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Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati Master in Comunicazione della scienza “Franco Prattico” Anno Accademico 2016 - 2018 L'AIDS E I SUOI PROTAGONISTI NEI MEDIA Analisi di una narrazione a più voci a partire dall'esordio dell'epidemia Relatrice: Tesi di: Gianna Milano Flavia Fortin 1

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Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati

Master in Comunicazione della scienza “Franco Prattico”

Anno Accademico 2016 - 2018

L'AIDS E I SUOI PROTAGONISTI NEI MEDIA

Analisi di una narrazione a più voci a partire

dall'esordio dell'epidemia

Relatrice: Tesi di:

Gianna Milano Flavia Fortin

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Indice

Introduzione 6

Capitolo 1 8

IL CONTESTO 8

1.1 Breve cronistoria dell’epidemia di Aids 8

1.2 La comparsa del virus 9

1.3 La scoperta del virus 11

1.4 L’Aids, il virus e le terapie 13

Capitolo 2 17

LE SOVRASTRUTTURE 17

2.1 La percezione pubblica 17

2.2 Salute e malattia 21

2.3 L’uso delle metafore 22

2.4 Il corpo dell’Aids 25

Capitolo 3 27

OBIETTIVI E METODI 27

3.1 Obiettivi e limiti della ricerca 27

3.2 Metodologia 29

Capitolo 4 32

LA NARRAZIONE 32

4.1 Scomposizione del racconto 32

4.2 I sotto-temi 33

4.3 I personaggi anno per anno 35

1981 Alcuni casi sospetti 35

1982 Le 4 H 39

1983 Françoise Barré-Sinoussi 40

1984 Margareth Heckler 42

1985 Rock Hudson 43

1986 Ryan White 46

1987 Il Presidente Ronald Reagan 47

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1988 Il Ministro Donat-Cattin 48

1989 Act Up 49

1991 Magic Johnson 51

1992 David Kirby 52

1993 Duilio Poggiolini 54

1994 Randy Shilts 56

1996 David Ho 58

1997 Il Presidente Bill Clinton 62

1998 Barbara Ensoli 63

2005 Mandela 65

2008 Il paziente di Berlino e il team francese 67

2015 Valentino Talluto 68

2016 Gaëtan Dugas 69

Capitolo 5 71

L’INFLUENZA DEI PERSONAGGI NELLA NARRAZIONE SULL’AIDS 71

5.1 I personaggi famosi 71

5.2 L’Effetto Sheen 73

Conclusioni 76

Bibliografia 80

Siti 82

Articoli scientifici 84

Articoli di quotidiani e periodici 86

Appendice 88

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Introduzione

Sono nata nel 1987, anno in cui l’Italia ha assistito al picco dell’incidenza delle nuove

diagnosi di infezione da Hiv . Ora, trent'anni anni dopo, i casi in calo rispetto al pas1 -

sato sono stabili, così come sono in diminuzione i decessi dei malati di Aids. Dati che

tuttavia non bastano a rasserenarci, poiché gli obiettivi da raggiungere sono ancora

lontani (basta pensare all’accesso ai farmaci ancora precluso ai più nei Paesi del

Sud del mondo) e numerose le sfide che le istituzioni e i governi devono affrontare,

non solo per scrivere la parola fine a un’epidemia che ha devastato il mondo, ma 2

per migliorare in prospettiva la capacità di affrontare possibili nuove minacce alla sa-

lute dell’uomo. Benché ai giorni nostri un discorso sull’Aids, sui suoi effetti e sulla sua

natura, possa sembrare anacronistico non si può invece considerarlo superato o ob-

soleto. Se l’Aids è sparito dalla prime pagine dei giornali e dall’agenda politica italia-

na non può comunque considerarsi un capitolo chiuso. Resta è una sfida globale , 3

che coinvolge tutti i livelli della società.

Ma ora che l’ondata di paura sembra passata quali messaggi si sono portati a casa i

ragazzi della mia generazione, i millennials? E la generazione dei giovanissimi (dai

12 ai 17 anni)? Noi non abbiamo visto amici stroncati dall’Aids, non abbiamo visto la

morte in faccia nel fiore degli anni. Quello che sappiamo sul tema Aids risente degli

errori già commessi su come si è giudicato chi ne veniva colpito. Infatti da una ricer-

ca del Censis condotta nel 2016 emerge come sia opinione ancora diffusa che l’Aids 4

riguardi determinate categorie di persone piuttosto che da comportamenti a rischio.

L’indagine ha sondato i comportamenti e l’informazione sulla sessualità e le malattie

Istituto Superiore di Sanità, “Aggiornamento delle nuove infezioni da Hiv e dei casi di Aids 1

in Italia”, http://www.iss.it/binary/ccoa/cont/HIV_AIDS_DIC_2015.pdf (20 maggio 2018)

L’epidemia è una malattia che si diffonde in maniera limitata nel tempo e nello spazio, se 2

invece ciò avviene in diversi continenti in modo pressoché incontrollato ci si trova di fronte ad una pandemia, caratterizzata da un alto livello di gravità e da un’elevata mortalità. Sebbene per l’Aids sia più appropriato parlare di pandemia, in queste pagine abbiamo scelto di utiliz-zare il termine epidemia per un consolidato uso comune.

Nel 2014, l’UNAIDS (Joint United Nations Programme on HIV and AIDS) ha stabilito l’obiet3 -tivo sintetizzato nella terna 90-90-90: entro il 2020 il 90% di tutte le persone che vivono con l’Hiv dovrà essere a conoscenza del proprio stato infettivo; il 90% di tutte le persone con in-fezione da Hiv diagnosticata dovrà ricevere una terapia antiretrovirale; il 90% di tutte le per-sone sottoposte a terapia per l’Hiv dovrà raggiungere la soppressione virale. Nel 2016, i pro-gressi si sono fermati rispettivamente al 70%, 77% e 82%.

Censis, “Conoscenza e prevenzione del Papillomavirus e delle patologie sessualmente tra4 -smesse tra i giovani in Italia”, http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=121097, (6 aprile 2018) �6

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sessualmente trasmissibili nei giovanissimi e nei millennials, e i risultati tratteggiano

una situazione in cui l’informazione appare diffusa ma non particolarmente approfon-

dita. È l'Aids la patologia a trasmissione sessuale che viene maggiormente citata, ma

le informazioni provengono soprattuto da internet e da una comunicazione orizzonta-

le (amici, fratelli, coetanei). Fonti non sempre corrette, veicolate in modo impersonale

perché non riportano racconti di prima mano.

Le storie dei malati di Aids sono state dimenticate? C’è memoria di coloro che mori-

vano da soli, lontani da chi aveva paura di curarli, o quelli che si suicidavano per evi-

tare una fine tragica fatta di discriminazione e di sofferenza? La maggior parte di

questi morti hanno lasciato un ricordo solo in una cerchia ristretta di persone. Però

altri sono rimasti vivi nella memoria, sono quelli che con la loro storia hanno raccon-

tato ciascuno un capitolo di un’epidemia che ha scosso la società. Le loro storie, e il

modo in cui sono state narrate ci mostrano la portata di una tragedia che ha cambia-

to la società. Le loro vite devono anche ricordarci che ci sarebbero stati meno morti

se l’epidemia fosse stata gestita prima e meglio (maggiore tempestività nella risposta

delle istituzioni sanitarie e governative). I personaggi trattati in questa tesi sono te-

stimoni di un dramma che attraverso i media ha coinvolto tutti. Per certi versi hanno

segnato, sia in positivo che in negativo, le tappe dell’epidemia dando visibilità ai sen-

timenti - speranze, paure, aspettative, pregiudizi - che l’hanno accompagnata negli

anni.

La ricerca è suddivisa in sei parti: nei primi capitoli verrà illustrato il quadro generale

dell’epidemia di Aids, compiendo un viaggio sia nel mondo scientifico che in quello

sociologico; il quarto capitolo è completamente dedicato all’analisi dei personaggi

identificati; il quinto capitolo vuole fornire alcune considerazioni sull’utilizzo dei per-

sonaggi nella comunicazione mediatica; l’ultimo capitolo è quello in cui vengono trat-

te le conclusioni della ricerca.

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Capitolo 1

IL CONTESTO

1.1 Breve cronistoria dell’epidemia di Aids

La storia dell’Aids (Acquired Immunodeficiency Sindrome) potrebbe iniziare il 5 giu-

gno 1981, data di pubblicazione dell’articolo scientifico intitolato Pneumocystis

Pneumonia --- Los Angeles apparso sulla rivista settimanale Morbidity and Mortality 5

Weekly Report dei CDC (Centers for Disease Control and Prevention), l’organismo di

controllo statunitense per le malattie infettive che ha sede ad Atlanta. Gli autori di

questo articolo sono medici che operano in tre ospedali di Los Angeles e che notano

tra l’ottobre del 1980 e il maggio del 1981 cinque casi anomali di polmonite causata

da Pneumocystis carinii . La storia dell’epidemia dell’Aids ha inizio però probabilmen6 -

te prima, in un momento imprecisato nei primi tre decenni del XX° secolo (Pulcinelli, 7

2017). Sebbene stabilire una data precisa sia pura convenzione, questo è stato pos-

sibile grazie alla tecnica dell’orologio molecolare (utilizzata per analizzare l'evoluzio-

ne molecolare attraverso le mutazioni genetiche). Scienziati e biologi sembrano es-

sere d’accordo sul luogo di comparsa dell’Hiv (Human Immunodeficiency Virus):

Léopoldville, l’attuale Kinshasa capitale della Repubblica Democratica del Congo.

Il virus compie un salto spazio-temporale e atterra negli Stati Uniti colpendo la comu-

nità omosessuale e in Europa quella dei tossicodipendenti (Pulcinelli, 2017). Questo 8

salto durato circa cinquant’anni e con una distanza di 14 mila chilometri appare dav-

vero sorprendente. Così come è sorprendente la storia dell’epidemia dell’Aids: dalla

velocità con cui viene identificato l’agente infettivo della malattia, alla messa a punto

di una terapia che permette alle persone sieropositive di condurre una vita normale,

o ancora all'attivismo dei malati che hanno sfidato le ricche multinazionali del farma-

M. Gottlieb, H. Schanker, P. T. Fan, et al., Pneumocystis Pneumonia --- Los Angeles, 5

«MMWR», 30, 21, (1981), p. 1-3

Nel primo decennio dell'epidemia di Aids la polmonite da Pneumocystis carinii (PCP) o 6

pneumocistosi è stata la più frequente tra le infezioni opportunistiche maggiori. È causata da un fungo ed è l'espressione di un importante deficit immunitario.

C. Pulcinelli, AIDS Breve storia di un’epidemia che ha cambiato il mondo, Carrocci editore, 7

2017, p. 18

ivi, p. 118

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co e che hanno forzato la Food and Drug Administration (FDA) a cambiare le regole

per le sperimentazioni cliniche (Pulcinelli, 2017). 9

1.2 La comparsa del virus

Il virus dell’Aids compare in Africa centrale, a Kinshasa negli anni ’20. Uno studio 10

condotto da un team di scienziati dell’Università di Oxford e dell’Università di Leuven,

in Belgio, ha ricostruito le prime fasi di quella che si può definire una "tempesta per-

fetta” di fattori che ne hanno favorito l’esordio. Tra questi la crescita esponenziale

delle città, un’accelerata dei collegamenti ferroviari , la politica coloniale, l’espander11 -

si del fenomeno della prostituzione e l’utilizzo di aghi non sterilizzati nei dispensari

antivenerei che hanno permesso al virus di diffondersi. L'Hiv è stato trasmesso dai 12

primati e dalle scimmie agli esseri umani almeno 13 volte, ma solo uno di questi 13

eventi ha prodotto l’epidemia che ha provocato fino a oggi oltre 76 milioni di infezioni

e 35 milioni di morti . 14

La malattia che ha avuto origine in Africa, esibisce tutta la sua potenza negli Stati

Uniti. Nell’era della globalizzazione , in cui grandi distanze possono essere coperte 15

in breve tempo, le persone, siano esse sane o malate o portatrici di patologie, si

muovono da un continente all’altro per turismo, per lavoro o in seguito a guerre, ca-

restie e disordini civili, creando una rete potenziale di incontri e di relazioni.

Secondo il sociologo Marco Binotto:

ibidem9

N. Faria, A. Rambaut, M. A. Suchard, et al., The early spread and epidemic ignition of HIV-10

1 in human populations, in «Science», 364, 6205, (2014), p. 56-61

Secondo lo studio, la costruzione della ferrovia ha facilitato la propagazione del virus in 11

due modi: ha attirato manodopera e impiegati facendo aumentare vertiginosamente il nume-ro di abitanti delle città coloniali e ha solcato la strada per la diffusione del virus oltre oceano.

Il numero di sifilitici era molto alto nelle grandi città, si stima che nei dispensari venissero 12

eseguite quasi 50 mila iniezioni all’anno di terapie.

Il salto di specie, evento “normale”, potrebbe essere avvenuto nei cacciatori attraverso la 13

manipolazione o l’ingestione di sangue infetto di scimmia.

Redazione, “Statistics: Worldwide”, http://www.amfar.org/worldwide-aids-stats/, (10 febbra14 -io 2018)

Il termine “globalizzazione” (in precedenza mondializzazione) si è diffuso dalla metà degli 15

anni ottanta, e si riferisce ad un processo geografico e storico che rafforza l'interdipendenza dei luoghi, delle società e delle economie di tutto il mondo. �9

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L’Hiv si disinteressa di tutte le definizioni e le distinzioni della modernità. Il suo perno è la promiscuità, la comunicabilità contemporanea. L’Hiv come i mercati non ha più confini, si scoprirà presto che il pericolo incombe su tutti. Insieme alle merci, alle materie prime e alle persone viaggiano anche i virus. L’Aids ci ha mo-strato che la globalizzazione del mondo, la possibilità per i beni, uomini e idee di viaggiare, di muoversi liberamente, ha come conseguenza la globalizzazione dei mali […] Probabilmente l’Aids è la prima pestilenza che davvero assume propor-zioni pandemiche. Realmente globali. Tutto il mondo, non solo quello conosciuto, ne è colpito. Velocemente, come un Jet, l’Hiv ha attraversato frontiere e continen-ti . 16

Prima della globalizzazione, una malattia causava (nella maggioranza dei casi, con

le debite eccezioni) qualche caso sporadico e comunque isolato, senza conseguenze

gravi al di fuori del suo contesto geografico. Favorito dalla globalizzazione e da un

clima di liberismo sociale negli anni ottanta il virus fa la sua comparsa negli Stati Uni-

ti. Un Paese che ha attraversato negli anni Sessanta e Settanta, il periodo delle con-

testazioni, in cui si sviluppano i movimenti che danno voce alle “minoranze”: i neri, le

donne, gli indiani e gli omosessuali. I movimenti di liberazione scuotono quei «modi

di vivere oppressivi e artificiali, prima di allora mai messi in discussione. Toccò tutti gli

aspetti della vita: il parto, l’infanzia, l’amore, il sesso, il matrimonio, l’abbigliamento, la

musica, l’arte, lo sport, il linguaggio, l’alimentazione, la casa, la religione, la letteratu-

ra, la morte, la scuola. Il comportamento sessuale subì mutamenti sbalorditivi. […]

Gli uomini e le donne “gay si organizzarono per combattere la discriminazione che

subivano, per costruire un senso di appartenenza a una comunità, per superare la

vergogna e l'isolamento ». Ed è proprio all’interno della comunità omosessuale che 17

nel 1981 si verificano i primi casi di una patologia che provoca una soppressione del

sistema immunitario e la comparsa di forme tumorali (come il Sarcoma di Kaposi)

atipiche per età ed etnia. Le prime indagini epidemiologiche, volte a scoprire l’agente

eziologico, correvano lungo i binari delle interviste condotte sui pazienti. Emerse che

i pazienti appartenevano ad un certo gruppo sociale, e così per la malattia viene co-

M. Binotto, Pestilenze. Dall’Aids alle reti di comunicazione: virus e contaminazione come 16

metafora del nostro tempo, Castelvecchi, 2000, p. 39-40

H. Zinn, Storia del popolo americano. Dal 1492 ad oggi, Il Saggiatore, Milano, 2005, p. 37017

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niata la parola GRID Gay-Related Immune Deficiency . Quando nel 1982 viene dia18 -

gnosticata la malattia in un emofiliaco e in persone di origine haitiana, la definizione

non è più sufficiente a definire la nuova patologia e il suo nome viene cambiato a fa-

vore di uno più neutro. Era impossibile affermare che la popolazione eterosessuale

fosse immune dal rischio di contagio.

1.3 La scoperta del virus

Il 1983 è l'anno della scoperta del virus, ad opera di due Istituti di ricerca: uno ameri-

cano guidato da Robert Gallo, e uno francese diretto da Luc Montagnier. Della équi-

pe dell’Istituto Pasteur fanno parte due sconosciuti ricercatori, Jean-Claude Cher-

mann e Françoise Barré-Sinoussi. Lavorano in una ex lavanderia adibita a laborato-

rio, sulla cui porta c’è un cartello con la scritta “Sala Bru”. Bru è il nome dato all’uomo

successivamente identificato come Frédéric Brugière, che muore di Aids nel 1988.

Un suo ganglio cervicale viene asportato e messo in coltura. Da quel campione risul-

ta che ci sia attività di retrotrascrizione . È la prova che si tratta di un retrovirus, av19 -

versario estremamente mutabile e variabile, di cui ancora si sa poco. Contempora-

neamente Gallo e il suo team lavorano sullo stesso filone di ricerca per scoprire se il

virus responsabile della malattia sia un retrovirus del tipo scoperto da Gallo qualche

anno prima, collegato a una forma di leucemia.

Quello che accadde dopo viene definita come la “controversia franco-americana”, in

cui le due équipe di ricercatori si diedero battaglia per la paternità della scoperta e

per il brevetto del test diagnostico.

Le prime mosse della contesa, diventata poi giuridica, fra Gallo e Montagnier sulla

scoperta del virus responsabile dell’Aids iniziano con la pubblicazione in contempo-

ranea di due articoli delle équipe francese e americana sulla rivista Science, il 20

Maggio 1983. I ricercatori del Pasteur, guidati da Montagnier, annunciano di aver iso-

lato un virus, e lo chiamano LAV (Lympho Adenopathy Virus), indiziato di essere

l’elemento patogeno dell’Aids. Nello stesso numero di Science un altro articolo illu-

Gli omosessuali vennero definiti “gruppo a rischio”, un’espressione che non ha una valen18 -za neutra. Successivamente si è preferito usare la locuzione “comportamento a rischio” per evidenziare il carattere universale dell’epidemia.

O trascrizione inversa, è quel meccanismo biologico che sintetizza una molecola di DNA a 19

partire da RNA, attuato dall’enzima trascrittasi inversa. �11

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stra un’analoga ricerca condotta da Gallo (National Institutes of Health di Bethesda)

che dice a sua volta di aver collegato l’Aids a un retrovirus da lui isolato e scoperto

quattro anni prima. Inizia una lunga querelle fra il francese e l’americano sulla primo-

genitura della scoperta. A distanza di un anno sempre Gallo pubblica su Science, un

altro lavoro in cui battezza Htlv III, un retrovirus da lui isolato nei malati di Aids. Per

un breve periodo lo si chiama con entrambi i nomi Htlv III/Lav. Il gennaio 1985 Mon-

tagnier e Gallo rendono note le sequenze genetiche dei rispettivi virus che risultano

identiche.

Gallo brevetta a suo nome un test fondamentale per diagnosticare l’infezione e con-

trollare il sangue per le trasfusioni. Il brevetto e le relative royalties danno alla querel-

le scientifica un connotato economico: si tratta di un giro d’affari di enormi proporzio-

ni. A questo punto intervengono anche i governi. Quello francese di Jacques Chirac

scende in campo per difendere nelle sedi legali i propri interessi ovvero quelli di Mon-

tagnier. Finché il marzo del 1987 non si giunge a uno storico vertice fra lo stesso Chi-

rac e il presidente Ronald Reagan per dirimere diplomaticamente la questione. Si

giunge alla firma di un accordo che prevede la spartizione della scoperta e del bre-

vetto fra Francia e Usa, ovvero fra Montagnier e Gallo, risolvendo anche il problema

del nome da dare al virus che viene definitivamente battezzato “Hiv” (Human Immu-

nodeficiency Virus).

Pace fatta? Non proprio. Nel 1990 la rivista Science riapre il caso con una sua in-

chiesta dalla quale emergono nuovi elementi a favore della primogenitura del france-

se Montagnier nella scoperta. Gallo avrebbe compiuto scorrettezze, imperdonabili

per uno scienziato del suo calibro, come usare immagini del virus non sue. Le pole-

miche si riaccendono, e la questione rischia di tornare nelle aule dei tribunali. I Na-

tional Institutes of Health di Bethesda, dove lavorava Gallo, decidono di affidare il

verdetto definitivo a una nuova commissione d’inchiesta internazionale. Verdetto che

giunge l’11 luglio 1994, con esito favorevole a Luc Montagnier ed al suo gruppo del

Pasteur, che comprende anche Françoise Barrè-Sinoussi e Jean Claude Chermann.

Nel 2008 l’assegnazione del Premio Nobel per la fisiologia o la medicina a Luc Mon-

tagnier e a Françoise Barré-Sinoussi “per la scoperta del virus dell’Aids”, esclude

Robert Gallo, e sancisce in un certo senso la “vittoria” definitiva dei francesi.

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1.4 L’Aids, il virus e le terapie

Ma cos’è l’Aids? «L’Aids non è il nome di una malattia a tutti gli effetti. È il nome di

una situazione clinica, le cui conseguenze sono uno spettro di malattie. […] La stes-

sa definizione di Aids richiede la presenza di altre malattie, le cosiddette infezioni op-

portunistiche e le neoplasie maligne ». 20

L’Aids costituisce lo stadio clinico terminale dell’infezione da Hiv. Un Retrovirus che

utilizza la trascrittasi inversa per convertire il proprio genoma da RNA a DNA durante

il ciclo di replicazione. Le principali cellule bersaglio dell’Hiv sono i linfociti T di tipo

CD4 (CD4 è una proteina presente sulla membrana esterna con funzione di recettore

per l’antigene), particolari cellule del sistema immune cellulo-mediato.

Sono noti due virus responsabili dell’Aids umana: Hiv-1 e Hiv-2. Hiv-1 è diffuso in tut-

to il mondo ed è il tipo più prevalente di Hiv. Hiv-2 è presente soprattutto in Africa oc-

cidentale, nei Caraibi e nell’America meridionale. Tra i due tipi, quest’ultimo è il meno

virulento e provoca una malattia a decorso più lieve. Virus analoghi, responsabili di

sindromi simili sono il Siv nelle scimmie (Simian Immunodeficiency virus) e Fiv nei

felini (Feline Immunodeficiency Virus).

