TEMPO PRESENTE 407-408 nov-dic 2014

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N. 407-408 novembre-dicembre 2014 euro 7,50 TEMPO PRESENTE a. aghemo r. balduzzi g. bianco a. casu g. cotroneo g. di bella m. di michele g. jannuzzi m.g. melchionni g. monsagrati g. pagliano a. patuelli f. pezzuto j. rastrelli a.g. sabatini s. traversa l. violante LE MUSE E IL MINISTERO * SILENZIO E POLITICA * VIAGGIO INTORNO ALL’UOMO * MARGINALIA * FRAMMENTI * GARIBALDI * ORONZO REALE * ETICA POLITICA DEMOCRAZIA * “LA BUONA SCUOLA” * LETTURE Spedizione in abbonamento postale: comma 20, lett.B, art.2 legge 23 dicembre 1996, numero 662, Filiale di ROMA

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Rivista di cultura diretta da Angelo G. Sabatini

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N. 407-408 novembre-dicembre 2014 euro 7,50

TEMPO�PRESENTE

a. aghemo r. balduzzi g. bianco a. casu g. cotroneo g. di bella m. di michele g. jannuzzi m.g. melchionni

g. monsagrati g. pagliano a. patuelli f. pezzuto j. rastrelli a.g. sabatini s. traversa l. violante

LE MUSE E IL MINISTERO*

SILENZIO E POLITICA*

VIAGGIO INTORNO ALL’UOMO*

MARGINALIA*

FRAMMENTI*

GARIBALDI*

ORONZO REALE*

ETICA POLITICA DEMOCRAZIA*

“LA BUONA SCUOLA”*

LETTURE

Spedizione in abbonamento postale: comma 20, lett.B, art.2 legge 23 dicembre 1996, numero 662, Filiale di ROMA

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CONSIGLIO DEI GARANTIhans ALBERT - Alain BESANçON - Enzo BETTIzA

Karl Dietrich BRAChER - Natalino IRTI - Bryan MAGEEPedrag MATVEjEVIC - Giovanni SARTORI

REDAzIONECoordinamento: Salvatore NASTI

Angelo ANGELONI - Paola BENIGNI - Matteo MONACO - Francesco RussoMarco SABATINI - Guido TRAVERSA - Andrea TORNESE - Sergio VENDITTI

COORDINAMENTO GRAFICO ED EDITORIALESalvatore NASTI

PROPRIETà: Tempo presente s.r.l. - Casella postale 394 - 00187 RomaAutorizzazione del Tribunale di Roma n. 17891 del 27 novembre 1979La collaborazione alla Rivista, in qualunque forma, è a titolo gratuito.

Direzione, redazione e amministrazione: Via A. Caroncini, 19 - 00197 Roma tel. 06/8078113 - fax 06/94379578

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L’abbonamento non disdetto entro il 30 novembre dell’anno a cui si riferisce si intende tacitamente rinnovato.

Spedizione in abbonamento postale: comma 20, lett. B, art. 2, legge 23 dicembre 1996, n. 662, Filiale di Roma

Chiuso in redazione il 10 gennaio 2015

DIRETTORE RESPONSABILEAngelo G. SABATINI

COMITATO EDITORIALEAlberto AGhEMO - Angelo AIRAGhI - Giuseppe CANTARANO

Antonio CASu - Girolamo COTRONEO - Elio D’AuRIA - Teresa EMANuELEAlessandro FERRARA - Gaetano PECORA

Luciano PELLICANI - Angelo G. SABATINI - Attilio SCARPELLINI

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TEMPO PRESENTE

Rivista mensile di culturaN. 407-408 novembre-dicembre 2014

PRIMA PAGINAALBERTO AGHEMO, Le Muse e il Ministero. Evoluzione e

rivoluzione dei Beni Culturali, p. 3

COMMENTOGIROLAMO COTRONEO, Il silenzio: una categoria politica? p. 6ANGELO G. SABATINI, Viaggio intorno all’uomo, p. 10

CORSIVOGIOVANNI JANNUZZI, Buon Anno 2015, p. 20

OSSERVATORIOJACQUELINE RASTRELLI, Tunisia: Rivoluzione dei Gelsomini, atto secondo, p. 22

GABRIELE DI BELLA, La Città dalle sette vite, p. 24

MARGINALIAANTONIO CASU, I volti del Gattopardo. Le origini del trasformismo, p. 26

FRAMMENTIANGELO G. SABATINI, Frammenti di sicurezza, p. 27

UOMINI E IDEEGIUSEPPE MONSAGRATI, Garibaldi, p. 28

MARIA GRAZIA MELCHIONNI, Oronzo Reale, p. 32PRESENTAZIONE DEL LIBRO Etica Politica Democrazia di Antonio Casu, p. 36

SILVIO TRAVERSA - ANGELO G. SABATINI - GERARDO BIANCOLUCIANO VIOLANTE - RENATO BALDUZZIANTONIO PATUELLI - ANTONIO CASU

DISCUSSIONEFRANCESCO PEZZUTO, “La Buona Scuola” del governo Renzi. p. 49

LETTUREGRAZIELLA PAGLIANO, L’assalto al cielo. Donne e uomini nell’emigrazione

italiana, di Andreina De Clementi, p. 54MAURIZIO DI MICHELE, Calcio criminale, di Pierpaolo Romani, p. 55

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Muse si aggirano inquiete tra siti d’arte,musei, chiese, ruderi e nobili palazzi. Daquando il Mibac ha guadagnato un “t”ed è diventato il Ministero dei Beni edelle attività culturali e del turismo,molte cose sono successe in Italia eun’inusitata accelerazione si è impressaalla percezione ed alla gestione del “beneculturale”. Il binomio cultura e turismo,certo non una novità sotto i cieli del BelPaese, sembra ormai destinato, con ladefinitiva conversione in legge deldecreto cultura, a declinarsi in modoaffatto nuovo. Con la nuova legge (l. 106/2014),proposta e fortemente voluta dalministro Dario Franceschini, arrivanonovità significative per i beni e le attivitàculturali ed il turismo, a cominciaredall’ArtBonus, che prevede ladeducibilità del 65% delle donazionidevolute per il restauro di beni culturalipubblici, le biblioteche e gli archivi, gliinvestimenti dei teatri pubblici e dellefondazioni lirico sinfoniche, fino adarrivare alle agevolazioni fiscali perfavorire la competitività del settoreturistico. Tra le maggiori innovazioni lemisure per Pompei, per la Reggia diCaserta, per il recupero delle periferie;ma all’elenco si aggiungono, inter alia, lesemplificazioni amministrative in campoturistico, le foto libere nei musei, ilriesame dei pareri delle soprintendenze,l’istituzione della Capitale italiana dellaCultura.Grande soddisfazione e grandi attese:“Finalmente - ha affermato Franceschini- anche in Italia ci sono strumenti fiscaliadeguati per sostenere la cultura erilanciare il turismo. Questa leggeabbatte due barriere: quella del rapporto

tra pubblico e privato e quella dellaseparazione tra la tutela e lavalorizzazione, che per troppo tempohanno monopolizzato il dibattitoitaliano. Adesso non ci sono più scuse:veniamo da anni di tagli, è arrivato ilmomento di investire”.Dopo anni di sterili dibattiti e di allarmilanciati al vento, dopo che un autorevoleministro aveva affermato che “la culturanon si mangia” e aveva dato avvio aduna drastica politica di tagli agliinvestimenti di settore, finalmenteapproccio culturale ed approcciogestionale giungono a coniugarsi: comenegli anni del secondo Dopoguerraquando, vantando le bellezze ed ilricchissimo patrimonio artistico delPaese, si andava dicendo che “il turismoè il petrolio dell’Italia”. Da ora, tornare a parlare di gestionenon solo conservativa, ma ancheeconomica e finanziaria del patrimonioculturale non è più peccato: arrivano,come s’è detto, i crediti d’imposta(cospicui) per gli investitori che sifaranno carico di interventi dimanutenzione, protezione e restauro dibeni culturali pubblici, ma anche mirateattività di crowdfunding e fundraising el’organizzazione in capo al Mibact dinuove apposite strutture per incentivarele donazioni. Ogni anno, inoltre, ilministero varerà un piano strategico“Grandi Progetti Beni culturali”, miratoa pianificare e a sostenere la crescitadella capacità attrattiva del Paese.Nel decreto ci sono anche misure voltea garantire la tutela ed il decoro deicomplessi monumentali interessati darilevanti flussi turistici e si torna a parlaredi lavoro, con l’ annunciata assunzione di

PRIMA PAGINA

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Alberto AghemoLe Muse e il Ministero.

Evoluzione e rivoluzione dei Beni Culturali

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“giovani per la cultura”, anche in derogaalle norme che limitano l’inserimento neiruoli pubblici di personale a tempodeterminato. Ma cambiano anche - esignificativamente - le regole per ilrecruiting: nei poli museali e negli istitutidi cultura statali di rilevante interessenazionale gli incarichi dirigenzialipotranno essere conferiti a personeanche esterne alla PA, purché “dicomprovata qualificazione professionalein materia di tutela e valorizzazione deibeni culturali e documentata esperienzadi gestione di istituti e luoghi dellacultura”. Insomma,arrivano gli “esperti”,selezionati con proce-dure trasparenti (con-corso europeo): quantobasta ad alimentare lalevata di scudi delle“strutture” che hannoformato per decennidirigenti abilissimi nel-l’esegesi (spesso ardua)delle circolari ministe-riali ma totalmenteimpermeabili alleragioni della gestioneeconomica e - dicia-mola, la brutta parola -del marketing culturale.E quella dei dirigentimuseali non saràl’unica fronda che il nuovo corso dovràsconfiggere: diverse sacche diconservazione (non artistica né culturale)sono in fermento…Qualche piccola Vandea è tuttaviacomprensibile a fronte di tanta e cosìradicale innovazione: in quasi quarant’anni di vita, infatti quello dei Beni cultu-rali è diventato un dicastero consolidato edi grande prestigio che ha tuttaviaalimentato, come sempre avviene, unasua specifica cultura “ministeriale” ed haallevato e formato una sua nomenklatura.Proprio mentre Franceschini apre unnuovo corso nella storia del ministero edelle sue politiche risulta esercizio utilee produttivo rifare la storia - almeno

quelle più recente - delle politiche deibeni culturali in Italia e ricordare che ildecreto cultura arriva a compimenti diquarant’anni di vita il ministero, quasi asuggello di una conseguita maturità.Risale infatti al 14 dicembre 1974 ildecreto legislativo 657 che istituì, conprocedura d'urgenza, il Ministero per iBeni Culturali e Ambientali. GiovanniSpadolini, che se ne era fatto promotorepresso l’allora presidente del ConsiglioAldo Moro, dette a questo evento ilsignificato di autentico afflato morale ecivile. Non era possibile pensare,

esclamava l'eminentestudioso, giornalista eparlamentare repub-blicano, che l'Italia,terra di cultura e di unric-chissimo e inesti-mabile patrimonioartistico, non avesseun ministero deputatoalla tutela e valoriz-zazione di quel retag-gio immenso, incom-parabile rispetto aqualunque altra nazio-ne al mondo. Il ministero fuistituito al termine diun lungo travagliocivile e politico: loricostruisce e ce lo

ricorda con efficacia Andrea Ragusacon uno studio ampio e documentato, Igiardini delle Muse. Il patrimonio culturaleed ambientale in Italia dalla Costituenteall’istituzione del Ministero (1946-1975),recentemente edito per i tipi diFrancoAngeli nella collana dellaFondazione di Studi Storici FilippoTurati. Si tratta di un libro apprezzabile eraro vuoi per lo scrupolo e l’ampiezzadella ricostruzione storica, vuoi perché,come si suol dire, “colma un vuoto”,stante l’esiguità della letteraturascientifica sull’argomento. Attraverso uno studio analitico deldibattito parlamentare e del confronto diidee sulla stampa e nella pubblica

Alberto Aghemo

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opinione, il libro di Ragusa offre uncontributo originale all’esame di un temache ha visto, nell’Italia del secondodopoguerra, il riconoscimento delpatrimonio culturale come oggetto di undiritto fondamentale che ha conquistatoun suo posto al centro delle politichenegli anni che - tra ricostruzione e“miracolo economico” - segnarono ladefinizione di nuovi apparati di tutela edi sicurezza sociale. L’ampio disegnotracciato da Ragusa prende dunque lemosse dai lavori della Costituente perricordare le tappe fondamentali delrinnovamento del diritto amministrativoverso una concezione moderna del beneculturale, che creò i presupposti -culturali non meno che giuridici e politici- per l’istituzione del Ministero. Un Ministero nato “per” i BeniCulturali e Ambientali, come fu a suotempo assai rimarcato, giacché quel "per"intendeva ribadire una chiara indicazionedella mansione di servizio per anto-nomasia, propria di ogni ministero ma inquesto caso particolarmente esaltata. Poiil dicastero ha cambiato più volte nome -e in qualche misura missione - neidecenni successivi: ripetutamenteriformato fino all’attuale “rivoluzione”impressa dal ministro Franceschini. E il saggio di Andrea Ragusa - ci piacesottolinearlo proprio mentre il dibattito

sui beni culturali riprende con vigore - sioffre come una guida preziosa percomprendere a fondo genesi emotivazioni di tante profondetrasformazioni. Tra i numerosi titoli dimerito dello studio, valga qui ricordarel’ampio spazio dedicato a ricordarecome al cognome "Franceschini" sialegato anche la genesi dell’intera vicenda,poiché il Ministero dovette in buonamisura la sua istituzione agli esiticonseguiti dalla Commissione di inda-gine Per la tutela e la valorizzazione delpatrimonio storico, archeologico,artistico e del paesaggio istituita nel 1964e presieduta dall'On. Francesco France-schini, autorevole parlamentare e uomodi cultura. Fu proprio la CommissioneFranceschini, attraverso un serratodialogo con sommi giuristi, tra cuiMassimo Severo Giannini, uomini dicultura e esperti di varia estrazione ecompetenza a produrre, nel 1967 i trecorposi volumi contenenti le propostesulla cui base Spadolini poté meglioconcepire il “suo” Ministero per i BeniCulturali e Ambientali. La storia ci dona a volte curiosesimmetrie. Tra queste il disegno com-plesso di genesi, evoluzione e rivolu-zione dei Beni Culturali: da Franceschinia Franceschini, cinquant’anni dopo.

Le Muse e il Ministero

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Nel 1967, in un saggio dal titolo Veritàe politica, Hannah Arendt scriveva che«nessuno ha mai dubitato del fatto cheverità e politica siano in rapporti piuttostocattivi l’una con l’altra, e nessuno, che iosappia, ha mai annoverato la sincerità trale virtù politiche. Le menzogne sonosempre state considerate dei necessari elegittimi strumenti non solo del mestieredel politico o del demagogo, ma anche diquello dello statista». Queste parole sembrano legare in diadeindissolubile politica e menzogna: e chequesto sia un convincimento piuttostodiffuso nella cultura europea, lo prova, adesempio, un saggio apparso nel secondodecennio del Settecento, scritto daJonathan Swift, l‘autore del celebre Iviaggi di Gulliver, con il titolo L’artedella menzogna politica, dove, tra l’altro,si legge: «Ci è stato detto: “il diavolo èpadre delle menzogne e fu bugiardo findall’inizio”; perciò l’invenzione èindiscutibilmente antica. Ma quel che èpeggio è che il primo uso che egli ne fecefu puramente politico, volto a minarel’autorità del principe e distogliergli unterzo dei sudditi dalla loro obbedienza».E poco dopo aggiungeva che nonostante«il diavolo sia il padre della menzogna,egli, come altri grandi inventori, pare averperso molta della sua reputazione a causadei continui miglioramenti che sono statiapportati alla sua opera». Né Swift si fermava qui. Nel quarto eultimo libro, Viaggio al paese degliHuyhnhnm, del suo capolavoro, un paeseabitato da “equini” e dove la menzognaera sconosciuta, quando a Gulliver, cheaveva menzionato la figura del “ministrodi Stato”, vennero chieste spiegazionisulle caratteristiche di colui che nel suolontano paese veniva designato in questomodo, aveva così risposto: «Gli dissi cheil primo ministro, o capo del Governo, la

persona cioè che intendevo descrivergli,era un essere totalmente privo di gioia e didolore, di amore e di odio, di pietà e diferocia; o, perlomeno, non dà sfogo adaltra passione che non sia una violentacupidigia di ricchezza, di potere e dionore». E aggiungeva che questopersonaggio «si serve delle parole pertutto, fuori che per esprimere il suopensiero, non dice mai una verità se noncon l’intenzione che venga presa per unamenzogna, né una menzogna se non colpreciso intento che sia presa per unaverità; coloro di cui più dice corna allespalle possono esser sicurissimi del suofavore, ma se comincia a lodarvi in facciao con altri, da quel momento stesso sieteun uomo morto. Il peggior segno che sipossa aver da lui è una promessaspecialmente quando è rafforzata da ungiuramento; in tal caso chi ha una certasaggezza si ritira e abbandona ognisperanza».Questo immagine dei governanti, cheho voluto riportare per intero nonostantela sua lunghezza, non esprime soltanto leidee di Swift, ma, di là del radicalismoestremo, che si potrebbe persino definirequalunquismo, con cui si presentano,dovuto anche, se non soprattutto, all’essere un testo letterario, non un trattatodi politica; questa immagine, dicevo,esprime una visione piuttosto diffusa neipaesi europei. Non entro comunque nelmerito circa la sua maggiore o minorevicinanza al vero. Mi sembra, invece,piuttosto importante segnalare che laletteratura su questo tema è vastissima; ein essa, sulla questione dell’inscindibilelegame della politica con la menzogna, siincontrano talora convinzioni profonde,come, ad esempio, quelle che si possonoleggere in un volumetto, Elogio dellamenzogna, pubblicato per la prima voltanel 2006 e apparso nel nostro paese nel

OSSERVATORIO

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Girolamo Cotroneo

Il silenzio: una categoria politica?

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2008, dove l’autore, un giovane scrittorebasco, Ignacio Mendiola, ha scritto:«Conviviamo con la menzogna politica,con quel tipo di menzogna insulsa chegenera guerre, scenari fittizi di pace edemocrazia, transizioni esemplari o, senecessario, la creazione semiotica di armidi distruzione di massa. Conviviamo conuna menzogna che trama il suo infamepassato e il suo futuro da brivido, econviviamo anche con la sua impunità,con le macerie di chi ha sostenuto una tesiche, pur rivelatasi falsa, manca ancora diuna logica e di una assunzione diresponsabilità. La menzogna si è liberatadella responsabilità e irrompe sulla scenapolitica ordendo trame che aspirano,come la celebre mappa di Borges, acoincidere con il territorio».Naturalmente, come nella vitaquotidiana, anche in politica, di là delradicalismo presente ancora una volta inqueste parole di Mendiola, c’è menzognae menzogna: le più diffuse sono quellepiccole e meschine volte a ottenereconsensi; ed è questa menzogna che oggimi sembra largamente in uso nellevicende politiche; ed molto lontana daquella legittimata da Platone quando, inuna delle sue più grandi opere, laRepubblica, scriveva: «E se a qualcunosarà dato il diritto di mentire, questospetta soltanto a chi ha il governo dellacittà per ingannare i nemici o i cittadini,quando lo esiga l’interesse dello Stato:nessun altro ha il diritto di occuparsi ditali problemi». Una indicazione che hasempre accompagnato la cultura, o,meglio, guidato l’azione politicaoccidentale, raggiungendo talora, innome della “ragion di stato”, coperta egiustificata con la nota formula degliarcana imperii, anche soluzioni estreme, enon sempre lodevoli. Credo del tutto scontato dire che lamenzogna non è una caratteristicasoltanto della politica. E’ infatti moltodiffusa anche nella vita quotidiana, comesapeva bene Orfeo, il cane al quale,nell’epilogo di un suo romanzo del 1914,Niebla, Miguel de Unamuno, ha affidatoil compito di pronunciare l’orazione

funebre per il padrone morto;un’orazione nel corso della quale il caneparla della natura degli uomini, e dell’usoche essi fanno di ciò che li divideradicalmente dagli animali, e li rende aloro “superiori”: il linguaggio. Dopoavere detto:«¡Qué extrño animale es elhombre!», e che «y luego habla, o ladra deun modo complicado», concludeva che«la lingua le sirve para mentir, inventar loque no hay y confundirse».Queste parole, dove non vi è alcunaccenno alla politica, sembrano tuttaviadavvero adeguate ad essa: forse nessunopiù dei politici – i poeti e gli scrittori simuovono in tutt’altra dimensione, inquella disinteressata della fantasia, dellacreatività, con finalità soprattuttoestetiche –; nessuno più dei politici,dicevo, usa la parola per «inventar lo queno hay», per esaltare risultati nonraggiunti, progetti non realizzati, misuredichiarate ogni volta risolutive, e altroancora.

***Lo scopo di questa nota non è peròquello di indugiare sui possibili usi dellaparola, del linguaggio, né quello diaffrontare la questione della menzognapolitica; vorrei invece ricordare – in unmomento in cui sembra, o è, del tuttodimenticato – un messaggio che invita apraticare una delle più importanti, e piùdifficile da praticare, tra le virtù: ilsilenzio. I giudizi, i dibattiti filosofici,intorno a questa che ho voluto chiamare“virtù”, sono innumerevoli: qui mi limitoa ricordare, come esempio, le ultime,poetiche, parole dell’Amleto: «Il resti èsilenzio»; un versetto del Talmud: «Laparola vuole una moneta, il silenzio due»,e infine una frase di Gesualdo Bufalino:«La parola è una chiave, il silenzio ungrimaldello». Ma ciò che vorrei soprattutto ricordare èun aureo libretto apparso intorno al 1711,opera di un famoso predicatore di queltempo, l’Abbé Joseph Antoine ToussaintDinouart, dal titolo, appunto, L’Art de setaire, l’arte di tacere, apparso, credo per laprima volta, in Italia nel 2013: «Si devesmettere di tacere», scriveva il celebre

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abate inaugurando il primo capitolo delsuo prezioso libretto, «solo quando siabbia qualcosa da dire che vale più delsilenzio». A questo primo precetto neseguivano altri. Ne ricordo alcuni: «C’èun tempo per tacere come c’è un tempoper parlare. – Il tempo per tacere deveessere nell’ordine sempre il primo: nonsi saprà mai parlar bene se prima non siè imparato a tace-re. – Tacer-e quando siè tenuti a parlare è una cosa da deboli eda imprudenti,tanto quantoparlare quando sideve tacere èsintomo di leg-gerezza e indi-screzione. –L’uomo non è maitanto pa-drone disé quanto lo è nelsilenzio: quandoparla egli sem-braperdersi, per cosìdire, al di fuori disé, e dissolversi neldiscorso al pun-todi appartene-remeno a se stessoche agli altri».L’Abbé Di-nouart sapevabene che nonsempre il silenzio èuna virtù. Dopoavere detto che«c’è un silenzio didisprezzo quando non ci degniamo dirispondere a coloro che ci parlano, o cheaspettano un nostro parere su unargomento, e anche quando conside-riamo con freddezza e alterigia tutto ciòche dicono»; dopo aver detto questo,dunque, aggiungeva che questa «specie disilenzio, quello di disprezzo, è fruttodell’orgoglio e dell’amor proprio. Gliuomini con questa caratteristiche sonoconvinti che nessuno meriti di ricevere unsolo attimo della loro attenzione».Concludeva, però, che «talvolta di questosilenzio può avvalersi anche un uomogiudizioso che, tacendo, disprezza ciò che

non ritiene degno di una maggioreconsiderazione», restituendogli così il suocarattere soprattutto virtuoso.I precetti che abbiamo incontrato hannoun valore di carattere mora-le, talorapersino di opportunità: ma il celebreAbate, parlava pure di quello chechiamava il “silenzio politi-co”, aproposito del quale scrive-va: «Il silenziopolitico è quello di un uomo prudente,che si contiene, che si comporta con

circospezione, chenon si apre sempre,che non dice tuttociò che pensa, chenon chiariscesempre la suacondotta e le sueintenzioni. E’ unu o m o » ,aggiungeva, «che,senza tra-dire legiuste ragioni, nonrisponde sempreesplicitamente pernon lasciarsiscoprire […] E’ unuomo che sidistingue da tutti gliastuti, furbi, di cui ilmondo è pieno, iquali è inutiledefinire omiumt e m p o r u mhomines», uomini,diremmo oggi, “pertutte le stagioni”.

