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Roma, gennaio 2019

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5I QUADERNI DI quotidianosanità

Indice PRIMA PARTEIL NUOVO VOLTO DELLA CURA DEL TUMORE: “THE LIVING THERAPY”

9 1. Come si evolve la lotta ai tumori: tra avanguardia della ricerca e ansia socialeGilberto Corbellini

12 2. Il CAR-T: l’innovazione dell’ultima frontiera della medicina personalizzata Intervista a Andrea Biondi

15 3. I primi passi della ricerca che ci ha consegnato il CAR-T Chiara Bonini

17 4. LLA e DLBCL: le patologie e il paziente adatto ad essere sottoposto alla terapia con CAR-T

17 4.1 LLA: il primo grande successo del CAR-T Franca Fagioli

19 4.2 Una nuova speranza per i pazienti: il caso del linfoma diffuso a grandi cellule B Umberto Vitolo

21 4.3 CAR-T: potenziali sviluppi nell’immediato futuro Robin Foà

23 5. Bisogni non clinici del paziente e dei familiari: prima, durante e dopo

23 5.1 Le associazioni di volontariato dei pazienti per risolvere i bisogni non clinici dei malatiIntervista a Felice Natale Bombaci

25 5.2 Ho sentito una volta definire il tumore nei bambini uno tsunami Angelo Ricci

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6I QUADERNI DI quotidianosanità

Indice SECONDA PARTEUNA ROADMAP PER L’ACCESSO ALLA TERAPIA

29 1. CAR-T Team: il valore imprescindibile dell’équipe multidisciplinare Fabio Ciceri

31 2. Organizzazione e programmazione: una sfida da vincere con il contributo di tutti Intervista a Andrea Urbani

35 3. Accesso alle terapie CAR-T e sostenibilità: le sfide per il Sistema Sanitario NazionaleFabrizio Gianfrate

39 4. Verso un CAR-T Network? La rete di Alleanza Contro il Cancro come modello per accogliere le innovazioni in oncologia Intervista a Ruggero De Maria

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7I QUADERNI DI quotidianosanità

Il nuovo volto della cura del tumore:

“The living therapy”

PRIMA PARTE

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9I QUADERNI DI quotidianosanità

La lotta ai tumori origina nel secolo scorso,lentamente e con grandi difficoltà se si pen-sa che, ancora nel 1940, la speranza di vitadi un bambino colpito da leucemia non eracambiata rispetto a un secolo prima, quan-do la malattia era stata riconosciuta clini-camente. Di fatto, è negli ultimi 50 an-ni che la cura dei tumori ha avutoun’accelerazione, grazie alla scoperta difarmaci mirati e alla profilazione geneticadei tumori. Le terapie anticancro sono an-date incontro a una evoluzione scandita daiprogressi scientifici e dalle conseguenti in-novazioni tecnologiche, con una sempre cre-scente qualità dei risultati ottenuti. Nel 1971 il presidente americano Ri-chard Nixon, per distrarre il paesedalla guerra nel Vietnam, dichiaravaguerra al cancro. E superando le sueaspettative proprio quella data simbolicarappresentò il confine dopo il quale la ri-cerca di terapie antineoplastiche ebbe un’ac-celerazione incredibile. Con gli anni Settanta si apriva l’era del-l’uso adiuvante della chemioterapia e deitrattamenti endocrini; Elwood Jensen di-mostrava che il recettore estrogeno di un tu-more poteva predire la risposta a una tera-pia ablativa ormonale e Judah Folkman pro-poneva l’ipotesi che la crescita tumorale di-pendesse dall’angiogenesi. Nel 1973 era sta-ta inventata la tecnologia del Dna ricombi-nante, nel 1975 gli anticorpi monoclonali enel 1977 le tecniche di sequenziamento delDna. Nel 1976 Giovanni Bonadonna e Um-

berto Veronesi dimostravano che la che-mioterapia combinata adiuvante migliora-va il tasso di cura del cancro mammario ope-rabile. Gli anni Ottanta vedevano entraresulla scena dell’oncologia clinica la biologiamolecolare e le biotecnologie. Nel 1986 fuapprovato il vaccino contro l’epatite B chepreviene il cancro del fegato. L’anno doposi scopriva il ruolo dell’oncogene HER2/neunella prognosi del cancro mammario, apren-do la strada alla approvazione nel 1998 delprimo anticorpo monoclonale che blocca ilrecettore del fattore di crescita epidermico(HER2), una proteina sovra-espressa in cir-ca il 25% dei casi di cancro del seno.L’immunoterapia e l’immunoprevenzionedel cancro prendevano forma agli inizi de-gli anni Novanta, alimentando diverse stra-tegie che usano soprattutto anticorpi mo-noclonali. Nel 1993 Napoleone Ferrara di-mostrava che un anticorpo diretto controVEGF può sopprimere l’angiogenesi e la cre-scita tumorale in modelli preclinici. Nel 1995era stato approvato per uso clinico un ini-bitore della metilazione del DNA, mentre ilNational Institute of Cancer varava la spe-rimentazione di programmi di screening peri marcatori biologici precoci dei tumori piùletali e il Genome Anatomy Project (1996).I primi anni duemila registravano la pub-blicazione di libri e articoli che dichiarava-no una sorta di resa nella guerra al cancro,ma proprio in quegli anni gli approcci im-munologici aprivano nuove aspettative, tracui terapie basate su tecnologie immunoge-

COME SI EVOLVE LA LOTTA AI TUMORI: TRA AVANGUARDIA DELLA RICERCA E ANSIA SOCIALE

Gilberto CorbelliniDipartimento di Scienze Umane e Sociale, PatrimonioCulturale, Università La Sapienza, Roma

A CURA DI GILBERTO CORBELLINI

PRIMA PARTE / LIVING THERAPY

1.

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netiche e citotossiche, con l’affermarsi de-cisivo dell’idea che le terapie devono esseresempre più mirate o ritagliate sui pazienti,cioè personalizzate in quanto pazienti etumori sono, in ultima istanza, gene-ticamente unici. Il primo farmaco progettato razio-nalmente per bloccare una tirosinachinasi anomala che si attiva nella leu-cemia mieloide cronica entrava nelmercato nel 2001. L’anno successivo alNetherlands Cancer Institute si dimostravache la profilazione dell’espressione genicapuò aiutare a predire l’esito del cancro delseno.Numerosi anticorpi monoclonali sono staticommercializzati negli anni seguenti, a par-tire dagli “inibitori dei checkpoint im-munitari” che intercettano molecole re-sponsabili di modulare la tolleranza immu-nitaria, scatenando i linfociti T controil cancro. Le ricerche che hanno portato aquesti farmaci sono state premiate asse-gnando il Nobel 2018 a James Allison e Ta-suku Honjo.Nel 2013 la rivista Science dedicava la co-pertina alla immunoterapia del cancrocome, breakthrough dell’anno. Nel gennaio 2015, il Presidente statuniten-se Obama lancia la Medicine PrecisionInitiative, destinando oltre 200 milioni didollari con l’obiettivo di sequenziare un mi-lione di genomi. Sostituendo il termine “me-dicina personalizzata”, la medicina di pre-cisione modella la cura sulla storia ge-netica ed epigenetica del paziente, uti-lizzando dati e informazioni di carattere ge-netico e molecolare per terapie mirate a cu-rare nicchie di pazienti e trattare patologiecon bisogni terapeutici ancora insoddisfat-ti. L’ultima evoluzione della medicina di pre-cisione è rappresentata dalle terapie CAR-T. I primi linfociti CAR furono ottenuti allafine degli anni Ottanta e l’ingegnerizzazio-ne genetica dei linfociti T fu dimostrata pos-sibile da Michel Sedelein nel 1992. L’anno

dopo veniva costruita la prima generazionedi CARs geneticamente ingegnerizzati e, coni progressi delle tecnologie, sono state mes-se a punto procedure di manifattura di cel-lule CAR T sempre più avanzate, precise edefficienti. Nel 2014 l’FDA dichiarava leCAR una terapia breakthrough e treanni dopo, a seguito di centinaia disperimentazioni cliniche il primo trat-tamento, su antigene CD19, era ap-provato negli Stati Uniti.Dunque, grazie soprattutto all’immunolo-gia e alle immunotecnologie genetiche il can-cro sembra diventare un bersaglio meno elu-sivo.

Il cancro fa paura da sempre e il ter-mine è normalmente usato come me-tafora per indicare una condizione digrave rischio, danno o morte. Gli stu-di epidemiologici mostrano importanti mi-glioramenti nei tassi di sopravvivenza perdiversi tumori, che variano da paese a pae-se. Per esempio, i miglioramenti sono su-periori negli Usa rispetto a Gran Bretagna.A livello mondiale si stima che siano oltre32 milioni le persone sopravvissute al can-cro, di cui 15milioni nel mondo sviluppatoe la gran parte vivono negli Stati Uniti.

Ma come stannoinfluenzando questiavanzamenti lapercezione socialedel cancro in quantomalattia?

PRIMA PARTE/ LIVING THERAPY

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11I QUADERNI DI quotidianosanità

Uno studio condotto qualche anno fa inIsraele mostra che in realtà le persone con-tinuano ad avere terrore della malattia e lamaggior parte la considera sinonimo di mor-te. Nondimeno, quelle stesse persone rico-noscono i progressi nella sopravvivenza.Quello che è emerso da diversi studi è chesempre più le persone con cancro con-vivono con percezioni contrastanti eattivano i meccanismi di autoingan-no e dissonanza cognitiva per gestirel’ansia creata dalla percezione nega-tiva della malattia. Percezione negativaancora troppo influenzata dai media, i qua-li rinforzano il mito che il cancro sia una sen-tenza di morte automatica. Anche alcuneanalisi sistematiche della comunicazione sulcancro che passa attraverso i rotocalchi ri-leva che questi mettono l’enfasi soprattuttosulla paura per il cancro, anche quando rac-contano storie di successo.E in un contesto in cui l’informazione, la tec-nologia e la scienza sono preponderanti nel-la pratica della medicina, la comunica-zione – ai vari livelli, tra sistema sa-nitario e medico e tra medico e pa-ziente – riveste un ruolo fondamen-tale. Occorre quindi uno sforzo maggioreda parte degli organi di informazione per

spiegare e diffondere i progressi raggiuntinella conoscenza dei tumori, dei loro mec-canismi d’insorgenza e, soprattutto, dellemolte e raffinate opzioni di cura oggi di-sponibili, sempre più tagliate sul profilo delsingolo paziente. Attraverso la costru-zione di reti e di canali di formazio-ne, con il ricorso diffuso alla profila-zione genetica sarà normale prende-re decisioni personalizzate sulle ca-ratteristiche dei singoli, e confrontarsicon pazienti più informati ed esigenti.Va riconosciuto all’industria farmaceuticagran parte del merito per le sopravvivenzeche sono state guadagnate in questi anni e,seppure con logiche di maggior trasparen-za, si dovrebbe comprendere e sfrut-tare meglio il fatto che la ricerca far-maceutica è pur sempre mirata a in-tercettare e risolvere le aspettative so-ciali che il cancro fa emergere.Cosa è cambiato dunque dal famoso libro diSusan Sontag, La malattia come metafora(1978), iper-pessimistico e che non lascia-va speranza ai malati di cancro? Rimaneil messaggio di terrore, ma iniziano acircolare credenze più positive che van-no in parallelo con quelle negative, come sipuò evincere leggendo L’imperatore del ma-le di Siddhartha Mukherjee (2014). Un li-bro interessante sulla dimensione antropo-logica che la percezione del cancro assumenegli Stati Uniti è Malignat. How cancerbecome us di Lchlann Jain, dedicato pro-prio alla contraddizione nel modo in cui ra-gioniamo sul cancro. In particolare, Jain sot-tolinea la presentazione da parte di ricerca-tori e medici del cancro come qualcosa diben conosciuto scientificamente, mentre in-vece è tutto molto incerto. Per rispondere aquesta incertezza, è necessario accorciare ledistanze tra scienza e società, evidenziandoda un lato gli enormi passi in avanti che laricerca medica ha compiuto negli ultimi 50anni e dall’altro affrontando la prospettivaemotiva nella comunicazione sul cancro.

