#Tempo - Giugno 2016 - n°2

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GIUGNO 2016 #02 #gratuito #TEMPO Alice: “Per quanto tempo è per sempre?” Bianconiglio: “A volte, solo un secondo” Lewis Carrol MESCOLA LE PASSIONI, SHAKERA LA MENTE Post Spritzum www.postspritzum.it

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Secondo numero della rivista trimestrale a tema della redazione Post Spritzum (Anno 1_02_Giugno 2016_Tempo)

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GIUGNO 2016 #02 #gratuito

#TEMPOAlice: “Per quanto tempo è per sempre?”Bianconiglio: “A volte, solo un secondo”

Lewis Carrol

M E S C O L A L E P A S S I O N I , S H A K E R A L A M E N T EPost Spritzum

www.postspritzum.it

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#sommario

Samuel Beckett diceva: “Il tempo vola quando ci si diverte”, ed è proprio vero! Da un mese a questa parte dicevamo “Ehi ragazzi, tra poco Post Spritzum compie un anno!” e ridendo e scherzando l’anno è arrivato. 8 giugno 2016: il primo articolo della redazione è andato online un anno prima. Così, per festeggiare, ci siamo seduti a un tavolo in una pizzeria di Rivoli, mangiando, bevendo e dicendo un mucchio di cavolate più o meno sensate. Tre nuove ragazze si sono unite alla nostra combricola e hanno portato in redazione quattro nuovi argomenti tutti da scoprire. La piccola “famiglia” si ingrandisce!Il tempo passa e noi, come il vino, miglioriamo, o almeno così ci dicono le nostre boss Elisa e Clara, che ci seguono incessantemente, ci elogiano per i nostri progressi e si commuovo quando ai brindisi le ringraziamo per averci guidato in questa impresa. Quindi il tempo. Perchè il tempo? Sinceramente, non lo so. Federico ha lanciato questa idea (forse perchè aveva in testa di parlarci degli orologi atomici in maniera approfondita!), così facendo ci ha fatti spremere le meningi per riuscire a trovare un argomento affine con la nostra passione. Personalmente è stata dura, ma non impossibile, anche perchè se qualcuno aveva dei dubbi o perplessità, subito si faceva a gara per lanciare un salvagente di salvataggio, un consiglio, una proposta. Spazio e tempo. Probabilmente il tempo è la dimensione più accattivante e misteriosa. Se non avessimo l’orologio o il susseguirsi di giorno e notte, non ne sentiremmo così tanto il peso sulle spalle. Eppure è così: ci schiaccia come un macigno. E’ tardi! Sono di fretta! Non c’è più tempo! Viviamo con questo incessante pensare, guardiamo continuamente l’orologio anche quando non abbiamo nulla da fare, ormai è diventata un’abitudine, un vizio, peggio del fumo e dell’alcool. Però, è anche vero quello che dice Michael Althsuler: “La cattiva notizia è che il tempo vola. La buona notizia è che sei il pilota”.Quindi, siamo noi padroni del nostro tempo, solo noi possiamo decidere come spenderlo, un pò come i soldi: scegli di spendere tutti i tuoi soldi nel gioco d’azzardo? Non ti lamentare se poi ti ritrovi in mezzo a una strada. Scegli di spendere il tuo tempo su un divano a poltrire davanti alla tv? Non ti lamentare se poi ti ritrovi ad aver perso una grande occasione fuori dalla porta di casa. Il tempo non ha colpe, non è troppo veloce o troppo lento, è semplicemente tempo. Tempo per parlare, tempo per pensare, tempo per agire.Forse ho speso troppo tempo in questo flusso di pensieri sul tema del tempo...ma alla fine sono io il pilota, ed è stato tempo speso bene.

Shake Your Mind! Shake Your Time!

Elena Massa

anno 1 - giugno 2016 #02 #tempo

#SPORT04Il nuoto al tempo delle Olimpiadi

#CINEMAETEATROViaggio nel tempo con Ritorno al futuro!

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#MONDOQuanto è lungo un secolo?

Il dibattito sulla definizione del ‘900

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#SCIENZAOrologi atomici e il tempo soggetto alla gravità

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#DANZAFantasia: la Danza delle Ore

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#ARTECULTURALa persistenza della memoria o Orologi molli di Salvador Dalì

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#modaL’eleganza delle “Madamine”

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#architettura

#vitanaturale

#speciale tempo

#letteratura

#pensieri di una mente shakerata

#filosofia

Viollet-le-Duc vs. RuskinRestauro come medicina contro il tempo…o forse no?

Rughe: come trattare gli affascinanti segni del tempo

La meridianaUno dei primi strumenti per misurare il tempo

Il problema del tempo secondo Sant’Agostino

Chi ha tempo si prenda il proprio tempo

Tempo di storielle

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Autore: Jessica VirzìTitolo: nessun titoloAnno: maggio 2016Tecnica: acrilico su compensatoDimensioni originali: 27x63 cm

“Tempo come albero della vita”

editoriale indice

CONTATTICOpertina

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#SPORT

Si dice sempre che il tempo è importante, è denaro, ce n’è sempre troppo poco. Il tempo è sì misurabi-le oggettivamente, ma è anche un criterio soggettivo, che influenza le persone e può pregiudicarne le scel-te e la vita stessa. Quest’affermazione può sembrare pretenziosa e surreale e forse un po’ lo è, o almeno, per la maggior parte della gente. Ci sono, però, delle eccezioni: gli atleti. L’atleta professionista è dotato di talento ed enorme spirito di sacrificio, grazie ai quali può arrivare a traguardi eccezionali; in molte discipline è proprio il tempo a essere giudice delle sue presta-zioni, il nemico-amico con il quale si sfida, il parametro che definisce se può entrare nell’olimpo dei vincen-ti o meno. Ed è proprio in questo caso che l’orologio, o il cronometro, ha un enorme potere sulla sua vita.

Il 2016 è un anno importante per lo sport, perché ad agosto diventa protagonista del quotidiano attraverso le Olimpiadi, quest’anno di scena a Rio de Janeiro. L’Olim-piade è un appuntamento importante, forse l’ambizione più grande per qualsiasi atleta. Diventa, quindi, strettis-simo il legame tra il tempo e i giochi olimpici, le discipli-ne sportive e gli atleti partecipanti. Nel corso della storia ci sono stati molti episodi in cui un determinato tempo ha cambiato per sempre il corso della vita di un atleta.

Nel 1972 le Olimpiadi si sono tenute a Monaco di Baviera e sono passate alla storia non tanto per i risultati sportivi ottenuti, ma per l’attentato sangui-noso dei terroristi palesti-nesi ai danni degli atleti israeliani. Mark Spitz, nuotatore statunitense, stabilì ben sette record del mondo e vinse al-trettante medaglie d’oro, ma venne fatto rientrare in USA subito dopo, a causa delle sue origini ebree e di conseguenza considerato in pericolo. Smise di nuotare dopo quell’episodio e il suo re-cord di vittorie olimpiche

fu superato solo da Michael Phelps nel 2008 a Pechino.

1 minuto e 57 secondi. È il tempo, sicuramente non re-cord, fatto da Eric Moussambani, nuotatore della Gui-nea Equatoriale e partecipante alle Olimpiadi di Sidney, grazie a un progetto dedicato agli atleti provenienti da paesi in via di sviluppo. Eric, però, non era un nuotato-re, ma un pallavolista: imparò a nuotare solo otto mesi prima dei giochi olimpici, allenandosi nell’oceano e in una piscina lunga 20 metri di un hotel, poiché nel suo paese non c’erano attrezzature adatte a questo sport. Alle qualificazioni Eric si tuffò e con il suo stile e la sua tec-nica imperfetta finì la gara, incitato dal pubblico, anche se ci mise più del doppio del tempo degli altri nuotatori. Da quel giorno Eric venne soprannominato “l’anguilla” e passò alla storia perché la sua performance fu consi-derata un esempio degli ideali del CIO. Eric non si sarà aggiudicato una medaglia fisica, ma ha vinto una batta-

glia contro se stesso: è come se avesse ottenuto un oro.

Alle Olimpiadi di Helsinki del 1952 l’Italia di nuoto si-glò un proprio record: Carlo Pedersoli (il futuro Bud Spencer) fu il primo italiano a scendere sotto il minuto nei 100 stile libero. La finale dei 400 stile libero, inve-ce, vide scontrarsi l’americano Ford Konno e il fran-cese Jean Boiteux: il primo era il grande favorito, il secondo partì in testa. Konno controllava la gara, ma Boiteux si prese un bel vantaggio; Konno allora recu-però e il sorpasso sul finale sembrava certo, ma Boi-teux resistette e vinse con sei centesimi in meno dello statunitense. Il suo tempo era 4’30’’07, record olimpico e medaglia d’oro. Durante i festeggiamenti un incre-dulo Boiteux, però, venne raggiunto in acqua da suo padre, vestito di tutto punto, che lo abbracciò. Quell’ab-braccio valeva più di un oro olimpico: i due erano in contrasto sulla relazione sentimentale di Jean, che era riuscito a strappare al padre la promessa del suo be-nestare al matrimonio in caso di vittoria alle Olimpia-di. E così fu. L’oro francese di Boiteux rimase l’unico per 52 anni: fu Laure Manaudou a bissare la meda-glia, vincendo l’oro nei 400 stile libero ad Atene 2004.

Il nuoto al tempo delle Olimpiadi

SILVIA VIOLA

Sportiva, malata di volley. Del resto “Dio creò la

pallavolo perchè anche i calciatori hanno bisogno

di eroi.