Il passaggio più importante di questo“consiglio”, di questo invito a una men-zogna “accorta”, o comunque misurata,è il riferimento alla “prudenza”; e noncerto a caso, tornando ancora più indietronel tempo, ritroviamo il tema del silenzioin un apposito capitolo, Elogio delsilenzio, di un volume di GerolamoCardano, noto pensatore dell’età delRinascimento, apparso per la prima voltain italiano nel 2001, dal titolo piuttostoambiguo, Il prosseneta, ovvero dellaprudenza politica: ambiguo, perché“prosseneta” ha, come segnala il più im-portante dizionario della lingua italiana,

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un significato affatto spregiativo, indi-cando il “sensale”, il “ruffiano”; una pa-rola qui accostata a una di ben altrovalore, la parola “prudenza”, quellaprudentia, che i Romani consideravano lavirtù politica per eccellenza: questoperché, e potrebbe essere la ragione percui Cardano ha accostato i due termini, lapolitica richiede talora compromessi nonsempre onorevoli, oltre che continuemediazioni.Tra i suoi suggerimenti e consigliCardano includeva anche quello secondocui «in generale il saper tacere, comeaccennò il filosofo al re, non è menoimportante del saper parlare»; matrattandosi di un’opera direttaespressamente ai politici, non poteva nonincludere l’uso della parola, non potevacerto suggerire ai politici il silenzio comeprincipio assoluto. Ciò che invecerichiedeva loro in maniera decisa era diriflettere su ciò che intendono dire primadi dirlo; e soprattutto la semplicità, lachiarezza, nel dirlo. Scriveva: «Ilproposito di un discorso è quello dimuovere gli affetti degli uomini, in mododa ottenere ciò che è in loro potere ed èper questo che conviene adoperare inquesto ambito la massima diligenza. Ilprecetto principale deve essere la brevità,anche perché le ultime parti si collegano

meglio alle prime». Ma al centro del suo discorso rimanevasempre il silenzio: questo, scriveva, «nonsolo basta, ma rimane comunque unarisorsa straordinaria, soprattutto in unasituazione controversa o quandotemiamo che diventi tale o che qualcunopretenda da noi qualcosa»; e concludevacon un breve, ma forte, avvertimento: «Ingenerale ricordati questo: che solo ilsilenzio lascia integre tutte le cose».Queste parole, l’evocare un silenzio che“lascia integre tutte le cose”, ci riportanoa quelle di Orfeo, il cane di Unamuno, chevedeva, come sappiamo, le parolesoprattutto come un mezzo per falsificarele cose. E questo potrebbe portare allaconclusione che la menzogna si vinceforse più con il silenzio che disapprova,che non usando un contro-argomento. Equi – a conclusione – vorrei fare unriferimento alla politica attuale: nelcrescente astensionismo mi sembra dipercepire il silenzioso rifiuto opposto auna classe politica sempre meno amata;una risposta silenziosa, ma di un silenzioassordante, a quel fiume di parole dalsuono spesso, troppo spesso, falso, cheessa continua a pronunciare. Mapurtroppo non è una rispostarassicurante.

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Il silenzio: una categoria politica?

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Il tema della nostra riflessione è diquelli che entusiasmano per la ricchezzadelle sollecitazioni che ne derivano mascoraggiano per la vastità del territorioda esplorare. Il percorso da compiere nelviaggio cui siamo invitati a partecipare eper le molte stazioni da conquistare e peril tempo necessario per sostare eraccogliere le offerte di conoscenza cheemana dai diversi luoghi, è compitodisarmante.Un viaggio intorno all’uomo è ancheun viaggio entro l’uomo. Si combina cosìuna diade che esalta l’immagine di unessere esemplare nell’universo che perònon sempre è riducibile ad unadescrizione esaustiva.Lo scarto tra ciò che di esso vogliamoconoscere e ciò che di fatto riusciamo aracchiudere in una rappresentazioneconcettuale, in una definizione o in unaimmagine, è tale che la sua persistenzanello sforzo che compiamo perafferrarne la identità, la specificitàdell’essere uomo, induce a gettare learmi della conoscenza a favore di quelledell’immaginazione creativa, rifugiosalvifico dallo spettro del nichilismo inagguato.La tentazione della rinuncia a qualsiasiviaggio incombe come spada diDamocle su un desiderio di conoscereche viene sopraffatto dalla realtà di unuomo che nella sua essenza e nel suoessere nel mondo rispecchia lacondizione storica di una società, quellaattuale, che Zygmund Bauman hadefinita liquida-moderna. Intendendocon ciò porre in evidenza come l’uomonon possa mai fermarsi in una stazionedi stabilità e di certezza. L’uomo è unessere in divenire.Questa traduzione in chiave modernadel noto aforisma attribuito a Eraclito(panta-rei, tutto scorre) esprime bene lacondizione di base di un essere

privilegiato del cosmo, l’uomo, che nelsuo essere confitto nel tempo e nellospazio subisce il confronto con ilmutamento e il divenire rimanendonesconfitto e trasferendo a chi ne vogliacogliere la condizione esistenziale lapersuasione di Blaise Pascal che l’uomoè un enigma.Ammonimento di verità plausibile macomunque efficace per distogliercidall’entusiasmo di poter compiere consuccesso quel viaggio intorno all’uomocapace di presentarcene l’essenza nellasua interezza metafisica.Il grande sociologo della culturaZygmunt Bauman ha riassunto con unasilloge efficace la condizione dell’uomod’oggi definendo la società attuale“mondo liquido-moderno” e la vitadell’uomo “vita liquida”. La sintesi delsignificato che tali espressioni hanno èl’incipit del libro Vita liquida. Essamerita di essere letta perché verràutilizzata come paradigma diinterpretazione del “Viaggio intornoall’uomo”, tema del nostro incontro.“Vita liquida e modernità liquida sonoprofondamente connesse tra loro.Liquido è il tipo di vita che si tende avivere nella società liquido-moderna.Una società può essere definita “liquido-moderna” se le situazioni in cui agisconogli uomini si modificano prima che i loromodi di agire riescano a consolidarsi inabitudini e procedure. Il carattere liquidodella vita e quello della società sialimentano e si rafforzano a vicenda. Lavita liquida, come la società liquido-moderna, non è in grado di conservarela propria forma o di tenersi in rotta alungo. In una società liquido-moderna gliindividui non possono concretizzare ipropri risultati in beni duraturi; in unattimo, infatti, le attività si traducono inpassività e le capacità in incapacità.”

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Angelo G. SabatiniViaggio intorno all’uomo

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Questo testo può accompagnarci nelviaggio cui ci accingiamo a procedere.Un viaggio che porta con sé l’attenzionealla complessità di cui si struttura. Unacomplessità che, a volerla analizzare inprofondità, comporterebbe unaattenzione complessa che non puòtrovare spazio in questo incontro. Siamocosì costretti a individuare quellestazioni più rappresentative checonsentono di muoversi all’interno dellacomplessità con maggiore facilità.Al di là delle opzioni che ciascunviaggiatore può definire, egli è costrettoa non perdere di vista la natura dellasocietà attuale che si presenta come una“società complessa”. Una società che,nata a seguito dell’incidenza che alcunieventi culturali e tecnici hannodeterminato, si confronta con laconcreta differenza rispetto alla societàtradizionale.Il segno più evidente è un conflitto travecchio e nuovo in una trasformazionedella società in cui la difesa dellatradizione diventa un compito moltoarduo.Questa condizione di trasformazionestorica porta anche ad un mutamentogenerazionale. Con la conseguenza chela discrasia tra vecchio e nuovo sitraduce in un conflitto di generazioninello stesso presente della nuova società.Una conseguenza particolarmentesignificativa è che se a compiere ilviaggio intorno all’uomo d’oggi sonoesponenti della nuova generazione ildisappunto per un nuovo che agli occhidi una generazione matura è consistente,l’attuale società agli occhi delle nuovegenerazioni è l’equivalente di unmomento di conquista di modernità.La complessità dell’attuale societàfinisce così col generare giudiziocontrastante tra viaggiatori diversi pergenerazione rendendo difficile ilcolloquio tra coloro che si accingono acompiere il viaggio intorno all’uomo.Di qui un primo segno dellacomplessità materiale della societàtradotta in complessità culturale.

Un’analisi di ciò che l’uomo è in questasocietà si complica allorché l’attenzioneva sull’uomo come soggetto che operaentro il mondo e l’uomo come soggettodella propria condizione: un intrecciarsidi relazioni che può al limite diventareparossistico allorché a rifletteresull’uomo entra in gioco la condizionedella relazione dell’uomo con il propriosimile.Tutto ciò significa che muovendociverso la comprensione dell’uomo nelcontesto del suo mondo di appartenenzaemerge il bisogno di capire la condizioneumana immersa nella complessità delmondo in cui esso vive.Per evitare che questa via d’accesso allacomprensione della posizione dell’uomonella società complessa finisca colrendere inane lo sforzo intellettualeoccorre fornirsi di un paradigma dilettura della realtà che conducal’osservatore a selezionare quellestazioni del viaggio che rispondano aidue compiti fondamentali: capire ilmondo della complessità e fornire ilviaggiatore di quegli strumenti che loportino nel cuore della società entro cuil’essere uomo si realizza pienamente. Sipuò accettare il proprio posto nelmondo-società allorché si riesca atrovare una via d’accesso a quel mondo-società in cui si è esistenzialmentecostretti a vivere ma si salvi anche lasostanza propria dell’uomo comesoggetto di quel mondo e non invececome oggetto.Non va dimenticato che la ragione delconoscere il mondo entro cui l’uomovive è espressione di quel sentimento diappartenenza al mondo alimentato dalsentimento profondo della libertà.In questo senso il viaggio intornoall’uomo è il viaggio che un esploratorecompie perché nel territorio conquistatopossa costruire la propria dimora.Nel caso specifico che più ci interessa ilcompito è quello di vedere se nellasocietà complessa c’è ancora posto per lalibertà dell’uomo; perché un uomo nonlibero mortifica il senso di appartenenza

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“umana” e “soggettiva” laddove nonlibero si compie una mortificazione delsenso stesso dell’umanità. La possibilitàdi conseguire risultati utili nellacomprensione dell’uomo del nostrotempo è legata all’acquisizione di unostrumento capace di penetrare nellacomplessità del mondo dove l’uomo èradicato. Pe r s o n a lmen t eassumo come para-digma interpretativola crisi morale e/ospirituale che più diogni altro aspettopuò aiutare a co-gliere la natura e laradicalità del disagiodell’uomo delnostro tempo..E’ chiaro che talescelta è latraduzione inschema interpre-tativo di una presadi coscienza daparte mia dellanatura del disagioesistente.Pertanto la com-prensione della crisiè il risultato di unaesplorazione dellatendenza dell’uomo d’oggi a volerguidare un processo, quello dellacivilizzazione, evitando che learticolazioni del suo manifestarsipossano tradursi in dominio sullapropria persona. Di qui la necessità diindividuare i valori che sono l’antece-dente storico della crisi del presente perverificare se essi possano ancora essereutilizzati oltre che per intendere latrasformazione subita accertare la lorocapacità di illuminare la vita dell’attualesocietà.Si tratta in fondo di esplicitare l’insod-disfazione dell’uomo che volendoutilizzare i valori della tradizione percomprendere il mutamento si accorgeche esso ha portato con sé l’esigenza di

aggiornare i valori della tradizione o dicrearne di nuovi. Nella lista dei valori operanti nelrapporto dell’uomo con la realtà d’oggivanno evidenziati quelli cui si fa ingenere riferimento allorché si vuolecomprendere la vita dell’uomo dellatradizione. Sono i valori che hannotrovato le proprie radici nella società

classificata comeborghese. Valori chehanno continuato asvolgere la lorofunzione nellatormenta società delXX secolo, il secoloche Eric J. Hobsbawmha denominato “se-colo breve”. E’ uncomplesso di valoridove hanno trovanoun posto privilegiatola famiglia, la scuola,la religione: treistituzioni su cui loStato moderno, purcon distingui ricor-renti, ha potuto edi-ficare i suoi successi.. Ognuno di essi hasubito una trasfor-mazione piuttostorilevante a partire

proprio dalla fami-glia intesa comeistituzione, quella tradizionale che anchead uno sguardo superficiale non puòsfuggire il ruolo primario nellaformazione dell’uomo e che oggi si trovaa vivere una profonda crisi: instabilitàdella coppia, assenza di uno o entrambi igenitori, la cui autorità è sempre piùindebolita, figli che esigono sostegnoeconomico sempre maggiore, non più ilconflitto sano tra genitori e figli mapiuttosto l’estraneità; quasi scomparsa latrasmissione dentro le mura di casa delvalore delle cose che contano, nonultima ma particolarmente importante lapresenza della televisione che la fa dapadrona costruendosi un terreno fertileper la diffusione di mo-delli culturali e

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sociali particolarmente futili. La famiglia sta attraversando unperiodo in cui si intrecciano crisi esperanze. Per quanto riguarda le crisi,innanzitutto abbiamo quella della vita, sivive nella contraddizione o di paura delmettere al mondo un figlio, oppure divolerlo a tutti i costi, anche ricorrendoalla procreazione medicalmente assistita;nello stesso tempo c’è anche il rifiutototale di una gravidanza ed il ricorsoall’aborto. La vita che dovrebbe essereaccolta ed amata, in quella “culla” che leè propria, come la famiglia, viene inveceproprio da essa in un certo sensorinnegata. Altra crisi possiamo riscontrarla nell’amore, che non viene più vissuto comeun sentimento nel quale c’è il dono ed ilrispetto reciproco ma, spesso, comequalcosa di materiale: come unasemplice ricerca di piacere personale edegoistico. Ciò genera una profondaincrinatura nel rapporto di coppia,perché viene meno quel fattore unitivoe oblativo che invece è fondamentaleper l’unione della coppia stessa. Ma le trasformazioni non sonoavvenute solo a livello dei diversi modi diaggregarsi, bensì anche a livello interno.Ad essere cambiati sono, soprattutto, irapporti reciproci fra i vari membri ed ilmodo di “stare insieme”.Un ritratto della famiglia d’oggi cheviene presentato da uno studio delCensis dove emergono i grandimutamenti e dove si è persa la centralitàper diversi motivi. I dati emersi da tale studio sonosignificativi: per il 64% la famiglia ètroppo sola e non riceve adeguatosupporto da soggetti come la scuola; peril 50% la difficoltà sta nel contrapporrealternative valide ai modelli di vitaproposti dai mezzi di comunicazione; il50% dice che i padri sono assenti odelegano alle madri l’educazione deifigli; il 42% mette in risalto che le madridi oggi non sono quelle di una volta,protettive al limite dell’ansioso e non losono perché stressate dal lavoro in casa e

fuori; ed il 40% dice che la famiglia nonriesce a trasmettere ai figli valori positivicome tolleranza e rispetto per gli altri.Parallelamente alla crisi della famigliaemerge quella della scuola che si trascinatra chi ne difende la funzione diistituzione creatrice di valori e chi nevede il deperimento con grave dannoper la formazione non solo culturale maanche civile dei giovani. La scuola e l’università, non solo inItalia, affrontano da almeno un decenniomomenti di grave crisi. Tra le causefondamentali della crisi ce n’è una chedetermina tutte le altre: la scuola el’università non sono state capaci dirispondere alle sfide della contem-poraneità, sfide che oggi sonoradicalmente differenti rispetto a quelledel passato. Di fronte ad una realtàestremamente più dinamica, complessa,liquida, l’istituzione scolastica non èriuscia ha liberarsi completamente dauna eredità dell’Ottocento: statica,chiusa, settoriale, monolitica. Messi difronte a studenti che naturalmente eranofigli del loro tempo, e quindi incre-dibilmente più vivaci rispetto al passato,gli insegnanti, costretti ad agire instrutture non adeguate, hanno reagitoprevalentemente in due modi. Nei paesitendenzialmente conservatori, tra cuil’Italia, gli insegnanti hanno reagito inmodo passatista. Chiudendosi a difesadella scuola perduta, dei valori di untempo; reputando i giovani d’oggi comedegenerati, hanno creduto che l’unica viaper sopravvivere fosse quella delloscontro frontale con il presente: e quindihanno celebrato la severità, il sacrificio,la fatica come i veri valori da opporre aigiovani barbari edonisti e dissoluti.Nei paesi più pronti a riconoscere le

novità, ad esempio negli Stati Uniti, si èfatta strada invece l’alternativa formativapresentista. Alcuni insegnanti si sonoconvinti che bastasse portare qualcheinnovazione di facciata per rendere piùsemplice ed efficiente l’apprendimento.Le due tipologie di insegnanti,

passatisti e presentisti, si distinguono

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facilmente anche per l’atteggiamento chehanno di fronte i nuovi media.

Il professore passatista èessenzialmente legato al paradigma tipo-grafico e rifiuta in toto le altretecnologie, soprattutto le nuove. Non hamai pensato che l’apprendimento potes-se passare anche attraverso media diffe-renti dalla stampa: fotografia, cinema,televisione e oggi computer, internet.Il professore presentista, al contrario,

accetta le nuove tecnologie e crede che illoro impiego possa risolvere ogniproblema. Ma il suo impiego delle nuovetecnologie è spesso superficiale eacritico, non diffe-rente dall’uso merci-ficato che i giovanisono abituati a farneal di fuori dellascuola. Inoltre lacentralità dei medianell’apprendimentonon significa cheattorno ai media sigiochi tutto ildestino della scuola.Nella crisi dellascuola contempo-ranea c’è in balloqualcosa in più, chegli insegnanti passa-tisti e presentisti noncomprendono. Ed èqualcosa di profondo, legato anche alletrasfor-mazioni mediali, ma in modo daportare conseguenze dirompenti in ognisettore: è il cambio di paradigma epocaleche segna la transizione dal sapereautoritario, trasmesso a senso unico,imposto, verticistico, al sapere reticolare,costruito collettivamente, condiviso.Questa trasformazione paradigmatica,indotta indubbiamente anche dainnovazioni mediali, non è stata per nullacompresa nelle sue potenzialità da chiricopre posti di comando. Per questomotivo si è creata una scollatura, unafrattura mai vista prima d’oggi tra duesole generazioni in successione.A rendere più critica la situazione dellascuola è il diffuso lassismo dei giovani

ma spesso anche dei docenti. Gli unisfiduciati moralmente dallo scarsointeressamento mostrato verso di essidai Governi che, nell’ansia riformista,hanno finito con l’indebolire il fonda-mento morale della formazione e glialtri, invece, hanno perso il rispettodell’autorità dell’istituzione scolastica edei suoi docenti. Anche qui come per altre istituzioniportatrici di valori la trasformazionedella società è diventata il prodotto diessi e, nello steso tempo, ne hannoassorbito il senso della crisi.Non si può ignorare il grado di crisidella religione che ha subito lo stesso

processo accelerativodella famiglia e dellascuola. Nel contestodel processo didesacralizzazione chela cultura laica eilluminista ha portatoavanti negli ultimidue secoli, lareligione, almenonella parte rituale diessa, ha visto unadimi-nuzione dipartecipazione spe-cialmente della gene-razione più giovane. La partecipazione

dei giovani al seguito delle visitepastorali dei Pontefici nelle varie aree delmondo non può autorizzare a parlare diintensa partecipazione dei giovani allavita religiosa. Emblematica è l’assenza diadolescenti e di giovani ai riti religiosiquali la celebrazione della messa e lapartecipazione alla vita parrocchiale.E’ da notare che è proprio l’inde-bolimento dell’autorità della famiglia edella scuola che porta in primo piano lacritica condizione dei giovani diventatiun motore di malessere sia pure nellacontraddizione di specchio della crisi maanche sensori di un movimento disperanza per la formazione di valorinuovi per la società e per la politica.In fondo la speranza di poter far sì che

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la crisi della società d’oggi non rivestasoltanto la funzione speculare di unmondo in costante instabilità, ma possaanche essere motivo ispiratore di unatrasformazione in positivo di questacomplessa società che per essereproduttrice di progresso e di valorinecessita di una energia morale eculturale fortemente attiva.Ma i giovani non sono soltanto lasperanza di una società nuova marappresentano anche la difficoltà chel’innovazione trova allorquando intendaoperare fattivamente alla trasforma-zione. Non va trascurato il fatto chel’azione innovatrice dei giovani d’oggi èil segno di un messaggio ancora elitarioanche se spesso viene manifestato nelsegno di una realtà di massa. Al di qua dicoloro che contestano c’è la vera massadi quanti non partecipando si destinanoalla indifferenza, privilegiando gli spaziludici del tempo libero oppure chiu-dendosi in se stessi acuendo un disagioche specialmente nell’adoles-cenza puòdiventare una vera e propria patologiagenerando quel sentimento di diversitàche a volte si traduce in tossico-dipendenza, in omosessualità, dianoressia e bulimia. Il risultato è latrasformazione del periodo proble-matico in stato di solitudine e depres-sione. La conseguenza è l’inclinazione adinterrompere le attività sociali, compresala scuola, e a isolarsi.Il coordinamento di questi valoriforniva un tempo il quadro diriferimento attivo per la posizionedell’uomo nel contesto della civiltà.Si aggiunga a questo mutamento divalore delle istituzioni cui abbiamo fattocenno la crisi della cultura che daprevalentemente umanistica si è fattoscientifica e tecnologica.L’uomo che è stato per secoli il luogoprivilegiato della conoscenza, dellacuriositas, della creatività artistica e dellaspinta all’esplorazione del globo, èdiventato homo tecnologicus e economicus:due dimensioni della vita sociale untempo marginali come valori di

formazione etica e mutatisi essi stessi inorizzonte avvolgente della vitadell’uomo di oggi. A generare questa situazione didominio dell’economia e della tecnica èintervenuto l’affermarsi della simbiositra economia e tecnologia che sotto laspinta di una ideologia della produttivitàha finito con il trasformare la società deiproduttori in quella dei consumatori.Nell’ambito della psicologia deiconsumatori si è annidato il fenomeno,estremamente dannoso, che favorscel’inclinazione al consumo sia quan-titativo che qualitativo.La formazione di una società deiconsumi che è stata generata nell’ambitodell’economia mondiale dal 1945 ad oggiè stata accompagnata da una tendenzaall’aumento progressivo dei consumi, siadel singolo che della collettività. Lasocietà italiana a partire dagli anni ’60 lachiamiamo «società dei consumi», checomprende la stragrande maggioranzadegli individui. Dal 1950 al 1970, i livellimedi di vita sono più che raddoppiati invalore reale e la diffusione del credito haconsentito di consumare in anticipo eancora di più.Malgrado disuguaglianze non trascu-rabili, tutte le classi sociali sono statecatapultate nelle «meraviglie» dellasocietà dei consumi. La percentualesempre maggiore di salariati (tra il 75 el’85%della popolazione attiva all’iniziodegli anni ’70), l’impatto dei mezzi dicomunicazione di massa(mass media), ilruolo della pubblicità e della stan-dardizzazione, tutto questo hacontribuito a determinare una certauniformità degli stili di vita. La sete diconsumo è stata, peraltro, esacerbata dalricordo lontano delle difficoltà degli anni’30 e da quello, più vicino, delleprivazioni di guerra.Il consumo non ha come scoposolamente la soddisfazione dei bisogni,esso ha anche altri significati: l’affer-mazione di una posizione sociale(nozione di standing), il gusto della«gratuità» (desiderio di oggetti inutili o

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gadgets) o, per alcuni sociologi, l’appa-gamento di un’insoddisfazione latente.Comunque sia, alcuni consumi hannoun carattere discriminante, nella misurain cui, per un certo periodo, essirimangono appannaggio esclusivo diuna minoranza, nell’attesa di genera-lizzarsi e di essere sostituiti da altri nelloro ruolo di status symbol. Ognidecennio ha visto alcuni prodotti giocarequesto ruolo: l’automobile, la tele-visione, la lavatrice o le vacanze al marenegli anni ’50; la seconda casa, lacinepresa, la lavastoviglie o le vacanze inmontagna negli anni ’60; la barca, latelevisione a colori, il congelatore e levacanze all’estero negli anni ’70. Cosìcome afferma un geografo: «Dopo averprodotto l’indispensabile con l’agricol-tura e il superfluo con l’industria,l’economia delle mercanzie offrel’inutile. Questo cambiamento è vissutoda alcuni come una straordinarialiberazione, da altri come un’angosciantealienazione». La società dei consumi, basando leproprie fortune sulla promessa di sod-disfare i desideri umani in un modo im-possibile ed inimmaginabile per qualsiasialtra società precedente, riesce a renderepermanente la non soddisfazione. Il consumo favorisce il principio dellacompetitività connessa all’invidia: ilconsumatore entra nell’agone dellacompetitività mediante il possesso di unprodotto scelto dal gruppo diappartenenza. La mancanza di consumodi un prodotto nella condizione dicompetitività nel gruppo può dar luogoad una emarginazione con relativaconseguenza dell’emergere di uno statod’animo di sconfitta o di esclusione.La promessa di gratificazione è quindiallettante soltanto finché il desiderio nonè stato soddisfatto o meglio finchésussiste il sospetto che il desiderio nonsia stato realmente e pienamentesoddisfatto ed è proprio la mancatasoddisfazione dei desideri la convin-zione ferma e costante secondo cui ogniatto per soddisfarli lasci ancora molto da

desiderare e da migliorare a far volarel’economia che si rivolge ai consumatori.E’ stato ampiamente dimostrato che inquesto modo il consumismo è un’economia basata sull’inganno, sull’esagerazione e sullo spreco. Ingannoesagerazione e spreco non sono segnalidel malfunzionamento di tale economiama garanzie della sua salute e del suosviluppo e l’unico regime nel quale la societàdei consumi può assicurarsi la propriasopravvivenza. L’espansione dei consumiavviene nel contesto di una società cheviene denominata “società di consumatori”.Di particolare interesse per capire lareale natura del consumismo è la“sindrome consumista” che porta neirapporti interpersonali a modellarel’esistenza, anche quella quotidiana, amodellarsi a somiglianza dei mezzi edegli oggetti di consumo. Tale sindromeimplica molto più che la seduzione dellegioie dell’ingerire e del digerire, deldivertirsi o dello star bene. Essa è unavera sindrome, un complesso diatteggiamenti e strategie variegati mastrettamente interconnessi, disposizionicognitive, giudizi e pregiudizi di valore,assunzioni sia esplicite che tacite sulmondo e sul modo di stare al mondo,visioni di felicità e modi per perseguirle,cioè preferenze di valori. Il consumismo, diventando un valore,per la sua natura di transitorietà, entranaturalmente in conflitto con i valoridella tradizione. Siamo di fronte ad undualismo che vede i valori dellatradizione come paradigmi di stabilità edi permanenza nel tempo, mentre ilconsumismo ha in sé il principio dellaaccelerazione del cambiamento. Laconseguenza è che i prodotti chealimentano il consumo non possonoavere una durata che vada oltre ilmomento di soddisfazione dell’ac-quisizione degli oggetti del desiderio.“Pertanto - sottolinea Baumannell’opera citata - la società dei consuminon può che essere una società dieccesso e di sperpero e per ciò stesso diridondanza e scarto a piene mani”.