PRIMA PARTE/ LIVING THERAPY

In un contesto in cui l’informazione,la tecnologia e la scienza sonopreponderanti nellapratica dellamedicina, lacomunicazione – ai vari livelli, tra sistema sanitarioe medico e tramedico e paziente –riveste un ruolofondamentale

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Il CAR-T è una rivoluzione clinica e tecnologi-ca. In che cosa consiste l’innovazione dell’ul-tima frontiera della medicina personalizzata?La grande innovazione sta nell’aver dimo-strato che è possibile modificare genetica-mente le cellule del sistema immunitario perrenderle più efficaci contro alcuni tipi di tu-more. Le cellule CAR-T sono infatti linfoci-ti T prelevati dal paziente al cui interno vie-ne inserito un gene artificiale, che non esi-ste in natura, affinché esprima la moleco-la CAR (acronimo che sta per Chimeric An-tigen Receptor, cioè recettore chimerico perl’antigene, ndr.). Questa molecola è costruitamettendo insieme la porzione di due mole-cole diverse, per questo è detta chimerica:la porzione di un anticorpo – che, come unradar, riconosce l’antigene, cioè il bersaglioche si vuole aggredire – e porzioni co-sti-molatorie – che danno l’input al linfocita diattivarsi contro quel bersaglio e di prolife-rare quando lo incontrano. Proprio l’inseri-mento delle funzioni co-stimolatorie ha rap-presentato la svolta: i CAR di prima gene-razione, che possedevano soltanto il radar,non funzionavano. Come bersaglio è sta-ta individuata la molecola CD19, espressain tutte le leucemie linfoblastiche acute (LLA)e in altre malattie linfoproliferative, come ilinfomi diffusi a grandi cellule B (DLBCL).Questo approccio, che è il frutto di oltre 30anni di ricerca, ha aperto una pagina nuo-va della medicina: grazie a questa rivo-luzione, per i bambini e adolescenti conleucemia linfoblastica acuta (LLA) e per gli

adulti con linfoma diffuso a grandi celluleB (DLBCL) che non rispondono più a nes-suna terapia e hanno avuto recidive dopo iltrapianto, oggi abbiamo una possibili-tà di cura.

Come si concepisce e come si prepara una te-rapia ‘viva’?Siamo abituati a pensare al farmaco comea un principio attivo ‘confezionato’ e pron-to da assumere. Con i CAR cambia com-pletamente il paradigma: prendiamo lecellule del paziente, le modifichiamo e que-ste stesse cellule vive, re-infuse, diventanoil farmaco per quel paziente. Invece che difarmaco sarebbe più corretto parlare diprocesso. I linfociti T vengono prima estrat-ti dal sangue mediante una procedura chia-mata aferesi; quindi sono congelati e invia-ti oltreoceano a un laboratorio dell’aziendafarmaceutica, dove sono modificati. Una vol-ta rientrati in Europa, devono essere ana-lizzati – perché devono rispondere a speci-fici requisiti di qualità – e soltanto alloratornano al centro che ha in cura il paziente.Dopo la somministrazione, devono esserein grado di proliferare e di mantenersi atti-vi per diverso tempo.

Il primo bambino italiano con LLA è statotrattato proprio all’interno della Clinica Pe-diatrica del San Gerardo di Monza, nell’am-bito dello studio registrativo ELIANA. Qual èstata la sua esperienza?È stata una esperienza straordinariamente

IL CAR-T: L’INNOVAZIONE DELL’ULTIMA FRONTIERA DELLA MEDICINA PERSONALIZZATA

Andrea Biondi Direttore ClinicaPediatrica, Fondazione MBBM,Ospedale San Gerardo,Monza; Presidente della Scuola di Dottorato DIMET,Università degli StudiMilano-Bicocca; Pro-Rettore perl’internazionalizzazione,Università degli StudiMilano-Bicocca

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2.

INTERVISTA A ANDREA BIONDI

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positiva, legata anche al fatto che la nostraistituzione ha una lunga expertise nel cam-po delle terapie cellulari. Questo ha por-tato Novartis a sceglierci come unicocentro italiano per il trial clinico ELIA-NA. Per la prima parte dello studio, nel 2016,abbiamo arruolato il primo bambino italia-no, che si era ammalato di LLA all’età di 5anni e non rispondeva più a nessuna cura.Oggi quel bambino ha 10 anni e sta be-ne, sebbene nella sperimentazione sia sta-to considerato un fallimento: a 28 giorni dal-la somministrazione, infatti, le cellule CAR-T non erano più rilevabili nel suo sangue.Quella ‘finestra’ di remissione di malattia,però, gli ha consentito di arrivare al trapiantonelle migliori condizioni possibili. In segui-to, per la seconda parte dello studio ELIA-NA abbiamo arruolato altri cinque bambi-ni e adolescenti: in quattro di questi casi lecellule CAR-T si sono espanse moltissimo ehanno fatto bene il loro lavoro. Abbiamoavuto tossicità importanti, con un ricoveroin rianimazione, ma al ventottesimo giornoquattro su cinque erano tutti in re-missione e non presentavano malattia mi-nima residua.

Cosa rappresenta questa innovazione per ilfuturo? Quali scenari di cura si aprono?Ad oggi abbiamo dimostrato la possi-bilità di ottenere remissioni, anchenel lungo periodo, per oltre la metàdei pazienti trattati: un risultato chenon possiamo raggiungere con nes-

sun’altra terapia. Ma siamo solo all’ini-zio del percorso e le sfide scientifiche sonotante, prime fra tutte quelle di estendere iltrattamento ad altri tumori, dal mieloma al-le neoplasie solide. Una questione aperta ri-guarda l’utilizzo di cellule di donatori, perrendere il farmaco immediatamenteaccessibile al paziente, eliminando i lun-ghi tempi della preparazione e l’incognitadella qualità finale del prodotto. Oltre ai lin-fociti T, sono poi allo studio CAR costruiticon altre cellule del sistema immunitario,come le “Cytokine-induced killer cells” (CIK)o le cellule Natural Killer. Si stanno utiliz-zando altri bersagli per ridurre la possi-bilità che la leucemia possa diventare resi-stente al trattamento perché ha perso il ber-saglio contro cui il CAR è diretto. Ancora, sista cercando di ridurre la tossicità, cherappresenta un problema importante e uncosto aggiuntivo. Infine si stanno ricercan-do modalità più sicure dei vettori virali perintrodurre il gene artificiale nelle cellule. E’quanto stiamo sperimentando a Monza (neibambini) e negli adulti (a Bergamo) utiliz-zando cellule CIK in cui viene trasdotto inCAR CD19 con un metodo non virale. Unulteriore livello di complessità è dato dallanecessità di capire quale sia il grado di ma-lattia ottimale al momento della sommi-nistrazione del farmaco: se la malattia nonè rilevabile, infatti, i CAR non funzionano a‘pieno regime’; nel caso contrario i CAR fun-zionano al meglio, ma aumenta il rischio ditossicità grave (conseguente al rilascio digrandi quantità di citochine). La ricerca guar-da anche alla questione della sostenibili-tà: il problema non riguarda i bambini e gliadolescenti con LLA refrattari e recidivan-ti, che sono solo qualche decina, ma gli adul-ti con linfoma diffuso a grandi cellule B, do-ve i numeri sono invece nell’ordine di cen-tinaia.

Quali sforzi operativi richiede al clinico?Come abbiamo visto, la terapia con CAR-Tè profondamente diversa da qualsiasi altrotrattamento. La procedura molto com-plessa che fino ad oggi abbiamo adottatoper gli studi sperimentali, domani divente-rà la nuova modalità di cura. L’atteggia-mento del clinico cambierà molto: seil paziente presenta le caratteristiche ido-nee, dovrà accertarsi che ci sia la possibili-tà presso l’azienda di ‘aprire uno slot’ e at-tivare il processo, che richiede la partecipa-zione di tanti attori diversi, dal medico tra-

PRIMA PARTE/ LIVING THERAPY

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18. CAR-T PRIMA PARTE/ LIVING THERAPY

14I QUADERNI DI quotidianosanità

sfusionista, che raccoglie le cellule del pa-ziente, al rianimatore, per la gestione deglieffetti collaterali. Questo è un punto cru-ciale: la sindrome da rilascio di citochine egli eventi neurologici vanno previsti semprefin dall’inizio. Nel tempo che intercorre tral’invio della aferesi e il rientro dei CAR-T,inoltre, il clinico deve fare in modo che lamalattia non esploda e che il paziente con-tinui ad essere eleggibile. Questo non è unfatto scontato e bisogna prospettare – al pa-ziente o, nel caso della LLA, ai genitori –tutte le possibili eventualità anche di falli-mento fin dall’inizio.

Come si selezionano, oggi, i pazienti eleggi-bili alla CAR-T therapy? E nel prossimo fu-turo?Attualmente i due prodotti approvati dallaFDA negli USA e dall’EMA nell’UE sono de-stinati a bambini o adolescenti (fino a 25anni) con LLA e ad adulti con i linfomi dif-fusi a grandi cellule B che non rispondonopiù alla chemioterapia, dopo due o più lineedi trattamento, o che hanno avuto una re-cidiva di malattia anche dopo il trapianto dimidollo osseo. Per il futuro, sono in pro-gramma sperimentazioni cliniche per

valutare se alcuni casi molto rari di LLA (nelbambino o nell’adolescente), che si dimo-strano fin dall’inizio resistenti, possano trar-re beneficio dal ricorso anticipato alla CAR-T therapy, esattamente come nei linfomi,per confrontare CAR-T con l’attuale stan-dard di cura come seconda linea di tratta-mento. Per quanto riguarda la LLA in ge-nerale, bisognerà capire se sarà possibileestendere la terapia CAR-T anche ai pazienticon più di 25 anni. Inoltre, è rilevante l’aspet-to della sostenibilità economica di que-sti trattamenti, che sono oggi molto costo-si. Questa tecnologia ha infatti aperto pro-spettive completamente nuove. In un re-cente editoriale sulla prestigiosa rivista Lan-cet Oncology, viene richiamata la necessi-tà di avere dati più robusti sul follow-up e su un numero maggiore di pa-zienti per consolidare quanto fino ad oraosservato. In questa prospettiva, sarà im-portante il ruolo della ricerca accademicache deve affiancarsi a quella delle aziendefarmaceutiche con l’obiettivo di rende-re sempre più accessibile una nuovaformidabile arma contro il cancro.

Per il futuro, sono in programmasperimentazionicliniche per valutarese alcuni casi moltorari di LLA (nelbambino onell’adolescente), che si dimostrano fin dall’inizioresistenti, possanotrarre beneficio dalricorso anticipato alla CAR-T therapy

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15I QUADERNI DI quotidianosanità

Il punto di partenza originario è stato il pri-mo trapianto di midollo, sessant’anni fa: ilprimo caso in cui una cellula divenneterapia. Anche se oggi il trapianto di mi-dollo è una terapia cellulare registrata eutilizzata in tutto il mondo, la strada percomprenderne tutte le potenzialità è statalunga. Ci siamo accorti che la cellula staminale nonagiva da sola ma anche i linfociti T avevanoun ruolo terapeutico contro le cellule neo-plastiche. Fisiologicamente il linfocita T èpreposto a difenderci da tutte le potenzialimalattie che vengono dall’esterno, può di-fenderci anche dalle patologie che origina-no all’interno, come il tumore, però fa piùfatica. Nel trapianto di midollo questo ac-cade: i ricercatori videro che i linfociti T pre-si da un donatore sano erano in grado di fa-re questo lavoro contro il tumore del pa-ziente. Però i linfociti sono anche pericolosi perchériconoscono altri organi come pelle, fegato,intestino, originando la GvHD (Graft vsHost Disease), motivo per cui non pos-siamo usare i linfociti da donatore senza untrapianto e bisogna comunque stare moltoattenti. Negli anni 90 molti ricercatori hanno ini-ziato a chiedersi come manipolare il linfo-cita T per mantenere la sua capacità di me-diare una risposta antitumorale e renderlopiù forte: potenziare i linfociti del donato-re, oppure gli stessi linfociti del paziente, oancora usare quelli del donatore ma renderli

più controllabili per gestire meglio le com-plicanze. Nasce da questi ragionamen-ti ed esperimenti l’immunoterapia cel-lulare che ha visto combinarsi nozioni, tec-nologie, protocolli e conoscenze diverse, dal-la biologia cellulare a quella molecolare fi-no all’architettura del sistema immunitario.

Gli insuccessi e le intuizioni fortunate: il bello della ricercaLe difficoltà iniziali sono state quelle di ca-pire abbastanza in fretta in che modo ma-nipolare i linfociti T per renderli più capacidi fare il lavoro che interessava a noi, cioèinnescare la risposta antitumorale. Occor-reva manipolare il DNA dei linfociti T perinserire dei geni nuovi. Effettuare questeoperazioni in laboratorio, senza uccidere ilinfociti, imparando anzi a coltivarli in con-dizioni ottimali non è stato semplice. Poi ne-gli anni abbiamo capito che ci sono diver-si tipi di linfociti. Quelli della memoriaimmunologica sono quelli capaci di persi-stere più a lungo termine, e se noi manipo-liamo questi abbiamo risposte antitumora-li più durature e quindi più utili. Abbiamopoi dovuto capire che gene inserire e qui ar-riviamo al CAR. I primi CAR non fun-zionavano: i linfociti T riconoscevano sì iltumore ma poi non sapevano bene che fa-re, lo attaccavano timidamente e poi mori-vano. Si è dovuto imparare a costruirli me-glio, questi CAR. Diversi gruppi americani,in parallelo, lavorando con team accademi-ci indipendenti, sono arrivati allo stesso ti-po di CAR ma per farlo funzionare è statonecessario capire molto in dettaglio co-me funziona la cellula T in natura. L’insuccesso è uno dei cardini di fun-zionamento della ricerca, non va vissu-to con frustrazione perché ogni errore ci gui-da al passo successivo e quando poi rag-giungiamo il traguardo capiamo che non cisaremmo potuti arrivare in altro modo. Infuturo, quando avremo dei CAR ancora piùfunzionali, diremo che gli attuali erano im-

PRIMA PARTE / LIVING THERAPY

I PRIMI PASSI DELLA RICERCA CHE CI HA CONSEGNATO IL CAR-T

Chiara BoniniCapo Unità di Ematologiasperimentale, Vice Direttore dellaDivisione di Immunologia,Trapianti e Malattieinfettive, Università Vita-Salute San Raffaele, Milano.

