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soglia del danno ma, tuttavia, costante- mente frequenti nella storia del territo- rio. Suffragando i dati acquisiti ormai dalla sismologia e da altre discipline affe- renti, la ricerca storica contribuisce a col- locare la Marsica, senza dubbio alcuno, all’interno di una delle zone a più alta pericolosità sismica della Penisola. Il rischio, che molto spesso si corre nel trat- tare di Storia e di Storia locale, in specie per quelle contrade che Silone definiva povere di storia civile, è quello che si equivochi la scarsità quando non l’inesistenza di fonti per la diabolica prova al contrario che nulla sia accaduto. Processo logico pericolo e per- nicioso, che può ingenerare, in specie ove una serie continua di disastri si è succeduta senza posa, portandosi dietro interi centri (si pensi a come sono stati trasfigurati i paesi dopo il 1915) con tutte le loro passate memorie, e quindi gli atti che ne tramanda- vano la vita trascorsa: dei veri e propri travi- samenti, falsificazioni, offese per il nostro stesso modo di essere e sentire. L’uscita di questo saggio di Socciarelli, basato su una pluralità di fonti notevole (ragguardevoli ed imprescindibili quelle notarili settecente- sche, Rosati [Celano] e Buccella [Ortona dei Marsi]), è dunque una pietra miliare per la Marsica e, ne siamo certi, il fomite per il quale tante altre strade di ricerca si dischiu- deranno (almeno questo è l’auspicio). Dicevamo dell’Ottocento e dell’impressio- ne che una minore occorrenza di eventi sismici significativi abbia portato a trascura- re la messa in opera e la manutenzione di tutta quella serie di presìdi antisismici che le popolazioni abruzzesi hanno utilizzato, nelle costruzioni, certamente sin dal Quattrocento, con risultati che persino nel Ventunesimo secolo sono risultati, ove sopravvissuti a tante ristrutturazioni con- temporanee, di grandissima efficacia. Nel testo «Ita terraemotus damna impedire. Note sulle tecniche antisismiche storiche in Abruzzo» dato alle stampe pei tipi di Carsa nel 2013 da Maurizio D’Antonio (un brillan- te trattato, da avere ad ogni costo nella pro- pria libreria – ci si accusa di parlare solo male: non è così, ci si sforza di separare il grano dal loglio, per quel poco che può importare il nostro parere – dove si com- prende perfettamente il ruolo nei secoli TERRITORI in MOVIMENTO SEGNI E PRESÌDI Il sentire dei luoghi P er molto tempo, in anni lontani, sfo- gliando le edizioni pomeridiane dei giornali di quel 13 gennaio 1915 e quelle dei giorni immediatamente successivi, vanamente abbiamo cercato, tra le altre, invero con modalità piuttosto ingenue e volontaristiche, nelle colonne delle crona- che e nelle pieghe dei resoconti e dei rac- conti dei protagonisti e (soprattutto) dei sopravvissuti, tracce su una questione che molto ci incuriosiva, su un aspetto apparen- temente minore; tracce in grado di scioglie- re un dubbio, un dilemma che è il seguente: la scossa di magnitudo 7.0 Richter che flagel- lò i nostri avi uccidendone una moltitudine, avvenuta pochi minuti prima delle ore 8 anti- meridiane di mercoledì 13, fu preceduta da delle scosse di avvertimento se non, addirittu- ra, da uno di quei fenomeni che oggi si defini- scono “sciami sismici”? Tale questione – risol- ta negativamente da coloro che si sono approfonditamente applicati allo studio del fenomeno fisico e scientifico del sisma del 1915, ricercando i dati dell’epoca: nel senso che nulla risulta esser stato registrato di pre- cedente dagli apparecchi rilevatori (benin- teso: gli apparecchi in uso a quell’epoca, non in grado di catturare intensità basse) – rimandava in realtà a quella più vasta che inerisce al sentimento