Fonti testo:- www.amolenuvolette.it- www.facebook.com/lefotografiechehannofatto-lastoria.it

Fonti immagini:1) Mark Spitz - www.vita-minasparaelexito.com2) Eric Moussanbani - www.abc.net.au3) Jean Boiteux e padre - www.franceolympique.com

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sara bachis

La passione per il cinema col tempo mi ha fatto avvicinare alla recitazione e al teatro, che ho subito amato!

Fonti immagini:1) www.alvolante.it2) www.macitynet.it

Il cinema fantascientifico ha spesso dato vita a nume-rose pellicole che hanno come argomento principale il viaggio nel tempo, a partire da Mondo senza fine del 1956, passando per Terminator nel 1984, fino ad arriva-re a Interstellar del 2014. Si tratta indubbiamente di una tematica affascinante, in grado di riscuotere facilmente un grande successo di pubblico. Molti gli sceneggiatori e i registi, infatti, che, attraverso l’espediente narrativo del viaggio temporale, hanno avuto modo di delineare futuri distanti e utopici, più o meno verosimili, dando vita a veri e propri capolavori di science fiction, o di ritor-nare al passato grazie alla pura finzione filmica.

Uno dei film più rappresentativi di questa particolare categoria cinematografica è sicuramente Ritorno al futuro, lungometraggio del 1985, una produzione de-cisamente unica nel suo genere, poiché unisce all’a-spetto fantascientifico, anche quello comico e d’azione. La pellicola ha ricevuto il Premio Oscar per il miglior montaggio sonoro ed è tuttora considerato uno dei più apprezzati film di culto di tutti i tempi.

Il protagonista è il giovane Marty McFly, un ragazzo alle prese con una famiglia anonima e non partico-larmente brillante, fidanzato con la coetanea Jennifer e particolarmente legato a un eccentrico scienziato, Emmet Brown. Questi, un giorno, chiede al ragazzo di prendere parte a un esperimento rivoluzionario: Brown ha infatti trasformato una comune DeLorean in una fun-zionante macchina del tempo, attraverso cui riesce a spedire avanti nel tempo il suo fedele cagnolino, Ein-stein. Dopo la riuscita dell’esperimento, Doc viene però ucciso da alcuni guerriglieri libici, cui l’inventore aveva sottratto del plutonio per attivare il meccanismo della DeLorean. Marty, cercando di fuggire all’attacco, ac-cidentalmente attiva la macchina del tempo, tornando al novembre del 1955. Il giovane si ritrova quindi nella sua città di trent’anni prima. Proprio qui, incontra il suo futuro padre George e la sua futura madre Lorraine, la quale, però, s’infatua subito di lui: questo innamo-ramento rischia, però, di compromettere l’esistenza futura del ragazzo e dei suoi fratelli. Immediatamente Marty inizia la ricerca di Emmet e, dopo averlo ritrovato

e avergli chiesto aiuto per sistemare la situazione, i due si mettono subito all’opera per tornare al futuro. Non disponendo di plutonio, Doc afferma che l’unico modo per far tornare la macchina a funzionare è fornire ad essa una forte potenza elettrica, che solo un fulmine potrebbe dare. Fortunatamente Marty ricorda che di lì a poco (il 12 novembre 1955) proprio un fulmine si sareb-be abbattuto nei pressi del tribunale della città, quindi i due stabiliscono di sfruttare l’occasione per far ritorno agli anni Ottanta. Nel frattempo, il ragazzo tenta di porre rimedio allo scompiglio creato dal suo arrivo: per fare in modo che il futuro non si alteri, aiuta il padre a con-

quistare l’amore di Lor-raine, assicurandosi così la certezza di con-tinuare a esistere anche trent’anni dopo. La notte del 12 novembre, Doc e Marty riescono final-mente a fare ritorno nel 1985. I due trovano una situazione molto diversa però rispetto a quella la-sciata alla loro partenza: i McFly non vivono più una vita scialba e insi-gnificante, ma sono ora una famiglia realizzata e di successo. Il finale del film riserva infine un colpo di scena inaspet-tato: Doc giunge sulla sua DeLorean a casa di Marty per chiedergli di affrontare un altro viag-

gio nel tempo, stavolta nel futuro.

Il film simbolo degli anni Ottanta continua tuttora a essere visto e apprezzato, anche a distanza di più di trent’anni e le ragioni di questo successo saranno chia-re a chiunque l’abbia visto almeno una volta nella vita: Zemeckis, il regista, ammalia lo spettatore portando sul grande schermo gli anni d’oro degli Stati Uniti, gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, mettendo in risalto gli aspetti più affascinanti della cultura giovanile di quei tempi. Impossibile non subire l’irresistibile fascino del sogno americano che prende forma in questo intramon-tabile cult movie!

#CINEMAETEATROViaggio nel tempo con Ritorno al futuro!

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#MONDOQuanto è lungo un secolo?Il dibattito sulla definizione del ‘900

Ogni epoca è stata caratterizzata da fascino e impor-tanza, ma il ‘900 è probabilmente il periodo che più ha contribuito a plasmare il mondo che abbiamo ricevuto in eredità. Al ‘900 dobbiamo i progressi scientifici e tecno-logici, le conquiste politiche e la nascita di ideali e ide-ologie che ci hanno dato gli strumenti tecnici e cognitivi per stare al mondo e plasmarlo. Allo stesso tempo, gli abomini delle sue guerre e le derive velenose delle ide-ologie hanno scavato nel cuore dell’umanità quei graffi profondi che sono ora in grado di salvarla attraverso la memoria, o di abbruttirla attraverso rancori non sempre sopiti.

È proprio dall’enorme intensità di quest’epoca che na-sce il problema della sua definizione per gli storici, col risultato che alcuni definiscono il ‘900 come il Secolo Lungo mentre altri, al contrario, ritengono che esso sia stato un Secolo Breve.

La definizione del ‘900 come Secolo Breve è stata co-niata dallo storico britannico Eric J. Hobsbawn, che diede questo nome a una sua opera di enorme impre-scindibile importanza diventata un pilastro del dibattito a riguardo.

Hobsbawn prende come punti di inizio e di fine di questa sta-gione storica lo scop-pio della prima guerra mondiale nel 1914 e la dissoluzione dell’U-nione Sovietica nel 1991. Queste le date che avrebbero cambia-to il mondo al punto da definire il sorgere e il tramontare di un’epoca,

questi gli eventi che avrebbero ridefinito la storia e la memoria dell’umanità. Per quanto concerne la Grande Guerra, questa segna non solo la fine di un lungo pe-riodo di relativa pace internazionale come l’Ottocento, ma porta anche il conflitto a un grado di estensione e di violenza mai raggiunto prima. Dall’altro lato, il crollo dell’URSS segnerà l’inizio dell’egemonia democratica degli Stati Uniti, nonché il loro ruolo preponderante nel definire i valori dominanti non solo in Occidente ma nel-la maggior parte del mondo.

La definizione del ‘900 come Secolo Breve è inoltre do-vuta al fatto che esso è caratterizzato da un’alta densi-tà di eventi che avvengono a distanza ravvicinata. Ve-diamo quindi come la velocità che caratterizza le guerre ma anche le conquiste sociali, scientifiche e politiche che in esso hanno avuto luogo portano l’autore a dare di esso tale definizione.

Allo stesso tempo, nel corso di cento anni appena, il mondo è cambiato in modo radicale e profondo e que-sto è il motivo per cui invece alcuni storici definiscono il ‘900 come un Secolo Lungo, il più lungo di tutti. Oltre agli sconvolgenti cambiamenti geopolitici e politici, ol-tre alle conquiste tecnologiche, i miracoli dello sviluppo economico hanno rivoluzionato la vita di molti al punto che chi è venuto al mondo agli inizi di questo secolo

ha potuto vivere più fasi storiche diverse come guerre, colonialismo, boom economico.

Il ‘900 è anche stato un secolo bifronte: da un lato la tecnologia ha fornito all’uomo un potenziale distruttivo precedentemente inimmaginabile che si è estrinsecato in scempi come l’Olocausto, la guerra, i regimi totalitari. Allo stesso tempo, ha anche messo in luce caratteristi-che di segno opposto: i sistemi democratici, la fine del colonialismo, il suffragio universale, il migliora-mento nelle condizioni di vita.

Alla luce di tutto ciò, è dunque complesso dire se si sia trattato di un secolo lungo o breve, ma in fin dei conti è davvero così importante? Al di là delle definizioni, infatti, questa intensa e incredibile esperienza storica ha for-mato le nostre più appassionate convinzioni sul mondo e il nostro mondo stesso. Lo ha fatto con le sue conqui-ste e le sue immense ferite e proprio da questo deriva l’importanza di conoscere e comprendere gli eventi che nel ‘900 hanno avuto luogo. A riguardo, forse è errato applicare il detto francese Tout comprendre c’est tout perdonner (Tutti comprendono se tutti perdonano) ma, come ha sottolineato lo storico italiano Massimo Salva-dori, la straordinarietà del ‘900 è proprio quella di “aver reso l’uomo l’arbitro del proprio destino”. Nel bene e nel male.

margherita bo

Ho sempre amato tutto ciò che è complesso, non scontato, volatile e dina-mico. Per questo le mie

passioni sono la politica e l’economia internazionale.

Fonti immagini:1) L’ingresso del campo di concentramento di Au-shwitz - www.pugliain.net2) Per la prima volta in Italia il voto viene esteso anche alle donne. Il suffragio universale è una delle grandi conquiste del ‘900 - www.senonora-quando-torino.it3) Gandhi fu la figura chiave nel processo di de-colonizzazione dell’India - en.wikipedia.org

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federico mo

Fisico, rocker, forse poeta, sognatore...Voglio rendere più poetica la scienza e più scientifica la poesia.