A CURA DI CHIARA BONINI

3.

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18. CAR-T

16I QUADERNI DI quotidianosanità

CAR e far funzionare i TCR contro lecellule tumorali. Significa procurarsi i ge-ni del TCR, e già non è facile: molti sono di-versi per ogni paziente, e manipolarli ri-chiede molto lavoro. Sappiamo già che po-trebbero funzionare molto bene, perché losi è visto nel campo del melanoma meta-statico. Quindi ingegnerizzando i geni delTCR e non del CAR potremmo ottenere unaterapia cellulare anche contro altri tipi ditumore. Un altro punto su cui lavorare è legato al fat-to che metà dei pazienti trattati con CAR-Trecidiva. La risposta è molto intensa manon duratura se il CAR-T non persistenell’organismo. Questo è un farmacovivente, è una cellula, ci aspettiamo cheproliferi, cresca, si addormenti se non c’è untumore, si risvegli se il tumore torna, esat-tamente come fanno i linfociti T in natura,ma il funzionamento non è identico a quel-lo naturale. Sappiamo che i linfociti T nonsono tutti uguali: ci sono quelli deputati al-la memoria che persistono, mentre gli ef-fettori non persistono; dobbiamo impararea scegliere quelli giusti. Infine in oncologia non si è mai vista la pos-sibilità di curare un tumore con un unicofarmaco. Le cellule tumorali sono molto di-verse l’una dall’altra e l’instabilità geneticafa sì che la cellula cambi nel tempo e vengaselezionata dall’ambiente e dall’organismoin cui si trova. Quindi è possibile – e si è os-servato – che delle leucemie che hanno ri-sposto al CAR-T recidivino senza aver piùCD19: si chiama selezione clonale di clo-ni resistenti. Per cui dobbiamo immagina-re di avere tanti target e su questi costruireuna libreria di CAR o di TCR, comun-que di linfociti T che sono stati manipola-ti per vedere parti diverse delle cellu-le tumorali. Infondere nel pazientequesti linfociti T con bersagli diversirende più difficile per la cellula tumoraleliberarsi di tutti gli antigeni target e rendersiinvisibile al Sistema Immunitario. L’ultimo punto a nostro favore è che oggipossediamo tecnologie di manipolazio-ne genica più efficaci e precise di quel-le di un tempo. Non abbiamo solo i vettorivirali, ma anche le CRISPR-Cas9 che appli-cate ai T sono molto efficaci.

perfetti, nonostante le importanti rispostecliniche che hanno permesso di ottenere.Già solo concepire l’idea che un linfocita T,che di solito riconosce i suoi target tramiteil TCR (T cell receptor), potesse essere ma-nipolato per esprimere un recettore simileal TCR ma in grado di riconoscere il tumo-re con un meccanismo diverso è stato ungrande successo. Riuscire poi a costruire ilCAR, con un primo gene, anche se era su-bottimale e non in grado di dare le rispostedi oggi, è stata comunque un’idea straordi-naria. Si è costruito qualcosa che prima nonc’era e c’è la consapevolezza che un pezzet-tino del percorso è stato fatto e messo a di-sposizione del mondo scientifico. Questa èla vita del ricercatore, un passo alla volta,fino ad arrivare a una terapia che cambia lavita dei pazienti; il successo arriva conla giusta combinazione dei pezzi di unpuzzle di esperimenti.

Il CAR-T è un traguardo e già pone nuovesfide alla ricercaIl CAR-T ha portato la nostra attenzione suilinfociti T: ora sappiamo che il CAR è unodei modi con cui possiamo sfruttare ilinfociti T. I CAR-T sono ottimi e funzio-nano molto bene quando il target è il CD19,una proteina espressa dai linfociti B sani eanche da tutti i tumori della linea B: linfo-mi, leucemia linfoblastica e i loro sotto-gruppi. Vedo invece più difficili da costruire dei CAR-T contro altri tipi di tumori perché il recet-tore chimerico vede solo le proteine che so-no presenti fuori dalla cellula tumorale,sulla sua membrana, non riesce a guardaredentro alla cellula. Spesso però le informa-zioni più importanti per la crescita della cel-lula tumorale sono all’interno, dove nor-malmente arriva il TCR, il recettore che ilinfociti T usano normalmente per ricono-scere i loro target. Una delle prossimesfide è rendere i T capaci di vederetanti tumori diversi. Andare oltre i

PRIMA PARTE/ LIVING THERAPY

In oncologia non si è mai vista la possibilità dicurare un tumore con un unicofarmaco. Le celluletumorali sono moltodiverse l’unadall’altra el’instabilità geneticafa sì che la cellulacambi nel tempo e venga selezionatadall’ambiente e dall’organismo in cui si trova

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18. CAR-T

17I QUADERNI DI quotidianosanità

La leucemia è la più frequente neoplasia ma-ligna in età pediatrica con circa 33% del to-tale dei casi annui. La leucemia linfobla-stica acuta (LLA) costituisce l’80% deicasi di leucemie acute con circa 450 nuo-ve diagnosi/anno in Italia nella fascia 0-17 anni e con un tasso di incidenza standar-dizzato per età nella fascia 0-14 anni di 43,5casi per milione e nella fascia 15-19 anni di15,1 casi per milione. La cura della leucemialinfoblastica acuta dell’infanzia costituisceuno dei più importanti successi della medi-cina moderna, una storia iniziata oltre 50anni fa, quando la probabilità di gua-rigione dei bambini con LLA era infe-riore al 10% mentre oggi raggiunge il90%.Questi successi sono stati ottenuti grazie a di-versi fattori: • la migliore caratterizzazione e classifica-

zione molecolare della malattia alla dia-gnosi, che ha consentito l’identificazionedi distinti sottotipi genetici con diversosignificato prognostico;

• l’ottimizzazione delle strategie tera-peutiche destinate a sottogruppi bio-logici caratterizzati da malattia a decor-

so molto sfavorevole o particolarmente fa-vorevole;

• l’individuazione di alterazioni moleco-lari specifiche delle cellule neopla-stiche sulle quali è possibile intervenirecon trattamenti mirati (target therapy)come nel caso dell’uso degli inibitori tiro-sino-chinasici nella terapia delle LLA contraslocazione cromosomica t(9;22);

• il miglioramento delle terapie di suppor-to e delle procedure di trapianto al-logenico di cellule staminali ematopoie-tiche;

• l’introduzione di approcci innovativi co-me l’uso della “malattia minima re-sidua” ovvero la “quantità” di malattiaancora presente in tempi predefiniti (g+15,g+33 e g+78 dall’inizio della terapia) che,nelle fasi precoci del trattamento, è pre-dittiva della risposta complessiva e dellaprobabilità di recidiva ed è risultata, in-sieme alla risposta al cortisone, l’unico fat-tore di rischio indipendente;

• la “malattia minima residua” valu-tata con tecniche di immunofenoti-po o biologia molecolare, è un para-metro accurato per dosare la che-mioterapia in termini di aumento o di-minuzione sulla base della risposta alla te-rapia stessa e ridurre pertanto, laddovepossibile, la tossicità legata al trattamen-to.

Nel loro complesso tali strategie hanno per-messo non solo di migliorare la sopravvivenza,ma anche di minimizzare il rischio di morta-lità, morbidità e di effetti a lungo termine.Nonostante i continui notevoli progressi incampo medico, organizzativo e assistenzia-

PRIMA PARTE / LIVING THERAPY

LLA E DBLCL: LE PATOLOGIE E ILPAZIENTE ADATTO AD ESSERE SOTTOPOSTOALLA TERAPIA CON CAR-T

Franca FagioliPresidente AIEOP e Direttrice S.C.Oncoematologia Pediatricae Centro Trapianti del Presidio OspedalieroInfantile ReginaMargherita, Città dellasalute e della Scienza,Torino

4.1 LLA: IL PRIMO GRANDE SUCCESSO DEL CAR-T

A CURA DI FRANCA FAGIOLI

4.

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18. CAR-T

18I QUADERNI DI quotidianosanità

le, ancor oggi la leucemia linfoblasticaacuta rappresenta la prima causa dimorte in oncologia pediatrica. Conti-nuano infatti ad esistere sottogruppi di pa-zienti la cui prognosi rimane infausta: il 15-20% dei bambini con LLA muore per resi-stenza al trattamento, per ricaduta di ma-lattia o per sequele tardive legate alla tera-pia ricevuta. C’è poi un 15-20% di bambini con LLAche recidiva dopo la terapia di primalinea e la sopravvivenza a 5 anni in questicasi è variabile: per le LLA di tipo B, oscilladal 25% nel caso di recidive molto precocimidollari o combinate al 60-70% per quelleextramidollari isolate, mentre per le LLA ditipo T è compresa tra il 7 e il 23%. I pazien-ti con malattia refrattaria sono circa il 2-4%ed hanno prognosi ancor più sfavorevole.Inoltre i bambini con LLA ed età < 1 an-no (lattanti) o 15-19 anni (adolescen-ti) hanno prognosi peggiore rispetto al-le altre fasce di età con una sopravvivenza a5 anni rispettivamente del 46% e del 57%; inparticolare per gli adolescenti esiste un pro-blema di accesso alle cure di eccellenza e diarruolamento nei protocolli clinici, infattisolo il 20% (contro il 92% dei pazienti conetà <15 anni) viene trattato secondo proto-colli clinici AIEOP (Associazione ItalianaEmato Oncologia Pediatrica). Non da ulti-mo è necessario mirare a ridurre ulterior-mente la percentuale dei soggetti guaritiche presenta effetti tossici tardivi e chead oggi è circa del 40%: questo si può rea-lizzare attraverso la stratificazione dei pa-zienti in base al rischio, che permette di mo-dulare l’intensità di cura, e con l’utilizzo ditrattamenti sempre meno aggressivi e piùmirati che mantengano comunque l’effica-cia terapeutica.

Le possibilità offerte da CAR-TTra le nuove frontiere di trattamento una po-sizione di spicco è occupata dalla terapia ge-nica che utilizza i CAR-T, una delle stra-tegie più promettenti per bambini eadulti con diagnosi di leucemia. Si trat-ta di un’arma terapeutica con una straordi-naria potenza antineoplastica: i linfociti delpaziente vengono modificati affinché, unavolta re-infusi, diventino veri e propri killerantitumorali, trasformandosi così in una sor-ta di farmaco immunologico persona-lizzato che ha la peculiarità, trattandosi diprodotti cellulari, di esercitare un effetto chepersiste nel tempo e non limitato alla du-rata dell’emivita del farmaco stesso. Lo stu-

dio JULIET – condotto da Novartis contisagenlecleucel – ha dimostrato cheil trattamento con CAR-T CD19 positi-vi in pazienti pediatrici e giovani adul-ti con LLA recidivata/refrattaria ha di-mostrato un tasso di remissione glo-bale dell’81%, una risposta dal caratterecompleto (nessuna malattia minima residuarilevata nei pazienti rispondenti) e una so-pravvivenza libera da recidiva duratura alfollow-up (80% a distanza di 6 mesi e 59%dopo 12 mesi). Per quel che concerne le tos-sicità emerse in corso di trattamento conCAR-T, in particolare sindrome da rilasciocitochinico ed eventi di tipo neurologico, que-ste sono state ritenute accettabili in unapopolazione pesantemente pretratta-ta e senza alternative terapeutiche confinalità curativa. L’intero percorso terapeutico che porta alpaziente il suo CAR-T è un approccio total-mente unico nel suo genere: la sfida futuraè conquistarsi un ruolo anche nelle linee ditrattamento più precoci e contro i tumori so-lidi, garantendo il massimo accesso a queipazienti per i quali le opportunità di cura so-no minime.