Il virus provoca un’infezione cronica con danni progressivi al sistema immunitario e

ad altri sistemi ed organi. A causa del deficit del sistema immunitario, si verifica una

seria compromissione delle difese del soggetto contro le infezioni, che si manifestano

in modo sempre più frequente e grave. L’Aids è una malattia a stadi, in cui il fattore

temporale gioca un ruolo rilevante. Fino alla manifestazione dell’Aids vero e proprio,

un’infezione da Hiv non trattata attraversa tre fasi, la cui durata è variabile. Il periodo

in cui le persone possono vivere senza disturbi oscilla da pochi mesi a oltre la decina

d’anni.

1. Infezione primaria: può essere asintomatica o, più frequentemente, dopo un

periodo di incubazione di 3-6 settimane, si sviluppano sintomi che possono

essere scambiati per una sindrome influenzale o per quelli di una mononu-

cleosi infettiva (febbre, mal di gola, stanchezza, ingrossamento delle ghiando-

le linfatiche, ecc.). In questa fase gli anticorpi specifici contro l'Hiv non si sono

ancora formati, per cui il test per la diagnosi di sieropositività risulta negativo

(viene denominato “periodo finestra”). Durante questa prima fase si osserva

una elevata replicazione virale, e il soggetto risulta particolarmente infettante.

S. Sontag, Illness as Metaphor and AIDS and Its Metaphors, Penguin Modern Classics 20

Edizione del Kindle, p. 104-105 �13

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2. Latenza clinica: è la fase in cui si ha un’assenza di disturbi clinici evidenti e

può durare anche diversi anni. Durante questa fase si ha una riduzione della

viremia poiché il virus è stato “sequestrato” nei linfonodi, dove si osserva 21

una continua replicazione virale che causa un progressivo calo dei linfociti

CD4 (o linfocita T-helper). La durata di questa fase è molto variabile, e senza

l’assunzione della terapia antiretrovirale il soggetto evolve verso la malattia in

circa 10 anni. La sintomatologia inizia in genere con la comparsa di una lin-

foadenopatia generalizzata consistente, che caratterizza il cosiddetto stadio

LAS (LymphoAdenopatic Sindrome).

3. Stadio Aids-correlato (ARC): coincide con la diminuzione dei linfociti CD4 al di

sotto delle 200 unità per millilitro di sangue, ed è quindi presente un’intensa

viremia. Si assiste alla comparsa delle cosiddette infezioni e neoplasie oppor-

tunistiche: infezioni orofaringee, gastrointestinali, cutanee e delle mucose, del-

l’apparato respiratorio ed ematopoietico e infezioni del sistema nervoso cen-

trale e periferico.

Se fino alla metà degli anni novanta questo percorso a tappe era fatale per i malati di

Aids, l’introduzione delle terapie antiretrovirali (le HAART, terapia antiretrovirale alta-

mente attiva) nel 1996 ha rappresentato una svolta nella storia dell’Hiv, determinan-

do l’immediato crollo delle diagnosi di Aids e della mortalità. Da allora sono stati in-

trodotti nuovi farmaci sempre meno tossici e meno intrusivi che hanno migliorato la

vita dei pazienti. Un altro punto forte delle attuali terapie, è la loro capacità di ridurre

drasticamente il rischio di trasmettere il virus ad altre persone.

Sono oltre venti i farmaci antiretrovirali oggi disponibili in grado di contrastare la re-

plicazione virale. Li si suddivide in classi a seconda del meccanismo d’azione: inibito-

ri della trascrittasi (RTI), suddivisi in nucleosidici (NRTI) e non nucleosidici (NNRTI);

inibitori della proteasi (IP); inibitori di fusione (IF); inibitori dell’integrasi (INSTI); inibi-

tori del co-recettore CCR5. La terapia si basa di solito su più farmaci antiretrovirali,

che permettono di ridurre la carica virale e migliorare la situazione immunitaria. No-

nostante oggi siano in commercio efficaci terapie anitretrovirali, le attuali strategie

terapeutiche non consentono l’eradicazione del virus.

L’infezione è sempre la conseguenza della trasmissione del virus da una persona in-

fetta ad una sana, solo e soltanto attraverso lo scambio di sangue, sperma e secre-

Indica la quantità di virus presente nel plasma, la parte liquida del sangue. Più alta è la 21

carica virale, più CD4 saranno colpiti dal virus e maggiore sarà la possibilità di ammalarsi. �14

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zioni vaginali e latte materno. Il virus si può trasmettere con sangue , rapporti ses22 -

suali non protetti e dalla madre al bambino durante la gravidanza, il parto e l’allatta-

mento (LILA).

Solo la diagnosi precoce dell’infezione, accompagnata da un trattamento altrettanto

tempestivo attuato prima del picco della replicazione virale con i moderni farmaci an-

tiretrovirali, può ridurre la quantità di virus, limitare la costituzione di reservoir o nic-

chie cellulari (cellule infettate ed in fase di latenza) e la diffusione del virus.

L’Hiv come si è già detto ha un’alta variabilità genetica, inoltre è in grado di instaura-

re una infezione latente in una varietà di cellule linfocitarie senza che si abbia la pro-

duzione di proteine ed antigeni virali. Questo comporta un ostacolo all’eradicazione

del virus che è in grado di eludere il sistema immunitario e di non rispondere all’azio-

ne dei farmaci antiretrovirali. Un altro problema che subentra con le terapie è l’au-

mento dei ceppi virali resistenti alle cure.

Condizioni che caratterizzano l’AIDS

Infezioni batteriche, multiple o ricorrenti *

Candidiasi bronchiale, tracheale, polmonare

Candidiasi esofagea

Carcinoma invasivo della cervice §

Coccidiomicosi, disseminata o extrapolmonare

Cryptococcosi extrapolmonare

Cryptosporidiosi intestinale cronica (>1 mese)

Malattia da Cytomegalovirus (eccetto localizzazione epatica, splenica, linfonodale), esordio in età >1 mese

Retinite da Cytomegalovirus (con perdita della vista)

Encefalopatia Hiv-correlata

Herpes simplex: ulcere croniche (di durata >1 mese) o bronchite, polmonite o esofagite (esordio in età >1 mese)

Istoplasmosi, disseminata o extrapolmonare

Isosporiasi intestinale cronica (durata >1 mese)

La donazione di sangue e derivati, il trapianto di organi e tessuti e l’inseminazione artificia22 -le è detta trasmissione iatrogena (letteralmente significa ‘originata da un atto medico’), e ad oggi non comporta rischi grazie ai controlli di routine sui donatori. �15

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TABELLA 1 LE CONDIZIONI CHE CARATTERIZZANO L’AIDS. Fonte: Morbidity and Mortality Weekly Report

* Solo tra bambini di età < 13 anni § Solo tra adulti ed adolescenti di età >13 anni

Sarcoma di Kaposi

Polmonite linfoide interstiziale o iperplasia linfoide polmonarecomplex *

Linfoma di Burkitt

Linfoma immunoblastico

Linfoma primitivo del cervello

Mycobacterium aviumcomplex o Mycobacterium kansasii, disseminati o extrapolmonari

Mycobacterium tuberculosis qualsiasi localizzazione, polmonare, § disseminato, o extrapolmonare

Mycobacterium, altre specie o specie non identificata, disseminato o extrapolmonare

Polmonite da Pneumocystis jirovecii

Polmonite ricorrente §

Leucoencefalopatia multifocale progressiva

Setticemia da Salmonella ricorrente

Toxoplasmosi del cervello, esordio in età >1 mese

Wasting syndrome attribuita a Hiv

�16

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Capitolo 2

LE SOVRASTRUTTURE

2.1 La percezione pubblica

La medicina moderna, quella che gli storici della medicina chiamano anche tecnolo-

gica, ci ha abituati all’idea/illusione che tutto sia curabile/guaribile. E, come sostiene

l’epistemologo Giorgio Israel, ci ha allontanati sempre di più da quella medicina

umanistica che pone l’uomo al centro dell’attenzione . Certamente negli ultimi de23 -

cenni notevoli sono stati i progressi compiuti non solo dalla ricerca scientifica con lo

sviluppo di nuovi farmaci, sempre più efficaci, mirati, se non personalizzati, ma anche

con interventi che hanno migliorato le condizioni igieniche, la conservazione dei cibi,

l’accesso alle cure mediche.

I traguardi raggiunti in campo medico-tecnico-biologico non hanno bisogno di com-

menti: 1925 la scoperta della penicillina , 1932 i sulfamidici , 1938 è sintetizzato il 24 25

DDT un insetticida che ha contrastato la malaria, 1944 la streptomicina , 1947 il clo26 -

ramfenicolo , 1948 le tetracicline , 1957 il vaccino antipolio. Tenendo conto anche 27 28

del miglioramento degli strumenti diagnostici, la scienza in un periodo relativamente

breve ha contribuito ad un allungamento dell’aspettativa di vita. Quando nel 1980

l’Organizzazione Mondiale della Sanità certificò ufficialmente l’eradicazione del vaio-

lo, grazie ad un efficace campagna di vaccinazione di massa, si pensò: è fatta. Un

successo indubbio della medicina, che non faceva prevedere/immaginare nuove mi-

nacce. Invece l’anno dopo, il 1981 compare una nuova malattia, una nuova ‘peste’,

“provocando il ritorno di paure irrazionali perché mostra l’impotenza della medicina

G. Israel, Per una medicina umanistica. Apologia di una medicina che curi i malati come 23

persone, Lindau, 2010, p. 32-40

Impiegata nella cura di molte malattie come polmonite, tetano, difterite e meningite.24

Impiegati nella cura di infezioni causate da cocchi.25

Efficace nelle infezioni urinarie, nel tifo e nelle forme non croniche di tubercolosi.26

Antibiotico batteriostatico a largo spettro d'azione isolato inizialmente da Streptomyces 27

venezuelae ed è stato il primo antibiotico a essere prodotto commercialmente per sintesi.

Sono un gruppo di farmaci antibiotici a largo spettro d’azione inibitori della sintesi proteica.28

�17

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proprio nel momento in cui si cominciava a credere che le malattie infettive fossero

definitivamente sconfitte ” afferma lo storico della medicina Mirko Grmek. 29

«Per la medicina occidentale l’Aids rappresenta quello che Chernobyl è stato per la

tecnologia nucleare: il disfacimento dell’illusione del controllo assoluto da parte dei

‘tecnici’ » afferma l’esperto di comunicazione del rischio Giancarlo Sturloni, inteso 30

sia come fine dell’illusione tecnologica sia come processo di rinegoziazione del ruolo

di esperti (introduzione di nuovi attori sociali portatori di diversi saperi, come gli attivi-

sti di Act Up).

In questo clima di disincanto il dito venne puntato contro chi non rispettava le regole

morali, chi infrangeva le norme religiose ed in genere contro chi non apparteneva in

toto alla cerchia di una certa società auto-definitasi. Individuare come colpevoli omo-

sessuali, eroinomani, sex workers o chi compie, nell’immaginario collettivo, sacrifici

umani e riti vudù, fu un’operazione di semplificazione finalizzata ad esorcizzare l’epi-

demia. La discriminazione, il comportamento irrazionale e il panico sono meccanismi

psicologici di riduzione della complessità che permettono di placare l’ansia individua-

le e collettiva. Se creare categorie grossolane da un lato riduce la paura di chi non vi

appartiene, dall’altro induce a ritenere che l’evento non potrà accadere al di fuori di

quella categoria. L’idea di essere quindi immuni dalla “Peste dei gay” in quanto ete-

rosessuali, o fuori pericolo poiché non eroinomani ha reso vulnerabile proprio quelle

categorie che si ritenevano estranee al rischio . 31

«Questa malattia -diceva una signora americana intervistata a metà degli anni ottan-

ta- colpisce maschi omosessuali, i drogati, gli haitiani ed emofiliaci, grazie a Dio non

si è ancora diffusa tra gli esseri umani ». 32

Si tirano in ballo anche i concetti di Natura e Divinità, intese come ordine immutabile

in quanto tradite dall’introduzione della pluralità e oltraggiate dalla sregolatezza dei

costumi (sessuali e non). In questo ordine destituito l’epidemia venne vista come for-

za regolatrice, una punizione per chi viveva in modo immorale e violava regole di

buona condotta o nei peggiori dei casi, un espediente per togliere dalla faccia della

Terra i trasgressori e i deviati. L’arcivescovo di Genova, il cardinale Giuseppe Siri, ha

ravvisato nell’Aids «un castigo divino per la dissolutezza dei costumi della nostra so-

M. Grmek, Aids Storia di una epidemia attuale, Laterza, 1989, p. 5729

G. Sturloni, Le mele di Chernobyl sono buone: mezzo secolo di rischio tecnologico, pag 9930

Il rischio è la probabilità che si verifichi, entro un certo lasso di tempo, un evento dannoso.31

Cit. in M. Grmek, Aids, storia di una malattia attuale, 1989, p. 5532

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cietà », gli fa eco il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della Sanità 33

(OMS), Holfdan Mahler, il quale davanti a una platea di ministri della Sanità di 162

Paesi (Londra 1988), definisce l’Aids una «emergenza biblica ». 34

L’Aids ha investito la società in molti aspetti:

- ha portato ad un ripensamento dei valori e delle conquiste dei movimenti di libera-

zione sessuale degli anni sessanta-settanta;

- ha coinvolto la sfera più intima dell’essere umano e le sue relazioni;

- ha cambiato il rapporto medico-paziente, quest’ultimo inteso come soggetto non

più passivo. Significativo è il cambio di termine introdotto dagli attivisti: non vole-

vano più essere chiamati ‘pazienti’, ma ‘persone con l’Aids’;

- ha creato un terreno eterogeneo di conoscenza (specialistica o di senso comune)

dei fenomeni legati all’Aids, portando ad un ripensamento del concetto di esperto;

- ha messo in discussione il concetto di sicurezza sanitaria collettiva, in contrappo-

sizione ai diritti individuali;

- ha dato visibilità a problematiche sociali, come la tossicodipendenza e la discrimi-

nazione delle persone LGBTQI (acronimo con cui vengono indicati Lesbiche, Gay,

Bisessuali, Transgender, Queer e Intersessuali).

L’Aids, come sostiene Sturloni «è stata la prima epidemia globale che la società delle

comunicazioni di massa ha potuto vivere e raccontare in diretta, fin dal suo

esordio ». Infatti i mezzi di comunicazione non sono stati solo dei narratori dell’even35 -

to, ma dei veri e propri “costruttori di senso”. L’Aids ha in un certo senso sfidato la

comunità scientifica e i media a intraprendere un nuovo modo di usare le parole. Il

nome stesso della malattia, (gay pneumonia, gay cancer, gay compromise syndro-

me, GRID, WOGS The Wrath of God syndrome) è rappresentativo del percorso so-

ciale e culturale effettuato per superare i pregiudizi.

Caratteristica piuttosto comune dei media è la capacità di risposta all’evento in rap-

porto alla sua intensità. Un evento inatteso e improvviso, come l’attentato alle Twin

D. Del Rio, “Il Papa corregge la Bibbia, ‘Il dolore non è un castigo di Dio’”, La Repubblica, 33

10 ottobre 1988

D. Mastrogiacomo, “L'Aids sta diventando un’emergenza biblica, La Repubblica, 27 gen34 -naio 1988

G. Sturloni, Le mele di Chernobyl sono buone: mezzo secolo di rischio tecnologico, Sironi 35

Editore, 2006, p. 98 �19

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Towers o lo tsunami in Tailandia nel 2004, innesca una risposta mediatica molto for-

te, in termini di quantità di copertura, in un’unità di tempo limitata. In questi contesti i

media possono rischiare di andare incontro ad uno shock iperinformativo in cui ven-

gono trasmessi messaggi contraddittori, sbagliati o inopportuni. Per l’epidemia di

Aids non è stato proprio così: sebbene non si abbia avuto un’esplosione di notizie sui

media al comparire dell’epidemia, si è assistito ad un aumento di copertura mediatica

in rapporto all’incremento dei contagi/decessi con contenuti spesso contraddittori,

portatori di panico o di rassicurazione, per arrivare ai giorni nostri ad una fase di indif-

ferenza.

Oggi l’Aids per i media è un “rischio addormentato” , da svegliare solo in occasione 36

del 1° dicembre o per fare clamore. Esistono anche i “rischi amplificati” quelli che 37

compaiono sui mass media per un breve periodo di tempo, creando sensazionalismo

e allarme generale, ma che in realtà rappresentano un rischio oggettivo molto inferio-

re all’Aids. È stato così per la Sars o per la malattia da virus Ebola non si fece dif38 39 -

ferenza tra il potenziale pericolo di una pandemia e l’effettiva diffusione del virus e

questo portò ad un allarmismo in cui «l’incerto diviene ancora più incerto, lo spettaco-

lare ancora più spettacolare e il danno ancora più catastrofico ». 40

L’AIDS prima di tutto rappresenta una sfida globale , che coinvolge tutti i livelli della 41

società.

S. Russ-Mohl, AIDS, Mucca pazza, SARS: quando il pericolo è distorto, in «European 36

Journalism Observatory», 2004

ibidem37

Severe acute respiratory syndrome, sindrome acuta respiratoria grave. La polmonite cau38 -sata da un Coronavirus è apparsa per la prima volta nel novembre del 2002 nella provincia di Guangdong, Cina. Il virus ha contagiato 8 mila persone e ha causato oltre 800 morti.

L’Ebola ha causato 11.323 decessi in dieci Paesi (Liberia, Guinea, Sierra Leone, Mali, Ni39 -geria, Senegal, Spagna, Regno Unito, Italia e Stati Uniti d’America). Dati al 31 marzo 2016. Fonte: Epicentro Iss

S. Russ-Mohl, Ingigantire ed estremizzare l’aviaria nei media, in «European Journalism 40

Observatory», 2006

Nel 2014, l’UNAIDS (Joint United Nations Programme on HIV and AIDS) ha stabilito 41

l’obiettivo sintetizzato nella terna 90-90-90: entro il 2020 il 90% di tutte le persone che vivono con l’Hiv dovrà essere a conoscenza del proprio stato infettivo; il 90% di tutte le persone con infezione da Hiv diagnosticata dovrà ricevere una terapia antiretrovirale; il 90% di tutte le persone sottoposte a terapia per l’Hiv dovrà raggiungere la soppressione virale. Nel 2016, i progressi si sono fermati rispettivamente al 70%, 77% e 82%. �20

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2.2 Salute e malattia

La salute è un tema che riceve crescenti attenzioni dai mass media. L’interesse è 42

prevalentemente rivolto a: ricerca, scoperte scientifiche, epidemiologia, prevenzione

e diagnostica, questioni di bioetica, casi di malasanità e terapie o consigli alternativi e

bizzarri.

Perché quindi si parla così tanto di salute e medicina? Una risposta potrebbe essere

che sono temi universali che coinvolgono aspetti profondi dell'uomo: nascita, vita,

morte, caducità, riproduzione, benessere e sofferenza. Questa crescente attenzione

verso il tema (esemplificativo è l’elevato numero di riviste, inserti di quotidiani, blog,

corsi, siti e rubriche del telegiornale) è lo specchio di un’epoca che pone molta atten-

zione alla salute, intesa come fenomeno culturale, ideale estetico e come capitale

sociale da salvaguardare. È quindi interessante ricordare la definizione di salute che

è stata formulata nel 1948 dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): «La sa-

lute è lo stato di completo benessere fisico, mentale e sociale che non consiste sol-

tanto nell'assenza di malattia o infermità». Questa formula completa le definizioni

precedenti, tenendo conto delle malattie mentali e di quelle patologie per le quali non

si assiste ad un’alterazione misurabile di parametri fisici, chimici o biologici. Aspetto

fondamentale e innovativo per l’epoca, è l’accento posto sulla salute nella sua di-

mensione sociale, intesa come riconoscimento e accettazione da parte della colletti-

vità di una condizione. Un dato parametro infatti può avere senso e valore all’interno

di una comunità e potrebbe non averlo in un’altra. Ad esempio il riconoscimento di

una devianza in una società o in una epoca storica può diventare un parametro di 43

normalità in un’altra, o ciò che è considerato regolare per un individuo anziano può

essere patologico per uno più giovane. La definizione di salute scaturisce da quella

di normalità, che a sua volta deriva dall’individualità di una persona e da quella che è

la norma nel suo ambiente. Da ciò si intuisce come la salute sia un concetto assolu-

tamente relativo. Se la definizione di salute si fonda su un terreno scivoloso come la

normalità, quella di malattia è altrettanto complicata.

«La salute è uno stato individuale e collettivo, che indica la possibilità di realizzare il pro42 -prio ‘progetto di vita’, in particolare la possibilità di resistere a una malattia (o convivere con essa)», in Di cosa parliamo quando parliamo di medicina, Sturloni e Minerva, p. 6

Interessante anche ricordare che l’OMS ha cancellato l’omosessualità dall’elenco delle 43

malattie mentali solo nel 1990. �21

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Esistono diversi modi di intendere la malattia, e la lingua inglese aiuta a rendere più

chiaro il concetto.

Il termine illness si riferisce all'esperienza personale dei sintomi e della sofferenza;

mentre la parola disease indica il modello medico della malattia, ossia il riconosci-

mento di un’alterazione strutturale dell’organismo. Le parole esprimono due punti di

vista opposti alla malattia: essere malato e essere un malato. Un terzo vocabolo, sic-

kness rimanda invece alla percezione sociale dello stato di malattia, del rapporto tra

l’individuo e la società. La sickness è quindi il modo in cui la società costruisce il si-

gnificato della malattia, la modalità con cui categorizza il malato.

2.3 L’uso delle metafore

Il linguaggio della scienza e soprattutto della medicina è un linguaggio fortemente

metaforico , le cui costruzioni discorsive riflettono la struttura del mondo, il modo in 44

cui ci rapportiamo alla realtà e come pensiamo alle cose. Secondo Bernardo Fantini,

storico della medicina, «le metafore non servono solo come esempi, per illustrare

un’idea o una teoria, ma sono componenti centrali della nostra comprensione della

realtà e fungono da “organizzatori” della conoscenza e del comportamento individua-

le e soprattutto collettivo ». In quanto tali, le metafore sono determinate storicamen45 -

te e raccontano la società che le ha create.

Susan Sontag in due saggi Illness as a Metaphor (1978) e AIDS and Its Methaphor

(1989) analizza quanto dannose possano essere le metafore nella comprensione di

fenomeni complessi come la malattia e la morte. Due eventi in cui la percezione del

proprio corpo viene proiettata esternamente attraverso modelli esplicativi.