Fonti testo:- www.fisica.unpv.it- www.asimmetrie.it- www.inrim.it

Fonti immagini:1) L’orologio atomico ad atomi di stronzio - www.wired.it2) Schema GPS - www.nexgendesign.com

Il tempo

La natura del tempo è ancora incerta e velata. Nono-stante ciò, noi mettiamo gli eventi in un ordine dove definiamo un prima e un dopo; e riusciamo anche a misurare quantitativamente, con l’aiuto di strumenti, la durata di tempo che separa due eventi. Ciò ci lega ine-vitabilmente a considerare intuitivamente il tempo come una quantità fisica misurabile; cosa che non è propria-mente così. Noi non misuriamo direttamente il tempo. Infatti, mentre possiamo misurare quantitativamente l’acqua che scorre in un tubo, il peso di un oggetto e altre grandezze, gli orologi di cui disponiamo non misurano direttamente il tempo. Misurano una gran-dezza propria dell’orologio medesimo, che noi, tramite teorie e ipotesi mettiamo in relazione con il tempo.

Unica prescrizione fondamentale per la costruzione de-gli orologi, intesi come oggetti che generano valori della variabile tempo, è quindi che i valori di tale variabile da loro generati debbono riflettere il più accuratamente possibile l’omogeneità della variabile tempo.

Se ci pensiamo, ogni orologio utilizza uno standard di frequenza, un contatore e un sistema di visualizzazione del conteggio effettuato dal contatore.

Per esempio: in un orologio a pendolo, lo standard di frequenza è l’inverso del periodo di oscillazione del pendolo, mentre il contatore è costituito da un siste-ma meccanico che trasforma il conteggio dei periodi di oscillazione del pendolo nel movimento discreto delle lancette dell’orologio che visualizzano il risultato del conteggio.In un orologio al cesio 133, invece, lo standard di fre-quenza è costituito dalla frequenza della radiazione as-sorbita dalla transizione tra due livelli iperfini dello stato fondamentale del cesio 133, mentre il contatore è di na-tura elettronica e il visualizzatore è digitale.

Gli orologi atomici

Orologi la cui affidabilità e precisione risiedono nella loro natura intrinseca sono gli orologi atomici. Il loro fun-zionamento si basa sulle transizioni energetiche; tran-sizioni che sono uguali per tutti gli atomi di uno stesso elemento (tutti gli atomi di Cesio, hanno le stesse tran-sizioni, a parità di condizioni esterne ).

Diceva il fisico James Maxwell nel 1870: “Se si voglio-no ottenere campioni di lunghezza, tempo, massa, che siano assolutamente permanenti, essi devono essere

cercati non nelle dimensioni o nel movimento o nella massa del nostro pianeta, ma nella lunghezza d’onda, nella frequenza e nella massa assoluta degli atomi. Essi infatti sono eterni, inalterabili e tutti perfettamente uguali.”

Partendo da questo suggerimento, nel 1955, Louis Es-sen e Jack Parry costruirono il primo orologio atomi-co al National Physical Laboratory, Inghilterra. Tale oro-logio fu realizzato sfruttando una transizione dello stato fondamentale del cesio 133, la cui frequenza è stata poi convenzionalmente definita pari a 9.192.631.770 Hz ed è alla base dell’attuale definizione di secondo. Da allora si sono sviluppati orologi atomici sempre più precisi e, nel 1990, l’accuratezza ha raggiunto un livello tale che orologi di questo tipo possono sbagliare al massimo di un miliardesimo di secondo al giorno!

Nei prossimi anni, un altro tipo di orologio atomico che sfrutta gli atomi di stronzio potrebbe arrivare alla preci-sione superiore ad un secondo ogni 5 miliardi di anni.

L’elevata accuratezza di tali orologi dipende principal-mente dal tipo di transizione dell’atomo di riferimento e dall’isolamento dalle perturbazioni esterne (come cam-pi elettrici, magnetici, temperatura, urti,...). La realizzazione sperimentale deve riprodurre quindi il più possibile la situazione ideale di un atomo imper-turbato.

Tempo, orologi e gravità: il GPS

Nella vita di tutti i giorni, la precisio-ne di un orologio atomico ci sembra assurda e, forse, persino inutile. Eppure gli orologi atomici stanno alla base di uno degli strumenti che ha profondamente cambiato il no-stro modo di spostarci e viaggiare: il GPS. GPS sta per Global Position System (Sistema di posi-zione globale) e funziona basandosi su misure d’inter-vallo di tempo tra osservatori a terra ed orologi atomici su satelliti; in sostanza, su misure di distanze.

La sincronizzazione degli orologi a terra e in orbita non è però sufficiente: la distanza che separa gli orologi a terra e quelli in orbita è tale da far risentire della va-riazione di potenziale gravitazionale. Quindi gli orologi sono soggetti a valori diversi del campo gravitaziona-le; e dalla relatività generale la gravità influisce sullo spazio-tempo, e, in definitiva, sul tempo. Entra in gioco anche l’effetto doppler relativistico, effetto legato alla velocità relativa tra due diversi orologi. In breve, a causa di questi effetti, i due orologi atomi-ci darebbero una differenza in frequenza che si ri-percuote in una differenza in tempo e infine di spazio rilevato; quest’ultima è dell’ordine della dozzina di chi-lometri.In conclusione, per far sì che la posizione rilevata sia quella giusta con la precisione a cui siamo abituati, è quindi necessario porre una correzione sull’orologio atomico in orbita, spostandolo in frequenza prima del lancio in modo tale da compensare lo scarto in frequen-za atteso per l’orbita in cui sarà posizionato il satellite.

Orologi atomici e il tempo soggetto alla gravità#SCIENZA

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FANTASIA: La Danza delle Ore#DANZA

La “Danza delle Ore” è un classico balletto inserito da Amilcare Ponchielli nell’opera “Gioconda”, da lui mu-sicata sulle parole di Arrigo Boito, per vivacizzare la parte centrale. Narra una complicata storia di amore, tradimenti e morte, ambientata a Venezia alla corte del doge Alvise Badoero. Musica e balletto descrivono in una favolosa sinfonica progressione l’avanzare delle ore del giorno e della notte. Può sembrare strano, ma la storia di questo balletto fu di grande ispirazione per il grande maestro che fu Walt Disney: dalle linee della Danza delle Ore ideò il lungometraggio che oggi noi co-nosciamo come Fantasia.

Si tratta di una caricatura di balletto nel quale vengono messi in parodia non soltanto i soggetti, il temperamen-to e lo spirito del balletto romantico, ma anche i passi e i movimenti. Quando una persona esegue un gran jetè, l’ampio “salto” rappresenta il raggiungimento vittorioso dell’illusione dell’essenza di gravità. Quando lo fa un ip-popotamo, è la caricatura di una tale illusione: Hyacinth Hippo salta nelle braccia di Ali Gator e lo scaraventa a terra. Solo grazie all’arte del movimento si riesce a rea-lizzare una satira della vittoria della grazia sulla gravità, cardine del balletto.

Mattino, balletto dello struzzo – La protagonista della scena è una prima ballerina che giace addor-mentata in cima alle scale. Si tratta dello struzzo Mille Upanova che si alza, con angosciante grazia si muo-ve piroettando e sveglia gli altri struzzi dormienti. Raccogliendo una cornu-copia (letteralmente “corno dell’abbondanza”, simbo-

lo mitologico di cibo e fertilità), lancia frutti ai membri del gruppo che li mangiano interi. Quando le ballerine cercano di sottrarre dell’uva a Upanova, questa fugge verso una pozza d’acqua inseguita dalle compagne. In questo primo momento della giornata il tema presenta una struttura orizzontale e verticale, che coincide con i colli e le gambe degli struzzi, e i movimenti mantengono la stessa traiettoria. Questa scena manifesta la quie-te delle prime ore del mattino, accentuata da colori spenti come il grigio. Nel realizzare i movimenti di que-sti animali c’era la volontà di non rendere la caricatura troppo grossolana, perciò alcuni passaggi sono piccole raffinatezze: il balletto degli struzzi si cimenta con le cin-que posizioni di base della danza, che sono realizzate con una rotazione esagerata dei piedi.

Pomeriggio, balletto dell’ippopotamo – La protago-nista è la prima ballerina ippopotamo di nome Hyacinth Hippo, che emerge dalla pozza d’acqua tenendo in boc-ca il grappolo d’uva di Mille Upanova caduto accidental-mente. Appoggiata sulle punte e graziosamente sorret-ta dall’acqua, viene affiancata dalle altre ballerine che le consegnano il tutù e della cipria. Dopodiché Hyacinth si cimenta in un assolo di danza: esegue alcuni pas de chat, una serie di panché e grand jeté-scené-scené e dieci pirouette in punta. La sua buffa ciccia supera i li-miti della fisica dei corpi e ruota, prendendo velocità

si dispone su di lei, in seguito a volteg-gi, distendendosi e schiacciandosi. Questi aspetti co-municano la sua personalità, che nel-la danza si diffonde in vaste proporzioni, proprio come le sue forme. Questi cam-biamenti esagerati del corpo varcano davvero i confini della logica, le leggi della fisica e in alcuni casi forse anche i limiti del dise-gno tecnico.