PRIMA PARTE/ LIVING THERAPY

È necessario mirare a ridurreulteriormente la percentuale dei soggetti guaritiche presenta effettitossici tardivi e che ad oggi è circa del 40%

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18. CAR-T

19I QUADERNI DI quotidianosanità

Il linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL)è una forma di linfoma non Hodgkin (LNH)molto aggressiva e difficile da trattare.È la forma più comune di linfoma e rappre-senta il 40% dei casi di linfoma, con una in-cidenza, in Italia e nella popolazione occi-dentale, pari a 15-20 casi ogni 100mila abi-tanti. Circa la metà dei pazienti al momen-to della diagnosi ha più di 60 anni, si trattaquindi di una patologia che esordisce nel-l’età adulta, sebbene si verifichino anchedegli esordi in pazienti più giovani, e inte-ressa in egual misura uomini e donne. A cau-sare la malattia è una mutazione nei linfo-citi B, che cominciano a moltiplicarsi in mo-do incontrollato che può causare una com-promissione della normale funzionalità im-munitaria e, così facendo, si indebolisconole difese immunitarie.L’esordio della malattia è variabile:nelle forme iniziali, meno estese, possonoessere interessati i linfonodi di poche areequali il collo, ascella o altri e possono nonessere presenti sintomi; nelle forme piùavanzate si possono formare delle masse lin-fonodali più voluminose, addominali o nelmediastino, con sintomi legati alla mancanza

di fiato, dolori addominali, ostruzioni dellevie urinarie. In molti casi il linfoma può in-teressare anche zone extralinfatiche qualilo stomaco o l’intestino, ma la malattia puòcolpire tutti gli organi, ad esempio il fega-to, la tiroide, il cervello, i testicoli, la mam-mella e altri. Il paziente spesso lamenta de-bolezza, astenia, febbre e può andare in-contro a un dimagramento.La sopravvivenza a cinque anni dei pa-zienti con DLBCL è di circa il 60%, ma i da-ti variano ampiamente in rapporto all’età ealle condizioni di salute generali del paziente.Nei pazienti sia giovani che anziani, ma inbuone condizioni generali e in grado di tol-lerare la terapia, si può arrivare alla guari-gione nella percentuale sopra indicata, men-tre nei pazienti che presentano delle co-morbidità, che ne possono pregiudicarel’eleggibilità ai trattamenti più efficaci, laprognosi è decisamente più infausta. A in-fluenzare la prognosi sono molti fattori qua-li il sottotipo istologico, le alterazioni mole-colari e l’estensione della malattia, o la pre-senza di specifiche localizzazioni della ma-lattia.Il trattamento di prima linea del DLBCLprevede l’associazione dell’anticorpo mo-noclonale rituximab alla chemioterapiaCHOP (ciclofosfamide, doxorubicina, vin-cristina, prednisone): si tratta di una tera-pia generalmente ben tollerata che porta auna remissione completa il 70-75% dei pa-zienti. A 3-5 anni il 60-65% dei casi non pre-senta più la malattia e si può considerareguarito. La risposta alla terapia è maggiorenei pazienti più giovani, in quelli meno gra-vi all’esordio, e in quanti presentano delle

Umberto Vitolodirettore dell’Unità di Ematologia, A.O.U.Città della Salute e della Scienza, Torino

PRIMA PARTE/ LIVING THERAPY

4.2 UNA NUOVA SPERANZA PER I PAZIENTI: IL CASO DEL LINFOMA DIFFUSO A GRANDI CELLULE B

A CURA DI UMBERTO VITOLO

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18. CAR-T PRIMA PARTE/ LIVING THERAPY

20I QUADERNI DI quotidianosanità

specifiche alterazioni molecolari. Nonostantela sua buona tollerabilità, lo schema rituxi-mab + chemioterapia CHOP non è indicatoin pazienti che hanno più di 80-85 anni oche presentano un quadro clinico compli-cato da altre gravi patologie.Del 30-35% che non ottiene benefici dal pri-mo trattamento, circa il 30% non rispondefin dall’inizio alle terapie, e il 20-40% rica-de entro i primi due anni. In questi pazien-ti si pone quindi la necessità di sommini-strare una seconda linea di trattamen-to. A fare la differenza ancora una volta èl’età e la condizione di salute: fino ai 65-70anni di età, se non ci sono controindicazio-ni dovute a comorbidità, si somministra unachemioterapia ad alte dosi con successivoautotrapianto di cellule staminali; nei pa-zienti più anziani e con comorbidità si pro-cede invece a una chemio-immunoterapiacon rituximab con schemi diversi dal CHOP.Il successo della terapia di seconda linea va-ria a seconda della storia del paziente: l’au-totrapianto permette una remissione dellamalattia solo nel 15-20% dei pazienti chenon hanno risposto alla prima linea, per-centuale che sale al 50% per coloro che so-no ricaduti entro i primi due anni. I pazientiche non sono candidabili all’autotrapianto,invece, presentano una durata mediana del-la risposta alla terapia farmacologica che va-ria tra 6 e 8 mesi.In caso di ulteriore ricaduta le opzio-ni sono davvero limitate: si può proce-dere a una terza combinazione di chemio-terapia oppure pensare a un trapianto dadonatore, una strada difficile da percorrereperché è necessario sia trovare una perso-na compatibile sia che le condizioni di sa-lute del paziente siano tali da sopportare iltrattamento e soprattutto che la malattia ri-sponda alla terapia di salvataggio prima deltrapianto.

Le possibilità offerte da CAR-TIn questo scenario, la terapia cellulare a ba-se di cellule ingegnerizzate CAR-T rappre-senta una chance importante di trattamen-to. Attualmente, infatti, la CAR-T è auto-rizzata per il DLBCL nei pazienti cheabbiano già provato due linee di trat-tamento e che abbiano sviluppato una re-cidiva o una progressione della malattia.Con la terapia CAR-T i linfociti T del pa-ziente, cellule del sistema immunitario de-putate alla difesa contro i tumori, ma che inqualche modo sono state rese inefficaci daltumore stesso, vengono ingegnerizzate in

modo da riconoscere e neutralizzare le cel-lule che esprimono sulla loro superficie laproteina CD19, fra cui le cellule B mutatecausa del DLBCL. Lo studio JULIET – con-dotto da Novartis con tisagenlecleucel – hadimostrato che la terapia CAR-T ha avutosuccesso nel 40-60% dei casi dopo 6 mesi/1anno dal trattamento, un tempo dopo il qua-le le probabilità di una ricaduta della ma-lattia si abbassano drasticamente. Si trattaquindi, per questi pazienti, dell’unica ve-ra alternativa terapeutica. Tuttavia, non tutti i pazienti possonoessere candidati alla terapia con CAR-T:la selezione viene fatta sulla base delle con-dizioni generali di salute perché il tratta-mento è impegnativo. In più, vista la suacomplessità, è necessario che il paziente ven-ga seguito da un team multidisciplinare –formato da ematologi specializzati nella te-rapia dei linfomi, specialisti del trapianto,rianimatori, neurologi, infermieri addestratia tali terapie. Ragioni per cui sarebbe op-portuno poter selezionare i pazienti sul-la base delle probabilità di risposta. Tale selezione potrebbe permettere di por-tare la terapia CAR-T in una linea ditrattamento precedente. Se infatti si di-mostrasse che le probabilità di successo del-l’infusione delle cellule ingegnerizzate fos-sero superiori a quelle dell’autotrapianto, lanuova tecnica potrebbe essere proposta co-me seconda linea, da usare dopo il primofallimento nei pazienti ad alto rischio. Que-sto permetterebbe di ottimizzare il rap-porto costo/beneficio della terapia.

Sarebbe opportunopoter selezionare i pazienti sulla basedelle probabilità di risposta

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PRIMA PARTE/ LIVING THERAPY18. CAR-T

21I QUADERNI DI quotidianosanità

di CAR-T ‘personalizzata’, deve nella mag-gior parte dei casi sottoporsi a ulteriore che-mioterapia, spesso in ospedale, per impe-dire che la malattia progredisca. E dovrà ri-manere in ospedale o poco distante duran-te le prime settimane successive alla som-ministrazione delle CAR-T, per consentireun pronto accesso in reparto e, ove neces-sario, in terapia intensiva in caso di eventiavversi. Una organizzazione impegnativaper i molti operatori coinvolti, una vera epropria CAR-T Unit, giustificata dalla man-canza di altre opzioni terapeutiche per i pa-zienti con le caratteristiche cliniche delle at-tuali indicazioni.Questo però è solo l’inizio della storia.

Cosa faremo già domaniCome sempre accade per le terapie oncolo-giche efficaci, il passo successivo sarà diestendere il trattamento a pazienti con ma-lattia meno avanzata. È verosimile che inquesti pazienti si potranno ottenere mag-giori tassi di risposta, riducendo allo stessotempo la comparsa e intensità delle reazio-ni avverse. Agire su una malattia di dimen-sioni inferiori, infatti, ragionevolmente au-menta le probabilità di eradicare le celluletumorali residue, limitando nel contempole complicanze che sono in larga misura le-gate alla ‘massa’ tumorale. In tal senso, do-vrebbe iniziare uno studio internazio-nale con CAR-T su pazienti con leu-cemia acuta linfoblastica in remis-sione ematologica e con evidenza mo-lecolare di malattia residua minima.È chiaro che in pazienti meno compromes-si si potrà in prospettiva eseguire la proce-

Potremmo tranquillamente dire che questo èl’anno della ‘lotta immunologica’ ai tumori.Dal premio Nobel assegnato proprio agliscopritori dei checkpoint immunologici, al-l’arrivo imminente in Italia della prima te-rapia CAR-T, le terapie oncologiche più pro-mettenti si basano sul controllo immunolo-gico del tumore.Un meccanismo d’azione, quello del-le CAR-T, estremamente potente e se-lettivo, ma non esente da reazioni avverseanche gravi, prima fra tutte la cosiddettasindrome da rilascio di citochine. Ora chegli studi su pazienti con malattia molto avan-zata e prognosi sfavorevole ne hanno docu-mentato l’efficacia e portato all’approvazio-ne per uso clinico, è importante fare alcuneconsiderazioni pratiche sugli impieghi at-tuali e su quelle che saranno le probabili evo-luzioni.

Cosa possiamo fare oggiAttualmente, l’infusione delle CAR-T deveavvenire in ospedale. Inoltre, il paziente, tro-vandosi in una fase di malattia avanzata eperciò ‘voluminosa’, durante le settimanenecessarie alla preparazione della sua dose

Robin FoàDipartimento di MedicinaTraslazionale e di Precisione Università La Sapienza,Roma

4.3 CAR-T: POTENZIALI SVILUPPI NELL’IMMEDIATO FUTURO

A CURA DI ROBIN FOÀ

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18. CAR-T

22I QUADERNI DI quotidianosanità

dura in regime di day hospital (negli USA,per motivi legati ai costi, molti effettuanoleucaferesi e reinfusione in contesti ambu-latoriali), essendo di fatto la leucaferesi e lasuccessiva infusione operazioni di per sé po-co complesse. E qui vengono spontanee alcune considera-zioni: trattare pazienti con malattia piccolao minima e rendere più semplici le proce-dure significa, da un lato, ridurre i costi ope-rativi e legati alla gestione delle reazioni av-verse, ma, dall’altro, ampliare il numero dipazienti che potrebbero potenzialmente be-neficiare di trattamenti con CAR-T e, in ul-timo, far lievitare le relative spese. Se si li-mitasse la valutazione alla sola fase del trat-tamento ci potrebbe essere un problema disostenibilità per coprire (ai costi attuali) lerisorse necessarie per trattare tutti pazientieleggibili. Va però tenuto in considerazioneche se un paziente guarisce attraverso unaterapia innovativa, i costi a valle vengo-no a ridursi drasticamente. Non ci sa-rebbero altre terapie, recidive, ricove-ri, complicanze infettive, si ridurreb-be la necessità di un trapianto alloge-nico di cellule staminali o di altre tera-pie costose, ecc. Per non considerare la pro-duttività sociale di un paziente guari-to. La sfida con le nuove terapie è proprioquesta: guarire più pazienti e ridurre le te-rapie. In ematologia d’altra parte abbiamosott’occhio la realtà di molti pazienti, anchecon leucemia acuta, guariti con terapie mi-rate e senza chemioterapia, e che conduco-no una vita normale.

Le sperimentazioni in corsoNel frattempo, la ricerca sulle CAR-T proce-de rapidamente. Sono in corso protocol-li clinici in pazienti con mieloma mul-tiplo e inizieranno studi nel linfomafollicolare e nella leucemia linfaticacronica. Negli anni comprenderemo quan-ti tumori (non solo ematologici) potrannobeneficiare di questa strategia innovativa esoprattutto quanto le CAR-T potranno con-tribuire ad incrementare i tassi di guarigio-ne. Per alcune neoplasie ematologiche oggiè prevista una breve terapia citoriduttiva se-guita rapidamente da un trapianto allogeni-co di cellule staminali. È ipotizzabile in unfuturo uno scenario simile per le CAR-T? Ovefosse, si potrebbe sperare di aumentare ilnumero di pazienti guariti riducendodrasticamente costi, complessità or-ganizzative e tossicità. Sono altresì in cor-so studi che impiegano CAR-T alloge-

niche, ottenute cioè ingegnerizzando i lin-fociti T prelevati da soggetti sani. È unaprospettiva concettualmente molto interes-sante con due potenziali vantaggi, uno cli-nico e uno economico. La possibilità diavere una ‘banca di CAR-T’, come già av-viene per i trapianti, potrà permettere di tro-vare CAR-T già prodotte compatibili conil paziente. Questo eviterebbe i tempi di at-tesa (4-6 settimane) per la produzione delleCAR-T autologhe, uno dei limiti con le at-tuali procedure (la malattia può, nel mentre,progredire) e potrebbe rendere la terapia ac-cessibile anche a quei pazienti che non riu-scissero a fornire un campione autologo onon espandessero adeguatamente o a quel-li che, dopo una prima risposta non com-pleta, potrebbero beneficiare di una secon-da infusione. Le CAR-T allogeniche, ove fat-tibili, avrebbero anche importanti implica-zioni economiche.

