Tema: IL CAFFÈ - albaletteraria.beepworld.it · A destra del bar, stava una agenzia...

32
i‘ Periodico d’informazione culturale a cura della Biblioteca Lercari Quaderno n. 33 – Settembre 2018 Tema: IL CAFFÈ Municipio Genova Bassa Valbisagno Biblioteca G. L. LERCARI Via S. Fruttuoso 74 16143 Genova Email: [email protected]

Transcript of Tema: IL CAFFÈ - albaletteraria.beepworld.it · A destra del bar, stava una agenzia...

i‘

Periodico d’informazione culturale a cura della Biblioteca Lercari

Quaderno n. 33 – Settembre 2018 Tema: IL CAFFÈ

Municipio Genova Bassa Valbisagno

Biblioteca G. L. LERCARI Via S. Fruttuoso 74 16143 Genova Email: [email protected]

2

3

Prefazione (di Elisabetta Baldassari)

Cara lettrice e caro lettore, In questo quaderno gusteremo note aromatiche di caffè che ben si accostano alla letteratura. Il consumo diffuso di questa preziosa bevanda ha avuto inizio nell'Europa settecentesca. Il caffè stimolava il pensiero creativo, e di conseguenza la vita sociale nell'ambito di incontri e scambi di idee tra letterati, intellettuali, scrittori ed artisti i quali assaporavano arte e caffè. Ciò ha favorito anche la nascita di riviste e periodici di letteratura. L'esperienza del "Caffè Letterario" possiamo intenderla come una fusione di sensi ed intelletto, una pausa edonistica ed estetica. In questo quaderno vi offriamo, spero, il piacere di una tazzulella ’e caffè con l’aroma dei nostri pensieri. Buona degustazione!

4

RENATO DE LUCA Il Caffè

Così da sempre, o almeno da quegl’ultimi venticinque; uscita di casa la mattina, sbattendo la porta, quattro pedalate alla vespa e circonvoluzione del quartiere per costrizione dei sensi unici: a piedi, solo cinquanta passi.

L’abitudinario, a guardarlo, assumeva da ora una funzione robotica; braccio alzato davanti al chiosco di giornalaio, che infilava la gazzetta dello sport nella mano pinza, “Ehi!” Era avvertenza e saluto, poi l’entrata nel bar ed “Ou!”

Quella mattina però, da dietro il bancone, uscì un: “Buongiorno signore!” Allora un quasi panico spuntò dall’abbassata di giornale o l’alzata di testa stranita di Fernando, perché da sempre “Ou” lì era saluto, ma ancor di più: “Caffè!”

Senza avvertirlo, dallo stesso giorno prima, era cambiato il barista, al solito avrebbe sentito la botta di svuotamento del contenitore a maniglia, il clac-clac di misura del nuovo riempimento; ognuno di quei rumori insomma era uno spazio nella scorsa dei titoli sportivi.

Lui era un pezzo irrinunciabile per quell’ambiente, ma ancor più esso stesso per il posto e quel cambiamento nell’attimo era come se l’orologio del suo avviamento avesse sballato; il caffè era la sua benzina di funzionamento, lo beveva e offriva in continuazione; di cognome, lui faceva Caffarena, ma la –a– di mezzo era diventata –e– e non contenti tutti quanti anche quel Cafferena lo avevano abbreviato in Caffèr.

A destra del bar, stava una agenzia d’assicurazioni e a fianco lui, riparatore d’auto, moto e volendo biciclette; così beccava tutti in quel paese in provincia di Ferrara, soprattutto

5

le ragazze operaie delle varie fabbriche limitrofe e biciclomunite.

“Venga signorina che parliamo della riparazione intanto le offro un caffettino!” mentre a lavoro finito, adescava con la scusa di qualche fuoriserie riparata da fare un giro di prova.

Il Caffèr, con quella sua simpatia e il toni blu con le bretelle sulla camicia a quadretti, non lo si poteva snobbare sulle salienti battute che tirava ed anche quelle più schizzinose, mentre s’allontanavano voltate, il loro bel sorrisetto fintoserioso, lo facevano eccome; anche l’insegna sopra saracinesca era un tutt’uno con lui!

“Da Caffèr, venite ben quà, che ve la aggiusto io!” All’ultimo carnevale, s’era scurito la pelle, accentuato le

labbra e scalzo che somigliava veramente ad uno schiavo raccoglitore da piantagione di caffè, che qualcuno gli aveva gridato; “Ah beh adesso si vedono le tue origini!”. E lui: “Ah sì, invece di te si vede anche senza maschera!”