del pericolo avverti- to, ovvero: quanto erano coscienti, i nostri progenitori e gli zii e le zie che non ci sono più (stati), del fatto che vivessero in un territorio sensibile, dove avrebbero potuto occorrere fenomeni disastrosi? Ad onore del vero, alla luce dei recenti acca- dimenti aquilani del 6 aprile 2009, con lo “sciame” in atto dal dicembre 2008, molto abbiamo riconsiderato e speculato su quanto e come potessero, cento anni or sono, essere consci della sismicità dei loro paesi i cittadini che li popolavano; nel senso che abbiamo rivalutato potentemente i nostri avi, che certo non erano dotati di tutti quelli strumenti di conoscenza che oggi producono sì miserevoli risultati; risultati che spesso stigmatizziamo persino nei comportamenti e nel contegno delle Autorità preposte a tutelare l’integrità di tutti, in tema di prevenzione. Oltre che in ragioni di ordine etnografico- sociologico (sino all’Ottocento i terremoti erano collettivamente intesi, alle nostre lati- tudini, come una punizione inviata-commi- nata dalla Divinità per l’inosservanza, da parte dei fedeli, del rispetto dei precetti del REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI A VEZZANO N. 118/94 - DIRETTORE RESPONSABILE ANGELO VENTI - REDAZIONE LOC. PETOGNA 15, L UCO DEI MARSI - ANNO XXIII - NUOVA SERIE - NUMERO 13 ( GENNAIO 2016) - DISTRIBUZIONE GRATUITA COLLETTIVO 15 vivere virtuoso e ligio ai canoni religiosi), crediamo potrebbe ravvisarsi qualche spie- gazione della “sorpresa” che accolse il disa- stro del 1915 nella minore occorrenza atte- stata dell’attività sismica nell’Ottocento (seppur con il forte terremoto di Magliano dei Marsi del 1904). Ci ha (ri)confermati in questa impressione la lettura del recente lavoro di Antonio M. Socciarelli su «I terre- moti nella Marsica precedenti il 1915 nella documentazione d’archivio» pubblicato nella prestigiosa rassegna dei “Quaderni di Geofisica” (anno 2016, n. 132), ove effettiva- mente, fatti salvi i dati del Catalogo dei ter- remoti italiani dall’anno 1000 al 1980 del CNR, emerge la minor incidenza, nel XIX secolo, del fenomeno sismico nelle nostre zone. Almeno a giudicare dalla documenta- zione storica che, sino all’introduzione di una misurazione oggettiva per mezzo delle moderne apparecchiature tecniche (epo- pea anche questa ottocentesca, figlia del positivismo – anche se incarnata in massi- ma parte da religiosi, che curarono l’instal- lazione ed il funzionamento dei primi osser- vatori, tra i quali, non a caso, quello aquila- no – da par suo narrata, tra gli altri, nella imminenza della ricorrenza centenaria, dal dottor Fabrizio Galadini) costituisce l’ele- mento fondante per ricostruire quanti e quali siano stati i terremoti succedutisi nei secoli (nuova frontiera sono le indagini stra- tigrafiche). L’abstract del lavoro di Socciarelli ci informa che il lavoro intende fornire un quadro d’insieme sulla sismicità precedente il 1915, attra- verso il reperimento delle tracce dei ter- remoti del passato nella documentazio- ne d’archivio, sia tra quelle già scanda- gliate sia tra il materiale che attende ancora di essere inventariato e sistema- tizzato. Le testimonianze che di seguito saranno presentate sono state per lo più raccolte nell’Archivio storico Diocesano dei Marsi (Avezzano), in alcuni Archivi di Stato, in quelli parrocchiali, notarili e pri- vati di diversi centri d’Abruzzo. Le evi- denze manoscritte mettono in luce, al di là dei dati macrosismici riferibili ai grandi terremoti del 1456, del 1703 e del 1706, per i quali si riscontra una ricorrenza abbastanza dilatata nel tempo, tutta una serie di eventi riconducibili a una sismi- cità locale e più o meno al di sotto della CONTINUA IN ULTIMA PAGINA

