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UNIVERSITA’ CA’ FOSCARI DI VENEZIA Novembre 2000 TEORIE ECONOMICHE E POLITICHE DI INTEGRAZIONE EUROPEA RIFLESSION I SULLA STRATEGIA DEI TRATTATI. Giuliano Petrovich Nota di Lavoro 2000.11

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UNIVERSITA’CA’ FOSCARIDI VENEZIA

Novembre 2000

TEORIE ECONOMICHE E POLITICHE DI INTEGRAZIONE EUROPEARIFLESSION I SULLA STRATEGIA DEI TRATTATI.

Giuliano Petrovich

Nota di Lavoro 2000.11

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TEORIE ECONOMICHE E POLITICHE DI INTEGRAZIONE EUROPEA: RIFLESSIONI SULLA

STRATEGIA DEI TRATTATI.

GIULIANO PETROVICH, UNIVERSITA’ DI VENEZIA.

DICEMBRE, 1999.

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1.- PREMESSA1.

L’Unione monetaria europea sarà certamente ricordata dagli storici come uno dei più concreti risultati

della strategia di integrazione politica tra stati2.

Gli sforzi per avviare e consolidare tale processo di integrazione - nonostante opposizioni, dubbi,

problemi e rischi continui - sembrano aver affermato il “ruolo forte” dell’economia in una “cultura

politica dell’ordine internazionale” in almeno tre direzioni3.

La prima è certamente la cultura politica della solidarietà. L’originalità, rispetto alle molte effimere

esperienze storiche di utopici “stati ideali”, è espressa dalla concretezza del collante della razionalità

economica. Questo sembra aver segnato un fortunato passaggio verso l’ideologia della “convergenza

dei consensi” e contro la tradizionale “teoria della domininazione”, basata sulla repressione dei

dissensi. Se le tecniche di governo, come insegnava nelle sue deliranti lezioni J. Robinson, sono a) il

terrore (consenso per paura), b) il tornaconto (consenso per interesse) c) l’amore (consenso per ideali),

si sono privilegiate le ultime due (benessere e solidarietà) contro la prima4. L’economia ha potuto

1Questo lavoro è un ripensamento dell’intervento: “ Primato dell’economico o del politico? l’unione europea tra accordi diintegrazione economica e politiche di cooperazione sociale: una riflessione sulla base dei trattati dell’unione europea”,presentato al Convegno “Unione Europea: prospettive e problemi”, indetto dall’Institut International d’Etudes Europeennes“ Antonio Rosmini”, Bolzano 7-9/10/1999. Un particolare ringraziamento a Laura Picchio Forlati che mi ha fornito materialie suggerimenti. Preziosi commenti sono stati rivolti alla prima stesura da Marco Balzarini, Danilo Castellano, Giulio MariaChiodi, Marcello Fracanzani, Francesco Gentile, Pietro Giuseppe Grasso. Di questa versione ovviamente assumo ogniresponsabilità.2 Precedenti generosi non sono mancati in altri secoli come in campo monetario la Lega Latina. P. PECORARI, La liradebole, Cedam, Padova, 1999. Sul risultato attuale non mancano speranze e critiche. B. JOSSA, La moneta unica europea:argomenti pro e contro, Carocci, Roma, 1999; OCDE, Emu, Facts, Challanges and Policies, OCDE, Paris, 1999; A.QUADRIO CURZIO, Noi, l’economia e l’Europa, Il Mulino, Bologna, 1996; T. PADOA SCHIOPPA, Che cosa ci hainsegnato l’avventura europea?, Il Mulino, (380), 6, 1998; R. TRIFFIN, Dollaro, Euro, moneta mondiale, Il Mulino, 1997.3 S. BERETTA, P. BIANCHI, Cambiamento delle istituzioni economiche e nuovo sviluppo in Italia ed in Europa, Il Mulino,Bologna, 1996.; T. PERSSON, G. TABELLINI, The Size and Scope of Government: Comparative Politics with RationalPolitician, European Economic Review, 43, 4-6, 1999, pp. 699-736; G. SOBBRIO, The Nature of Organizations and theEconomics of Costitutional Rules, Rivista di Diritto Tributario e Scienza delle Finanze, LVIII, 1, 1999, pp17-36; R.PRODI, Un’idea dell’Europa, Il Mulino, Bologna, 1998; S. ZAMAGNI, Economia, democrazia, istituzioni in una società intrasformazione, Il Mulino, Bologna, 1997.4 Il processo di unità europea in realtà ha forse origine da tutti e tre gli elementi citati. La paura di una nuova guerramondiale o di un nuovo conflitto franco-tedesco, l’accrescimento del benessere materiale, la generosa per quanto isolatatestimonianza dei grandi teorici dell’unità europea. Certamente tra questi ci fu anche il contributo di Rosmini e dell’Istitutoper gli studi europei a lui dedicato. G. MAMMARELLA, P. CACACE, Storia e politica dell’Unione Europea, Laterza, Bari,1998; OLIVI, L’Europa difficile. Storia e politica dell’integrazione europea 1948- 1998, Il Mulino, Bologna, 1998.

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cercar di svolgere un ruolo nuovo, diffondendo la convinzione che sia più importante “vincere la pace,

costruendo insieme una civiltà di progresso e benessere, piuttosto che vincere le guerre, distruggendo

l’avversario ed in parte sé stessi” 5. L’economia è stata una tecnica di governo importante.

La seconda è forse la cultura politica delle istituzioni. Il tenace lavoro di difesa dello stato di diritto

sotto il controllo di assemblee internazionali ha favorito una forte diffusione di norme ed enti

internazionali. Diritti politici, diritti civili, diritti economici e diritti sociali di qualità della vita si sono

spesso fusi nell’unico complesso concetto di diritti umani. Spesso le norme sono sembrate semplici

raccomandazioni e le istituzioni cavalieri disarmati. E’ stato tuttavia riconosciuto l’effetto positivo di

diffusione delle informazioni e di valutazione dei comportamenti (effetto platea). La filosofia del

federalismo economico, il principio di sussidiarietà, il decentramento produttivo che apparivano in

difficoltà all’inizio del secolo, stanno riscontrando interessi crescenti in tutto il mondo 6.

La terza è la cultura della cooperazione economica. La crescita di ricchezza mondiale è segnalata dagli

Staff Studies dell’International Monetary Fund come sempre più connessa allo sviluppo del commercio

mondiale e dell’integrazione economica di ampie aree di mercato (UE, NAFTA, MERCOSUR...)7. Il

passaggio dalle guerre commerciali e finanziarie alla cooperazione, per ricercare vantaggi reciproci, è

stata certamente una svolta epocale finora fortunata, anche se non definitivamente acquisita.

2. - LA SCELTA POLITICA DELL’AGGREGAZIONE DELLE PREFERENZE.

5 La collaborazione a prescindere da ragioni etiche, che pure sono le più importanti, viene studiata come un giococomplesso di convenienze ed attese. K. BINMORE, Game Theory and Social Contract, MIT Press, Cambridge Mass., 1998.6 M. F. AMBROSIANO, M. BORDIGNON, La concorrenza fiscale in Europa, teoria, evidenze, politiche, in “Fiscalitàd’impresa e concorrenza internazionale”, Deltaerre, Università di Venezia, 1999; G. BALLET, La globalizzazione al di làdei miti, Il Mulino, (381), 1, 1999; G. CAPELLI, Le imprese, la globalizzazione ed il postindustriale economico, Il Mulino,(25), 1, 1999; G. CORO’, E. RULLANI, Percorsi locali di internazionalizzazione, F. Angeli, Milano, 1998; G.PETROVICH, Il Veneto verso un nuovo patto sociale, Cedam, Padova, 1999; L. ROMANO, E. RULLANI, Ilprostfordismo. Idee per il capitalismo del prossimo millennio, Etas Libri, Milano, 1998; E. RULLANI, Il Nordest versol’economia globale,, in “Fiscalità d’impresa e concorrenza internazionale”, Deltaerre, Università degli Studi di Venezia,1999G. BROSIO, Governo decentralizzato e federalismo, Il Mulino, Bologna, 1998.

