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Queste tre immagini del cervello, ottenute con la tecnica della to- mografia a emissione di positroni, mostrano come la demenza in- dotta dall'HIV possa avere una remissione in seguito a trattamento con azidotimidina (AZT). Le regioni in rosso e in giallo corrispon- dono ad aree di elevata attività metabolica. La sezione in alto è quella di un individuo sano. Quella in basso a sinistra si riferisce a un paziente affetto da demenza dovuta a infezione da HIV; essa mostra un'attività ridotta in diverse regioni cerebrali. La sezione in basso a destra è dello stesso paziente dopo trattamento con AZT. L'attività metabolica è ritornata a livelli quasi normali e anche le funzioni intellettive sono migliorate. Le tomografie sono state rea- lizzate da Steven M. Larson, Gary Berg e Arturo Brunetti del Clinical Center dei National Institutes of Health. L'AZT utilizzata nei nostri studi è stata fornita dai Wellcome Research Laboratories. Terapie per l'AIDS L'unico farmaco già introdotto nell'uso clinico è l'AZT, ma conoscenze sempre più approfondite sull'HIV dovrebbero consentire la preparazione di composti che interrompano specifiche fasi del ciclo vitale del virus di Robert Yarchoan, Hiroaki Mitsuya e Samuel Broder N el 1984, quando si dimostrò con sicurezza che l'AIDS era cau- sata dal virus dell'immunodefi- cienza dell'uomo (HIV), molti ricerca- tori e medici dubitarono di poter mai trovare un farmaco in grado di attaccare direttamente il virus. I loro timori erano comprensibili: i passati tentativi di otte- nere farmaci antivirali avevano rivelato soltanto un piccolo gruppo di agenti ef- ficaci. Per di più i retrovirus come l'HIV sono bersagli particolarmente elusivi: essi sono in grado di integrarsi nel geno- ma delle cellule dell'organismo, dove possono rimanere latenti e sfuggire all'i- dentificazione per molti anni. Nel caso dell'HIV il problema è aggra- vato dalla capacità del virus di infettare una gran quantità di tessuti e di cellule dell'organismo. In particolare, esso può occultarsi in cellule del sistema nervoso centrale, dove è protetto dalla barriera ematoencefalica che molti farmaci non possono attraversare. Anche se alcuni farmaci potessero attraversare la barrie- ra, le cellule cerebrali danneggiate dal virus non sarebbero più in grado di gua- rire. Inoltre patologie secondarie asso- ciate all'AIDS, quali il sarcoma di Kapo- si, i linfomi e certe infezioni opportuni- stiche, possono dar luogo a complicazio- ni talvolta difficili da sconfiggere. La complessità dell'HIV, associata alla na- tura devastante della malattia stessa, ha portato molti a considerare l'AIDS co- me un problema straordinariamente im- pegnativo e forse insolubile. Questa previsione infausta, tuttavia, è stata rapidamente ridimensionata. Una indagine sulle sostanze antivirali già di- sponibili, iniziata nel nostro laboratorio al National Cancer Institute (NCI), ha imposto all'attenzione la azidotimidina (AZT), un farmaco che si è dimostrato in grado di prolungare la vita di certi pazienti colpiti da AIDS. Negli ultimi quattro anni, i ricercatori sono giunti a comprendere il ciclo vitale del virus del- l'AIDS forse meglio di quello di qualsia- si altro virus e, grazie a queste conoscen- ze, abbiamo iniziato a mettere a pun- to razionalmente terapie farmacologiche mirate agli specifici stadi durante i quali il virus potrebbe essere vulnerabile. QQ ualsiasi agente terapeutico contro un'infezione causata da un organi- smo patogeno, sia esso virus, batterio, fungo o protozoo, deve o uccidere il pa- togeno o impedirne la proliferazione; e questo senza danneggiare in modo signi- ficativo l'ospite infettato. In genere, questi farmaci svolgono il loro compito interferendo con un processo biochimi- co tipico dell'agente patogeno. Nel caso dei batteri ciò è relativamente semplice, poiché vi sono molte differenze fra la struttura e il metabolismo delle cellule batteriche e di quelle dei mammiferi. La penicillina, per esempio, interferisce.con la sintesi delle pareti cellulari dei batteri; essa non danneggia quindi le cellule dei mammiferi, che sono prive di pareti. I virus rappresentano un problema più arduo. Essi sono semplicemente «pac- chetti» di materiale genetico (RNA nel caso del virus dell'AIDS) avvolto da gli- coproteine e lipidi. Essi non possono re- plicarsi da soli, ma devono infettare le cellule di un altro organismo e «requisi- re» l'apparato genetico della cellula per potersi riprodurre. Quando i virus sono in fase di replicazione attiva, è spesso difficile distinguere tra le proteine virali che interagiscono con la cellula e le pro- teine della cellula ospite stessa. Lo stret- to coinvolgimento della cellula ospite in molti stadi del ciclo vitale del virus rende difficile trovare agenti che inibiscano se- lettivamente la replicazione virale, ap- portando contemporaneamente il mini- mo danno possibile all'ospite. Per di più, virtualmente nessun farma- co, neppure la penicillina, è completa- mente privo di effetti collaterali e di tos- sicità. Bisogna perciò sempre considera- re il rapporto tra il danno portato all'a- gente patogeno e il danno subito dall'or- ganismo che lo ospita. Un aspetto essen- ziale di ogni potenziale farmaco è il suo «indice terapeutico», ossia il rapporto tra il dosaggio tossico e quello efficace. I farmaci che servono a curare malattie lievi devono avere un alto indice tera- peutico. Per una malattia dagli effetti le- tali come l'AIDS, si devono accettare farmaci con un indice terapeutico più basso, almeno all'inizio. Alla luce di quanto abbiamo detto, si devono cominciare a valutare alcune considerazioni relative alla ricerca di agenti terapeutici contro il virus del- l'AIDS. Nell'estate del 1984 due di noi (Mitsuya e Broder) ottennero colture di virus dell'AIDS dal gruppo di Robert C. Gallo e iniziarono a sperimentare l'atti- vità di numerose sostanze contro di esso. Molti ricercatori avevano precedente- mente dimostrato l'attività di diverse di queste sostanze contro i retrovirus del topo (tra di essi vi erano Wolfram Osser- tag del Max Planck Institut di Góttin- gen , Philip Furmanski della Michigan Cancer Foundation, Joel A. Huberman della Roswell Park Memorial Institution ed Eric De Clercq dell'Istituto Rega di Lovanio, in Belgio). Il loro lavoro era rimasto per anni relativamente in ombra perché non era ancora stato identificato alcun retrovirus patogeno umano e, in ogni caso, molti ritenevano che le infe- zioni da retrovirus fossero per loro natu- ra incurabili. L'urgenza di mettere a punto un farmaco contro l'AIDS ravvivò il nostro interesse per questi primi lavo- ri. Entro il giugno 1985 avevamo scoper- to che 15 farmaci, dei 300 sperimentati, erano in grado di bloccare la replicazio- ne dell'HIV in provetta. Uno di questi era la 3'-azido-2',3'-di- desossitimidina, o AZT (chiamata an- che azidotimidina o zidovudina). Ini- ziammo un intenso lavoro per sviluppare l'AZT come farmaco adatto per la tera- pia dell'AIDS e fummo in grado di som- ministrarla al primo paziente il 3 luglio 1985. Per la fine dell'anno avevamo con- cluso, insieme a ricercatori della Duke University e dei Wellcome Research La- boratories di Durham, North Carolina, 118 119

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Queste tre immagini del cervello, ottenute con la tecnica della to-mografia a emissione di positroni, mostrano come la demenza in-dotta dall'HIV possa avere una remissione in seguito a trattamentocon azidotimidina (AZT). Le regioni in rosso e in giallo corrispon-dono ad aree di elevata attività metabolica. La sezione in alto èquella di un individuo sano. Quella in basso a sinistra si riferiscea un paziente affetto da demenza dovuta a infezione da HIV; essa

mostra un'attività ridotta in diverse regioni cerebrali. La sezionein basso a destra è dello stesso paziente dopo trattamento con AZT.L'attività metabolica è ritornata a livelli quasi normali e anche lefunzioni intellettive sono migliorate. Le tomografie sono state rea-lizzate da Steven M. Larson, Gary Berg e Arturo Brunetti delClinical Center dei National Institutes of Health. L'AZT utilizzatanei nostri studi è stata fornita dai Wellcome Research Laboratories.