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La vita dei consumatori è una sequenzadi prove ed errori, un’esistenza disperimentazione continua. La sintesidella logica del consumo la si ritrova inun osservatore del commercio aldettaglio che ha esclamato: “Abbiamobisogno che le cose si consumino, sibrucino, si logorino, si sostituiscano e siscartino a ritmo crescente”.Guardando alla società del presente si ècertamente colpiti dall’evoluzione dellaconoscenza arricchita sia nella esplora-zione dell’uomo-natura che dell’uomo,luogo propulsore della conoscenzastessa, grazie al progresso delle scienzepsicologiche e biologiche che consen-tono di esplorare la natura, essa stessacomplessa, dell’uomo stesso. Mal’evoluzione della conoscenza arric-chisce gli strumenti di accesso al mondoin termini, sia pure problematici, diconoscenza scientifica.E’ indubbio che rispetto al passato lapossibilità per l’uomo di possedere sestesso e il mondo come suo habitat è digran lunga più ampia e in tal sensodovrebbe poter legittimare la richiesta diconoscere la sua origine e il meccanismodi crescita all’interno di questo mondo.Con lo stesso spirito dobbiamospingere lo sguardo verso il nuovomondo della comunicazione elettronica,verso Internet. Un luogo dove tuttipossono prendere la parola, acquisireconoscenza, produrre idee e non soloinformazioni, esercitare il diritto dicritica, dialogare, partecipare alla vitacomune, e costruire così formed’organizzazione sociale e politicaqualitativamente diverse da quelle attuali,ridando senso adeguato anche airiferimenti a eguaglianza e cittadinanza.Internet sta realizzando una nuova,grande redistribuzione del potere. Perquesto è continuamente a rischio. Innome della sicurezza si restringonolibertà. In nome di una logica di mercatomiope si restringono possibilità diaccesso alla conoscenza. Alleanze tragrandi imprese e Stati autoritariimpongono nuove forme di censura.

Di fronte a Internet ci preoccupiamoche esso possa deve divenire unostrumento per controllare i milioni dipersone che se ne servono, perimpadronirsi di dati personali contro lavolontà degli interessati, per chiudere inrecinti i proprietari delle nuove formedella conoscenza.E’ singolare e paradossale che lerisposte metafisiche e religiose, rispettoalle domande che si suole definiremetafisiche, potrebbero acquisiremaggior forza probante con laespansione della conoscenza, mentre difatto il risultato delle ricerche nel settoredella conoscenza scientifica porta almoltiplicarsi di domande che generano ildesiderio di conoscere, con il risultato didecostruire l’architettura delle rispostemetafisiche o religiose favorendo lasindrome dell’abbandono o con ilrischio di un nichilismo che finisce conl’indebolire la struttura morale dellacoscienza dell’uomo e della società in cuisi trova a vivere.Questo momento dell’incontrodell’uomo con il proprio essere o con ilrapporto con l’essere del mondo comesocietà, conduce il viaggiatore checircumnaviga l’uomo ad uno spazio delproprio essere in cui si affaccianoproblemi particolarmente “sensibili”quali la felicità, la povertà, la libertà, lapersona e la tecnologia: modi di esseredell’uomo che nella società complessa incui viviamo, dove il senso del divenireschiaccia l’essere inglobandolo in sé, lopriva della dimensione della stabilità.Le riflessioni fin qui espresse ciportano verso una mappa del viaggio incui prevale l’immagine che molti conBauman definiscono “liquida” per lacondizione dell’uomo in continuaincertezza. Con la conseguenza chel’uomo viene dominato dalla preoc-cupazione di non riuscire a tenere ilpasso dietro agli avvenimenti chemuovendosi velocemente genera stress,disagi estesi, consumismo ossessivo,paura individuale e sociale, legami fragilie mutevoli, città poco vivibili.

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Siamo in un momento storico in cui sista non solo ripensando ma ridefinendol’umano e in ciò contribuisce certamenteil progresso scientifico. In fondo si stasmarrendo l’alfabeto dell’umano, di ciòche è la persona, di ciò che è l’uomo, econ i valori e le categorie costitutive pro-prie dell’umanità del tipo di convivenza edi società che da questa ridefinizioneconsegue.Questo processo di accelerazione delvivere umano di cui già Michel deMontaigne ci ricor-dava affermando che“la vie est unmouvement inégal,irregulièr et multifor-me” trova il suomotore di accelera-zione dall’incessanteinnovazione scien-tifica e tecnologica.I ritmi della vitaconoscono accele-razioni e mutamentiprofondi.La tecnologia libe-ra la vita da anticheschiavitù, quelledello spazio e deltempo, e questa ègià realtà per milionidi persone. Internetnon è soltanto il piùgrande spaziopubblico chel’umanità abbiaconosciuto. È un luogo dove la vitacambia qualità e colore, dove sonopossibili l’anonimato e la moltiplicazionedelle identità, la conoscenza e l’ubiquità,la libertà pie-na e il controllo totale. Inrete ognuno può essere dav-vero “unonessuno e centomila”, come diceva LuigiPiran-dello, e vedere realizzatal’aspirazione dello Zelig di Woody Allen:“Vorrei essere tante persone. Forse ungiorno questo si avvererà”. La grandetrasformazione tecnologica cambia ilquadro dei diritti civili e politici,ridisegna il ruolo dei poteri pubblici,muta i rapporti personali e sociali, e

incide sull’antropologia stessa dellepersone.E con ciò emerge dal profondo dellatrasformazione in atto della società ladomanda centrale che salva l’uomo dallasua dissoluzione, dal suo liquefarsi:Quali sono le dimensioni e il luogodella libertà nell’età della scienza. dellatecnologia e del consumismo?È giusto invocare la protezione dellavita privata, lo spazio del suo esserelibero; ma non basta. Il nostro modo divivere è divenuto un flusso continuo di

i n f o r - m a z i o n i ,inarre-stabile, chenoi stessialimentiamo peravere accesso a benie servizi. Latrasparenza socialeci avvolge. Le tecno-logie dell’informa-zione non solo siimpadron i s conodella nostra vita, macostruiscono uncorpo elettronico,l’insieme dellenostre informazionipersonali custoditein infinite banchedati, che viveaccanto al corpofisico. Il doppiocorpo non è piùsolo quello del Re

medievale, di cui ci ha parlato ErnstKantorowicz. È ormai attributo di ognicittadino. Cambia il mondo intorno anoi, e dentro di noi. La società dellasorveglianza celebra i suoi riti e puòcancellare i fondamenti della civiltàgiuridica. “Non metteremo la mano sudi te”, era la promessa della MagnaCharta, l’atto di nascita dell’habeas corpus.Oggi il corpo è sempre in pericolo, e lamente non è più un rifugio inviolabile. Ilcorpo viene trasformato, anzi costruito,per renderlo direttamente compatibilecon la società della sorveglianza. Chipelettronici sotto la pelle, etichette intel-

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ligenti o braccialetti elettronici permet-tono di controllare e seguire un corpoormai assimilato a un qualsiasi oggettoin movimento, controllabile a distanzacon le tecnologie satellitari o con quelledelle radiofrequenze.In una dichiarazione del governo

inglese dell’estate del 2004 si parla dipersone che debbono essere “tagged andtracked”, etichettate e seguite, legatesempre con un invisibile e tenacissimoguinzaglio elettronico, il cui simbolo ègià incarnato dal telefono cellulare. E,sempre in Inghilterra, già si ricorre ai“wearable computers” messi al polso deilavoratori, che cons-entono di control-larne movimenti e ritmi di lavoro, di darloro continue e stringenti istru-zioni.Davanti a noi sono mutamenti chetoccano l’an-tropologia stessadelle persone.Siamo di fronte aslittamenti pro-gressivi. Dallapersona “scru-tata” attraverso lavideosorveglianzae le tecniche bio-metriche si puòpassare ad unap e r s o n a“ m o d i f i c a t a ”dall’inserimentodi dispo-sitivi elettronici, in un contestoche ci individua appunto come“networked persons”, personeperennemente in rete, configurate inmodo da emettere e ricevere impulsi checonsentono di rintracciare e ricostruiremovimenti, abitudini, contatti,modificando così l’autonomia dellepersone. Ci avviciniamo così allefrontiere del post-umano, dove personee corpi diventano apparatitecnologicamente complessi.La vita non è più quel movimentolibero e multiforme di cui parlavaMontaigne, ma una entità da tenerecontinuamente sotto controllo perricondurla implacabilmente sui binari

della normalità.Per scongiurare questi pericoli non ci sipuò affidare soltanto alla naturalecapacità di reazione di Internet. È tempodi affermare alcuni principi come partedella nuova cittadinanza planetaria:libertà di accesso, libertà di utilizzazione,diritto alla conoscenza, rispetto dellaprivacy, riconoscimento di nuovi benicomuni. È tempo che questi principisiano riconosciuti da una inedita Cartadei Diritti, in un Bill of Rights del nuovomillennio.Riemergono così il destino individuale,la vita di ciascuno di noi. Senza unafortetutela delle informazioni che leriguardano, le persone rischiano sempredi più d’essere discriminate per le loroopinioni, cre-denze religiose, condizioni

di salute: laprivacy sipresenta cosìcome un elemen-to fondamentaledella “societàdell’eguaglianza”.Senza una fortetutela dei datiriguardanti leconvinzioni poli-tiche o l’apparte-nenza a partiti,s i n d a c a t i ,associazioni, i

cittadini rischiano d’essere esclusi daiprocessi democratici: così la privacydiventa una condizione essenziale peressere inclusi nella “società dellapartecipazione”. Senza una forte tuteladel corpo elettronico, la stessa libertàpersonale è in pericolo: diventa cosìevidente che la privacy è uno strumentonecessario per difendere la “società dellalibertà”, e per opporsi alle spinte verso lacostruzione di una società dellasorveglianza, della classificazione, dellaselezione sociale.Solo così la vita può tornare ad essereirregolare e multiforme, il regnodell’autonomia e della diversità.

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"Magna Carta (British Library Cotton MS Augustus II.106)"

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Alla mia età lo si sa bene: gli anni sonoscansioni arbitrarie con cui ci illudiamodi dare un senso, un ordine, un’inte-llegibilità, all’uniforme passare del tempodal quale siamo trascinati. Però è difficilesottrarsi alla suggestione del cambio didata e resistere – nonostante loscetticismo – all’abitudine di fare, a ognifine di anno, bilanci e previsioni come seil cambio di numero potesse mutareveramente la natura delle cose.Non so se l’anno che sta per chiudersisia stato un “annus horribilis”, ma unpo’ da dimenticare lo è di certo in Italia,in Europa e nel mondo. Da noi una crisieconomica che dura da ormai sei o setteanni ha continuato a trascinarsi senzaapparenti miglioramenti, nonostante leintenzioni del Governo e della maggio-ranza. Fatti scandalosi di corruzionehanno tornato a indignarci, dandol’impressione di un dilagare delmalaffare quasi inarrestabile nonostantel’operato della Giustizia. L’Europanon ha ancora ritrovato sul serio la viadello sviluppo e neppure quello dell’unitàsolidale. Nel mondo, l’avanzata dellajihad in Irak, in Siria, gli orrendimassacri perpetrati dal fanatismoislamico anche altrove, la ripresa dellemire espansive della Russia di Putin e lasua brutale azione contro l’Ucraina,hanno creato tensioni che hanno fattopersino temere rischi di guerre globali.Eppure, non tutto è stato completa-mente negativo. In Italia, un governo,nato in modo discutibile con quello che èapparso un vero e proprio colpo di mano,ha comunque messo all’ordine del giornoil rinnovamento delle istituzioni e delcostume e la ripresa economica, culturale,civile. Si può – si deve, anzi – criticaremolte delle modalità usate dal Premier,ma non credo sia giusto combatterne i

programmi. E pur essendo ogni giornosotto il tiro, più ancora che delleopposizioni, di una parte della propriamaggioranza, di quella eterna sinistraincapace di governare ma capace didistruggere tutto quanto di nuovo e dibuono appaia nel suo stesso campo, portaa casa importanti provvedimenti unodopo l’altro (ritengo che Renzi debbaaccendere un cero alla sgangheratademagogia dei grillini, che rendono quasiobbligatorio per decenza il ricompattarsidella maggioranza, come si è visto nelvoto sulla Legge di Stabilità). Va detto,per giustizia, che in questa fase dellanostra vita politica, Berlusconi e ForzaItalia si sono mossi con senso dellamisura e spirito in fin dei conticostruttivo. Speriamo che duri! Sul pianodell’economia, è permesso forse sperareche siano state messe in questi mesi lebasi per una ripresa, sia pure modesta,per il prossimo anno (modesta, sì, ma ilpassaggio dal segno negativo a quellopositivo nel PIL sarebbe di per sé unaspinta essenziale per ritrovare lanecessaria fiducia). La corruzione è unapiaga aperta e sanguinante, ma vorreifare una considerazione che mi sembraessenziale: il lato peggiore in casi dicorruzione è l’impunità, e questa inItalia non c’è. Giustizia, Polizia,Carabinieri, Guardia di Finanzafunzionano e i corrotti, non tutti, certo,ma parte almeno, finiscono sotto processo.Credetemi, non è così dappertutto nelmondo. E questo, un minimo ditranquillità dovrebbe darcelo.In Europa, il passaggio dallo scoloritoBarroso al più “politico” Juncker puòcostituire la premessa per un cambio divelocità. Il programma di investimentiannunciato dal neo-Presidente è in questosenso un buon segno. Le resistenze

Giovanni Jannuzzi

Buon Anno 2015

CORSIVO

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restano forti e occorrerà molta tenacia daparte di Paesi come Italia, Francia,Spagna, per spuntarla. A questoproposito, ho letto qua e là valutazionipoco generose sul semestre di presidenzaitaliana. Solo chi non conosce la realtàeuropea poteva immaginarsi che l’Italiapotesse, con una sorta di bacchettamagica, cambiare ordine del giorno evedute in seno all’Unione. Forse Renzistesso si è illuso di poterlo fare, portandoa Bruxelles i metodi che sta utilizzandoin Italia. Non era possibile e non èquindi giusto accusarlo di mancatosuccesso. Quel poco che si poteva ottenereè stato ottenuto: l’introduzione, per laprima volta, dell’idea di sviluppo,l’esclusione degli investimenti produttividal Patto di Stabilità. Poco? Non lo so.Ma le cose in Europa vanno così, conlentezza e tra mille contrasti e ogni passoavanti è come smuovere una montagna.Nel mondo, il fatto che la crisi ucrainanon abbia degenerato in una vera guerraè di per sé un fatto positivo, segno dellasostanziale prudenza con cui ci si è mossidalle due parti. Ed è buon segno che nontutti gli europei – come è apparsoevidente nell’ultimo Consiglio sottopresidenza italiana – siano disposti alasciarsi andare all’automatismo disanzioni punitive contro una Russia che,alla fine, è interesse di tutti recuperare aduna normale cooperazione conl’Occidente (più che le sanzioni, a farpensare Putin è venuto il crollo delprezzo del petrolio, che ha colpitoduramente la sua economia). Nel MedioOriente, le buone notizie sonopochissime, anzi nulle. La crisi vaavanti, con il suo tragico corteo di sangue,anche se da un po’ di tempo il distrattosistema d’informazioni pare guardare daun’altra parte (è difficile sapere – forse lanostra Jacqueline Rastrelli lo sa e puòdircelo – per esempio, che è successo dellecittà siriane assediate dalla jihad). Il solofatto positivo è che gli Stati Uniti e

alcuni loro alleati abbiano reagito con learmi all’assalto del terrorismo estremistae che questo sia stato, almeno cosìparrebbe, contenuto.E allora lasciamoci andare alla vecchiaabitudine di fare gli auguri del caso.L’Italia ne ha bisogno: auguri perchériforme e ripresa economica occupino lascena dell’anno che viene. Sarà, ahimè,un anno che vedrà il congedo volontariodi un grande e caro Presidente dellaRepubblica, Giorgio Napolitano.Preferiremmo davvero che restasse altimone. Ma se questo non è possibile, cheil suo successore sia almeno una figurarispettabile e rispettata, che nasca da unconsenso ampio e dia a tutti le necessariegaranzie di imparzialità e di difesa delleistituzioni.L’Europa ha bisogno di un auguriospeciale: che le buone intenzione diJuncker si realizzino, senza ritardo esenza troppi ostacoli e che il sistema siameno burocratico, meno impersonale, piùvicino alla gente e alle loro verepreoccupazioni.Il mondo merita pace, o almeno quellaforma speciale di pace che è la “nonguerra”. È troppo sperare che Occidentee Russia ritrovino la via del dialogocostruttivo? Nel Medio Oriente edovunque operi (anche in casa nostra) ilterrorismo sanguinario, è troppoaugurarsi che l’intera società reagisca,non solo con una facile indignazione, macon i mezzi preventivi e repressivi che siimpongono? È troppo augurarsi che nel2015 le nostre città, le nostre strade, lenostre case, siano un po’ più tutelate esicure? Auguri, speranze, illusioni dicircostanza? Chi lo sa! Ma senza un po’di illusioni che sarebbe la vita?

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Buon Anno 2015

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La Tunisia non conosce ancora laportata della vittoria del Partito NidaaTounès, ma il Paese si rende contodell’immensa occasione che questeprime elezioni politiche avvenute dopola destituzione di Zine Al Abdine BenAli, nel 2011, le stanno offrendo perportare avanti il lungo cammino verso laDemocrazia.Al di là del risultato, la tenuta di questeelezioni è già di per sé una vittoriademocratica di grande valore. Perquanto concerne l’astensionismo,annunciato come essere un possibilesgradito “ospite” (ci si aspettavaun’astensione del 50%, ma alla finehanno votato il 60% degli aventi diritto),il suo peso non ha influito sulla portatadell’evento, anche se vi è stata unatangibile flessione rispetto al 2011, conun milione di elettori in meno. Tre annidopo la caduta di Ben Ali, la vittoria diNidaa Tounès sembrerebbe, a primavista, mostrare che la Tunisia non hatagliato completamente i ponti con chiaveva collaborato con il regime. In senoalla formazione vincente, ritroviamo ineffetti vecchi dirigenti del “benalismo”,primo tra tutti il leader del movimentonostalgico, Beji Caiid Essebsi, 87 anni,che ha servito prima Burghiba e poi BenAli. Qualcuno parla di controrivoluzionedi velluto, laddove la giustizia non haforse fatto sufficientemente la sua partelasciando a “piede libero” figure di unpassato non proprio trasparente e pensache oggi questo possa costituire unproblema, insinuando il tarlodell’impunità, un’impunità che verrebbecondonata di fatto,o per via legislativa,costituendo un problema per lademocrazia. Ma per osservatori più“attenti” questa è stata una cattiva lettura

fatta dai media occidentali del risultatodi questa elezione. Si dimentica in effettiche 70% dell’elettorato è secolarizzato,che gli elettori non hanno più moltafiducia negli islamisti e che NidaaToudès è costituita si, da un’alaconservatrice formata dagli ex RCD (Partito di Ben Ali), ma anche da un’alasindacalista e più a sinistra, rappresentataDa Taieb Baccouche. La forza dellaTunisia oggi sta proprio nella suacapacità di mediare tra vecchio e nuovoin una continua crescita verso laDemocrzia.I risultati delle elezioni dimostrano ilbipolarismo della vita politica tunisina.Da una parte Ennahda, il Partitoislamista. Dall’altra Nidaa Tounès, laformazione laica, o più precisamente“secolare con l’accezione anglosassonedel termine” come tiene a precisareBaccouche, il Segretario generale delPartito. Durante la campagna elettorale,le forze politiche hanno giocato moltosui sentimenti anti Ennahda chedimostrava la popolazione, e in effettiNidaa Tounès è riuscita a catalizzare ilrigetto per gli islamisti che i tunisiniritengono responsabili per l’instabilità,l’insicurezza e la situazione economica esociale. Ma il bipolarismo in Tunisia èrelativo perché nessun Partito puògovernare da solo. Il Paese si sta quindidirigendo verso una coalizione per viadelle modalità delle elezioni. Chiunquesia il vincitore, Nidaa o Ennahda, ilpunto è che la Tunisia avrà bisogno di unGoverno di coalizione nazionale, di unpolitica consensuale. E’ proprio questomodo di fare politica che ha salvato ilPaese da ciò che invece stannoattraversando gli altri Paesi coinvoltidalla Primavera Araba, ha fatto presente

COMMENTO

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Jacqueline Rastrelli

Tunisia: Rivoluzione dei Gelsomini, atto secondo

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il leader di Ennahda, RachedGhannouchi a cui va il pregio di aversaputo dar prova di saggezza tatticacontenendo l’impazienza degli islamistipiù radicali, capendo che non era forseun bene per il suo movimento prenderetutto il potere in un solo colpo. I FratelliMusulmani in Egitto ne stanno paganoancora le conseguenze. Nidaa Tounèspotrebbe allearsi al suo avversario? Inquesto momento tutti i giochi sonoaperti. I leader dei due partiti si sonovisti durante la campagna e un’alleanzasarebbe nell’interesse di tutti.La giornata del 26 Ottobre è statamolto importante per la Tunisia. Itunisini sonoandati a votarei loro Consi-glio dei depu-tati del popoloper cinqueanni. Comeabbiamo visto,ci sono andaticon unaproporzionecommentatada più parti –chi positiva-mente, chinegativamente – ma in numero suf-ficiente per legittimare l’istanza politica eil Governo che andrà a formarsi. È veroche i risultati hanno sancito ilbipolarismo, che i piccoli Partitidenigravano e sembravano temere comeun flagello per loro. I tunisini non lihanno però ascoltati e hanno consacratoil bipolarismo tra Nidaa e Ennahda. Allaloro lontana periferia ci sono due altriPartiti con i quali dovranno fare i conti (anche se i voti presi non li rendonosufficientemente pericolosi) e con i qualidovranno condividere il peso dellamoderazione. Si tratta del Frontepopolare, una coalizione la cui baseelettorale forse non riuscirà a costituireanche una base politica abbastanzasolida e del Partito Tunisino Libero(PTL) del giovane imprenditore Slim

Riahi accusato da qualcuno di arroganzafinanziaria, ma che è riuscito a sedurrebuona parte dell’elettorato, soprattuttogiovanile. Da tenere sott’occhio anche ilPartito del giovane tecnocrate YacineBrahim, l’Afek Tounès, che potrebbegiocare un ruolo importante in futuro.Per quanto riguarda la pletora degli altripartiti ha prevalso il discredito (Partiti“vecchi” o litigiosi o con leader troppoegocentrici)o la semplice selezionenaturale (per quei partiti con progettiprivi di spessore e senza ideologia).Il 26 Ottobre è venuta fuori la Tunisiadalla civiltà tre volte millenaria e dotatadi un seme di Democrazia ereditato da

Cartagine an-cora fertile.Queste elezio-ni hanno san-cito un impor-tante passodella societàcivile tunisina,ma anche ungrande pro-getto di incon-tro tra un Par-tito con unamaggioranzap o p o l a r e

ancora suscettibile di ampliarsi visto che,non dimentichiamolo, i due terzi deitunisini non ha votato. La “Troika”(Ennahda, CPR, Ettakol) non hafunzionato e ora la Tunisia non devecadere nella trappola di un Governo diunità nazionale che sia la sua caricatura,con la sola differenza di avere una basepiù larga. Un Partito eletto con unamaggioranza ha il dovere di attuare il suoprogramma sulla base di un’ideologiaben delineata. Nidaa sembra avere lacompetenza necessaria per condurre ilsuo mandato: sta a lui ora di vedere conchi allearsi, come preannunciato nelsuoprogramma elettorale, in base adaffinità ideologiche e di condivisione deivalori etici che permetteranno allaTunisia, soprattutto ai giovani, di avereun vero futuro. I tunisini sanno di aver

Tunisia: Rivoluzione del Gelsomini, atto secondo

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assistito ad un evento incredibile: lanascita di un polo secolare, non islamistae attivo, che è stato capace di non caderenella trappola dei brogli, delle manipo-lazioni, senza esercito che lo spalleg-giasse ma che ha vinto grazie all’aiutodelle classi medie e delle elite impren-ditoriali che si sono mobilitate per lui.Culla della Primavera Araba, la Tunisiaha vissuto un altro “D day” importante.Finora è riuscita a smentire la tesi cara aipartigiani dello statu quo nella regione cheavevano decretato in una sorta di ipotecasulla sicurezza del Paese, che qualsiasicambiamento politico avrebbe aperto laporta verso il caos. Fino ad oggi laTunisia ha dato prova di avere i nervisaldi. Adesso il Paese ripone le suesperanze nel vedere costituirsi

un’Assemblea tanto equilibrata quantorappresentativa. Una seconda vita per laRivoluzione dei Gelsomini è forsepossibile. Adesso aspettiamo il prossimoappuntamento, tra un mese, che sanciràl’elezione del Presidente della Repub-blica. In contrasto con il Presidenteuscente, Moncef Marzouki, e con ilPresidente dell’Assemblea nazionalecostituente, Mustapha Ben Jaafar, illeader di Nidaa Tounès, Eji Caid Essebsisembra ormai posto sulla rampa dilancio. Secondo gli esperti beneficeràdella spinta elettorale di queste politica,anche perché Ennahda non hapresentato nessun candidato ufficiale.Ma anche se ha carte buone in mano, lapartita è tutta da giocare.