Se ad esempio espressioni come “il virus attacca il sistema immunitario”, “distrugge

le cellule”, “la medicina combatte con tutte le sue armi”, “molecole in grado di inter-

cettare e abbattere”, sono rappresentazioni semplificate che attingono al linguaggio

militare, impediscono però dall’altro lato di vedere che l’infezione è «una relazione

biologica, basata sull’equilibrio tra forme di vita diverse e sull’evoluzione per selezio-

La metafora -scriveva Aristotele- consiste nell’attribuire a una cosa il nome che è proprio di 44

un’altra. Significa letteralmente “spostamento in altro luogo”.

D. Minerva, G. Sturloni, Di cosa parliamo quando parliamo di medicina, Codice Edizioni, 45

2007, p. 11. �22

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ne naturale ». Questa concezione della malattia come relazione ecologica (proposta 46

da Darwin e ripresa dal premio Nobel Joshua Lederberg e dallo storico Mirko Grmek)

ricolloca le malattie all’interno di un fenomeno biologico naturale, in cui si confronta-

no tre attori: le popolazioni, gli altri esseri viventi e l’ambiente fisico e geografico. Una

concezione che pone la malattia all’interno di noi, ed è espressione di uno stato alte-

rato, di un disequilibrio, e non di una entità indipendente dal noi che ci ha invaso.

Questa distinzione è importante nel momento in cui si riflette sui nessi logici, sulla

causa e l’effetto. Infatti la visione delle malattie come co-evoluzione della nostra spe-

cie con i patogeni, è priva di significati morali e non assume un significato paradig-

matico.

Invece l’Aids ha assunto il ruolo di ‘malattia del secolo’, (come prima era stata la tu-

bercolosi durante la rivoluzione industriale e il cancro nei paesi sviluppati), carica

quindi di un significato morale o moralistico, per cui la malattia esprime il carattere

della società e la colpa dell’individuo.

L’Aids si è dimostrato il terreno fertile per coltivare pericolose metafore, sulle quali si

sono radicati pesanti pregiudizi, generando un’intera categoria di mostri. Come af-

ferma il sociologo Ken Plummer, l’Aids ha assunto i tratti di una tradizionale narrazio-

ne morale, e “un’intera galleria di nemici pubblici (folk devils) sono stati introdotti: il

gay malato-di-sesso, il tossico sporco, la lurida puttana, il nero bevitore di sangue

voodoo, a fianco di una galleria di ‘innocenti’: gli emofiliaci, la ‘vittima' di una trasfu-

sione di sangue, il bambino appena nato, e persino ‘l’eterosessuale' . 47

Con l’Aids, secondo Susan Sontag, si è utilizzato un linguaggio deliberatamente terri-

ficante e carico di metafore che ha distorto la realtà, presentando la malattia peggio

di come è oggettivamente. Dimostrativo è l’abuso del termine ‘peste’ , il quale però 48

ci offre alcuni spunti di riflessione.

Il termine ‘pestilenza’ presenta caratteristiche intrinsecamente connesse o con la sfe-

ra politica o con quella divina. Una politica sociale troppo permissiva nei costumi

sessuali, secondo un’opinione diffusa e radicata all'epoca, avrebbe permesso all’Aids

di diffondersi con conseguenze che mettono in pericolo tutta la comunità. L’ordine di

questa comunità può venire anche imposto dall’alto, attraverso le norme religiose e

Cit. in M. Grmek, Aids, storia di una malattia attuale, 1989, p. 26.46

K. Plummer, Sexualities: Sexualities and their futures, Taylor & Francis, 2002, p. 136-14247

Il termine fin dall’antichità è stato “usato metaforicamente per intendere il più alto livello di 48

calamità collettiva, di peccato, di flagello” (Sontag, 1992, pag 42) �23

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morali. La pestilenza in questo caso è vista come un flagello vendicatore che punisce

ed espia i peccati con la morte. La punizione è rivolta soprattutto agli omosessuali,

che hanno la colpa di aver trasgredito alle regole della comunità e quindi sono meri-

tevoli di castigo (Sontag, 1992). La punizione dei colpevoli (ma in generale, almeno

nel passato, delle vittime di malattie infettive letali) avviene prima di tutto attraverso

l’isolamento e l’emarginazione che corrisponde alla morte sociale, ben prima della

morte fisica. Nel primo periodo dell’epidemia infatti, anche chi era anche solo sospet-

tato di avere l’Aids veniva licenziato dal posto di lavoro, sfrattato di casa e evitato da

amici e conoscenti. In questo clima di disinformazione e panico, erano in molti a so-

stenere quelle politiche draconiane a favore della chiusura di specifici luoghi d’incon-

tro per omosessuali o la chiusura dei confini statunitensi per le persone sieropositi-

ve . 49

Per arginare il filone colpevolista, lo storico della scienza Stephen Jay Gould afferma

che «l’Aids è un ‘fenomeno naturale’, non un evento ‘con un significato morale’ », e 50

perciò il modo più corretto di considerare la malattia e più sano di essere malati, è

quello più libero da pensieri metaforici.

Però dopotutto anche Sontag quando scrive

la malattia è il lato notturno della vita, una cittadinanza più onerosa. Tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza, nel regno dello star bene e in quello dello star male. Preferiamo tutti servirci soltanto del passaporto buono, ma prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscersi cittadi-no di quell’altro paese 51

fa ricorso ad una metafora, seppure straordinariamente evocativa e chiara. Eppure la

sua tesi, secondo cui la malattia è un fenomeno privo di significato e come tale, ossia

come fatto va affrontata, lascia in fondo perplessi. La malattia, per quanto auspica-

bilmente spogliata delle mistificazioni sociali, non è un contenitore privo di significato,

e oltre a spiegarla e a descriverla va compresa nel suo significato umano . 52

Nel 1987 gli Stati Uniti varano una legge che vieta l’ingresso e la permanenza per le per49 -sone affette da Hiv/Aids. Con la Ryan White Hiv/Aids Treatment Extension Act del 4 gennaio 2010 il divieto viene rimosso.

S. J. Gould, “The Terrifying Normalacy of AIDS”, The New York Times, 19 aprile 198750

Cit. in S. Sontag, Illness as a metaphor, 1978, p.351

M. T. Russo, Corpo, salute, cura: linee di antropologia biomedica, Rubbettino Editore, 52

2004, p. 188 �24

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Il linguaggio più adatto a comunicare sia la componente emozionale che la cono-

scenza oggettiva, con il rispetto di entrambe le verità, è quindi un esercizio che si co-

struisce nella pratica concreta delle relazioni interpersonali e nell’azione sociale

(Fantini, 2007) . 53

2.4 Il corpo dell’Aids

L’immagine di un malato di Aids non è facile da dimenticare. Questa affermazione è

ancora valida o ha perso di significato? E le persone con Aids come hanno vissuto la

loro immagine?

Il film Philadelphia del 1993 con Tom Hanks nei panni di Andrew Beckett, brillante

avvocato progressivamente consumato dall’Aids, che intenta una causa legale per

discriminazione sul luogo del lavoro, mostra attraverso il grande schermo i segni fisici

del’Aids. Recentemente anche Matthew McConaughey nel film del 2013, Dallas

Buyers Club, ripropone le caratteristiche fisiche di una malattia così devastante.

Ma la deturpazione del corpo infettato dall’Hiv che significato aveva e quale ha as-

sunto?

In passato o se non si assumono le terapie il corpo subisce trasformazioni evidenti.

Le macchie rosso-violacee del Sarcoma di Kaposi, linfonodi ingrossati, lesioni della

bocca e delle gengive e perdita di peso sono solo alcuni dei segni della malattia che

siamo abituati a conoscere. Il corpo come tempio, come fortezza o come macchina è

stato visibilmente violato. Se poi lo intendiamo come espressione comunicativa del-

l’io, «il corpo ha indubbiamente un carattere epifanico, cioè rivelatore: il corpo svela

agli altri la persona », soprattutto attraverso il volto, dove si affaccia in modo privile54 -

giato l’intimità della persona . Una malattia che sfigura il viso può dunque offuscare 55

o cancellare l'umanità della persona, e come afferma Sontag «le malattie più terribili

B. Fantini, La storia delle epidemie, le politiche sanitarie e la sfida delle malattie emergenti, 53

«Idomeneo», 17 (2014)

Cit. in M. T. Russo, Corpo, salute, cura: linee di antropologia biomedica, 2004, p. 10854

ibidem. p. 11255

�25

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non sono tanto quelle ritenute più mortali, bensì quelle letteralmente

disumanizzanti ». 56

Inoltre sempre secondo l’intellettuale americana «i segni sul viso di chi è colpito dal-

l’Aids, sono precisi segni di un mutamento progressivo, una decomposizione, qual-

cosa di organico ». Il viso e il corpo con Hiv/Aids vengono visti come un luogo di 57

morte e contagio, delle entità sospese tra salute e malattia finché non soccombono.

Interiorizzando le percezioni negative, il malato (anche se asintomatico) genera at-

teggiamenti di auto-stigmatizzazione. Questi hanno delle ripercussioni pratiche che si

manifestano nel rimandare il test, nel confronto con il medico o nel negare la propria

condizione.

Il corpo del malato di Aids è però anche carico di un altro significato. Il suo corpo di-

venta memoria biologica di tutti i contatti passati. La sessualità non è più un atto in sé

nel presente, ma è una catena del passato. «Ricordate che avere un rapporto ses-

suale non vuol dire averlo solo con quella persona, ma con tutti quelli con cui essa

ha avuto rapporti negli ultimi dieci anni », annuncia nel 1987 Otis R. Bowen, Re58 -

sponsabile alla Sanità e ai Servizi Sociali. Si diffonde la percezione dell’altro come

pericolo potenziale. La paura e il sospetto, fomentati da sessuofobia e moralismo in-

taccano una dimensione sociale delicata e personale, consolidando secondo Sontag

la cultura dell’interesse personale e dell’individualismo. Per Agnoletto questo intrec-

cio tra desiderio/paura e amore/ morte, soprattutto tra gli adolescenti, rischia di gene-

rare confusione su quella che è l’informazione sessuale e l’educazione sanitaria.

Mentre la seconda mira ad informare sui rischi e come prevenirli, l’informazione ses-

suale tende a favorire lo sviluppo della personalità e delle relazioni in un clima di

‘normalità’ . 59

Cit. in S. Sontag, Illness as a metaphor, 1978, p. 3656

ibidem p. 3957

ibidem, p. 6858

V. Agnoletto, La società dell’AIDS. La verità su politici, medici, volontari e multinazionali 59

durante l’emergenza, Baldini&Castoldi 2000, p. 35 �26

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Capitolo 3

OBIETTIVI E METODI

3.1 Obiettivi e limiti della ricerca

Scopo della tesi non vuole essere un’analisi esaustiva di come i media hanno parlato

dell’Aids in 37 anni, né un tentativo di catalogazione dei personaggi che hanno incro-

ciato il loro destino con questa malattia. L’idea di questa tesi nasce dall’intento di

compiere un viaggio nella narrazione dell’epidemia, identificando anno per anno un

personaggio che fosse emblema di una delle molte sfaccettature dell’Aids. In altre

parole mi sono chiesta se fosse possibile individuare o tracciare dei capitoli, ognuno

dei quali veicolasse un certo tipo di messaggio. E la storia dell’Aids ne ha davvero

tanti: l’indifferenza, il panico, il rifiuto, la discriminazione, la speranza, gli errori e la

lotta per la sopravvivenza. È proprio quest’ultimo capitolo (last but not least) che vie-

ne affidata la narrazione dell’Aids: ogni personaggio/protagonista passa il testimone

a chi lo segue tracciando, anno dopo anno, una sorta di filo conduttore.

L’intento iniziale era quello di:

- analizzare come i media hanno affrontato il tema dell’Aids attraverso la narrazione

di un fatto legato ad un personaggio famoso;

- scomporre la narrazione in epoche;

- ricercare se e come l’utilizzo e la strumentalizzazione da parte dei media di perso-

naggi famosi e non, di pazienti e medici, abbiano contribuito alla costruzione socia-

le del fenomeno, alla comprensione dell’Aids e agli atteggiamenti sociali verso

l’epidemia;

- osservare le scelte editoriali, i toni usati, la correttezza scientifica e le predilezione

verso alcune parole e toni, con particolare attenzione al non detto.

Per farlo si è scelto di concentrare l’attenzione sui media cartacei, nello specifico di

analizzare gli articoli apparsi sui principali quotidiani nazionali ed esteri dal 1981 al

2016. La decisione di privilegiare questo mezzo ha più di una motivazione.

Innanzitutto perché la comunicazione sull’Aids nei primi anni dell’epidemia passava

prevalentemente attraverso i quotidiani. Infatti come notò il filosofo francese Jean-

�27

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Paul Aron l’Aids è «un fenomeno unico nella storia: per la prima volta i malati e i 60

ricercatori hanno dovuto far ricorso alla stampa per conoscere o diffondere informa-

zioni, quasi in tempo reale ». E proprio per questo «i media sono stati e rimangono 61

lo specchio degli errori commessi e del continuo muoversi a tentoni, il ricettacolo di

contraddizioni e di successive inevitabili evoluzioni ». 62

Anche se al giorno d’oggi la fiducia delle persone nella carta stampata è sconfortante

(ad esempio il grado di fiducia riposto dagli italiani nella carta stampata 53,5%, è in-

feriore a quello di cui gode il web 58,2% ) e potrebbe essere oggetto di una tesi, ne63 -

gli anni ottanta e novanta, prima della diffusione del web, le persone accedevano a

questo mezzo per informarsi e costruire il significato delle cose. Quindi si è optato

per il medium per il quale fosse più facile reperire materiale, dato che ormai le mag-

giori testate hanno digitalizzato e reso fruibili i loro archivi.

Infine della carta stampata mi interessava la sua ampia diffusione e il suo linguaggio,

così diverso da quello ad esempio delle campagne di sensibilizzazione. Sebbene

quest’ultime abbiano un forte intensità di comunicazione e una fruizione immediata,

hanno il difetto di produrre una rappresentazione parziale e unidimensionale del

tema. Una questione articolata e mutevole come l’Aids, può invece essere affrontata

agilmente dalla carta stampata.

Si sono prese in esame principalmente le testate statunitensi e quelle italiane, senza

tralasciare quelle europee per uno sguardo d’insieme.

Gli articoli analizzati sono stati pubblicati dai quotidiani: The New York Times, The

Washington Post, Chicago Tribune, The Wall Street Journal, Los Angeles Times, The

Guardian, Daily News, The Independent, Corriere della Sera, La Repubblica, La

Stampa, lI Messaggero, Il Tempo ecc.; e si sono fatti approfondimenti in riviste scien-

tifiche e non: Science, People, Newsweek, Time, L’Internazionale, L’Espresso e Pa-

norama. La maggioranza degli articoli analizzati provengono da testate statunitensi,

sia perché negli Usa l’evento ha avuto una portata e una copertura maggiore, sia

perché la maggior parte dei personaggi scelti hanno una visibilità internazionale.

Morto di Aids il 20 agosto 1988. L’anno precedente rilasciò un’intervista a Le Nouvel Ob60 -servateur, intitolata “Mon Sida”, 30 ottobre 1987.

M. Consoli, Killer aids, Storia dell’aids attraverso le sue vittime, Kaos edizioni, 1993, p. 8161

ibidem62

Redazione, “Eurobarometro: gli italiani si fidano dell’informazione in rete più di quella su 63

carta”, ANES, 12 febbraio 2016 �28

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Il principale ostacolo è stata la scelta e/o l’esclusione dei personaggi. Per far fronte a

questo problema, si è deciso di scegliere i personaggi:

- a maggiore rilevanza contenutistica;

- più conosciuti e popolari;

- più rappresentativi.

I personaggi individuati hanno poi subito un’ulteriore cernita:

- l’articolo è incentrato sul personaggio, non basta che venga solo nominato;

- la vicenda è stata oggetto di almeno cinque articoli su diverse testate;

- circoscrizione temporalmente a quindici giorni dall’evento.

Ben consapevoli che questo lavoro di tesi non potrà mai dirsi concluso, in quanto il

punto di vista eurocentrico è diverso da quello statunitense o africano, e la compo-

nente temporale gioca un ruolo chiave nella comprensione dei fenomeni storici, que-

sto lavoro può definirsi come un piccolo tassello nell’esplorazione del fenomeno Aids.

3.2 Metodologia

La decisione di scegliere la celebrità di fama internazionale, il teenager dell’Indiana e

il Ministro italiano è stata dettata dall’idea secondo cui «ogni fenomeno sociale, poli-

tico, economico o tecnologico, anche quello apparentemente più locale, non può che

essere compreso se non attraverso la conoscenza della struttura dei suoi flussi a li-

vello globale ». In quest’ottica quindi, in cui le relazioni contano più dei singoli per64 -

sonaggi, e la storia globale più dei suoi capitoli, è sembrato più appropriato utilizzare

un metodo qualitativo che tenesse in grande considerazione l’aspetto relazionale e le

connessioni piuttosto che i dati quantitativi. Analizzare il singolo personaggio tenendo

conto dell’ambiente e della struttura relazionale che lo circonda, diventa condizione

necessaria per interpretare l’evoluzione del fenomeno Aids.

Per la realizzazione di questo lavoro di tesi è stata utilizzata l’analisi del discorso, un

metodo qualitativo che permette di indagare non solo il contenuto “manifesto” di un

F. Colombo, Atlante della comunicazione: cinema, design, editoria, internet, moda, musi64 -ca, pubblicità, radio, teatro, telefonia, televisione, Hoepli editore, 2005, p. XI �29

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prodotto comunicativo, ma anche e soprattutto quello implicito. Secondo il sociologo

Marcello Maneri l’analisi del discorso

non si limita mai al solo piano semantico, ma parte dall’assunto che il senso si generi attraverso molteplici piani -grammaticale, pragmatico, enunciativo ecc.- oltre che a differenti livelli tra le manifestazioni di su-perficie e le strutture più profonde del discorso. La conseguenza imme-diata di questa compenetrazione di piani è che la scomposizione di un testo, necessaria per qualsiasi analisi, non comporta mai la considera-zione atomizzata dei singoli elementi, tipica di un’analisi per variabili, orientata alla standardizzazione e alla operativizzazione, ma è solo il punto di partenza di un lavoro che considera sempre il testo nella sua totalità . 65

Per facilitare l’identificazione del contenuto di ciascun articolo ho creato e adoperato

una griglia di seguito riportata:

Titolo e data Quotidiano e autore

Il testo:

Contiene concetti e termini medico/scientifici

Espone dati epidemiologici

Allude a significati o messaggi riferiti a discriminazione, speranza, paura

Contiene critiche politiche-economiche-

sociali

Punta a fare leva su aspetti emotivi

(pietà, paura, compassione, morte dolorosa, solidarietà…)

Inquadramento sociale dei personaggi (età, orientamento sessuale, estrazione

sociale)

Rappresentazione degli effetti fisici della

malattia

M. Maneri, “L’analisi del discorso”, http://www.archivio.formazione.unimib.it/DATA/Inse65 -gnamenti/2_435/materiale/(3)%20analisi%20del%20discorso.pdf (12 aprile 2018) �30

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TABELLA 2 LA GRIGLIA DI ANALISI. Fonte: Morbidity and Mortality Weekly Report

Nella ricerca del personaggio da inserire in questa tesi si è inizialmente compiuto una

ricerca web tramite Google, il principale motore di ricerca, valutandolo come uno

strumento efficace nel garantire una selezione omogenea e uniforme degli articoli.

Successivamente si è preso spunto dalle timeline che analizzano la cronistoria del66 -

l’epidemia.

L’autrice ha infine cercato negli archivi digitali dei quotidiani il personaggio. La ricerca

del personaggio è avvenuta digitando il “nome e il cognome” (quando possibile) e la

parola “Aids” in un range di tempo di quindici giorni successivi all’evento menzionato

nella timeline.

In questo senso l’Aids è stato quindi inteso come tema: «un principio concreto d’or-

ganizzazione, uno schema o un oggetto fisso, attorno al quale tenderà a costruirsi e

a dispiegarsi un mondo ». Inquadrare l’Aids come una chiave interpretativa ha por67 -

tato ad escludere gli articoli in cui la malattia veniva solo accennata senza che fosse

rilevante ai fini del racconto.

Sono stati quindi presi in analisi 63 articoli, quelli letti e scartati sono invece un nume-

ro non quantificabile.

Differenza tra “sieropositività” e “malato

di aids”

Espone il metodo scientifico

dai siti: www.avert.org, www.hiv.gov e https://npin.cdc.gov/66

D. Giglioli, Tema, La nuova Italia, 2001, p. 3467

�31

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Capitolo 4

LA NARRAZIONE

4.1 Scomposizione del racconto

Se si potesse segmentare la narrazione sull’Aids, si noterebbe che l’attenzione dei

media e del pubblico è così divisa:

- la fase iniziale, dal 1981 al 1983, in cui i mass media generalisti pubblicano po-

chissimi articoli (fatta eccezione delle riviste pubblicate e diffuse all’interno della

comunità gay). Allora, c'erano pochi fatti da segnalare: i giornalisti, come i medici e

i loro pazienti, sapevano poco o nulla della malattia.

- la fase della scienza, dal 1983 al 1985, in cui gli articoli fanno un forte lavoro

“esplicativo” sulle modalità di contagio e sulla diffusione dell’infezione e sono cor-

redate da fonti scientifiche. La crescente consapevolezza dell’Hiv/Aids ha portato

ad una paura, riflessa e sostenuta da titoli come "AIDS: fatale, incurabile e dila-

gante " (People) e "Ora nessuno è al sicuro dall'AIDS " (Life). 68 69

- la fase dell’interesse umano, dal 1985 al 1987, in cui i malati diventano persone, e

le loro storie sono cariche di significati sociali. All’irrazionale si cerca di dare un vol-

to per mitigare il panico e per incentivare il pubblico verso un atteggiamento com-

passionevole.

- la fase politica, dal 1987 al 1988, in cui le controversie pubbliche sulla gestione

dell’epidemia, e private sui brevetti e la paternità delle scoperte, coinvolgono l’at-

tenzione dei cittadini.

- la fase delle battaglie, dal 1989 ai primi anni novanta in cui le parole chiave diven-

tano empowerment e diritti. Gli attivisti e le associazioni concentrano i loro sforzi

per istituire delle battaglie per l’accesso ai trattamenti, per la riforma dei modi e dei

tempi di approvazione dei farmaci, per le deroghe ai brevetti nel Sud del mondo,

per incentivare azioni di contrasto alla discriminazione. Sebbene non si parli più di

P. Carlson, “Aids: Fatal, Incurable and Spreading”, People , 17 giugno 198568

Redazione, “Now No One is Safe From AIDS”, Life, luglio 198569

�32

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“gruppi a rischio” lo si fa più per essere politically correct che perché i pregiudizi

sono cessati.