Terapie per l'AIDSL'unico farmaco già introdotto nell'uso clinico è l'AZT, ma conoscenzesempre più approfondite sull'HIV dovrebbero consentire la preparazionedi composti che interrompano specifiche fasi del ciclo vitale del virus

di Robert Yarchoan, Hiroaki Mitsuya e Samuel Broder

N

el 1984, quando si dimostrò consicurezza che l'AIDS era cau-sata dal virus dell'immunodefi-

cienza dell'uomo (HIV), molti ricerca-tori e medici dubitarono di poter maitrovare un farmaco in grado di attaccaredirettamente il virus. I loro timori eranocomprensibili: i passati tentativi di otte-nere farmaci antivirali avevano rivelatosoltanto un piccolo gruppo di agenti ef-ficaci. Per di più i retrovirus come l'HIVsono bersagli particolarmente elusivi:essi sono in grado di integrarsi nel geno-ma delle cellule dell'organismo, dovepossono rimanere latenti e sfuggire all'i-dentificazione per molti anni.

Nel caso dell'HIV il problema è aggra-vato dalla capacità del virus di infettareuna gran quantità di tessuti e di celluledell'organismo. In particolare, esso puòoccultarsi in cellule del sistema nervosocentrale, dove è protetto dalla barrieraematoencefalica che molti farmaci nonpossono attraversare. Anche se alcunifarmaci potessero attraversare la barrie-ra, le cellule cerebrali danneggiate dalvirus non sarebbero più in grado di gua-rire. Inoltre patologie secondarie asso-ciate all'AIDS, quali il sarcoma di Kapo-si, i linfomi e certe infezioni opportuni-stiche, possono dar luogo a complicazio-ni talvolta difficili da sconfiggere. Lacomplessità dell'HIV, associata alla na-tura devastante della malattia stessa, haportato molti a considerare l'AIDS co-me un problema straordinariamente im-pegnativo e forse insolubile.

Questa previsione infausta, tuttavia, èstata rapidamente ridimensionata. Unaindagine sulle sostanze antivirali già di-sponibili, iniziata nel nostro laboratorioal National Cancer Institute (NCI), haimposto all'attenzione la azidotimidina(AZT), un farmaco che si è dimostratoin grado di prolungare la vita di certipazienti colpiti da AIDS. Negli ultimiquattro anni, i ricercatori sono giunti acomprendere il ciclo vitale del virus del-l'AIDS forse meglio di quello di qualsia-si altro virus e, grazie a queste conoscen-

ze, abbiamo iniziato a mettere a pun-to razionalmente terapie farmacologichemirate agli specifici stadi durante i qualiil virus potrebbe essere vulnerabile.

QQualsiasi agente terapeutico controun'infezione causata da un organi-

smo patogeno, sia esso virus, batterio,fungo o protozoo, deve o uccidere il pa-togeno o impedirne la proliferazione; equesto senza danneggiare in modo signi-ficativo l'ospite infettato. In genere,questi farmaci svolgono il loro compitointerferendo con un processo biochimi-co tipico dell'agente patogeno. Nel casodei batteri ciò è relativamente semplice,poiché vi sono molte differenze fra lastruttura e il metabolismo delle cellulebatteriche e di quelle dei mammiferi. Lapenicillina, per esempio, interferisce.conla sintesi delle pareti cellulari dei batteri;essa non danneggia quindi le cellule deimammiferi, che sono prive di pareti.

I virus rappresentano un problema piùarduo. Essi sono semplicemente «pac-chetti» di materiale genetico (RNA nelcaso del virus dell'AIDS) avvolto da gli-coproteine e lipidi. Essi non possono re-plicarsi da soli, ma devono infettare lecellule di un altro organismo e «requisi-re» l'apparato genetico della cellula perpotersi riprodurre. Quando i virus sonoin fase di replicazione attiva, è spessodifficile distinguere tra le proteine viraliche interagiscono con la cellula e le pro-teine della cellula ospite stessa. Lo stret-to coinvolgimento della cellula ospite inmolti stadi del ciclo vitale del virus rendedifficile trovare agenti che inibiscano se-lettivamente la replicazione virale, ap-portando contemporaneamente il mini-mo danno possibile all'ospite.

Per di più, virtualmente nessun farma-co, neppure la penicillina, è completa-mente privo di effetti collaterali e di tos-sicità. Bisogna perciò sempre considera-re il rapporto tra il danno portato all'a-gente patogeno e il danno subito dall'or-ganismo che lo ospita. Un aspetto essen-ziale di ogni potenziale farmaco è il suo

«indice terapeutico», ossia il rapportotra il dosaggio tossico e quello efficace.I farmaci che servono a curare malattielievi devono avere un alto indice tera-peutico. Per una malattia dagli effetti le-tali come l'AIDS, si devono accettarefarmaci con un indice terapeutico piùbasso, almeno all'inizio.

Alla luce di quanto abbiamo detto, sidevono cominciare a valutare alcuneconsiderazioni relative alla ricerca diagenti terapeutici contro il virus del-l'AIDS. Nell'estate del 1984 due di noi(Mitsuya e Broder) ottennero colture divirus dell'AIDS dal gruppo di Robert C.Gallo e iniziarono a sperimentare l'atti-vità di numerose sostanze contro di esso.Molti ricercatori avevano precedente-mente dimostrato l'attività di diverse diqueste sostanze contro i retrovirus deltopo (tra di essi vi erano Wolfram Osser-tag del Max Planck Institut di Góttin-gen , Philip Furmanski della MichiganCancer Foundation, Joel A. Hubermandella Roswell Park Memorial Institutioned Eric De Clercq dell'Istituto Rega diLovanio, in Belgio). Il loro lavoro erarimasto per anni relativamente in ombraperché non era ancora stato identificatoalcun retrovirus patogeno umano e, inogni caso, molti ritenevano che le infe-zioni da retrovirus fossero per loro natu-ra incurabili. L'urgenza di mettere apunto un farmaco contro l'AIDS ravvivòil nostro interesse per questi primi lavo-ri. Entro il giugno 1985 avevamo scoper-to che 15 farmaci, dei 300 sperimentati,erano in grado di bloccare la replicazio-ne dell'HIV in provetta.