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Se viene accettato il primato della politica, come gestione delle dinamiche storiche, questa dovrebbe

scegliere degli obiettivi e le strategie, mentre l’economia ed il diritto dovrebbero proporre strumenti

efficienti per realizzarli.8.

Il problema dell’unione o della cooperazione tra Stati potrebbe venir inquadrato in questo schema.

Nel definire le scelte pubbliche ottimali la teoria economica ha tentato di offrire un’ analisi rigorosa.

Metodologicamente l’autorità politica individua le “preferenze collettive”, con un ordinamento di

elementi che accoglie o forza le “preferenze individuali”. Si selezionano cioè i “valori di riferimento”.

Dopo aver tradotto le preferenze in variabili-obiettivo, si confrontano scelte di varia natura, tra cui le

risorse economiche e le norme giuridiche, per conseguire gli obiettivi stessi.

Si dovrebbero decidere quindi i “traguardi” da realizzare ed i “percorsi migliori” per conseguirli.

Se i percorsi sono perseguiti con “coerenza temporale”, cioè vengono attuate le manovre dichiarate e

non vengono cambiate le dichiarazioni nel tempo, i mercati ritengono le autorità “credibili ed

affidabili”.

Lo stato ed i vari livelli di governo locale selezionano le cose importanti da fare, la priorità con cui

farle, le manovre economiche più opportune per farle, gli “scenari alternativi” derivabili9.

7 INTERNATIONAL MONETARY FUND, World Economic Outlook, Washington, vari anni e Staff Studies, vari studi; N.BHAGWATI, A. PANAGARIYA, T.S. SRINIVASAN, Lectures in International Trade, Mit Press, Cambridge Mass., 1998;TURNOVSKY, International Macroeconomics Dynamics, MIT Press, Cambridge Mass, 1997.8 La teoria economica nel periodo preclassico (mercantilisti, fisiocratici) aveva analizzato l’economia come tecnica didominazione al servizio della politica. Per i classici (Smith, Ricardo, Marx) l’analisi economica cercava una sua autonomiama proponeva la mondo politico dei modelli sociali precisi, configuranti diverse sistemazioni di “poteri forti” (aristocrazia,borghesia, proletariato). La rivoluzione marginalista (Menger, Jevons, Walras), alla ricerca di una pretesa neutralitàdell’analisi, tentò l’abbandono del riferimento politico assolutizzando gli equilibri economici di breve periodo in un contestoteorico fortemente astratto. Il novecento ha riproposto la contrapposizione tra approccio di tipo interventista, nel filonekeynesiano dove le scelte politiche dominano, ed approccio di tipo neutrale, nel filone neoclassico, dove l’equilibrio politicoè soggetto ai vincoli dell’equilibrio economico. Negli ultimi decenni la teoria delle scelte pubbliche ha fornito strumenti diricerca all’analisi positiva delle scelte politiche. Il filone della Positive Political Science ha in parte mutuato il metodo diricerca dei comportamenti economici razionali in tema di elezioni e governi, come scambi convenienti di beni pubblici. G.J. MILLER, The Impact of Economics on Contemporary Political Science, Journal of Economic Literature, XXXV, 3, 1997;I. MUSU, Teorie dello sviluppo economico, ISEDI, Mondadori, Milano, 1980; A. QUADRIO CURZIO, Tradizione erivoluzione in economia politica, Il Mulino, Bologna, 1977; id., Sui momenti costitutivi dell’economia politica, Il Mulino,Bologna, 1983; G. PETROVICH, Introduzione al corso di Politica Economica e Scienza delle Finanze, Università di CàFoscari, Venezia, 1987.

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Lo schema, metodologicamente chiaro, si scontra però nella realtà con almeno tre serie complicazioni:

a) I poteri dell’autorità centrale e la sua natura autoritaria (lo “stato etico” di Hegel e il “leviatano” di

Hobbes) o liberale (lo “stato di diritto” delle Costituzioni moderne e l’utopico “stato minimale-

anarchico” di Nozik).

Tecnicamente si deve regolare l’accoglienza delle preferenze individuali nelle preferenze collettive.

Nel caso di uno stato nazionale la “teoria contrattualista” ricerca il “contratto sociale” tra politici e

cittadini e quindi gli obiettivi fondamentali alla base della convivenza e le regole generali del consenso

Le Costituzioni sanzionano questo patto.

Nel caso dell’Europa si doveva perseguire un “patto” più o meno stringente (Costituzione federale,

trattato tra nazioni, raccordo tra governi su punti specifici), che decidesse il rapporto tra preferenze

degli stati membri, dei cittadini e dell’autorità sovranazionale.

Nella teoria delle scelte questo è il problema politico-istituzionale di “chi” deve selezionare gli

obiettivi. Ci si chiede come aggregare preferenze, come diffondere informazioni, come organizzare le

istituzioni10.

Questa fu la sfida europea più difficile: come interpretare le preferenze degli europei passando da

governi nazionali ad un governo sovranazionale 11. I Trattati hanno cercato di trovare intenti comuni

9 Noti premi Nobel dell’economia hanno dedicato parte dei loro lavori alla teoria delle scelte sociali come fondamento dellostato e delle comunità locali: Arrow, Buchanan, Harsany, Nash, North e Sen. Sia consentito inoltre ricordare anche alcunicontributi più recenti su tali temi. K. ARROW, Social Choice and Individual Values, Yale University Press, New Haven,1951; S. FRENCH, Decision Theory: An Introduction to the Mathematics of Rationality, J. Wiley e Sons, New York, 1986;S. HARGREAVES HEAP, M.HOLLIS, B. LYONS, R. SUDGEN, A. WEALE, The Theory of Chiocce, Blackwell, Oxford,1992; J. S, KELLY, Social Choice Theory, Springer Verlag, Berlin, 1988; G. PETROVICH, Politiche di accentramento edecentramento istituzionale nelle scelte economiche collettive, Cedam, Padova, 1996; id. Teoria delle scelte pubbliche e deibeni pubblici, in G. MOSSETTO, Lezioni di Scienza delle Finanze, Giappichelli, Torino, 1994.10 La nuova “Positive Political Science” ha mutuato dalla teoria economica alcuni metodi di razionalità dei comportamenticollettivi (i gruppi di potere o lobbies della Public Choice) applicandoli a campi come la scelta razionale dell’elettore,l’imprenditorialità degli esecutivi eletti, la soddisfazione dei consumatori-elettori da parte degli esecutivi-burocrazie.11 Paradossalmente un solo dittatore europeo in grado di decidere per tutti risolverebbe drasticamente il problema (illeviatano di Hobbes). La mancanza di qualsiasi governo e la libertà di scelta di tutti i singoli cittadini parimenti darebbe unasoluzione di metodo al problema (piena anarchia). Tutte le ipotesi intermedie di una autorità che media tra le preferenze deicittadini o tra le preferenze degli stati nazionali in un contesto sovranazionale ricercano soluzioni più realistiche ma moltopiù complesse. G. PETROVICH, Politiche..cit.