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soglia del danno ma, tuttavia, costante-mente frequenti nella storia del territo-rio. Suffragando i dati acquisiti ormaidalla sismologia e da altre discipline affe-renti, la ricerca storica contribuisce a col-locare la Marsica, senza dubbio alcuno,all’interno di una delle zone a più altapericolosità sismica della Penisola.

Il rischio, che molto spesso si corre nel trat-tare di Storia e di Storia locale, in specie perquelle contrade che Silone definiva poveredi storia civile, è quello che si equivochi lascarsità quando non l’inesistenza di fontiper la diabolica prova al contrario che nullasia accaduto. Processo logico pericolo e per-nicioso, che può ingenerare, in specie oveuna serie continua di disastri si è succedutasenza posa, portandosi dietro interi centri(si pensi a come sono stati trasfigurati ipaesi dopo il 1915) con tutte le loro passatememorie, e quindi gli atti che ne tramanda-vano la vita trascorsa: dei veri e propri travi-samenti, falsificazioni, offese per il nostrostesso modo di essere e sentire. L’uscita diquesto saggio di Socciarelli, basato su unapluralità di fonti notevole (ragguardevoli edimprescindibili quelle notarili settecente-sche, Rosati [Celano] e Buccella [Ortona deiMarsi]), è dunque una pietra miliare per laMarsica e, ne siamo certi, il fomite per ilquale tante altre strade di ricerca si dischiu-deranno (almeno questo è l’auspicio).Dicevamo dell’Ottocento e dell’impressio-ne che una minore occorrenza di eventisismici significativi abbia portato a trascura-re la messa in opera e la manutenzione ditutta quella serie di presìdi antisismici che lepopolazioni abruzzesi hanno utilizzato,nelle costruzioni, certamente sin dalQuattrocento, con risultati che persino nelVentunesimo secolo sono risultati, ovesopravvissuti a tante ristrutturazioni con-temporanee, di grandissima efficacia.Nel testo «Ita terraemotus damna impedire.Note sulle tecniche antisismiche storiche inAbruzzo» dato alle stampe pei tipi di Carsanel 2013 da Maurizio D’Antonio (un brillan-te trattato, da avere ad ogni costo nella pro-pria libreria – ci si accusa di parlare solomale: non è così, ci si sforza di separare ilgrano dal loglio, per quel poco che puòimportare il nostro parere – dove si com-prende perfettamente il ruolo nei secoli

TERRITORIinMOVIMENTOSEGNI E PRESÌDI

Il sentire dei luoghi

P er molto tempo, in anni lontani, sfo-gliando le edizioni pomeridiane dei

giornali di quel 13 gennaio 1915 e quelledei giorni immediatamente successivi,vanamente abbiamo cercato, tra le altre,invero con modalità piuttosto ingenue evolontaristiche, nelle colonne delle crona-che e nelle pieghe dei resoconti e dei rac-conti dei protagonisti e (soprattutto) deisopravvissuti, tracce su una questione chemolto ci incuriosiva, su un aspetto apparen-temente minore; tracce in grado di scioglie-re un dubbio, un dilemma che è il seguente:la scossa di magnitudo 7.0 Richter che flagel-lò i nostri avi uccidendone una moltitudine,avvenuta pochi minuti prima delle ore 8 anti-meridiane di mercoledì 13, fu preceduta dadelle scosse di avvertimento se non, addirittu-ra, da uno di quei fenomeni che oggi si defini-scono “sciami sismici”?Tale questione – risol-ta negativamente da coloro che si sonoapprofonditamente applicati allo studio delfenomeno fisico e scientifico del sisma del1915, ricercando i dati dell’epoca: nel sensoche nulla risulta esser stato registrato di pre-cedente dagli apparecchi rilevatori (benin-teso: gli apparecchi in uso a quell’epoca,non in grado di catturare intensità basse) –rimandava in realtà a quella più vasta cheinerisce al sentimento del pericolo avverti-to, ovvero: quanto erano coscienti, i nostriprogenitori e gli zii e le zie che non ci sono più(stati), del fatto che vivessero in un territoriosensibile, dove avrebbero potuto occorrerefenomeni disastrosi?Ad onore del vero, alla luce dei recenti acca-dimenti aquilani del 6 aprile 2009, con lo“sciame” in atto dal dicembre 2008, moltoabbiamo riconsiderato e speculato suquanto e come potessero, cento anni orsono, essere consci della sismicità dei loropaesi i cittadini che li popolavano; nel sensoche abbiamo rivalutato potentemente inostri avi, che certo non erano dotati di tuttiquelli strumenti di conoscenza che oggiproducono sì miserevoli risultati; risultatiche spesso stigmatizziamo persino neicomportamenti e nel contegno delleAutorità preposte a tutelare l’integrità ditutti, in tema di prevenzione.Oltre che in ragioni di ordine etnografico-sociologico (sino all’Ottocento i terremotierano collettivamente intesi, alle nostre lati-tudini, come una punizione inviata-commi-nata dalla Divinità per l’inosservanza, daparte dei fedeli, del rispetto dei precetti del

REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI AVEZZANO N. 118/94 - DIRETTORE RESPONSABILE ANGELOVENTI - REDAZIONE LOC. PETOGNA 15, LUCO DEI MARSI - ANNO XXIII - NUOVA SERIE - NUMERO 13 (GENNAIO 2016) - DISTRIBUZIONE GRATUITA

COLLETTIVO 15

vivere virtuoso e ligio ai canoni religiosi),crediamo potrebbe ravvisarsi qualche spie-gazione della “sorpresa” che accolse il disa-stro del 1915 nella minore occorrenza atte-stata dell’attività sismica nell’Ottocento(seppur con il forte terremoto di Maglianodei Marsi del 1904). Ci ha (ri)confermati inquesta impressione la lettura del recentelavoro di Antonio M. Socciarelli su «I terre-moti nella Marsica precedenti il 1915 nelladocumentazione d’archivio» pubblicatonella prestigiosa rassegna dei “Quaderni diGeofisica” (anno 2016, n. 132), ove effettiva-mente, fatti salvi i dati del Catalogo dei ter-remoti italiani dall’anno 1000 al 1980 delCNR, emerge la minor incidenza, nel XIXsecolo, del fenomeno sismico nelle nostrezone. Almeno a giudicare dalla documenta-zione storica che, sino all’introduzione diuna misurazione oggettiva per mezzo dellemoderne apparecchiature tecniche (epo-pea anche questa ottocentesca, figlia delpositivismo – anche se incarnata in massi-ma parte da religiosi, che curarono l’instal-lazione ed il funzionamento dei primi osser-vatori, tra i quali, non a caso, quello aquila-no – da par suo narrata, tra gli altri, nellaimminenza della ricorrenza centenaria, daldottor Fabrizio Galadini) costituisce l’ele-mento fondante per ricostruire quanti equali siano stati i terremoti succedutisi neisecoli (nuova frontiera sono le indagini stra-tigrafiche).L’abstract del lavoro di Socciarelli ci informache il lavoro

intende fornire un quadro d’insiemesulla sismicità precedente il 1915, attra-verso il reperimento delle tracce dei ter-remoti del passato nella documentazio-ne d’archivio, sia tra quelle già scanda-gliate sia tra il materiale che attendeancora di essere inventariato e sistema-tizzato. Le testimonianze che di seguitosaranno presentate sono state per lo piùraccolte nell’Archivio storico Diocesanodei Marsi (Avezzano), in alcuni Archivi diStato, in quelli parrocchiali, notarili e pri-vati di diversi centri d’Abruzzo. Le evi-denze manoscritte mettono in luce, al dilà dei dati macrosismici riferibili ai granditerremoti del 1456, del 1703 e del 1706,per i quali si riscontra una ricorrenzaabbastanza dilatata nel tempo, tutta unaserie di eventi riconducibili a una sismi-cità locale e più o meno al di sotto della CONTINUA IN ULTIMA PAGINA

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AVEZZANOTerritori in movimento

Un luogo identitario “fallito”DI GIUSEPPE PANTALEO

N ell’aprile 2013 il sindaco mi chiese inmodo informale qualche idea per le

celebrazioni del Centenario. Io gli risposidi tenere la memorazione – finalmente –in piazza san Bartolomeo: Avezzano e isuoi abitanti si sono ritrovati intorno aquel largo per diversi secoli. (Tutto qua).Non ha dato ascolto al mio consiglio –non m’interessa il perché.Si è avuto notizia di qualcosa riguardantequel posto a metà gennaio. C’è chi hascritto di «riqualificazione funzionale eambientale» e addirittura di «un nuovocarattere architettonico significativo per ilquartiere qualificante al livello urbano» (L.Di Giampietro, Deo Gratias, piazza SanBartolomeo si rifarà il trucco, in«IlGiornale24» 14 gennaio 2016).Giovanni Di Pangrazio spiega la sua inizia-tiva: «il nostro obiettivo è quello di lascia-re un segno del centenario del terremotoalla città e lo faremo con il nuovo parco diSan Bartolomeo» (La città ricorda il sismadel 1915, Di Pangrazio: piazza SanBartolomeo luogo di aggregazione, in