Uno di questi era la 3'-azido-2',3'-di-desossitimidina, o AZT (chiamata an-che azidotimidina o zidovudina). Ini-ziammo un intenso lavoro per svilupparel'AZT come farmaco adatto per la tera-pia dell'AIDS e fummo in grado di som-ministrarla al primo paziente il 3 luglio1985. Per la fine dell'anno avevamo con-cluso, insieme a ricercatori della DukeUniversity e dei Wellcome Research La-boratories di Durham, North Carolina,

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CD4 SOLUBILE

MODALITÀD'AZIONE

1 BLOCCODEL LEGAMETI'T

?1).* PERDITA

_ T I l id

ft

2. INIBIZIONEDELLA PERDITADEL RIVESTIMENTO

3. INIBIZIONEDELLA TRASCRIZIONEINVERSA

DEL RIVESTIMENTO

‘1/•TRASCRIZIONE

INVERSA

INTEGRAZIONE

NUCLEOTRASCRIZIONE

4 ARRESTODELLA TRADUZIONE

SINTESIDI PROTEINE

VIRALI

5. INIBIZIONE DELLAMODIFICAZIONEDELLE PROTEINE

6 INIBIZIONEDELL ASSEMBLAGGIOE DELLA GEMMAZIONE

---

MODIFICAZIONE 'N — L ,.., •

i

............_ASSEMBLAGGIO

GEMMAZIONE

Il ciclo vitale dell'HIV presenta diverse fasi vulnerabili a un attacco da parte di farmaci.Alcuni anticorpi possono bloccare il legame della glicoproteina gp120 dell'involucro viralecon i recettori CD4 delle cellule T helper (l). Altri agenti potrebbero impedire la fuoriuscitadell'RNA virale e della trascrittasi inversa dal rivestimento proteico (2). Farmaci comel'AZT e altri didesossinucleosidi impediscono la trascrizione inversa dell'RNA virale inDNA virale (3). Successivamente, oligonucleotidi «antagonisti» potrebbero bloccare latraduzione dell'm-RNA in proteine virali (4). Prima dell'assemblaggio, le proteine viralianno modificate; alcuni composti potrebbero interferire con processi quali il taglio delle

proteine o l'addizione di gruppi glucidici (5). Infine sostanze antivirali come gli interfe-roni potrebbero impedire alle particelle virali di assemblarsi e uscire dalla cellula (6).

120121

che l'AZT era attiva in alcuni pazientiinfettati da HIV. Entro il mese di set-tembre 1986 gli studi clinici condotti in12 ospedali degli Stati Uniti avevano di-mostrato che l'AZT può migliorare il pe-riodo di sopravvivenza e la qualità dellavita di pazienti colpiti da AIDS. Per laprima volta era stato dimostrato che un

farmaco può esercitare un effetto positi-vo nei confronti di un'infezione da retro-virus patogeno. Sono ora in corso in tut-to il mondo impegnative ricerche perscoprire altri agenti contro l'AIDS.

Per capire le modalità d'azione di que-sti agenti, bisogna considerare la strut-tura e il ciclo di replicazione del virus

dell'AIDS. Nell'HIV e in altri retrovirusl'informazione genetica è trasmessa indirezione inversa o «retro», dall'RNA alDNA, mentre la direzione normale peraltri organismi è dal DNA all'RNA. Iretrovirus possiedono questa capacitàgrazie a uno speciale enzima, la trascrit-tasi inversa, che è in grado di prenderel'RNA e di utilizzarlo come «stampo»per fabbricare una corrispondente cate-na di DNA.

La replicazione dell'HIV è un mecca-nismo complesso che passa attraverso ungran numero di stadi. Il rivestimento gli-coproteico esterno del virus si lega e sifonde con la membrana di una cellulaospite, permettendo all'RNA virale, in-sieme alla trascrittasi inversa, di invade-re il citoplasma della cellula. Qui latrascrittasi inversa sintetizza DNA dal-FRNA virale; quindi il DNA si inseriscenei cromosomi dell'ospite. In seguito.questo DNA «provirale» può essere ri-trascritto in RNA, che il sistema di pro-duzione proteica della cellula traduce inproteine virali. Queste proteine si as-semblano in particelle virali completeche fuoriescono dalla cellula ospite epossono infettare nuove cellule. È chia-ro che il complesso ciclo vitale dell'HIVaiuta il virus a infettare, e a eludere, lecellule del sistema immunitario. Dalpunto di vista terapeutico questa com-plessità può rivelarsi una benedizionetanto quanto una maledizione: essa for-nisce molti bersagli che gli agenti antivi-rali possono attaccare durante il ciclo vi-tale dell'HIV.

I 'primo stadio in cui un agente anti-

-HIV potrebbe intervenire è la forma-zione del legame del virus con una cellu-la. L'HIV possiede una glicoproteina dirivestimento, la gp120, che si lega forte-mente a un'altra glicoproteina, la CD4,che è presente sulla membrana di deter-minate cellule dell'organismo. La CD4 èparticolarmente abbondante sulla super-ficie di una classe di linfociti chiamati Thelper o T4, che costituisce perciò unodei principali bersagli dell'infezione daHIV. Infatti una graduale diminuzionedi queste cellule è un tratto caratteristicodell'AIDS. Normalmente, le cellule Thelper sono regolatori fondamentali delsistema di difesa immunitaria. Senza unnumero sufficiente di cellule T helperfunzionali, le persone infettate sonoesposte a infezioni opportunistiche e amanifestazioni tumorali.

Le cellule T helper infettate dall'HIVnon hanno un funzionamento regolare epossono essere uccise direttamente dalvirus. Inoltre studi in vitro hanno dimo-strato che poche cellule infettate posso-no uccidere un gran numero di cellulenon infettate tramite il processo di for-mazione di sincizi, che provoca la fusio-ne di una cellula infettata con cellule sa-ne. Jeffrey D. Lifson ed Edgar G. En-gleman della Stanford University, Wil-liam A. Haseltine del Dana-Farber Can-cer Institute e i loro colleghi hanno di-

mostrato che la formazione di sincizi ini-zia quando la gp120 delle particelle viralisulla superficie delle cellule infettate silega alla CD4 sulla superficie di cellulesane. Perciò un farmaco che interferiscacon il legame virale può non solo inter-rompere il ciclo vitale del virus, ma an-che bloccare la formazione di sincizi.

Vi sono diversi modi per impedire illegame iniziale tra l'HIV e una cellula.Si potrebbe sviluppare un anticorpo chesi leghi a un sito critico dell'involucrovirale, neutralizzando perciò la capacitàdella gp120 di legarsi alla CD4. Questoanticorpo potrebbe essere legato a unatossina; potrebbe perciò legare e distrug-gere le cellule infettate che accolgono ilvirus e producono le proteine dell'HIV,quali i macrofagi. Si potrebbero anchesviluppare anticorpi contro la CD4, matentare questa via è potenzialmente pe-ricoloso, poiché gli anticorpi attacche-rebbero le cellule immunitarie sane del-l'organismo. La maggior parte delle ri-cerche, perciò, si è concentrata sugli an-ticorpi per la gp120.

Vi sono difficoltà intrinseche nel pre-parare un anticorpo neutralizzante effi-

CELLULA

ANTICORPOPER LA CD4

REGIONE COSTANTE

cace per la gp120. Non tutti gli anticorpiper questa proteina sono in grado dibloccare il sito di legame critico per laCD4. Inoltre, i pazienti che produconoanticorpi neutralizzanti (di solito in bas-se concentrazioni) come risposta natura-le all'infezione da HIV possono ugual-mente essere colpiti dall'AIDS. Perché?Non si conosce ancora la risposta, mauna spiegazione plausibile è che l'HIVabbia un alto tasso di mutazione. Alcunevarietà possono avere nell'involucro unaglicoproteina alterata, che non può esse-re neutralizzata dagli anticorpi. Una se-conda ragione consiste forse nel fattoche le catene glucidiche delle glicopro-teine dell'involucro sono simili a quellesulla superficie delle cellule umane, cosìche l'involucro manca di sufficienti siticaratteristici a cui un anticorpo può le-garsi. Un terzo motivo può essere trova-to nel fatto che il sito di legame per laCD4 si trova in un profondo incavo dellaglicoproteina dell'involucro ed è quindirelativamente inaccessibile. Infine è pos-sibile che i siti «chiave» siano esposti solodurante il legame e rimangano altrimentinascosti al sistema immunitario.

ANTICORPOPER LA gp120

ANTI-IDIOTIPO

per superare queste difficoltà, i ricer-catori hanno tentato diverse strade.

Una consiste nel mettere a punto un an-ticorpo monoclonale che si leghi effetti-vamente a un sito critico e quindi nelclonarlo e coltivarlo in vitro. Con questometodo, Shuzo Matsushita della Kuma-moto University e colleghi hanno recen-temente prodotto un anticorpo denomi-nato 0,5-13 che neutralizza la gp120. Que-sto anticorpo blocca alcuni, ma non tut-ti, i ceppi di HIV. In futuro dovrebbeessere possibile produrre anticorpi perun più ampio spettro di ceppi virali.