Gabriele Di Bella

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Gabriele Di BellaLa Città dalle sette vite

Giorgio Pacifici e Ugo Pacifici Noja, La Città dalla 7 vite, Fontana di Trevi Edizioni, 2013, pp. 400

Ben oltre il “caso dei marò” e la disdettadi un contratto da 560 milioni di Euro aFinmeccanica (per dodici elicotteriAgusta Westland), l’India resta per l’Italiaun Paese ancora tutto da scoprire. Adispetto della sua crescente influenzapolitica, economica e culturale, il giganteasiatico ci appare più familiare per la suatradizionale cucina speziata, il cinemaBollywoodiano, La Città della Gioia, e unnoto turismo spirituale. Solo di recente,l’India ha trovato spazio sulle primepagine dei nostri giornali per le sue“dure” prese di posizione in vicende chesono solo un pretesto per affer-mareun’egemonia che va ben oltre i confiniregionali.C’è bisogno però di conoscere meglio ilnostro interlocutore asiatico, al di là delleapparenze. Ed è proprio con questo fineche esce nelle librerie, per la Fontana di

Trevi Edizioni, La Città dalle sette vite, illibro di Giorgio Pacifici e Ugo PacificiNoja, che racconta il cuore pulsante delgigante asiatico, Delhi, senza piegarequesta lettura alle controverse, e solocontingenti, vicende. Non una guida turistica,precisano gli autori, ne tanto meno un saggiostorico, avendo avuto al contrario un occhiodi riguardo alle più recenti mutazioni dellasocietà indiana. Lo studio degli Autori èfrutto, prima di tutto, dell'incontro di duestudiosi europei (sociologo, il primo egiurista e storico sociale, il secondo) con laricchezza, la diversità e le contraddizioni, diun'antica città e una più antica cultura. Pacificie Noja, descrivono luoghi visitati perso-nalmente e ne riscoprono le radici piùprofonde. Ma non mancano, in questovolume, anche interventi di professori, saggi,poeti e blogger indiani, che con la loro vivavoce descrivono le tante anime della Delhi di

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ieri e di oggi: la tradizione ma anche lamodernità. Un aspetto da non sottovalutarequesto, per un studio sociologico, che così siarricchisce di linguaggi e stili diversi ma benintegrati tra loro, in modo da rendere questoprezioso saggio un'opera “corale”. I temiaffrontati sono quelli tipici richiesti daun'analisi sociologica: la storia, il costume, igruppi sociali; ma anche quelli meno scontaticome: le questioni di genere, l'anticaaristocrazia, l'università, il sistema sanitario ela metropolitana. Un capitolo a parte,arricchito da foto uniche, è dedicato alladettagliata descrizione dello sviluppo urbanodi Delhi e a quartiericome Gurgaon eDwarka, luoghi simbo-lo della modernità in-diana, o ChandniChowk: un tempo sededi dimore nobiliari eluogo di tradizioni, vit-tima, oggi, del sovraf-follamento e del degra-do. Come in un granderacconto collettivo gliAutori danno voce allepersonalità più o menonote dei settori strate-gici dello sviluppo eco-nomico ed umano diDelhi, perché è inquesta città che siritrova la sintesi dellecon-traddizioni e dellemeraviglie dell’Indiaintera e dove si trova, con le parole degliAutori, il “Bastone del Comando” del sub-continente: “Per l’India non esiste problemadi rilevanza nazionale o internazionale che inqualche modo non vada a riflettersi suDelhi” (pag.143). Non mancano poi brevi confronti con lacultura europea, che aiutano il lettore adorientarsi nel labirinto indiano, fino aconsiderare anche il particolare punto di vistadegli expat (gli stranieri residenti e benestanti)nella società indiana. Ed è proprio una diloro, Francesca Aragone, che nel suo micro-saggio chiarisce il senso del titolo che gliAutori hanno scelto per il loro lavoro: “Delhiè stata la capitale di diversi imperi e uffi-cialmente all’interno dell’area su cui oggisorge New Delhi gli storici contano settediverse città costruite nel corso degli anni. C’è

chi arriva addirittura ad enumerarne 16.Qualunque tesi si voglia sposare, bisognapoi aggiungere alla conta un’ultima città,ovvero la Delhi Imperiale, che dà originea quella che noi chiamiamo New Delhi.Oggi giorno le 7 città sono fuse senzasoluzione di continuità …” (pag. 24).L'analisi è condotta con rigore e consguardo aperto anche sugli elementi piùcritici della società indiana: la corruzione,ancora largamente diffusa e la violenza sulledonne, ampiamente raccontata anche daimedia europei. Il linguaggio utilizzato dagli

Autori è chiaro e lo stileaccattivante e mai bana-le. Da notare che ilvolume è aperto conl'intervento del mece-nate italiano EmanueleF.M. Emmanuele, Pre-sidente della Fondazio-ne Roma, che nel 2012ha sorpreso la Capitalecon la mostra “Akbar. IlGrande Imperatoredell'India”. Nel suobrillante contributoEmanuele richiama letante affinità che acco-munano Delhi conRoma: entrambe inpassato capitali digrandi imperi.

Giorgio Pacifici e Ugo Pacifici Noja hanno“catturato” il genius loci della Capitale indiana el'hanno concentrato per sempre in questopiccolo ed elegante volume della Fontana diTrevi Edizioni e a testimonianza del fortelegame tra i due studiosi e la capitale indiana,i ricavati dei diritti d’autore andranno abeneficio della Women Work & HealthInitiative: un’associazione senza fini di lucro,che promuove l’alfabetizzazione delle donnedel quartiere Sangam Vihar a Delhi. Ma Lacittà dalle sette vite, è anche il primo volume dellacollana Spazio, spezie e fiori di Ibiscus, curata dallostesso Giorgio Pacifici e destinata ad esplorare lavarietà umana e culturale del continente asiatico.Aspettiamo dunque ancora che Giorgio Pacificici inviti e ci conduca a conoscere questo magicoe imprevedibile territorio.

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Il trasformismo in politica ha radici lontane. Male sue manifestazioni, come vedremo, sono semprele stesse. E forti sono le analogie col presente.Vediamo le principali.Per rimanere alla storia contemporanea,ricordiamo che nella Francia rivoluzionaria leelezioni del 1792 avevano consegnato allaConvenzione due ali estreme, la Gironda e laMontagna, ed un centro moderato e maggioritario,la Pianura, presto spregiativamente definita laPalude, un appellativo destinato in seguito agrande fortuna, e che ancora oggi viene utilizzatonel gergo politico. La collocazione al centro dello schieramento el'intrinseca eterogeneità politica dei suoi componentirese la Palude indispensabile per la formazione diqualunque maggioranza. Fu così che la Palude prima consentì aimontagnardi di trionfare sui girondini,inaugurando la stagione che presesignificativamente il nome di Terrore, per poiprendere il potere alla morte di Robespierre, edinfine svolgere un ruolo decisivo anche in seguito,nella fase che portò alla costituzione del 1795, oCostituzione dell'anno III, secondo il nuovocalendario repubblicano. Una costituzione che,risentendo nel suo impianto della negativaesperienza del Terrore, assegnava il potere ad unorgano collegiale, il Direttorio, e proponeva unmodello costituzionale attento a non favorirel'egemonia di un politico né dell'assemblea. Unmodello esportato poi alle repubbliche italiane.In Italia, il termine trasformismo prende piede inparticolare dopo l'unificazione nazionale, e designauna prassi contraddistinta dal variare dellemaggioranze grazie al passaggio di parlamentari,sia della Destra che della Sinistra, da unoschieramento all'altro. Un fenomeno antico, sidiceva. Ed anche una prassi che in realtà si erainstaurata anche prima dell’Unità d’Italia, nelleassemblee parlamentari del Regno di Sardegna. Una manifestazione di trasformismo vieneritenuta il cosiddetto Connubio, cioè l’alleanzamaturata nel 1852 tra la componente progressistadella Destra storica, che aveva il suo leader inCavour, e quella più moderata della Sinistra. In realtà, tuttavia, il fine di Cavour era quello diampliare la base parlamentare al fine di attuareriforme strutturali nel Regno di Sardegna, in una

fase storica nella quale occorreva sostenere sulpiano economico l’industrializzazione e sul pianopolitico il processo di unificazione nazionale. Un rilevante effetto del Connubio fu la creazionedi una nuova centralità delle componenti moderate,e una corrispondente perdita d’influenza delle aliestreme. Ma è importante notare una caratteristicadi quel processo: la distinzione tra maggioranza eopposizione non venne meno. Piuttosto si venne a creare una zona grigia traparlamentari che militavano in fronti formalmenteopposti, nella quale si costruirono intese e alleanze.Una zona grigia, una fascia smilitarizzata nelteatro di una lotta politica nella quale lamaggioranza e l’opposizione continuavano asvolgere il loro ruolo istituzionale. La maggioranza, che tra il 1861 e il 1976 eraguidata dalla Destra storica, erede e interprete delpensiero liberale e risorgimentale. La Destra avevaun problema principale: doveva risanare il bilanciostatale che durante le tre guerre d’indipendenza del1848, 1859 e 1866 si era fortemente squilibrato.Per farlo aveva tra l’altro aumentato, allora comeoggi, il livello della pressione fiscale. L’opposizione, che al tempo si chiamavaSinistra, senza aggettivi qualificativi, avevadunque buon gioco nel rappresentare il disagiosociale derivante dai provvedimenti più restrittivi eimpopolari. Fece epoca la protesta sociale sullacosiddetta tassa sul macinato. E un altro motivo didiffuso malcontento fu la politica nei confronti delMezzogiorno che, allora come oggi, non fu capacedi riequilibrare il suo modello di sviluppogenerando ricchezza e lavoro. Inoltre il modello amministrativo era centrato sulmodello piemontese, e anche la classe dirigente cheoperava nel Mezzogiorno veniva dal Nord, mentrequella borbonica ne rimase ai margini. Insomma,non ci fu la sperata osmosi e le due Italie restaronoseparate. Il Brigantaggio, e la repressione che neseguì, ne costituì la manifestazione più evidente. Furono queste le ragioni principali per le qualinelle elezioni politiche del 1876 si registrò lacaduta della Destra storica e l’avvento al poteredella Sinistra. I problemi tuttavia, brigantaggioincluso, non si risolsero con l’alternanza al governodel Paese.

(3-continua)

MARGINALIA di Antonio Casu

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I volti del Gattopardo. Le origini del trasformismo

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Una linea progressista della storia dovrebbecondurci ad un Paese saturo di positività: unasocietà libera e rassicuratrice, un corpo di soggettioperosi e solidali, un castello senza ponti levatoi,una giustizia equa e redentrice, una comunitàaffratellata nel rispetto dei simili che valorizza laparità di genere, una scuola che al sapere astrattoaggiunge l’arte del fare e l’operosa sapienza delcreare, uno Stato che teoricamente dovrebbedismettere l’abito del guardiano per assumerequello dell’ospitalità e, last but not least, fornireai destinatari della sua autorità e potere il donodella sicurezza. Un gioco prospettico di speranzedisseminate tra il terreno di una storicitàcontingente e trainante e la rappresentazione diun luogo dipinto sulla tavolozza del desiderio cheall’attesa fornisce l’alimento dell’immaginazionee al richiamo del bisogno risponde con l’inno allagioia ritmato con la danza onirica d’unaprofezia salvifica: antidoto che un destino oscuromanovra irresponsabile. La delusione non riescead attingere il processo di disincanto della nien-teficazione in agguato e l’uomo si culla nellafrantumazione di un corso d’acqua friatica bevu-ta con ritmo saltellante, melodia che incanta ildanzatore inesperto immolatosi al ritmo sfrenatoverso la consumazione totale del volere quellafelicità appagante che la linea progressiva dellastoria promette.Il sostegno alla fede utopica di poter eternizzareil bene e con esso la gioia viene purtroppo resoinstabile dal seme dell’incertezza, dal germe dellafragilità nell’universo umano, dall’imponderabileprocesso di disgregazione della protezione moraleche la volontà opera nel rapporto del singolo conla comunità; pena il sorgere della rotturadell’equilibrio tra uomo e società e lo scatenarsidel male nella vita della comunità. Emerge pro-rompente la condizione della violenza e lo statodi insicurezza nella vita individuale e collettiva.Allora il teatro della vita collettiva si popola diattori, gli umani, che smentiscono la rappre-sentazione del bene, infrangono la regola dellaresponsabilità e del diritto per cedere alla forzadell’istinto, dell’irrazionale, del demone dell’aggressività generando stupore nei propri simili,essi stessi sospinti nel gioco del rapporto carnalee vittima. Di qui la condizione di fragilità diuna vita che sconfessa la tendenza alla sicurezzae alla pace per irrorare l’esistenza individuale e

collettiva con il complesso degli atteggiamenti delsospetto e della diffidenza. Lo sguardo si fa dub-bioso e scrutatore sul compagno di viaggio che tisiede accanto o di fronte, sul viandante checalpesta lo stesso marciapiede, sull’individuo chenel parco getta il suo sguardo sui bimbi cheignari danzano come farfalle agili sospinte dalvento inconsapevole del probabile gesto di unamano pronta a colpire.Il mondo sognato dall’utopica riflessionedell’intellettuale costruttore di città regolate daldesiderio di una vita socialmente sana eprosperosa si converte di fatto nella città segnatada vicoli oscuri, dove si annida la sorpresa di unpredatore pronto a convertirti in vittima o nellastanza di una dimora costruita per la nascita diun nido produttore di felicità convissuta tra-sformata in laboratorio di violenza, in officina disoprusi generati dal primordiale istinto deldominio. In questo labirinto di oscurità dilagantel’uomo si spoglia della veste ornata di certezzegratificanti e portatrici di luce per scivolare nelbuio di una sicurezza frantumata. Il coibente diuna città costruita sulla roccia si sgretolarovinando a valle dell’insicurezza, spazioprivilegiato per il rapace condor della paura, chetrascina l’inerme preda nella caverna degli istintilibertari. Ed è così che la violenza, anchequando non s’impossessa della città dell’uomo,produce frammenti di umanità tradita, covati ecoccolati in uno sparo di pistola, in un coltello dicucina, in un laccio che soffoca, in uno stuprobestiale, in un furto di icone sacre, in un gestofolle come quello di Mada Kobobo, ghanese di 31anni, che nel maggio del 2013 a Milanoaggredisce due persone e sulla strada che percorrecome un automa, colpisce con un piccone unpensionato e uccide davanti a un bar un uomo esi scatena contro un ragazzo. Il demone dellaviolenza canta vittoria non solo perché tronca lavita di cittadini inermi svegliati da una esistenzapensata serena e protetta dalla vigile coscienza diessere parto di un tutto chiamato città, comunità,ambiente, segnali di appartenenza ad una societàdifesa dal potere protettivo e rassicurante di unastruttura statale che difende i suoi cittadini; lavittoria è più profonda e più coinvolgente perchémina la certezza dell’essere protetti da quellasicurezza metafisica che l’uomo, come cantavaRousseau, in natura è buono.

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FRAMMENTI di Angelo G. Sabatini

Una sicurezza oscurata

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Questo libro chiude degnamente leattività del Comitato nazionale dellecelebrazioni per il bicentenario diGiuseppe Garibaldi e descrive attraverso151 lemmi recanti il nome di altrettantipersonaggi vissuti a cavallo tra XIX e XXsecolo i percorsi biografici, politici eculturali di quanti tra i contemporanei esuccessivamente tra i posteri ebbero aincrociare la loro vita o i loro studi ocomunque la loro attività intellettuale e dilavoro con il personaggio passato allastoria con il soprannome di Eroe dei dueMondi. Quello che ne risulta è un profiloa più mani che ci restituisce i mille modiin cui fu di volta in volta visto, percepitoe rappresentato l’uomo dei Mille: serviràcertamente agli addetti ai lavori ma allostesso tempo sarà godibile da qualunquelettore nutra qualche interesse per levicende, gli uomini e le idee che hannoportato l’Italia all’Unità. Può costituireuna garanzia in questo senso il fatto checon Garibaldi e con quanti hanno scrittosu di lui raramente ci si annoia. Grazie al contributo degli studiosichiamati a collaborare, all’incirca unanovantina, ci troviamo in condizione diconoscere, spesso scoprendole per laprima volta, le vite e l’impegno di lavorodi alcuni compagni e compagne di lotta diGaribaldi, di uomini politici sia del suotempo che dei decenni successivi, dipoeti, romanzieri, memorialisti enarratori, coevi e posteriori, oppure diregisti cinematografici, o di pittori,scultori e disegnatori: tutti in qualchemodo soggiogati – anche i detrattori - dalfascino di un uomo capace, con la suapersonalità, di parlare a chiunque con illinguaggio più facilmente decifrabile,

quello dell’azione e dell’esempio. Anchegli storici sono qui adeguatamenterappresentati, ma senza quellapreponderanza che ci si potrebbeaspettare, a riprova del fatto che peraccostarsi a Garibaldi, ora come allora, ilpunto di partenza non è necessariamentequello dei professionisti della ricerca.Anzi, per dirla tutta, leggendo taluni diquesti lavori, a volta dalle dimensioni diveri e propri saggi, vien fatto di pensareche un eccesso di accademismo,privilegiando una chiave di lettura percosì dire ideologica ovvero iper-specialistica, possa pregiudicare una pienacomprensione del personaggio e delle suemolte sfaccettature togliendogli queltanto di mitico con cui lo osservava lagente del popolo: di qui l’impressione cheun quasi contemporaneo come ErnestoTeodoro Moneta o un poeta comeCarducci colgano bene le caratteristicheumane del Nizzardo senza tuttavialasciarsi sfuggire quelle qualità di realismoe lungimiranza politica che in sede storicasono state più volte messe in dubbio.Vero è che anche tra i contemporanei, esoprattutto tra quelli che appartenevanoallo schieramento repubblicano o piùgenericamente democratico – in unaparola la Sinistra di allora – eraabbastanza diffuso il giudizio di chivedeva in Garibaldi un grande uomod’armi ma una povera intelligenza politicama questo non pregiudicava nél’ammirazione né il rispetto per lui. Moltidegli interventi qui riuniti ruotanoattorno a questo tema, che con l’altro delrapporto Garibaldi-Mazzini su cui puremi soffermerò costituisce, almeno sotto ilprofilo storiografico, l’asse di una

UOMINI E IDEE

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Giuseppe MonsagratiGaribaldi. Due secoli di interpretazioni

Garibaldi. Due secoli di interpretazioni, a cura di Lauro Rossi segretario del Comitato nazionale delle celebrazioni per il bicentenario di Giuseppe Garibaldi

presieduto dal sen. Andrea Marcucci.