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nelle dichiarazioni di principi, nei preamboli, nei protocolli, negli stessi articoli di legge allargando

progressivamente la sfera degli impegni. Mancando tuttavia un’autorità cogente le possibilità

decisionali furono affidate prevalentemente all’adesione volontaria degli stati nazionali. Grandi

dichiarazioni, lenti passi in avanti, difficili scelte concrete.

b) La presenza spesso di molti obiettivi dichiarati, sia economici, sia civili, sia di libertà, sia ambientali.

Tecnicamente si tratta di percepire le vere finalità realizzabili, tra le molte enunciate, per evitare

forzature dei governi e manipolazione delle preferenze individuali. Nel noto saggio di Dahrendorf, le

caratteristiche forti ed inscindibili di questo secolo sarebbero state le aspirazioni al benessere materiale,

alla libertà, alla solidarietà e come tali ispirarono i Trattati12. Se gli obiettivi enunciati nelle

Disposizioni Comuni dall’art. 2 della versione consolidata del Trattato sull’Unione Europea (progresso

economico, sviluppo equilibrato e sostenibile, rafforzamento della coesione economica e sociale,

politica estera e di sicurezza comune, tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini, libera circolazione

delle persone, prevenzione della criminalità, rafforzamento delle istituzioni comunitarie) si

compendiano con le condizioni dei Principi dell’art 3 della versione consolidata del Trattato che

istituisce la Comunità Europea ed i testi dei vari protocolli si comprende la vastità delle finalità

considerate. Ulteriore abbondanza di finalità sarebbero contenute nei 13 protocolli e nelle 59

dichiarazioni del Trattato di Amsterdam e nei 314 Articoli della versione consolidata del testo che

istituisce la Comunità Europea.

Nella teoria delle scelte questo è il problema dell’ordinamento delle preferenze, cioè le priorità tra molti

obiettivi ugualmente voluti, cioè “cosa” e “come” scegliere.

12 R. DAHRENDORF, Quadrare il cerchio, Laterza, Bari, 1996. Se tuttavia appare in crisi la capacità di comporre tutti e tregli obiettivi in uno scenario di crescita, welfare, democrazia le alternative di assicurarne almeno due prefigurerebbero tremodelli: quello statunitense (democrazia e sviluppo con scarsa solidarietà sociali), quello cinese (crescita e solidarietà mascarsa libertà politica), quello europeo (solidarietà e democrazia ma sviluppo lento). G. PETROVICH, cit.

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La presenza di obiettivi economici specifici, tra quelli segnalati dalla politica, appare sempre più ampia.

Anche altri obiettivi (ambiente, diritti civili, sicurezza) sono progressivamente entrati nei Trattati con

un oggettivo pericolo di iperregolamentazione e burocratizzazione13.

c) Infine le interrelazioni tra strumenti ed obiettivi, quando si verificano dipendenze complicate.

Tecnicamente occorre isolare scelte chiare e possibili per poter sbrogliare matasse intricate dove “tutto

si tiene assieme”. Senza sviluppo non è garantibile il benessere, senza libertà economiche lo sviluppo

appare più difficile, la qualità della vita tra i suoi valori chiede più libertà mentre invece crescono i

vincoli per assicurare i “beni pubblici” (ambiente, cultura, sanità, ricerca, difesa) (United Nations

Development Program)14.

Nella teoria delle scelte questo è il problema dell’efficienza degli strumenti nella ricerca di soluzioni

possibili, cioè del “come” realizzare gli obiettivi.

Molti paesi negli anni ‘90 presentavano scenari finanziari preoccupanti e strumenti deteriorati: cambi

volatili, finanze pubbliche disastrate, debito pubblico elevato, inflazione da tener sotto controllo. Gli

strumenti, che avrebbero dovuto realizzare gli obiettivi economici (crescita della produzione e dello

scambio, bassa disoccupazione, un mercato trasparente e funzionante, qualità della vita e dell’ambiente

accettabili) risultavano così non manovrabili. La scelta del Trattato di Maastricht, per quanto riguarda

gli strumenti per conseguirli, fu quella di una unificare lo strumento monetario (Euro) e di porre invece

solo una serie di vincoli sugli strumenti fiscali (i “parametri” da rispettare in materia di indici di bassa

inflazione, disavanzo delle finanze pubbliche e del debito pubblico rispetto al prodotto lordo interno).

13 Si può confrontare il testo dell’originario Trattato di Roma con la versione consolidata in particolare nei Titoli II(Agricoltura), V (Trasporti), VI (Norme comuni sulla concorrenza e fiscalità), VII (politica economica e monetaria)della IIIParte (Politiche della Comunità). Tale tendenza è forse generale e basterebbe esaminare anche per l’Italia i programmielettorali, lo scontro politico, le stesse figure degli ultimi Presidenti del Consiglio dei Ministri in Italia Si è calcolato checirca due terzi dei programmi elettorali delle elezioni politiche del 1996 in Italia sono stati dedicati a materia economica eben 5 dei sei ultimi presidenti del consiglio dei Ministri sono personaggi di formazione culturale economica (Amato,Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi). G. PETROVICH, Il Veneto verso un nuovo patto sociale, Cedam, Padova, 1999.14 INTERNATIONAL MONETARY FUND, World Economic Outlook, Washington, 1999; UNDP, Rapporto sullosviluppo umano, Rosenberg & Sellier, Torino, 1999.

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I Trattati di Maastricht e di Amsterdam hanno scelto la delega nella politica monetaria, un accordo nella

politica fiscale. Si veda il titolo VII del testo consolidato.

D’altra parte l’Unione Europea si trovò fin dall’inizio a dover scegliere tra due strategie.

La prima sarebbe stata quella di partire subito dall’ integrazione politica, un nuovo Stato Federale, in

grado di decidere obiettivi anche contro i singoli stati precedenti. Imporre un potere sovranazionale.

La seconda poteva essere quella di avanzare per realizzazioni possibili e quindi per accordi tra stati

nazionali, su obiettivi concreti anche se limitati. Perseguire una serie di trattati parziali tra stati sovrani.

3.- LA SCELTA ISTITUZIONALE DEL PERCORSO FEDERATIVO.

La storia è nota 15.

I Trattati europei accettarono la logica gradualista e la realizzarono con assoluta prudenza nel tempo.

Si partì da una progressiva integrazione di interessi economici sperando di poter costruire convergenze

politiche più ampie. Si definì questo “il modello tedesco” ricordando lo Zollverein del 1833-34.

Altri chiedevano un prioritario impegno politico in uno Stato Federale Europeo. Si definì questo il

“modello americano” ricordando il patto federativo delle ex-colonie inglesi negli Stati Uniti.

I successi raggiunti nel percorso di avvicinamento tra gli stati ha forse dato ragione a chi proponeva la

gradualità. La direttrice di marcia prudente e progressiva, non senza crisi ed equivoci, sembra aver

tenuto meglio rispetto all’alternativa di un’unica autorità politica europea sovranazionale fin dall’inizio.

Si sono tuttavia rinviati molti problemi fondamentali, per cementare accordi su quelli più immediati.

L’economia ha forzato la politica. La politica si è autoimposta prevalentemente obiettivi economici 16.