Una seconda impostazione mira allarealizzazione di un «anticorpo anti-idio-tipico»: un anticorpo di un anticorpo an-ti-CD4. L'idea è che un anticorpo mo-noclonale anti-CD4 potrebbe essere si-mile al sito di legame della CD4 sullaproteina gp120, e perciò un anticorpo(l'anti-idiotipo) realizzato per questo an-ticorpo anti-CD4 (l'idiotipo) potrebbe asua volta legarsi alla gp120. Il concetto èin qualche modo analogo alla realizza-zione del negativo di un negativo foto-grafico per ottenere un positivo. Per esa-minare questa possibilità, due gruppi,

Il legame virale dipende dall'interazione della glicoproteina gp120.dell'involucro virale (inverde) con i recettori CD4 (in giallo) delle cellule T helper (a). Un anticorpo diretto controla gp120 potrebbe bloccare il sito di legame con il recettore CD4 (b); una forma solubiledi CD4 avrebbe effetto analogo (c). Un anticorpo anti-idiotipico (d) per la gp120 si ottieneprendendo un anticorpo monoclonale anti-CD4 e formando un anticorpo contro di esso.Una molecola «chimerica» (e) sarebbe più stabile della CD4 solubile in quanto avrebbesia i siti di legame per la gp120 su CD4. sia la regione costante di un'immunoglobillina.

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I sineizi sono strutture giganti polinucleate che si formano quando cellule infettate dall'HIVsi fondono con cellule sane, come si vede in questa microfotografia a contrasto di fase (asinistra). La loro formazione è dovuta al legame della glicoproteina gp120 dell'involucrovirale - presente sulla superficie della cellule infettate dall'HIV - con le molecole CD4 chesi trovano su altre cellule. Il destrano solfato, che può inibire il legame virale, impedi-sce la formazione dei sincizi in colture miste di cellule infettate e non infettate (a destra).

uno guidato da Ronald C. Kennedy del-la Southwest Foundation for BiomedicalResearch e l'altro da Peter C. L. Bever-ley dello University College di Londra,considerarono diversi anticorpi contro laCD4 che sicuramente inibivano il lega-me con l'HIV e produssero svariati an-ticorpi monoclonali per essi. Entrambi igruppi trovarono che alcuni di questi an-ticorpi anti-idiotipici si legavano all'HIVe lo neutralizzavano in vitro.

Un altro metodo consiste nel prepara-re una forma di CD4 libera, o solubile,che possa legarsi all'HIV, monopolizza-re i suoi siti di legame per la CD4 e im-pedire quindi il suo legame con la pro-teina sulla superficie di una cellula T hel-per. Molecole solubili di CD4 sono stateprodotte recentemente con i metodi delDNA ricombinante da cinque gruppi,fra cui i ricercatori della Genentech,

Biogen N. V., della Columbia Uni-versity, degli Smith Kline & French La-boratories, del Dana-Farber Cancer In-stitute e dell'Istituto di immunologia diBasilea. Queste molecole in effetti siadattano ai siti di legame per la CD4sull'involucro dell'HIV e impediscono alvirus di infettare le cellule T. Sarà pro-babilmente difficile per il virus mutare inmodo tale da perdere la sua affinità perla molecola CD4 pur mantenendo la ca-pacità di infettare le cellule T. Pensiamodi poter iniziare tra breve la sperimenta-zione Con la sostanza (chiamata rCD4)in pazienti colpiti da AIDS.

In futuro sarà forse possibile crearemolecole «chimeriche» combinando i si-ti della molecola di CD4 che si leganoall'HIV con la parte costante di una mo-

lecola di immunoglobulina umana (unanticorpo). «Anticorpi su misura» diquesto tipo presentano svariati possibilivantaggi. Pensiamo che certe parti dellacosiddetta catena pesante della molecoladi immunoglobulina siano in grado di at-tivare altri componenti del sistema im-munitario per distruggere il virus. Lamolecola chimerica agirebbe come unpoliziotto che lavori in coppia con il suocane: la CD4 rintraccia il virus e l'immu-noglobulina chiama i rinforzi. Inoltre lamolecola chimerica può rimanere in cir-colo per un periodo superiore rispettoalla CD4 solubile, poiché certe immuno-globuline hanno una lunga emivita nelcircolo sanguigno. Un approccio di que-sto tipo non è mai stato tentato nell'uo-mo, ma le somiglianze strutturali tra laCD4 e le immunoglobuline (la CD4 ap-partiene alla famiglia dei «supergeni»delle immunoglobuline) ci fanno sperareche queste chimere mantengano le pro-prietà di entrambi i tipi di molecola.

I metodi descritti in precedenza richie-dono molecole biologiche complesse chesi legano alla glicoproteina dell'involu-cro dell'HIV. Anche altre sostanze, tut-tavia, possono svolgere questo compito.Si è dimostrato che diverse grosse mole-cole solforate con carica negativa inibi-scono la replicazione dell'HIV. Un pro-totipo è il destrano solfato. Molecolecon un peso compreso tra 7000 e 8000dalton inibiscono la replicazione del-l'HIV in vitro, come hanno recentemen-te dimostrato Ryuji Ueno e SachikoKuno della Ueno Fine Chemicals Indu-stry, Ltd., di Osaka in Giappone, Ma-sahiko Ito del Fukushima Medical Col-

lege e due di noi (Mitsuya e Broder) alloNCI. Il nostro gruppo ha scoperto cheuno dei modi in cui questo composto puòagire è l'inibizione del legame virale. Siè anche osservato che il destrano solfatoinibisce la formazione di sincizi in vitro,come ci si potrebbe aspettare da una mo-lecola che blocca il legame virale.

I destrano solfati sono usati da qual-che tempo come fluidificanti del plasma,anticoagulanti e farmaci per la riduzionedel colesterolo. Questo utilizzo clinicosuggerisce (ma non prova in assoluto)che la forma anti-HIV del destrano sol-fato possa essere relativamente atossica.Rimane da verificare, tuttavia, se l'ini-bizione dell'attività virale possa essereottenuta con la somministrazione oraledel farmaco e, soprattutto, se esso siarealmente efficace contro l'AIDS. Inol-tre non sappiamo ancora come esso in-teragisca con altri farmaci assunti dai pa-zienti. Donald I. Abrams sta ora speri-mentando il prodotto al San FranciscoGeneral Hospital.

Dopo che l'HIV si è legato a una cel-lula, esso si fonde con la membrana

di quest'ultima, riversando il suo conte-nuto nel citoplasma. Qui il rivestimentoproteico interno è parzialmente rimossoper esporre l'RNA virale. Gli anticorpipotrebbero agire neutralizzando la gp41,la glicoproteina dell'involucro che favo-risce la fusione, e così impedire il pro-cesso, mentre farmaci antivirali potreb-be interferire con il processo di rimozio-ne del rivestimento.

Il bersaglio che ha attratto le maggioriattenzioni, tuttavia, è il passaggio suc-cessivo della replicazione virale: la sin-tesi del DNA virale da parte dell'enzimatrascrittasi inversa. Questa modalità diintervento è interessante perché agiscesu una fase specifica del retrovirus, senzaconseguenze per la cellula ospite. Neinostri primi tentativi per individuare unagente contro il retrovirus, ci siamo con-centrati soprattutto su questo obiettivo.In particolare abbiamo rivolto la nostraattenzione su composti appartenenti auna famiglia di inibitori della trascrittasiinversa, i didesossinucleosidi. Essi sonoanaloghi dei nucleosidi timidina, uridi-na, citidina, adenosina e guanosina, lemolecole strettamente correlate ai nu-cleotidi che fungono da costituenti delDNA e dell'RNA.