Sera, balletto degli elefanti – In questa sequenza i protagonisti sono elefanti che danzano su scarpette da ballo soffiando bolle rosa. Segnando il tempo, le bol-le si posano sull’ippopotamo addormentato. Si alza il vento che trasporta gli animali e le bolle, poi si scende formando una spirale verso terra, per mostrare l’uscita della luce del giorno e l’arrivo della sera.

Notte, balletto degli alligatori - Nel buio si intrave-dono occhi gialli che fissano Hyacinth dormire. Una controluce rivela la presenza degli alligatori, che si muovono bramando seduzione, grazie all’oscillazione dei mantelli e delle vesti. Il leader del gruppo è Ben Ali Gator che si muove con un portamento vanitoso e pre-suntuoso. I due primi ballerini entrano nella loro danza. E’ un momento esaltante, un amoroso pas de deux che improvvisamente esplode nel più selvaggio inse-guimento di tutti contro tutti. Nell’ultima scena Ali Gator fa ruotare Hyacinth, la prende ed entrano nel vortice danzante. La sua scia serpentina si unisce alle forme ellittiche di lei. Con un accento musicale, la getta verso il basso, assumendo una postura di vittoria su di lei. La cinepresa è trasportata indietro rapidamente e si vede il cancello sbattere violentemente e le porte si staccano dai cardini chiudendo la scena.

La Danza delle Ore, iniziata con la quiete del mattino, si conclude in modo squinternato e folle con l’arrivo della notte. Perchè “La notte è un tempo di baldoria, in cui ogni cosa erompe” spiegava T. Hee. Questo lavoro fu un esperimento di successo non solo nel parodiare il balletto, ma soprattutto i caratteri della personalità uma-na.

valeria sorrenti

Se non muovi il corpo, fai danzare anima e mente.

La danza interpreta la cadenza e l’armonia

della vita.

Fonti testo e immagini:- Fotogrammi del cartone animato Disney “Fantasia” - www.balletto.net

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La persistenza della memoria o Orologi molli di Salvador Dalì#ARTECULTURA

irene fascio

L’arte e la cultura rap-presentano un modo per conoscere me stessa e il mondo attraverso diversi punti di vista.

Fonti testo:- www.goart.it

Fonti immagini:1) La persistenza della memoria, 24x33 cm, olio su tela, Salvatore Dalì - www.polismagazine.it2) Salvatore Dalì - www.ricordidaassaporare.it

La persistenza della memoria Salvador Dalì è un di-pinto a olio su tela realizzato nel 1931 dal pittore spa-gnolo Salvador Dalí. È conservato nel Museum of Mo-dern Art di New York.

La cosa che più colpisce l’osservatore guardando quest’opera è l’impianto composito fortemente asim-metrico. Gli elementi del quadro, infatti, sono distribuiti in maniera disorganica nello spazio aperto, e si trovano adagiati su di un paesaggio che l’artista decide di ritrar-re dall’alto. La luce, come si può notare, è frontale e genera ombre profonde sulla superficie degli oggetti. I colori, infine, sono accostati in maniera bizzarra nello schema compositivo dell’opera: notiamo, infatti, la pre-senza di colori sia caldi, che freddi, che scuri.

Il quadro non solo ci regala uno dei suoi più suggestivi capolavori, ma crea un’opera all’interno della quale ri-troviamo tutti gli elementi del Surrealismo, movimento di cui il pittore catalano fu certamente l’esponente più celebre.

Il dipinto, di piccolo formato, ma di forte impatto emoti-vo, rappresenta uno scenario in cui la vita umana non è raffigurata, ma richiamata solo attraverso un elemen-to che nell’immagine è determinante: la memoria. Dalì rappresenta una paesaggio scarno, in primo piano una spiaggia oltre la quale intravediamo l’azzurro del mare e alcune rocce.

Veri protagonisti dell’opera però sono gli orologi molli, tre per l’esattezza, che si adagiano su una conchiglia, su un ramo secco e su un cubo, inspiegabilmente situa-to sul manto sabbioso.

La percezione, prima ancora della comprensione del significato del tema, gioca un ruolo primario. Dalì, in-fatti, crea un’immagine che desta nell’osservatore un senso di smarrimento, suscitato dall’assurdità dei sog-getti, ma anche dalla nudità di questo paesaggio, a tratti metafisico.

Si tratta di una scena ambientata in riva al mare, sulla costa catalana. Tutto appare deserto. Non vi sono uo-mini, solo una strana forma distesa a terra che riprodu-ce probabilmente il profilo dell’artista. I protagonisti del

quadro sono questi orologi, che sembrano fatti di una materia molle.Si dice che abbia preso ispirazione per questo quadro dopo una cena, dove aveva mangiato del camembert, un formaggio dalla consistenza appunto molliccia.

Ma cosa rappresenta questa scena?

Il tempo e la memoria. Il pittore nei suoi Orologi molli (altro nome con cui è nota l’opera) offre una testimo-nianza tutta surrealista del trascorrere del tempo e del-la sua reinterpretazione attraverso il ricordo umano.

Gli orologi situati in un contesto che non appartiene loro, una spiaggia, con una consistenza che pare averli svuotati della sostanza, come se fosse stato il tempo stesso a corrodere la materia. E in un certo senso, il tempo ha logorato questi congegni, che attraverso una memoria non nitida vengono deformati, privati della loro funzione e della loro esattezza.

Così il pittore costruisce una scena a metà fra il sogno e lo stato di veglia, quel limbo con-fuso in cui passano per la men-te immagini non chiare e spesso insensate, stravolte da un incon-scio che si risveglia solo quando la nostra razionalità tace.

Dalì dipinge una rottura: il tempo reale e meccanico, quel-lo che trascorre secondo dopo secondo, (richiamato nel quadro dall’unica sveglia intatta e non molle) si scontra con un tempo personale e intimo, che viene vissuto da ognuno con una per-cezione diversa. E allora anche gli orologi, marchingegni infal-libili nel misurare minuti e ore, sono alterati dalla memoria: per ognuno, le lancette segnano un orario differente.

Ci introduce a quello che è il messaggio della relatività. Il tempo è soggettivo e ha un trascorrere diverso per ogni stato d’animo. Gli orologi non possono funzionare ugualmente in tutte le persone. Il tempo non può essere misurato per tutti nella stessa maniera. E’ per questo motivo che questi orologi, come ogni cosa meccanica, si afflosciano perdendo consistenza, di fronte agli stati d’animo.

All’inizio del XX secolo Einstein, demolendo il concet-to newtoniano di “tempo assoluto”, affermava che il tempo non era uguale per tutti, ma come ci mostra Dalì in questo quadro, il suo trascorrere dipende sempre da chi lo vive.

“Quando un uomo siede un’ora in compagnia di una bella ragazza, sembra sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora. Questa è la relatività”

Albert Einstein

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l’eleganza delle “madamine”

La mattina quando decidiamo cosa metterci, abbiamo molta scelta, ma soprattutto molta libertà, quindi se ci va di mettere una gonna sopra al ginocchio non ci pen-siamo due volte.Ma quando le gonne se le mettevano le nostre nonne, se non erano sotto al ginocchio si fermava il traffico per lo sgomento che procurava vedere quei 10 cm in più di pelle!

Un’intervista tra nonna e nipote, tra il 1950 e il 2016, tra ieri oggi per vedere in cosa è cambiato il nostro arma-dio, quali i passi fondamentali e provare magari a tirare le somme su anni di moda.

Nonna, in generale in cosa eravate così diverse da come ci vestiamo noi oggi?Sicuramente c’era un’eleganza maggiore, per entrambi i sessi; ci si vestiva in maniera molto più classica!

Eravate delle Madame già da piccole?Sì, si può dire così rispetto ad adesso avevamo un aspetto probabilmente più vecchio.

I negozi di abbi-gliamento erano diversi? I negozi di abbi-gliamento come li intendi tu ora non esistevano pro-prio, si andava dalla sarta.Ogni capo era stato fatto su mi-sura su ognuna di noi, si andava a comprare la stoffa, ti facevi prendere le misu-re e poi la sarta te lo confezionava; il bello era che come il tuo non lo aveva nessuno, e la fattura dei capi era di alto livello.Erano capi che

costavano di più, e inoltre c’erano tempi di confeziona-mento più o meno lunghi in base all’abito; quindi non è come adesso che entri in un negozio e compri-indossi in un attimo.

Da cosa era composto il guardaroba di una venten-ne?Non si aveva tantissima roba, sicuro non come ora.Gonne e vestiti però, non potevano mancare perché costituivano l’abbigliamento quotidiano. Le donne non indossavano i pantaloni, solo la gonna e i vestiti.Anche le più giovani poi portavano tantissimo i tailleurs, un completo giacca gonna molto formale.Ci si metteva le calze in nylon color carne e molte ave-vano anche la classica riga sul retro dovuta alla produ-zione.Quelle maledette calze che d’inverno ti facevano patire un freddo tremendo perché erano sottilissime!

Quindi davvero solo gonne e vestiti!?Si, è per questo che ti dico che eravamo molto più ele-ganti anche nel quotidiano.

I pantaloni quando sono entrati in uso tra le donne?Sono arrivati decisamente più avanti, anni ‘60-’70 circa, ci hanno messo un po’ a prendere piede specialmente tra le più anziane; però la comodità e il comfort che offri-vano erano imparagonabili ad ogni precedente!Possiamo definire l’avvento del pantalone per le donne quasi una rivoluzione, proprio perché ha rinnovato e mi-gliorato il quotidiano della donna.

Accessori invece: cosa c’era di diverso?La cosa più diversa da ciò che si porta oggi, sono i guantini; non si usciva senza.