15 B. BEUTLER,et al, L’Unione Europea, Il Mulino, Bologna, 1998.16 Si potrebbero ricordare alcuni dibattiti di teoria economica e le loro relazioni sofferte con la politica. Gli strumentieconomici sono scelti talvolta per garantire gli obiettivi dichiarati e talvolta per perseguire obiettivi non dichiaratiesplicitamente. La teoria dei giochi chiama i secondi comportamenti strategici. Le intenzioni possono venir mascherate dadichiarazioni distorte. La scelta dell’Unione Europea e gli accordi che si sono susseguiti per consolidarla, sono statiaccompagnati da un vigoroso dibattito di teoria economica, non solo politico ed istituzionale. Spesso è prevalso l’accordo suposizioni più pragmatiche, che hanno cercato di offrire convenienze economiche a tutti, piuttosto che ricercare idealità

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Gli obiettivi enunciati nei preamboli dei Trattati istitutivi sono sempre state di grande respiro 17. Gli

accordi concreti invece sono stati prevalentemente sugli strumenti (moneta, spesa pubblica, dazi), non

sui contenuti (lo sviluppo umano nella “civiltà europea” ed il suo ruolo nel mondo) 18.

Gli strumenti istituzionali ed economici concreti inoltre, anziché servire obiettivi di tipo positivo

(occupazione, sviluppo, competitività), sono diventati per loro conto obiettivi, e per lo più di tipo

negativo, in un quadro di divieti e di limiti (limiti all’inflazione, alla finanza pubblica, ai monopoli).

Certamente la moneta unica è stata un grande risultato. Tuttavia ha ridotto gli strumenti a disposizione

degli stati nazionali, che possono fissare obiettivi contrastanti, ed ha affidato tali strumenti ad

un’autorità centrale che non è in grado di fissare obiettivi sovranazionali. Molti problemi politici sono

quindi “ a rischio” ancora presenti ed in forma forse aggravata.

Illuminante è il caso della riforma dello stato sociale (pensioni, sanità, istruzione, qualità della vita): si

sono invocati come obiettivi il risanamento dei disavanzi pubblici, anziché decidere il livello di

protezione sociale da garantire 19.

Le fasi future, peraltro già cominciate, sono quelle dell’omologazione delle normative (art. 81-97),

soprattutto in materia di Welfare (art. 136-153) e di politiche promozionali (art. 158-162; 177-179), del

comuni di grande respiro politico, civile e sociale. Gli obiettivi politici e quelli economici si sono composti su linee di“compromesso possibile” piuttosto che su culture fondanti o scenari di aggregazione accelerata. Fu scelta la lineadell’avvicinamento progressivo, anche dopo i numerosi fallimenti storici dell’aggregazione accelerata attraverso le conquistemilitari, o la fusione degli eserciti (CED).17 Si possono ripercorrere le premesse dei vari Trattati dove si ripetono le intenzioni di pace e cooperazione, salvaguardiadei diritti fondamentali sanciti nelle leggi degli Stati membri, progresso economico e sociale equilibrato, sicurezza, tutela deidiritti dei cittadini.18 Tra i valori fondanti di grande respiro si può ricordare anche l’opera di D. CASTELLANO, I diritti umani tra giustiziaoggettiva e positivismo negli ordinamenti giuridici europei, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1996. e dellaCOMMISSIONE ECCLESIALE GIUSTIZIA E PACE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Legalità esolidarietà in un’Europa interculturale, Edizioni Dehoniane Bologna, 1993. La discussione se esista una “identità culturaleeuropea” o una “civiltà plurietnica” oscilla tra il riconoscimento di elementi comuni e differenze di tipo culturale, etnico,ideologico. G. M. CHIODI, L’Europa come civiltà pluralistica, in D. CASTELLANO, Europa e bene comune, EdizioniScientifiche Italiane, Roma, 1997; T. LYS, Economic Analysis and Political Ideology, Elgar, Cheltenham, 1996; G.PETROVICH, Politiche..cit.; SETTIMANE SOCIALI DEI CATTOLICI, Atti del 41 CONVEGNO, “La giovinezzadell’Europa”, Cei, Roma, 1991.19 Il Trattato di Amsterdam contiene un articolo aggiunto di impegno per la difesa dell’occupazione, ma questo resta ancorasul piano dell’enunciazione e non risponde al dibattito in corso sulle concrete politiche.

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raccordo delle politiche fiscali (art.98-104), specialmente tributarie, della compenetrazione politica (art.

43-45), a cominciare dalla politica estera comune (art. 11-28) e la sicurezza interna (art. 29-42).

Ma si rischierà ancora di anteporre gli strumenti economici di vincolo e gli strumenti giuridici di tipo

procedurale agli obiettivi politici di contenuto.

4.- LA SCELTA DELL’INTEGRAZIONE ECONOMICA.

4.1. - LE ORIGINI DEL DIBATTITO: JAN TINBERGEN TRA PRIMATO DELLA POLITICA ED

EFFICIENZA DELLE POLITICHE ECONOMICHE.

Nel suo Centralization and Decentralization in Economic Policy del 1954, Jan Tinbergen, primo

premio Nobel per l’economia a pari merito con Ragnar Frisch, aveva proposto un’ analisi dei vantaggi e

dei limiti di una politica economica a livello sovranazionale20.

La politica, in ciascun paese, sceglieva e imponeva prioritariamente degli obiettivi sociali (target).

Le autorità di politica economica di ogni paese dovevano recepire gli obiettivi e conseguirli

manovrando propri strumenti di intervento.

Veniva quindi simulato un sistema di dieci paesi, ciascuno con propri obiettivi politici interni,

semplificatamente assunti come identici per ogni paese 21.

Il saggio, elaborato con un’analisi matematica molto sofisticata per gli anni ‘50, si chiedeva se fosse

conveniente manovrare a livello accentrato sovranazionale alcuni strumenti di politica economica,

tenendo conto degli effetti esterni che le misure di un paese avrebbero prodotto sugli altri paesi.

20 J. TINBERGEN, Centralization and Decentralization in Economic Policy, North Holland, Amsterdam, 1954. Questolavoro e molti successivi di Tinbergen sono considerati come l’impostazione formale e logica rigorosa dello stesso metododella Politica Economica moderna. Questa analisi fu infatti definita la Teoria Pura della Politica Economica e ripresadall’Economia Pubblica. N. ACOCELLA, Fondamenti di Politica Economica, Bollati-Boringhieri, Roma, 1999; A.J.AUERBACH, J. KOTLIKOFF, Macroeconomics, Cambridge Mass, London, 1998; O. BLANCHARD, Macroeconomia, IlMulino, Bologna, 1998; F. CAFFE’, Politica economica, Boringhieri, Torino, 1966; id., Politica economica, ed Ricerche,Roma, 1968; G. PALMERIO, Principi di Economia della Finanza Pubblica, Cacucci, Bari 1996; J.E. STIGLITZ, Economiadel settore pubblico, Hoepli, Milano, 1989; V. VALLI, Politica Economica, Bollati-Boringhieri, Roma, 1998.

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Era la prefigurazione analitica di un ideale mondo europeo con una politica economica comunitaria,

dove gli obiettivi politici dominavano, l’economia veniva manovrata per perseguirli.

La proposta andava ben oltre l’ipotesi di una unione doganale con libera circolazione delle merci.

Qui si proponeva come opportuna la cooperazione delle autorità di politica fiscale e monetaria 22.

Paradossalmente con cambi fissi appariva pertanto utile accentrare sia le politiche monetarie che le

politiche fiscali in una unica autorità sovranazionale di politica economica (o attivare un sistema di

stretto raccordo tra paesi).

Restavano ai singoli paesi le politiche che non avessero prodotto effetti esterni sugli obiettivi degli altri

paesi (gli strumenti neutrali). Tipicamente le politiche di salvaguardia ambientale e di welfare interno, a

meno di diseconomie nella produzione dei servizi.

L’indicazione per l’Europa della CEE quindi appariva chiara: non si doveva ritenere prioritario un patto

federale con una nuova Costituzione Europea, per sperare in una futura Europa unitaria. 23.