Uno di questi composti è la 3'-azido--2' ,3'-didesossitimidina, l'AZT, che ab-biamo citato in precedenza. L'AZT fusintetizzata per la prima volta nel 1964da Jerome P. Horwitz della MichiganCancer Foundation come un potenzialefarmaco anticancro. (Da questo punto divista si dimostrò inefficace anche se laBurroughs Wellcome continuò a pro-durlo.) Nel febbraio 1985 il nostro grup-po scoprì che il composto era un potenteinibitore dell'HIV in colture di cellule Ta concentrazioni variabili da uno a cin-que micromoli/litro (ovvero da circa 0,25a 1,25 microgrammi/millilitro). Inoltre il

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3' 2'

OH

2'-DESOSSITIMIDINA

2',3'-DIDESOSSIADENOSINA (DDA)

composto non era particolarmente tossi-co per le cellule T al di sotto di concen-trazioni che andavano da 20 a 50 micro-moli/litro. Subito dopo questo lavoro, sidimostrò che l'AZT era efficace in pa-zienti affetti da AIDS in concentrazionivariabili da una a cinque micromoli/litro,la quantità prevista inizialmente nellenostre sperimentazioni con le cellule T.

In che modo l'AZT protegge i linfocitidall'HIV? Essa sfrutta la sua somi-

glianza con un nucleoside, la timidi-na . Nella cellula gli enzimi addizionano

5'

OH

2'-DESOSSICITIDINA

2'-DESOSSIADENOSINA

gruppi fosfato all'AZT (con il processochiamato fosforilazione) e la convertonoin AZT trifosfato, la forma attiva delfarmaco. (L'AZT trifosfato non può es-sere somministrato direttamente poichéle cellule non sono in grado di assorbir-lo.) L'AZT trifosfato è un analogo deltimidintrifosfato , uno dei costituenti delDNA, e sembra che inibisca la produzio-ne del DNA virale con almeno due mec-canismi: l'inibizione competitiva e la ter-minazione di catena.

Nella inibizione competitiva, l'AZTtrifosfato si lega alla trascrittasi inversa

N3

3'-AZIDO-2',a-DIDESOSSITIMIDINA (AZT)

H

2',3'-DIDESOSSICITIDINA (DDC)

in un sito normalmente specifico per inucleosidi trifosfati dell'organismo. Nel-la terminazione di catena la trascrittasiinversa viene «convinta» a incorporarel'AZT trifosfato in una catena in forma-zione di DNA virale al posto del timidin-trifosfato. Quando l'enzima cerca di ag-giungere un nuovo elemento alla catena,è ostacolato dal fatto che l'AZT trifosfa-to non possiede il gruppo ossidrile (OH)necessario per formare il legame chimicocon il nuovo costituente. Il virus non puòrimediare a questo errore e la sintesi delDNA virale si arresta.

Anche altri didesossinucleosidi attivicontro l'HIV sembrano agire con questimeccanismi. Tutti questi composti sem-brano essere attivi contro un gran nume-ro di retrovirus (in effetti contro tuttiquelli sperimentati fino a ora), ma soloquando sono nella forma trifosfato. Laloro efficacia terapeutica, quindi, dipen-de in parte dalla facilità con cui penetra-no all'interno della cellula e con cui ven-gono fosforilati dalle chinasi cellulari. Ineffetti questo processo avviene preferi-bilmente con alcuni composti: per esem-pio, la 2' ,3'-didesossitimidina (che èanaloga all'AZT, ma ha un atomo diidrogeno al posto del gruppo azidico N3)è fosforilata in modo inefficace nelle cel-lule umane e così risulta meno potentedell'AZT contro l'HIV. Inoltre il modoin cui questi composti vengono fosfori-lati è estremamente variabile da specie aspecie: gli animali, perciò, non costitui-scono un modello affidabile per preve-dere se un particolare didesossinucleosi-de sarà efficace negli esseri umani.

Un'altra questione è se una mutazionesia o no in grado di alterare la trascrittasiinversa virale in modo che essa non siapiù inibita dall'AZT. Questa non è puraspeculazione: in effetti l'AZT funzionaperché la trascrittasi inversa del virus difatto «preferisce» l'AZT trifosfato e ten-de a legarlo e a incorporarlo nella catenaal posto del timidintrifosfato. Le DNA--polimerasi delle cellule dei mammiferi,invece, non prediligono l'AZT trifosfa-to , così che la cellula ospite può conti-nuare a funzionare. Anche la trascrittasiinversa potrebbe essere alterata in mododa non preferire l'AZT trifosfato.

Nel tentativo di studiare questo pro-blema, Brendan A. Larder, Graham K.Darby e colleghi ai Wellcome ResearchLaboratories nel Regno Unito mutaro-no la trascrittasi inversa dell'HIV in mo-di specifici. Essi scoprirono che alcunedelle trascrittasi inverse alterate eranopiù resistenti all'inibizione da parte del-l'AZT trifosfato, ma che la loro attivitànormale era tuttavia ostacolata. Nessu-no sa se i virus portatori di tali mutazionipossano essere infettivi o causare unamalattia: più precisamente, non si ha lacertezza che mutanti resistenti all'AZTpossano svilupparsi nei pazienti.

Un altro punto da tenere in conside-razione riguardo ai didesossinucleosidi èche, data la loro somiglianza con impor-tanti composti chimici delle cellule, essi

Alcuni didesossinucleosidi (molecole a destra) potrebbero dimostrarsi farmaci efficaci con-tro l'HIV a causa della loro somiglianza con i desossinucleosidi (a sinistra), i «mattoni» delDNA. Entrambi i tipi di molecola sono composti da una base azotata - qui timina (7),citosina (C) o adenina (A) - legata a un anello glucidico. Un gruppo ossidrile (OH) sull'a-nello forma il legame che unisce un nucleotide all'altro nella catena di DNA. Nei didesos-sinucleosidi il gruppo ossidrile è sostituito da un altro gruppo incapace di formare il legame.

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L'AZT trifosfato (in rosso) agisce arrestando la sintesi del DNAvirale. La trascrittasi inversa (in giallo) si lega all'RNA virale e auna molecola di lisina tRNA-3, che costituisce il punto di partenzaper la catena di DNA. La crescita del filamento avviene nel solcodi legame dell'RNA che funge da stampo. (Dopo che il filamento diDNA è completato, la ribonucleasi H rimuove l'RNA perché ilsecondo filamento di DNA si formi al suo posto.) Enzimi cellulari

addizionano tre gruppi fosfato (punti in nero) ai nucleosidi, comela timidina, ma anche agli analoghi come l'AZT. Normalmente latrascrittasi inversa taglia via due dei gruppi fosfato e il grupporimanente forma un legame fosfodiestere con l'ossidrile al terminedella catena. Se però viene addizionato AZT trifosfato, non possonoessere legati ulteriori nucleotidi perché il gruppo azidico (N3) nonpuò formare il legame e quindi la sintesi del DNA virale si ferma.

RNA VIRALE

DIREZIONEDEL MOVIMENTO

LISINA tRNA-3

5

SOLCO DI LEGAME DELL'RNA «STAMPO»

SITO DI LEGAME DNA VIRALE SINTETIZZATO

CENTRO CATALITICO DELLA POLIMERASI

5'

Gli oligonucleotidi «antagonisti» sono segmenti di DNA comple-mentari a una porzione dell'm-RNA dell'HIV. Si pensa che essi sileghino all'm-RNA virale e impediscano così ai ribosomi di tradurloin proteine virali. Tuttavia gli oligonucleotidi vengono rapidamente

degradati dagli enzimi cellulari. Per renderli resistenti è possibileinserire un atomo di zolfo (in giallo) al posto di un ossigeno sullegame fosfato fra i nucleotidi. Il fosforotioato risultante è resisten-te alla degradazione e può inibire l'espressione dell'HIV in vitro.

