati a cambiare il mondo, a caccia-re dall’orizzonte tutto quanto apparissestantio, arretrato, figlio di un’Italia retrivae provinciale.

Gli artisti della neoavanguardia avevano regi-strato i numerosi cambiamenti avvenuti nellasocietà. Erano stati colpiti dalla grande trasfor-mazione provocata dal miracolo economico inun Paese fino ad allora prevalentemente agricolonel quale non c’era mai stata la rivoluzione indu-striale. Quest’ultima, invece, ci fu tra la fine deglianni Cinquanta e i primi anni Sessanta e modifi-cò il modo di vivere nelle città: l’auto, la musica,i giovani, l’abbigliamento con i vestiti prodotti inserie, i consumi, l’immigrazione, le fabbriche. Ilmondo raccontato dai Cassola e dai Bassaniappariva, ai loro occhi, un mondo passato, anco-ra appartenente a un’Italia agricola che non esi-steva più. Essi volevano che la letteratura, ilromanzo, parlassero del mondo nuovo, dellarealtà, non di cose fuori dal tempo. Era cambia-to anche il linguaggio, così come la lingua italia-na. Prima era la “favella” toscana nella quale siesprimevano in pochi, mentre la maggioranza silimitava al dialetto. Ora anche la lingua in cui siera soliti scrivere era divenuta vecchia, sia nellaforma, sia nel contenuto, sia nella visione dellarealtà, dominata dall’elettricità, dalle automobi-li, dalla velocità. A questi risultati avevano con-dotto, secondo gli scrittori del Gruppo 63, treeventi: la scuola dell’obbligo, l’emigrazione di

I FRANCHI NARRATORI E GLI ALTRI: IL CONTESTO

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massa dalle regioni meridionali e la nascita dellatelevisione che aveva modificato la lingua italia-na. Da qui la necessità di sperimentare per indi-viduare un unico modo di parlare e di scriverevalido per tutti. Ed ecco, allora, la tesi secondocui la lingua parlata non ha punteggiatura e, sescritta, va letta secondo il proprio respiro dove,appunto, non esistono né i punti né, tantomeno,le virgole2.

La realtà è sempre stata l’orizzonte delloscrittore e rappresentarla, attraverso l’imita-zione, l’abbellimento, l’idealizzazione, lafuga, l’astrazione o la fotografia, è semprestata la sua meta. Gli autori della neovan-guardia contestavano, però, ai loro contem-poranei più affermati l’assenza di un rappor-to a tu per tu con la realtà, l’incapacità dicoglierne il nucleo, di metterla a nudo, discendere a fondo fino a dare conto dei suoi

aspetti elementari, la tendenza a fermarsisolo all’apparenza, all’aneddoto, allo stereo-tipo, e a interpretarli in virtù della propriaideologia, del proprio ordine superiore. Neltentativo di rappresentare la realtà, questiscrittori ne restituivano la propria immagineinteriore, filtrata da valori, sentimenti, cre-denze, giudizi. Raccontavano l’essere con lalente del dover essere. Il compito dello scritto-re moderno era invece, per i neoavanguardi-sti, quello di recuperare un rapporto visceralecon il vero, un rapporto non mediato dal-l’ideologia, dalla morale, dal messaggio. Inquest’ottica il ruolo del romanzo era quellodi dar voce a campioni di realtà presi algrado zero e in grado di parlare al lettore perquello che erano. L’intervento dell’autoredoveva essere neutro: egli scavava per farvenire alla luce il reale, lo demistificava e loproteggeva dalle aggressioni dell’interpreta-zione, per consegnarlo al lettore nella suaverità.

I Franchi Narratori si sposavano perfetta-mente con il nuovo corso. Erano un modoper dare voce letteraria a chi non aveva voce,ai marginali, ai disadattati, ai diversi, agli“altri”, e per questo spezzavano il monopo-lio di una classe di professionisti che si rite-nevano i soli autorizzati a fare cultura.Tagliaferri ne riconduce la forma all’idea diletteratura popolare di Walter Benjamin: unaletteratura «povera ma antropologicamenteforte», fatta della stessa materia di cui è fattoil presente, una letteratura che si sporca lemani con la realtà, a volte rozza nelle formema in grado di eliminare la distanza tra auto-re e lettore. In un periodo in cui l’umore cul-turale più diffuso rivendicava il primato delpolitico e la marginalizzazione della lettera-tura a vantaggio di discipline più esatte, piùvicine ai problemi sociali, la collana si pone-va come un esempio perfetto di conciliazionetra narrativa e documentarismo, tra romanzoe impegno.