Si poteva partire dagli accordi di politica economica qualora si fossero constatati obiettivi sociali

comuni. Se gli obiettivi erano gli stessi, gli strumenti efficienti per conseguirli non potevano che essere

manovrati in forma accentrata.

L’Europa poteva sopravvivere con nazioni diverse ma non con Banche Centrali nazionali conflittuali.

21 Secondo le preferenze del tempo, peraltro spravvissute per molti decenni, gli obiettivi economici indicati erano: stabilitàdei prezzi, contenuta disoccupazione, crescita economica, equilibrio dei conti con l’estero.22 Ogni manovra adottata da un paese, per conseguire i propri obiettivi interni, infatti avrebbe potuto produrre effetti indirettipositivi o negativi sugli obiettivi interni perseguiti dagli altri paesi. Il raccordo delle politiche, al limite in un’unica autorità,veniva analizzato in base agli strumenti adottabili, cioè in base alle specifiche caratteristiche delle singole manovre dipolitica economica. La conclusione tendeva a sottolineare che sarebbe stato conveniente manovrare in forma accentrata alivello sovranazionale sia gli strumenti con effetti indiretti positivi (denominati supporting), sia quelli con effetti indirettinegativi (denominati conflicting) sugli obiettivi degli altri paesi. Le politiche monetarie per la stabilità, lo sviluppo el’occupazione venivano indicate come strumenti supporting, mentre le politiche di regolamento del cambio e fiscali, perriequilibrare la bilancia dei pagamenti erano indicate come conflicting.23 Il dibattito allora in corso contrapponeva una “Europa Federata” con un unico Parlamento, un unico esercito, un unicobilancio ad un’”Europa delle nazioni” con limitati accordi sovranazionali.

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4.2. - POLITICHE NAZIONALI ED ACCORDI SOVRANAZIONALI: L’INTERVENTO

PUBBLICO NEL DIBATTITO TEORICO SUCCESSIVO.

Il contributo di Tinbergen apparve subito stimolante perché perorava un’idea complessa di accordo

sovranazionale di gestione del sistema economico, con il primato della politica. Un paese si prefiggeva

degli obiettivi politici e l’economia studiava il modo più efficiente per conseguirli, l’efficienza si

definiva sulla razionalità, intesa come massimo risultato a parità di sforzo.

Il modello appariva inoltre utilissimo perché risultava rigoroso e polivalente. Non si entrava cioè nel

merito di quali obiettivi politici potessero venir scelti, né con quali priorità tra loro, cioè vi erano

“ipotesi deboli” sulle preferenze politiche dei vari paesi24.

Un’altra indicazione importante emergeva da questa analisi.

La supremazia del politico appariva indiscussa, ma le indicazioni non potevano essere insindacabili.

Nel caso di un numero eccessivo di obiettivi politici, o di una contraddittorietà tra questi, l’economia si

mostrava impotente a conseguirli. Il politico doveva essere coerente e realista.

Se avesse cercato di forzare troppo la realtà sarebbe incorso in fallimenti (Jossa chiama questo

atteggiamento “il marxismo bastardo”).

Dal punto di vista matematico il sistema non ammetteva soluzioni, in quanto sovradeterminato 25.

Il modello offrì il quadro analitico per anni anche alle decisioni di politica economica interna nei paesi

occidentali. Le preferenze segnalarono storicamente priorità più spiccate per la lotta alla

disoccupazione nei governi che si definivano progressisti ed invece priorità per la stabilità dei prezzi

nei governi che si definivano moderati. La curva di Phillips ed il trade-off, tra inflazione e

disoccupazione, erano assunti come buone approssimazioni della realtà fino alle critiche di Milton

24 Si assumevano le preferenze come variabili esogene, fissati i valori-obiettivo da perseguire, venivano invertite le funzionie si cercavano le condizioni di ottimizzazione rispetto agli strumenti di politica economica usati, diventati nelle nuovefunzioni variabili dipendenti.

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Friedman ed all’attacco teorico di Robert Lucas con la teoria delle aspettative razionali 26. Forzature da

parte della politica producono risultati effimeri e dannosi. Operatori economici razionali reagiscono alle

promesse non realizzate dei governi, li reputano non credibili, rivedono le loro aspettative ed

assumono comportamenti in controtendenza con gli obiettivi enunciati dai governanti. Da qui

l’importanza per un governo efficace mantenere buona reputazione, enunciando e perseguendo obiettivi

credibili e comportamenti coerenti.

Nel caso della teoria dei costi comparati di Ricardo si suggeriva infatti soltanto di allargare un mercato,

spontaneamente funzionante, dimostrando la convenienza reciproca ad abbattere le barriere doganali,

ad assicurare la libera circolazione delle merci, a ridurre le politiche nazionali protezioniste 27.

Uno scenario di pura convenienza economica che assicurava la priorità dell’economia sulla politica e

credibilità alla politica stessa.

Nel caso di Tinbergen invece si introducevano argomentazioni forti a favore della cooperazione in una

economia diretta da poteri pubblici. Qui paesi diversi, si prefiggevano singolarmente obiettivi di

stabilità e sviluppo e si proponeva di modificare le configurazioni spontanee dei loro singoli mercati.

25 L’esistenza di soluzioni, economicamente accettabili, del sistema di equazioni lineari che descriveva il sistema economicoera condizionata dalle note condizioni del teorema di Rouché-Cappelli. O. LANGE, Introduzione all’Econometrica,Boringhieri, Torino, 1969; G. PETROVICH, Elementi Di Teoria della Programmazione, TP3, Caorle, 1984.26 C. L. F. ATTFIELD, D. DEMERY, N. W. DUCK, Aspettative razionali e Macroeconomia; W. CARLIN, D. SOSKICE,Macroeconomia, CLEB, Bologna, 1992; DORNBUSCH, S. FISCHER, Macoeconomia, Il Mulino, 1998.27 Notoriamente l’originaria teoria dei costi comparati sosteneva che nel caso semplificato di due paesi e due merci sarebbeaumentato il benessere di entrambi, se fossero stati aboliti i dazi e fosse stata introdotta la circolazione libera delle merci. Ifattori produttivi, lavoro e capitale, venivano considerati fissi ed immobili, mentre i prodotti potevano essere esportabili.L’intuizione geniale di Ricardo fu quella di considerare non i prezzi assoluti delle merci, confrontati tra due paesi, ma quellirelativi all’interno di un paese, che incorporavano produttività del lavoro differenti. La convenienza ad acquistare una merceera quindi determinata non dal prezzo in valore assoluto, che avrebbe suggerito di acquistare le merci dove il prezzo offertoera minore, ma dove in termini relativi al proprio interno, dove la merce poteva venir prodotta a costi comparativamenteinferiori. Ogni paese veniva quindi a trovare la convenienza a produrre e ad esportare le merci che sapeva produrre conmaggior abilità, scambiandole con merci che un altro paese produceva con maggior abilità. Il paradosso di Ricardo portavaquindi a registrare la convenienza ad acquistare all’estero merci più costose che al proprio interno e compensare questaperdita di benessere del consumatore con un maggior benessere nel produrre e scambiare con un’altra merce prodotta alproprio interno a costi inferiori. Da qui la convenienza alla specializzazione internazionale del lavoro, nello schema a duepaesi e due beni, anche se un paese aveva prezzi assoluti superiori in entrambe le merci considerate. I contributi successivida Heckscher-Ohlin, Meade, Baghwati alle moderne teorie del ciclo del prodotto e del vent of surplus hanno rielaboratoquesta fondamentale intuizione. Proponendo lo strategia per i Paesi in Via di Sviluppo di una specializzazione di prodottiprimari e scambiati con prodotti del settore secondario. Notoriamente Kindleberger prima e Leontiev-Ichimura poi

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Si potrebbe considerare questa teoria una razionalizzazione a livello internazionale dell’interventismo

per garantire finalità politiche. Ma qui la politica per essere creduta doveva dimostrare buona

reputazione dei governanti: autorità affidabili, obiettivi possibili, e coerente determinazione nel

perseguirli.