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riflessione che, iniziata negli anni dellelotte per l’unificazione, ha poi innervatodi sé le ricerche di biografi e storici. Disolito tale giudizio rifletteva unapreoccupazione, che nei democratici eraquella di una possibile eccessivacedevolezza del Nizzardo alla monarchia(era questo il caso di un Asproni, di unBovio, di un Guerzoni, di un AndreaCosta, per non parlare di Bakunin o diMarx che al di là della monarchiavedevano la struttura sociale su cui essapoggiava); nei liberali conservatori allaD’Azeglio o alla Cavour il timore erainvece quello cheuna sovraesposi-zione del guerriglieropotesse oscurare lafigura del sovrano atutto vantaggio dellapropaganda mazzi-niana. Ripresa, comedicevo, dagli storici,una impostazionedel genere reca in séuna buona dose ditendenziosità e diastrattezza: si spiegacosì la reazionerisentita di Alessan-dro Galante Garroneche giudica assaisospetto l’accani-mento contro lepresunte insuf-ficienze di Garibaldicome politico.D’altro canto l’affermazione di RosarioRomeo stando alla quale in Garibaldi illato davvero deteriore sarebbe costituitodall’istanza populistico-illiberale da cuideriverebbe la sua fiera avversione per leistituzioni rappresentative cogliecertamente un dato di fatto qualel’antiparlamentarismo; e tuttavia puòessere condivisa solo se tale istanza la siriferisca al conflitto con Cavour e coigoverni di Destra e non al periodosuccessivo al 1870, che è quello in cuiproprio attraverso una presenza assiduain Parlamento prende corpo il rifor-

mismo sociale di Garibaldi: quelriformismo, per intenderci, che piaceràtanto a Bettino Craxi, anche lui presentein questa selezione assieme ad altriuomini politici del Novecento, a Nenniche lo precede di qualche anno con unabiografia scritta durante l’esilio, aicomunisti Gramsci, Longo, Secchia,Togliatti, sempre consapevoli delladimensione popolare del personaggio chenon hanno dubbi a inserire nella lorotradizione pur nella critica di unRisorgimento borghese e di classe, agliuomini di Giustizia e Libertà, i vari

Rosselli, Calaman-drei, Bauer, ErnestoRossi, che inveceaccolgono tutto diGaribaldi facendo dilui il campione delriscatto nazionale danemici interni edesterni. A questalunga lista diprotagonisti dellalotta politica nove-centesca in cuifigurano anche inazionalisti e unMussolini qui analiz-zato in tutta la suacomplessità gli unicicattolici che si pos-sono aggiungeresono rappresentatida alcuni gesuitidell’Ottocento e da

qualche storico reazionario, a riprova diuna distanza che i cento anni e piùtrascorsi da quegli avvenimenti non sonoriusciti a colmare.Ci si potrebbe chiedere se un librocome questo, sorta di dizionariobiografico nel quale sono stati fattientrare personaggi così eterogenei, sia daleggere o solo da consultare. Chiaramenteil primo livello è quello proprio deidizionari: si leggono i singoli profili, incerca un po’ alla rinfusa di curiosità enotizie riferibili più o meno direttamenteall’uomo intorno al quale ruotano gli

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interventi qui raccolti. Non direi che èquesto l’unico livello disponibile enemmeno il più consigliabile. Unesercizio che un lettore accorto potrebbecompiere (e non solo in funzione di unamigliore conoscenza di Garibaldi)sarebbe a mio parere quello di intrecciaretra loro alcune di queste biografie, quasifacendole dialogare e rintracciando infiligrana i punti di frizione o di raccordo.Come evolve l’atteggiamento dellaSinistra verso le lotte nazionali nelpassaggio per così dire dall’eredità dellaRivoluzione francese all’impatto avutodalla rivoluzione russa? cioè a dire nelpassaggio dai rivoluzionari romantici agliinternazionalisti e poi ai protagonisti dellavita politica del Novecento? E quale è ilrapporto tra trasformazione politica delmondo e ricerca storica? tra nascitadell’Italia unita e vita culturale del paese?Uno dei vantaggi dell’impostazionediacronica di quest’opera sta appunto nelfatto che essa consente, per usare untermine preso in prestito dal lessicomerceologico, la tracciabilità delle ideecon le quali si è misurata e sulle quali si èvenuta formando la vita non di un uomoma di più generazioni di cittadini italiani,europei e in qualche misura anche extra-europei. Qui non c’è solo il Risorgimento:qui c’è il Risorgimento come luogod’origine dell’Unità nazionale, ma c’èanche il Risorgimento come matrice delleideologie del periodo post-unitario, eGaribaldi costituisce la sintesi più efficacedi un’epoca storica in cui confluisce laquestione italiana, in un quadrocomplessivo che però va ben oltre iconfini della Penisola. Questa è solo una delle tantesollecitazioni che possono venire dallascelta di accostarsi a Garibaldi attraversopiù tagli prospettici. Parafrasando unacelebre affermazione di Jules Micheletpenso di poter dire che c’è in tutto ilRisorgimento (e forse anche nellasuccessiva storia dell’Italia liberale) unsolo personaggio (e non se ne conosconoaltri) che possa prestarsi a una così ricca evariegata molteplicità di approcci quale

quella documentata in questo volume.Come per Michelet, che però si riferivaalle caratteristiche eroiche dell’uomo,questo personaggio è Garibaldi. Ora èevidente che nella nostra storia sonoparecchie le figure che nei rispettivi campid’azione o di pensiero hanno esercitatoun peso ragguardevole: un peso forsesuperiore al suo, o magari senza forse, sesi pensa al ruolo svolto da un Cavour eprima ancora da un Mazzini. E perònessun altro ha saputo al pari di Garibaldifarsi ascoltare dalla gente e convincerla -quale che ne fosse il livello culturale o ilceto di appartenenza o il paese d’origine -a sostenere una causa che altrimentisarebbe stata affare riservato alle corti ealle diplomazie. Nessuno – lo si vede daqueste pagine - ha saputo ispirare con lastessa intensità i poeti, i romanzieri, gliartisti; nessuno è entrato nell’im-maginario collettivo con la stessaprepotenza ma anche con la stessaumanità con cui vi ha fatto irruzionequesto marinaio figlio di marinai, spessouscendone trasfigurato nelle forme delmito o della leggenda: che è un altrosegno della sua popolarità. Trasmesso e interpretato da lui l’idealeumanitario della nazione ha avuto piùforza agli occhi delle masse perché, aprescindere da aspetti quali il disinteressepersonale, l’onestà, la lealtà, proveniva daun uomo che era nato in una città posta aimargini della Penisola e presto destinata anon farne più parte: se in lui il sentimentonazionale era così forte, come non potevaesserlo in coloro la cui italianità erageograficamente meno precaria? Peraltroera appunto questa sua origine perifericaa conferirgli i caratteri del cittadinod’Europa che mentre si batteva per lalibertà della propria patria non riusciva anon pensare alle patrie altrui, tanto dafare di Caprera all’indomani del 1860 unodei luoghi d’approdo privati piùfrequentati del Mediterraneo. Certo,l’amore delle folle non gli evitò di divenirespesso il bersaglio di molte critiche,appunto perché da più parti gli furimproverato di essersi prestato troppo

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docilmente ai disegni egemonici deiSavoia; resta il fatto che quando intornoal 1854 fece la sua scelta e cominciò arenderla pubblica, Garibaldi non agì néper opportunismo né per una rinunziaall’ideale repubblicano della giovinezza,ma per una realistica considerazione delleforze in campo e della possibilità diottenere con quelle forze ciò che la solainiziativa dal basso non avrebbe maiconsentito di raggiungere. Se c’erabisogno di un’occasione per dimostrare ilsuo fiuto politico non ne avrebbe potutoavere una migliore, tant’è vero che allafine lo stesso Mazzini dovette piegarsi: la

differenza tra i due è che Mazzini, puraccettando l’unità monarchica, non persemai di vista l’obiettivo della repubblica;Garibaldi invece, malgrado tra il 1861 e il1870 si scontrasse più volte con ledurezze del regime e nel suo intimo sisentisse repubblicano, non contestò maila legittimità del potere monarchico,coerentemente con la teoria che avevaenunciato quando aveva parlato del regnoinglese come di una repubblica perchégarante del massimo di libertà possibileper i suoi sudditi. Riservando ad altra occasione unaanalisi del volume che dia lo spazio chemerita anche al Garibaldi dei letterati e aquello dell’iconografia, fondamentale perl’uso che se ne fece in funzione di una più

diffusa pedagogia della nazione, vorreiconcludere con un’ultima osservazione dicarattere eminentemente storico. Ritornasoprattutto attraverso gli scritti deimemorialisti e anche degli storici l’anticae mai risolta questione del rapportoconflittuale di Garibaldi con Mazzini, unMazzini che non sempre esce bene daalcuni di questi contributi, là dove adesempio lo si dice favorevole alla dittaturao lo si qualifica come “prigioniero dellesue formule filosofico-religiose”. Che siaccettino o meno tesi del genere, è miaopinione che quanto di buono e positivoin termini di dedizione alla causa e di

senso della democrazia c’è stato nell’Italiapre e post-unitaria discende quasi sempredalla lezione di Mazzini e di Garibaldi:non da uno solo di essi ma da entrambi,nella sintesi interpretativa che ne fece latedesca Ricarda Huch prima di approdareall’opposizione al nazismo, o nellabiografia garibaldina dell’inglese JasperRidley, obiettore di coscienza al tempodella seconda guerra mondiale; ovveronelle riflessioni degli uomini di Giustizia eLibertà, capaci di andare ben oltre il datobiografico puro e semplice e dunquetralasciando i motivi personalistici deldissenso per cogliere invece il lato piùfecondo e più reciprocamente condi-zionante del loro agire: mai per se stessi,sempre per il loro paese.

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Ringrazio il Presidente, ringrazio la sig.raGianna Radiconcini che mi ha invitata apartecipare a questa Tavola rotonda cheonora un personaggio storico a me caro,ringrazio il pubblico che è presente e,poiché tutto ciò che era importante diredello statista e del giurista è stato detto,autorevolmente detto, concentrerò il miointervento sulla storia personale diOronzo Reale – su aspetti della petitehistoire, se vogliamo – cercando dirappresentare l’uomo Oronzo Reale, cosìcome lo ho conosciuto nel corso delleconversazioni che avemmo fra aprile esettembre del 1985 ogni sabatopomeriggio, nel tranquillo salotto dellasua casa di via del Pollajolo, il salotto diuna casa borghese italiana, che ricordocon alcuni bei quadri dell’Ottocento sullaparete e su un tavolino i fiori freschiaccanto al piccolo ritratto della moglie,scomparsa oltre vent’anni prima.Borghese era del resto l’estrazionefamiliare di Oronzo Reale, undicesimofiglio di un imprenditore edile leccese,Vito Reale, la cui ascesa socio-economicaera stata favorita dallo sviluppo delleinfrastrutture viarie promosso sul finiredell’Ottocento in diverse regioni italiane eall’estero1, e di una donna energica,Antonietta Zaccaria, impeccabile nei ruolitradizionali di madre e di benefattrice.Quando nacque il loro undicesimo figlio, il 24ottobre 1902, Vito e Antonietta gli imposeroil nome del Santo Patrono della città, perimpetrarne la grazia di non avere altri figli.A dispetto del nome, che suonava unpo’ metallico con quella zeta, Oronzo

sviluppò una personalità accattivante. Eraun giovane simpatico, intelligente, ironi-co,affettuoso, allegro, divertente e per questesue doti fu naturale che emergesse fin daragazzo come leader fra altri giovani.La sua formazione ideologica e politicaavvenne nel quadro familiare, attraverso imodelli forniti dalle esperienze dei fratellimaggiori Egidio e Attilio, figure tipichedella generazione dei “figli del Risor-gimento”, impregnati degli ideali repub-blicani e democratici di derivazionemazziniana, che avevano assorbito suibanchi di scuola dalla lettura del popolarescritto etico e pedagogico di GiuseppeMazzini, Dei doveri dell’uomo, e che eranolargamente diffusi nell’ambiente politico-culturale leccese anche per effetto del tipodi evoluzione socio-economica verifi-catasiin Terra d’Otranto a fine secolo XIX2.Le azioni eroiche compiute in Franciadurante la Prima guerra mondiale daAttilio, medaglia d’argento e crocefrancese, accesero anche nel fratelloadolescente la passione politica3.Di Egidio, che era il fratello primo-genito, maggiore di lui di oltre quattordicianni, Oronzo seguì le orme nel muoverei primi passi in politica. Egidio avevacominciato la sua militanza politicarepubblicana a sedici anni, organizzandoa Lecce la prima associazione repub-blicana. Oronzo lo fece a diciassette,costituendo nella città il circolo giovanileGoffredo Mameli. Egidio aveva fondatonel 1909 un giornale di ispirazionemazziniana, «Il Dovere», dirigendolo dasolo per due anni4; Oronzo nel 1920 ne

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Maria Grazia MelchionniOronzo Reale

Il 23 gennaio 2012, presso la Sala della Lupa di Palazzo Montecitorio, è stata commemoratala figura di Oronzo Reale con la partecipazione di Valerio Onida, Livia Pomodoro, ValerioZanone, Maria Grazia Melchionni, Stefano Folli e Giorgio La Malfa. E’ stata l’occasioneper riportarmi alla seconda metà degli anni ‘80 allorché, collaboratore de La VoceRepubblicana, ebbi modo di conoscere e frequentare Oronzo Reale. In omaggio a quegliincontri ritengo doveroso ricordarlo riproducendo l’intervento di Maria Grazia Melchionni,autrice anche del volume Oronzo Reale 1902-1988. Storia di vita di un repubblicano,Marsilio Editore. (AGS)

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ravviò la pubblicazione, insieme aPantaleo Ingusci.Non che Oronzo fosse succube delfratello maggiore, poiché aveva unapersonalità ben distinta, ma per un insiemedi circostante i percorsi di vita dei duegiovani furono per un tratto molto simili.A Roma, durante gli anni dell’università,Egidio aveva collaborato attivamente agiornali e riviste repubblicani5; quandoarrivò anch’egli a Roma, Oronzo funominato segretario generale dellaFederazione giovanile repubblicana edirettore dell’organo di questa, «L’AlbaRepubblicana»6.Egidio si era laureato in Giurisprudenzaa Roma nel 1912 e aveva cominciato afare l’avvocato; Oronzo andò a Roma nelnovembre del 1920 per iscriversi adIngegneria, ma giunto al secondo anno,impedito a frequentare dall’impegnopolitico e negato come sentiva di essereper il disegno, passò a Giurisprudenza epoi si diede all’avvocatura.Non solo, ma Egidio sposò TeresaGarbini nel 1922 e Oronzo sposò poi lasorella minore di Tina, Giuseppina, cheera bellissima ma che morì giovane.Egidio si schierò contro il fascismo findall’estate 1919, in preparazione delleelezioni di novembre, e il giovane Oronzofu tra quelli che lo affiancarono7, così co-me fu l’anima della campagna elettoraledel fratello a Lecce nel 1924 contro il can-didato fascista che era Achille Starace8.Così, sia per i legami familiari che per leidee repubblicane ed antifasciste, Oronzofu molto vicino ad Egidio, fino a quandoquesti, nel 1926, per sfuggire allapersecuzione fascista lasciò l’Italiaclandestinamente.L’impegno profuso nella lotta politicadai due fratelli Reale in occasione diquelle famose elezioni, che si svolserosulla base delle legge maggioritariaAcerbo, pose entrambi nel mirino delleautorità fasciste: Egidio, che era membrodella direzione del Pri9, ed Oronzo che,dopo aver lasciato per limiti di età nel1924 la segreteria della Federazionegiovanile repubblicana e la direzione de

«L’Alba Repubblicana», aveva fondato nel1925 un giornale universitario, «IlGoliardo», con il quale andava con-trastando la diffusione del fascismo e delnazionalismo nell’Ateneo romano.Nel 1926 entrambi furono condannati alconfino, ma mentre Egidio fu arrestato ela misura poté essergli in un primo tempoapplicata, Oronzo riuscì a darsi allamacchia, finché il confino non gli futradotto in sorveglianza.Riparato in Svizzera, Egidio continuò dalì la lotta antifascista, mentre Oronzorimase a Roma, all’11 di via Fiammetta,nella condizione del sorvegliato speciale,continuando a lavorare un po’ nellostudio di avvocato con un amico, EttoreTroilo, dopo che il fratello era dovutoscappare all’estero, ma al margine dellavita pubblica e sociale.Nell’intervista con me egli ricorda alcunimomenti di quegli anni, nei qualil’isolamento di coloro che non sischieravano con il regime fu crescente,fino all’acme segnato dall’impresaetiopica; ricorda alcuni episodi riguar-danti il controllo di polizia, ora pressante,ora lasco, ma comunque condizionante, alquale era sottoposto nei suoi movimenti enei suoi incontri.Il quadro che egli fa della situazione èpreciso nella sua essenzialità e chiaro, glisnodi della storia sono tutti rappresentati,i buoni e i cattivi sono nettamente iden-tificati, ma non c’è odio nelle sue parole,non c’è desiderio di rivalsa. Il suo rac-conto, come scrissi allora, è “una paginadi umanesimo, impastato di capacità dicomprensione e di tolleranza”10.Profilandosi la fine del fascismo, nellaprimavera del 1942 Oronzo Realepartecipò in pieno all’operazione dirinascita dei partiti, insieme a un grupporomano di vecchi appartenenti al Pri,molti dei quali avvocati, che elaboraronoin proposito un loro “Programma deiplatani”, con l’obiettivo, fra le altre cose,di porre mano alla questione istituzionalee di dar vita ad un grande movimentorepubblicano, antifascista, ma bendistinto dai socialisti, e che su queste basi

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aderirono come membri fondatori alPartito d’Azione.Membro del Comitato esecutivo delPdA dal settembre 1943, rappresentantedello stesso nel Cnl romano dal 1944,Oronzo Reale rimase ligio alla pregiu-diziale repubblicana anche di fronteall’emergere di tendenze compromissorie,confermandosi uomo di grandi principi.La guerra aveva fatto tabula rasa delquadro politico in Italia e tutto era darifare. Oronzo, che aveva una personalitàcostruttiva, protesa verso l’avvenire, enon aveva grandi interessi oltre allapolitica, vi si dedicò anima e corpo, e neldopoguerra non fece più l’avvocato, masolo il politico.Molto intelligente,dotato di sensopratico, di caratteremite perché tempe-rato da sense ofhumour, easy going sidirebbe oggi, Oron-zo fece una rapidaascesa nella gerarchiadel PdA prima e delricostituito Pri poi enelle cariche politi-che: nel 1945 funominato consultorenazionale e nel giu-gno 1958, alla TerzaLegislatura Repub-blicana, venne eletto deputato alParlamento11.Che dire della personalità di OronzoReale? Un uomo tranquillo, abitudinario:vecchie amicizie, extra politiche;l’abbonamento all’Opera; d’estate semprein montagna, a Premosello (Domodos-sola), dove la famiglia della moglie era dicasa, o nella bella Svizzera. Che avesse una personalità etica glieloriconobbero anche i fascisti, dandogli attodi una buona condotta morale, “nonaltrettanto civile e politica”.Visse “la lotta per la Resistenza come unmomento di grande tensione morale”12,non aveva spirito vendicativo perchéguardava avanti; era ponderato nei giudizi

e preciso, garbato nell’esprimerli; dotatodi visione politica e deciso, ma prudentenel perseguirla.A proposito dei suoi giudizi, vorreicitarne due, che mi sembrano rappre-sentino la sua capacità di introspezionepsicologica e di sintesi espressiva: “Sforza era un uomo di cui avevo unagrandissima considerazione. Era unuomo orgoglioso e vanitoso, ma nonambizioso. Mostrava una notevolefermezza e convinzione nei confronti dicerte idee fondamentali che raramente sitrovano in un uomo politico”13.“Giovanni Malagodi, uomo di estremaintelligenza e di rarissime qualità, mapoco portato per la politica”14, un

giudizio che avrebbepotuto essere sotto-scritto da JeanMonnet, il qualeaveva una grandeconsiderazione perMalagodi, e con luiintrattenne una cor-rispondenza partico-larmente fitta, mache ne stigmatizzavaregolarmente i sug-gerimenti di azionepolitica.Molto importante elucida è la sua testi-monianza sulle ori-

gini della Repubbli-ca, durante la qualeegli fece parte – sono le sue parole – “diquella selezionatissima élite di politici cheanimò il PdA nella sua breve stagionepolitica”.La lettura di quelle pagine offre spuntidi riflessione anche in relazioneall’attualità politica, come quando vi siparla della scelta a favore dellaRepubblica presi-denziale fatta dalDirettivo del PdA nel preparare ilprogramma per la Costituente15.Le nostre conversazioni, che avrebberodovuto svolgersi solo intorno a queltema, dopo aver abbracciato anche ilperiodo del fascismo, si spinsero moltooltre e riguardarono tutto il tempo della

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sua lunga segreteria del Pri (1949-1963):quattordici anni durante i quali ci furonomomenti difficili da superare, sia nellavita interna del Pri (la sconfitta elettoraledel 1953, i dissensi fra Pacciardi e LaMalfa), che nella scelta delle alleanzepolitiche.Nelle elezioni del 1958, Reale fu candi-dato al Parlamento nel collegio di Ancona,fu eletto e poi rimase deputato ininter-rottamente fino al 1976. Mantenne lasegreteria politica del Pri negli anni crucialidel varo dei primi governi di centro-sinistra16, ma l’elettorato non lo seguì nellanuova strada indicata e, dopo le elezioni del1963, che andarono male, egli lasciò lasegreteria politica per entrare nel governoMoro come ministro della Giustizia.Fu quindi la segreteria Reale che portò atermine la missione di far evolvere lapolitica italiana verso il centro-sinistra,mentre La Malfa la continuò e laaccentuò.17Un invito che, rileggendo l’intero corpusdocumentale, mi rammarico di nonavergli rivolto è quello a raccontareattraverso quali esperienze e qualiconsiderazioni era avvenuta l’evoluzionedella sua politica in tal senso rispetto aquella di una decina di anni prima,quando aveva concepito la rinascita delPri su posizioni nettamente distinte daisocialisti. Una risposta, comunque,emerge ugualmente dalle sue parolepoiché egli fa riferimento alla matu-razione che si era verificata dellecondizioni, anche e soprattuttointernazionali, per un’evoluzione deisocialisti verso il centro, che da parterepubblicana si riteneva utile accom-pagnare e assecondare18.I ruoli di ministro guardasigilli, ministrodelle Finanze e giudice costituzionalecoronarono la sua carriera politica fra il1963 ed il 1986. Non mi soffermerò suglieventi più importanti di quest’ultima fase– la delicata operazione politica ediplomatica che fu la legge sul divorzio ela riforma del diritto di famiglia, che nonfu facile disancorare dagli stereotipitradizionali per adeguarlo all’evoluzione

avvenuta nella vita socio-economica eculturale italiana – che sono stati giàtrattati e vorrei chiudere celebrando lafigura di Oronzo Reale conun’espressione inglese che gli si attaglia amio avviso molto bene: a very decent man.

NOTE1 Sonia Castro, Egidio Reale fra Italia, Svizzera edEuropa, Milano, Franco Angeli, 2011, p. 20.2 Idem, pp. 22-23.3 Maria Grazia Melchionni, Oronzo Reale 1902-1988. Storia di vita di un repubblicano storico, Venezia,Marsilio, 2000, p. 26.4 Castro, Op. cit., p. 26 e nota 47.5 Idem, pp. 26-27.6 Melchionni, Op. cit., p. 29.7 Castro, Op. cit., p. 40.8 Melchionni, Op. cit., p. 31.9 Fino allo scioglimento del Pri nell’ottobre del1925.10 Melchionni, Op.cit., p. 19.11 Nel 1955 Oronzo Reale, pur essendosegretario politico del Pri, non entrò a far partedel Comitato Monnet, perché all’epoca non eraparlamentare. La scelta del membro da designarefu fatta dalla direzione del Pri – dopo che JeanMonnet aveva fatto rappresentare da Egidio lanecessità che egli aveva di introdurre nel suoComitato solo personalità munite dell’investituraparlamentare – fra Ugo La Malfa, direttore de LaVoce Repubblica, e Randolfo Pacciardi, exsegretario politico, e cadde su La Malfa.12 Melchionni, Op. cit., p. 64.13 Idem, p. 62.14 Idem, p. 129.15 Idem, p. 97.16 1962, governo Fanfani, con Pri più Psdi e conappoggio esterno dei socialisti; 1963, governoMoro con Pri, Psdi e socialisti.17 Melchionni, Op. cit., p. 146.18 Idem, p. 148.

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Silvio TraversaIl libro di Antonio Casu, edito da uneditore di prestigio quale Rubbettino,offre oggi l’occasione di dibattere, contanti autorevoli relatori, temi di grandeinteresse che il titolo del volume evoca:Etica, politica, democrazia. Nel porgere ilsaluto dell’ISLE, l’Istituto per ladocumentazione e gli studi legislativi che,unitamente alla Fondazione GiacomoMatteotti ha patrocinato questa iniziativa,desidero preliminarmente formulare anome del Presidente dell’Istituto AugustoBarbera, impossibilitato ad essere oggipresente come pure avrebbe voluto,l’auspicio che i nostri lavori risultinoparticolarmente efficaci e costruttivi. Non posso non ricordare che letematiche affrontate nel volume cheviene presentato attengono alle ragionistesse dell’esistenza dell’ISLE cheispirandosi ai principi della democraziarappresentativa, ha tra le sue finalitàstatutarie quella della diffusione degli“studi sulla legislazione e le istituzioniparlamentari anche in rapporto con leistituzioni comunitarie” e di “collaborarealla impostazione tecnica ed alladocumentazione delle attività legislativedel Parlamento e degli altri organicostituzionali”. Così pure non possosottrarmi dal richiamare un’amiciziaultratrentennale con l’autore il qualeall’attività di fedele servitore dell’isti-tuzione parlamentare ha felicemente econtinuativamente accompagnato un’in-tensa attività di speculazione e di studioche si è tradotta in contributi scientifici eculturali di indubbio interesse elargamente apprezzati.In questo contesto proprio per una

qualche affinità con i temi affrontati nelvolume che oggi presentiamo ricordo unaltro importante volume pubblicato daCasu alla fine del 2011 con il medesimoeditore e precisamente “Il potere e lacoscienza” con sottotitolo “Thomas More nelpensiero di Francesco Cossiga” e che mi èmolto caro non solo per il grande affettoche mi legava al Presidente Cossiga, maaltresì perché vi è attentamente analizzatala ricostruzione del ruolo determinanteda Lui svolto quale autorevoleproponente e sostenitore, unitamente apersonalità di tutto il mondo, neiconfronti del Santo Padre GiovanniPaolo II della causa diretta alla procla-mazione di San Tommaso Moro patronodei governanti e dei politici. Il che sirealizzò il 31 ottobre del 2000 con letteraapostolica in forma di “motu proprio” diPapa Wojtyla e fu solennementeufficializzato nel corso del “giubileo deigovernanti e dei parlamentari” il 4 e 5novembre di quell’anno, che ben ricordoper avere avuto l’onore di parteciparvi.Infine desidero richiamare il Convegnoorganizzato dal CENSIS e dall’ISLE l’8giugno 2010 nella sede dell’Accademiadei Lincei e i cui atti sono stati pubblicatinel dodicesimo “Quaderno dellaRassegna Parlamentare” con il titolo Eticae responsabilità – Principi fondamentali e societàcivile in Italia, a cura di Riccardo Chieppa edi chi vi parla, puntualmente citato daCasu, a conferma della spiccata sensibilitàdel nostro Istituto per i temi trattati nellibro che oggi si presenta. In quellacircostanza i relatori affrontarono idiversi profili del rapporto tra etica epolitica ed alle correlate responsabilità nelmondo del diritto e della cultura, delle

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Silvio Traversa, Angelo G. Sabatini, Gerardo Bianco, Luciano Violante, Renato Balduzzi,

Antonio Patuelli, Antonio CasuEtica politica democrazia

Presso la sala del Refettorio della Biblioteca della Camera dei deputati, il 30 ottobre è statopresentato il libro Etica politica democrazia di Antonio Casu

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imprese e delle banche, delle pubblicheamministrazioni, della giustizia edell’informazione nonché gli aspettideontologici nelle varie professioni.Nel ringraziarvi per l’attenzione e per lavostra numerosa partecipazione non miresta che augurare buon lavoro a tutti noi.