I Franchi Narratori nacque da una costola dellaneoavanguardia; occupò uno spazio reso disponibi-le alle istanze documentali e dell’impegno politico

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2 Aldo Grandi, Giangiacomo Feltrinelli. La dinastia, il rivoluzio-

nario, Baldini Castoldi Dalai 2000.

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e per questo aperto allo spontaneismo, ma anchealla fiducia nella testimonianza oggettiva e nellaconcretezza dei fenomeni; in ragione di questecaratteristiche, funse da anello di congiunzione trale differenti stagioni del realismo italiano e, addi-rittura, tra queste e le correnti ad esse contrappo-ste; e, infine, determinò un ricorso massiccioall’autobiografia, o al racconto di sé, come espe-rienza esemplare e significativa, come testimo-nianza di messaggi politici, umani e antropologici.[…] Insomma, la narrazione di sé e della propriavita e in particolare il genere autobiografico furono,in quel giro d’anni, un collegamento tra le variedirezioni che la narrativa italiana aveva preso eche parevano allontanarsi irrimediabilmente leune dalle altre; quasi che, a posteriori e con bene-ficio d’inventario, il carattere naif ed eterodossodelle migliori di quelle opere, forse troppo fretto-losamente rubricato come una manifestazionetipica della subalternità della letteratura, si siarivelato un’ancora di salvataggio, l’unica possibi-le in quel clima, necessaria e indispensabile allasuccessiva ed effervescente ripresa del romanzonegli anni Ottanta, una tenace, seppur minima,resistenza del letterario nel vasto capo dell’extra-letterario3.

È lo stesso Balestrini ad accostare la collanaai suoi due libri più noti, Vogliamo tutto eGli invisibili, che tradussero in romanzol’anima e i corpi, lo spirito e gli attori, dellacontestazione.

L’idea centrale, nei miei libri come nella collana,era sempre quella di raccogliere, nel mio casooralmente, delle storie rappresentative, dei casiesemplari. Mentre in Vogliamo tutto e negliInvisibili si trattava di storie di “personaggi tipici”,personaggi rappresentativi di una storia colletti-va, nel caso dei Franchi Narratori erano semprestorie personali. Si voleva valorizzare l’importanzadel percorso del singolo individuo, la peculiaritàdella sua esperienza. Oggi questa idea avrebbegenerato romanzi d’evasione. Allora l’operazioneaveva un significato politico. Rientrava nel tentati-vo di costruire un “controromanzo epico”, che

desse voce al sotterraneo, alle zone d’ombra delnostro quotidiano. Zone d’ombra legate, peral-tro, ai nuovi campi che, sull’onda del ’68, si apri-vano all’interesse: la droga, la malattia mentale,la sessualità. Si voleva che questi luoghi dell’espe-rienza non fossero più concepiti come luoghidistanti, come ghetti separati, ma come qualcosache faceva parte della vita della società e che perquesto doveva essere conosciuto da tutti.

Fondamentale era che il racconto della realtàattraverso la realtà arrivasse dalla viva vocedei protagonisti. «Praticamente tutto l’oppo-sto del neorealismo», spiega ancora Balestrini,ricordando le motivazioni di una delle idiosin-crasie più forti degli autori della neoavan-guardia.

Nel cinema il neorealismo produsse opere straor-dinarie, in letteratura ebbe effetti, secondo me,assolutamente negativi. Lo scrittore si impadroni-va di una storia proletaria, ma parlava lui al postodi chi l’aveva vissuta, trasmettendo alla storiastessa la sua ideologia, le sue visioni. Nei libri deiFranchi Narratori come nei miei, e ancora primanelle Autobiografie della leggera, anche quandosono scritti in terza persona è il protagonista cheparla, si sente la sua voce.

Un’ulteriore conferma della modernità dellacollana arriva da Angelo Guglielmi, uno deifondatori del Gruppo 63 insieme a EdoardoSanguineti e Umberto Eco. Molti anni dopol’esperienza dei Franchi Narratori, da diret-tore di Rai Tre, mise a frutto la stessa ideadi “vita in presa diretta” producendo, primoin Italia, le trasmissioni della “tv verità”,una televisione a basso costo che facevaspettacolo dando voce ai cittadini, alle piaz-ze, ai tribunali. In un articolo uscito nel1972 su Tempi Moderni, Angelo Guglielmipromuoveva così l’esperienza dei “FranchiNarratori”, augurandole di essere una curaanti-afasia per la letteratura del presente edel futuro.