Ma non era scomodo avere sempre i guanti addos-so? Adesso li mettiamo solo d’inverno per il freddo!Ieri non si usavano solo per ripararci, ma come simbolo di femminilità ed eleganza. C’era il paio per l’estate, tutti in pizzo traforato e arrivavano giusto al polso. Quelli in-vernali invece, erano spesso in pelle; in entrambi i casi erano molto aderenti e non potevano mancare.

Ma fino a che età li hai portati?A 18-19 anni li indossavo ancora, poi con il tempo è un’usanza che si è andata a perdere.

Ai guanti quali altri accessori accompagnavi?Scarpe e borsa, abbinate sia tra loro che con i guanti. Avevamo 2 o 3 paia di scarpe massimo, perché dura-vano molto più tempo e costavano altrettanto di più. Lo stesso discorso vale per le borse, erano tutte in cuoio e avevano sempre una particolarità: avevano tutte un piccolo specchietto interno.

E quando si andava al mare cosa si metteva? Ades-so si può scegliere tra tanti tipi di costume!Non c’era ovviamente la scelta di oggi, esisteva solo un costume quello intero con le bretelline larghe, o in certi casi scollato a cuore e la sgambatura dritta sulla coscia.Per rendere l’idea aveva quasi l’aspetto di una tutina.I primi poi erano fatti di un materiale piuttosto spesso simile ad una maglia che appena entravi in acqua si gonfiava e quando uscivi era totalmente inzuppato.

Altra cosa che non mancava in spiaggia era la cuffia. In plastica, erano tutte colorate e soprattutto avevano delle applicazioni in rilievo sopra, farfalle o fiori…c’era di tutto!

Mettevate la cuffia in spiaggia?Sì certo, era normale, tutte le signore la indossavano anche le ragazzine e gli uomini (tuo nonno ce l’ha an-cora!).L’acqua un po’ entrava lo stesso, però, sempre per quel discorso sull’eleganza che ti dicevo, c’era molta più at-tenzione a questi particolari, i capelli dovevano essere perfetti anche in spiaggia.

Rimanendo sul tema capelli, come si portavano?Corti, non erano mai oltre le spalle di solito, ma soprat-tutto erano super cotonati se portati sciolti. Quando era-no raccolti si faceva una specie di nido di rondine.

marta fogli

Come Coco Chanel diceva: “Se una donna

è malvestita si nota l’abito. Se è vestita

ipeccabilmente si nota la donna”.

Fonti immagini:1) Flickr.com2) Livejournal.com3) Charmedliving.com

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#MODA

Per ottenere la cotonatura si usava tantissima lacca, erano i primi anni che era in commercio, e se ne usava in grande quantità.

Si andava spesso dal parrucchiere, anche perché non c’era il phon; si usava il casco, ti mettevano tutti i bigo-dini e poi aspettavi lì sotto fino a quando erano asciutti, o forse meglio dire cotti!Altrimenti se facevi la piega a casa andavi direttamente a dormire con i bigodini in testa.Oggi un look del genere lo hanno ancora le signore di una certa età!

C’erano delle occasioni che richiedevano un look particolare ?La domenica era un giorno importante, di festa e di ripo-so, si andava innanzitutto in chiesa.Questo richiedeva un look più elegante del solito, per quello si indossava l’abito della domenica, quello bello, quello delle grandi occasioni, che si teneva buono come il salotto da ricevimento.All’abito bello della domenica si abbinava una pelliccia, a quel tempo erano ancora tutte vere, non esistevano ancora le pellicce e le pelli sintetiche; altro motivo per cui erano anche molto care.

Ai matrimoni era solito indossare dei cappellini, sopra avevano di tutto, gli uccelli o cose di questo genere... definire se stessero davvero bene è difficile, però sai com’è: andava così.

Occasioni particolari per i giovani? Tipo le feste?C’erano i Thé Studenteschi. Erano dei locali con tavolini ai quali sedersi per bere qualcosa e poi si ballavano i lenti, questo più o meno negli anni ‘60, era carino.Per questo tipo di eventi si usavano i vestitini al ginoc-chio stretti sulla vita con la gonna che si allargava leg-germente a ruota.In alternativa quelli in stile Charleston, stretti fino alla vita e poi con un’arricciatura in fondo.

Il lavoro è un altro ambito che di solito richiede un de-terminato vestiario e quando ho cominciato a lavorare, la situazione era peggiore di oggi.Agli inizi della mia carriera di segretaria, le donne indos-savano il grembiule nero, è tutto detto.La parola d’ordine in ufficio era: rigore.Addirittura appena assunta firmavi un contratto, in cui accettavi un determinato modo di vestirti per lavorare.

Cosa indossavi tu?Ci si vestiva di nero, perché è un colore da sempre considerato serioso, elegante e professionale al punto giusto. Si indossavano già i pantaloni, ma in alternativa andava bene il tubino nero sotto al ginocchio o una gonna della stessa lunghezza.Cosa fondamentale era che le braccia fossero sufficien-temente coperte, almeno fino al gomito.

Le scarpe erano obbligatoriamente nere, ma soprattutto con il tacco; a quel tempo erano tutte a punta quindi non ti dico il male ai piedi che avevi dopo una giornata intera di lavoro!Volendo, per smorzare il colore scuro, si portavano mol-to i foulard al collo, stile Audrey Hepburn. In quegli anni era una grande icona di stile, soprattutto per le grandi case di moda, e vennero create addirittura intere colle-zioni ad hoc per il suo fisico.

In conclusione, come è meglio? Adesso o prima?Adesso è tutto molto più comodo perché è un aspetto che si guarda molto, anche a discapito dell’ele-ganza; prima, invece, era bello e signorile spesso ignorando la co-modità.Il discorso da fare è anche relativo alla libertà di metterti cosa vuoi, adesso ognuno può scegliere, invece, all’epoca il primo grande passo in questo senso è avve-nuto nel ‘68 con l’avvento della minigonna: per strada il traffico si fermava per far attraversare quel cambio epocale!Il problema ora di questa totale libertà scade nel fatto che in giro la gente è più trasandata, meno curata; prima sotto questo fronte l’eleganza regnava sovrana.Uomini con giacca e cravatta e donne con abito e guanti.Probabilmente però, con tutti i suoi pro e contro, pre-ferisco la moda attuale, in primis molto più comoda e poi libera.

In conclusione, l’eleganza è figlia delle nostre nonne e non della nostra generazione, e anche la stessa liber-tà di metterci quello che vogliamo è figlia delle nostre nonne.Siamo frutto di quello che è stato, e il nostro modo di vestire ne è grande portavoce.

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“Restaurare un edificio non è conservarlo, ripararlo o rifarlo, è ripristinarlo in uno stato di completezza che può non essere mai esistito in un dato tempo.”

Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc, Restauro, 1865

“È impossibile in architettura restaurare, come è impos-sibile resuscitare i morti, alcunché sia mai stato grande o bello.”

John Ruskin, Le sette lampade dell’architettura, 1849

Il restauro è un’operazione che si avvale di mezzi tec-nico-scientifici per assicurare una continuità temporale di un’opera d’arte, compatibilmente con i materiali e i metodi costruttivi dell’opera stessa. Questo è quello che intendiamo oggi come restaurare, ma nell’800, quando si iniziava ad approfondire questo argomento, non era così scontato.

Le correnti di pensiero più importanti sulle quali poggia-no i concetti moderni sono quelle di Eugène Viollet-le-Duc, nato a Parigi nel 1814, e di John Ruskin, nato a Londra nel 1819.

Il tempo scorre inesorabile e ciò determina un invecchiamento progressivo delle archi-tetture e di tutto il resto. Per rallentare que-sto processo Viollet-le-Duc si avvale del re-stauro stilistico, di cui è pioniere. Questo metodo si basa su un’accurata ricerca (che può durare anni) sull’edificio che necessita un restauro, al fine di conoscere i metodi costruttivi dell’epoca in cui è stato costru-ito, le sue misure e le sue trasformazioni nel tempo. Questo studio porta successiva-mente all’idea che lui ha del restauro con-clusivo:

“[restaurare] significa restituire [un edificio] al suo stato di completezza, uno stato che forse non è mai esistito davvero in un qual-che momento preciso”.

Ciò significa che Viollet-le-Duc punta non solo a conservare l’oggetto del suo studio, ma anche a riportarlo ad una forma che for-se non c’è mai stata o che è andata persa con il processo di invecchiamento o di av-

venimenti avvenuti nel passato. Un esempio in questo senso, tra i più esplicativi, è quello del restauro di Notre Dame de Paris.

Durante lo studio della cattedrale, Viollet-le-Duc scopre che il disegno originale prevedeva al di sopra dei due campanili in facciata due guglie. Secondo il suo pensie-ro, avrebbe dovuto costruire questi due elementi sebbe-ne non fossero mai esistiti; ciò che lo frena è l’immagine che la popolazione ha di questo edificio, già simbolo di Parigi. Elemento che, invece, aggiunge è la guglia po-sta sulla copertura centrale alla cattedrale. Questa era stata costruita in legno, ma era andata distrutta durante un incendio; Viollet-le-Duc la ripropone in un materiale più resistente, ovvero la ghisa.

John Ruskin, con il suo concetto, tutto ciò non l’avrebbe mai permesso. Per lui “Il cosiddetto restauro è la peg-giore delle distruzioni”.

Fosse stato per Ruskin, Notre Dame de Paris avrebbe dovuto rimanere nelle condizioni in cui si trovava; l’uni-ca soluzione allo scorrere del tempo è la conservazio-ne, ovvero intervenire il meno possibile per assicurare il lontano crollo dell’edificio.