«MarsicaLive» 14 gennaio 2016). SegueGiovan Battista Pitoni: «tornerà a essereun luogo per le famiglie, per i bambini eper gli anziani» (MarsicaLive 14 gennaio2016, cit.).Manca essenzialmente una conoscenzadell’area in cui si vuol intervenire, secon-do me. È bene dire tra noi che stiamodiscutendo di un’area residuale: essa èdiventata tale – anche una parte di via O.Mattei, purtroppo – in seguito alla realiz-zazione dell’area archeologica. Non c’èstata una logica dietro l’ultima: si richie-deva giusto un’area archeologica comeve ne sono in alcune città italiane – comeun palazzo del ghiaccio, un’isola pedona-le o un altro «tema» recente. (AntonelloFloris – gli va riconosciuto – ha risparmia-to agli avezzanesi l’illusione di migliaia divisitatori l’anno).Non solo, bisogna anche ricordare piazzasan Bartolomeo almeno negli ultimi qua-rant’anni: un luogo di passaggio per dipiù poco frequentato.La vicenda mi rammenta l’altra di piazza

del Mercato: ci si ritrova in città uno spa-zio degradato in qualche modo e si provaa riqualificarlo ma il gioco non riesce per-ché non si risale ai motivi della sua crisi(cfr.: Il Martello del Fucino 15 2013). (In pro-posito: al sottoscritto sta bene l’attualesituazione con gli alberi al loro posto e lasistemazione dei commercianti nellanuova struttura nella parte sud della piaz-za – era solo una questione d’igiene darisolvere, in fondo).Si tratta di appiccicare l’etichetta «parco»a un probabile ampliamento del (trascu-rato) verde presente in piazza sanBartolomeo. Giusto all’ampliamento, con-siderando l’incuria in cui versano da alme-no un paio di decenni le aree verdid’Avezzano; c’entra poco anche il terminearchitettura e ancor meno l’assetto dellacittà, mentre è appena passabile restyling.Sono sostanzialmente d’accordo con lapedonalizzazione dell’area ma sono scet-tico sulla futura affluenza in detto parco –una volta portato a termine – di famiglie,bambini e anziani.

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Territori in movimento / per Centenario terremoto 13 gennaio 1915 2/3NUMERO 13 - GENNAIO 2016

MonsignorLucio Rennacelebraa San Bartolomeoin onoredi madreMaria TeresaCucchiari(Roma 1734,Avezzano 1801),fondatricedelle Maestrepie trinitarie(anno 2000)

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Territori in movimento / per Centenario terremoto 13 gennaio 1915 4NUMERO 13 - GENNAIO 2016

rivestito da volte leggere e palchi, capriateimpalettate, radiciamenti, catene e incatena-menti / l’autore è anche intervenuto qualerelatore al convegno INGV del 17 gennaio2015 a Pescina, evento del quale sono inpredisposizione gli atti) si legge, a pagina81, che

[…] nell’Ottocento si assiste ad una certatrascuratezza nei confronti della preven-zione sismica, che è conseguenza di unaprogressiva perdita di conoscenza delsapere settecentesco. Questo è da attri-buire a due ordini di ragioni: innanzituttola diversa impostazione rispetto al pro-blema sismico manifestata a livellonazionale dallo Stato unitario rispetto aquello borbonico; la seconda, riferibilepiù direttamente all’abito locale, dovutaal fatto che nelle aree interne abruzzesidurante l’Ottocento si sono avuti rari ter-remoti e di lieve entità, per cui il ricordodei danni e delle sofferenze si era affievo-lito […] Infatti ogni volta che si è riuscitiad individuare qualche accorgimento

utile a mitigare il rischio sismico lo si èadottato per limitati periodi di tempoper poi dimenticarlo e tornare nuova-mente a riscoprirlo dopo il successivoterremoto. Ma esistono anche ragioniinsite nel processo di produzione delleconoscenze, che non è sempre lineare,ma talora contrastato […]

… il ricordo dei danni e delle sofferenze si eraaffievolito…:ma i nostri trisavoli ricordavanodunque con una diversa modalità?Certamente sì, il tramandare era senz’altromaggiormente connesso all’oralità ma era,pure, senz’altro più stabile, meno volatile,più circoscritto, e dunque potrebbe configu-rarsi un torto quello di voler fare i nostri avimeno coscienti, consapevoli di noi (in speciein presenza di una diffusa resipiscenza, inpieno nuovo Millennio, di fenomeni diffusidi ignoranza del rischio sismico, sottovaluta-zione, irrisione plateale dello stesso).Immerse in un universo mentale totalmentedifferente (ed anche fisicamente altro: azzec-cate le parole dell’amico Pantaleo su quanto,