Conclusioni: avanti con prudenzaIn conclusione, è verosimile che la strategiadelle CAR-T, che nel contempo sta studian-do diverse altre formulazioni, si dimostreràefficace in varie patologie oncoematologiche.Siamo solo agli albori di una possibi-le rivoluzione terapeutica e sono quin-di doverose note di cautela. Con le ap-provazioni attuali, quali saranno i risultati egli effetti a distanza? Potremo arrivare a trat-tare pazienti con malattia piccola o minima?Quanti potranno guarire? Vedremo recidivea distanza? Solo quando avremo dati più cer-ti e a lungo termine potremo apprezzare ap-pieno la portata di questa entusiasmante nuo-va avventura frutto, ancora una volta, del-l’avanzamento della conoscenza e delle tec-nologie. Occorre quindi cautela dando in-formazioni corrette per non ingenerare spe-ranze eccessive ai tanti pazienti e alle loro fa-miglie che stanno lottando battaglie ardue,ma che devono trarre conforto da questi im-portanti avanzamenti.

Sono in corsoprotocolli clinici in pazienti conmieloma multiplo e inizieranno studinel linfomafollicolare e nellaleucemia linfaticacronica

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23I QUADERNI DI quotidianosanità

Dottor Bombaci quando pensiamo a pazientipediatrici con LLA recidivante o adulti conDLBCL r/r siamo di fronte a nuove opportu-nità di cura piuttosto complesse. Quali biso-gni emergono in queste situazioni?Fatti i dovuti distinguo per specifiche esi-genze legate all’età (l’allontanamento dalcontesto scuola o lavoro, rispettivamente),inizierei col dire che sono comunque pa-zienti reduci da molte terapie e indaginidiagnostiche, che hanno quindi già messo adura prova la partecipazione attiva dei fa-miliari. La famiglia è sempre coinvol-ta, sia emotivamente, sia dal lato pratico,perché il malato non può essere abbando-nato, e qui insorgono tutte le problematichenon prettamente di competenza clinica chericadono fortunatamente sul supporto di as-sociazioni come AIL.

Si riferisce alle criticità logistiche-organiz-zative che trovano risposta nelle case di ac-coglienza?Precisamente e anche, direttamente e indi-rettamente, al supporto psicologico. Le ca-se di accoglienza sono indispensabiliper permettere a questi malati, che

non hanno risposto ai precedenti ci-cli di cure, di recarsi presso i centrispecializzati abilitati a somministrare leterapie come il CAR-T, e di soggiornarenelle immediate vicinanze del centroper tutto il tempo necessario. Il ma-lato, anche quando adulto, non può af-frontare questo percorso da solo e, inogni caso, non potrebbe rimanere ricovera-to per settimane o mesi. Quindi quando unpaziente si sposta dalla sua città di residen-za lo fa insieme ad un famigliare che lo ac-compagna e i costi economici che deve fron-teggiare sono enormi: il costo per gli spo-stamenti del/dei familiari e per il soggior-no durante il periodo di permanenza neipressi del centro, per esempio, e questo pe-riodo non ha una durata predeterminata. Aquesti costi sommiamo il mancato stipen-dio perché il caregiver, nella migliore del-le ipotesi, sarà in aspettativa non retribui-ta; se invece è un lavoratore autonomo mol-to semplicemente deve rinunciare alla suaattività. Il paziente adulto ha spesso già per-so il proprio lavoro. Capite bene che senzale case di accoglienza solo pochi potrebbe-ro compiere questa trasferta.

PRIMA PARTE / LIVING THERAPY

BISOGNI NON CLINICI DEL PAZIENTE E DEI FAMILIARI: PRIMA, DURANTE E DOPO

5.

Felice BombaciResponsabile Gruppi AILPazienti (AssociazioneItaliana contro leLeucemie, i Linfomi e ilMieloma).

5.1 LE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO DEI PAZIENTI PER RISOLVERE I BISOGNI NON CLINICI DEI MALATI

INTERVISTA A FELICE BOMBACI

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24I QUADERNI DI quotidianosanità

Perché parla di supporto psicologico direttoe indiretto?ll paziente, sia esso un bambino o un adul-to, e i suoi familiari, genitori, fratelli e so-relle, moglie o marito, figli, hanno bisognodell’aiuto di uno psicologo per sopportare ilcarico di disperazione che certe diagnosi ecerti fallimenti terapeutici inevitabilmenteportano con sé. La figura dello psicon-cologo non è sempre presente nei centriematoncologici e laddove manca viene di-rettamente ingaggiata da AIL, per seguire ilpaziente e la sua famiglia, dentro e fuori dal-l’ospedale.Indirettamente perché nel momento in cuiuna famiglia viene accolta in una veracasa, dove abitano altri familiari di pazienti,si trova in un ambiente psicologicamenteaffine ed accogliente, e questo è già un gran-de beneficio. C’è condivisione con gli al-tri genitori e/o caregiver e la possibilità diricreare un contesto di vita simile a quelloche si aveva a casa propria, senza lasciarsisopraffare dalla malattia. Avere la possi-bilità di ricostruire un quotidiano fuo-ri dall’ospedale è di grande aiuto per tol-lerare, sia psicologicamente sia fisicamen-te, il carico delle terapie e dei controlli rav-vicinati.

Adulti e bambini avranno anche esigenze di-verse. AIL come interviene?In realtà quello che stiamo osservando ades-so, grazie ai progressi delle cure, è un pro-blema dell’adulto che poi anche il bambinoguarito si ritrova a fronteggiare una voltacresciuto. Si tratta dello stigma che il can-cro porta con sé e che mina l’inserimento oil reinserimento nella società dei survivors.La scienza ha ormai parificato l’aspettativadi vita dei sopravvissuti a quella dei sogget-ti che non hanno avuto un tumore, invecela società ancora non ha fatto questopercorso. Accade così che gli ex pazientihanno difficoltà ad ottenere un mutuo, a rin-novare la patente, a essere presi in consi-derazione per un lavoro. Abbattere que-sti pregiudizi sarà la nuova sfida del-le associazioni pazienti.

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mente destabilizzante per l’intera famiglia,per questo deve avvenire con le modalità ele parole adatte che solo uno psicologoespressamente formato sa trovare: genito-ri in grado di comprendere ed accet-tare la diagnosi, per quanto grave essasia, saranno a loro volta in grado diaiutare il figlio ad affrontare la malattia,la cura e le pratiche terapeutiche, non rara-mente invasive e dolorose, che questa com-porta. Naturalmente, anche al paziente deve esse-re effettuata una comunicazione di diagno-si adeguata all’età e alle competenze del sog-getto. Non meno importanti sono le pro-blematiche comportamentali che spes-so i pazienti manifestano nel corso dellecure ma che caratterizzano anche i geni-tori i quali tendono a diventare iperpro-tettivi da un lato e accondiscendentiin ogni cosa, dall’altro.Non si può trascurare l’impatto che lamalattia ha sulla vita sociale del bam-bino e in particolare del ragazzo o della ra-gazza che vede interrotta la frequenza a scuo-la, ridotte (se non annullate) le relazioni congli amici, le attività sportive, radicalmen-te cambiati i rapporti con i fratelli ole sorelle.Un aspetto non marginale, causa di un sen-timento di inadeguatezza e di impotenza, èla necessità di fare delle scelte di percorsoterapeutico come quella del centro di curao l’adesione - o meno - ad una sperimenta-zione clinica. Infine, non si può dimentica-re che il percorso di terapia può compren-dere anche delle ricadute, col bagagliodi sentimento di sconfitta che esse si

PRIMA PARTE/ LIVING THERAPY

L’immagine dell’onda gigante che travol-ge ogni cosa rende bene l’idea di quelloche accade in una famiglia quando il can-cro viene diagnosticato al proprio fi-glio. Tutta la famiglia si ammala con lui:ogni cosa perde importanza, tutto si foca-lizza sul bambino o sull’adolescente che sitrova a combattere contro una malattia che,nonostante tutti i progressi, è ancora stret-tamente collegata al concetto di morte e faancora molta paura. Emerge qui l’im-portanza del sostegno psicologico peril bambino e tutta la sua famiglia.Sin dalla presa in carico del bambino l’aspet-to psicologico deve essere tenuto debita-mente in conto. Già il solo fatto di essere ri-coverato in ospedale – col radicale cambiodi abitudini che ne consegue - ed essere og-getto di pratiche più o meno invasive com-porta una sofferenza. Lo stress emotivoviene acuito dall’ansia che i genitori,nonostante tutti i loro sforzi, non rie-scono a nascondere.

Presentare la diagnosi con le parole giusteLa comunicazione della diagnosi e del pro-cesso terapeutico è un passaggio potenzial-

Angelo RicciPresidente FIAGOP(Federazione ItalianaAssociazioni GenitoriOncoematologiaPediatrica).

5.2 HO SENTITO UNA VOLTA DEFINIRE IL TUMORE NEI BAMBINI UNO TSUNAMI

A CURA DI ANGELO RICCI

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portano appresso.Nei genitori si possono manifestare de-pressione, senso di colpa a volte perso-nale a volte ribaltato sul coniuge, frustra-zione per non sentirsi più in grado diproteggere il proprio figlio.Tutto il lungo percorso di malattia compor-ta uno stress continuo, sia per il pazienteche per l’intera sua famiglia e questo stressnon deve essere trascurato, per evitare il ri-schio di complicazioni psicologiche ed emo-tive.

Intercettare i bisogni emotivi e facilitare le relazioni È fondamentale che lo staff terapeutico siaintegrato con personale altamente qualifi-cato per prendersi cura degli aspettipsicologici ed emotivi, in grado di rico-noscere bisogni che spesso non sono nep-pure espressi chiaramente dai soggetti coin-volti e di dare le risposte giuste a quei biso-

gni. Servono perciò professionisti in gradodi facilitare le relazioni e contribuire adinstaurare un rapporto di fiducia tral’équipe medica e la famiglia, e all’in-terno della famiglia stessa; pronti a for-nire il giusto supporto emotivo e psicologi-co, ad ascoltare e a dare risposte che nonprevarichino i ruoli né medici né genitoria-li. Pazienti e genitori adeguatamentesostenuti e preparati sono in grado didiventare protagonisti del percorsodi cura e, liberati per quanto possibile dasensi di inadeguatezza e di colpa, possonocontribuire con convinzione e sicurezza al-la gestione della malattia del proprio figlio,anche nei periodi più critici, dando così luo-go a quella che da qualche tempo si chiama“alleanza terapeutica” tra tutti gli attori coin-volti.Per tutti i motivi sin qui elencati le Asso-ciazioni di Genitori riunite in FIAGOP(Federazione Italiana Associazioni Genito-ri in Onco-Ematologia Pediatrica, www.fia-gop.org) considerano lo psico-oncolo-go figura indispensabile dell’équipecurante, e da sempre si sono battute per-ché il suo ruolo venisse riconosciuto.Va detto che AIEOP (Associazione Italianadi Ematologia ed Oncologia Pediatricawww.aieop.org), che costituisce la rete na-zionale che si prende cura di bambini e ado-lescenti con leucemia o cancro, condividequesto punto di vista e di conseguenza neidiversi centri di cura lo psico-oncologo èmembro del team, discute i casi, si prendecura dei pazienti e delle famiglie e in qual-che caso anche dei volontari, chiudendo co-sì in qualche modo il cerchio.Che poi gli psicologi continuino in gran par-te ad essere pagati dalle Associazioni anzi-ché essere assunti in organico dalle azien-de ospedaliere è uno di quei misteri italia-ni ai quali non si riesce a dare una rispostasensata.

Pazienti e genitori adeguatamente sostenutie preparati sono in grado di diventareprotagonisti del percorso di cura

PRIMA PARTE/ LIVING THERAPY

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Una roadmap per l’accesso alla terapia

SECONDA PARTE

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La terapia genica con CAR-T rientra nel-l’ambito più generale delle terapie cellularie si è sviluppata come expertise particolaredel trapianto di midollo osseo. È dalla lun-ga esperienza nel campo dei trapianti, in-fatti, che si sono evolute e mutuate le cono-scenze alla base delle terapie con CAR-T, edè in questo settore della medicina che tro-viamo tutti gli specialisti coinvolti nella pre-sa in carico del paziente con leucemia lin-foblastica acuta (LLA) a cellule B e il linfo-ma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) trat-tato con CAR-T.

Ematologi in prima lineaIl percorso con CAR-T comincia dall’indi-cazione terapeutica: cioè dall’identificazio-ne di un paziente che ha un bisogno di cu-ra che non può essere soddisfatto con le te-rapie disponibili o il trapianto, e per il qua-le CAR-T rappresenta una possibilità.Nel caso della LLA sarà un ematologo pe-diatra o un ematologo esperto nelle leuce-mie, mentre nel caso del linfoma potrà es-sere un ematologo o un oncologo esperti inlinfomi. Infatti, data la ultra-specializzazio-ne che si ha oggi, le figure che si occupanodi ematologia possono essere molto diver-se, tanto che all’interno degli ospedali l’Ema-tologia è organizzata per aree di competen-za (come, per esempio, l’Unità Linfomi): perciascuna di queste aree vi è un responsabi-le che coordina tutte le attività che vi affe-riscono. Il medico ematologo, quindi,è quello che “ci mette la faccia”, per-

ché riconosce il bisogno e si assume la re-sponsabilità di indicare al paziente la tera-pia CAR-T come una opzione di cura. Si trat-ta di un passaggio delicato, perché il rischiodi creare false speranze è alto, soprattuttooggi che siamo invasi da nuovi trattamentinon sempre accessibili.