Buchanan, Tullock, Oates e Tiebout svilupparono, com’è noto, i casi di convenienza ad aggregazioni

federative spontanee tra gruppi (comuni, regioni, nazioni) con obiettivi non più coincidenti ma in parte

conflittuali e viziati da un contesto di incertezza 28.

L’impianto teorico originario del modello di Tinbergen, tuttavia, sembra aver mantenuto nel tempo le

sue suggestioni. Anche nella teoria dei giochi, come dimostra il noto “dilemma del prigioniero”,

spontaneamente può prevalere la strategia non cooperativa e la soluzione con equilibrio stabile che si

forma (Nash-equilibrium) non rappresenta il risultato migliore possibile (misurato dal più alto

guadagno pay off)29.

Se gli stati nazionali agiscono con informazione imperfetta, nel senso che nessun paese sa a priori il

comportamento degli altri paesi ma è costretto ad aggiustare le manovre nel corso del tempo in

interventi ripetuti per conseguire i propri obiettivi, si possono verificare equilibri subottimali.

La non collaborazione, anche nel caso di obiettivi diversi, tenderebbe a conseguire un risultato per tutti

inferiore a quello ottenibile cooperando.

Tipico nel mondo economico è il caso delle svalutazioni competitive per migliorare le bilance

commerciali nazionali o le politiche di sgravi fiscali e di alti tassi di interesse per attirare capitali esteri.

confutarono la conclusione spiegando che appariva più conveniente una strategia di sviluppo bilanciato con scambi diprodotti e servizi in tutti i settori.28 G. BROSIO, Economia e finanza pubblica, Bollati-Boringhieri, Roma, 1998; G. PETROVICH, Politiche..cit.29 Nel dilemma del prigioniero i due reclusi, colpevoli, si trovano a dover scegliere tra confessare o non confessare. Nel casodi confessione, il recluso viene condannato, ma con uno sconto di pena. Nel caso di non confessione il recluso sarà libero seanche l’altro complice non confessa, ma subirà l’intera pena se l’altro complice confessa. Nell’incertezza e nella mancanzadi informazione, se sceglie la strategia minmax di minor rischio ognuno dei due sarà indotto a confessare. Il risultatoottenuto sarà quindi di confessare e puntare allo sconto di pena, ma il risultato più vantaggioso per i due sarebbe quello di

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Converrebbe una politica di cooperazione e non di guerra finanziaria, ma non è spontaneo né facile

pervenire ad una fiduciosa collaborazione. Non basta tuttavia la volontà di collaborare. Se non c’è la

“buona reputazione” e la “credibilità” richiamata dalla teoria delle aspettative razionali gli obiettivi non

sono raggiunti.

La volontà di cooperazione diventa fragile e la ritirata nelle proprie autodifese diventa inevitabile30.

Questa è stato lo sforzo più difficile del percorso dei Trattati. Dover ipotizzare un governo

sovranazionale autorevole, tutto da costruire, con la cooperazione dei governi nazionali esistenti.

In nome di obiettivi unificanti e di opportune cooperazioni efficienti, chiedere ai singoli stati di

autolimitare la propria capacità di definire gli strumenti per conseguirli.

4.3. - L’EVOLUZIONE DEI TRATTATI DALLA CONVERGENZA ALL’ OMOLOGAZIONE.

A questo approccio teorico si sono rifatti molti contributi che ruotano tutti intorno ad un’unica grossa

intuizione: al fine di limitare le distorsioni da aspettative manipolate conviene passare a regole virtuose

e rigide, e quindi imporre scenari prevedibili, anche se sacrifici e benefici non sono scontati per tutti

fin dal primo momento 31.

I miglioramenti generali per piccoli passi e per convenienze certe di tutti i partecipanti all’accordo,

definiti “paretiani”, dove tutti ne possono trarre vantaggi e nessuno incorre in perdite, appaiono

collaborare e di ottenere la libertà. G. PETROVICH, D. RIZZI, Teoria delle scelte pubbliche e dei beni pubblici, in G.MOSSETTO, Lezioni di Scienza delle Finanze, Giappichelli, Torino, 1995.30 Con assoluto distacco si dimostra la superiorità teorica della collaborazione in uno schema di informazione completa, dicomportamento razionale, di funzioni di utilità individuale “senza invidia”. Non mancano tuttavia molte dimostrazioni, al difuori delle ipotesi poste, che concludono per una fatale impotenza a collaborare.31 Haberler, Krugman ed altri hanno contribuito ad ampliare il modello ricardiano ad un mercato dove anche i fattoriproduttivi, lavoro e capitale, imprese ed investimenti finanziari potevano muoversi senza vincoli normativi restrittivi odiscriminazioni fiscali. Le conclusioni di queste analisi sono state spesso nel senso di assicurare condizioni più efficienti manon si ottiene la scontata “convergenza” delle condizioni di sviluppo tra aree e tra paesi, attraverso il processo di diffusionedelle tecnologie. Gli squilibri tra redditi procapite di paesi diversi si sarebbero dovuti colmare per la convenienza dei paesipiù ricchi a cercare nuove occasioni di profitto applicando tecniche avanzate nei paesi in via di sviluppo. Il movimento deicapitali e del lavoro avrebbero promosso la crescita economica nei paesi in via di sviluppo e contemporaneamente avrebberidotto progressivamente le occasioni di speculazione. Alla lunga i tassi di profitto ed i tassi reali di interesse si sarebberolivellati, come i redditi procapite.

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insufficienti e di breve periodo. Questa era stata la via iniziata dall’ONU, dove le decisioni importanti

dovevano essere prese solo all’unanimità, e quindi solo quando tutti i partecipanti, senza eccezioni,

potevano trarne vantaggio.

Si dimostrava invece più conviene ricorrere a strategie lungimiranti. Gli stessi interessi economici del

singolo, o dei singoli paesi, non vengono sempre garantiti se agisce con un suo orizzonte di utilità

limitato nel tempo. Ne sarebbe conferma la critica di Amathya Sen al liberalismo paretiano, che ritiene

non componibili gli obiettivi di benessere nazionale individualmente perseguiti in assenza di ogni

regolamentazione, con il miglior risultato ottenibile in astratto. E’ la critica all’utilitarismo come

componente sufficiente a garantire il miglior sistema anche considerato in soli termini di convenienza

economica.

Si potrebbero richiamare brevemente alcuni elementi di teoria economica, che hanno preparato le scelte

dell’Unione Europea e gli accordi che si sono susseguiti per consolidarla.

Dalla prima fase dominata dalla scelta economica dell’accordo tariffario (libera circolazione delle

merci della fase ricardiana), alla seconda che mirava alla rimozione dei vincoli sulla libera circolazione

di persone e capitali (fase dell’allocazione efficiente dell’economia del benessere con correttivi di

promozione e sostegno), alla terza fase fu quella dagli accordi sui cambi e sulla moneta (fase

monetarista) 32.