Angelo G. SabatiniL’incontro di oggi si colloca nell’ambitodel progetto della Fondazione GiacomoMatteotti per una serie di riflessioni sultema dell’etica pubblica che si è tradottagià sia nella presentazione dell’aureo librodi Antonio Patuelli dal titolo Banchecittadini e imprese sia nel dibattito “Segni esignificati di una crisi” (della democrazia),che è in atto sulla rivista di cultura“Tempo Presente”.Prima di affidare la parola agli ospiti misia consentita una breve riflessionesull’uso storico-critico della parola“democrazia” perché ci aiuta a cogliere ilposto che il termine viene occupato nellariflessione di Casu. Ma ci fa anche capirele ragioni della diffidenza sul valore dellademocrazia e le ragioni che determinanol’inevitabile disagio attuale nei suoiconfronti. L’incipit del prologo del volume ciimmette subito nel cuore del problema: ilsoggetto centrale è la democrazia con lesue molte qualificazioni e il suo stato disalute molto critico.Va ricordato che soltanto dal secoloXIX “democrazia” assume un significatopropositivo mentre dopo l’esperienza diAtene, cui guardiamo con molto interessee apprezzamento, democrazia ha subitouna lunga eclissi con un decorsodegenerativo a partire da Platone che neLa Repubblica dichiara la democrazia“governo degli incompetenti, dovebisogna ascoltare il parere di qualsiasistolto e dove ciascuno pensa a se stesso”e da Aristotele che classificò lademocrazia tra le cattive forme digoverno.Per millenni il regime politico ottimalevenne dichiarato “Repubblica”. Bastapensare a Kant quando nel 1795 scrivevache la democrazia “è necessariamente un

dispotismo”.Dello stesso avviso erano i padricostituenti degli Stati Uniti: Hamiltonparla sempre di repubblica rappre-sentativa, non di democrazia.Per trovare un senso elogiativo bisognaarrivare a Robespierre nel 1794; ma ciòservì a guardare con sospetto allo spiritorivoluzionario che vi era insito. Dallaseconda metà del XIX secolo la parolariacquista un significato positivo epropositivo.Perché questo richiamo storico? Permettere in luce l’esistenza di uno spiritocritico nei confronti della democrazia chefa da sostegno alla comprensione di ciòche chiamiamo “crisi della democrazia”. Una crisi che noi siamo portati acomprendere con una “preoccupazione”che potremmo dire eccessiva sechiariamo anche il valore semantico efenomenologico della parola “crisi” usatacome paradigma di lettura dello stato didisagio in cui oggi la democrazia vive.Nel Prologo Casu ci avverte che laconstatazione della crisi della democraziagenera l’ansia per il suo futuro.Casu sa che il termine “crisi” usato pervalutare lo stato attuale della democraziaha esso stesso una doppia valenza:“negativa” quando l’utilizziamo percogliere l’aspetto degenerativo del sistemapolitico che realizza i principi dellademocrazia, “positiva” quando indica ilprocesso di trasformazione critica e direlativizzazione dell’ideale cui la teoriapolitica si richiama.E’ chiaro che la democrazia non gode dibuona salute e, se fino ad oggi è stataun’aspirazione di milioni di persone e dimolti popoli che non ne godono, ora sipresenta con segni di debolezza e diinefficienza facendo dimenticare che laseconda metà del secolo scorso ne hacelebrato una impressionante serie disuccessi. Basta pensare l’aver sconfitto ilpeggior regime dittatoriale di sempre, laGermania nazista, e ha rimpiazzatodittature in Italia, Spagna, Grecia, creandoin Europa occidentale una pace stabile eduratura come quasi non si era mai vista.E infine la caduta dell’Unione Sovietica.

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Un numero speciale dell’”Economist”ha fornito una descrizione efficace delcambiamento verificatosi, ponendo inluce che cosa fare delle vecchiedemocrazie e cosa con le nuove.Nella trasformazione della vita storicadella democrazia, la descrizionesociologica di essa si riempie di elementivari e determinanti.Questa breve riflessione serve a coglierel’obiettivo e il metodo di ricerca di questolibro che si muove nella consapevolezzache la democrazia è un evento storico cheoggi ha radici instabili perché instabile è ilsistema di valori che guida la societàd’oggi. E nella ricerca di una com-prensione dello stato di crisi della demo-crazia la riflessione di Casu è illuminatadalla consapevolezza che la democrazia,perfetta nella sua struttura formale, è infibrillazione se rapportata alla crisi di unasocietà che a vari livelli difetta di unsistema di valori etici che nuoce allapolitica, alla prassi politica, rendendodifficile l’uso corretto dei principicostitutivi di un sistema politicodemocratico. Da qui il titolo del libroEtica politica democrazia che di per sérappresenta l’istanza di base dellariflessione dell’Autore. Ma non è intenzione dell’Autore di dareforma ad un tribunale per accertare qualiresponsabilità siano da addebitare allademocrazia stessa rispetto alla crisipolitica che stiamo vivendo, quantopiuttosto la chiarificazione di quali siano ifattori “reali” che ne rendono difficile lapiena realizzazione.L’Autore sa benissimo di doversimuovere nella chiara consapevolezza diun quadro storico complesso e per certiversi sfuggente. Sa che le moltequalificazioni linguistiche e storiche che“democrazia” ha subito nel tempo, dallalontana aurea stagione della sua nascita (laPolis greca) all’età del travagliato secolodella sua maturità (il Novecento), seintellettualmente danno un quadro diprogressiva chiarezza di definizionematurata nei 2500 anni dalla nascita adoggi, portano comunque con sé iltravaglio, a volte benefico e a volte critico,

di quanti con occhi diversi e con forzapersuasiva incerta hanno operato nellacertezza che, comunque vista ecomunque declinata, la democrazia è statapensata come teoria politica più vicinaalla possibilità di affermare una societàlibera e rispettosa dei diritti fondamentalidella convivenza civile.Questa consapevolezza illumina il sensoe il valore della riflessione di Casu checon passione e oculatezza si sforza dichiarire ai lettori come e perché una teoriapolitica così maturatasi nell’epoca di unaciviltà, quella europea, tecnologicamenteavanzata e socialmente dinamica, subisceun arresto per certi versi preoccupante.Una teoria politica la cui gestione attualedà segni evidenti di un malessere chespinge alcuni commentatori di tendenzaradicaleggiante a chiedersi se si puòancora parlare di democrazia in Italia e, ingenerale, ama definire la trasformazioneun passaggio dalla democrazia modernaal bonapartismo postmoderno.Un aspetto della riflessione sulla crisiche il libro di Casu sottende ci porta allaconvinzione che la prassi politicaquotidiana ha perso l’aggancio allapiattaforma di lancio della sua funzionepolitica: l’etica. Ecco perché il titolo dellibro Etica politica democrazia rappresentauna silloge circolare dove ciascuno dei tretemi evidenzia la crisi utilizzando gli altri due.L’interrelazione dei tre temi è evidentesia nel dichiarare una connessioneproduttiva nella presentazione di unquadro interpretativo coerente edialetticamente efficace, e sia nelproporre la possibilità di un esito allacrisi, in termini di velata utopia, di unademocrazia come modello imprescin-dibiledi una società moderna e, perché no?,postmoderna come alcuni filosofi politiciamano considerare la democrazia in crisi.Va rilevato che l’andamento costantedelle riflessioni che alimentano questo“Breviario della crisi della democrazia” èl’attenzione a cogliere le ragioni e leforme del sisma che alimenta l’incerta vitadella democrazia nelle forme e nellasostanza di una teoria politica risultata,come dice il celebre aforisma di Winston

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Churchill, “la peggior forma di governoeccezion fatta per tutte quelle altre formeche si sono sperimentate finora”.Lo sforzo di Casu è quello di muoversiattraverso la consapevolezza dellacomplessità della situazione storico-politica attuale e che “la crisi della demo-crazia ha molte cause, politico-istitu-zionali, economico-sociali, culturali”.Ma su tutte sa che esiste anche unproblema etico. Questo tema è, a mioparere, centrale nella riflessione di Casu.Del resto la sua formazione culturale, lospirito che lo muove nella comprensionedi un fenomeno storico-politico cosìattuale, nonché la familiarità di colloquiocon uno dei più accaniti propugnatoridella coscienza etica nell’agire politico,Thomas More di cui è eminentecommentatore, lo spingono a cercarenella mancanza di un afflato etico nellapolitica la causa dell’attuale diffusodisagio e della cattiva lettura della crisi daparte di osservatori frettolosi schierati nelgruppo degli apocalittici.Il richiamo alle molte cause ci consentedi ascoltare l’opinione dei nostri ospiti sulcontributo che il lavoro di Casu porta allacomprensione della crisi, con particolareriferimento al tema del rapporto fra eticae politica.

Gerardo BiancoIl libro di Antonio Casu non solo puòessere definito utile, ma anche, in un certosenso, “aureo”. Una siffatta definizione èpossibile perché il volume condensa unaprofonda conoscenza della teoria politicacon una chiarezza espositiva davveroesemplare.Una chiarezza di linguaggio, la sua, chenon può che essere frutto di una lungamaturazione di pensiero. Casu affrontaun tema centrale del nostro tempo: quellodella crisi della democrazia è un discorsoche viene da lontano, che sta assumendooggi un carattere sempre più marcato,sotto certi aspetti addirittura drammatico.Böckenförde, un grande studioso diquesti temi - che Casu cita - afferma chela democrazia non si giustifica per sestessa. Più precisamente, la democrazia in

sé e per sé è una forma di organizzazionedella società che non ha al suo interno lapropria giustificazione teorica. Non acaso nella lunga elaborazione concettualepolitica, come bene precisa Casu, lademocrazia è sempre accompagnata daun aggettivo, da una qualche specifi-cazione. A questo proposito, nel prologo,l’autore offre una sorta di dizionario dellevarie formulazioni della democrazia,andando subito al cuore del problema.Questa affermazione di Böckenförde sicompleta con la ricerca che lo stessostudioso ha fatto di dare un valoresostantivo alla democrazia. Non si puòimmaginare una democrazia che nonabbia una base ontologica dellaorganizzazione della società. Nel primo capitolo, Antonio Casuripercorre con invidiabile capacità disintesi quasi tutto il percorso del pensierooccidentale, a partire dall’indicazione deldiritto antico – legato alla concezionedivina – fino alla elaborazione dei granditeorici della democrazia.Leggendo questo capitolo ritorna allamente la Raccolta delle vite e delle dottrine deifilosofi di Diogene Laerzio, in cui ilpensiero dei filosofi antichi è sintetizzatoin brevi frasi.A riprova di questa riflessione, si puòfare riferimento ad un autoreparticolarmente caro a Casu, ThomasMore.Citando lo stesso Casu, si legge: “La piùalta voce dissonante rispetto taleindirizzo, nella prima metà delCinquecento, è quella di Thomas More,per il quale il sistema dei valori etici sifonda sull’esistenza di una verità assoluta,attingibile mediante una retta coscienza.Pertanto la politica deve trovare unancoraggio etico nella verità. Il conflittotra Nomos e Logos si risolve in luinell’Utopia, non velleitaria aspirazione auna peraltro inattingibile società perfetta,che caratterizzerà le utopie costruttivi-stiche dei secoli successivi, ma rivendica-zione della libertà di coscienza come estremobaluardo contro l’abuso del potere”.La libertà di coscienza è un dato moltoimportante, che comporta anche un altro

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elemento, presente nel libro: il limite.Questo è il punto. Il limite è un concettofondamentale. Gli antichi Romaniavevano capito che la costruzione dellaRepubblica non si verifica senza ilrispetto del mos maiorum, cioè di quelcomplesso di valori trasmessi di genera-zione in generazione e ritenuti essenzialiper il mantenimento della coesione.Il grande problema di fronte al quale citroviamo – e che Casu mette in luce – è ladissoluzione della comunanza dei valori:nel momento in cui nonci si trova più di fronte avalori condivisi, lademocrazia arretra finoal punto di diventareteoria della neutralitàrispetto ai valori, con-fondendo Stato etico enecessaria creazione diuna democrazia accetta-bile, quale è quella deivalori condivisi, che nonpossono non essernealla base. Negli anni Quarantal’esperienza costituentepoté esprimersi sotto ilsegno della condivisionedei valori, nonostante laprofonda divisione teo-rico-filosofica sul mododi condurre una società.Tale divisione contrap-poneva la visione comunista alla conce-zione delle libertà democratiche conce-pite in termini occidentali, seppur nelsolco di un fondo valoriale comune,come per l’idea della famiglia.Sono rimasto molto colpitodall’intervista rilasciata al «Corriere dellaSera» da uno scrittore giornalista di «LeFigaro», che ha pubblicato un libro nelquale sostanzialmente si sostiene laprogressiva scomparsa di una originariacultura francese. Naturalmente questodiscorso è parziale e sbagliato, macontiene un elemento di verità,riguardante la crisi della democrazia inFrancia, che trova le sue ragioni nelle suemodalità meramente procedurali. La

procedura come unica giustificazioneporta a conseguenze nefaste: lademocrazia, diventando soltantoprocedura, finisce per realizzarsi nelprincipio non giustificato della legalità. Il grande conflitto che non può noncimentare la riflessione dei teorici dellapolitica e del pensiero filosofico riguardala possibilità di conciliare insieme lademocrazia come sistema di libertà (chenaturalmente rimane il sistema politicopiù accettabile) con il problema di una

società che si disperdeormai intorno alla merarichiesta di diritti. Unasocietà che rinnega ilprincipio che gli antichiindividuavano nel fas enel nefas, cioè in ciò che èlecito e in ciò che non loè. Una società in cuil’unica cultura è quellaacquisitiva, per cui ogniindirizzo deve esseresoddisfatto, in cui nonc’è più un limite. Il limiteè un concetto fonda-mentale sul quale insistegiustamente Casu. Unasocietà senza limitidiventa inevitabilmenteun sistema che porta alladispersione e alla deriva. Il problema è quello diriuscire a riconciliare

questi elementi e a ricreare questecondizioni. Fondamentale in una democrazia è ildialogo, lo scambio di idee, l’interazionetra posizioni diverse che portano ad unelemento comune: una posizione moltopresente dal punto di vista concettualenella predicazione di Papa Francesco,imperniata sul dialogo come elementofondante di una possibile costruzione divalori, fatta però senza pregiudizi, con laconsapevolezza di chi comincia da zero ecostruisce insieme, altrimenti l’esito finalenon può che essere quello delladestrutturazione della democrazia.In una società liquida, non sostenuta daun sistema di valori condiviso, il pericolo

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è quello della legalizzazione della stessamancanza di valori. Basti pensareall’Olanda, dove esiste un movimentoche, anche sulla base di richiami allacultura antica, sostiene la legalizzazionedella pedofilia. In Germania la legge hadeciso per la prima volta che anchel’incontro tra fratelli e sorelle può essereconsiderato come fatto neutrale.E’ complicato conciliare il senso dellalibertà con il senso dei valori condivisi,ma senza valori condivisi, non sicostruisce una democrazia. Quelle diCasu sono pagine di estrema efficacia, incui l’autore con grande consequenzialità econ rigore logico preciso trae leconseguenze di quello che potrebbeaccadere La società che resta vittima della perditadi valori condivisi, diventa inevitabil-mente corporativa: rispetto alla perdita divalori condivisi, emerge solo l’interesse,in una cultura contemporanea organiz-zata sul mero hic et nunc, dove non c’è unpassato che ispira né un futuro al qualeguardare, perché quello che conta è lasocietà del web e della pura comuni-cazione, che Casu giustamente individuacome società frammentaria, priva diquella solidità d’insieme necessaria persostenere un sistema istituzionaleefficace.Il libro è di grande interesse. Tra leindicazioni finali vi è una luce di speranza,perché si sostiene che non è detto che glielementi di crisi, anche quelli più gravi,non possano essere l’inizio di unarisposta positiva agli elementi negativipresenti all’interno della società.Alcune indicazioni vengono date inmaniera estremamente chiara. Si parladegli effetti della globalizzazione, dellasostituzione dell’economicismo allapolitica, altro elemento fondamentalenella riflessione: nel momento in cui lapolitica perde il suo aggancio con ilretroterra etico è evidente che la politicaperda la sua fondamentale funzione diaggregazione, divenendo mero spazio diproliferazione di interessi particolari.È inevitabile che la politica entri in crisi,perché in assenza di regole la personalità

dei più forti diventa prevalente eschiacciante sui più deboli e lademocrazia finisce per perdere la suafunzione di aggregazione e dicomunanza. Allo stesso tempo, la ricercadell’uguaglianza non può derivarenell’ugualitarismo, responsabile dicomprimere i meccanismi della crescita edello sviluppo. A questo proposito sipensi a de Mandeville, alla sua Favola delleapi, in cui emerge l’idea che soltantol’invidia possa essere un elemento dipromozione sociale.In sostanza dobbiamo stabilire se unademocrazia basata sul vizio – con una suadinamicità – possa reggere alla lunga,oppure se sia una democrazia (quella dellelibertà individuali) che in qualche manierarecupera le virtù e i valori quella che puòdare le migliori risposte. Naturalmente laposizione di Casu è che non sul merito,non sul vizio, non sugli elementi negatividella competizione e dell’invidia, masoltanto sulle virtù è possibile creare unsistema solido. L’aveva capito giàMazzini, che rovescia il discorso dei dirittiin favore di quello sulle responsabilità. Èuna riflessione che da Aristotele,passando per Kant, giunge ai nostrigiorni. Non a caso questo libro si aprecon un passo tratto dell’Etica Nicomachea,in cui si sottolinea come ciò a cui l’uomodeve tendere sia il bene e non possaessere niente altro. E il bene è collegatoinevitabilmente con l’etica. L’etica diAristotele, d’altronde, non è quellaindividuale, ma quella della città, atestimonianza di come il filosofo grecoavesse capito perfettamente che percostruire una democrazia c’è bisogno diun necessario fondamento etico.

Luciano ViolanteUno dei grandi meriti di questo libro èquello di non precipitare i concettiall’interno di una sorta di “baratroregolatorio”, ovvero dell’idea che quandosi parla di democrazia e di politica tuttodebba chiudersi nei limiti di un sistema diregole. Le regole sono certamente utili enecessarie, ma esse da sole, come si èvisto, non garantiscono la democrazia. Il

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merito di questo libro è di porre l’accentosu quello che manca al dibattitoprevalentemente regolatorio che si apresolitamente su questi temi: una Camera,due Camere, legge elettorale. Lademocrazia deve avere una spinta moraledentro di sé, perché senza di essa nonriesce a realizzare i suoi obiettivi: è questoil senso del libro. A questo proposito èinteressante soffermarsi sui fattori che –nel ragionamento di Antonio Casu –impediscono alla democrazia di realizzarese stessa.Nei Discorsi sopra la prima Deca di TitoLivio, Machiavelli sottolinea un concettoassolutamente importante: sofferman-dosi sulla grandezza di Roma repubbli-cana, afferma che la grandezza di Romarepubblicana fu nella capacità di ordinareil conflitto.Parlando di ordinamento del conflitto,Machiavelli intendeva riferirsi allanecessità che lo scontro abbia dei limitidefiniti. D’altronde i limiti al conflittonon derivano da un sistema di regole, madall’idea che un sistema politico nonpossa reggersi su una conflittualitàpermanente ed esasperata. Questodipende dal fatto che entrambe le parti inconflitto hanno una stessa idea del futurodella comunità nella quale operano evivono.Quello di cui si discute qui non èsoltanto un problema italiano: alla finedello scorso anno, ad esempio, gli StatiUniti hanno vissuto un momento difortissima tensione a causa del rifiuto deirepubblicani di garantire ad Obama lapossibilità dello sfondamento del tettocostituzionale del deficit. In quel periodo,in un’intervista a «Il Messaggero»,l’ambasciatore americano a Roma siespresse affermando che la societàamericana stava diventando sempre piùuna società politica americana: semprepiù conflittuale, sempre più carica ditensioni e con nessun meccanismo ingrado di governare questa deriva. Il secondo dato di riflessione è chequando si parla di “spinta morale” – cuiCasu nel suo libro fa riferimento – ladomanda fondamentale è: che cosa

caratterizza la democrazia? La risposta è:la fiducia, sia in senso orizzontale che insenso verticale. La fiducia orizzontale èquella tra i soggetti, quella verticale è lafiducia nei confronti di chi dirige, oltreche quella di chi dirige nei confronti deicittadini.Questi due livelli di fiducia rendonoforte la democrazia. Non a caso oggi ildato della fiducia è un altro dei valorifortemente in crisi e la crisi della fiducia èuna grande questione della democraziaoccidentale. E’ singolare che nelledemocrazie tradizionali, antiche, si mettaspesso in discussione il valore stesso dellademocrazia, mentre nei sistemi autoritari– come in Russia o in Cina – si sta invecespingendo per avere più diritti:praticamente nessuno è soddisfatto deipropri sistemi, tanto nei sistemidemocratici, quanto in quelli autoritari.Siamo talmente abituati alla democraziache non ci accorgiamo dei suoi valori equindi non ci accorgiamo di quello che sipuò perdere, anche perché gli allarmi checontinuamente vengono lanciati daldibattito pubblico sul calo dellademocrazia e sulla perdita dellademocrazia fanno venire meno il sensodell’importanza della cosa: non tutti sonoattacchi alla democrazia, non tutte sonoperdite della democrazia. Quando tutto èun pericolo e una perdita per lademocrazia, lo stesso allarme viene aperdere consistenza.Il terzo dato che Antonio Casu affrontaè la questione del potere.Rudolf Smend, nel libro che scrisse incontemporanea con Weimar, ponendosi ilproblema di quale fosse l’atteggiamentodei tedeschi nei confronti del potere,osservava come essi avessero unatteggiamento ossequioso e servile neiconfronti del potere da chiunqueesercitato.Leggendo il libro di Antonio Casu misono chiesto: e noi, che atteggiamentoabbiamo nei confronti del potere? Hol’impressione che un certo cinismo checaratterizza la nostra storia e la nostrasocietà ci renda abbastanza impermeabilie non particolarmente entusiasti nei

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confronti dei mutamenti. Ma la domandache va fatta è se il potere è considerato unmezzo o è considerato il fine. La politica,infatti, è esercizio di potere, potere intesocome capacità di influenzare e condi-zionare il comportamento degli altri.Se il potere è il mezzo per raggiungeremaggiore democrazia, maggiori diritti,una politica che risponda a valori etici, vabenissimo; se invece il potere è lo scopostesso, è la finalità, è chiaro che tuttoviene subordinato alla conquista dimaggiore potere. Dunque quandoparliamo dell’atteggiamento nei confrontidel potere è necessario operare unadistinzione, perché il dato del poterecome mezzo molto spesso nel dibattitopubblico sfugge e con esso sfugge il datochiaro che il potere è consustanziale allapolitica e la politica è consustanziale alpotere. Non esiste politica senza potere.Può certamente esistere il potere senzapolitica, ma è potere militare e coercitivo,mentre il potere politico deve svolgersisempre all’interno di circuiti democratici.L’ultimo dato sul quale voglio richia-mare l’attenzione è la questione deidoveri. Viviamo ormai da tempo lastagione dei diritti – ricordo in propositoil bel libro di Stefano Rodotà Il diritto diavere diritti – ma siamo sicuri che i dirittitengano in piedi un sistema senza doveri?Io credo sinceramente di no. Credo che idiritti, senza un meccanismo di doveri,diventino armi che ciascuno agita control’altro per garantire i propri interessi. La Costituzione, non a caso, parla didiritti e di doveri. Nonostante l’art. 2 dellaCostituzione citi tanto diritti inviolabiliquanto doveri inderogabili, l’esegesiprevalente si è concentrata quasiesclusivamente sull’asse dei diritti, tantoche l’ultimo libro sui doveri è quello diGiorgio Lombardi, scritto quasicinquanta anni fa. Non si è mai studiatoquesto tema. Perché? Oggi c’è qualcunoche richiama la nostra comunità alproblema dei doveri? E come pensiamoche ci possa essere un’etica politica se nonc’è un senso del dovere? Anche perché èchiaro che una comunità che si basi solosui doveri diventa una comunità auto-

ritaria, ma una comunità che si basa solosui diritti diventa una comunità anarchica. Il problema – che è in trasparenza inquesto libro – è il permanente equilibriodei diritti e dei doveri. Ho l’impressioneche oggi non vi siano personalità cherichiamino al problema dei doveri, masenza doveri non c’è etica e non c’èneanche democrazia. Attraversiamo oggiuna fase di vera e propria debolezzaculturale, visto che i doveri non fannoconsenso. È sgradevole richiamare lagente ai propri doveri, anche perché chi lirichiama deve essere il primo a doverlionorare e magari non lo fa. Credo che laquestione dei doveri dovrebbe essere unpassaggio successivo della riflessione diAntonio Casu, perché il tema è tutt’altroche secondario. Il dato che oggi non ci sia nessunaautorità politico-morale che richiami allaquestione dei doveri dipende dal fatto chela democrazia della comunicazione sifonda sul consenso, più precisamente sumeccanismi che fanno acquisire consensoimmediato.Io credo che sia difficile oggi chequalcuno possa sfidare la carenza diconsenso che verrebbe fuori invitando aidoveri. Il fatto che manchi un limite alconflitto, il fatto che non ci sia un accentosufficientemente serio sulla questione deidoveri e il fatto che non ci sia unariflessione sulla fiducia e sulla costruzionedella fiducia ci costringe in una morsa traribellismo (inteso come “non volontà di”)e caporalizzazione.Mi ha colpito molto la ribellione deisindaci sul tema delle nozze gay: è undiritto sacrosanto, ma sappiamo chegiuridicamente non si può fare: il fattoche dei sindaci davanti alle telecamerestrappino la circolare del Ministro è unachiara dimostrazione di questo ribellismo.Piuttosto che inneggiare ai sindaci che nontrascrivono si potrebbe fare una battagliapolitica affinché le unioni omosessualivengano trascritte, ma non si fa. Perché parlare di caporalizzazione?Perché evidentemente un sistema chenon ha queste caratteristiche diventa unsistema - seppur non autoritario - con una

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propensione al personalismo e poichéuna persona da sola non può reggere unintero sistema è chiaro che per i ramivengano fuori soggetti che a loro voltaoccupano posizioni di potere. Questaanalisi è al momento in corso in Francia,nei riguardi del sistema nazionale, dove cisi sta ponendo il problema della nonrappresentatività del sistema politico, acausa delle legge elettorale vigente e alfatto che l’idea che un solo partito possareggere un intero sistema produce questoeffetto di caporalizzazione. Ho l’impressione che la riflessione diAntonio Casu sia una riflessione in fieri.Dobbiamo chiederci perché manchinoleadership che si fondino su un giustoequilibrio tra diritti e doveri e non solosulla proclamazione – talvolta estenuante– dei diritti.Il pullulare di diritti senza la minimacontezza dei doveri sta producendofenomeni piuttosto pericolosi nel sistemapolitico. Per questo le riflessioni diAntonio Casu sono importanti.