Questa è la sua finalità: nessuna trasformazione che possa alterare lo stato odierno della costruzione, ma solo una “stampella” che permetta all’edificio di stare in piedi ancora per un certo periodo, accettando l’idea del tempo e della fine.

Ritorno ad una bellezza perduta versus il fascino del ru-dere. Due correnti di pensiero completamente opposte e che a oggi non sono più così nette, poiché si punta ad una situazione di compromesso nella maggior parte dei casi.

La patina del tempo che si forma sugli edifici è un ele-mento che non sempre si è disposti ad accettare. Molte sono le architetture di rilevanza storica che vale la pena mantenere in vita il più a lungo possibile, perché rac-chiudono nel fatto stesso di esistere un pezzo di memo-ria da trasmettere alle generazioni future. Alcuni edifici non sono più in vita ma continuiamo a sentirne parlare e a studiarli attraverso gli scritti e i disegni, come nel caso del Crystal Palace di Londra.

Ci sono dei pro e dei contro sia nella filosofia di Viollet-le-Duc che in quella di Ruskin, ma in ogni caso si cerca di conservare intatta la memoria di un’architettura, le sue origini e gli avvenimenti legati ad essa attraverso la “medicina”, più o meno efficace, del restauro.

Viollet-le-Duc vs. Ruskinrestauro come medicina contro il tempo…o forse no?

#ARCHITETTURA

elena massa

È colei che ti permette di piantare un mattone,

far nascere un edificio e vedere crescere un pezzo

di storia.

Fonti testo:- www.treccani.it- www.ilpost.it

Fonti immagini:1) Progetto della facciata di Notre Dame - wwww.wikipedia.org2) Notre Dame prima del restauro - www.panora-madelart.com3) Notre Dame oggi - www.risochet.com

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rughe: come trattare gli affascinanti segni del tempo#VITANATURALE

lavinia crivellari

Vegetariana coi piedi per terra e la testa per aria: coltivo spensieratezza ma non ho il pollice verde.

Fonti testo:- Joanna Hakimova,300 e più Rimedi Naturali- www.alilibri.it

Fonti immagini:1-2-3) www.donnamoder-na.com

“Un viso senza rughe è un cielo inespressivo, un pen-siero superfluo”.

Tahar ben Jelloun

Come non dar torto a Jellouan, scrittore, saggista e poeta marocchino: le rughe sono il segno delle nostre emozioni, dei nostri pensieri ed è giusto apprezzarle perché sono il risultato delle nostre esperienze…Non è quindi il caso farne un dramma!

Tuttavia, esistono dei metodi di prevenzione e cura che vanno a coinvolgere i muscoli e la pelle del viso, come la ginnastica facciale e gli impacchi nutrienti.

Generalmente, le pri-me rughe a comparire sono quelle attorno agli occhi a causa della perdita di tono muscola-re, quindi partiremo da queste: il primo eser-cizio che vi propongo è molto semplice e con-siste nell’ appoggiare i polpastrelli dell’indice e del medio sulle tempie ed eseguire movimen-ti circolari cercando di

spingere il più possibile la pelle verso l’alto. Inoltre, per ridurre le zampe di gallina si possono por-tare i palmi delle mani all’altezza delle sopracciglia e, applicando una leggera pressione, strizzare gli occhi per circa venti secondi. L’esercizio va ripetuto 2/3 volte, intervallato da pause di due secondi.

Per quanto riguarda gli impacchi, vi suggerisco una maschera naturale utile anche in caso di pelle secca grazie alla presenza di olii e burri.

Ingredienti:

- 1 cucchiaino di soluzione di vitamine E;- 1 cucchiaino di burro di cacao;- 1 cucchiaino di olio di jojoba.

La soluzione di vitamina E si acquista in farmacia e ha una consistenza polverosa. E’ un toccasana per la pelle perché, grazie alle sue proprietà antiossidanti, aiuterà ad eliminare inestetismi e rossori donando elasticità. Il burro di cacao e l’olio di jojoba sono invece reperi-bili in erboristeria e nei supermercati più forniti, assicu-ratevi però che si tratti del prodotto puro al 100%, senza altri ingredienti come siliconi e parabeni.

Preparazione:

1) Far sciogliere la vitamina E nell’olio di jojoba e nel burro di cacao; 2) con il dito medio tenete chiu-so l’occhio in questione e con l’indice tirate verso l’alto la par-te di pelle che si trova subito sotto le sopracciglia, in modo

tale che la zona interessata risulti distesa; 3) spalmare metà del composto sulla zona che si trova fra la palpebra e il sopracciglio (immagine 2); 4) massaggiare verso l’alto per 30 secondi con l’aiuto di uno spazzolino da denti dalle setole morbide, rima-nendo sempre nella zona indicata nel punto preceden-te;5) pulire la zona con un batuffolo di cotone;6) eseguire lo stesso procedimento per l’altro occhio.

I segni sulla fronte possono invece apparire a qual-siasi età perché sono il risultato di una contrazione muscolare continua, proprio per questo non sono propriamente “rughe” ma “linee di espressione”. Queste linee sono sia orizzontali che verticali e col tem-po possono diventare profonde, ma non se eseguiamo gli esercizi giusti: per combattere il primo tipo di ineste-tismo, appoggiate l’indice destro e sinistro sulle soprac-ciglia e i pollici all’altezza dei lobi. Spingete i muscoli del viso verso l’altro mentre coi polpastrelli esercitate una pressione verso il basso, cercando di creare una tensione e di mantenerla per un minuto. Per ridurre la ruga verticale tra le so-pracciglia, collocate orizzontalmente entrambi gli indici al centro della fronte, bloccando il movimento dei muscoli. Al contempo, con i pollici eseguite dei ge-sti alternati dal basso verso l’alto.

Anche nel caso delle linee di espres-sione, la natura ci viene incontro con diversi elementi: primo fra tutti l’argil-la, che tonifica le pelli mature; il miele, che ha proprietà antibiotiche e antin-fiammatorie e il succo di limone, de-purativo e ricco di vitamine.

Ingredienti per la maschera:

- 1 cucchiaino di argilla verde;- 1 cucchiaino di miele;- 1 qualche goccia di succo di limone. Per il passaggio successivo vi serviranno l’olio essen-ziale di menta peperita (reperibile in erboristeria) e una crema idratante.

Preparazione:

1) stendere la maschera sulla fronte, meglio se con l’a-iuto di un pennello; 2) lasciare agire 10 minuti e sciacquare;3) mischiare due gocce di olio essenziale di menta alla dose abituale di crema;4) spalmarla sulla fronte con movimenti circolari finché non si sarà assorbita. Per accentuare ancora di più l’a-zione, tenere la pelle tesa fra due dita e continuare ad eseguire questi movimenti circolari.

Infine, concludo scrivendo che è sì importante curare e proteggere la pelle dagli agenti esterni per questioni di salute, ma, come diceva Anna Magnani, “L’importante è non avere le grinze al cervello. Quelle in faccia prima o poi t’aspettano al varco”.

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Chi ha tempo si prenda il proprio tempo#LETTERATURA

elisa boscaino

Leggere è ritrovare se stessi, leggere per non

sentirsi mai soli.

Fonti immagini:1) Bianconiglio - kids.screenweek.it2) Cappellaio Matto - elisainwonderland.wordpress.com(fotogrammi dal cartone animato Disney “Alice nel Paese delle Meraviglie”)

“Lento può passare il tempoma se perdi tempopoi ti scappa il tempo, l’attimo”

Nel 2015 una giovane e spensierata Malika Ayane, cantava questi versi nella sua canzone “Senza Fare sul Serio”.Può il Tempo, una dimensione astratta, vivere di “vita propria” fino al punto di trasformarsi in una vera e pro-pria entità dotata di specifiche caratteristiche come la mutevolezza di velocità?

L’alone di mistero e attrazione che circonda il Tempo ha da sempre ispirato i grandi scrittori. In letteratura i riferimenti al tema non mancano di certo: in primis non si può non pensare all’opera di Proust “À la recherche du temps perdu”, nel quale il tema principale è, così come indicato dal titolo stesso, la ricerca di un tempo perduto. Il Tempo da ritrovare è composto da attimi e ricordi del passato che si collegano però inevitabilmen-te al presente; è proprio in ogni istante dei giorni che si stanno vivendo che si continua a cercare quell’insieme di emozioni che formano la nostra memoria, il nostro tempo personale.

Non tutti i romanzi però sono interamente dedicati all’ar-gomento. Il tema del tempo spesso si intreccia con la trama principale per far riflettere il lettore su specifiche questioni. Avete mai pensato a come questo accada, ad esempio, nel famosissimo romanzo di Lewis Carroll, “Alice nel Paese delle Meraviglie”?La fantasia e la bizzarria dei personaggi che accompa-gnano il viaggio di Alice alla scoperta del mondo magico nella quale è caduta sono i pilastri della trama, ma pro-prio alcune di queste strane figure ci fanno riflettere sul problema del tempo.

Partiamo da uno dei protagonisti più amati dalla storia, il Bianconiglio. Questo bianco coniglio perennemente di corsa è ossessionato dal tempo e tiene sempre sotto controllo l’ora, tirando fuori dal panciotto un orologio per controllarne il suo trascorrere.