- la fase della speranza, che vede il suo apice nel 1996 con lo sviluppo di terapie

antiretrovirali sempre più efficaci e con meno effetti collaterali invalidanti. In questa

fase l’aspettativa di vita si allunga e la scienza riprende terreno nella battaglia con-

tro il virus. Si auspicano vaccini e terapie che possano sconfiggere l’Aids.

- la fase del silenzio, in cui l’Aids ha perso di appeal sui media. L’Aids non è più una

malattia mortale, almeno nei Paesi del nord del mondo dove ha perso il carattere

di emergenza. Rimane comunque un rischio concreto, fortemente sottovalutato.

Una suddivisione dei quasi quarant’anni dell’Aids, presenta naturalmente elementi di

arbitrarietà e bias trascorsi ed in atto. Nella complessa storia dell’epidemia, non sono

pochi i casi che non corrispondono alla mia griglia interpretativa. Senza volere, potrei

a volte si è compiuto una riduzione della complessità di un fenomeno già di per sé

molto articolato.

Tuttavia tracciare dei confini, azione necessaria per qualsiasi analisi a posteriori di un

evento, permette di stabilire una prima lettura dell’evento mediatico, da cui prosegui-

re per successive analisi.

4.2 I sotto-temi

Il tema Aids all’inizio è stato molto complicato da affrontare per i media, data la natu-

ra interdisciplinare della malattia che chiamava in campo competenze scientifiche

settoriali (virologia, immunologia, epidemiologia, oncologia e sociologia). Questa

complessità, se da un lato ha coinvolto molti scienziati, ha però anche favorito un

approccio sfaccettato alla presentazione della realtà da parte dei media. Presupposto

che rappresenta la base per quelli che possono essere definiti come i sotto-temi del-

l’Aids, finalizzati a rendere il fenomeno comprensibile ai pubblici.

Numerosi studi si sono concentrati nell’analizzare quali e quanti siano stati i sotto-

temi per l’Aids. Una ricerca con questo taglio, un po’ datata ma comunque attualissi-

ma, è quella dei sociologi e teorici della comunicazione Dearing, Rogers e Chang . 70

Nel loro studio hanno analizzato la copertura mediatica sull’Aids negli anni ottanta

J. Dearing, E. Rogers, S. Chang. AIDS in the 1980s: The Agenda-setting Process for a 70

Public Issue, in «Journalism monographs», 126, (1991) �33

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nei sei principali mass media statunitensi (quotidiani e reti televisive), ed hanno indi-

viduato 12 sotto-temi.

TABELLA 3 I SOTTO-TEMI DELL’AIDS. Fonte: AIDS in the 1980s: The Agenda-Setting Process for a Public Issue

La tredicesima categoria “Altro” raccoglie i sotto-temi restanti.

L’ordine non rispecchia la quantità di notizie per quel sotto-tema, anche perché que-

sto può subire variazioni di notiziabilità in base a molti criteri (tempestività, prossimi-

tà, nuova scoperta, scalpore, conflitto, mistero e tragedia solo per citarne alcuni).

Sebbene questa categorizzazione abbia delle limitazioni e possa essere ampliata, è

utile nel comprendere come i singoli sotto-temi dell’Aids abbiano in modo quasi cicli-

co picchi di copertura mediatica, cadute, per poi essere riproposti in chiave rielabora-

ta.

Negli articoli analizzati e in questa tesi sono emersi tutti i sotto-temi elencati in tabel-

la.

Nome della categoria Definizione

Bambini con Aids Notizie sui bambini con Aids

Personaggi pubblici Notizie contenenti informazioni personali su personaggi famosi con Aids

Epidemia Notizie riportanti statistiche sulla diffusione dell’Aids

Campo biomedico Notizie riportanti progressi e scoperte medico-scientifiche

Prevenzione Notizie che trattano i metodi per prevenire l’Aids

Discriminazione Notizie su trattamenti discriminatori nei confronti delle persone con Aids

L’aiuto della gente Notizie che raccontano di volontariato o raccolta fondi

Government policy Notizie sull’impegno (o meno) dell’establishment politico sul tema Aids, sugli scandali politici

Diritti civili Notizie riguardanti i diritti delle persone con Aids

Etica Notizie che fanno leva sull’aspetto etico di un comportamento

Interesse umano Notizie che incentivano l’empatia verso le persone con Aids

Sondaggi Notizie basate su sondaggi

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4.3 I personaggi anno per anno

1981 Alcuni casi sospetti

Identificare un personaggio-chiave per il 1981 è un compito arduo. Quello che si può

evincere leggendo i giornali e le ricostruzioni scritte successivamente, è che di fronte

ad un problema sanitario emergente, solo un esiguo numero di persone ha saputo

capire che stava accadendo qualcosa di nuovo. Di questo gruppo fanno parte alcuni

medici di Los Angeles, New York e San Francisco. Tre città in cui la comunità gay era

molto numerosa e condivideva abitudini, valori morali e idee politiche (Pulcinelli,

2017). All’interno dei quartieri come Castro (San Francisco), Greenwich Village (New

York) o West Hollywood (Los Angeles) molti giovani uomini si stavano ammalando

con malattie inusuali per la loro età.

Molti di loro avevano la polmonite causata da Pneumocystis Carinii, un fungo che

aveva ucciso migliaia di bambini malnutriti nell’Europa devastata dalla Seconda

Guerra Mondiale, ma che non avrebbe dovuto attaccare persone con un sistema

immunitario attivo. Michael Gottlieb, un giovane immunologo dell’UCLA (University of

California, Los Angeles) Medical Center, iniziò a vedere questi casi a partire dalla fine

del 1980. E all’ospedale Beth Israel di Manhattan, la dottoressa Donna Mildvan, a

capo del Dipartimento di Malattie Infettive, capitarono alcuni casi davvero strani di

linfoadenopatie e Sarcoma di Kaposi. Anche il dottor Friedman-Kien, dermatologo al

New York University Medical Center, nelle ultime due settimane di quell’anno riscon-

trò due casi di Sarcoma di Kaposi, un tumore delle pareti dei vasi sanguigni, ma

estremamente raro negli Stati Uniti. I libri di medicina lo segnalavano come una pato-

logia che colpisce prevalentemente uomini anziani del Mediterraneo e del Medio

Oriente. La nuova forma di cancro era più aggressiva. Anche a San Francisco la dot-

toressa Salma Dritz segnalò con stupore dei casi di polmonite da Pneumocystis Ca-

rinii e Sarcoma di Kaposi.

Il 5 giugno 1981 segna una svolta, il punto in cui si definisce un prima e un dopo. È il

giorno in cui i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta nel loro

settimanale Morbidity and Mortality Weekly Report (MMWR), rivolto ai medici statuni-

tensi, pubblicano a pagina 2 del tomo 30, fascicolo 21 un articolo: “Pneumocystis

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pneumonia--Los Angeles ”. Quattro parole che segnano il via dell’emergenza sanita71 -

ria del ventesimo secolo. Nell’articolo si descrivono i casi clinici di cinque giovani

uomini (tra i 29 e i 36 anni) ricoverati in tre diversi ospedali di Los Angeles tra l’otto-

bre del 1980 e il maggio del 1981. Quello che hanno in comune è: la polmonite cau-

sata da Pneumocystis carinii (dal 1999 il suo nome è stato modificato in Pneumocy-

stis jirovecii), un’infezione passata o in corso da citomegalovirus, candidosi delle mu-

cose e il fatto di essere omosessuali. La nota editoriale all’articolo suggerisce che la

PCP potrebbe essere associata ad un particolare stile di vita omosessuale (come

l’uso di popper o le creme corticosteroidee, utilizzate per curare le infezioni sessuali),

o la trasmissione sessuale (dalle interviste epidemiologiche emerse che i pazienti

avevano un alto numero di partner sessuali). Si avanza l’ipotesi che un nuovo agente

infettivo possa essere il responsabile, ma i pochi casi e l’idea che una nuova malattia

si possa diffondere in una società scientificamente avanzata, fanno strada al pregiu-

dizio che sia legata ad una devianza. Nasce il concetto di “Gay Plague”, la peste dei

gay. E anche successivamente quando si iniziano a riscontrare casi fra i tossicodi-

pendenti e gli Haitiani si ricorre sempre al concetto di devianza. Furono probabilmen-

te pochi i medici che lessero la rivista. Gottlieb, uno dei cinque coautori dell’articolo,

divenne famoso nel campo dell’Aids, tanto da diventare più tardi anche il medico di

una celebrità di Hollywood. Gottlieb era anche uno dei pochi scienziati disposti a par-

lare apertamente con i giornalisti nei primi anni dell’epidemia, tanto che i suoi colleghi

e superiori gli fecero sapere che le sue frequenti apparizioni sui media erano disdice-

voli per un accademico.

Era l'inizio di un periodo in cui i singoli fotogrammi della tragedia cominciarono a

lampeggiare abbastanza velocemente da rivelare il movimento di qualcosa di nuovo

e di drammatico.

Il giorno precedente la festa del 4 luglio 1981 Lawrance K. Altman, medico e giornali-

sta del The New York Times scrisse un articolo intitolato: “Rare Cancer Seen in 41

Homosexuals ” (la parola ‘gay’ non era ancora in uso al Times). L’articolo compare a 72

pagina 20 della sezione cronaca locale in posizione defilata, accanto allo spartito del-

l’Inno nazionale degli Stati Uniti d’America a piena pagina.

M. Gottlieb, H. Schanker, P. T. Fan, et al., Pneumocystis Pneumonia --- Los Angeles, 71

«MMWR», 30, 21, (1981), p. 1-3

Lawrence K. Altman, “Rare Cancer Seen in 41 Homosexuals”, The New York Times, 3 lu72 -glio 1981 �36

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FIGURA 1 LA PAGINA CON L’ARTICOLO FIRMATO DA L. K. ALTMAN Fonte: The New York Times

«I medici di New York e della California hanno diagnosticato tra gli omosessuali ma-

schi 41 casi di una rara forma di cancro, spesso rapidamente fatale», iniziava l'artico-

lo. «Otto delle vittime sono morte in meno di 24 mesi dopo la diagnosi». Nonostante

la notizia avesse molti elementi per diventare una storia da prima pagina nessuno se

ne curò. Come scrisse Randy Shilts: «C'era solo una ragione per la mancanza di in-

teresse dei media, e della task force [dei CDC, creata nel luglio del 1981]: le vittime

erano omosessuali ». L’articolo ha contribuito a cementare l’associazione tra la nuo73 -

va malattia e la promiscuità degli «omosessuali, i quali hanno incontri sessuali multi-

pli e frequenti con partner diversi, anche dieci a notte, fino a quattro volte alla setti-

mana » dichiara James Curran, medico e portavoce dei CDC. Gli eterosessuali non 74

hanno motivo di preoccuparsi, rassicura Curran, perché «nessun caso è stato segna-

lato al di fuori della comunità omosessuale o nelle donne ». La natura e la descri75 -

zione della malattia passa in secondo piano, quello su cui si insiste è l’orientamento

sessuale dei malati.

Cit. in R. Shilts, And The Band Played on: Politics, People, and the AIDS Epidemic, St. 73

Martin's Press, 1987, p. 110

Cit. in Lawrence K. Altman, “Rare Cancer Seen in 41 Homosexuals”, The New York Times, 74

3 luglio 1981

ibidem75

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Il secondo articolo, sempre pubblicato su MMWR è datato 4 luglio 1981 , ed è firma76 -

to da oltre 40 medici e ricercatori di New York e della California. In questo articolo si

riportano 26 casi di Sarcoma di Kaposi negli ultimi 30 mesi, un numero rilevante visto

che negli ultimi 18 anni all’ospedale di New York erano stati diagnosticati solo tre casi

in persone sotto i 50 anni. Nella prosa asciutta del bollettino medico si elencano an-

che gli altri sintomi comuni, come herpes, candidosi, meningite criptococcica e toxo-

plasmosi. Il report segnala altri dieci casi di polmonite da Pneumocystis Carinii nella

comunità omosessuale, suggerendo che i cinque precedentemente riportati non sono

un fenomeno isolato.

Un articolo del dicembre 1981 apparso sul New England Journal of Medicine sotto77 -

linea che i quattro pazienti al centro dello studio «presentano una sindrome clinica

unica e insolita » e osservano che «il fatto che questa malattia sia stata osservata 78

per la prima volta negli omosessuali non è probabilmente una coincidenza ». Que79 -

ste prime narrazioni contribuiscono a radicare l’idea che questa nuova malattia ri-

guardi esclusivamente la comunità omosessuale.

Il sensazionalismo con cui i media sottolineano la ‘peste dei gay’ fa emergere l’omo-

fobia radicata negli Usa e la narrazione su mortalità e casi di contagio tra gli omo-

sessuali segna la comunità gay anche negli anni a venire in maniera indelebile.

Nel frattempo la task force dei CDC continua a riunirsi e alla fine del 1981 registra

152 casi, tra cui una donna tossicodipendente.

L’anno che segna un prima e un dopo, si conclude con una dichiarazione coraggiosa

e controcorrente: «Sono Bobbi Campbell e ho il ‘cancro dei gay’ ». Con queste pa80 -

role sul San Francisco Sentinel, l’infermiere è la prima persona a rompere il silenzio.

CDC, Kaposi’s sarcoma and Pneumocystis pneumonia among homosexual men--New 76

York City and California, in «MMWR», 30, 25, (1981), p. 305-308

M. Gottlieb, R. Schroff, et al., Pneumocystis Carinii Pneumonia and Mucosal Candidiasis 77

in Previously Healthy Homosexual Men — Evidence of a New Acquired Cellular Immunodefi-ciency, in «The New England Journal of Medicine», 305 (1981), p.1428-1429

ibidem78

ibidem79

Cit. in R. Shilts, And The Band Played on: Politics, People, and the AIDS Epidemic, St. 80

Martin's Press, 1987, p. 172 �38

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1982 Le 4 H

Il 1982 è l’anno in cui i pregiudizi si rafforzano e si moltiplicano. Lo spartiacque “noi”

e “loro” si amplia e si consolida. Non sono solo gli omosessuali a dover portare il

peso della colpa, ora tocca anche agli emofiliaci, agli eroinomani e agli haitiani. Il

club delle 4 H (homosexuals, haemophiliacs, heroin addicts and Haitians). Anche tra i

malati c’è divisione, gli emofiliaci non vogliono essere associati agli omosessuali,

mentre gli eroinomani muoiono come mosche silenziose.

La società che non fa parte del gruppo delle 4H si sente al sicuro, l’amministrazione

Reagan ignora il problema e le istituzioni sanitarie americane si muovono lentamente

per dispute economiche. Chi invece si dà da fare sono i medici con i loro pazienti e la

comunità omosessuale. I primissimi giorni di gennaio, a casa di Larry Kramer, dram-

maturgo e attivista gay, si riunisce un piccolo gruppo di persone: un giornalista, un

procuratore, attivisti gay, uno scrittore e il dottor Alvin Friedman-Kien. Il medico era lì

come esperto, convinto che quello a cui si stava assistendo fosse solo la punta dell’i-

ceberg e che andasse intavolato un dialogo con la popolazione-target. Questo grup-

po di persone fonda la prima organizzazione senza scopo di lucro, la GMHC (Gay

Men’s Health Crisis) per occuparsi della malattia battezzata inizialmente come GRID

(Gay-related immune deficiency) e poi divenuta ufficialmente Aids solo nell’estate del

1982. Lo scopo delle riunioni è raccogliere denaro e promuovere attività per creare

consapevolezza. La stessa comunità omosessuale è spaccata tra chi sottovaluta il

problema, chi è allarmato e chi crede che la situazione sia una strategia governativa

per tarpare la comunità LGBTQI, (acronimo con cui vengono indicati Lesbiche, Gay,

Bisessuali, Transgender, Queer e Intersessuali). Nonostante i frazionamenti interni il

collettivo si sviluppa rapidamente grazie alle relazioni già esistenti di amicizia, di vici-

nato, professionali e di altro tipo. Questa stessa rete di connessioni umane che il vi-

rus utilizza per diffondersi.

Con la creazione del GMHC parte anche la prima hot-line per l’Aids. La segreteria

telefonica installata nell’appartamento di uno dei fondatori la prima notte riceve oltre

100 chiamate. In seguito l'organizzazione è diventata tentacolare, e ora ha la propria

sede a Manhattan a pochi passi da Time Square, all'inizio era conosciuta per i suoi

“buddy programs”. Un programma di auto-aiuto in cui ad un malato viene affiancato

un volontario che lo aiuti in compiti quotidiani come andare in ospedale o a fare la

spesa, e lo assista se sta morendo da solo perché respinto dalla famiglia. I buddy

boys davano un supporto emotivo al malato e alle famiglie nel momento della morte �39

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del parente. La creazione di questa rete di auto-aiuto funziona anche come valvola di

sfogo per chi vede morire amici e compagni nell’indifferenza mediatico-politica, e sa

che probabilmente sarà lui il prossimo.

Alla fine del 1982 il The New York Times ha pubblicato solo sei articoli sulla malattia,

e nessuno in prima pagina. Non è stato così per la Legionella, che nel 1976 infettò

221 persone e ne uccise una trentina, a cui vengono dedicati 62 articoli, una decina

dei quali apparvero in prima pagina.

Prima che l’Aids occupi la prima pagina del The New York Times bisogna attendere

fino al 25 maggio del 1983, quando i casi accertati di Aids raggiungono il numero si-

gnificativo di 1500 persone.

Questo disinteresse mediatico è probabilmente da attribuire al fatto che la popolazio-

ne “normale” non ne voglia sapere di una malattia dai tratti scabrosi, che colpisce

omosessuali, tossicodipendenti e sex workers. Tantomeno vuol sapere di argomenti

come sesso anale, eroina e siringhe . Inoltre potrebbe aver contribuito anche la per81 -

cezione diffusa che nell’era degli antibiotici e della fiducia verso la scienza, l’Aids sa-

rebbe stato debellato rapidamente.

I dirigenti delle banche del sangue non vogliono ammettere che esista un’associa-

zione tra l’Aids e le trasfusioni. Alcuni successivamente lo definiscono omicidio per

negligenza. Decidono per precauzione di impedire agli omosessuali di donare san-

gue, però continuano a raccoglierlo nelle prigioni statali. Non esiste per il momento

un test che consenta di individuare il virus nel sangue e tantomeno nelle sacche del

plasma da cui vengono ricavati i fattori di coagulazione che mancano agli emofilici.

1983 Françoise Barré-Sinoussi

L’Aids appare in prima pagina sul The New York Times il 25 maggio del 1983. Le ra-

gioni sono due.

Il giorno precedente il dottor Eduard Brandt, capo del United States Public Health

Service (PHS), l'Ufficio per la Salute Pubblica degli Stati Uniti d’America, in una con-

ferenza dichiara che l’Aids va classificato come “la priorità sanitaria numero 1” . 82

R. A. Smith, P. D. Siplon, Drugs Into Bodies: Global AIDS Treatment Activism, Greenwood 81

Publishing Group, 2006, p. 12

R. Pear, “Health Chief calls Aids battle ‘No. 1 Priority’”, The New York Times, 25 maggio 82

1983 �40

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Il 20 maggio 1983 sulla rivista Science sono pubblicati quattro articoli di due gruppi di

ricerca, uno francese e uno americano , ed entrambi annunciano di aver scoperto 83 84

l’agente eziologico dell’Aids. Luc Montagnier dell’Istituto Pasteur, e Robert Gallo del

National Cancer Institute (NCI) di Bethesda dichiarano di aver identificato in contem-

poranea il virus. Il team francese pubblica un articolo di tre pagine in cui viene de-

scritto ciò che hanno scoperto analizzando il ganglio cervicale di un uomo di 33 anni

con sintomi collegabili ad una fase che precede l’Aids. La coltura viene fatta cresce-

re, e al quindicesimo giorno Barré-Sinoussi «riesce a mettere in evidenza una debole

ma significativa attività di trascrittasi inversa ». Ma il retrovirus, che sembra essere 85

membro della famiglia HTLV (Human T-Cell Lymphoma/Leukemia/Lymphotropic Vi-

rus, la nomenclatura ha cambiato più volte termine), non è lo stesso organismo che

Gallo sta studiando in America. Gallo è convinto che la causa dell’Aids sia proprio lo

stesso retrovirus che ha scoperto anni addietro: l’HTLV-I. L’Equipe francese è certa

che non sia lo stesso retrovirus in quanto il nuovo virus uccide i linfociti in coltura,

anziché farli crescere.

Françoise Barré-Sinoussi è la prima dei dodici firmatari della pubblicazione, ed è sta-

ta la prima a scoprire il virus dell’Aids. «Ma come spesso capita alle donne, è stata

quasi dimenticata, sopraffatta dall’invadente presenza dei due maschi

contendenti », come afferma la giornalista scientifica Cristiana Pulcinelli nel libro 86

AIDS Breve storia di un’epidemia che ha cambiato il mondo (2017).

Gli Italiani leggono per la prima volta la parola Aids su un quotidiano nazionale nel

marzo del 1983. È il Corriere della Sera che riprendendo un lancio ANSA con una

notizia proveniente da Cuba e scrive un trafiletto dai toni tragicomici . 87

F. Barré-Sinoussi, J. C. Chermann, F. Rey, et al., Isolation of a T-lymphotropic retrovirus 83

from a patient at risk for acquired immune deficiency syndrome (AIDS), in «Science», 220, 4599, (1983), p. 868-871

R. Gallo, P. S. Sarin, et al., Isolation of human T-cell leukemic virus in acquired immune 84

deficiency syndrome (AIDS), in «Science», 220, 4599, (1983), p. 865-867

Cit. in M. Grmek, Aids, storia di una malattia attuale, 1989, pag 8685

C. Pulcinelli, AIDS Breve storia di un’epidemia che ha cambiato il mondo, 2017, p. 6186

Redazione, “Misterioso morbo uccide in due anni 311 omosessuali”, Corriere della Sera, 87

28 marzo 1983 �41

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1984 Margareth Heckler

Il 23 aprile 1984 Margareth Heckler, capo del U.S. Health and Human Services (Di-

partimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti d’America) organizza una

conferenza stampa per annunciare con voce rotta dall'emozione: «In primo luogo, è

stata trovata la probabile causa dell'Aids: una variante di un noto virus del cancro

umano. In secondo luogo, non solo è stato identificato l'agente, ma è stato sviluppato

un nuovo processo per produrre questo virus in massa. In terzo luogo, con la scoper-

ta sia del virus che di questo nuovo processo, ora abbiamo un esame del sangue per

l'Aids. Con questo test, possiamo identificare le vittime dell'Aids con una certezza del

100% ». 88

La scoperta è salutata come una svolta epocale nella ricerca medica e l’eroe di que-

sta storia è Robert Gallo. Il ricercatore è riuscito ad isolare l’HTLV-III, un virus nuovo

e sconosciuto. Esattamente dieci giorni dopo escono una serie di articoli su Science

con i dettagli della scoperta americana. La decisione di indire frettolosamente una

conferenza stampa prima della pubblicazione su Science potrebbe essere stata una

mossa politica per rispondere alle critiche rivolte alla presidenza Reagan sul silenzio

che fino ad allora aveva mantenuto sull’epidemia.