Renato BalduzziSei rapide notazioni, che altro nonvogliono essere se non un invito allalettura.Questo libro si presenta come un saggioben scritto, denso ma di piacevole lettura,anche perché caratterizzato da una felicebrevitas, che è merce rara in questi anni,dove non sembra esservi alcun punto diequilibrio tra la brevità sconcertante edeludente del tweet e la ponderositàeccessiva di tanti libri fatti con altri libri.Di Etica, politica, democrazia non è facileindividuare la collocazione disciplinare.E’ uno scritto di scienza della politica? Difilosofia del diritto? Di storia delle idee?La risposta potrebbe essere, per ognunadi queste domande: anche. Infatti ilvolume ha carattere spiccatamentepluridisciplinare. Devo subito dire che lacosa non mi sorprende (conosco AntonioCasu da quasi trentacinque anni…), inquanto quella di muoversi agevolmente inpiù campi disciplinari, padroneggiandonei relativi metodi, è una caratteristicapropria dell’autore. Interessante, perché,

anche in questo, non comune. Pluridisciplinare, ma non scritto a caso.Potremmo definirlo una sorta diBaedeker delle idee civili della modernitàe della postmodernità. Il direttore Casuguida con perizia e competenza il lettoredentro i nodi concettuali e i crocevia dellastoria recente e meno recente. Ma non silimita a descrivere un itinerario(ricchissimo, articolato: si vede cheAntonio non si limita a dirigere labiblioteca della Camera, ma la sautilizzare…), si preoccupa anche diabbozzare una meta. Che cosa c’è nel volume? Direisoprattutto tre cose. In primo luogo, un itinerariointellettuale, che intreccia autori notissimie figure sorprendenti, “guru” del pensierodemocratico ed esponenti della politica edelle istituzioni, quasi a creare lo sfondo,il desktop della riflessione. In secondo luogo, la riflessione vera epropria, che è anzitutto diagnosi deldisagio dell’intellettuale e del dirigentepubblico di fronte alla crisi etica dellaconvivenza civile, all’incertezza dei suoifondamenti e alle insufficienti rispostepolitico-istituzionali. Infine, un lessico dibase per superare quel disagio e quelleinsufficienze. Da questo lessico di base estraggo treparole che ritornano più volte nel libro:coscienza, mitezza, fiducia. Se la primaparola è quasi scontata per chi, comeCasu, ha sempre avuto tra i suoi amoriintellettuali Tommaso Moro, l’accosta-mento della coscienza alla mitezza mi favenire in mente un testo che sta alleorigini del pensiero occidentale. NellaPrima Lettera di Pietro (3, 15-16) ciimbattiamo nel passo dove l’autoreneotestamentario esorta i cristiani arendere ragione della speranza che è inloro: è un passo molto noto, mentre lo èdi meno la continuazione, che pureappare di straordinaria attualità; in quantosi precisa che questo va fatto con mitezzae rispetto, mantenendo retta la coscienza.Infine, la fiducia. In questo nostro tempoche è tempo di non fiducia e di sfiducia,in cui sembra che la cifra dominante sia

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proprio la diffidenza (verso l’altro, vicinoo lontano; verso le istituzioni, grandi epiccole), non è mai sprecato insistere suquesto tema: purché, come fa Casu, lafiducia sia razionalmente fondata e nonsoltanto emotivamente evocata. Che cosa manca nel libro? E’ unadomanda quasi di rito in ogni presenta-zione che si rispetti, anche perché serve adimostrare che la persona chiamata apresentare il libro lo ha effettivamenteletto … Rispondo a caldo: l’Europa. Misembra francamente difficile uscire dallacrisi che Casu descri-ve soltanto a partireda una prospettivanazionale, sia perchéla risposta democra-tica della politica edelle istituzioni nonpotrà, per essere ef-fettiva, non situarsial medesimo livelloche la globalizzazio-ne dell’ etica edell’economia im-pongono (e l’Eu-ropa, o almeno l’Unione europea, al-lora sembra piut-tosto un livellominimo), sia perchénoi italiani abbiamoun urgente bisognodi trovare unqualche equilibriotra un europeismopratico molto avan-zato – quello dei nostri giovani, quellodella vita imprenditoriale e professionale– e un antieuropeismo ideologico e, forse,anche politico. Infine, quali sentieri da proseguire(secondo la celebre formula di Heideggerdei sentieri interrotti, che Casu utilizza unpo’ come filo rosso delle sue conclu-sioni)? Sto con l’Autore e perciò condi-vido che ci voglia un di più dirappresentanza democratica e un di più diriconoscimento reciproco tra le culture, leetiche, le parti politico-sociali in conflitto. Quanto al primo profilo, constato peròche stiamo rischiando di perdere

un’occasione. La riforma del Senatopoteva essere il momento di un allarga-mento della capacità rappresentativa delleistituzioni parlamentari, immettendo nellaseconda Camera esponenti (non “rappre-sentanti” in senso tecnico) dei tantimondi vitali del nostro Paese, dalleprofessioni all’Università, dall’associazio-nismo alle autonomie locali e funzionali.Siamo ancora in tempo? Sul secondo profilo, ugualmenteconcordo con Antonio Casu, ponendosolo la sommessa precisazione che talericonoscimento reci-proco non sia inteso

come una generica eambigua “pacifica-zione”, ma comequel mutuo appren-dimento di cui parla-vano l’allora cardina-le Ratzinger e Juer-gen Habermas in ungiustamente famosodialogo di una decinad’anni orsono: che sitratti di un mutuoapprendimento, incui ciascuno intrave-da nella posizionedell’altro elementi emateriali che comple-tano la propria.

Antonio PatuelliAntonio Casu non èun filosofo né unoscienziato della

politica. Casu è un consapevole. Consapevole perché sa da dove viene: èil direttore della Biblioteca della Camera esa che uno dei primi atti nel 1848 dopol’insediamento della Camera dei deputatia Palazzo Carignano in quella fatidicaprimavera risorgimentale fu quello didecidere l’istituzione di una biblioteca,nella consapevolezza che quello fosse ilnecessario fondamento di cultura civileper ben legiferare e decidere nell’aulaparlamentare. Casu ne è consapevole e inquesto suo volume cerca di riflettere suiprincipi fondanti di una democraziacostituzionale, attraverso l’analisi dei

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Si è così di fronte adun’aporia fondamentale,un vero e proprioparadosso etico dellademocrazia, perché unacosa è lo Stato etico,altra l’assenza o il

rifiuto di una cornice divalori etici condivisi.

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rapporti fra liberalismo e democrazia. L’autore è inoltre consapevole di avereuna grande eredità morale da gestire, inun momento in cui questa autoritàmorale è da altri ampiamentesottovalutata. Nel 1991 GiovanniSpadolini pubblicò un indimenticatovolume dal titolo Il carteggio di BenedettoCroce con la Biblioteca del Senato (1910-1952),in cui raccolse tutti gli scritti tra Croce e idirettori della Biblioteca del Senato, suoigrandi fornitori di documenti di ricercastorica e scientifica assolutamenteintrovabili. Nella sua prefazione,Spadolini spiegò in maniera nitida cheattraverso il rapporto tra Croce e ildirettore della Biblioteca si potevaanalizzare il grado di decadenza dellademocrazia italiana e quello di avvita-mento verso le fasi più difficili del regime,pur in quello che poteva considerarsi ilpolmone culturale del senato regio vitali-zio e che dunque prescindeva dai doveridi riconoscenza nei confronti del duce.Casu è un garante consapevole: èconsapevole di questa eredità storica e negarantisce il pluralismo per gli inconsci.Le riflessioni contenute nel suo volumehanno un profilo nitido di testimonianza,di consapevolezza e di dovere civile.Senza i doveri i diritti non ci sono, perchésenza i doveri i diritti vivono nell’anarchia, nella sopraffazione e nel capo-volgimento dell’equilibrio di garanzie. Mazzini e Minghetti, due personaggiottocenteschi completamente distinti traloro, elaborarono parallelamente teoriesimili, stabilendo la superiorità dell’eticasul diritto. In un bellissimo saggio del1834 e nel volume sull’etica pubblica,rispettivamente Mazzini e Minghettiarrivano a formulare praticamente lostesso concetto, quasi con paroleidentiche, sostenendo che se un attoeconomicamente lecito e giuridicamenteè invece contrastante con le ragionidell’etica, non deve comunque essereposto in essere, perché l’etica sopravanzail diritto. Questi sono pilastri ancoravalidissimi in un’epoca nella quale ildiritto non può e non riesce a codificaretutto, perché l’economia è più veloce del

diritto. Conseguentemente, l’etica devesupportare il diritto nelle sue lacune, perevitare il rischio della speculazioneamorale.Il secondo pilastro di questo breveragionamento riguarda l’etica. Di qualeetica parliamo? Veniamo da due secoli diforte conflitto fra l’etica laica risorgi-mentale e post risorgimentale e l’etica cat-tolica. Lasciando fermi i presupposti diMazzini e Minghetti bisogna riconoscereche la dottrina sociale della Chiesa hacompiuto nel tempo significativi passiavanti, dal momento che l’etica dei tempidi Minghetti e Mazzini non si presentavarispettosa del binomio doveri-diritti, maimperniata soprattutto sui doveri,all’opposto di oggi. La codificazione della dottrina socialedella Chiesa, maturata lentamente, malungamente nei decenni successivi alVaticano II, giunge con le ultimeencicliche a degli essenziali punti diconvergenza rispetto alle intuizioni pre-risorgimentali di Minghetti e Mazzini,dissolvendo l’antico conflitto stridente fral’etica laica e quella cattolica. Prevalgono imomenti di convergenza, in particolarenella convinzione che l’etica debbaprevalere sul diritto. Un’etica non di parte, da definirsi senzaaggettivi. In una civiltà moderna, l’eticadeve fare necessariamente riferimento aiprincipi del costituzionalismo. Senza ilcostituzionalismo, infatti, c’è anarchia odittatura. D’altronde il costituzionalismoè tuttora la frontiera più avanzata dell’umanesimo civile: quando si vuolemettere ordine nell’anarchia di Internet sifa riferimento a determinate codifica-zioni, in nome di un costituzionalismoche non sapeva assolutamente che cosapotesse essere Internet, ma sapevadipanare doveri, diritti, libertà civili,religiose, economiche e umane. Una delle cose più importanti di cuiAntonio Casu si occupa è il tema dellalegalità, che da decenni è ormai oggettodi numerosi equivoci. E’ bene chiarire chela legalità necessita di una precisaaggettivazione, senza la quale il rischio èquello di tornare a tempi antecedenti

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addirittura alle formulazioni di Beccaria. L’essenza costituzionale: questa è lapremessa indispensabile della legalità,tant’è che il ragionamento di Casu giungefino all’estremo dell’aberrazione nove-centesca, sostenendo che lì dove siapplica una mera legalità senza fareriferimento ai principi dell’etica e delcostituzionalismo, si può tranquillamentearrivare ad applicare doverosamente lescelte giuridiche di un regime comequello hitleriano (come dimostra lagrande questione esplosa con il processoad Eichmann). A questo proposito Mazzini, Minghettie l’etica sociale della Chiesa ci sono digrande aiuto. In sostanza, l’etica vieneprima del diritto e se esso codifica un’aberrazione conflittuale con l’etica da unlato e con i principi di costituzionalismoliberaldemocratico dall’altro, ci deveessere una ribellione che non sia rivolu-zione eversiva, ma netto rifiuto morale. E’questo un ragionamento importante,soprattutto in una fase storica in cui lalegalità viene sì invocata, ma in manierasussuntoria. Dobbiamo applicare la legalitàcostituzionale sempre, ovunque e senzaeccezioni. Già la variazione delle sanzioniper le violazioni delle norme articola illivello diversificato della gravità dell’il-legalità, cioè della gravità dei reati. Manon possiamo giustificare un sistema incui molti si arrogano il diritto didiscernere le regole che devono essereapplicate da quelle che possono esseretrascurate. Questo vale innanzitutto nellaquotidianità della fiscalità, dove il reatomorale va sradicato fin dalla quotidianitàdella non immissione del ticket per il caffè. Questo volume molto concettoso edenso di citazioni, non proprio nello stiledi questi anni, non è realizzato sull’ondadel populismo e della divulgazione, odella ricerca del profitto sensazionale divendita. È esattamente l’opposto: è unatestimonianza implicita di consapevo-lezza. E anche un po’ di sofferenza di vita.

Antonio CasuDesidero innanzitutto rivolgere unsentito ringraziamento agli organizzatori,la Fondazione Matteotti e l’ISLE, peraver promosso la presentazione del libro;ai relatori, per l’autorevolezza che hannoconferito all’evento e l’amicizia con laquale hanno accolto l’invito; e ai voi tutti,ancora così numerosi a quest’ora tarda.Questo libro, si è detto, non è untrattato, infatti è un ragionamento. Lapremessa è che la crisi della democrazia,non solo in Italia ma in tutto l’Occidente,è da molti conclamata, eppure tra le moltecause e con-cause alle quali la crisi èascritta non viene quasi mai indicata ladimensione etica. Il motivo addotto nel libro è quello cheho deìfinito “il paradosso etico dellademocrazia”; in base al quale per evitare ilrischio dello Stato etico, si è gradualmenterimossa la necessità di un ancoraggioetico della democrazia, in particolare conriferimento all’etica pubblica. Ma si trattadi un errore e insieme di un alibi, dalquale procede il disallineamento tra eticae politica. La tesi del libro è che senza un’eticapubblica condivisa e accettata, di indoleconvenzionale e pattizia, senza cioè unethos condiviso, la società è destinatainevitabilmente a sfaldarsi, e lademocrazia a contrarsi in un ambitosempre più ristretto e procedurale. E cheper invertire questa tendenza occorre unosforzo comune, un processo costituente,della stessa portata di quello cheall’indomani del fascismo e della guerraconsentì a forze realmente distanti traloro di concordare un quadrante di regolenel quale tutti potevano riconoscersi.Nel libro, sostengo che il paradossoetico della democrazia si supera con unprocesso che non può non partire dalrecupero del senso del limite, insiemepresupposto etico e fondamentodemocratico, che presuppone ma ancheinduce il reciproco risconoscimento, chea sua volta attiva la responsabilitàindividuale come quella collettiva,

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generando fiducia nelle istituzioni. La suaassenza, al contrario, ingenera disincanto,e quel processo di sfiducia econseguentemente di delegittimazionedella rappresentanza che è stato ancheoggi ampiamente ricordato. Senza una cornice di valori condivisi, siricade inevitabilmente in un neo-corporativismo non dichiarato erinchiuso all’interno di una logica digruppo che concepisce l’altro comehostis e non come ingrediente necessariodella dialettica democratica, che isteriliscele comunità intermedie, ed accelera ladisgregazione della società civile,attuando una vera e propria ellisse dellademocrazia, cioè compiendo a ritrosoquel cammino di unità delle istituzionipolitiche che ha impiegato secoli perinverarsi dopo la stagione di lacerazionesociale e politica delle guerre civili direligione. Il libro delinea quindi alcuni percorsiinterrotti (i citati holzwege) da riprendereanche concretamente sul piano dellatraduzione normativa di ogni intervento

politico: oltre al recupero del senso dellimite, la riaffermazione del principio diresponsabilità; del principio di legalità; delprincipio di trasparenza; il rilancio delsistema di formazione; il rispetto delleregole; un’etica dei diritti correlata aquella dei doveri; una seria lottaall’esclusione sociale; la valorizzazionedelle competenze contro la mistica delmerito. Tanti percorsi per provare aricostituire “una concezione comunitariadei beni pubblici, ovvero una concezionedei beni pubblici come beni comuni”.Non si tratta di utopia, ma di stato dinecessità. Ed occorre riacquistare lafiducia di potercela fare. La nostra storiaci ricorda che abbiamo già dimostrato dipotercela fare. Quando Pandora aprì ilsuo vaso, ne uscirono tutti i mali, che sidiffusero rapidamente nel mondo. Equando il vaso fu richiuso, vi rimaseimprigionata solo la speranza. Ecco,penso che ora dobbiamo riaprire il vaso efare uscire la speranza. Ed operare diconseguenza.Grazie a tutti.

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(...) la crisi etica dello Stato è anche unacrisi di partecipazione democratica,presupposto indefettibile del confronto edella conseguente individuazione di

soluzioni comuni, della condivisione di unprogetto di società.

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Affrontare il tema della riforma dellascuola in Italia include la ineludibilità diun punto di partenza: la riforma Gentiledel 1923. La ragione dell’inevitabilità disiffatto confronto non sta tanto nel fattoche la quasi totalità degli addetti ai lavori,anche di coloro che hanno mostrato emostrano un atteggiamento ostile aquella impostazione proviene da unpercorso scolastico liceale, quantonell’importanza civile e culturale diquella riforma. La scuola gentilianapresuppone, infatti, una precisa ideadella storia dell’Italia moderna, diquell’Italia scaturita dalla vicendarisorgimentale e dalla cultura filosofico-letteraria, civile, etica e politica chel’aveva caratterizzata. Il livello così altodella formazione secondaria della scuolain Italia, almeno fino a qualche decennioaddietro, è stato il risultato più avanzatodi quella storia durata circa un secolo.Tutti i tentativi di rifondazione dellascuola italiana, a parte i parziali e spessoinevitabili ritocchi (vedi la scuola mediaunica del 1963 o l’introduzione di nuovediscipline attinenti alla realtà empiricacome l’informatica), sono falliticlamorosamente perché ispirati aprincipi astrattamente ideologici, spessoin contrasto con la sensibilità dei cetiemergenti costantemente alla ricerca diuna specifica identità culturale.Nella sua ricerca filosofico-pedagogicaispirata all’idea dello spirito che si faprassi e che non può ignorare, nel suoattualizzarsi, il percorso già tracciato,Gentile aveva esattamente capito chesenza la formazione dell’individuo chescava dentro di sé la profonda umanitàrigorosamente connessa con latradizione storico-umanistica non siforma il cittadino che si intrinseca con lo

Stato e che è in grado di percepire lagiusta connessione con le esigenzesociali della collettività, superando conl’aristocrazia del sapere l’ingiustizia e ledifferenze sociali. Non è un caso che legrandi menti politiche della secondametà del Novecento e oltre e i grandicapitani dell’industria italiana provenga-no da percorsi di quel che resta dellascuola gentiliana.In tema della riforma scolastica in Italiaun problema fondamentale è quellorelativo all’orientamento, in particolareall’orientamento sociale, nella sceltadegli studi superiori, dove si registranoimpressionanti squilibri nella distri-buzione delle percentuali di preferenza,con la persistenza di elevati livelli discelta verso i licei e scarsa opzione versoil circuito dell’istruzione e della forma-zione tecnica e professionale. Ilriferimento più recente è quello relativoalle iscrizioni dell’a.s. 2014/15, checonfermano la tendenza dell’ultimodecennio: ai licei risulta iscritto il 49,8%degli studenti con un ulterioreincremento dello 0,9% rispetto all’annoprecedente, mentre agli istituti tecnici siè iscritto il 30,8%, con un decrementodello 0,4% e agli istituti professionali il19,4% con un decremento dello 0,5%.Particolare importanza assume la sceltaorientata verso indirizzi con la presenzadel latino e della filosofia, disciplineproprie della tradizione culturale italiana:in sostanza, di quel 49,8% il 35,3%, checontiene anche la scelta del liceo classicoin misura del 6%, sceglie i licei scientifici,linguistici e delle scienze umane, mentresoltanto il restante 14,5% sceglie gli altriindirizzi senza il latino e la filosofia(compreso il liceo scientifico dellescienze applicate).