Un bel giorno poi fra gli immigrati era capitato lì un negretto dall’Etiopia, o Abissinia, rifacendosi all’epoca coloniale ed in combinazione, proprio dalla regione del Caffa, da dove ha origine quella pianta; il Caffèr, l’aveva assunto per piccoli aiuti e fra i paesani era uscita una ipotesi: “Sta a vedere che prima o poi quel lì, mette su una Torrefazione!” Aprile 2018

6

RENATO DE LUCA Oltre i vetri e una pioggia Non so dir se ti piangono gli occhi o è la pioggia, che lacrima al vetro e al tuo viso combina. L’espressione è di volo un po’ mesto; ti trascina lontano, a qualcuno o a qualcosa che sai. Da lontano non visto ti guardo hai sciolto i capelli, scivolati a racchiuder pensiero, a velar tua natura segreta: tocca a te gioventù, al tuo giovane corpo, godine ora i ricordi passati caso mai han rammarico, non riportano indietro. Forse anch’io in gioventù son passato da un vetro, uno sguardo, un pensiero: mi rifaccio al mistero che passa da te e risalgo a quegli anni volati, a capelli ormai stinti e che fingono un poco ammischiati coi bianchi. aprile 2018

7

UGO SOLIANI Magia di caffè Nel bar del quartiere, stesse facce stesse battute, stesse frasi fatte, stantie. Attorno a un tavolino, chi gioca a carte e chi sta a guardare; la noia aleggia tra gli sfaccendati che non amano un impegno costante ma con lavoretti, saltuari, soddisfano l’esigenza di una consumazione; nello squallore di quell’atmosfera, ad un tratto una voce squillante di ragazza, chiede: “Un caffè per favore”. Tutti gli sguardi si voltano al suono di quelle parole, per un attimo, l’atmosfera ravviva. Magia di un caffè.

8

UGO SOLIANI Tra i flutti della vita Tra i flutti della vita, il mio esile vascello rischia il naufragio. Il cuore, nocchiero impaurito, combatte tra correnti e venti contrari, batoste e dolori; con vele affaticate, naviga di bolina, cercando una cala tranquilla dove sostare sereno. Acqua calma e limpida, levigato specchio alla luna protegge da venti contrari e marosi maligni; sotto l’egida di un sereno, dolce sorriso amico.

9

GIUSEPPE GUCCIONE Mozart Orlando, il professore, si era svegliato, stava ascoltando “Il re pastore”, un melodramma di Mozart scritto su libretto di Pietro Metastasio. Da poco tempo, il sabato, aveva preso l’abitudine di dormire in bottega. Si svegliava con la migliore musica del mondo. Alle 10 il Maresciallo veniva a trovarlo per andare a prendere assieme il caffè. Il professore era passato ad altro ascolto: “Always on my mind” “Sempre nella mia mente” di Elvis Presley. Cantava seguendo la magica voce del suo vecchio idolo: Little things I

should have said and done - Piccole cose che avrei dovuto dire e fare, non ho mai colto il momento - I just never took the time

You were always on my mind… Appena arrivato, il maresciallo, senza porre indugi come se proseguisse un discorso iniziato poco prima: “Lei ha detto sempre che crede nell'uomo, crede che ci sia sempre una maniera per intendersi, una parola, un dialogo possibile. Ne ho buttati dentro tanti. Molti erano solo feccia, gente da cui bisognava guardarsi, i meglio [migliori] erano solo ladri, i più avevano un solo credo: la violenza e la sopraffazione. Ero giovane, a volte, per arrestarli, non bastavano tre di noi. Qualche volta mi hanno mandato al pronto soccorso. Li guardi negli occhi, sono provocatori, cercano lo scontro, anime marce, senza possibilità di recupero. Lei predica bene, apre il cuore alla speranza, ma questo ritenere possibile migliorare gli uomini, credere che grattando un po' nel cuore più nero si possa trovare una piccola luce di umanità pulita, è un'utopia, un'illusione. I giornali non sarebbero pieni di cronaca nera. Con questa gente hai paura di non farcela."