Margareth Heckler, presa dall’euforia della scoperta e con mal riposto ottimismo, an-

nuncia che entro un paio di anni sarà disponibile un vaccino. La bandiera a stelle e

strisce è stata piazzata. Come lei stessa ha modo di dire «oggi aggiungiamo un altro

miracolo alla lunga lista della scienza americana ». Anche allora apparve chiaro che 89

l'annuncio di Heckler, ha promesso troppo, e troppo presto.

Lawrence K. Altman, il giornalista capo della Science Section del The New York Ti-

mes ed ex dipendente dei CDC di Atlanta, pubblica il giorno precedente e quello che

segue la conferenza un articolo in cui attribuisce la paternità della scoperta all’équipe

francese. L’articolo del 22 aprile è una lunga intervista a James Mason, direttore dei

CDC che si apre con queste parole: «Ritengo che abbiamo già la causa dell’Aids » 90

riferendosi al LAV (Lymphadenopathy Associated Virus). Altman smorza l’entusiasmo

“Margaret Heckler & Robert Gallo - 1984 Press Conference”, https://www.youtube.com/88

watch?v=k6zd3gdDKG8, (10 maggio 2018)

R. Shilts, And The Band Played on: Politics, People, and the AIDS Epidemic, St. Martin's 89

Press, 1987, p. 450

L. K. Altman, “Federal official says he believes cause of AIDS has been found”, The New 90

York Times, 22 aprile 1984 �42

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perché «trovare la causa dell'Aids non porterà necessariamente a un trattamento

tempestivo della malattia ». 91

Sebbene gli addetti ai lavori e gli esperti ammettano che probabilmente HTLV-III e

LAV sono lo stesso virus, quello che conta, anche nel mondo della scienza, è dare il

nome per primi. È interessante quanta importanza venga data all’assegnazione del

nome, perché la scelta vuol dire avere la paternità della scoperta.

Dalla comunità scientifica internazionale non tardano ad arrivare promesse sulla di-

sponibilità di un vaccino entro due anni e del test sierologico in pochi mesi. Le pro-

messe sembrano essere più una competizione tra privati per ottenere ulteriori fondi,

fama e premi, piuttosto che per l’interesse pubblico.

1985 Rock Hudson

«Dal 2 ottobre 1985, la mattina in cui muore Rock Hudson, la parola diventa nota a

quasi tutte le famiglie del mondo occidentale: Aids ». Come scrive nel prologo del 92

suo libro And the band played on Randy Shilts. Un classico del giornalismo america-

no d’inchiesta sul tema, scritto dal 1980 al 1987 sotto forma di cronaca dettagliata

che racconta anno per anno quello che l’Aids sta causando negli Stati Uniti. Il libro

trasmette ancora a distanza di 30 anni dalla pubblicazione quella sensazione di im-

potenza, di condanna a morte senza possibilità di appello che aleggiava in quel pe-

riodo. Lo stesso Shilts scopre la sua sentenza l’anno dopo la pubblicazione del libro

e muore nel 1994.

Come mai è stato scelto il personaggio di Rock Hudson per aprire il libro? Perché

l’attore americano, amico del Presidente Reagan e della first lady, sex symbol degli

anni cinquanta e sessanta, con la sua malattia ha creato uno spartiacque nell’opinio-

ne pubblica. L’Aids non colpisce solamente le persone di serie B, gli emarginati, i

reietti dalla società. L’Aids ha colpito un simbolo. Ha ucciso un’istituzione di Holly-

wood, un divo ricco ed amato, con amicizie influenti, un intoccabile.

Rock Hudson è il primo personaggio famoso morto di Aids . La notizia della sua ma93 -

lattia viene divulgata solo dieci settimane prima della morte. Per i milioni di fan è uno

ibidem91

Cit. in R. Shilts, And the Band Played On: Politics, People, and the AIDS Epidemic, 1987, 92

p. xxi

è la vittima numero 6945 negli Stati Uniti.93

�43

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shock, ma il messaggio è chiaro: «se Rock Hudson può avere l’Aids, lo può avere la

gente per bene. È solo una malattia, non un castigo morale ». 94

FIGURA 2 LA PRIMA PAGINA DEDICATA ALLA MORTE DI ROCK HUDSON Fonte: Los Angeles Times

L’annuncio della morte dell’attore sicuramente spinge gli ambienti politici ed econo-

mici ad incentivare la ricerca scientifica per trovare una terapia o un vaccino. Resta il

fatto che dopo la sua morte, molti altri divi di Hollywood hanno creato fondazioni e

elargito notevoli somme di denaro a favore della ricerca. I giornalisti dell’epoca ripor-

tano che la morte di Rock Hudson ha probabilmente contribuito più di ogni altra cosa

a focalizzare l'attenzione sull'Aids e sulla necessità di procedere con urgenza nella

ricerca. Anche William Misenhimer, direttore esecutivo della American Foundation for

Aids Research, dichiara: «Siamo di fronte ad un'emergenza sanitaria. Non credo che

la gente ci abbia creduto fino ad ora ». 95

J. Yarbrough, “Rock Hudson: On Camera and Off”, People, 12 agosto 198594

C. Hall, “Rock Hudson Dead at 59 Of AIDS Complications”, The Washington Post, 3 otto95 -bre 1985 �44

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«La rivelazione di Hudson è stata ampiamente elogiata come coraggiosa. Dando un

volto all'Aids l'interesse pubblico, politico e scientifico verso questa malattia incurabi-

le si è intensificato» scrive il Chicago Tribune, 3 ottobre 1985.

Che sia stato coraggioso nel fare coming out sulla sua malattia o che la realtà delle

sue condizioni di salute fosse ormai innegabile ha poca importanza. La sua dichiara-

zione ha influenzato il modo in cui gli Americani, gli Occidentali, lo star business e i

centri di potere hanno cambiato punto di vista riguardo l’Aids.

Le sue ultime parole fanno il giro del mondo: «Non sono certo contento di essere ma-

lato. Non sono certo contento di avere l’Aids, ma sono contento che la mia malattia

portata a conoscenza di tutto il mondo ponga all’attenzione dell’opinione pubblica il

problema di un virus così micidiale, di fronte al quale siamo ancora impotenti » 96

Sebbene la morte di Rock Hudson dia uno scossone alla percezione del malato di

Aids, la questione dello stigma che circonda l’infezione è tutt'altro che superata. Lo

stesso giorno in cui Rock Hudson muore, a Ryan White un bambino emofiliaco viene

impedito di tornare a scuola perché malato di Aids. La storia ha certamente un forte

impatto emotivo sull’opinione pubblica e ampio spazio sui giornali. Il senso di fratel-

lanza e di compassione verso il prossimo soccombono davanti alla malattia circonda-

ta da un’aura di mistero e di panico: non si conoscono le modalità di trasmissione,

come evolve e chi è a rischio di contrarre l’infezione. L’unica certezza è che non dà

scampo. Nei locali si distribuiscono bicchieri di plastica, le persone con Aids vengono

licenziate o sfrattate, i luoghi d’incontro per gay chiusi.

Questi due personaggi sono la cartina tornasole della società dell’epoca, un passo

avanti verso l’accettazione del malato, purché non sia un vicino, un compagno di

scuola o un collega. Come dire “not in my backyard”. Nonostante Rock Hudson e

Ryan White raccontino storie diverse, hanno avuto l’importanza di trasformare l’Aids

in una questione di interesse generale. La popolarità dell’attore e l’immagine del “ra-

gazzo della porta accanto” hanno umanizzato quei morti per Aids raccontati così

freddamente dalle statistiche mensili dei CDC.

Il 1985 segna anche una svolta nei progressi della conoscenza sulla malattia: con

l’introduzione del test Hiv si introduce anche il concetto di sieropositività. Il test siero-

logico diventato largamente disponibile nell’estate, permette di convalidare la dia-

gnosi di Aids là dove ci sono dubbi o sospetti. Anche se può risultare negativo in per-

G. Josca, “Con Rock Hudson Hollywood perde uno degli ultimi divi”, Corriere della Sera, 4 96

ottobre 1985 �45

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sone che sono entrate in contatto con il virus ma non hanno ancora sviluppato gli an-

ticorpi. È la cosiddetta “fase finestra”, il tempo che trascorre fra il contagio e la com-

parsa di anticorpi. Una fase che può durare alcune settimane, durante la quale se

una persona pur avendo contratto l’infezione (ed essere in grado di trasmetterla) può

risultare sieronegativa. Si cominciava a vedere una parte più grande dell’iceberg.

1986 Ryan White

Ryan White può tornare a scuola, lo ha deciso un giudice. Sono passati 15 mesi dal-

la diagnosi e Ryan li ha trascorsi tra il letto di un ospedale, segregato in casa sua,

bandito dalla comunità. Quando gli viene diagnosticato l’Aids, contratto a causa delle

trasfusioni di plasma per trattare l’emofilia, la scuola e i genitori dei suoi compagni di

classe si oppongono al suo rientro. Ryan è considerato un pericolo per gli altri stu-

denti, ed è costretto a seguire le lezioni da casa attraverso una linea telefonica. Il 21

febbraio Ryan, che era stato solo una voce per i suoi compagni di classe può ritorna-

re sui banchi. Ma è trattato come un appestato: bagni separati, una mensa a lui ri-

servata, divieto di seguire le lezioni di ginnastica. I genitori di 156 studenti su 360 97

tengono i figli a casa ed organizzano collette per pagare un avvocato che prosegua

la causa per tenerlo lontano da scuola.

Il ragazzo è il simbolo della questione etica dell’Aids: il diritto fondamentale della li-

bertà di un individuo contro il dovere della sicurezza.

Secondo alcuni, Ryan White ha sdoganato il mito secondo cui “chiunque abbia l'Aids

merita di avere l’Aids”, ricoprendo il ruolo di testimonial della “normalità” per una ma-

lattia allora senza speranza. Ryan rappresenta la vittima innocente. Quindi ci sono

malati che meritano la loro condizione? Per i media dell’epoca sì, c’è una ghettizza-

zione anche tra chi ha l’Aids. Un bambino che ha contratto il virus con una trasfusio-

ne di fattore VIII è diverso da un omosessuale che ha preso l’Aids attraverso rapporti

sessuali non protetti. E i giornali dell’epoca non perdono occasione per sottolineare

quanto l’omosessuale-tipo sia promiscuo, sottolineando in modo voyeuristico quanti

partner ha in media in una notte o in una settimana. Ryan e la sua famiglia lottano su

due fronti: contro questo tipo di discriminazione nella discriminazione e lottano contro

l’ignoranza.

Redazione, “A Timeline of Key Events in Ryan’s Life”, https://web.archive.org/web/97

20071012032359/http://www.ryanwhite.com/pages/timeline.html, (20 febbraio 2018) �46

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Nel maggio 1986 una Commissione di nomenclatura virologica stabilisce di chiamare

il virus agente eziologico dell’Aids con l’acronimo Hiv, Human Immunodeficiency Vi-

rus, ma ci sono ancora molti dubbi sulle vie di trasmissione. Si pensa che anche il

contatto casuale sia pericoloso.

1987 Il Presidente Ronald Reagan

Il 1° aprile 1987 il Presidente degli Stati Uniti d’America, Ronald Reagan rompe il

lungo silenzio sull’Aids davanti al College of Physicians di Philadelphia, la più antica

accademia medica della nazione. In questa occasione nomina per la prima volta in

un discorso pubblico la parola Aids, definendolo "nemico pubblico numero uno”.

In un forte ritardo nel dibattito nazionale sull'Aids, durante il suo discorso difende gli

sforzi economici della sua amministrazione nel combattere la malattia. Una malattia

che non ha ancora né una cura né un vaccino. Il suo consiglio per prevenire l’Aids?

Astinenza sessuale e fedeltà coniugale. Per il presidente Reagan la morale e la me-

dicina vanno di pari passo, soprattutto quando si tratta di educazione sessuale e «i

giovani si aspettano di sentire dagli adulti idee su ciò che è giusto o sbagliato ». Non 98

è difficile cogliere il riferimento a quelle categorie che con i loro comportamenti se la

sono andata a cercare e si meritano l’Aids. Gran parte del potere di Reagan si fonda

su un'ampia base di conservatori cristiani che abbracciano un'agenda sociale reazio-

naria di cui l'omofobia è un principio centrale. Sebbene l'epidemia si sia estesa agli

eterosessuali e ai neonati, conserva ancora una forte connotazione di “peste dei

gay”. Il suo, appare come il discorso inaugurale della controriforma sessuale e un

primo passo verso la legittimazione di una serie di misure concrete di controllo del-

l’epidemia come la schedatura, lo screening obbligatorio per i carcerati o l’interdizio-

ne a mettere piede sul suolo americano se sieropositivi.

Con il suo discorso il Presidente vuole sottolineare come la sua amministrazione ha

combattuto l’Aids, e rispondere in un certo senso alle critiche del Congresso e delle-

Associazioni per non aver speso abbastanza o non aver esercitato più pressione per

la ricerca di una cura. Reagan presenta un quadro ottimista della medicina america-

na, affermando che «quasi tutte le malattie che conosciamo possono essere diagno-

G. M. Boyd, “Reagan Urges Abstinence for Young to Avoid AIDS”, The New York Times, 2 98

aprile 1987 �47

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sticate e curate rapidamente ». Sebbene l’Aids sia una terrificante eccezione, la ri99 -

cerca sta progredendo. Appare chiaro il rimando al contratto firmato il mese prece-

dente (il 6 marzo) con il primo ministro francese Jacques Chirac, che pone fine ad

una disputa scientifica internazionale durata due anni . Ora i team di ricercatori dei 100

due paesi, Usa e Francia, condividono il merito per la scoperta del virus dell’AIDS e i

diritti del brevetto per il test sierologico. Né vincitori né vinti, ma un pareggio miliarda-

rio.

Alla fine di quell'anno la storia di Rocco Micò, il bambino di 11 anni che muore per

Aids commuove tutta l’Italia.

1988 Il Ministro Donat-Cattin

Alla fine di luglio del 1988, quando i casi di Aids denunciati in Italia sfiorano i tremila,

parte la prima campagna di informazione e prevenzione finanziata dal ministero della

Sanità. Uno spot di 60 secondi trasmesso in orario serale rivolto a: omosessuali/bi-

sessuali (a coloro che non hanno una “normale vita di coppia”) e tossicodipendenti.

Con approccio didattico vengono fornite informazioni sui metodi di trasmissione del

virus, cercando di dissipare paure ingiustificate. Sorprendentemente viene nominata

la parola “profilattico”.

Le polemiche arrivano su due fronti, quello del Vaticano e quello delle Associazioni

laiche come la LILA (Lega italiana per la lotta contro l’AIDS). Quest’ultima critica il

ritardo con cui l'Italia è arrivata a realizzare la sua prima campagna pubblicitaria e

un'informazione scientifica subordinata a falsi moralismi. L’Osservatore Romano, in

un durissimo articolo firmato da Giorgio Giannini, contesta punto per punto il conte-

nuto dello spot, soprattutto per quanto riguarda l’uso del profilattico come metodo

precauzionale. Secondo il giornalista della Santa Sede si deve combattere il “male

del secolo” perseguendo l’astinenza, in linea con la morale cattolica. Il ministro (in

quanto committente) si trova costretto a replicare ai giornali mentre prepara la lettera

che che ha l’obiettivo di riequilibrare il messaggio. Il 1° dicembre 1988 (dichiarata

prima Giornata Mondiale contro l’Aids) la invia a 20 mila famiglie italiane. Nella lette-

ra, che appare come una scusa pubblica per la campagna d’informazione del suo

ibidem99

G. Milano, Puoi correre, Rocco, Sangue e Aids, Cronaca di uno scandalo italiano, Il Pen100 -siero Scientifico Editore, 1995, pp XXII-XXV �48

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ministero, consiglia la castità e un comportamento eterosessuale familista, in quanto

«la famiglia è normalmente la sede più idonea per un comportamento efficace nella

lotta contro l’Aids ». «La prima regola alla quale è consigliabile attenersi è quella 101

di un’esistenza normale nei rapporti affettivi e sessuali. Per comportarsi con equilibrio

esistono almeno ragioni igieniche, se si dà poco peso a quelle morali ». L’asser102 -

zione più discutibile è l’affermazione del ministro che il preservativo non è sicuro

(teoria supportata da quasi tutti gli esperti, sottolinea). Il moralismo cattolico e la con-

cezione di Donat-Cattin che la medicina e la morale vadano di pari passo assomiglia

molto a quello di Reagan. E gli effetti che entrambi hanno causato sono evidenti: con

la loro distinzione tra persone “normali” e categorie a rischio, è che le prime si sono

illuse di essere immuni dall’Aids. Le polemiche sulla lettera giungono nei primi giorni

del nuovo anno. Quasi tutte le forze sociali e politiche italiane si scagliano contro il

richiamo alla famiglia, l’indicazione di rapporto sessuale normale e soprattutto contro

il modo inesatto con cui è stato trattato l’argomento preservativo. Le dichiarazioni del

Ministro, se possibile, peggiorano ancora le cose quando afferma: “mi pare sin trop-

po chiaro cosa voglia dire esistenza normale nei rapporti sessuali, se qualcuno non

lo sa, farà bene ad andare dal proprio medico”. Il moralismo di Donat-Cattin (sopran-

nominato scherzosamente Ayatollah) è sintetizzabile in una sua frase: «l’Aids ce l'ha

chi se lo va a cercare ». 103

1989 Act Up

A Montreal, Canada, gli attivisti di Act Up occupano il palco della 5° Conferenza In-

ternazionale Aids, esponendo a gran voce le loro rivendicazioni e diventando di fatto

degli interlocutori attivi. La creazione del gruppo Act Up, fondato nel 1987 nasceva 104

dalla riflessione della comunità gay che «accettare educatamente l’inerzia del gover-

no, della comunità scientifica e delle aziende farmaceutiche equivaleva ad accettare

A. D’Amico, “Il Ministro detta le regole dell’amore”, La Repubblica, 4 gennaio 1989101

ibidem102

Redazione, “Contro l’AIDS ecco la campagna”, La Repubblica, 28 aprile 1988103

Act Up è stata fondata nel marzo 1987 dal drammaturgo e attivista Larry Kramer. In un 104

discorso al Lesbian and Gay Community Services Center di New York, Kramer ha sfidato il movimento LGBT a organizzarsi e a mobilitarsi per ottenere una risposta più efficace dalla politica contro l'Aids. �49

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una sentenza di morte » come scrisse Randy Shilts. Il punto chiave delle manife105 -

stazioni di Act Up era attirare l’attenzione di tutti (cittadini, media, governi, istituzioni

medico-scientifiche e case farmaceutiche) sull’emergenza-Aids. Gli obiettivi delle

numerosissime dimostrazioni erano scelti con cura e le richieste spaziavano dalle

questioni sociali, alle politiche discriminatorie per le persone sieropositive o con Aids

(misure di quarantena o test obbligatorio), ai rapporti con la comunità scientifica.

Il gruppo Act Up era impegnato nel rendere visibile la questione attraverso un sapien-

te utilizzo dei media fatto in modo consapevole e coerente. All’interno del gruppo

erano converse persone che avevano dimestichezza con il marketing e il giornali-

smo. Ann Northrop, di professione attivista e giornalista, membro di lunga data di Act

Up dichiarò che «le azioni erano pianificate di proposito per essere drammatiche e

attirare l’azione dei media ». Con Act Up si ottiene un ribaltamento dei ruoli: ai me106 -

dia “strumentalizzati” venivano forniti l’argomento e il modo con cui trattare un certo

argomento.

Come altre organizzazioni nate dal basso, Act Up ha usato boicottaggi, marce, dimo-

strazioni e la disobbedienza civile nonviolenta in modo spettacolare per attirare l’at-

tenzione mediatica.

Oltre a guidare il linguaggio mediatico gli attivisti acquisiscono il linguaggio della co-

munità medico-scientifica così da potersi proporre come interlocutori validi e compe-

tenti. Con la presenza a Montreal di Act Up si assottiglia anche il confine tra gli

scienziati e i non addetti ai lavori, ovvero i pazienti, in una misura mai vista prima nel-

la storia della medicina. Durante la conferenza gli attivisti prendono posto nelle sale,

ammessi non solo come spettatori ma come partecipanti ufficiali, salendo sul palco a

parlare in sessioni dal titolo come “Farmaci contro l'Aids e la politica della biomedici-

na” e “La regolamentazione dei farmaci è andata male: la saga del Gancinovir” . 107

Act Up e le altre associazioni di pazienti hanno dovuto affrontare quella che si può

definire una “lotta di credibilità”. Credibilità delle persone e credibilità delle afferma-

zioni che fanno. Mettendo non solo in discussione la valutazione di chi si possa con-

siderare “esperto”, ma contemporaneamente la scienza stessa, come dev’essere

condotta e qual è il suo ruolo.

Cit. in R. Shilts, And the Band Played On: Politics, People, and the AIDS Epidemic, 1987, 105

p. 589

Redazione, “ACT UP Oral History Project”, http://www.actuporalhistory.org/interviews/106

images/northrop.pdf, (20 marzo 2018)

"Aids Drugs and the Politics of Biomedicine" and "Drug Regulation Gone Wrong: The 107

Saga of Ganciclovir.” �50

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Gli attivisti non rifiutano la scienza e non sono nemmeno contro gli esperti (come

scrive La Repubblica ), denunciano invece un certo tipo di pratica scientifica, la co108 -

siddetta scienza "elegante", "che Harvard chiama 'buona scienza’”, quella cioè non

favorevole al progresso della medicina e alla salute e al benessere . 109

Così nasce il Manifesto di Montreal, ovvero la “Dichiarazione Universale di Diritti e

dei Bisogni delle Persone che vivono con malattia da Hiv”, che firmano circa 300 or-

ganizzazioni (tra cui anche la LILA). Il Manifesto di Montreal chiede alle Istituzioni di

impegnarsi contro tutte le forme di discriminazione, contro le paure irrazionali e le

false notizie, e un impegno forte per garantire il pieno accesso alle terapie. Con Il

Manifesto si chiede un coinvolgimento attivo delle comunità colpite dall’epidemia nel-

le decisioni politiche che li riguardano e si sottolinea il fatto che l’Aids è una malattia

che cresce nelle disparità presenti nella società. E per superare alcuni di questi osta-

coli si chiede un maggiore impegno collettivo e legislativo.