IN FORMAZIONE

OLIGODESOSSINUCLEOTIDEFOSFOROTIOATO «ANTAGONISTA»

m-RNA VIRALE

possono interagire con un gran numerodi enzimi nell'organismo. Per esempio la2' ,3'-didesossiadenosina (DDA) nellaforma trifosfato è un potente inibitoredell'HIV in vitro, ma è più probabileche nell'organismo venga convertita dal-l'onnipresente enzima adenosindeami-nasi in 2' ,3'-didesossiinosina (DDI), chenella sua forma fosforilata è debolmen-te attiva contro l'HIV. Tuttavia la DDIè efficace contro l'HIV in coltura perchéviene essa stessa metabolizzata a DDAtrifosfato nelle cellule; anzi, questa puòessere di fatto la via principale attra-verso cui la DDA viene fosforilata nel-l'organismo. Tuttavia, in casi meno for-tunati, altri composti potrebbero sem-plicemente essere convertiti in metabo-liti inutili prima di raggiungere le cellulebersaglio.

Dopo che un filamento di DNA è sta-to copiato dall'RNA virale, la tra-

scrizione inversa procede verso un ulte-riore stadio: la sintesi di una seconda co-pia del primo filamento di DNA. Anchedurante questa fase è possibile interve-nire. Si potrebbe, per esempio, cercaredi interferire con l'enzima virale ribonu-cleasi H, che rimuove ordinatamentel'RNA virale dopo che è stata realizzatala prima copia di esso in DNA, lasciandoperciò spazio per il secondo filamento diDNA. E possibile anche bloccare un al-tro enzima, l'integrasi virale, che si pen-sa agisca come una «cesoia» chimica chetaglia il DNA della cellula ospite primadi inserire il DNA virale nel punto deltaglio.

L'ulteriore bersaglio per un'azione te-rapeutica si presenta dopo un certo tem-po nel ciclo dell'HIV, quando la cellulaospite è attivata. La cellula può iniziarea produrre nuove proteine o recettori esi può dividere. Lo stesso processo cheattiva la cellula può anche innescare latrascrizione e la traduzione del DNA vi-rale in proteine virali. Noi e altri ricer-catori stiamo cercando di scoprire sequesto processo possa essere interrottocon l'uso di «oligonucleotidi antagoni-sti», metodo suggerito per la prima voltada Paul C. Zamecnik, della WorcesterFoundation for Experimental Biology,più di 15 anni fa. L'idea è di prepararebrevi sequenze di nucleotidi, o oligonu-cleotidi, che siano complementari a unaparte dell'RNA messaggero (m-RNA)virale. (L'm-RNA agisce nella «direzio-ne» corretta, cioè codifica direttamenteper le proteine, mentre questi oligonu-cleotidi sono «antagonisti» in quanto so-no complementari all'm-RNA.) Questicomposti possono legarsi a sequenze dim-RNA virale con il processo dell'ibri-dazione, impedendo probabilmente airibosomi della cellula di muoversi lungol'RNA e perciò arrestando la traduzionedell'RNA in proteine virali. Questo pro-cesso è detto blocco della traduzione oblocco dell'ibridazione ribosomale.

Uno svantaggio degli oligonucleotidi èche molti di essi possono essere degra-

dati da enzimi della cellula ospite. Tut-tavia, possono essere resi più resistentimodificando certi legami fosforici tra inucleotidi. Per esempio, è possibile so-stituire con un atomo di zolfo uno degliatomi di ossigeno, formando un fosforo-tioato. Makoto Matsukura, del nostrogruppo, insieme a Gerald Zon della Ap-plied Biosystems, Inc. , e a Jack C.Cohen e Cy A. Stein dell'NCI, ha recen-temente scoperto che fosforotioati «an-tagonisti» di questo tipo possono in ef-fetti inibire la replicazione dell'HIV incellule infettate cronicamente dal virus.

È forse possibile arrestare la produ-zione virale anche bloccando i geni o leproteine virali che regolano questo pro-cesso. La traduzione dell'RNA virale inproteine è strettamente controllata dalvirus. Sequenze regolatrici, chiamate«sequenze ripetitive terminali lunghe»,poste a ciascuna estremità del genomavirale possono controllare direttamentela sintesi delle proteine virali. Anche di-verse proteine virali regolano questoprocesso. Queste regioni potrebbero co-stituire bersagli per inibire selettivamen-te la replicazione del virus.

Inoltre la replicazione dell'HIV puòessere influenzata da proteine prodottedalla cellula ospite o anche da altri virusche infettano contemporaneamente lacellula. Gary J. Nabel e David Baltimoredel Whitehead Institute for BiomedicalResearch hanno recentemente dimo-strato che la proteina cellulare NF-xB,che funge da segnale di attivazione intra-cellulare in certi linfociti, può indurre lareplicazione dell'HIV. Certi virus erpe-tici producono la proteina ICP0 che puòanch'essa innescare la replicazione del-l'HIV. Nei pazienti in cui siano presentisia l'HIV sia un virus erpetico è quin-di possibile ritardare il progredire del-l'AIDS controllando l'infezione erpeti-ca , per esempio con aciclovir.

Dopo che le proteine virali sono stateprodotte, esse vanno incontro a una se-rie di modificazioni che dà come risulta-to un virus completo e funzionale. In unadi queste fasi, un enzima virale taglia leproteine virali. Poiché questo enzima ècaratteristico dell'HIV, diversi laborato-ri stanno ora cercando agenti che lo ini-biscano selettivamente. In un'altra fasealle proteine virali vengono addizionaticarboidrati con il processo di glicosila-zione , nel quale alcuni enzimi legano lemolecole glucidiche, e quindi altri enzi-mi denominati «glicosidasi di trimming»eliminano alcuni dei gruppi glucidici ter-minali. Due gruppi di ricerca, uno gui-dato da Joseph G. Sodroski e Haseltinee l'altro da Robert Gruter del Serviziotrasfusionale della Croce Rossa olande-se, hanno recentemente dimostrato chequando l'HIV viene prodotto in presen-za di castanospermina, un alcaloide ve-getale che inibisce una glicosidasi ditrimming, esso ha una minor capacità diformare sincizi o di infettare le cellulé.Analoghi della castanospermina, ideatiper essere più potenti e tuttavia meno

tossici della sostanza naturale stessa, po-trebbero costituire una terapia per l'in-fezione da HIV.

Alla fine le proteine e l'RNA viralisono trasportati verso la membrana cel-lulare e qui «assemblati» in particelle vi-rali, che fuoriescono per gemmazionedalla superficie della cellula. La gemma-zione può essere bloccata dagli interfe-roni, sostanze antivirali che vengonoprodotte naturalmente nelle cellule. Sipensa che gli interferoni agiscano purein altre fasi del ciclo vitale dell'HIV. Siè anche scoperto che certe sostanze chepossono indurre la cellula a produrre in-terferoni inibiscono la replicazione del-l'HIV in vitro. Di fatto, gli interferonihanno una vasta gamma di effetti e pos-sono perciò essere di beneficio in moltimodi per i pazienti affetti da AIDS. Peresempio, l'interferone alfa è efficacecontro il sarcoma di Kaposi e perciò po-trebbe essere utile per certi pazienti col-piti da AIDS in quanto agisce sia controi retrovirus sia contro le cellule tumorali.

Fra tutte le sostanze che mostrano

1 un'attività contro l'HIV, l'AZT èquella che ha avuto la maggiore speri-mentazione clinica. Cinque mesi dopoche il nostro laboratorio aveva dimostra-to, nel febbraio 1985, che l'AZT inibiscela replicazione dell'HIV, somministram-mo il farmaco al primo paziente nel Cli-nical Center dei National Institutes ofHealth (NIH). Questo individuo era af-fetto da AIDS e si era appena ripresoda una polmonite provocata da Pneu-mocystis carinii. Le sue funzioni immu-nitarie erano gravemente depresse e ilconteggio delle cellule T helper era net-tamente sotto la norma. Quando espo-nemmo la cute del paziente a comuniantigeni (come si fa nel test per la tuber-colosi) non mostrò il rigonfiamento ros-sastro che indica una reazione immu-nitaria normale. Dopo avere assuntol'AZT per diverse settimane, egli avevaguadagnato peso e aveva un maggior nu-mero di cellule T helper. Inoltre reagivaal test cutaneo, il che indicava che la fun-zionalità dei linfociti T del sistema im-munitario era migliorata.