L’ematologo trapiantologo, il trasfusionistaresponsabile della raccolta delle cellule ecrio-preservazioneLa seconda figura coinvolta nel percorso èil Responsabile del Programma Tra-pianto, all’interno del quale viene realiz-zata la terapia con CAR-T. Qui si gestiscetutto quello che ha a che fare con la rete diidentità e custodia del paziente e del pro-dotto. Si tratta di procedure standardizzategià presenti nel sistema dei trapianti. In que-sto senso, il fatto di lavorare con i CAR noncomporta nulla di diverso da quello che sifa decine di volte al giorno per i pazienti tra-piantati.La terza figura è il medico trasfusioni-sta responsabile della raccolta dei linfocititramite aferesi, una tecnica che permette diottenere le cellule che ci interessano dal san-gue periferico. Quello che otteniamo alla fi-ne del processo è una sacca da 300 millili-tri che contiene miliardi di linfociti: il ma-teriale di partenza per costruire i CAR.A questo punto si incontra il medico re-sponsabile del Laboratorio di Crio-preservazione. Ai due o tre tecnici che cilavorano. La sacca con i linfociti deve infat-ti essere conservata a meno 90 gradi centi-gradi nel vapore di azoto e spedita in unadryship (un contenitore cilindrico di un me-tro di altezza e mezzo di diametro che ga-rantisce 5 giorni di conservazione) negli Usa.Le cellule vengono scongelate, manipolategeneticamente, coltivate in vitro per essereespanse (moltiplicate) e poi nuovamentecongelate per essere spedite al centro ita-liano. Qui, il Laboratorio di Crio-preserva-zione fa rientrare la sacca con i linfociti in-

CAR-T TEAM: IL VALORE IMPRESCINDIBILE DELL’ÉQUIPE MULTIDISCIPLINARE

Fabio Ciceridocente ordinariodi Ematologia, Università Vita-Salute San Raffaele, Direttore, U.O. Ematologiae Trapianto di Midollo,IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano

A CURA DI FABIO CICERI

SECONDA PARTE / ROAD MAP

1.

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29I QUADERNI DI quotidianosanità

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30I QUADERNI DI quotidianosanità

gegnerizzati nel circuito, esattamente comeavviene in molti altri casi di trapianti, in cuiil midollo arriva da un altro centro.

Il paziente è eleggibile?Quando abbiamo finalmente il prodotto al-l’interno del sistema, viene valutata l’eleg-gibilità del paziente – che è una cosa moltodiversa dal porre l’indicazione – al tratta-mento con CAR-T. Tra la prima valutazio-ne e il rientro dei CAR, infatti, passa oltreun mese: un periodo lungo per questi pa-zienti, le cui condizioni potrebbero esserecambiate e le persone potenzialmente can-didabili potrebbero non essere più realmenteeleggibili a ricevere i CAR-T.

La gestione delle complicanze: neurologo, cardiologo e rianimatoreNel momento in cui i linfociti T modificativengono re-infusi entrano in gioco diversialtri attori oltre al medico trasfusionista: inparticolare il neurologo, il cardiologo eil rianimatore. È infatti fondamentale es-sere pronti a gestire le possibili complican-ze, come la sindrome da rilascio di citochi-ne e gli eventi neurotossici associati alla te-rapia, che possono essere severi e poten-

zialmente mortali. Il trattamento intensivodel paziente, necessario in questi casi, è giàprevisto nel Programma Trapianti: quelloche cambia nei pazienti trattati con CAR-Tè la rapidità con cui si presentano ed evol-vono questi eventi, per cui il paziente puòandare incontro a un quadro di compro-missione in poche ore. Lo staff deve es-sere preparato a intervenire tempe-stivamente e a prendere decisioni ra-pidamente.Se tutto va per il meglio e si ottiene una ri-sposta alla terapia, il paziente viene inizial-mente seguito da un medico esperto nei tra-pianti e poi affidato per il follow up nuova-mente all’ematologo che aveva posto l’indi-cazione iniziale. I dati essenziali dell’interopercorso vengono registrati da un data ma-nager, che dovrà anche trasferirli in un re-gistro europeo che è stato reso d’obbligo dal-l’agenzia EMA per le aziende farmaceuticheproduttrici dei CAR-T.

Qui serve un CAR-T TeamÈ facile a questo punto capire perché sia sta-to proposto che i primi centri a partire inItalia con la terapia CAR-T dovessero esse-re i Centri Trapianto certificati a livellointernazionale e con una ottima espe-rienza nella gestione delle forme più com-plesse di trapianti da donatore: non è unacondizione sufficiente, ma è senza dubbiofondamentale. Quello che serve affinché tut-to funzioni è un coordinamento funzio-nale altamente regolato secondo procedu-re standardizzate, e una integrazionemultidisciplinare strutturale. Comeabbiamo visto, le figure che si incontrano inquesto percorso hanno infatti competenzespecifiche – come la raccolta tramite afere-si, la manipolazione delle cellule e la gestionedelle complicanze – e sono tutte necessarie,ma nessuna risolutiva se presa singolar-mente. Insomma, la terapia con CAR-T la sifa tutti insieme o non la si può fare e la mul-ti-disciplinarietà è assolutamente impre-scindibile. La proposta è di creare in questicentri un CAR-T Team, cioè uno staff spe-cializzato e preparato insieme a ge-stire il paziente, in un percorso spe-cifico di formazione continua. Questostaff deve includere tutte le figure citate, ein particolare ematologo esperto di patolo-gia, ematologo trapiantologo, medico tra-sfusionista, neurologo, cardiologo e riani-matore. Alla base deve esserci una alleanzareale, profonda, direi “fisiologica”.

SECONDA PARTE / ROAD MAP

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Garantire il rapido accesso alle terapie inno-vative richiede sforzi organizzativi e un’ocu-lata programmazione economica. Sono que-ste le sfide poste dalle più recenti terapiepersonalizzate. Come risponde il nostro si-stema? È ormai noto a tutti che se si vuole conti-nuare a garantire l’universalità del nostroSistema Sanitario è fondamentale facilitarela traduzione dei progressi scientifici inno-vativi in tecnologie che soddisfino adegua-te normative, velocizzino l’accesso dei pa-zienti a terapie efficaci, sicure e che siano,altresì, economicamente sostenibili, riallo-cando così le risorse in modo più strategicoed equo e creando un reale valore per il si-stema salute. L’introduzione dell’innovazione responsa-bile di solito implica una serie di processicollegati e sovrapposti tra loro che necessi-tano di una forte leadership e responsabi-lizzazione; un coinvolgimento sin dall’ini-zio degli stakeholder interessati; la garan-zia di tempo necessario e flessibilità per l’im-plementazione, un finanziamento dedicatocon programmazione di risorse di persona-le dedicate e preparate al cambiamento; mo-nitoraggio e feedback tempestivo dell’im-plementazione. Infine, sostegno politico perla diffusione completa su scala nazionale.Tutto questo in un’ottica che tenga contoesplicitamente delle prospettive e delle aspet-tative del paziente.Da questo punto di vista, il nostro ordi-namento ha da tempo avviato un per-

corso di progressivo riconoscimentoe di valorizzazione dell’approccio diHealth Technology Assessment (HTA)che già incide sul meccanismo di determi-nazione dei Livelli Essenziali di Assistenzain sanità. In base alla legge di stabilità 2016,la Commissione nazionale per l’aggiorna-mento dei LEA si avvale infatti delle valu-tazioni di HTA su tecnologie sanitarie e bio-mediche e su modelli e procedure organiz-zative al fine di aggiornare i LEA e indivi-duare le condizioni di erogabilità o le indi-cazioni di appropriatezza. Altresì impor-tante, in questo senso, è la realizzazione diuna rete volontaria tra le autorità naziona-li preposte alla valutazione delle tecnologiesanitarie, prevista dalla Direttiva2011/24/UE recepita nel nostro ordina-mento, e attuata proprio con applicazionedell’approccio HTA.

Con quali criteri si pianifica lo stanziamen-to delle risorse necessarie per accogliere l’in-novazione portata dalle nuove terapie avan-zate?In un contesto di risorse limitate, è neces-sario che l’ingresso dell’innovazione nel Si-stema Sanitario sia disciplinato attraversoun percorso che ne garantisca efficacia, si-curezza e sostenibilità, assicurando al tem-po stesso la rivalutazione di interventi ob-soleti per il loro disinvestimento. Oggi, l’im-pegno comune a tutti i Paesi indu-strializzati è quello di lavorare per ga-rantire ai cittadini l’accesso a servizi

ORGANIZZAZIONE E PROGRAMMAZIONE: UNA SFIDA DA VINCERE CON IL CONTRIBUTO DI TUTTI

Andrea UrbaniDirettore Generale della ProgrammazioneSanitaria, Ministero della Salute

INTERVISTA A ANDREA URBANI

SECONDA PARTE / ROAD MAP

2.

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sanitari di buona qualità indipen-dentemente da dove essi vengano ero-gati, tramite reti integrate che sono semprepiù necessarie soprattutto rispetto a malat-tie rare e patologie che richiedono altissimetecnologie (come i trapianti), mobilità sa-nitaria, accesso tempestivo ai farmaci in-novativi anche in campo oncologico, e unosviluppo delle innovazioni in medicina se-condo l’approccio HTA.L’ambito farmaceutico è ricco di innovazio-ni che consentono un continuo migliora-mento delle possibilità di cura dell’essereumano. Oggi e nei prossimi 10 anni citroviamo e ci troveremo in una fasedi lancio di nuove molecole che avran-no un grande impatto sulla vita diognuno di noi. In un futuro prossimo avre-mo a portata di mano farmaci molto effica-ci ma allo stesso tempo costosi: la sfida odier-na è quella di non lasciare indietro nessu-no, malgrado la presenza di una popolazio-ne sempre più anziana e polimorbida e dun-que a una domanda sempre più ampia dicura. Si dovrà garantire che i costi dell’ac-cesso dei pazienti alle nuove terapie riesca-no a remunerare gli investimenti necessariper svilupparle.

Da questo punto di vista quali sono le azio-ni che avete previsto per preparare l’ormaiprossimo arrivo della terapia CAR-T in Italia? Al fine di definire un’adeguata program-mazione delle risorse si sta provvedendo astimare il fabbisogno, rispetto alle malattiecurabili attraverso il ricorso alla terapia CAR-T. Al momento parliamo di un pool di pa-zienti eleggibili composto da circa 60/70 pa-zienti pediatrici e giovani adulti fino a 25anni con leucemia linfoblastica acuta a cel-lule B refrattaria, recidivata post-trapiantoo in seconda o successiva recidiva e circa700 pazienti adulti con linfoma diffuso agrandi cellule B recidivato e refrattario do-po due o più linee di terapia sistemica.Per curare questi pazienti, dovranno

essere definiti a livello centrale i re-quisiti specifici per erogare il tratta-mento, con il supporto di AIFA e delCentro Nazionale Trapianti. Sulla ba-se dei requisiti, le regioni, in condivisionecon il Ministero della Salute, si organizze-ranno per selezionare i propri centri. Quin-di, dovranno essere individuati gli standarddi personale, attrezzature, sale, laborato-ri, ambulatori, UO di terapia in-tensiva, camere per la de-

18. CAR-T

32I QUADERNI DI quotidianosanità

SECONDA PARTE / ROAD MAP

Oggi e nei prossimi10 anni ci troviamoe ci troveremo inuna fase di lancio dinuove molecole cheavranno un grandeimpatto sulla vita diognuno di noi

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ministrazione del farmaco, nonché l’impat-to economico sul SSN.