Si suole dire che il vero significato di una lettera-tura, per così dire improvvisata, di autodidatti

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3 Giovanni Ronchini, op. cit.

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(come è questa dei Franchi Narratori) è di dare laparola a chi non ce l’ha. Ed è certamente veropurché sia chiaro che oggi a non averla non è sol-tanto colui che non l’ha mai avuta in quanto vit-tima di soprusi e di discriminazione ma anchecolui che l’ha sempre avuta in quanto titolareimmeritevole di privilegi e, per investimenti trop-po azzardati, l’ha perduta. Certo affermare che lafranca letteratura può essere una carta vincenteanche per l’altra letteratura (quella degli scrittoridi professione) è fin troppo semplicistico. Tuttavial’affermazione nasconde qualche suggestioneapprezzabile e letta in un certo senso non sembratroppo avventata. Certo non nel senso che la fran-ca letteratura restituisce diritto di cittadinanza(appunto letteraria) a tematiche sociologiche orealtà cronachistiche cui la “letteratura” da tempoha voltato le spalle; non perché, come alcuni dico-no, riporta il discorso della “letteratura” nel cuoredella realtà sociale, restituendole una funzione diapprofondimento e scoperta (che non è il suo

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4 Angelo Guglielmi, Il romanzo e la realtà. Cronaca degli ulti-

mi sessant’anni di narrativa italiana, Bompiani 2010, pp.

263-264.

obiettivo essenziale); ma nel senso che può aiuta-re la letteratura a sbloccare l’afasia da cui èattualmente afflitta, indicandole ancora una pos-sibilità di parlare certo patita e stentata ma taleper cui le sue parole trovano nella fondazioneantropologica che le motiva una solida barrieracontro il pericolo di aggiungersi come nuovamistificazione alla mistificazione del mondo. Laletteratura, con le sue parole lussuose e la voluttàdell’ineffabile da cui è perennemente minacciata,serve il processo di alienazione e di reificazioneoggi in atto. Strapparla all’estasi linguistica e aldesiderio dell’indicibile e restituirla alla praticadella sua coscienza mondana (non importa se sitratta di un’operazione che sfebbra la letteratura ene riduce la promessa di stupore), ecco un compi-to non disdicevole per uno scrittore di oggi4.

I poeti del Gruppo 63 con Giuseppe Ungaretti: si riconoscono, tra gli altri, Elio Pagliarani, Furio Colombo, Enrico Filippinie Nanni Balestrini

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· Jean Aceti, Bella vita, malavita, Feltrinelli 1972;· Anonimo, Alice: i giorni della droga, Feltrinelli 1972;· Don Luca Asprea, Il previtocciolo, Feltrinelli 1971;· Nanni Balestrini, Vogliamo tutto, Feltrinelli 1971;· Nanni Balestrini, Gli invisibili, Bompiani 1987;· Nanni Balestrini, L’editore, Bompiani 1989;· Giacomo Dacquino, Diario di un omosessuale, Feltrinelli 1970;· Ram Dass, L’unica danza: alla ricerca della saggezza orientale, Feltrinelli 1983;· Tommaso Di Ciaula, Tuta blu: ire, ricordi e sogni di un operaio del Sud, Feltrinelli 1978;· Anna Dolfi, Nicola Turi, Rodolfo Sacchettini, Memorie, autobiografie e diari nella letteratura

italiana dell’Ottocento e del Novecento, Ets 2008;· Carlo Feltrinelli, Senior Service, Feltrinelli 1999;· Aldo Grandi, Giangiacomo Feltrinelli. La dinastia, il rivoluzionario, Baldini Castoldi Dalai 2000;· Angelo Guglielmi, Il romanzo e la realtà. Cronaca degli ultimi sessant’anni di narrativa italiana,

Bompiani 2010;· Gavino Ledda, Padre padrone: l’educazione di un pastore, Feltrinelli 1975;· Ronald Lloyd e Stanley Williamson, Harry: ritratto di uno psicopatico, Feltrinelli 1970;· Danilo Montaldi, Autobiografie della leggera, Einaudi 1961.

BIBLIOGRAFIA

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