Anche altri pazienti ai NIH e al Me-dical Center della Duke University cheavevano assunto l'AZT in questa primasperimentazione hanno mostrato un mi-glioramento della sintomatologia clinicae della funzionalità immunitaria, che ab-biamo attribuito all'effetto antivirale delfarmaco. Abbiamo anche scoperto chel'AZT poteva ridurre la quantità di viruspresente nei pazienti. In molti casi, tut-tavia, questi miglioramenti furono solotemporanei e, dati gli effetti collateraliriscontrati in alcuni pazienti, diversi ri-cercatori misero in dubbio il fatto che ilfarmaco riuscisse a influire positivamen-te sul decorso della malattia.

A scopo di indagine, il gruppo deiWellcome Laboratories organizzò unasperimentazione clinica dell'AZT in 12importanti ospedali degli Stati Uniti.

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FARMACO MECCANISMOD'AZIONE OSSERVAZIONI

DESTRANO SOLFATO Probabile inibizione dellegame virale

Usato oralmente fuori dagli StatiUniti per ridurre il colesterolo;prototipo dei polisaccaridipolianionici con attivita anti-HIV;sperimentazione in fase II iniziataal San Francisco Generai Hospital.

CD4 SOLUBILE(rCD4)

Inibizione del legamevirale

Forma del recettore CD4 ottenutacon tecniche di ingegneriagenetica; sperimentazione in fase Iin corso.

AZT (AZIDOTIMIDINAO ZIDOVUDINA)

Inibizione della trascrittasiinversa, blocco dellasintesi del DNA virale

Approvata come farmaco;aumenta il periodo disopravvivenza e riduce le infezioniopportunistiche; può alleviare lademenza indotta dall'HIV; tossicaper il midollo osseo.

DOC Inibizione della trascrittasiinversa, blocco dellasintesi del DNA virale

Effetti antivirali anche a dosi moltobasse; gli effetti tossici sui nerviperiferici possono essere attenuatialternando somministrazione diAZT; sperimentazione in fase II incorso, anche in combinazione conAZT.

ODA e DDI Inibizione della trascrittasiinversa, blocco dellasintesi del DNA virale

Tossicita per il midollo osseorelativamente bassa in vitro;sperimentazione in fase I in corso.

FOSFONOFORMIATO Inibizione della trascrittasiinversa

Attivo anche contro ilcitomegalovirus; attività anti-HIVevidenziata dalla sperimentazionein fase II.

RIFABUTIN Probabile inibizione dellatrascrittasi inversa

Attivo in vitro anche contro alcunimicobatteri che possono colpire i

malati di AIDS; sperimentazione infase I al termine.

RIBAVIRINA Meccanismo sconosciuto Effetto anti-HIV solo parziale;contrasta l'attività dell'AZT inlaboratorio; la sperimentazioneclinica non ha dimostratol'efficacia del farmaco neldiminuire il livello degli antigeniper l'HIV nel siero dei pazienti.

OLIGODESOSSINUCLEOTIDICON GRUPPIFOSFOROTIOATO

Diversi meccanismiprobabili, tra cui bloccodella sintesi delle proteinevirali

Possono avere attivita sequenza-specifica e non specifica: ancoranei primi stadi di sviluppo.

CASTANOSPERMINA Inibizione degli enzimi cheeliminano i gruppiglucidici dalle proteinevirali

Riduce la formazione di sincizi el'infettività del virus; ancora neiprimi stadi di sviluppo.

INTERFERONE ALFA Probabile riduzione dellagemmazione virale:probabili altri meccanismi

Ha anche attività antitumoralediretta contro il sarcoma di Kaposi;sperimentazione in fase II in corso,anche in combinazione con AZT.

AMPLIGEN Induzione degliinterferoni; probabili altrimeccanismi

Scarsa tossicità osservata neipazienti; sperimentazione in fase IIe III su larga scala in corso.

La tabella mostra gli agent* terapeutici contro l'AIDS in vari stadi di sperimentazione.Tutte le sostanze elencate si sono rivelate in varia misura efficaci contro l'HIV in labora-torio e per molte di esse è in corso la sperimentazione clinica. Questa, nella fase I, è condot-ta su un ristretto numero di pazienti allo scopo di stabilire la tossicità, la massima dosetollerata e il meccanismo di azione del farmaco nell'organismo. Le fasi II e III coinvol-gono un numero più elevato di soggetti e sono intese a valutare l'efficacia del farmaco.

Margaret A. Fischi dell'Università diMiami, Douglas D. Richman dell'Uni-versità della California a San Diego e iloro colleghi studiarono circa 280 pa-

zienti. Questi soggetti si erano appenaristabiliti da una polmonite da Pneu-mocystis carinii o presentavano gravi pa-tologie correlate all'AIDS. Essi furono

scelti casualmente per ricevere o l'AZTo un placebo. Né i medici, né i pazientisapevano se veniva somministrato AZTo placebo. Ai pazienti non fu impartitaalcuna profilassi per la polmonite né al-cun'altra terapia contro l'AIDS.

Dopo sei mesi di sperimentazione, 19pazienti a cui era stato somministrato ilplacebo erano deceduti, mentre un solopaziente del gruppo che aveva ricevutol'AZT era morto. Inoltre i pazienti cheassumevano l'AZT presentavano com-plicanze della malattia meno gravi. Aquesto punto, la sperimentazione fu so-spesa e a tutti i pazienti fu somministratal'AZT. Sembra ora chiaro che il farmacopuò prolungare il periodo medio di so-pravvivenza dei pazienti affetti da AIDSin fase avanzata di circa un anno. (Il pe-riodo medio di sopravvivenza è quelloentro cui il 50 per cento dei pazienti ri-sulta deceduto.) Questa dimostrazioneha indotto la Food and Drug Admini-stration, nel marzo 1987, ad approvarel'AZT come farmaco da prescrivere pergravi infezioni da HIV.

L'AZT può essere ancora più efficacese viene somministrata precocementenel corso dell'infezione da HIV. Infattiè verosimile che possa realmente impe-dire il progresso dell'AIDS almeno inalcuni individui sia perché ha un effettoantivirale diretto, sia perché ristabilisceparzialmente la funzionalità immunita-ria. Gene M. Shearer dell'NCI e RobertT. Schooley e Martin S. Hirsch del Mas-sachusetts Generai Hospital hanno di-mostrato che i linfociti Tdi pazienti a cuisia stata somministrata AZT possonosopprimere più efficacemente le celluleinfettate dall'HIV. Sono attualmente incorso sperimentazioni cliniche per veri-ficare queste ipotesi. Vogliamo sottoli-neare il fatto che, fino a quando questesperimentazioni non saranno concluse,non sarà possibile trarre deduzioni sulruolo dell'AZT nelle prime fasi dell'in-fezione da HIV. Inoltre la tossicità a lun-go termine dell'AZT non è ancora nota.

JT nostri primi lavori con l'AZT hanno

dimostrato che essa può penetrarenel fluido che circonda l'encefalo e quin-di ci siamo chiesti se potesse costituireun trattamento per la terribile forma didemenza che talvolta compare nei sog-getti infettati dall'HIV. La somministra-zione di AZT a individui colpiti da talepatologia ha determinato un migliora-mento perlomeno temporaneo nei testdi capacità intellettiva. Inoltre PhilipA. Pizzo del Pediatric Branch dell'NCIha somministrato infusioni continue diAZT a un certo numero di bambini af-fetti da AIDS, il cui quoziente di intelli-genza era sceso nettamente come conse-guenza della malattia. In alcuni casi egliha notato che la terapia faceva tornare alivelli normali questo parametro.