Bianconiglio: Uh, poffare poffarissimo! È tardi! È tardi! È tardi!Alice: Questo sì che è buffo. Perché mai dovrebbe es-sere tardi per un coniglio? Mi scusi? Signore!Bianconiglio: Macché! Macché! Non aspettano che

me! In ritardo sono già! Non mi posso trattener!Alice: Dev’essere qualcosa di importante. Forse un ri-cevimento. Signor Bianconiglio! Aspetti!Bianconiglio: Oh, no, no, no, no, no, no! È tardi! È tar-di, sai? Io son già in mezzo ai guai! Neppur posso dirti “ciao”: ho fretta! Ho fretta, sai?

Allegoria dell’uomo moderno, ansioso e sopraffatto dalla fretta, il Bianconiglio si fa portavoce del difficile rapporto che l’uomo ha con il tempo che pensa di non avere. La convinzione di essere perennemente in ritar-do trasforma le persone in trottole che corrono da una parte all’altra per arrivare in tempo, ma non si accor-gono di come, in realtà, finiscono per sprecare proprio quel tempo che tanto rincorrono. L’essere umano nella società moderna si lamenta conti-nuamente delle ore, dei giorni e dei mesi che passano, ma non si impegna a godersi l’attimo, a riempirlo di si-gnificato per rallentarne il suo incessabile movimento.

In totale opposizione si trova, il Cappellaio Matto, altro

adorato personaggio del racconto. Il Cappellaio vive il tempo a modo suo, senza agitazione, nel quale ogni singolo istante, fino all’ultimo secondo, è impiegato per godersi appieno la sua passione, il rituale del tè.

Se il Bianconiglio non riesce a trovar pace nel suo tempo “finito” che sembra essere sempre troppo poco, il tempo del matto Cappellaio è invece “infini-to”, formato da ore e minuti nei quali «è sempre l’ora del tè».

— Se tu conoscessi il tempo come lo conosco io, — rispose il Cappellaio, — non diresti che lo perdiamo. Domandaglielo. — Non comprendo che vuoi dire, — osservò Alice. — Certo che non lo comprendi! — disse il Cappellaio, scotendo il capo con aria di disprezzo — Scommetto che tu non hai mai parlato col tempo. — Forse no, — rispose prudentemente Alice; — ma so che debbo battere il tempo quando studio la musica. — Ahi, adesso si spiega, — disse il Cappellaio. — Il tempo non vuol esser battuto. Se tu fossi in buone re-lazioni con lui, farebbe dell’orologio ciò che tu vuoi. Per esempio, supponi che siano le nove, l’ora delle lezioni, basterebbe che gli dicessi una parolina all orecchio, e in un lampo la lancetta andrebbe innanzi!

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#FILOSOFIAil problema del tempo secondo sant’agostino

Nell’undicesimo libro delle confessioni, Sant’Agostino analizza il problema del tempo. Diceva: “Io so che cos’è il tempo, ma quando me lo chiedono, non so spiegarlo”.

Il punto di partenza è dato dal racconto biblico, che rap-presenta la creazione come una serie di operazioni e di eventi. Da questo racconto sembra che la creazione avvenga nel tempo (si prendono in considerazione i set-te giorni che compongono una settimana), sia frutto di una decisione di Dio e comporti dunque un mutamento della sua volontà. Se così fosse, ci si potrebbe anche chiedere che cosa facesse Dio prima della creazione. Questa domanda presuppone che anche Dio sia nel tempo. In realtà, secondo Agostino, Dio è fuori dal tempo, è nell’eternità e non crea le cose nel tempo. Con la creazione delle cose, Dio crea anche il tempo, quindi non esiste tempo prima della creazione.

Ma che cosa è allora il tempo?

Si tende a considerare il tempo come la somma di pas-sato, presente e futuro: ma il passato non c’è più e il futuro non è ancora arrivato. Solo nel presente si può dire che il tempo é.

Che cosa significa il tempo é? Se il presente fosse sem-pre attuale, sarebbe l’eternità.

In realtà esso esiste come presente solo a condizione di tramutarsi in passato e di non essere ancora futuro.

Il tempo allora sembra esistere solo in quanto “tende a non essere”.

Di fatto però non può essere nulla, dal momento che percepiamo e misuriamo gli intervalli di tempo, distin-guendo tra brevi e lunghi. Gli intervalli di tempo sono divisibili all’infinito; se trovassimo il non ulteriormente divisibile, questo sarebbe il presente. Ma se il presente è un intervallo, si divide in qualcosa di passato e in qualcosa di futuro: il presente non ha estensione; si dà allora soltanto il continuo tradursi del futuro nel passato.

La memoria ha la facoltà di trattenere i ricordi, le emo-zioni; essa, però, è qualche cosa che si possiede al presente. La memoria, allora, non è altro che presente del passato. Un discorso analogo vale anche per le altre due dimensioni del tempo: il futuro non è altro che attesa presente di ciò che sarà e il presente attenzione

presente a ciò che è. Le tre dimensioni del tempo sono dunque gli eventi passati, presenti e futuri, in quanto sono presenti nella nostra anima.

L’immagine a sinistra rap-presenta la visione del tempo secondo Sant’A-gostino. Siamo noi a dare una forma al tempo ri-cordandolo, intuendolo e immaginandolo, come se il tempo fosse un esten-sione della coscienza. L’orologio in centro indica il presente che si verifica solo per un istante.

Solitamente per misurare il tempo che trascorre si

assumono come termini di riferimento i moti degli astri, ma Agostino capovolge la prospettiva: non sono que-sti moti a determinare l’unità di misura del tempo. E’ piuttosto il tempo ad essere il fondamento della deter-minazione della durata di questi stessi moti: un moto astronomico, infatti, potrebbe mutare.

Il tempo invece è un distendersi dell’anima. E’ que-sto a darci la misura del tempo. Ciò che viene misurato dall’anima non sono, quindi, le cose nel loro trascor-rere, ma l’affezione che esse lasciano e che permane nella nostra anima anche quando esse sono ormai tra-scorse. Le tre dimensioni del tempo non sono altro che tre articolazioni del distendersi dell’anima: il ricordo, il prestare attenzione a qualche cosa e viverla a seconda che si tratti di una persona o di una situazione, ed infine l’attesa. L’anima consente di connettere le tre dimensio-ni temporali in un’unità. La conseguenza è che, se non ci fosse l’anima, non ci sarebbe il tempo. L’unità divina, invece, comprende nel presente stabile della sua eter-nità tutto ciò che è stato, è e sarà.

In tal modo, l’unità divina è la garanzia che il tempo, che è traccia della nostra lacerazione e della lontananza da essa, non trascini tutto verso il non essere.

In conclusione, il tempo non esiste, è solo una nostra percezione. Il passato non esiste perché non è più. Il futuro non esiste in quanto deve ancora essere. Il pre-sente è un’istante che separa passato e futuro.

giada putiri

Con la filosofia mi pongo le domande, grazie all’astrologia trovo le risposte.

Secondo Agostino il tem-po è un “estendersi e distendersi” della coscien-za. Per questo motivo al-cune volte ci sembra che il tempo voli e altre volte invece che rallenti.

Fonti di testo:- Beatrice Cullina (a cura di), Sant’Agostino, Ha-chette editore, Milano 2015

Fonti di immagini:1-2-3) http://restiepassi.forumcommunity.net

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di Giada Putiri

#speciale TEMPOla meridianaUNO DEI PRIMI STRUMENTI UTILIZZATI PER MISURARE IL TEMPOTutti avremmo voluto almeno una volta fermare o controllare il tempo. Per ora l’unica cosa che nei secoli siamo riusciti a fare è stata misurarlo.

L’esigenza di misurare il trascorrere del tempo fu sentita fin dall’an-tichità. Nella vita quotidiana l’uomo aveva appreso che se si pone-va con le spalle al sole poteva notare sul terreno un’ombra e che la lunghezza di questa variava nelle diverse ore del giorno, fino a scomparire totalmente con il buio della sera. Aveva notato inoltre che la stessa cosa avveniva con un albero o con un bastone con-ficcato nel terreno. È probabile che, usando appunto un bastone o un’asta o una figura, come una persona o una pianta, che proietta la sua ombra, l’uomo abbia svolto le sue prime esperienze di mi-surazione del tempo.

La meridiana, così chiamata comunemente ma detta più corretta-mente orologio solare, è stata fra i primi strumenti utilizzati per la misurazione del tempo e si basava sul rilevamento della posizione del sole: con essa si l’indica il passaggio del sole a mezzogiorno.

La disciplina che studia gli orologi solari è chiamata gnomonica. L’ago della meridiana è lo stilo, detto gnomone (nome derivante appunto dalla materia che si occupa dello studio degli orologi so-lari): è l’asta che, tramite l’ombra proiettata su una superficie oriz-zontale o verticale, detta quadrante, permette l’indicazione dell’ora “vera” locale.

Con la suddivisione oraria del giorno in 24 ore, una meridiana ad ora “vera” locale alle ore 12 indica l’istante in cui il sole transita sul meridiano del luogo. Di conseguenza l’angolo orario di tutte le altre ore è un multiplo di 15 gradi. L’orologio che portiamo al polso indica invece l’ora media in vigore nei vari paesi. I due orari sono differenti per due motivi:

1. Equazione del tempo: il giorno solare, ovvero l’intervallo tra due transiti del sole su uno stesso meridiano, dura in media 24 ore. A causa della differente velocità di rivoluzione della Terra attorno al sole e dell’obliquità dell’eclittica, la durata del giorno non è costan-te, cioè il giorno vero non dura mai 24 ore come il giorno medio, ma è sempre un po’ più lungo o un po’ più corto. Le differenze, sommandosi tra loro, generano un divario tra il tempo vero e il tem-po medio che arriva a ±15/16 minuti, determinando la cosiddetta

Equazione del tempo (Edt), così definita:

Edt = tempo solare medio – tempo solare vero (o viceversa);

2. Longitudine della località: l’ora media di ogni paese ha uno o più meridiani di riferimento. In Italia il meridiano di riferimento è quello di longitudine 15° est rispetto a Greenwich. La differenza tra il transito del sole sul meridiano centrale e quello del meridiano lo-cale di longitudine L, ha un valore costante di: (15°-L)*4 minuti. Per confrontare un quadrante a ora vera locale con l’orologio, questa differenza va integrata con l’equazione del tempo.