1991 Magic Johnson

Il giocatore di basket professionista annuncia di essere sieropositivo (con il suo con-

seguente ritiro dai Los Angeles Lakers) in una conferenza stampa il 7 novembre

1991. Durante l’incontro con i giornalisti, Johnson si dichiara disponibile a usare la

sua celebrità per aiutare le persone con l'Aids e per diffondere informazioni sul virus.

Con la speranza di aumentare l’interesse sul problema e focalizzare l’attenzione sulla

prevenzione. Gli attivisti accolgono positivamente il suo messaggio, convinti che il

suo ruolo pubblico possa essere d’aiuto alla causa.

Magic Johnson all’epoca è uno degli sportivi più famosi in America ed è la prima ce-

lebrità afro-americana a rivelare la sua sieropositività. I media americani danno una

copertura massiccia alla notizia che fa rapidamente il giro del mondo. E ha ripercus-

sioni immediate: entro la fine della giornata la National Aids Hotline registra 40.000 110

telefonate, 10 volte in più della media, il giorno dopo a Wall Street tutti i titoli delle so-

D. Mastrogiacomo, “I gay contro gli scienziati”, La Repubblica, 06 giugno 1989108

S. Epstein, Impure Science: AIDS, Activism, and the Politics of Knowledge, University of 109

California Press, 1996, p. 2

La National Aids Hotline, istituita nel 1983 era un servizio telefonico attivo 24 ore su 24, 7 110

giorni su 7, forniva informazioni su come si diffonde l’Hiv e su come prevenire la trasmissio-ne. �51

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cietà produttrici di preservativi salgono alle stelle e nel mese successivo le richieste

per eseguire il test dell’Hiv aumentano del 60%.

Il messaggio di Johnson tocca tre obiettivi principali per prevenire l’Aids: aumentare

la consapevolezza del pubblico; informare circa il pericolo di infezione da Hiv; e ridur-

re i comportamenti sessuali ad alto rischio . Chiaramente non basta l’outing di una 111

celebrità a far cambiare l’atteggiamento delle persone verso i comportamenti a ri-

schio o a evitarli, ma è evidente che la sua dichiarazione fa da catalizzatore nel pro-

muovere la prevenzione soprattutto tra gli adolescenti e i giovani americani, per i

quali è un idolo.

Secondo gli esperti in comunicazione pubblica Gregory Payne e Kevin Mercuri,

Magic Johnson ha fornito una nuova immagine al pubblico americano della persona

infetta da Hiv , e Philip H. Pollock, Professore in Scienze Politiche all’University of 112

Central Florida, aggiunge che l’annuncio del cestista può essere definito come un

"momento critico" nella ridefinizione dell'opinione pubblica sui temi legati all’Aids . 113

Dopo questo evento, i media finalmente cominciano a distinguere tra i termini “siero-

positività” e “Aids” intesa come malattia conclamata. Il merito di Magic Johnson è far

capire che esistono diversi stadi di progressione della malattia.

Il cestista americano, ricco, eterosessuale, contagiato attraverso un rapporto non

protetto contribuisce a collocare l’Aids all’interno delle malattie sessualmente tra-

smissibili. Per questa ragione è prevedibile ed evitabile, e non un castigo di Dio.

Le parole di Magic e l’approvazione il mese prima della DDI , un altro inibitore della 114

trascrittasi inversa, rappresentano un forte messaggio di speranza per i sieropositivi.

1992 David Kirby

W. Brown, M. Basil, Media Celebrities and Public Health: Responses to 'Magic' Johnson's 111

HIV Disclosure and Its Impact on AIDS Risk and High-Risk Behaviors, in «Health Communi-cation», 7, 4, (1995), p. 345-370.

J. Payne, K. Mercuri, Crisis in communication: Coverage of Magic Johnson’s AIDS disclo112 -sure, in «AIDS: Effective communication for the 90s», (1993), 151–172

P. H. Pollock, Issues, values, and critical moments: Did ‘Magic’ Johnson transform public 113

opinion on AIDS?, in «American Journal of Political Science», 38, 2, (1994), 426–446

DDI: Didanosina (analogo sintetico della deossiadenosina). È il secondo farmaco antire114 -trovirale, in ordine di tempo, introdotto nella pratica clinica. �52

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Se questo nome non suggerisce niente, la foto che lo ritrae morente in un letto

d’ospedale è un’immagine che è difficile dimenticare. David Kirby, 32 anni, disteso

come un Cristo del Mantegna circondato dai parenti (il padre, la sorella e la nipote) è

un simbolo e un’opera d’arte controversa, diventata famosa grazie al nome di Olivie-

ro Toscani e Benetton. La faccia emaciata, pelle e ossa e gli occhi che guardano un

punto lontano, consegnano al mondo il terribile spettacolo del corpo devastato dal-

l’Aids. Sono gli ultimi istanti di vita del giovane attivista gay, in una stanza dell'ospe-

dale della Ohio State University, fissati per sempre sulla pellicola dalla fotografa The-

rese Frare. È la mattina del 5 maggio. La foto in bianco e nero è pubblicata su Life

nel novembre del 1990 e vince il World Press Photo Award nel 1991.

Diventa famosa in tutto il mondo grazie alla campagna pubblicitaria primavera-estate

'92, associata ai prodotti e alla cultura di Benetton che porta la firma di Oliviero To-

scani. La foto, come le altre sei della campagna, usa deliberatamente un linguaggio

scioccante, spesso crudo, che utilizza i metodi pubblicitari dello “shockadvertising” . 115

La foto a colori è intitolata “Pietà” ed è affissa nelle strade di molti Paesi, per alcuni

dei quali, come il Paraguay, è la prima occasione per parlare di Aids, e per molti altri

è la prima campagna ad andare oltre le informazioni puramente nozionistiche. L’in-

tento è suscitare un senso di solidarietà verso i malati di AIDS, un senso di condivi-

sione, di pietas.

La campagna Oliviero Toscani-Benetton rappresenta un nuovo approccio ai problemi

sociali ed è duramente criticata tanto da ritrovarsi al centro di una accesa polemica

un po’ in tutto il mondo. Si parla di strumentalizzazione di una tragedia umana per

scopi commerciali, di uso sconsiderato di immagini sconvolgenti, di come (e se) la

pubblicità possa impossessarsi della cronaca. La foto prova a cancellare la morte

esibendola, anziché nascondendola. La morte viene esorcizzata e si fa promotrice di

valori umani.

I genitori di David Kirby, prendono parte alla conferenza stampa convocata da Benet-

ton nella biblioteca pubblica di New York e mentre l’opinione mondiale è divisa tra

accuse di cinismo e testimonianze di approvazione, e molte riviste si rifiutano di

stamparla, la madre di David Kirby dice: «Non pensiamo di essere stati usati da Be-

netton, ma piuttosto il contrario: David sta parlando molto più forte ora che è morto,

rispetto a quando era vivo». La foto è riuscita ad attirare l’attenzione e ad intavolare

un dialogo su questo dramma sociale.

una combinazione tra la parola “shock”, “traumatizzare o scioccare”, e la parola “adverti115 -sing”, “pubblicità” �53

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FIGURA 3 DAVID KIRBY’S FINAL MOMENTS - BENETTON ADVERTISEMENT (FOTO THE FACE OF AIDS, 1990) Fonte: Oliviero Toscani/United Colors of Benetton: AIDS-David Kirby

La foto cambia in un certo senso il volto dell’Aids e contribuisce in modo significativo

a diffondere un messaggio di umanità, solidarietà e contemporaneamente a denun-

ciare la gravità della malattia. Per l’associazione Arcigay, «soltanto immagini molto

forti e al limite dello scioccante sono in grado di far passare -ha affermato il suo pre-

sidente, Franco Grillini- il messaggio che l' Aids ci riguarda tutti ». 116

1993 Duilio Poggiolini

Detto anche il Rockefeller o il Re Mida della Sanità, come è soprannominato quando

è direttore generale del Servizio Farmaceutico del Ministero (attuale AIFA), viene ac-

cusato di prendere tangenti dalla case farmaceutiche per inserire i loro prodotti nel

prontuario. Duilio Poggiolini, il braccio destro del Ministro della Sanità Francesco De

Lorenzo (in carica dal luglio 1989 al febbraio 1993), è accusato di una serie di reati

nelle procedure di gestione del servizio sanitario, in favore di grandi aziende farma-

ceutiche. Ma la vicenda apre un vaso di pandora che porta a galla, ad un anno da

E. Bonerandi, “Come Galileo, andrò avanti così”, La Repubblica, 26 gennaio 1992116

�54

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Tangentopoli, lo scandalo del sangue infetto. Il capo del Servizio Farmaceutico

avrebbe autorizzato la circolazione e l’utilizzo di sacche di sangue a rischio e omesso

una serie di controlli sugli emoderivati messi in commercio. Negligenze finalizzate a

privilegiare le multinazionali del settore a scapito dei pazienti. Secondo l’Associazio-

ne nazionale Politrasfusi Italiani, tra il 1980 e il 1986 sarebbero state messe in circo-

lazione tonnellate di emoderivati provenienti da pool di plasma ricavato da sangue

raccolto (spesso dietro pagamento) nelle carceri di Arkansas e Alabama, così come

in alcuni Paesi dell’Africa, da individui esposti più di altri a infezioni. L’utilizzo del

sangue infetto avrebbe causato il contagio di migliaia di persone con il virus HCV,

HBV (rispettivamente, dell’epatite C e B) e Hiv. Sebbene dal gennaio 1983 sia noto 117

il rischio che il sangue veicoli il virus dell’Hiv, e benché il test Elisa sia in commer118 -

cio in Italia dall’aprile del 1985, «fino al febbraio 1988 sangue ed emoderivati italiani,

non testati, sono rimasti sul mercato ». Secondo chi lo accusa , Duilio Poggiolini 119 120

avrebbe autorizzato il commercio degli emoderivati non testati per dare modo alle

industrie farmaceutiche di smaltire le scorte di sangue probabilmente infetto, scon-

giurando il pericolo di una grave perdita economica . Duilio Poggiolini, in una lettera 121

scrive: «L' amministrazione ha sempre dovuto evitare che si determinassero carenze

di emoderivati per gli emofiliaci. Pertanto, l'eliminazione dei lotti non conformi alle più

aggiornate misure è stata disposta soltanto quando sono risultati disponibili sul mer-

cato lotti di nuova produzione in quantità adeguate al fabbisogno nazionale ». 122

Un’ammissione di colpa (utilizzo in Italia di plasma non sicuro e mancato ritiro dei

prodotti a rischio contagio dal commercio) mascherata da scelta ponderata. L’Asso-

ciazione dei Politrasfusi Italiani (Api) intraprende una battaglia legale e di visibilità

1989 anno di identificazione del virus dell’epatite; 1990 anno in cui fu reso obbligatorio il 117

test per la ricerca degli anticorpi HVC

permette di rilevare l’infezione da Hiv mediante test immunoenzimatici che rilevano, nel 118

siero o nel plasma, la presenza di anticorpi anti-Hiv. Dato che la produzione di anticorpi anti-Hiv non è immediata vi è un periodo in cui il test non è in grado di diagnosticare l’infezione (Periodo Finestra). Il test Elisa di prima generazione inoltre dava il 3% di falsi positivi.

M. Pappagallo, “Tangenti sanitarie sporche di sangue”, Corriere della Sera, 3 novembre 119

1993

Importante fu il dossier redatto dalla Cgil e dall’Associazione Politrasfusi Italiani conse120 -gnato il 29 ottobre 1993 ai magistrati che indagano sugli affari di Poggiolini.

M. De Luca, Sangue infetto. Una catastrofe sanitaria un incredibile caso giudiziario, Mi121 -mesis Edizioni, 2018, p. 289

A. Custodero, “Ecco come speculano sul nostro dramma”, La Repubblica, 31 ottobre 122

1983 �55

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contro chi ha deliberatamente contribuito alla diffusione di malattie che si potevano

evitare. Le accuse rivolte alle autorità sanitarie e ai ministri della salute dal 1985 al

1993 vanno da gravi carenze (legali e morali) a omissioni per non aver evitato il con-

tagio di un numero imprecisato (le cifre esatte non sono disponibili) di Italiani, non

solo affetti da patologie del sangue (circa 5000 emofiliaci e 7000 talassemici , 123 124

dati aggiornati ad agosto 2017 in Italia), ma anche coloro che vennero sottoposti a

trasfusioni di sangue durante interventi chirurgici.

Il 31 luglio 2008, sette anni dopo la richiesta dei Pm, la Procura della Repubblica di

Napoli rinvia a giudizio per omicidio colposo plurimo aggravato Duilio Poggiolini, l’im-

prenditore Guelfo Marcucci (soprannominato dai giornali “Il conte Dracula”), del

gruppo farmaceutico Marcucci, e altri dieci imputati, amministratori di case farmaceu-

tiche, che avrebbero dovuto vigilare sulla sicurezza del sangue e degli emoderivati.

Alla Procura della Repubblica di Napoli l’inchiesta era stata trasferita dal tribunale di

Trento l’aprile 2003. Archiviata il 18 giugno 2005 e riproposta per intervento delle par-

ti civili. Il 27 dicembre 2007 il gip Maria Vittoria De Simone ordina alla Procura di Na-

poli di formulare l’imputazione di omicidio colposo plurimo. Dopo quasi trent’anni dai

primi decessi per AIDS tra gli emofilici e i talassemici, il 2008 vede l’avvio del proces-

so penale contro Duilio Poggiolini (classe 1929). Processo non ancora concluso.

1994 Randy Shilts

Nel 1994 l’Aids è la prima causa di morte per la popolazione statunitense di età com-

presa tra i 25 e i 44 anni. Il 18 febbraio, a 43 anni, muore Randy Shilts, scrittore e

giornalista americano che più di altri si occupò dell’emergenza Aids. Muore di Aids e i

colleghi gli rendono omaggio con necrologi e tributi in tutti i giornali del Paese. Intel-

lettuale pungente e spesso scomodo, ha scritto il libro And the Band Played On: Poli-

tics, People, and the Aids Epidemic, un libro in cui ha racconta la storia dell'epidemia

di Aids in prosa appassionata ma imparziale. Considerato come il principale resocon-

Redazione, “Emofilia”, http://www.telethon.it/ricerca-progetti/malattie-trattate/emofilia (7 123

marzo 2018)

Redazione, “Talassemie”, http://www.telethon.it/ricerca-progetti/malattie-trattate/talasse124 -mie (7 marzo 2018) �56

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to dei primi anni dell'epidemia di Aids , il libro rivela l'iniziale inerzia del governo 125

americano verso una malattia emergente che si andava diffondendo con grande ra-

pidità, uccidendo centinaia di migliaia di persone, e che si è rivelata essere una delle

più grandi crisi sanitarie del 20° secolo.

Moltissimi americani e non solo, (il libro, acclamato dalla critica, viene tradotto in 7

lingue e diventa un bestseller ) si chiesero: Cos’è successo? Com’è stato possibile 126

non prendere sul serio dall’inizio questa epidemia? Nel rispondere a queste doman-

de, Shilts intreccia i fili più disparati creando una storia lineare, in cui viene identifica-

ta ogni contraddizione avvenuta all’interno dei più alti livelli delle istituzioni mediche,

politiche e dei media. Shilts sostiene che l'epidemia si è diffusa velocemente perché

il governo ha chiuso gli occhi; gli scienziati erano spesso più interessati al prestigio

che a salvare vite; i giornali erano restii a pubblicare articoli sulla “piaga dei gay”,

perché riguardava ‘loro’, i gay. Shilts dà spazio alle storie di scienziati, politici, opera-

tori della sanità pubblica e attivisti che hanno lottato per allertare la comunità sulla

gravità del pericolo. Il libro è un catalogo di eroi e di cattivi, di condanne e di assolu-

zioni. Il titolo stesso del libro fa riferimento al disinteresse di tutti, riguardo all’emer-

genza Aids. La banda continua a suonare, indisturbata come se niente fosse accadu-

to o stesse accadendo. La morte di Randy Shilts invece non passa inosservata e la

storia, che tante volte lui aveva raccontato, torna alla ribalta e sulle prime pagine dei

giornali. Il giornalista diventa esempio per i colleghi di rettitudine e di devozione alla

causa.

Shilts è stato certamente una figura controversa, odiato dalla sua stessa comunità

sebbene il suo lavoro è stato unanimemente riconosciuto come «un capolavoro di

giornalismo investigativo », ma soprattutto è stata la persona che ha più influenzato 127

il dibattito sull’Aids e sull’omosessualità . Infatti come disse Larry Kramer: «lui da 128

dal 1976, anno in cui fu confermato il primo caso di Aids in Grethe Rask, una dottoressa 125

danese che lavorava in Africa, al 1987, anno di pubblicazione.

Il libro rimase 5 settimane nella New York Times Bestseller List e venne nominato per il 126

National Book Award. È stato anche adattato in un film della HBO nel 1993, ed ha visto la partecipazione di star come Richard Gere, Matthew Modine e Anjelica Huston.

E. Brunet, "And the Band Played On: Politics, People and the Aids Epidemic by Randy 127

Shilts”, Los Angeles Times”, 2 ottobre 1988

la parola è stata coniata nel XIX° secolo dallo scrittore e psicologo Károly Mária Kertbeny.128

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solo probabilmente ha fatto più di qualsiasi altra persona per informare il mondo sul-

l’Aids ». 129

Su una cosa ha sbagliato: identificando in Gaëtan Dugas il paziente zero, colui che

ha introdotto il virus in America. Dopo 30 anni la riabilitazione dello steward canade-

se chiude il cerchio e nulla toglie al libro di Randy Shilts e all’impatto che ha avuto

nella ricostruzione dell’epidemia e nella costruzione del dibattito sull’Aids.

1996 David Ho

Il Dottor David Ho appare sulla copertina di Times come Man of the Year del 1996. 130

Un merito che prima di allora nessun uomo di scienza aveva avuto, salvo nel 1960

quando il gruppo “U.S. Scientist” ebbe lo stesso riconoscimento. Era un gruppo di

chimici, fisici, biologi e un ingegnere e rappresentavano la potenza della scienza 131

statunitense. Fino al 2014 il Dottor Ho sarà l'unico uomo dell'anno premiato per “il 132

suo grande contributo a capire e a curare l’Aids” scrive Time. Di solito l’onore di que-

sto riconoscimento viene dato a uomini politici che "nel bene o nel male, hanno 133

fatto il massimo per influire sugli eventi dell’anno”.

Redazione, ”Aids Journalist Randy Shilts, 42 Reporter Wrote About Epidemic's Origins" 129

Chicago Tribune, 18 febbraio1994

o Woman of the Year, denominazione usata fino al 1999, in seguito Person of the Year. Il 130

titolo viene assegnato dal 1927.

Rappresentati da George Beadle, Charles Draper, John Enders, Donald A. Glaser, Jo131 -shua Lederberg, Willard Libby, Linus Pauling, Edward Purcell, Isidor Rabi, Emilio Segrè, Wil-liam Shockley, Edward Teller, Charles Townes, James Van Allen e Robert Woodward.

Nel 2014 sono gli Ebola Fighters (scienziati, medici, infermieri, operatori sanitari) a divi132 -dersi il riconoscimento della copertina del Time.

Nella lista sono presenti solo quattro donne (Wallis Simpson 1936, Soong Mei-ling 1937, 133

Elisabetta II 1952, Angela Merkel 2016) e idee o oggetti come i “Baby Boomers” nel 1966, “Il Computer” 1984, “Tu” 2006. Tra i premiati ci sono anche Joseph Stalin, Adolf Hitler, Ruhollah Khomeini, Vladimir Putin e Donald Trump. �58

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FIGURA 4 LA COPERTINA DEL TIME Fonte: Time

Pochissimi lettori del Time conoscono il Dottor David Ho, l’Aids researcher, ritratto

sulla copertina del 30 dicembre 1996. Al di fuori degli ambienti accademici, all’ester-

no della comunità dei ricercatori sull'Hiv e delle conferenze internazionali, in pochi

hanno sentito parlare del medico taiwanese-americano. E poche sono anche le volte

in cui è stato intervistato o citato dai giornali statunitensi. Eppure quest’uomo di 44

anni è a capo del Centro di ricerca sull'Aids dell’Aaron Diamond di New York. Dal 134

palco dell’XI° Conferenza Internazionale sull’Aids di Vancouver David Ho espone le

importanti novità che lo renderanno famoso: utilizzando una combinazione di antire-

abbreviato come ADARC, è un istituto di ricerca medico dedicato all’investigazione di una 134

cura per l’Aids istituito nel 1991. �59

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trovirali , chiamata HAART (Highly Active Antiretroviral Therapy), nelle prime fasi 135

dell'infezione, è possibile ottenere risultati impensabili rispetto alle terapie precedenti.

La HAART permette di ridurre la carica virale nel corpo fino a livelli non rilevabili, fa

aumentare le cellule CD4 , e, cosa più importante, fa crollare la mortalità e la mor136 -

bilità tra i pazienti.

Il motto di David Ho, «Hit Early, Hit Hard», cioè "colpisci presto, colpisci forte", si rife-

risce alla strategia che modificherà radicalmente l'approccio terapeutico nei confronti

dell'infezione, portando ad iniziare la terapia più precocemente di quanto non venisse

fatto in passato, quando la replicazione virale non ha ancora danneggiato significati-

vamente il sistema immunitario.

Viene anche messo a punto un nuovo tipo di esame che misura la carica virale, ossia

che consente di contare il numero di copie del virus presenti nel sangue e di dare

un’indicazione quantitativa dello stato di avanzamento dell’infezione e dell’efficacia

della terapia. Questo dato combinato con la conta dei linfociti CD4+ permette di fare

previsioni affidabili circa il decorso dell’infezione.

La XI° Conferenza Internazionale Aids a Vancouver si chiude con la convinzione di

essere infine riusciti ad intravedere una luce in fondo al tunnel.