Non conosciamo tutti i meccanismiche provocano la demenza da AIDS,perciò anche l'attività terapeutica del-l'AZT non è chiara. È naturalmente

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possibile che i progressi siano il direttorisultato del controllo dell'infezione ce-rebrale da HIV. Carlo Federico Perno,del nostro gruppo, ha dimostrato che lecellule della linea monociti-macrofagi,il bersaglio principale dell'infezione daHIV nel sistema nervoso, possono esse-re protette dalla replicazione del virusanche da basse concentrazioni di AZT edi altri didesossinucleosidi. Altre ricer-che dovranno appurare se questa sia lacausa dei miglioramenti clinici osservatio se entri in gioco un altro meccanismo.

A causa del rapido sviluppo dell'AZTcome farmaco, rimangono molte do-mande inevase circa i suoi effetti e il me-todo di somministrazione più efficace.Non sappiamo se sia meglio mantenereil livello di AZT circolante il più costantepossibile o consentirne una fluttuazione.I livelli di AZT diminuiscono del 50 percento circa nel volgere di un'ora e l'at-tuale posologia di una dose ogni quattroore ha lo scopo di mantenere i livelli incircolo sufficientemente costanti. Nelcaso dei didesossinucleosidi si deve an-che considerare il metabolismo dei pro-dotti fosforilati. Per esempio, David G.Johns dell'NCI ha dimostrato che l'emi-vita all'interno della cellula del DDA tri-fosfato, un metabolita sia della DDA siadella sua analoga DDI, può arrivare an-che a 24 ore. Perciò è forse possibilesomministrare la DDA ai pazienti sol-tanto una o due volte al giorno.

Nonostante i benefici effetti, i'AZT

non rappresenta una risposta defi-nitiva. Il farmaco può essere tossico,specialmente per il midollo osseo, e in-fatti i pazienti trattati con AZT spessopresentano anemia e in alcuni casi anchevalori ridotti di globuli bianchi e piastri-ne. In effetti, questo limita spesso laquantità di AZT che può essere sommi-nistrata, particolarmente nei pazienticon AIDS conclamata, e la compromis-sione del midollo osseo è uno dei motiviprincipali dell'insuccesso del farmaco.Le cause della tossicità non sono per ilmomento note, ma sembra che altri di-desossinucleosidi possano essere menodannosi per l'organismo.

In ultima analisi, il solo modo per po-ter decidere se altri didesossinucleosidiche mostrano un'attività anti-HIV neitessuti in coltura possono dare risultatimigliori dell'AZT è sperimentarli sui pa-zienti. A questo scopo, il nostro gruppoall'NCI e un gruppo costituito da molticentri di ricerca, guidato da Thomas C.Merigan, Jr., della School of Medicinedella Stanford University hanno recen-temente condotto sperimentazioni clini-che con la 2' ,3'-didesossicitidina (DDC)su soggetti che presentano una grave in-fezione da HIV. Questi studi hanno di-mostrato che la DDC può ridurre signi-ficativamente la replicazione dell'HIV epuò anche produrre alcuni miglioramen-ti nella funzionalità immunitaria. Pur-troppo, i pazienti che hanno assunto altidosaggi di DDC ininterrottamente per

più di 8-12 settimane hanno presentatouna dolorosa neuropatia periferica (unapatologia dei nervi sensoriali e motoriperiferici), soprattutto ai piedi. La neu-ropatia è gradualmente scomparsa unavolta cessata l'assunzione del farmaco.

Poiché la DDC è tossica in manieradiversa dall'AZT, ci siamo chiesti seavremmo potuto ottenere risultati mi-gliori somministrando alternativamentei due farmaci. Tale schema posologicopotrebbe consentire ai tessuti vulnerabilidi riprendersi dagli effetti tossici di cia-scun farmaco; strategie simili hanno avu-to successo nel trattamento e persinonella cura di certi tumori. Alcuni pazien-ti vengono al momento trattati con unasomministrazione alternata di DDC eAZT. I risultati preliminari indicano chealcuni di essi possono tollerare una tera-pia di questo tipo per più di un an-no senza manifestare né neuropatia nécompromissione del midollo osseo.

Anche il didesossinucleoside DDA eil suo metabolita DDI inibiscono effica-cemente l'HIV in coltura. Questi farma-ci sembrano essere meno tossici in col-ture di cellule T helper sia dell'AZT siadella DDC; inoltre sono meno tossici an-che per colture di midollo osseo. Stiamoora effettuando studi per determinare latossicità e la dose efficace della DDA edella DDI nei pazienti, con risultati peril momento incoraggianti.

La domanda posta all'inizio di questoarticolo ha avuto dunque una rispostaaffermativa. Si è scoperto che un farma-co anti-retrovirus, l'AZT, può alleviarei sintomi della malattia e prolungare lasopravvivenza dei pazienti colpiti daAIDS. L'AZT tuttavia rappresenta sol-tanto un inizio e non costituisce certa-mente una cura definitiva.

In futuro, raccogliendo maggiori co-noscenze su come attaccare l'HIV in di-verse fasi del suo ciclo vitale, sarà possi-bile modellare le terapie per l'AIDS suquelle che hanno avuto successo nellacura di alcune forme di cancro, comecerte leucemie infantili. Per esempio, amano a mano che i ricercatori sviluppa-no agenti con diversi meccanismi di atti-vità contro l'HIV, si potranno realizzarecombinazioni terapeutiche in grado difornire risultati migliori di quelli otteni-bili quando ciascun farmaco è assuntosingolarmente. In effetti si è già scopertoche diversi farmaci, tra cui l'aciclovir (unantierpetico), l'ampligen, l'interferonealfa e il destrano solfato, sembrano ave-re più che un effetto cooperativo quandovengono sperimentati in vitro in associa-zione all'AZT.

Come per il trattamento della leuce-mia infantile, potrà essere necessarioutilizzare diverse strategie terapeutiche.Per esempio, potrebbe essere inevitabilesomministrare inizialmente farmaci rela-tivamente tossici in grado di arrestare lareplicazione virale e forse di distruggereanche le cellule infettate. Potrebbe poiseguire una fase con trattamenti in gradodi localizzare e sopprimere focolai di in-

fezione nascosti. Infine i pazienti potreb-bero ricevere una terapia di manteni-mento a basso dosaggio per evitare qual-siasi ricaduta. I farmaci, il dosaggio e lemodalità di somministrazione possonovariare da una fase all'altra. Per esem-pio, un farmaco potente in grado di svol-gere un ruolo fondamentale nella faseiniziale potrebbe essere eccessivamentetossico per una somministrazione pro-lungata. Raramente ha senso trarre con-clusioni sulla sicurezza e sull'efficacia diun qualunqué farmaco senza considerar-ne in dettaglio dosaggio e posologia.

Aquesto punto i ricercatori non do-vrebbero puntare le loro speranze

su un singolo farmaco e su una singolastrategia, ma, al contrario, cercare disviluppare diversi agenti per aggredirel'HIV in differenti punti del ciclo vitale.L'esperienza con l'AZT ci permette diricavare una lezione utile per portarequesti farmaci a un livello a cui possanorisultare di beneficio per i pazienti. Sonotrascorsi poco più di due anni da quandoper la prima volta abbiamo osservatonel nostro laboratorio l'effetto anti-HIVdell'AZT, fino alla sua approvazione co-me farmaco prescrivibile. Noi attribuia-mo questo rapido sviluppo al processoaccurato e controllato scientificamentecon cui sono state condotte le sperimen-tazioni cliniche. Non possiamo che riba-dire l'importanza del metodo di speri-mentazione controllata per il successo difuture terapie e per l'acquisizione delleconoscenze ancora necessarie per scon-figgere l'AIDS.

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