Sarà possibile preparare il Paese affinché ladispensazione del CAR-T sia distribuita inmodo eterogeneo sul territorio? Oppure sa-rà necessario, almeno in una prima fase, con-vogliare pazienti e risorse in pochi centri su-per-specializzati? In questi anni le Regioni stanno provve-dendo a dare attuazione al Decreto Mini-steriale n. 70/2015 che propone una revi-sione del modello assistenziale ospedaliero,prevedendone l’integrazione con il settoredell’assistenza territoriale e richiamandoespressamente la necessità di garantire l’ero-gazione delle cure in condizioni di appro-priatezza, efficacia, efficienza, qualità e si-curezza. Da questo punto di vista, la rior-

ganizzazione delle reti ospedalieresecondo il modello hub e spoke of-

fre la possibilità di attuare unbuon livello di efficientamentodel sistema: accentrando le tec-nologie più costose e le prestazionia maggior complessità assistenzialeall’interno di poli di eccellenza, eriallocando le tecnologie e gli in-terventi a minore complessitàpresso gli ospedali di base.Venendo alla domanda, attual-mente i centri interessati alla te-rapia CAR-T sono quelli che han-

no i requisiti previsti per l’esecu-zione dei trapianti allogenici e, in

base agli attuali modelli organizza-tivi, ciascun centro è in grado di cu-

rare al massimo 2 pazienti al mese, perun totale quindi di circa 24 pazienti al-

l’anno (mesi estivi inclusi). Come già det-to, le norme di riferimento e le evi-denze scientifiche suggeriscono l’op-portunità di accentrare le prestazio-ni assistenziali più avanzate, caratte-rizzate da un maggior grado di spe-cializzazione professionale, all’inter-

genza che dovranno avere i centri di riferi-mento, al fine di aumentare l’attuale capa-cità di presa in carico di ciascun centro, fi-no ad arrivare a curare un numero di pa-zienti per centro sufficiente a soddisfare larichiesta di cura.Sarà altresì necessario formalizzare un ve-ro “CAR-T cell team interdisciplinare” configure dedicate che siano adeguate come nu-mero e competenze e ricorrere ad un’ade-guata formazione. Queste terapie potrannoessere somministrate esclusivamente pres-so adeguate e qualificate strutture ospeda-liere e da medici opportunamente istruiti alloro utilizzo e a condizione che le stesse strut-ture possano gestire le eventuali reazioni av-verse. A motivo di ciò si rende necessa-rio disegnare un percorso di introdu-zione e di monitoraggio ad hoc attra-verso la stesura di Linee Guida speci-

fiche che definiscano le caratteristichedella terapia, i centri italiani

competenti per la som-

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no di un numero ridotto di poli sele-zionati, e rispondenti a specifici requisitidi qualità e sicurezza, sia sul piano organiz-zativo sia sul piano delle dotazioni tecnolo-giche. Certamente, il consolidamento delleconoscenze e la progressiva diffusione diqueste tra gli attori del sistema, unitamen-te all’evoluzione del progresso tecnologico,potranno verosimilmente consentire, nel fu-turo, l’erogazione delle prestazioni in sicu-rezza ed appropriatezza anche presso queicentri che mostrano, oggi, un profilo di cu-re non adeguatamente parametrato sulleesigenze di tali pazienti.

Ecco, il futuro. Con quali stratagemmi riu-sciremo a garantire che le enormi opportu-nità presentate dal CAR-T vengano colte ap-pieno?È previsto che nei prossimi anni questo ti-po di terapia si dimostri efficace in altre ma-lattie ematologiche o addirittura in neopla-sie solide. La chiave di volta potrebbe starein un cambiamento, a livello europeo,che inviti gli Stati membri a renderequanto più possibile omogenee le pro-prie procedure di definizione del prez-zo e rimborso dei farmaci e che spe-rimenta, tramite l’Agenzia Europeadei Medicinali, nuove modalità di au-torizzazione all’immissione in com-mercio. Al momento AIFA, oltre ad avviare le pro-cedure per negoziare con le case farmaceu-tiche coinvolte nell’immissione in commer-cio del farmaco ed il relativo prezzo, sta ve-rificando la percorribilità di introdurre nel-l’ambito del progetto IT-DRG, un nuovoDRG dedicato a questa procedura qualorala stessa non si riuscisse ad assimilarla (intermini di assorbimento risorse e quindi ditariffa) ad un DRG già esistente che remu-neri tale procedura in ambito di ricoveroospedaliero, o di introdurre la parte di te-rapia eseguibile in ambulatorio nel nomen-clatore della specialistica ambulatoriale conuna tariffa dedicata. In entrambi i casi, adoccuparsene dovrà essere la CommissioneLea individuando anche la copertura finan-ziaria. Sarà necessario prevedere oltre ai so-pracitati standard che i centri di riferimen-to dovranno avere, anche la modalità di fi-nanziamento di queste terapie così costose.In questo senso, oltre ai fondi già esistentisui medicinali innovativi e sui medicinalioncologici innovativi, ulteriori finanziamentisono stati previsti dalla legge di bilancio 2019che stabilisce una spesa di 5 milioni di eu-ro destinata agli IRCCS della Rete oncolo-gica impegnati nello sviluppo delle nuovetecnologie antitumorali CAR-T.

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Si rende necessario disegnare un percorso di introduzione e di monitoraggio ad hoc attraversola stesura di Linee Guida specifiche che definiscanole caratteristiche della terapia, i centri italianicompetenti per la somministrazione del farmaco,nonché l’impatto economico sul SSN

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È vera innovazione solo quando i suoi van-taggi sono per tutti” Non lo diceva Marx oil sub-comandante Marcos, ma uno dei pa-dri per antonomasia del capitalismo, l’HenryFord inventore dell’industria dell’auto e suaemblematica quintessenza. Difficile im-maginare qualcosa di più innovativoe di beneficio per l’intera collettivitàdi una terapia per patologie impor-tanti, capace di allungare la sopravvivenza(OS) o il tempo libero da malattia (PFS), ma-gari a vita. Sono un ottimo esempio le nuo-ve terapie di riprogrammazione cellulareCAR-T.

Un percorso ad hoc per accelerare la disponibilità e l’accessoLa CAR-T rappresenta oggi la frontiera del-le cure più innovative. Alcune di esse han-no già ricevuto l’approvazione regolatoriada parte di FDA ed EMA, pertanto ne è alvaglio la rimborsabilità e l’attribuzione delrelativo prezzo in carico alle sanità pubbli-che dei vari Paesi. Tra i grandi Paesi UE fi-nora è stata finalizzata solo dal Regno Uni-to. Un processo di market access, come quel-lo della definizione del prezzo e della rim-borsabilità, viene condotto attraverso me-todologie e percorsi diversi nei variPaesi, che vengono sviluppati e decisi daisingoli Stati e ai quali la normativa UE la-scia totale indipendenza in merito.Tuttavia, nonostante la rilevante variabili-tà tra i vari Paesi, i diversi processi si ri-conducono, in essenza, nella valutazione

del beneficio clinico ed economico sulquale definire il prezzo, e le condizioni,al quale ogni sanità pubblica rimborserà laterapia, da concordare con l’Industria pro-prietaria in quel processo decisionale basa-to sulla negoziazione tra le due parti. Un processo decisionale con tre obiettivi:1) rendere disponibile il farmaco alla col-

lettività in modo pienamente equo ed ilpiù presto possibile;

2) ragionare nell’ottica della sostenibilitàdelle risorse pubbliche e della loro mi-gliore distribuzione;

3) remunerare il produttore consentendo-gli il reinvestimento dei profitti a gene-rare ulteriore innovazione promuoven-done il circolo virtuoso.

Si tratta di un triplice obiettivo, spesso idea-le, da leggere come un fine a cui aspirare:un limite asintotico a cui tendere ma che conogni probabilità non sarà mai completa-mente raggiungibile.

Per la terapia CAR-T il processo ne-goziale di assessment richiede un ap-proccio specifico e dedicato per le pe-culiarità del trattamento. Partendo dauna di esse, che è cruciale: una sola som-ministrazione, efficacia per sempre. Un ap-proccio terapeutico rivoluzionario che, tut-tavia, richiede di rivedere in modo altret-tanto innovativo anche le modalità di attri-buzione del prezzo e della rimborsabilità daparte dei singoli Paesi, a partire dal nostro.Quanto e come rimborsare una simi-

ACCESSO ALLE TERAPIE CAR-T E SOSTENIBILITÀ: LE SFIDE PER IL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE

Fabrizio GianfrateProfessore di Economia Sanitaria

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3.

A CURA DI FABRIZIO GIANFRATE

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le terapia? Prima di rispondere bisognaconsiderare anche la domanda cruciale po-sta alla base: quanto valutare un anno gua-dagnato grazie ad essa? Anzi, in questo ca-so, visti i risultati clinici, quanto valutareuna vita guadagnata?Non esiste un prezzo alto o basso mail prezzo che si è disposti a pagare(Bain); nel nostro caso che è disposto a pa-gare il Sistema Sanitario Nazionale (SSN),ovvero noi come collettività, attraverso l’isti-tuzione preposta, l’AIFA.Nelle sanità pubbliche solo il NICE inglesene formalizza una soglia, circa 40.000 GBPper QALY, “prezzo” per anno di vita indi-cizzato alla variazione della correlata quali-tà della vita. Questo prezzo è comunque in-feriore a quello di fatto pagato pressoché intutto il mondo per le terapie più innovati-ve, dall’ambito onco-ematologico alle ma-lattie rare: qualche decina di migliaia di eu-ro l’anno per paziente, a fronte di un bene-ficio clinico di alcuni mesi di prolungata so-pravvivenza o ritardata progressione dellamalattia.

I parametri da considerare e i modelliinnovativi per il rimborso delle nuove terapie Se oggi le sanità pubbliche pagano diversedecine di migliaia di euro per un anno di vi-ta in più, che prezzo ipotizzare alloraper una terapia che risolve la malat-tia per sempre? Questo è il vero cuore del-la questione. A complicarla ulteriormentec’è il carattere “one shot” della terapia: unasola somministrazione efficace per sempre.La logica dovrebbe essere: spendo molto og-gi ma eviterò i costi delle terapie future, nel-la più lineare valutazione farmaco econo-mica sia di budget impact (spendo oggi e ri-sparmio molto di più domani) che di costo-efficacia (chi più spende di farmaci menospende di sanità pubblica). Ma ci sono aspet-ti specifici che le caratteristiche della tera-pia CAR-T potrebbero introdurre. L’impatto immediato assai oneroso,con però un beneficio “lifetime”, puòfar ipotizzare una rateizzazione delpagamento dal SSN all’industria di-lazionata in vari anni, con rate anche ascalare e con un piano di pagamento e/o am-mortamento modulato secondo accordi de-finiti durante la negoziazione con AIFA. Nonsolo, i pagamenti negli anni potrebbero es-

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Che prezzo ipotizzareallora per unaterapia che risolve lamalattia per sempre?

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sere legati al mantenimento della rispostada parte del paziente: rate successive paga-te solo se la terapia “one shot” continua afunzionare come previsto negli anni suc-cessivi. Ovvero si paga la rata successiva so-lo se l’efficacia del trattamento è conferma-ta. Uno schema “outcome based”, co-me quelli già largamente adottati e gestitiattraverso i registri web AIFA e di cui l’Ita-lia è meritoriamente all’avanguardia nelmondo.Un pagamento differito e dilazionato di con-sistente entità richiama l’attenzione ancheal potenziale ruolo di intermediari fi-nanziari, le banche, capaci di acquisire ildebito pluriennale del SSN anticipando su-bito l’intera cifra all’industria, venendo co-sì incontro alle loro esigenze di gestione con-tabile e finanziaria di cassa e competenza.Oppure anche, come ho sentito in qualchegruppo di lavoro internazionale su prezzo erimborsabilità a cui partecipo regolarmen-te, la possibilità delle sanità pubbliche dirimborsare queste terapie one shot – lifeti-me pagando le industrie con titoli di Statoa medio-lunga scadenza (facile la battuta sulloro rating quindi sull’affidabilità). Certo, una valutazione del reale valo-re del beneficio clinico ed economicodi una terapia altamente innovativa per de-finirne prezzo e rimborsabilità dovrebbe es-sere condotta includendo tutte le voci con-correnti nell’intero percorso diagnostico-te-rapeutico del paziente. Non solo il costo dei farmaci, quindi,ma l’intero set di beni e servizi, visite,diagnostica, ospedalizzazioni (soprattutto,dato il suo costo giornaliero pari ad un ho-tel di lusso), ecc. a cui serve ricorrere, nel“disease management”: i PDTA sui quali de-finire i reali costi per il SSN, standard, ciòche in molti confondono ancora assurda-mente col prezzo ballerino della famigera-ta siringa. O, appunto, con la sola spesa peri medicinali.