DISCUSSIONI

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Se questi dati vengono confrontati conquelli degli anni precedenti, si registrauna tendenza sistematica delle sceltedegli studenti e delle famiglie verso studiculturalmente più significativi sotto ilprofilo psicologico e sociologico e anchesotto il profilo della promozione sociale.La differenza con i Paesi dell’Ocse edell’Europa in genere è impressionante,se si considera che in tali Paesi la mediadegli studenti che frequentano l’istru-zione professionale è più del doppio diquella che frequenta la stessa tipologia discuole in Italia. Tutto ciò dimostra comele correzioni del sistema scolasticoitaliano tendenti ad incrementare lescuole tecnico-professionali, a comincia-re dalla riforma Bottai (riforma appro-vata con la legge 899 del 1940 e che,accanto alle scuole di avviamento allavoro sopravvissute fino al 1963,istituiva la scuola media unica dalla qualeprendevamo avvio i licei, gli istitutitecnici e l’istituto magistrale, conl’obiettivo dichiarato di una fortemobilità sociale) fino ai processi disperimentazione degli anni Novanta(vedi i piani di studio e i programmi peril triennio della scuola secondaria di 2°grado proposti dalla CommissioneBrocca) e alla forte distinzione fra licei,istituti tecnici e istruzione professionaledella riforma Gelmini, non abbianoavuto grande successo.Un altro problema che riguarda lariforma della scuola italiana è quellorelativo al rapporto fra numero docenti enumero studenti e ai conseguenti livellidi qualità, visto che i risultati dei testOcse-Pisa dimostrano l’esistenza dilivelli di qualità inferiori rispetto ai paesidell’Ocse. In Italia si è scelta, soprattuttodagli anni Ottanta in poi, la linea delladilatazione dell’impiego pubblico nellascuola, impegnando consistenti risorse ascapito della qualità dell’insegnamento edella valutazione del merito. Fin daglianni Ottanta, infatti, il rapporto docenti-studenti nella scuola italiana rispetto aipaesi dell’Ocse è stato sempre molto piùelevato: negli anni Novanta, dopo

l’introduzione del modulo nella scuolaprimaria in Italia il rapporto è di uninsegnante ogni 9,8 alunni, mentre peresempio nel Regno unito c’è uninsegnante ogni 21,4 alunni. Il quadro èancora più evidente se si considera chenel 2005, circa dieci anni dopo il fallitotentativo del ministro Berlinguer diintrodurre timidi elementi di valutazionedel merito del corpo docente, si registrala presenza di 9,4 docenti ogni 100alunni nella scuola secondaria e 9,2 nellascuola primaria, a fronte della mediaOcse di 7,6 docenti nella secondaria e6,1 nella primaria, e della media europeadi 8,5 nella secondaria e 6,8 nellaprimaria.Se si considera il basso livello dellaqualità dell’istruzione in Italia(nonostante i recenti timidi mi-glioramenti registrati sempre dai testOcse - Pisa 2014 gli studenti italianirestano deboli in italiano e matematica)risulta evidente che la qualitàdell’istruzione in Italia dipende da unamolteplicità di fattori, a partire dallascarsa motivazione in un gran numero didocenti, spesso diventati tali per ripiego,dal clima sindacale (la difesa acritica dellavoratore tout-court, che solo pocheassociazioni sindacali non intrapren-dono), dalla insufficiente preparazioneconseguita nell’iter universitario, nonchédalla mortificazione del merito; tuttimotivi che concorrono, fra l’altro, allaformazione di una immagine socialedella classe docente non semprepositiva. Tutto ciò ha contribuito negliultimi decenni ad abbassare il livello dipartecipazione di molti docenti almiglioramento della scuola italiana edanche il livello di preparazione deglialunni; anzi, il più alto numero deidocenti rispetto agli altri Paesi europeinon ha contribuito a migliorare irisultati.In questo quadro in cui giuocano unruolo molto significativo le condizionifin qui analizzate, che hanno un pesofondamentale in fatto di riforma dellascuola (ripetiamo: resistenza del nucleo

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culturale della riforma Gentile, scelta daparte degli studenti e delle famiglieorientata verso i licei, pletora del numerodegli insegnanti nonostante la riduzioneverificatasi negli ultimi anni dalministero Gelmini in poi e scarsi risultatiin fatto di miglioramento della qualitàdell’istruzione, come confermato dalrapporto Ocse 2014) il 3 settembrescorso ha fatto irruzione nel panoramapolitico italiano il progetto governativodenominato “La buona scuola”,costituito da dodici punti, con ildichiarato obiettivo di svecchiare lascuola italiana. Ad una lettura attenta, tuttavia,nonostante le buone intenzioni di coloroche hanno lavorato alla compilazione delprogetto e l’altisonanza della comunica-zione tipica del Presidente del Consigliodei Ministri, non sfuggono i nodi e ledifficoltà. Innanzitutto è subito rileva-bile come il progetto non intacchiminimamente l’attuale sistema ordina-mentale complessivo della scuola italianadelineatosi nel lavoro legislativo duratoun decennio e conclusosi durante l’ulti-mo governo Berlusconi con i DD.PP.RR. nn.87-88-89 del 15/03/2010, con i quali vennedefinito l’assetto della scuola superiore,degli istituti professionali, degli istitutitecnici e dei licei, che, entrato in vigorenell’a.s. 2010/11, si concluderà nelcorrente a.s. 2014/15. D’altro canto iltesto del progetto Renzi–Giannini recitachiaramente “il sistema d’istruzioneitaliano non va assolutamente stravolto”e punta con decisione sui margini diautonomia delle singole scuole checonsentono di gestire ragionevoli spazidi flessibilità.E’ da sottolineare a questo propositoche l’assetto ordinamentale che vede ilicei, gli istituti tecnici e gli istitutiprofessionali distinti e di competenzastatale è frutto della elaborazionesuccessiva alla riforma Moratti del 2003,che aveva fatto scivolare l’istruzionetecnico-professionale nella competenzadelle regioni, rivelatesi del tuttoimpreparate, in omaggio alla riforma del

titolo V della Costituzione oggi univer-salmente ritenuta fonte di tutti i guainazionali. Dal cacciavite del ministroFioroni al lavoro di risistemazione delministro Gelmini è stata recuperata ladistinzione ed è stata superata laproposta Berlinguer della licealizzazionedei tre indirizzi e del biennio unico.Nel progetto Renzi-Giannini non c’è,quindi, traccia di un’ipotesi dismantellamento dell’attuale sistema e ciòpotrebbe consentire una vera praticadell’alternanza scuola-lavoro, cheavvicini la scuola tecnico-professionaleitaliana alle Technische Schulen tedesche(pur mantenendo naturalmente lapeculiarità del sistema italiano nel qualel’ambiente scuola prevale sull’ambientelavoro, a differenza di quanto accade neiLaender tedeschi dove l’ambiente lavoroprevale sull’ambiente scuola), ed inciderepositivamente sulla scelta della scuolasuperiore da parte degli studenti e dellefamiglie. Se si fa eccezione, infatti, perl’intenzione dei piccoli ritocchi concer-nenti l’incremento della musica e dellosport nelle scuole primarie e dellageografia e della storia dell’arte nellascuola secondaria, non è rilevabile altrocambiamento ordinamentale. Per il restoil progetto governativo Renzi-Gianniniha l’ambizione di azzerare i vizi atavicidella scuola italiana, a partire dallavolontà di vincere le difficoltà praticheche a tutt’oggi hanno reso difficilel’organizzazione della didattica. Benvengano il superamento dell’annosapiaga del precariato e il reclutamentosoltanto attraverso regolare concorso(sempre che, una volta svuotate legraduatorie ad esaurimento e assorbitotutto il precariato negli anni previsti dalprogetto, restino posti da mettere aconcorso), ma bisognerà comunqueattendere le disposizioni attuative e laloro operatività, altrimenti tutto sifermerà nella politica degli annunci.Vale la pena, tuttavia, di analizzarealcuni tra i punti più qualificanti delprogetto, due riguardanti i docenti eduno riguardante gli studenti:

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1. La carriera dei docenti fondata sullaqualità;2. La valutazione e il merito;3. L’alternanza scuola-lavoro.Per quanto attiene alla carriera deidocenti fondata sulla qualità, sarà utileosservare che dopo l’esperienza deiconcorsi, spesso a zero posti, banditi nel1999 ed espletati nel 2000 con il risultatodi generare un numero impressionantedi docenti idonei e di docenti abilitati equindi di incrementare nel tempo ilfenomeno del precariato, la legge delegan.53 del 2003 aveva attribuito alleUniversità il compito della formazionedei docenti attraverso la laureaspecialistica e la selezione del numerodei partecipanti in base alle esigenze delsistema scolastico. Se si vuole essereobiettivi, inoltre, si deve riconoscere chela legge delega n.53/2003 è l’unica leggeche ha dedicato una particolareattenzione alla formazione degliinsegnanti, stabilendo all’art.5 tutti ipassaggi necessari per conseguire ilrisultato di formare insegnanti preparati,compreso il tirocinio nella scuola.Non è detto che il concorso in sé,ripristinato nel 2012, sia il canale piùadatto a garantire la qualità dei docentise non viene attivata quella serie dipassaggi propedeutici già di per sé atti apreparare all’insegnamento, a partiredalla conoscenza dei contenuti dellediscipline da insegnare, che è difondamento per il conseguimento dellenecessarie competenze; è necessario,infatti, garantire la qualità ab origine,quella qualità che si fonde con la sceltasentita e meditata nonché con l’impegnoad acquisire una preparazione combinatacon la vocazione, senza sminuire opersino deridere chi ancora oggiconsidera l’attività docente come unamissione. Su questo fondamento benselezionato può essere ideato unpercorso di carriera che sia uncombinato di anzianità e di attivapartecipazione, senza trascurare il fattoche, se l’anzianità in sé non significamerito tout-court, essa comporta comun-

que un patrimonio di esperienza che in-cide positivamente sull’attività didattica.Pertanto la qualità del docente comefondamento della carriera non può nonessere costituita da tre elementiimprescindibili: la severa formazioneiniziale, l’anzianità intesa comepatrimonio di esperienza e lapartecipazione attiva ai processi dimiglioramento della vita scolastica.In questo quadro un problema moltodelicato è quello della valutazione, chenon può che privilegiare il merito e chedovrà essere affrontato tenendopresente da una parte la normativa giàesistente e dall’altra il clima e ilcomportamento di larghe fasce diinsegnanti ostili alla pratica dellavalutazione Anche qui bisognaricordare che sempre la legge n. 53/2003all’art. 3 pone a chiare lettere la necessitàdi norme generali per la “valutazionedegli apprendimenti e della qualità delsistema educativo di istruzione eformazione” e che con il conseguenteD.Lgs. n. 286/04 si mette un puntochiaro attraverso l’istituzione dell’Invalsi,Istituto al quale il Miur nella Direttivan.74 del 15 settembre 2008 chiede diaffrontare il problema della valutazionedegli insegnanti “ai fini premiali dicarriera e retribuzione”. Il compitodell’Invalsi era quello di studiare lenormative internazionali concernenti lavalutazione del personale scolasticoperché, come ha osservato di recenteanche Giorgio Israel, il problema èdelicato e non lo si può risolverepremiando gli insegnanti che aderisconoalle attività extrascolastiche o coloro chepropongono i progetti (a volte i piùstrampalati) sottraendo spesso energie erisorse a scapito dei fondamentaliapprendimenti curriculari. Né il meritopotrà essere misurato con la parteci-pazione a corsi di specializzazione che,come ha affermato di recente nel meritodella proposta Renzi-Giannini RogerAbravanel, esperto fra i più quotati esostenitore della meritocrazia, sono didubbia utilità formativa. Non è un caso

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che Abravanel si sia dichiarato decisa-mente avverso alla proposta di autova-lutazione delle scuole prevista da “Labuona scuola”. Egli infatti ritiene che iltratto distintivo della qualità dei docentisia costituito dalla selezione all’ingressoe dalla vera formazione, quella fatta inclasse da professori esperti e nonattraverso la partecipazione a corsi diaggiornamento spesso rivelatisi del tuttoinutili. Allo stato attuale, sostieneAbravanel, le scuole e gli insegnantidovrebbero essere valutati attraverso itest Invalsi, proprio attraverso quei testverso i quali molti insegnanti hannomostrato la loro ostilità. Naturalmente,aggiungiamo noi, con indicatori diversi,integrati dalle variabili di contestorelative alla classe e alla scuola (inteseanche come team docente nelle sueinterrelazioni), ivi compresa, nellosviluppo temporale della diagnosi, unaparticolare attenzione alla presenza/assenza di progressi in itinere.Infine, il problema dell’alternanzascuola-lavoro, pratica che, se attuatacorrettamente, contribuirà all’allinea-mento degli studenti italiani a quelli deglialtri Paesi europei, nei quali l’alternanzascuola-lavoro viene praticata con moltorigore. Il problema sta nell’intendersi sulfatto che l’alternanza scuola-lavoro, che,secondo quanto sancito nel progetto,riguarda tutti gli studenti della “scuolasecondaria di secondo grado”, dovrebbeessere attribuita alle scuole calibrandolasugli specifici indirizzi, sia per quantoriguarda la durata e la distribuzionesettimanale o mensile sia per quantoriguarda la tipologia, senza scandalizzarsidell’attribuzione prevalente ai giovaniche hanno scelto l’istruzione tecnica eprofessionale. Se così fosse si darebbeconferma a quel sistema binario tantevolte annunciato, a partire dalla riformaBottai fino a quella della Moratti, chepone specificamente l’accento sul

principio dell’alternanza scuola-lavoro,fino all’assetto Gelmini, nel quale vieneespressamente stabilito che i percorsidegli istituti professionali e degli istitutitecnici debbono essere strutturati inmodo da favorire il collegamentoorganico con il mondo del lavoro e delleprofessioni attraverso stage, tirocini ealternanza scuola-lavoro. Se il principiodell’alternanza scuola-lavoro verràapplicato correttamente e severamente,forse il sistema scolastico italiano potràattrarre la scelta degli studenti e dellefamiglie verso l’istruzione tecnico-professionale più di quanto non siaavvenuto in questi ultimi anni. Se cosìavvenisse si incrementerebbe anche lascelta dell’istruzione superiore a carat-tere tecnico-professionale in parallelocon l’istruzione superiore di tipouniversitario, come avviene nei Paesieuropei, come Germania, Austria, PaesiBassi, nei quali il modello binario è giàda tempo affermato.In conclusione si può affermare che lanormativa di fondo per realizzarequanto sostenuto nel progetto in materiadi alternanza scuola-lavoro già esiste, mal’ampliamento dovrà essere chiarito eforse confermato attraverso ulteriorinormative, essendo la via amministrativafacilmente aggredibile da quanti hannointeressi diversi, a partire dalle orga-nizzazioni sindacali, come è avvenuto direcente in occasione della sentenza delTAR del Lazio, che ha bocciato la speri-mentazione della durata quadriennale inquattro istituti superiori. Detto ciò,bisognerà essere inoltre molto attenti anon castigare con un eccesso di spazidedicati alla pratica e/o con una errataspecificità di tali spazi quelle scuole convocazione generalista rientranti nelnocciolo duro giustamente ancoraresistente della riforma Gentile, comegià indicato nelle premesse dellapresente digressione.

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Graziella PaglianoAndreina De Clementi, L’assalto alcielo, Donne e uomininell’emigrazione italiana, Donzellieditore, 2014

Pur raccogliendo saggi pubblicati invarie sedi fra 1994 e 2011, questovolume offre un percorso organicodell’emigrazione italiana nel mondo –Stati Uniti, America latina, Europa,Canada, Australia – nelle varie epoche,dal primo Ottocento al secondodopoguerra. Costituisce pertanto unvalido contributo mettendo a confrontole peculiarità delle varie ondatemigratorie sia per la destinazione, sia perla provenienza – Nord, Centro, Sudd’Italia, sia per la prevalente costi-

tuzione, maschile o di coppie, giovani oadulti, sia per le differenze fraemigrazione assistita dagli Stati, oppureindividuale o clandestina. Altro elemento rilevante di questericerche è la costante attenzione alla

contemporanea situazione economicaitaliana, come crisi dell’agricoltura o dideterminate produzioni, stagnazioneindustriale etc. Inoltre l’autrice ha svoltoparticolari ricerche di corrispondenzepresso familiari ed eredi per ricostruirecome venisse vissuta la situazioneall’estero, le relazioni con connazionaliemigrati, con il paese ospitante, con ifamiliari lontani, situazioni tutte nonagevoli né prive di tensioni, che soventeportavano a modifiche dei ruoligenitoriali o coniugali. Non mancanoovviamente le precisazioni sullelegislazioni vigenti nei vari paesi e neidiversi periodi, restrittive dopo il primoperiodo.Interessante l’analisi dell’emigrazionetemporanea, in genere maschile, seguitada rientri e di quella permanente, seguitada una definitiva residenza estera doveanche le donne, soprattutto di secondagenerazione iniziavano a lavorarenell’agricoltura, nell’industria o neiservizi. La solidarietà fra emigratisvolgeva un ampio ruolo mal’apprendimento linguistico e l’accul-turazione risultano in genere lenti.Omettendo di citare qui cifre e dati,ricordiamo però che le cospicue rimessespesso erano destinate all’acquisto dicase o piccole proprietà contadine.Emerge dunque dal volume non solol’inquadramento italiano ed estero,economico e sociale del fenomeno ma ilvissuto individuale, anche di genere, nelsusseguirsi delle generazioni. E’ forsesuperfluo aggiungere che laricostruzione di queste vicende puòaiutarci a comprendere le attuali ondateimmigratorie, nuova fase del lungorapporto ambivalente verso lo straniero,vicino e lontano (v. l’utile L. Perrone,Da straniero a clandestino, Lo straniero nelpensiero sociologico occidentale, 2005); acomprendere potrebbero aiutare anche iracconti dei migranti nel nostro paese(cfr. U. Fracassa, Patria e lettere, Per unacritica della letteratura postcoloniale e migrantein Italia, 2012).

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Maurizio Di MichelePierpaolo Romani, Calcio criminale, Rubettino Editore, Soveria Mannelli2012, pag.270

Il mondo del calcio è molto piùcomplesso di quanto si possaimmaginare:girano tanti soldi e tantiinteressi. Non si pensi solo al gioco incampo. Prima di una partita ci sonomolte cose che si muovono dentro quelmondo o negli immediati paraggi:controllo delle scuole di calcio e deivivai;estorsioni mascherate da spon-sorizzazioni; minacce a giocatori,allenatori e dirigenti; utilizzo delletifoserie (i c.d. ultras tristemente famosi)per scopi poco nobili; bagarinaggio;controllo dei parcheggi, dei bar, dellasicurezza e di altri "servizi" gravitantiintorno agli stadi; frequentazioni dicalciatori famosi; presenza agli allena-menti e alle trasferte delle squadre;dediche di vittorie a boss arrestati emomenti di silenzio in onore di bossdefunti; inserimento negli appalti per lacostruzione di nuovi stadi, con annessicentri commerciali; partite truccate egestione delle scommesse lecite edillecite, anche al fine di riciclare denaro"sporco". Sono queste tra le principaliazioni messe "in campo" da un sistemacriminal-sportivo che l’autore descrive edefinisce Calcio criminale. Tale sistemacomprende sia le "nostre" Mafie (CosaNostra, Camorra, 'Ndrangheta e SacraCorona Unita) sia quelle estere,soprattutto dell'Est e asiatiche (come èemerso da alcune recenti indagini sulcalcio-scommesse).Il libro di Pierpaolo Romani si occupadi calcio e mafie, della loro attrazionereciproca, di interessi di potere, diuomimi che appaiono grandi, ma sonomeschini, perché si vendono le partite etradiscono i loro tifosi, perché fannoaccordi con i mafiosi e rendono le mafiepiù forti e rispettabili, più presentabiliagli occhi di giovani che adorano il calcioe i calciatori. L’autore nel suo libro (cheha una bella prefazione di Damiano

Tommasi, Presidente dell'AssociazioneItaliana Calciatori), partendo da atti edocumenti delle indagini dellaMagistratura in diverse Regioni italiane(Basilicata, Calabria, Campania, Lazio,Liguria, Lombardia, Puglia e Sicilia) sisofferma sui legami tra il calcio e laCamorra (ad esempio i casi dellaMandragonese, della Juve Stabia, delSorrento, della Paganese, senza trascu-rare la gestione delle scommesse ed itentacoli sui campionati dell'Europa edel Sud America), Cosa Nostra (adesempio le vicende che hanno inte-ressato direttamente ed indirettamente ilPalermo e quelle dell'Akragas, delMazara e del Trapani), la 'ndrangheta (adesempio i fatti del Rosarno e delCosenza), Sacra Corona Unita (adesempio le vicende del Galatina, delloSquinzano, della Tricase, del Taranto edel Bari), le Mafie in Liguria (caso dellaSanremese), Basilicata (caso delPotenza), Lazio (episodio della auto-bomba non esplosa fuori dello StadioOlimpico di Roma il 23.1.1994, le

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vicende relative all'ex giocatore dellaLazio Giorgio Chinaglia ed al tentativodi conquista della Lazio Calcio da partedel clan camorristico dei Casalesi), leMafie fuori dal campo (ad esempioincontri, foto, video con calciatorifamosi, presunti rapporti della camorracon Maradona, i rapporti di Cutolo conl'Avellino, la "passeggiata" di MarioBalotelli a Scampia, il caso del giocatoreargentino del Napoli Lavezzi, gli stranifurti in casa di calciatori, specialmentedel Napoli), le scommesse (in particolarela nuova "scommessopoli" portata allaluce dalle inchieste recenti delle Procuredi Cremona, Napoli e Bari). Da esse èemerso che ci sono stati interi campio-nati falsati, milioni di tifosi presi in giro,migliaia di scommettitori imbrogliati,calciatori e dirigenti che, in barba aldivieto, scommettevano anche contro leloro squadre, alla ricerca di faciliguadagni. In "campo" sono scese le"nostre" mafie, ma anche quelle dell'Asiae di alcune parti dell'Europa. Uno scan-dalo ......... mondiale!A conclusione del suo libro l'Autoreconferma che quello del pallone è unmondo complesso, variegato e dallemolteplici facce. Vi è un pezzo del calcioche si è rassegnato a convivere con lemafie, subendo le loro violenze, le lorointimidazioni, i loro ricatti. Un altropezzo, invece, vuole convivere con lemafie, servirsi dei loro capitali, della loro

protezione e della loro capacità diintimidazione. È un calcio fatto diviolenze, connivenze, riciclaggio, omer-tà, corruzione e complicità. Questo latooscuro del pallone ha possibilità diattecchire laddove vi è una illegalitàdiffusa, dove le mafie hanno un fortecontrollo del territorio, dove i padrini e iboss godono di un vasto consensosociale, oltre che di molte ricchezze (diorigine illecita). Il calcio criminale, senon verrà fermato in fretta, affermasconsolato l'Autore, rischia di espandersisempre di più. Quanto sta emergendodalle inchieste di Cremona, Napoli e Bariè un campanello di allarme.Fortunatamente non tutto il calcio ècosì. Vi è un pezzo rilevante di quelmondo che vuole battersi concreta-mente con il malaffare e mettere lemafie... fuori gioco! Ma prima di tuttodovremo cambiare noi la nostra men-talità, il nostro modo di comportarci, diessere cittadini, sportivi, tifosi, allenatori,calciatori, arbitri, dirigenti. La società e ilcalcio non cambieranno mai se rivol-giamo la nostra attenzione soltantoverso il Codice Penale. Il cambiamentovero avverrà solo se cambieremo noi, seci impegneremo di più ad essere deibuoni cittadini, prima che buoni sportivie a conoscere e praticare i principi e ivalori della nostra Costituzione, insiemea quelli dello sport: Lealtà, Correttezza,Probità.

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E’ uscito Giuseppe Verdi e il Risorgimento, terzo volume della Collana “Studi di storia e politica” dellaFondazione Giacomo Matteotti Onlus curata da Ester Capuzzo, Antonio Casu e Angelo G. Sabatini,per i tipi di Rubbettino Editore.Il volume comprende gli Atti del Convegno “Il contributo di Giuseppe Verdi alla creazione del mitodel Risorgimento” tenutosi, su iniziativa della Fondazione Giacomo Matteotti Onlus, in occasione delbicentenario della nascita del Maestro, l’11 ottobre 2013 presso la Sala del Refettorio della Bibliotecadella Camera dei Deputati.A completamento degli interventi svolti durante il Convegno, presieduto da Carlo Ghisalberti, si è rite-nuto di aggiungerne altri in arricchimento e in sintonia con il tema della ricorrenza.La Presidenza della Camera dei Deputati ha concesso il patrocinio allo svolgimento del Convegno alquale hanno partecipato numerosi studenti dei Licei “Talete” e “Visconti” di Roma e “Peano” diMonterotondo.

Franco Salvatori, Giuseppe Verdi nell’identità territoriale italianaAngelo G. Sabatini, Il contributo di Verdi alla formazione del mito del RisorgimentoAntonio Rostagno, Verdi fra Gioberti e Manin. Dal liberalismo moderato alla Società nazionale italianaCarlo Romano, Mazzini visto da Verdi: da modello venerato di patriottismo a profeta esecratoClaudia Colombati, Il soggetto storico e il mito verdiano del Risorgimento nel pensiero poetico-musicale dell’Ottocento Gianni Long, Verdi, laicità, minoranzeEster Capuzzo, Verdi e Clara MaffeiAntonio Casu, Verdi e il ParlamentoInserto iconograficoAlicja Paleta, Il mito verdiano e il Risorgimento degli altri. La PoloniaKrisztina Boldizsár, Giuseppe Verdi e Ferenc Erkel: il melodramma italiano e ungherese nel segno del RisorgimentoStefano Tabacchi, Gli studi verdiani tra tradizione risorgimentale e fascismo: Annibale Alberti e il carteggio Verdi-Arrivabene

AA.VV., Giuseppe Verdi e il Risorgimento, a cura di E. Capuzzo, A. Casu, A.G. Sabatini, Collana “Studi distoria e politica” della Fondazione Giacomo Matteotti Onlus, Rubbettino, Soveria Mannelli 2014(ISBN 978-88-498-4159-6)

La pubblicazione del volume è stata realizzata con il contributo erogato dal MIBACT – Direzionegenerale per le biblioteche, gli istituti culturali ed il diritto d’autore.

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Copertina del n. 1-1980 di TEMPO PRESENTEdiretto da Angelo G. Sabatini