Nel motivare la scelta fatta dal suo giornale, il redattore capo del settimanale Time,

Walter Isaacson afferma: «Lo scopo dell’assegnazione del titolo Man of the Year è di

raccontare la storia del nostro tempo attraverso le persone che la fanno. La scelta

La HAART, ossia terapia antiretrovirale altamente attiva, è il termine che descrive l’uso 135

contemporaneo di tre o più farmaci antiretrovirali. Si parla anche di “terapia combinata” o “regime terapeutico antiretrovirale” o “triplice associazione”. La HAART prevede un cocktail di inibitori della trascrittasi inversa nucleosidici (come l’AZT, che sono competitori dei nucleo-tidi naturali durante la sintesi di nuove molecole di DNA virale) e/o non nucleosidici (i quali si legano ad un sito attivo dell’enzima transcrittasi alterandone la forma e compromettendone la funzionalità) con gli inibitori della proteasi (l’effetto si esplica sulle cellule infettate dall’Hiv bloccando la produzione di particelle virali infettanti). Gli inibitori delle proteasi sono entrati nel mercato tra il 1995-96. La combinazione di farmaci permette quindi di colpire diversi bersagli molecolari nel ciclo vitale dell’Hiv. Con il nuovo millennio è apparsa una nuova classe di farmaci, detta inibitori dell’entrata: gli inibitori della fusione e gli antagonisti del CCR5.

Le cellule CD4 (dette anche linfociti T o cellule T-helper) sono i globuli bianchi responsa136 -bili di orchestrare la risposta contro le infezioni e sono i marcatori chiave della funzione im-munitaria. Le cellule CD4 vengono chiamate così perché espongono sulla loro superficie un marcatore chiamato CD (Cluster di Differenziazione), mentre il numero identifica un tipo spe-cifico di cellula. La conta dei CD4 è la misura della quantità di cellule CD4 in un millilitro cubo di sangue. Se non trattato, il virus HIV attacca le cellule CD4 e si replica, incrementando la carica virale e determinando contemporaneamente una diminuzione delle cellule CD4. Man mano che la malattia progredisce, le cellule CD4 diminuiscono. Questa progressiva diminuzione delle cel-lule CD4, se non si interviene con terapie, porta allo sviluppo dei sintomi associati all’AIDS. �60

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del Dottor David Ho è un esempio perfetto: sebbene non abbia guadagnato le prime

pagine, il Dottor Ho ha contribuito a fare la storia. Guarderemo al 1996 come l'anno

in cui finalmente abbiamo fatto progressi contro una pestilenza che sta spaventando

il mondo da oltre un decennio ». 137

La Conferenza di Vancouver apre spiragli di speranza e di fiducia verso il futuro. L’in-

troduzione della triplice terapia, la HAART è un evento di portata storica che segna

un prima e un dopo per i malati e uno spartiacque per come la comunità medico-

scientifica guarda all'Hiv e all’Aids. La HAART rivoluziona il trattamento e la cura del-

l'Hiv e, per la maggior parte dei pazienti nei paesi ad alto reddito, la diagnosi di sie-

ropositività non rappresenta più una condanna a morte. Viene coniata l’espressione

"Sindrome di Lazzaro”, per riferirsi ai pazienti che tornano dall'orlo della morte alla

buona salute. Molti sperano anche che una terapia antiretrovirale prolungata possa

eradicare l'Hiv, anche se fino ad oggi questo non sembra possibile a causa della per-

sistenza dell'Hiv in serbatoi nel corpo dove il virus s’annida e resta latente.

Questa sorta di resurrezione e l’introduzione del concetto di carica virale non rilevabi-

le portano con sé sia speranza che problemi: il rischio di produrre una caduta dei 138

comportamenti e delle strategie preventive.

Il dottor Ho sottolinea uno degli obiettivi più importanti: «Non possiamo continuare

solo a curare i pazienti quando vengono infettati. […] La vera soluzione all'epidemia

è ridurre la diffusione del virus e ciò avviene attraverso l'educazione e il ricorso a mi-

sure che ne blocchino la trasmissione come con l'uso del preservativo ». 139

B. Hallet, "To Our Readers: Dec. 30, 1996”, Time, 30 dicembre 1996137

Tutti i test di rilevazione della carica virale hanno una soglia al di sotto della quale non 138

riescono più a determinare la quantità di Hiv in modo affidabile: è il cosiddetto limite di rileva-bilità. I test attualmente utilizzati hanno un limite di rilevabilità di 40 o 50 copie per millilitro. Scopo ultimo del trattamento anti-Hiv è appunto quello di far scendere la carica virale a valori non rilevabili. Questo non significa che il virus non sia presente, significa che è presente in quantità al di sotto del limite di rilevabilità. Inoltre il test della carica virale rileva solo i livelli di Hiv nel sangue, che potrebbero differire da quelli presenti in altre parti del corpo, come l’inte-stino o i linfonodi.

Redazione, “179th Congregation (2008) David HO Da I Doctor of Science honoris causa” 139

https://www4.hku.hk/hongrads/index.php/archive/graduate_detail/285, (20 marzo 2018) �61

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1997 Il Presidente Bill Clinton

Grazie alla HAART si assiste presto ad un allungamento della durata della vita nei

malati di Aids e nei paesi industrializzati si riducono drasticamente i decessi per

Aids . La malattia si avvia quindi ad assumere i caratteri di una patologia cronica. 140

Ma la disponibilità di nuovi farmaci sottolinea anche le forti disuguaglianze per il loro

accesso tra il Nord e il Sud del mondo. Porta anche un vento di speranza, prima fra

tutte, la messa a punto di un vaccino.

Il 18 maggio 1997 , durante un discorso alla Morgan State University, una scuola 141

storicamente nera di Baltimora, il presidente Bill Clinton sfida la comunità scientifica

a produrre un vaccino entro dieci anni. Di questa sfida il presidente Clinton, come

aveva fatto 36 anni prima Kennedy per la conquista della Luna, ne fa un obiettivo

scientifico nazionale. Lo definisce una necessità per la salute pubblica e un imperati-

vo morale, oltre che «una sfida con conseguenze molto più immediate per la vita e la

morte di milioni di persone in tutto il mondo» . 142

In the first 4 years, we have increased funding for Aids research, prevention, and care by 50%, but it is not enough. So let us today set a new national goal for science in the age of biology. Today let us commit ourselves to deve-loping an Aids vaccine within the next decade. There are no guarantees. It will take energy and focus and demand great effort from our greatest minds . 143

Con questo discorso il Presidente Clinton vuole riaffermare e ristabilire quella fiducia

nella scienza e nel progresso scientifico-tecnologico che nei primi anni dell’epidemia

era stata persa.

Nello stesso discorso Clinton si sofferma anche su quelle che per lui sono le implica-

zioni della scienza. Le elenca in quattro punti:

D. Minerva, S. Vella, No Aids.Globalizzare la salute, p. 114140

Da quel giorno, il 18 maggio è diventato negli USA l’Hiv Vaccine Awarness Day.141

W. J. Clinton: “Commencement Address at Morgan State University in Baltimore, Mary142 -land,” http://www.presidency.ucsb.edu/ws/?pid=54156, (22 marzo 2018)

ibidem. “Nei primi 4 anni, abbiamo aumentato i fondi per la ricerca, per la prevenzione e 143

per la cura dell'Aids del 50%, ma non è sufficiente. Quindi, fissiamo oggi un nuovo obiettivo nazionale per la scienza nell'era della biologia. Impegniamoci quest’oggi a sviluppare un vaccino contro l'Aids entro il prossimo decennio. Non ci sono garanzie. Ci vorranno energia e concentrazione e ciò richiederà un grande sforzo delle nostre più grandi menti.” �62

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1. «La scienza spesso si muove più velocemente della nostra capacità di compren-

derne le connessioni, lasciando un labirinto di domande morali ed etiche sulla

sua scia. […] La scienza non ha un'anima propria. Spetta a noi determinare se

sarà usata come una forza per il bene o il male.» (Citando come esempio lo stu-

dio sulla sifilide di Tuskegee)

2. «Nessuna delle nostre scoperte dovrebbe essere usata per etichettare o discri-

minare un gruppo o un individuo.» (Come ad esempio il test di suscettibilità gene-

tica per il cancro al seno)

3. «La tecnologia non dovrebbe essere utilizzata per abbattere il muro della privacy

e l'autonomia della libertà dei cittadini.» (Internet e la sicurezza informatica dei

dati sensibili)

4. «Bisogna ricordare che la scienza non è Dio.» (Citando come esempio la clona-

zione degli animali)

Il presidente Clinton, esortando alla ricerca per un vaccino, fa riferimento a quell’idea

di scienza intrinsecamente legata allo Stato che si svolge nelle università e negli isti-

tuti di ricerca pubblici, come appunto la Morgan State University e il National Institu-

tes of Health. Quest’ultimo ente sarà proprio quello che ospiterà il nuovo centro di

ricerca sui vaccini contro l’Aids. Le istituzioni non sono solo motivate da uno spirito di

pura conoscenza, ma anche dalla privatizzazione del sapere. La relazione tra scien-

za e mercato appare chiara attraverso la messa a punto di un vaccino da brevettare

e da introdurre sul mercato, con degli interessi economici di non poco conto.

1998 Barbara Ensoli

Il 23 ottobre 1998 a San Marino durante il Simposio internazionale su Aids e cancro

viene dato un importante annuncio: le ricerche dirette dalla dottoressa Barbara Ensoli

(direttrice del Centro nazionale Aids e dell’Istituto Superiore di sanità, Iss) hanno dato

degli ottimi risultati. L'esordio mediatico del vaccino italiano per l'Aids è accompagna-

to da speranza e infarcito di un forte spirito patriottico. Il giorno seguente i principali

quotidiani italiani danno ampio spazio alla notizia: Il Messaggero ipotizza tempi bre-

vissimi di riuscita (“Aids, l'Italia a un passo dal vaccino”), Il Giornale ne esalta già il

funzionamento ("Aids, funziona il vaccino italiano”) mentre Il Tempo fa pronostici spe-

ranzosi (“Un vaccino italiano combatterà l’Aids”).

�63

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Ma se da un lato i media e la politica comunicano ottimismo, la comunità scientifica

appare dubbiosa. Infatti i risultati ottenuti dal team della Ensoli sono frutto di un cam-

pione molto limitato e con tempi di controllo molto stretti (sette mesi), ma nono144 -

stante ciò i risultati vengono resi pubblici prima ancora di aver concluso la fase di ri-

cerca. La stranezza è che nulla è ancora stato pubblicato su una rivista scientifica

specializzata, e si dovranno aspettare ancora otto mesi perché lo studio italiano

compaia su Nature , una rivista di rilevanza internazionale ma non specializzata nel 145

campo dell’Aids (Agnoletto e Gnetti, 2012).

Le critiche da parte della comunità scientifica non si fanno attendere, ponendo delle

riserve sulla conduzione del progetto, sul trattamento delle scimmie, sulle modalità di

somministrazione del vaccino e sui risultati. Sostanzialmente su tutto l’impianto spe-

rimentale.

Il team guidato da Barbara Ensoli, lavora sulla proteina virale Tat, una proteina rego-

latrice sintetizzata dal virus che agisce come attivatore per la replicazione del DNA

virale ed anche di geni cellulari. Gallo afferma che la proteina virale Tat «suscitò

qualche interesse come vaccino terapeutico nella prima metà degli anni novanta, ma

non dopo il 1995, quando ormai erano disponibili terapie farmacologiche anti-Hiv

estremamente efficaci ». A scoprire la proteina Tat fu proprio Gallo e il suo team a 146

metà degli anni ottanta al National Cancer Institute, nel cui laboratorio Barbara Enso-

li, andò a cavallo tra gli anni ottanta e novanta come ricercatrice post-dottorato per

lavorare sulla biologia del sarcoma di Kaposi.

Sebbene già a metà degli anni novanta a livello internazionale già altri team di ricer-

catori avessero chiarito che la Tat da sola non aveva futuro come vaccino preventivo

(da somministrare a persone sieronegative per impedire un’eventuale infezione),

qualche possibilità di impiego come vaccino terapeutico (come immunoterapia per

persone già sieropositive), poteva averlo, ma l’entrata in scena delle HAART rivolu-

zionò tutto . 147

L’annuncio a titoli cubitali del vaccino italiano ha da una parte acceso una speranza

(poi una delusione cocente), mentre dall’altra ha fatto perdere tempo, energie e soldi

cinque macachi sui sette vaccinati, si sono dimostrati in grado di bloccare la replicazione 144

virale.

A. Cafaro, A. Caputo, A, et al., Control of SHiv-89.6P-infection of cynomolgus monkeys by 145

Hiv-1 Tat protein vaccine, in «Nature, 5, (1999), p. 643–650

V. Agnoletto, C. Gnetti, Aids: lo scandalo del vaccino italiano, Feltrinelli, 2012, p. 11146

ivi, p. 135147

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(al progetto di ricerca di Barbara Ensoli sono andati circa 50 milioni di euro) ai pro-

getti volti alla prevenzione.

L’annuncio che un vaccino sta per essere messo a punto ha avuto delle implicazioni

sociali molto forti: un’indagine condotta da Anlaids nel 2007 riferisce che uno stu148 -

dente su cinque crede che dall’Aids si guarisca o che esista già un vaccino in grado

di proteggere dall’infezione . 149

Gallo prosegue raccontando di essere rimasto molto sorpreso che Ensoli, una volta

rientrata in Italia «fosse a capo di un gruppo di ricerca sui vaccini e controllasse in

qualche modo i finanziamenti, […] perchè negli anni trascorsi con me Barbara non

aveva mai lavorato in immunologia, tanto meno sui vaccini. E in realtà aveva lavorato

di rado sui virus ». 150

2005 Mandela

Tra i maggiori ostacoli alla lotta globale contro l'epidemia di Aids c'è la cultura del si-

lenzio e della vergogna che continua a circondare la malattia, specialmente nei paesi

duramente colpiti come il Sudafrica, il quale si posiziona al terzo posto per la percen-

tuale di adulti (15-49 anni) che vivono con l’Hiv/Aids . Eppure il 6 gennaio 2005 151

Nelson Mandela annuncia che suo figlio di 54 anni, è morto di Aids. Quell’anno in

Sud Africa, si stimano siano avvenute 900 morti al giorno relative all’Aids . 152

Nominando la parola Aids Mandela ha rotto un tabù che impedisce a molte persone

in tutta l'Africa di parlare apertamente della malattia. «Non teniamola nascosta, è

l’unico modo per farla apparire una malattia normale, come il cancro o la tubercolosi.

Dichiarare che una persona è morta di Aids farà sì che la gente smetta di considerar-

Associazione Nazionale per la Lotta contro l’Aids è stata fondata nel 1985 da un gruppo 148

di medici, ricercatori, giornalisti, attivisti e volontari. Il presidente in carica è Bruno Marchini. Ex presidenti sono Ferdinando Aiuti e Mauro Moroni per citarne alcuni.

F. Aiuti, “ L’estate sta passando, l’Aids resta un tabù“, http://www.anlaidsonlus.it/wp-con149 -tent/themes/maimpok/images/notizie/Anlaidsnotizie_luglio2007-2.pdf, (27 marzo 2018)

V. Agnoletto, Aids Lo scandalo del vaccino italiano, Feltrinelli, 2012, p.10150

Redazione, “The World Factbook”, https://www.cia.gov/library/publications/the-world-fact151 -book/rankorder/2155rank.html, (10 aprile 2018)

S. Bosely, “Mbeki Aids policy 'led to 330,000 deaths'“, The Guardian, 26 novembre 2008152

�65

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lo qualcosa di straordinario, riservato a certe persone che sono destinate all’inferno e

non al paradiso » ha affermato Mandela, ormai 86enne. 153

La parola che non si dice, è stata pronunciata.

La notizia viene riportata da tutti i giornali, statistiche sulle morti per Aids contornano

il triste annuncio e non mancano editoriali in cui si analizza la politica negazionista

del presidente Thabo Mbeki. Ma i riflettori che vengono puntati sull’Aids ormai solo in

occasione di Convegni Internazionali o in questo caso per l’annuncio di Mandela,

presto torneranno a spegnersi. I donatori di buon cuore avranno donato, i governi

avranno lanciato una nuova battaglia contro il virus, ma alla fine le vittime continue-

ranno a morire come mosche. Perché la malattia continuerà a non avere un nome e

nemmeno la volontà politica per essere affrontata.

Secondo un rapporto dell’Unicef , nell’Africa subsahariana le persone maggior154 -

mente colpite sono quelle sessualmente attive e i bambini, involontariamente infettati

dalle madri durante il parto o con l’allattamento. La pubblicazione riporta che «il prin-

cipale responsabile della pandemia è il costume sessuale maschile tradizionale, che

espropria la donna di qualsiasi controllo sulla salute riproduttiva e tollera i rapporti

dell’uomo con partner occasionali: di qui una frequenza di infezioni fra le ragazze

(15-24 anni) quasi doppia rispetto ai coetanei maschi. Anche situazioni soggettive

come povertà, salute e alimentazione insufficienti, scarso accesso alle strutture so-

ciali di base, analfabetismo, un ambiente familiare disgregato e in generale l’incapa-

cità di far valere i propri diritti, sono altrettanti fattori che moltiplicano le possibilità di

incorrere nella malattia ». 155

Se l’Occidente ha a disposizione costosi farmaci efficaci nel contrastare l’Hiv, in Su-

dafrica solo una piccola percentuale (tra il 10 e il 25% secondo i dati dell’OMS ) di 156

persone riceve le terapie antiretrovirali di cui avrebbe bisogno.

L’Aids in Africa non è solo un problema sanitario, ha forti implicazioni sociali e eco-

nomiche. Perdita di forza lavoro, disgregazione del tessuto sociale, indebitamento

per l’acquisto di farmaci (o palliativi), abbandono scolastico, ricorso alla prostituzione

P. Veronese, “Mandela: Mio figlio è morto di Aids”, La Repubblica, 7 gennaio 2005153

Redazione, “Infanzia e Aids”, https://www.unicef.it/doc/2075/pubblicazioni/infanzia-e-154

aids.htm, (10 aprile 2018)

ibidem155

Redazione, “Progress on Global Access to HIV Antiretroviral Therapy A Report on “3 by 5” 156

and Beyond”, http://www.who.int/hiv/progressreport2006_en.pdf?ua=1, (9 aprile 2018) �66

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sono solo alcune conseguenze, capaci di innescare una spirale distruttiva in grado di

danneggiare la comunità e perfino una nazione (costi sanitari diretti e indiretti).

2008 Il paziente di Berlino e il team francese

Il 2008 racconta due storie, coinvolgendo sia gli americani che gli europei.

I medici e ricercatori dell’ospedale tedesco la Charité rendono noto che hanno elimi-

nato l’Hiv dal corpo di una persona. Il protagonista è un americano di 42 anni che

vive a Berlino da vent’anni, sieropositivo da undici.

Grazie alla terapia antiretrovirale sta bene, finché non scopre di avere la leucemia

mieloide acuta . In seguito alla diagnosi viene sottoposto a chemioterapia prima e a 157

trapianto di midollo osseo poi, interrompendo nel frattempo la terapia antiretrovirale.

Dopo 600 giorni dal trapianto, nel sangue del paziente di Berlino non ci sono più

tracce del virus.

La storia appare sul Wall Street Journal, e da lì diventa virale. Il dottor Gero Hütter

che lo ha in cura non è uno specialista in Aids, ma il giovane ematologo ha selezio-

nato un particolare donatore portatore di un’anomalia genica. Le cellule trapiantate

hanno un difetto al recettore CCR5 (C-C chemokine receptor type 5, una proteina

presente sulla membrana dei leucociti) definito con variante Δ32, che le rende immu-

ni a quasi tutti i ceppi di Hiv, impedendo al virus di trovare il varco per penetrare le

cellule.

Il caso del paziente di Berlino alimenta la speranza di trovare una cura funzionale,

ovvero un controllo a lungo termine di Hiv senza terapia antiretrovirale, o di una tera-

pia sterilizzante che elimini tutte le cellule infette.

La notizia del paziente di Berlino, accolta con sorpresa e speranza, cade un mese

dopo l’assegnazione del Premio Nobel per la medicina o la fisiologia. Il prestigioso

riconoscimento viene assegnato al tedesco Harold zur Hausen per aver isolato l'Hpv

(Human Papilloma Virus) e ai francesi Luc Montagnier e Françoise Barrè Sinoussi , 158

«un tumore del sangue a rapida progressione che inizia quando i precursori emopoietici 157

(le cellule staminali), normalmente in grado di maturare e differenziarsi in globuli bianchi, rossi e piastrine, a causa di mutazioni genetiche si trasformano e divengono maligni.» Fonte: Fondazione Veronesi

è l’ottava donna a a ricevere il premio in questa disciplina, dopo di lei altre 4 donne hanno 158

ricevuto la prestigiosa onorificenza: Carol W. Greider e Elizabeth Blackburn nel 2009; May-Britt Moser nel 2014; Tu Youyou nel 2015. �67

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per la scoperta del virus responsabile dell'Aids. La controversia franco-americana

sulla paternità della scoperta dell’Hiv che durava da 1983, termina con la decisione

dell’Istituto Karolinska. Le polemiche che hanno tratteggiato una brutta immagine del-

la scienza vengono dichiarate concluse proprio dall’ente più prestigioso della scienza

stessa.

2015 Valentino Talluto

Il mostro è stato sbattuto in prima pagina. Con un climax inarrestabile i giornalisti

presentano agli Italiani l’untore, colui che ha infettato consapevolmente una trentina

(o più) di donne con l’Hiv. La storia viene costruita sulla scabrosità e piano piano

emergono tutti gli ingredienti di successo per un noir.

Valentino Talluto è un untore seriale che, consapevole della sua sieropositività richie-

de alle sue numerose partner rapporti non protetti.

Ha una storia torbida alle spalle che potrebbe essere il movente delle sue azioni (una

madre sola, morta di Aids, che non gli ha mai rivelato l’identità del padre).

È un malato di sesso e le sue vittime sono donne giovani, sposate, incinta e vergini.

Il processo mediatico all’untore di Roma ha inizio, l’opinione pubblica può dare sen-

tenza: Valentino Talluto è un mostro.

L’Hiv viene trasmesso attraverso il misterioso e letale unguento, di manzoniana me-

moria, l’uomo è descritto come il seduttore seriale, l’angelo sterminatore, Mister Vi-

rus, l’avvelenatore di donne, il terrorista che gioca alla roulette russa con le sue vitti-

me . 159

Ma che effetto ha tutto questo? Le notizie escono sui giornali in concomitanza con il

1° dicembre, la Giornata mondiale per la lotta contro l ‘Aids, in cui lo sforzo comuni-

cativo a favore della prevenzione e contro la discriminazione è al suo apice. I media

invece fanno il contrario, presentando la malattia come non si faceva da venti o tren-

t’anni. L’Aids torna ad essere sinonimo di paura, di irrazionale, di cattiva condotta.