Ci sono vari tipi di meridiane:

1. La meridiana naturale sfrutta la conformazione del suolo per mostrare l’ora grazie alle cime montuose che il sole illumina. Un esempio di tale regalo della natura è la meridiana di Sesto, che con le sue cime fornisce questo utilizzo dello strumento della meridiana naturale.

2. La meridiana digitale sfrutta le luci e le ombre per mostrare l’ora sotto forma di cifre o anche di parole, in alternativa al tradizionale sistema basato sulla posizione delle lancette.

3. Meridiane portatili o orologi solari portatili.

4. La meridiana a tempo medio è anche chiamata eliocronome-tro perché è in grado di correggere il tempo solare apparente per indicare il tempo solare medio o un altro tempo standard, solita-mente con un’accuratezza nell’ordine del minuto.

5. Le meridiane fisse possono essere orizzontali o verticali:

• la meridiana orizzontale o da giardino si basa sullo stesso prin-cipio di quella a tempo medio, ma le linee del disco sono proiettate per mezzo della trigonometria su un piano parallelo al suolo; il prin-cipale vantaggio di questo sistema è di potere mostrare l’ora tutto l’anno, poiché il quadrante non è mai completamente in ombra;

• la meridiana verticale molto spesso è stata oggetto di rappresen-tazione sui muri degli edifici; proprio per questo è anche detta mu-rale: questo tipo di meridiana veniva tracciata sulle pareti esterne degli edifici esposte a sud; così facendo erano visibili a distanza ed economiche da realizzare; il quadrante può essere semplicemente dipinto sul muro oppure ricavato su una lastra di marmo o pietra.

Lo svantaggio principale della meridiana è quello di non funzionare di notte e nelle giornate nuvolose o piovose. Per questo motivo furono costruiti, nel corso dei secoli, orologi alternativi quali la cles-sidra o precisi orologi ad acqua detti orologi idraulici.

Solo nel corso del Medioevo vennero inventati i primi orologi mec-canici.

Fonti immagini:- www.obiettivo2020.org- https://it.wikipedia.org

Fonti immagini:1-2) www.lavorincasa.it

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#pensieri di una mente shakeratatempo di storielle di federico mo

«Prego signore», il cameriere indicò un tavolo da quattro, isolato, sul lato dove c’era il pianoforte. Lo indicò al signor Tomatetti Luigi. Il volume generale della sala da cena si abbassò, seppure le bocche restarono tutt’altro che chiuse: gli occhi sbalorditi e stupiti della clientela si posarono sull’importante stazza del Signor Tomatetti Luigi: 600 Kg, per 1,87 m di altezza. No, decisamente non passava inosservato. La ciccia, nascosta inutilmente da una cami-cia taglia “tovagliadatavoloper12” era palesemente flaccida e informe. “BLOB”, doveva essere la parola che rimbal-zava “in” e “da” una testa all’altra. L’uomo non si curò degli sguardi stupiti e stupidi, inquisitori e sbeffeggianti. Era abituato; a tutto quello e anche di peggio. Ormai non lo ferivano più. Aveva imparato a difendersi da quel genere di ferite. Tump-tump, blob-blob. Ondeggiò fino al tavolo predestinatogli, e là trovò una sedia speciale - la sua sedia speciale rinforzata. Era cliente fisso del “Da Guido risto-pizza”. E gli riservarono un trattamento speciale; come era giusto che fosse, per il suo corpo speciale, aggiungevano i maligni.Un decimo dell’introito del ristorante era garantito da quel che consumava il Signor Tomatetti Luigi.Lui era sempre stato un uomo di buona forchetta, anche prima… prima che…Ma questa storia non parla di codesto signore.

Un po’ più in là, al tavolo centrale, sotto il lampadario ventilatore, una giovane coppia sorseggiava del buon vino, scambiandosi ammiccamenti e teneri sogni sul futuro che li attendeva. La mancanza di anelli era sintomo di quella felicità sognante che anima le giovani coppie. Leri era molto, molto, molto bella. Capelli color oro, oro, sole. Occhi ghiaccio, ghiaccio, blu. Mani sottile e lunghe, ma non sproporzionate. Braccia abbronzate e sorriso dolce e since-ro, forse appena un po’ timido, forse appena un po’ riservato. La riservatezza che contraddistingue le fiamme che sanno ardere maggiormente, non appena alimentate dal giusto combustibile. Gli uomini all’interno del locale, clienti e camerieri indifferentemente, non perdevano occasione per lasciar cadere gli occhi bramosi sulla giovane donna, molto, molto, molto bella. Beninteso: ben attenti a non farsi cogliere sul fatto, oltre che dalla medesima interessata, anche da loro consorti o superiori. Leri proveniva da… No! Per quanto io per primo vorrei che lo fosse, questa non è una storia neppure sulla molto, molto, molto bella Leri.

Il gruppo di amici si alzò dal tavolo. Era il tavolo proprio sotto al quadro che rappresentava una futuristica auto blu elettrico, con il pilota che sporgeva dal finestrino; uno dei quadri preferiti da Guido, il proprietario del “Da Guido risto-pizza”. Si diressero alla cassa, pagarono, e uscirono, immergendosi nel piacevole fresco della notte estiva. Non si può dire chi erano. Tra loro c’erano personalità di spicco che vogliono tuttora mantenere la riservatezza. E con le nuove leggi sulla privacy si rischia di finire segnalati, processati e condannati in men che non si dica, per un nonnulla! Quindi ingarbuglierò un po’ questo racconto, giusto per evitare che, anche solo inconsciamente, mi scappi di far trapelare qualche indizio sulla reale identità di queste persone dell’alta classe del nostro Paese. Non perché l’alta classe sia più interessante delle altre. Il fatto è che è un po’ come con le montagne: le vette più alte si vedono meglio e da più lontano. Per chi sta in basso, in mezzo al sottobosco o tra l’erba alta di un prato, bisogna proprio essergli vicino per accorgersene. Basti quindi dire che in questo numero imprecisato di ragazzi e ragazze e animali da compagnia e, (perché no?) marziani e universiani, c’erano anche G. e V.. Passeggiarono, tutti insieme, a lungo. Il tempo scorreva, la notte li abbracciava docilmente e loro si perdevano in scherzi e discorsi pseudo-filosofeggianti. Bevvero ancora qualcosa qua e là, sempre tutti insieme. Poi il cielo anno-iato decise di movimentare un po’ la serata, e li gettò nel panico con un violento temporale. Un classico dell’estate.Si dispersero, un po’ per il vento che violentemente gettava loro addosso acqua e foglie, e un po’ mossi dalla stanchezza della lunga settimana. Fu allora che G. e V. si trovarono insieme, soli, sotto una stretta tettoia. Forse furono mossi anche loro da un ven-to; una brezza immateriale e passionale. Lui la cinse cercando di tenerla all’asciutto. Inutilmente. Lei non ci faceva caso, all’acqua che le inzuppava vestito e gonna. Era così contenta di potergli stare abbracciata. Avrebbe voluto che quel temporale non finisse mai. Perché con la fine del temporale sarebbe finito anche il tempo dell’abbraccio. L’occasione di quell’abbraccio innocente. Eppure così pericoloso. Se R. li avesse visti…R. era il suo ragazzo. Stavano insieme da diverso tempo. Alti e bassi. Ultimamente solo bassi. Si sentiva come sul bordo di un precipizio. L’alto piano, solido e compatto da un lato, con tanto di sole e fringuelli canterini. Il vuoto, dall’atro. L’affascinante misterioso vuoto dall’altro. Un vuoto che la chiamava, che la invitava a volare, ad abbracciare, a baciare… Da quanto tempo non provava quella sensazione con R.? Non se lo ricordava. “CarpeDiem”, dicevano i latini. Non che lei sapesse il latino…ma aveva visto quel film in cui… Nascosti dalla fitta pioggia, le guance umide di lui si avvicinarono a quelle di lei. Poi, in un ingarbugliamento sibil-lino e improvviso le loro labbra si incontrarono, prima timidamente; un piccolo incidente del caso, del caos. Poi si cercarono con più vigore e le mani dell’uno attorno all’altra si avvinghiarono e stringevano e accarezzavano dolce-mente e intensamente. Si macchiarono di sensi di colpa che l’acqua lavava via, repentina ed efficace. Non erano lì; non erano loro. No, non erano loro! Erano proiezioni di loro in una dimensione parallela, in un universo parallelo. Così mentivano a se stessi; e così si incoraggiavano interiormente ad andare avanti in quel piacevole errore. In quel santo atto di amore sincero. In quell’irrimediabile avvicinarsi di corpi e anime.

Il temporale si quietò, poco per volta. I due lasciarono andare l’altro, poco per volta, smettendo di gocciolare pensieri e restando intrappolati, per un qualche momento, in alto. Si sentivano in alto sopra la realtà conosciuta, in mezzo al cielo. Erano pronti per cadere: pronti per cadere insieme.

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#creative spritzil segnalibro di post spritzum

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