La logica di Tinbergen appariva ancora valida ma veniva capovolta nella sua applicazione. Se gli

obiettivi politici apparivano troppo numerosi e contraddittori (pieno impiego con stabilità dei prezzi e

pareggio della bilancia commerciale, ma anche riduzione dei divari territoriali interni e crescita delle

tutele dello stato sociale), non si doveva aumentare il numero di interventi (strumenti) per conseguirli

32 M. BUTI, A. SAPIR, La Politica Economica nell’Unione economica e monetaria europea, Il Mulino, Bologna, 1999; B.BEUTLER et Al, L’Unione Europea. Istituzioni, ordinamento, politiche, Il Mulino, Bologna, 1998; J. P. FITOUSSI, Ildibattito proibito, Il Mulino, Bologna, 1997; N. NUGENT, Governo e politiche dell’Unione Europea, Il Mulino, Bologna,

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(politiche fiscali, del credito agevolato, delle imprese pubbliche, del cambio, dell’emissione di base

monetaria...).

Per una politica efficace e sosteniblie occorreva credibilità. Occoreva ridimensionare il numero degli

obiettivi ed accontentarsi di raggiungerne solo alcuni (o stabilità dei prezzi o disoccupazione contenuta;

o crescita della parte efficiente dell’apparato produttivo o politiche di assistenza sociale...) con un

numero limitato di strumenti (meno stato e più privato).

Le posizioni normative a “regole rigide” vengono considerate il percorso più promettente di

integrazione, piuttosto che gli “accordi elastici” con convergenze temporanee, con rischi di poca

credibilità ed elevata instabilità33.

In questa fase l’economia, nelle sue regole del gioco, sembra aver raggiunto un compromesso con la

politica. Si fissano delle regole (normative in materia economica, difesa delle concorrenza e tutela dalla

concorrenza sleale, difesa dell’ambiente) all’interno delle quali l’economia di mercato è libera ed il suo

dominio è incontrastato ed incontrastabile.

Questo appare un passaggio difficile e in parte paradossale. Si corre il rischio di una esplosione di

normative, attivate proprio invocando maggior libertà. Da “tutto ciò che non è permesso è vietato”,

tipico degli stati a forte contenuto etico, che fissano molti obiettivi e poche regole (è la politica che

interpreta gli obiettivi) si sta passando a “tutto ciò che non è vietato è permesso”, tipico degli stati

liberisti, che fissano pochi obiettivi e molte regole (è l’individuo che interpreta gli obiettivi).

5. - I RISULTATI DELLE PREDIZIONI ECONOMICHE E QUALCHE IPOTESI PER IL FUTURO.

1997; A. QUADRIO CURZIO, Noi, l’economia e l’Europa, Il Mulino, Bologna, 1996; F. SCHARPF, Governare l’Europa,Il Mulino, Bologna, 1999.33 Le fasi future, peraltro già cominciate col TRATTATO DELL’UNIONE EUROPEA di Maastricht e l’accordo diAmsterdam, sono quelle dell’omologazione delle normative, soprattutto in materia di Welfare e di politiche promozionali,del raccordo delle politiche fiscali, specialmente tributarie, della compenetrazione politica, a cominciare dalla politica esteracomune. L. PICCHIO FORLATI, Il diritto dell’Unione Europea fra dimensione internazionale e transnazionalità, Universitàdi Venezia, 1998 (prolusione).

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Su questa controversia i fatti sembrano aver dato ragione alla teoria ricardiana, ma anche alle critiche di

Tinbergen34.

Priorità della politica, ma anche necessità della politica.

Senza obiettivi definiti la stessa economia rischia di perdersi e di bloccarsi 35.

La politica e gli obiettivi sociali, non sono solo vincoli esterni, che producono perdite di efficienza

economica. Sono spesso variabili che assicurano le soluzioni ai problemi economici di lungo periodo. Il

mondo economico, anche quando si autoimpone anche le sole finalità di ricchezza materiale, si trova

disarmato a garantirle nel lungo periodo. Le problematiche dell’ambiente, della natalità e dello sviluppo

della popolazione, degli effetti intergenerazionali del debito pubblico dimostrano la necessità di

indicazioni politiche per risolvere problemi economici di lungo periodo.

Le sfide politiche future potrebbero essere molte: riforma del Welfare, equilibrio tra giustizia,

solidarietà ed efficienza, ambiente, convivenza civile, rapporti intergenerazionali, ruolo mondiale di

questo continente che sembra trasformarsi inesorabilmente in una “pacifica grande Svizzera”, protesa a

difendere il benessere acquisito.

Il percorso scelto è stato quello di ricomporre il quadro di efficacia degli strumenti pubblici.

Con elevata inflazione, debito pubblico, disavanzi pubblici correnti ogni possibilità di manovra

economica e fiscale resta compressa.

La fase nuova è ancora quella di conseguire gli obiettivi che la politica sceglie, tenendo conto degli

effetti di breve e di lungo periodo, e ricorrere a strumenti efficaci di politica economica per conseguirli.

34 L’evoluzione degli scambi europei ha avuto i risultati attesi di accrescere il commercio interno e di ridurre quelloall’esterno della comunità (export expansion ed import diversion). Non si è avuta invece la predetta specializzazione internané tra settori né tra prodotti. Ciascun paese, offre e scambia prodotti dello stesso settore sia pur con caratteristiche diverse(differenziazione del prodotto e non del settore). L’Italia non si è specializzata nella sola produzione ed esportazione diarance, né la Germania in automobili.

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Si scelgano esemplificatamente i tre casi economici più discussi: occupazione, finanze, moneta.

Il primo sia il problema della disoccupazione. Se fosse l’unico obiettivo e non ci fossero altri vincoli, la

soluzione sarebbe banale: si statalizzerebbero tutti i 17.400.000 disoccupati europei. Un grande sistema

economico pubblico (con il 90% dell’occupazione) a bassa prodotto per addetto (1800 $ / anno) ed

occupazione diffusa (praticamente tutte le forze di lavoro). E’ il modello albanese degli anni ‘8036.

L’esperienza ha dimostrato che spesso questa soluzione produce risultati vistosi nel breve periodo ma

perversi nel lungo per la caduta della produttività, dell’accumulazione del capitale e della crescita

economica. Il lavoro è abbondante ma poco produttivo, nessuno investe, l’economia ristagna. La scelta

quindi è politica. Va deciso se il riassorbimento della disoccupazione vada perseguito in tempi brevi o

lunghi, se da solo o con altri obiettivi (sviluppo, benessere). Può risultare allora più congruo, anche se

più difficile e più impegnativo, uno sviluppo dell’economia nei suoi segmenti più avanzati, promossa e

controllata dal settore pubblico, che sia in grado di garantirne efficienza e continuità. Questa è la scelta

attuale 37.

Il secondo sia il problema fiscale. Sono ormai note le riconsiderazioni di un sistema fiscale nazionale,

dove il potere era legato ad un territorio, fino a spendere in modo diretto più di metà della ricchezza

prodotta (Spesa pubblica/PIL). I cittadini che votavano, legittimando i governi a riscuotere tasse ed a

ricevere prestazioni sociali non operano necessariamente più in un unico territorio. Votano e ricevono

prestazioni in uno stato e cercano paradisi fiscali operando in un altro stato che concede sgravi fiscali

(multinazionali, transnazionali, mercati integrati). I diritti dei cittadini e le spese sociali per garantirli

35 In questi casi non solo viene rimessa in discussione la priorità delle scelte politiche, dove sviluppo, stabilità, pienoimpiego ed equilibrio dei conti con l’estero non sono i soli obiettivi. Si tende a confutare che le sole scelte economiche comeobiettivi possano portare ad equilibri ottimali anche dal solo punto di vista economico.36INTERNATIONAL LABOUR OFFICE-UNINDUSTRIA VENEZIA, Albania Economic Outlook, in Meeting “PromotionWoman’s Micro and Small Scale Entrepreneurship in Albania”, Gruppo Giovani Industriali, Venezia, 1999.37F. MODIGLIANI, J. P. FITOUSSI, A. LINDBECK, B. MORO, D. SNOWER, R. SOLOW, A. STEINHERR, P. SYLOSLABINI, Manifesto contro la disoccupazione, inserto Sole 24 ore, 1999 B. MORO, Sviluppo economico ed occupazione, F;Angeli, Milano, 1998; E. PHELPS, A Strategy for Employment and Growth: The Failure of Statalism, Welfarism and FreeMarkets, Rivista Italiana degli Economisti, 1,1997.