Ma la realtà che emerge è che gli italiani hanno abbassato la guardia, gli eteroses-

suali hanno smesso di pensare a questa malattia sessualmente trasmessa come ad

un rischio possibile.

le parole in corsivo sono state utilizzate dai quotidiani presi in esame.159

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I protagonisti della cronaca sono ventenni e trentenni che non hanno vissuto il bom-

bardamento mediatico degli anni ottanta e novanta, sono persone che passando da-

vanti ad un banchetto della LILA si chiedono che associazione sia, sono persone

cresciute in un ambiente dove l’Aids sembrava un capitolo chiuso. Sono il prodotto di

una comunicazione che negli anni è stata altalenante, distribuita a suon di spot, non

sempre efficace.

Agli italiani che leggono i giornali e guardano la tv l’Aids viene ri-presentato o intro-

dotto come qualcosa di cui se ne occupa la polizia giudiziaria, gli opinionisti, gli

esperti in diritto. L’Aids non è più del campo medico-scientifico, appartiene alla legge

e alla giustizia. Le parole prevenzione e profilattico sono sostituite da premeditazione

e reato.

«There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not

being talked about» diceva Dorian Gray, ma questo aforisma non può funzionare nel-

la comunicazione sull’Aids.

2016 Gaëtan Dugas

“Bello, biondo e gay ecco l’uomo che ha portato l’Aids in America ”, così titolava La 160

Repubblica nell’ottobre del 1987. Molti giornali lo chiamarono Mister Aids, Randy

Shilts nel suo libro And the Band Played On lo chiamò il paziente zero, sostenendo

che «non c'è dubbio che Gaëtan abbia avuto un ruolo chiave nel diffondere il nuovo

virus da un capo all'altro degli Stati Uniti ». 161

Riferendosi a lui come al paziente zero, i media e la società fecero diventare Dugas il

colpevole, la sua famiglia venne stigmatizzata e l’intera comunità gay fu bersaglio di

rabbia e frustrazione. La stampa ha fatto perno e presa sul pubblico con una leggen-

da metropolitana.

Era accusato di aver importato negli Stati Uniti il pericoloso virus (era uno steward

dell’Air Canada) e di averlo diffuso con spensierata operosità (aveva una vita ses-

suale molto attiva). Fu etichettato come il colpevole untore, l’origine dell’epidemia

negli Usa. Quello che viene definito dallo storico della medicina Richard McKay come

Redazione, “Bello, biondo e gay ecco l’uomo che portò l’Aids in America”, La Repubblica, 160

8 agosto 1987

Cit. in R. Shilts, And the Band Played On, Politics, People, and the AIDS Epidemic, 1987, 161

p. 439 �69

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“il paziente più demonizzato nella storia”, grazie ad uno studio genetico , viene fi162 -

nalmente riabilitato 29 anni dopo. Lo studio scientifico unito ad un’analisi storica ha

confermato ciò che si era sempre ipotizzato, ossia che l’Aids non può essere stato

introdotto da una sola persona e che l’Hiv circolava negli Usa prima del 1981. La ri-

cerca ha comparato i campioni di sangue di Gaëtan Dugas (morto di Aids il 30 marzo

1984) con quelli di altri morti per malattie ignote del 1978 e 1979 (cioè precedenti ai

primi casi riportati dai CDC) e ha evidenziato come il ceppo di Hiv di Gaëtan Dugas

non fosse la radice da cui si è diversificato l’albero filogenetico del virus. Utilizzando

sofisticate tecniche genetiche , il team di ricercatori ha rivelato che il virus è dap163 -

prima comparso nei Caraibi, ed in seguito è arrivato a New York (e non a San Fran-

cisco) nei primi anni settanta per poi diffondersi in occidente attraverso gli Stati Uniti.

L'etichetta affibbiata a Gaëtan Dugas è frutto di un errore commesso nell’interpretare

la dicitura Patient O (Outside, residente fuori i confini Californiani) con Patient 0,

zero. Una dicitura ormai ampiamente usata per indicare il primo caso di un focolaio.

Ma uno dei pericoli che si corre concentrandosi su un singolo paziente zero quando

si discute delle prime fasi di un'epidemia è di creare un capro espiatorio e di trala-

sciare importanti indizi. Un’operazione di semplificazione della realtà che oltre a es-

sere fuorviante è anche nociva e tossica per la comunicazione. Esattamente quello

che è successo a Gaëtan Dugas, lo steward franco-canadese della Air Canada.

M. Worobey, T. D. Watts, et al.,1970s and ‘Patient 0’ HIV-1 genomes illuminate 162

early HIV/AIDS history in North America, «Nature», 539, 7627, (2016), p. 98-101

È stata utilizzata la tecnica RNA jackhammering, un approccio che permette di amplificare 163

selettivamente brevi frammenti di RNA e di ricucirli insieme. �70

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Capitolo 5

L’INFLUENZA DEI PERSONAGGI NELLA NARRAZIONE SULL’AIDS

5.1 I personaggi famosi

Il ricorso a celebrità per sponsorizzare un prodotto o per sensibilizzare l’opinione

pubblica su un tema sociale, è una prassi nota al mondo del marketing. Ma perché e

come si ottiene un effetto utilizzando personaggi famosi?

Prima di tutto è necessario dire che l’efficacia di un personaggio famoso dipende da:

più fattori: da quanto è oggettivamente famoso e da quale tipo di coinvolgimento si

instaura tra pubblico e celebrità. In questo senso esistono due tipi di coinvolgimento:

quello definito ‘motivazionale’, ossia le persone riproporranno la condotta del perso-

naggio famoso; e quello definito ‘emotivo’, di empatia affettiva . In entrambi i casi si 164

può ottenere un effetto di identificazione con il personaggio, così che la modellazione

e l’imitazione del suo ruolo sociale conducono ad un processo di persuasione.

Infatti si ritiene che le celebrità considerate dei modelli attraenti abbiano una forte in-

fluenza sul comportamento delle persone, in quanto i pubblici che si identificano con

le celebrità cercano di essere come loro, adottando i loro atteggiamenti e le loro cre-

denze.

I meccanismi psicologici alla base sono numerosi e vale la pena accennarli breve-

mente per comprendere l’effetto che producono.

Gli utenti dei media che sviluppano un interesse per i personaggi famosi risultano

essere più coinvolti nel processo di comunicazione mediatica, rispetto a quelli che

sono semplicemente esposti al messaggio. Il coinvolgimento (che implica un ruolo

attivo dei vari tipi di pubblico) è infatti riconosciuto come una variabile importante nel

processo di comunicazione durante una campagna pubblicitaria o di sensibilizzazio-

ne, in quanto un alto livello di coinvolgimento conduce ad un aumento di effetti cogni-

tivi e comportamentali sul pubblico . 165

A. M. Rubin, M. M. Step, Impact of motivation, attraction, and parasocial interaction on 164

talk radio listening, in «Journal of Broadcasting and Electronic Media», 44, (2000), p. 635-654

W. Brown, An AIDS prevention campaign: Effects on attitude, beliefs, and communication, 165

«American Behavioral Scientist», 34, (1991), p. 666-678 �71

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In aggiunta, le persone che sono ripetutamente esposte alle celebrità attraverso i

mass media possono sviluppare un senso di amicizia e ‘intimità’ con loro, un feno-

meno conosciuto come interazione parasociale . L’interazione parasociale è una 166

relazione asimmetrica in cui lo spettatore vede l’altro e, vedendolo, ha l’impressione

di essere in comunicazione diretta con lui. Nasce quindi un’illusione di intimità, che

conferisce alla celebrità lo statuto di amico, modello, consigliere . Quanto più il per167 -

sonaggio è caricato di un significato tanto più penetrante sarà l’informazione veicola-

ta.

L’interesse del pubblico nei confronti dei temi sociali e sanitari, e quindi nel nostro

caso del tema Hiv/Aids, può essere ottenuto in due modi: o attraverso il contenuto

del messaggio o attraverso la fonte cioè il testimonial. Quando una celebrità avvalla

un messaggio sulla salute dal contenuto efficace il pubblico è doppiamente coinvolto.

Ci sono molte prove che dimostrano come l'esposizione mediatica di celebrità siero-

positive o con Aids abbia avuto un impatto più potente sul pubblico rispetto all'espo-

sizione ad un messaggio basato sulla trasmissione di informazioni . La copertura 168

mediatica delle morti di Rock Hudson e Arthur Ashe probabilmente ha contribuito 169

ad aumentare l’interesse dell’opinione pubblica per l’Hiv/Aids, specialmente tra gli

eterosessuali , convinti che il problema non li riguardasse. Diversi studi hanno an170 -

che dimostrato come l’annuncio della sieropositività di Magic Johnson abbia modifi-

cato l’atteggiamento degli adolescenti e dei giovani verso l’Aids spingendoli a evitare

comportamenti sessuali a rischio, a utilizzare il preservativo, e a sottoporsi al test, e

abbia inoltre contribuito a rinforzare la loro conoscenza in fatto di Aids . 171

Sintetizzando si può dire che quando un fatto ‘privato’ (rendere nota la propria siero-

positività) emerge dalla realtà e diventa ‘pubblico’ (dando notorietà) si ottiene un

Nel 1956 gli psichiatri Donald Horton e Richard Wohl coniarono questa espressione per 166

indicare quel tipo di relazione che si instaura tra persone che non sono mai entrate in contat-to diretto tra loro, ma tramite cinema, televisione e internet hanno l’impressione di conoscersi di persona.

A. Oliverio Ferraris, Chi Manipola la tua mente, Vecchi e nuovi persuasori: riconoscerli per 167

difendersi, Giunti, 2016, p. 78

W. Brown, M. Basil, Media Celebrities and Public Health: Responses to 'Magic' Johnson's 168

HIV Disclosure and Its Impact on AIDS Risk and High-Risk Behaviors, in «Health Communi-cation», 1995, p. 349

famoso tennista statunitense morto per malattie correlate al’Aids nel 1993.169

H. Quinley, The new facts of life: Heterosexuals and AIDS, in «Public Opinion», 11, 170

(1988), p. 53-55

D. Hollander, Publicity about Magic Johnson may have led some to reduce their risky be171 -havior, request HIV testing, in «Family Planning Perspective», 25, 4, (1993), p. 192-193 �72

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grande effetto comunicativo. La partecipazione emotiva alla vicenda fa sì che quel-

l’evento singolo e privato acquisti un valore paradigmatico.

5.2 L’Effetto Sheen

Quando le celebrità parlano, a quanto pare, il mondo ascolta, anche quando si tratta

di salute pubblica. Esemplare è l’Effetto Sheen.

Quando il 17 novembre 2015 l'attore di Hollywood Charlie Sheen ha confessato du-

rante il programma televisivo Today di essere sieropositivo, il mondo è tornato a in-

terrogarsi sull’Aids. Una ricerca della San Diego State University e pubblicata sul 172

Journal of the American Medical Association (Jama) ha analizzato come il pubblico

ha reagito a questa notizia. I ricercatori hanno esaminato le news e le ricerche effet-

tuate dagli internauti su Google ed è emerso che quel giorno oltre 1,25 milioni di Sta-

tunitensi hanno interrogato il motore di ricerca sul tema (con 2,75 milioni di ricerche

in più sull’argomento rispetto alla media).

Se dal 2004 al 2015 l’attenzione dei media per il tema Hiv era in costante declino 173

(da 67 storie ogni mille che avevano come tema Hiv/Aids nel 2004 si è passati ad

appena 12 ogni mille nel 2015), la dichiarazione di Sheen ha invertito la tendenza.

Il 17 novembre, giorno del coming out di Charlie Sheen, le notizie che parlavano di

Hiv sono aumentate del 265%. Quel giorno si è toccato il numero massimo di ricer-

che correlate all’Hiv mai registrato negli Usa. In quella data le ricerche su Google di

termini come (in inglese) condom, symptoms Hiv e test Hiv sono aumentate rispetti-

vamente del 72%, 540% e 214%, rimanendo molto alte per altri tre giorni.

J. W. Ayers, B. M. Althouse, M. Dredze, et al., News and Internet Searches About Human 172

Immunodeficiency Virus After Charlie Sheen’s Disclosure, «JAMA Intern Medicine»,176(4), (2016), 552-554

i dati analizzati sono relativi al periodo che intercorre dal 1 gennaio 2004, anno in cui 173

Google ha iniziato la raccolta dati, al 24 novembre 2015 �73

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TABELLA 4 IL TREND ORARIO DELLE RICERCHE SU GOOGLE NEI GIORNI VICINI ALLA DICHIARAZIONE DI CHARLIE SHEEN PER TEMI. LA LINEA TRATTEGGIATA VERTICALE INDICA IL MOMENTO DELL’AN-NUNCIO (LE 11:00 UTC). Fonte: Ayers, John W.; Althouse, Benjamin M. Copyright © 2016, American Medical Association

Oltre a cercare informazioni sull’Hiv, la dichiarazione di Sheen ha spinto le persone

all’azione. La stessa ricerca ha analizzato l’andamento delle vendite di OraQuick, un

test salivare anticorpale per l’Hiv, acquistabile negli USA per soli 30 $ ed eseguibile

comodamente a casa propria. Le quattro settimane successive all’annuncio hanno

registrato un netto aumento di vendite rispetto alla media (calcolata dall’aprile 2014

all’aprile 2016).

�74

Trend di domande sui preservativi

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me

di ri

cerc

he re

lativ

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u G

oogl

e

13/11 14/11 15/11 16/11 17/11 18/11 19/11 20/11 21/11

13/11 14/11 15/11 16/11 17/11 18/11 19/11 20/11 21/11 13/11 14/11 15/11 16/11 17/11 18/11 19/11 20/11 21/11

13/11 14/11 15/11 16/11 17/11 18/11 19/11 20/11 21/11

Trend di domande sui preservativi

13/11 14/11 15/11 16/11 17/11 18/11 19/11 20/11 21/11

13/11 14/11 15/11 16/11 17/11 18/11 19/11 20/11 21/11

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Trend di domande sui sintomi dell’Hiv

Trend di domande sul test dell’Hiv

13/11 14/11 15/11 16/11 17/11 18/11 19/11 20/11 21/11

Data

Data

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Quello che è stato subito battezzato come Effetto Sheen non è un fenomeno nuovo,

qualcosa di simile avvenne con Angelina Jolie riguardo i test per la predisposizione 174

genetica al tumore del seno e ovaio e sulla questione della chirurgia preventiva. 175

Se Rock Hudson, Freddy Mercury, Magic Johnson, Rudolf Nureyev, Lady Diana , 176

Fernando Aiuti (solo per citarne alcuni) ebbero un potere dirompente sull’opinione 177

pubblica, con Sheen si è assistito ad un effetto esponenziale grazie al medium inter-

net e ai social network.

L’Effetto Sheen dimostra che la notizia della sieropositività di un personaggio famo-

so, per quanto drammatica, produce un risultato positivo in termini di attenzione su

un problema che altrimenti sembrava destinato a cadere nel dimenticatoio.

Nel 2013 Angelina Jolie rivelò di essersi sottoposta ad una mastectomia preventiva dopo 174

aver appreso di essere portatrice di una mutazione a carico del gene BRCA1. Le donne che ereditano tale mutazione hanno il 45-60% di probabilità di sviluppare un tumore della mam-mella, e il 20-40% di probabilità di sviluppare un tumore dell’ovaio nell’arco della loro vita.

Una ricerca intitolata The Impact of Angelina Jolie s Story on Genetic Referral and Testing 175

at an Academic Cancer Centre in Canada, ha rilevato che il numero di donne sottoposte a test genetici è aumentato del 90% nell'anno successivo alla vicenda Jolie.

nel febbraio del 1989 abbracciò un bambino africano malato di Aids.176

nel dicembre del 1991 l’immunologo Aiuti baciò sulla bocca Rosaria Iardino, una ragazza 177

sieropositiva. �75

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Conclusioni

Solitamente quando si parla di epidemie, sono i grafici e le tabelle gli strumenti cui

normalmente si ricorre per descrivere, contestualizzare e raccontare una situazione.

In questa tesi si è scelto di non affidarsi agli strumenti “tecnici” ma di privilegiare

quelli narrativi. In quanto un fenomeno complesso, articolato e ancora non delimitato,

non può trovare la giusta inquadratura all’interno di un set di dati. Se ascisse e ordi-

nate permettono una lettura veloce, questa tesi vuole essere un percorso più lento,

dove sono le persone e non i numeri a dire come sono andati i fatti. Le statistiche, il

numero di morti, i tassi di infezioni annuali sono di facile reperibilità, e sebbene siano

stati il punto di partenza per questa ricerca, non si è voluto fossero il linguaggio privi-

legiato per parlare di Aids. Poiché se si vuole parlare non solo della malattia, ma an-

che di coloro che si sono ammalati, allora si deve dare loro voce, scegliendo di entra-

re nelle loro vite dando rilievo ai risvolti umani delle loro patologie.

Un approccio che ha messo in risalto variegate sfaccettature di un racconto a più

voci. Quelle dei suoi protagonisti, ovvero le vittime (i malati), gli scienziati, il pubblico

testimone di quanto andava accadendo e l’intera società, con i poteri che la rappre-

sentano. Un racconto rivissuto attraverso i media che offrono uno scorcio su un fe-

nomeno che altrimenti non sarebbe affiorato dalle riviste scientifiche, in cui gli articoli

scritti da esperti cadenzano il procedere della ricerca ma non danno spazio ai senti-

menti. E tantomeno al singolo individuo la cui esperienza, il cui vissuto non basta ad

avvalorare un’ipotesi. Calato nelle statistiche e nei numeri l’individuo non emerge.

L’idea di questa tesi è che anche il racconto di un singolo personaggio, in quanto

esperienza unica, possa avere una sua validità ed essere utile nel comprendere il

contesto sociale.

Il campionario di storie che abbiamo raccolto vuole creare un flusso narrativo, da cui

emergono degli elementi comuni, ma anche differenze.

Le costanti sono il pregiudizio e la speranza, dei veri e propri fili conduttori di questa

storia. Le differenze emergono nel modo in cui si è contrastato il primo e nel modo in

cui si è usato il secondo per dare carburante alla lotta (per l’accesso alle cure, per la

giustizia, per non morire, per l’accettazione).

Se le costanti sono state un aspetto rassicurante, una conferma di aver intrapreso la

strada giusta, le differenze sono state essenziali per completare il quadro sull’Aids:

una sorta di puzzle in cui i singoli pezzi raccontano poco, ma quando vengono com-

posti acquisiscono un senso e forniscono una visione d’insieme. �76

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Il metodo di ricerca delineato all’inizio si è rivelato efficace per lo scopo, ossia a

comprendere il fenomeno utilizzando non criteri rigidi ma spaziando nelle storie

umane con la maggior libertà possibile. Anche la storia che poteva sembrare anoma-

la, fuori dal coro ha permesso di percorrere il fenomeno Aids in lungo e in largo. Con

ciò non si intende affermare che la questione si è analizzata sotto ogni punto di vista,

esaurendone le potenzialità. Semmai lo scopo era quello di fornire un punto di par-

tenza, una base da cui iniziare, per ampliare il discorso. Perché alla domanda se

l’Aids sia un problema del nostro tempo o del passato, credo di poter affermare sen-

za timore di essere smentita che è un’occasione da cogliere per il suo valore socio-

logico e storico.

Dall’analisi degli articoli emerge un aumento nella correttezza delle informazioni ri-

portate: un miglioramento delle conoscenze tecnico-scientifiche sul virus, sulle moda-

lità di contagio, sulle terapie e sulle malattie correlate all’Aids. Ciò ha portato inevita-

bilmente ad una maggiore attenzione e precisione nell’uso della terminologia da par-

te dei giornalisti e dei comunicatori in generale.

Se nei primi tempi dell’epidemia si poteva far confusione tra la condizione di sieropo-

sitività e la malattia conclamata, oggi queste imprecisioni non esistono (quasi) più.

La stessa cosa vale per le modalità di trasmissione del virus: se nelle prime fasi del-

l’epidemia si facevano errori, generando panico e allarmismo, oggi non è più così.

Talora a distorcere le informazioni trasmesse dai media erano gli stessi scienziati an-

siosi di comunicare i risultati, a volte parziali, della loro ricerca che la stampa riporta-

va come se definitivi con toni enfatici, emotivamente coinvolgenti e sensazionalistici.

Molti sono stati gli articoli in cui si annunciava la scoperta di cure miracolose, o quelli

che prevedevano la messa a punto in tempi brevi di un vaccino che ancora oggi non

c’è.

La copertura mediatica ha perso man mano d’interesse nei confronti per l’Aids. Nei

paesi industrializzati l’incidenza di nuove diagnosi di infezione da Hiv è diminuita ne-

gli ultimi anni, ma quello che a mio parere rimane significativa è l’indifferenza con cui

si accolgono le 3451 nuove diagnosi di infezione in Italia . Lo stesso numero di vit178 -

time di incidenti stradali registrati nel 2016 nel nostro Paese. Per quanto oggi ave179 -

re l’Hiv non rappresenti più una condanna, il raffronto vuol far riflettere sul calo d’inte-

dato relativo al 2016, soggetto a variazioni a causa del ritardo di notifiche178

Morti e feriti in incidenti stradali, Fonte ISTAT. Nel 2016 sono state registrate 3283 morti in 179

seguito ad incidenti stradali. http://dati.istat.it/Index.aspx?QueryId=1400 �77

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resse dell’opinione pubblica nei confronti del tema Hiv/Aids. Ma se non si vuole far

riferimento ai numeri, e porre attenzione sui toni usati si evince che il tema non susci-

ta più interesse nel pubblico.

E sembra ragionevole affermare che l’affievolirsi della percezione dell’Aids come

problema sociale abbia avuto come effetto quello di una assenza di rappresentazio-

ne. Esemplificativo è il fatto che ora quando si parla di Aids si confina il problema ai

Paesi poveri del mondo, così come nei primi anni dell’epidemia la malattia colpiva

solo certe categorie a rischio.

Se l’Aids sembra oggi un problema remoto, forse è anche perché mancano storie da

raccontare. Un modo per farlo riavvicinare ai pubblici è quello di raccontare delle sto-

rie, con dei protagonisti che ci facciano vedere il lato umano della vicenda.

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Grazie per l’aiuto e per i consigli alla mia relatrice

Grazie alla mia famiglia, agli amici per il supporto

E last but not least grazie a Maddalena per tutto

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Appendice

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