oggi, non allora, si conosca così poco ilnostro Territorio – e la ragione risiede anchenella sua trasmutazione dopo il 1915, e dal-l’ondata successiva al boom economico del-l’edilizia sparsa e di un aberrante consumo disuolo agricolo), con risorse materiali e tecni-che nemmeno lontanamente comparabilicon quelle odierne, le trascorse generazioniparrebbero non aver dato prova peggioredella nostra in ordine alla consapevolezza di(dover) convivere con un pericolo comequello sismico del quale esse sconoscevanoassolutamente le cause (ed il rimedio adot-tato di “abbandonare”, nella sostanza, con il1915, santi molto venerati nella Marsica,Bartolomeo ed Emidio, evidentemente è inluogo di quello che oggi potrebbe essere ilricorrere alla microzonazione sismica). Senzaconoscere le faglie, chi ci ha preceduti halasciato una autentica foresta di segni e disimboli, bene esemplificati dalle chiavi deitiranti che è possibile ammirare, dalle piùpiccole (antiche) alle più grandi, sui cantonidei palazzi di un’intera vastissima regionemontana, a “tenere” incatenate le abitazioni.

Diversa sensibilità

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C ome detto e scritto più volte, monsi-gnor Pio Marcello Bagnoli (1859-

1945), vescovo dei Marsi dal 1911 sino allamorte, per noi non è un diavolo; certamen-te non è un santo. Rappresenta una figura ilcui operato meriterebbe un’analisi menomanichea: non i toni apologetici e gli annul-li postali di alcuni, non la dissacrazione aprescindere di altri. Detto questo – e fattesalve le responsabilità che in riferimento allatutela complessiva del vecchio centro sono incapo a tutti indistintamente i cittadini diPescina, da cento anni fa sino ad oggi – risul-ta difficile non notare alcuni atteggiamentiambivalenti di costui. Nei precedenti nume-ri abbiamo accennato al trasporto diBagnoli verso la città di Avezzano (ove uffi-cialmente viene stabilita la sede dellaDiocesi, dall’anno 1924) e la corrispondenteritrosia, invero non solo del vescovo, a met-tere mano al palazzo vescovile di Pescina,danneggiato dal sisma ma non abbattuto(lo sarà se non dopo la seconda guerramondiale: trent’anni di strutture danneg-giate all’addiaccio). Tra le particolarità diun’epoca dura, registriamo il voto che ilnotaio Serafino Macarone – regio delegatospeciale per l’amministrazione del munici-pio di Pescina – adottò nel febbraio 1916,onde chiedere la tutela di quel bene algoverno (la fiducia potesse ottenersi dalvescovo, emigrato altrove lo stesso giornodel sisma, pare sia stata minima, sin dallasommossa che nel marzo 1915 costrinse gli

emissari del vescovoa lasciare in unbaracca di Pescinal’archivio dellaDiocesi, già prontoper il trasloco).Immediatamentedopo questa delibe-ra, per altri fatti(dichiarazioni asseri-tamente contro laguerra mondiale incorso: in particolaresul tradimento con-sumato dall’Italiaverso gli austriaci), ilnotaio finisce sottoprocesso e torna acasa. Difficile tutta-via stabilire un nesso tra il voto al governoper riparare il palazzo vescovile (e, implicita-mente, a far restituire il vescovo in quellache era la sua sede da diversi secoli) e larimozione dalla guida del comune. Trattasidi coincidenza.

L’altro documento è dell’anno 1930.Monsignor Bagnoli scrive al gerarca fascistaCornelio Di Marzio, e qui si nota un diversoporsi del prelato verso il centro che lo haaccolto dopo il transito al palazzo ducale diTagliacozzo:

[…] E’ triste la posizione della Marsica in

genere e di Avezzano in modo speciale!Con tuttociò io mi sono lanciato, ho firma-to un contratto di circa sette milioni per laCattedrale, alla quale si lavora con energia,e non ho che il solo 50%! Iddio provvederà!Vi sono ancora altre 22Chiese da riedificar-si completamente, ma col solo 50% che lalegge accorda è impossibile sperarlo. Unaqualche speranza di essere aiutato dalGoverno, l’ho per la Cattedrale, ma soleparole…! […]

Sette milioni dell’epoca sono oltre sei milio-ni di euro attuali. Decisamente un altro tra-sporto.