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diventano slegati38. Lo scenario del sistema europeo, che si integra al suo interno e con l’esterno

(immigrazione, investimenti finanziari, decentramento delle produzioni) comporta alti rischi. Se uno

stato si propone di contenere i disavanzi dei conti pubblici deve ridurre spese ed aumentare entrate.

Occorre quindi un sistema parificato europeo, se non mondiale, per evitare gli effetti perversi della

mobilità (dumping sociale, fuga all’estero di capitali e produzioni con cadute di entrate fiscali).

Diritti dei cittadini, prestazioni fiscali e prelievi per garantirli vanno riconsiderati a livello

sovranazionale. L’Europa è essenziale ma forse già troppo piccola.

La terza, di grande attualità, sia la moneta. Un sistema monetario unico deve poter esser in grado di

controllare la moneta in senso allargato, non solo il circolante, ma conti correnti, carte di credito,

moneta informatica, titoli di stato. Se poi l’autorità centrale europea sostiene finanziariamente i paesi

con problemi monetari (in senso lato), ad esempio acquistando titoli di debito pubblico si verifica il

bail-out e la vanificazione delle “regole virtuose” dei paramentri fiscali imposti a Maastricht39.

Questo apre la via ad integrazioni delle politiche monetarie e fiscali.

La nascita dell’EURO era stata accompagnata da forti aspettative: un potenziale economico (6.000

miliardi di dollari per il PIL dell’UE11, la prima potenza per l’UE15), nuove emissioni di titoli di stato

di 500 miliardi di $ (circa il 25% del mercato mondiale), 7.500 miliardi di dollari di potenziale valore

38 Certamente un sistema politico di larga tutela sociale richiede anche risorse economiche. Se si crea uno squilibrio tradomanda di benessere e capacità pubblica di soddisfarlo le risposte tecniche non possono che arrivare su tre percorsi: laselezione della domanda (meno servizi), la capacità dell’offerta di rispondere con revisioni di efficienza (più servizi concontenimento dei costi), la crescita dell’offerta (più risorse). AAVV, Concorrenza fiscale in un’economia internazionaleintegrata, SIEP, X Riunione Scientifica, Pavia, 1998; AAVV, Istituzioni politiche e finanza pubblica,SIEP, XI RiunioneScientifica Pavia, 1999; A. BRETON, Public Sector Efficiency Under Incipient Globalization, Rivista di Diritto Tributario eScienza delle Finanze, VII, 4, 1998, pp.242-457; M. P. CASELLI, R. RINALDI, La politica fiscale nei paesi dell’UnioneEuropea negli anni novanta, Temi di discussione, Banca d’Italia, 334, 1998; D. DA EMPOLI, G. MURARO, Verso unnuovo Stato Sociale, F. Angeli, Milano, 1997; M. FERRARA, Stato Sociale e mercato mondiale, Fondazione Agnelli,Torino, 1993; A. FOSSATI, S. GIANNINI, I nuovi sistemi tributari, F. Angeli, Milano, 1996; G. MURARO, N. SARTOR,La tassazione delle attività finanziarie, F. Angeli, Milano, 1995; G. TREMONTI, La fiscalità del terzo millennio, Rivista diDiritto Tributario e Scienza delle Finanze, VII, 2, 1998, pp 64-83.39 BANCA CENTRALE EUROPEA, La politica monetaria unica nella terza fase, Frankfurt am Main, 1998; id,, bollettino,1999; L. BOSCO, R. TAMBORINI, F. TARGETTI, L’Italia e l’Europa oltre Maastricht, Banca Trento e Bolzano, 1995; L.PAGANETTO, Il cantiere Europa: vincoli ed opportunità, FORUM-CEIS, 1995; ISTITUTO MONETARIO EUROPEO,

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dei mercati azionari in euro, una moneta in grado di svolgere il ruolo di valuta pregiata. Tuttavia le

attese finanziarie non hanno avuto l’esito sperato sull’economia reale: lo sviluppo è ancora modesto, la

disoccupazione elevata, le scalate per il controllo delle imprese è aggressiva, il sistema dei servizi

pubblici costoso e non sempre efficiente. In un mercato globalizzato è difficile definire aree valutarie

ottimali e controlli della sola moneta legale con Banche Centrali indipendenti.

6- LA SCELTA DIFFICILE DELLA POLITICA.

I semplici esempi riportati riproducono le complicate interrelazioni delle scelte economiche.

La politica si trova quindi rilanciata con un grande ruolo anche a livello mondiale.

L’economia si trova a dover supportare decisioni per garantire obiettivi forse semplici, ma sempre più

densi di feedback complicati e spesso perversi.

La scelta finora prevalsa è stata quella di voler garantire una “situazione di cornice” di mercato, con

qualche correttivo e poderosi ridimensionamenti degli interventi diretti del settore pubblico.

Regole monetarie e fiscali virtuose, norme per la libera affermazione dei soggetti privati operanti con

tutela della concorrenza leale.

Ma questa resta la cornice. Il quadro è ancora tutto da dettagliare. La crescente globalizzazione dà la

dimensione già ristretta della rappresentazione possibile. Continuamente si ripropongono gli effetti

perversi “fuori controllo” (investimenti all’estero, immigrazioni, liquidità internazionale) e le

insufficienze delle nuove normative per regolarle.

La scelta difficile quindi torna al punto di partenza.

Obiettivi limitati e normative mirate o obiettivi ambiziosi e normative complicate.

Rapporto sulla convergenza, Frankfurt Am Main, 1998, A. PARGUEZ, The Expected Failure of the European and MonetaryUnion: A False Money Against the Real Economy, mimeo, Venezia, 1999..

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Politiche economiche rigorose e risultati modesti o politiche economiche rilassate e risultati perversi.

Finora è stata la politica a chieder aiuto all’economia, la crescita di ricchezza ha evitato lo scomodo

dibattito sulle finalità e sulle qualità umane dello sviluppo.

Forse lo scenario futuro proporrà una svolta ma sarà confusa se non tenterà una sintesi di cultura nuova

tra le grandi spinte ideali che alla base della costruzione europea riscoprì la forza aggregante del

pacifismo, dei diritti umani e della crescita economica solidale.

ABSTRACT.

Alla base della costruzione dell’Unione Europea concorsero certamente almeno tre ideali. La pace ed il

ricorso al dialogo tra le nazioni, l’intuizione di un sistema di integrazione tra economie nazionali, una

sottaciuta spinta federalista verso istituzioni sovranazionali. I Trattati accolsero in parte le tre tensioni

considerandole non alternative ma sequenziali, dei “percorsi” da scadenzare nel tempo. Da dialogo tra

nazioni a mercato integrato ad unità regolamentata in forma più completa. Più avanti forse uno Stato

Federale Europeo. Gli obiettivi politici di grande respiro hanno lasciato spazio ad un procedimento

prudente e conveniente economicamente. Se i traguardi raggiunti erano del tutto insperati qualche

decennio fa, i traguardi futuri in un contesto mondializzato e conflittuale richiederanno valenze

politiche ben più impegnative e sintesi culturali certamente molto più aggreganti.