10

Orlando: "Dimmi, cosa è successo?” Il maresciallo batté nervosamente le mani: "Non lo dica a nessuno, professore, avrei voluto essere un esperto di arti marziali, di Kung-fu, aver frequentato nel passato questa disciplina per il raggiungimento dell'abilità che non ho mai posseduto, avrei voluto essere Bruce Lee, in quel momento. Nella mia vita avrei voluto aver fatto esercizi ginnici atti a rinforzare il mio corpo, aver imparato a difendermi dai briganti e dalle bestie feroci. A mani nude. Cacciare, colpire con la mano, col braccio, con la testa, con le ginocchia, con la punta delle dita trafiggendo, spezzandogli la schiena a quella “M...”. Orlando: "Oh! Mio Dio, cosa ti sta succedendo? A chi avresti voluto spezzare la schiena? Cosa ti è capitato? Non ti ho mai visto così, amico mio!" Dopo un attimo di silenzio, il maresciallo disse: "Mi ha urtato, mi ha detto «Va a fa ‘nC…». Poi, mentre restavo stupito, quasi istupidito, perché era lui che mi era venuto addosso uscendo come un fulmine dal supermercato, ha aggiunto, per completare l'opera: «Guarda dove vai coglione!». A 60 anni vedermi trattato così! Ma non è tutto, si è fermato, aspettando la mia reazione! Io, come un pensionato qualsiasi, come se non avessi fatto quel lavoro, come se fossi capace solo di proteggere la gente e non fossi invece capace di proteggere me stesso, ho abbozzato, ho fatto finta di niente, in modo ignominioso, disonorevole. Mi vergogno di me stesso. Mi sono allontanato da quella bestia senza fare nulla." Orlando: "Gli sciacalli ignominiosamente si sbranano tra di loro!" "Quanti anni aveva quel “violento”?" Il maresciallo: "Era circa una trentina." "Ha fatto bene, signor maresciallo, quell'uomo cercava lo scontro; lei sarebbe stato picchiato ignominiosamente. Avrebbe

11

al meglio concluso la sua giornata con qualche costola rotta. Non sarebbe qua a raccontarmi, pur avendo sicuramente in cuore una giusta rabbia, un suo comportamento giudizioso. È stato accorto, assennato - direi oculato. Ha ponderato bene la situazione, è stato avveduto, sensato e prudente come richiedeva la situazione. Sono le piccole cose che ci mettono a rischio. Non sono gravi, non sono grandi, la natura umana è debole. Come dice Sant'Agostino «Quanto sono minute le gocce della pioggia! Tuttavia non fanno straripare fiumi e crollare gli edifici?», Un piccolo gesto malvagio a volte porta delle conseguenze disastrose." Insistendo: "Mi complimento di nuovo con la sua ponderatezza che è la qualità di chi riflette prima di prendere una decisione." Quel giorno il caffè lo offrì il professore.

12

GIUSEPPE GUCCIONE Malato Malato, un termine inappropriato. La mano si piegò lentamente lasciando cadere per terra la tazzina di caffè. I suoi occhi ruotavano a vuoto. Mostrava un senso di stupore, disconnessione con la realtà che lo circondava. Un attimo dopo non c’era più. Un secondo prima sembrava bere una tazza di caffè, un attimo dopo non c’era più, si accasciava per terra senza che nessuno potesse avere il tempo di sorreggerlo. Il tecnico-professore aveva detto: ”Apprezzo la tua eleganza!” Dai suoi occhi traspariva ammirazione per quello che aveva realizzato. Tempo prima era stato titubante, quasi dubbioso di poter raggiungere la perfezione per la sua ideazione e creazione. Aveva voluto donare una gamma totale: il suo robot era in grado di fare tutto ma non bastava, era in grado di dire anche le bugie. Poteva creare, era fornito anche di fantasia, aveva forse un lato oscuro, possedeva l’estro, slancio e l’originalità. Come un artista di fronte alla sua opera aveva pensato: “Prende vita! Sono arrivato, son riuscito a realizzare il mio pensiero. L’ho reso umano!” Un’ampia gamma di test con esiti altisonanti. L’originalità della creazione aveva appassionato i collaboratori, qualcuno aveva detto perfino: «Lo amo!». La voce aveva un non so che di sensuale, le protesi form-humanus erano quelle in uso per chi aveva avuto incidenti vari agli arti, erano perfette! Qualcosa che non si riesce a cogliere, a definire con precisione, lo rendeva più che umano. Completato il percorso di auto istruzione i tecnici si erano complimentati per l’eccellente personalizzazione.