Le nuove sfide per il SSN in termini di sostenibilitàInsomma, queste terapie sono rivolu-zionarie, anche nel richiedere diver-se modalità di valutazione, attribu-zione e gestione di prezzo e rimbor-sabilità. Dove appunto non esiste un prez-zo alto o basso ma il prezzo che si è dispo-sti a pagare, nel rapporto tra forze e debo-lezze fisiologiche di chi compra, il SSN pseu-do monopsonista, e chi vende, l’industriapseudo monopolista, grazie all’innovazionecome driver del processo, remunerando ilbeneficio incrementale di salute apportato.Un beneficio di cui chi vende, il proprieta-rio, chiede legittima remunerazione e chechi compra “non può non” mettere a dispo-sizione delle collettività che rappresenta. Con la salute che non ha prezzo che costa ci

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Un pagamento differito e dilazionato diconsistente entità richiama l’attenzione ancheal potenziale ruolo di intermediari finanziari,le banche, capaci di acquisire il debitopluriennale del SSN anticipando subito l’interacifra all’industria, venendo così incontro alleloro esigenze di gestione contabile efinanziaria di cassa e competenza

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sono dei miglioramenti clinici straordinariirrinunciabili da mettere a disposizione del-la collettività, almeno in un Paese suffi-cientemente avanzato, ma che vanno ade-guatamente pagati, nella fisiologica ed in-trinseca contraddizione del farmaceutico neldovere far convivere l’economia di mercatodei comparti economico-produttivi con l’eco-nomia pianificata della spesa pubblica.Trattare un paziente oncologico una dozzi-na di anni fa costava al SSN qualche centi-naio di euro. Oggi costa diverse decine dimigliaia, domani ne serviranno alcune cen-tinaia di migliaia. Questo per l’offerta. Suuna domanda per anzianità da record (ne-gli anni ’50 c’era un over65 ogni tre under15,oggi è l’esatto contrario), rompendo il vec-chio equilibrio tra demografia, crescita eco-nomica e redistribuzione che aveva permessol’espansione dei servizi sociali nei modellidi welfare (inglese – Beveridge o tedesco –ordoliberalismo) bisogna riaffrontare la si-tuazione, abbandonando un concetto di re-distribuzione oggi demodè e non funziona-le. L’aspetto positivo è che il problema èaffrontabile per tempo: la domanda èprevedibile, leggendo le curve demografi-che ed epidemiologiche, così come l’offerta.I farmaci di domani sono già ben noti in an-ticipo essendone i tempi di sviluppo supe-riori ai dieci anni (horizon scanning). In-somma, della sostenibilità dei farmaci pro-digiosi di domani, urge occuparsi indero-gabilmente ed ineluttabilmente oggi. Tuttavia, c’è una condizione di partenza in-derogabile: l’adeguata entità delle risorsepubbliche disponibili per l’assistenza far-maceutica e in particolare delle terapie piùinnovative. La soluzione non è negli arzigo-goli bizantini dell’attuale sistema di tetti,payback e co. parcellizzati tra loro tra vin-coli centrali e responsabilità locali, a lorovolta incrociate tra loro, con tutti i penosicodazzi giudiziari mai davvero risolti. Mapiù lineare e semplice, occorre applicare ilproverbiale principio del ”Rasoio di Oc-

cam”: aumentare le risorse per i farmaci,riallocandole o dall’intera spesa pubblica, oda dentro la sanità, o dallo stesso settore far-maceutico. Ad esempio, con il loro “deli-sting” dalla rimborsabilità, i vecchi farma-ci da 10 cent al giorno peserebbero sul por-tafoglio del paziente un pugno di euro al me-se ma libererebbero nell’insieme almeno 3miliardi l’anno da destinare ai farmaci in-novativi, rendendone più agevole e menocritica la loro disponibilità.Vale la pena ricordare che oggi i farmaciinnovativi costituiscono la voce di spe-sa di sanità pubblica strutturalmentepiù sotto finanziata in rapporto alladomanda, notevolmente al di sotto dellemedie UE e OCSE. Con tutta la spesa far-maceutica che pesa solo un quarantesimo -20,9 miliardi - della spesa pubblica italiana- 837 miliardi - meno dei big OCSE. Assor-be solo un punto e rotti di PIL, l’1,2% dellanostra ricchezza, ma come ruolo e impor-tanza nella collettività ne vale molto di più.I farmaci più innovativi da noi costano inmedia il 20% meno dei big OCSE, as-sorbendo solo lo 0,4% della spesa pubblicacomplessiva (3,5 miliardi su 837 miliardi)e il 17% della spesa sanitaria pubblica. Lametà di questa spesa, 1,7 miliardi, viene uti-lizzata solo per i farmaci contro l’epatite C.E ne usiamo, a due anni dall’approvazione,il 35% meno degli altri Big UE sebbene inquesti Paesi costino parecchio di più.

Si direbbe, quindi, che in confronto a tuttele altre voci di spesa dello Stato, la quota dispesa per i farmaci risieda incredibilmentein basso nel ranking delle priorità pubbli-che. Un 500esimo della spesa pubblica.Sono così poco importanti per l’Italia e gliItaliani, pure sempre più anziani? O sonosbagliate le priorità di spesa assegnate? For-se una riflessione in merito andrebbe final-mente fatta.

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Occorre applicare ilproverbiale principiodel ”Rasoio diOccam”: aumentarele risorse per i farmaci,riallocandole o dall’intera spesapubblica, o da dentro lasanità, o dallo stessosettore farmaceutico.

Si direbbe, quindi, che in confronto a tuttele altre voci di spesa dello Stato, la quota di spesa per i farmaci risieda incredibilmentein basso nel ranking delle priorità pubbliche.Un 500esimo della spesa pubblica.

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Alleanza Contro il Cancro (ACC) è la rete de-gli Istituti di Ricovero e Cura a Carat-tere Scientifico (IRCCS) oncologici. Èstata costituita dal Ministero della Salutecon i 6 istituti oncologici pubblici esistentinel 2002, a cui si sono aggiunti negli annil’Istituto Superiore di Sanità, altri 19 IRCCS,l’Italian Sarcoma Group, Il CNAO di Paviae l’Associazione Italiana dei Malati di Can-cro. Ha un Consiglio Direttivo che prendele decisioni strategiche ed è strutturata condei Comitati che si occupano delle attivitàistituzionali e con dei Working Group cheportano avanti i progetti di ricerca. L’intervista a Ruggero De Maria, presi-dente ACC, aiuta a contestualizzare que-sto modello virtuoso alla luce delle continueevoluzioni dell’oncologia medica.

Alleanza Contro il Cancro rappresenta oggiun modello: quali vantaggi offre in terminidi innovazione e organizzazione?Il cardine operativo di ACC sono i WorkingGroup e la chiave del loro successo è de-terminata dalla capacità di fare sinergiee massa critica tra i ricercatori dei va-ri istituti. Questa interazione in rete ren-de gli istituti ancora più competitivi, perchéciascuno di essi mette a disposizione le pro-prie competenze, strutture e tecnologie in-novative per fare ricerca insieme e cu-rare i pazienti della rete nel miglior modopossibile. La sfida per noi è quella di co-niugare l’innovazibilità e fare in modoche il SSN possa rispondere alle aspettati-

ve del cittadino di poter essere assistito conle migliori terapie.

La disponibilità della terapia CAR-T porrà dasubito numerose sfide da dover affrontareper il sistema Italia. Quali sono le più criti-che dal suo punto di vista?Questa è proprio una delle sfide che stiamoaffrontando. La terapia con CAR-T non èparagonabile a nessuna altra terapia onco-logica. Richiede competenze nuove, non pre-viste nel percorso formativo degli oncologimedici. È una tecnologia culturalmente piùvicina alle expertise degli ematologi che, peraltro, sono stati i primi a potervi accederedato che le uniche terapie CAR-T approva-te finora sono rivolte contro le leucemie e ilinfomi della serie B. La terapia CAR-T è riu-scita a salvare bambini e adulti che non ave-vano alcuna possibilità di sopravvivenza conle altre terapie disponibili. Tuttavia, ri-chiede competenze nuove e capacitàdi gestire degli effetti collaterali mol-to diversi da quelli prodotti dalle al-tre terapie oncologiche. Pertanto, oltrealla criticità derivante dai costi molto ele-vati, per garantire una diffusione delle te-rapie CAR-T occorre affrontare seri pro-blemi organizzativi e logistici. Dato chesiamo ancora all’inizio, è evidente che neiprossimi anni la ricerca avrà un ruolo fon-damentale. Se pensiamo che in atto sonoapprovate solo due terapie CAR-T, per al-tro molto simili, e che queste terapie avran-no probabilmente un costo molto elevato

VERSO UN CAR-T NETWORK? LA RETE DI ALLEANZA CONTRO IL CANCROCOME MODELLO PER ACCOGLIERE LE INNOVAZIONI IN ONCOLOGIA

Ruggero De MariaIstituto di PatologiaGenerale, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma;Presidente di AlleanzaContro il Cancro (ACC)

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4.

INTERVISTA A RUGGERO DE MARIA

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anche in un paese come l’Italia che vuolecontinuare a coprire le spese mediche deipropri cittadini, si comprende quanto di-venterà fondamentale che gli istituti piùavanzati si dotino della capacità di produr-re al proprio interno le CAR-T, per condur-re trial clinici innovativi a costi contenuti.Questa è la strada che sta percorrendol’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù, uno de-gli IRCCS di ACC, e che potrebbe diventareun percorso comune ad altri IRCCS della re-te se si riuscirà a reperire le risorse. Un in-vestimento in ricerca sui trial clinici CAR-Tnel nostro Paese potrebbe portare ad un con-siderevole risparmio per il SSN. A questoproposito, è di questi giorni una buona no-tizia che giunge dai lavori parlamentari sul-la legge di bilancio. In Commissione Bilan-cio, infatti, è stato approvato un emenda-mento che assegna 5 milioni di euroal Ministero della Salute per la ricer-ca degli IRCCS di ACC*. Ulteriori 5 mi-lioni sono destinati a programmi di pre-venzione dei rischi cardiovascolari che sa-ranno condotti dalla rete cardiologicadegli IRCCS. 

In questo contesto, è ipotiz-zabile la creazione di una “reteCAR-T” (CAR-T Network), una rete dicentri altamente specializzati all’interno del-le reti oncologiche attuali?Alleanza Contro il Cancro ha un WorkingGroup di immunoterapia che si sta occu-pando primariamente di ottimizzare la te-rapia con i cosiddetti inibitori dei checkpointimmunologici, costituiti da anticorpi che ri-muovono il blocco spesso presente nei lin-fociti T dotati di attività antitumorale. Tut-tavia, all’interno di ACC ci sono una decinadi istituti che fanno ricerca sulle CAR-T eche stiamo cercando di mettere in rete peraumentarne la competitività. Per crearenuove CAR-T è necessario avere unaexpertise a 360 gradi, che vada dalla co-noscenza precisa di tutti i processi immu-nologici, alla biologia dei tumori, alle bio-

tecnologie più avanzate. Si comprende fa-cilmente, quindi, quanto sia vantaggio-so il lavoro di rete in questo settore.Se questo emendamento sul finanziamentodella ricerca sulle CAR-T verrà confermatonella approvazione finale della legge potre-mo partire da subito con il programma.   

La rete CAR-T può essere un valido strumen-to per condividere le migliori pratiche clini-che dei centri che disporranno della tecno-logia?Certamente. In un primo tempo stiamo pen-sando soprattutto a creare massa critica sul-le biotecnologie necessarie per la creazione

Per creare nuove CAR-T è necessario avereuna expertise a 360 gradi, che vada dallaconoscenza precisa di tutti i processi immunologici, alla biologia dei tumori, alle biotecnologie più avanzate

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* Ndr: il finanziamento è stato poi confermatonella versione definitivadella legge di bilancioapprovata in Parlamento.

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E, a tendere, per divulgare modelli virtuo-si di gestione e presa in carico del pa-

ziente sul territorio?La missione di ACC prevede anche

il supporto al territorio attraversola definizione di modelli innovativi digestione e presa in carico dei pazien-ti oncologici. Quando vengono introdot-te delle procedure terapiche molto innova-tive, come quelle basate sull’infusione diCAR-T, è di fondamentale importanza il sa-per creare un sistema adeguato alla presain carico del paziente. Occorre quindi di-vulgare una metodologia di gestione dei pa-zienti trattati con queste terapie molto in-novative. ACC offrirà sempre un supportoal Ministero della Salute per la formazionee la gestione dell’innovazione sul territorio.È molto importante cercare di trasfe-rire al meglio le informazioni sulle op-portunità che offrono questo tipo ditecnologie della salute e valutare l’im-patto che l’innovazione avrà sulla ge-stione e la presa in carico del pazien-te. In quest’ambito è fondamentale il rap-porto con le Regioni, perché sono loroche si trovano a gestire direttamente l’in-novazione della salute sul territorio. Anchese queste terapie devono essere sommini-strate in strutture ospedaliere altamentespecializzate, il paziente deve poter essereassistito prima e dopo la terapia cellulareanche in strutture meno avanzate, ma ade-guate alla cura delle patologie meno rile-vanti. Tuttavia, anche la gestione di patolo-gie relativamente semplici in pazienti trat-tati con CAR-T potrebbe rivelarsi molto piùcomplessa rispetto alla cura dei pazienti or-dinari. Occorre pertanto attuare una for-mazione sul territorio che permetta aimedici di base e degli ospedali periferici dicomprendere la fisiopatologia associata aquesto nuovo tipo di terapie cellulari.

di nuove CAR-T, ma presto ci occuperemoanche degli aspetti più clinici. Non appenaverranno introdotte in Italia le due terapieCAR-T autorizzate dall’EMA per alcune leu-cemie e linfomi a cellule B, Kymriah e Ye-scarta, si porrà la necessità di condividerele esperienze cliniche e cercare di ottimiz-zare le terapie, sia per quanto riguarda l’ef-ficacia, sia per gestire e minimizzare gli ef-fetti collaterali. Sarà un processo che do-vrà coinvolgere gli operatori del set-tore in tutto il Paese. Sarà fondamenta-le il lavoro e le indicazioni che verranno dal-l’AIFA e dal Ministero della Salute. Gestirequesto tipo di innovazione clinica richiedeimpegno e operazioni di sistema.

La missione di ACC prevede anche il supportoal territorio attraverso la definizione di modelli innovativi di gestione e presa in carico dei pazienti oncologici

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Stampa: Str Press, PomeziaGennaio 2019

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Contributo non condizionante

ALLEANZAPER IL CAR-T

TERAPIA GENICA

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