13

Il sistema di regolazione delle funzioni corporee però era andato in tilt. Forse delle stimolazioni luminose intermittenti avevano causato o provocato come avviene spesso nell’un per cento della popolazione umana una scarica epilettica. Ma questo poteva voler dire che lo avevano fornito di un cervello e di sistema nervoso tanto perfetto che poteva essere soggetto anche ad una sindrome patologica. Il robot tecnicamente aveva avuto un attacco atonico. Si era verificato un rilassamento imprevedibile del tono muscolare. La successiva caduta per terra era dovuta al fatto che i neuroni del robot erano più eccitabili del normale, si erano accesi contemporaneamente a causa di un quoziente intellettivo più alto del normale. All’elettroencefalogramma nel robot infatti si leggevano delle punte-onda complesse a cui facevano seguito delle onde lente che indicavano la caduta del tono muscolare. Sembrava impossibile ma gli aveva dato anche «la malattia», l’anormale condizione dell'organismo (organorobottico) causata da alterazioni robot-organiche o robot-funzionali come avviene nell’uomo. Forse era stato proprio il caffè.

14

GIUSEPPE GUCCIONE Il pane di Logan «Venga, si accomodi professore, il caffè è quasi pronto. Oggi ho fatto del buon pane, se mi permette vorrei che si portasse un filoncino di quelli che ho surgelato, adesso lo tiro fuori dal freezer, così si scongela. Un buon caffè alle 17 in alternativa al the mi rimette in sesto.» La loro era ormai un'amicizia quinquennale. Logan aveva sempre qualcosa di particolare da raccontare al professore ma spesso i loro incontri non avevano la necessità di un interscambio di parole. Quando si è amici, in sintonia, si può stare anche zitti, c'è il piacere della compagnia che è una delle cose più semplici di questo mondo. Spesso siamo costretti a fare di necessità virtù, il martellamento proveniente da tutto quello che ci circonda fa sì che il nostro cervello sia abituato a filtrare tra le cose che ci interessano quello che potremmo cancellare senza sentirne la mancanza. Un buon caffè, come dice un commentatore televisivo, era un buon viatico per passare assieme 15 minuti. Quando alle 19 e 30 Orlando si alzò dalla sedia per ritornare a casa ebbe la sensazione che il tempo fosse passato senza averne la percezione. A sera il pane fatto da Logan aveva un gusto particolare, quello della tradizione. Nelle case del postguerra si poteva respirarla anche per la presenza di tutti i familiari attorno al desco. Bravo! - Pensò Orlando. Veramente buono questo pane fatto semplicemente con farina comprata a soli € 0,35 al chilo. È proprio vero che a volte basta poco per ottenere il pane degli dei. I quindici minuti erano stati un po’ più lunghi del previsto.

15

GIUSEPPE GUCCIONE Il caffè - Nora Aveva suddiviso la giornata in tanti piccoli pezzetti. Nora, a sera, apparecchia la tavola come se fossero sempre in due. Aveva 84 anni ma era il suo uomo, era sempre stato il suo unico pensiero, anche quando lo vedeva silenzioso e lontano da lei. Cosa aveva pensato in quel momento, aspettava che lei ritornasse dalla cucina? Gli sarà sembrato come un lungo viaggio? Sì, lei era partita. Sì, un viaggio di 15 passi dal soggiorno alla cucina, passi che erano stati lunghi come l'attraversamento di un deserto. Chissà se aveva desiderato stringere la sua mano in quel momento, se aveva avuto il desiderio di chiamarla? Nella sua testa c'era stata sempre la musica, come da bambino, era stata sempre presente anche quando l’aveva abbandonata per far andare avanti la famiglia. Ed era bravo con la musica! Avevano scherzato tante volte su chi avrebbe avuto la precedenza. Come in un incrocio lei aveva detto: "Toccherà a me." Lui l'aveva contrastata dicendo subito: "No, Nora, vedrai, toccherà a me!" Ci avevano riso su. Povera stupida! Aveva voluto preparare la Moka pur sapendo che si sarebbe appena bagnato le labbra. Nora era la sposa, la figlia e la madre. Una madre con 10 anni di meno rispetto al figlio. Una madre aveva visto correre via, come un fiume verso la foce, il suo uomo. E alla fine non si era neanche accorta che il paesaggio era cambiato.

16

Non aveva presentito nulla. Silenziosa la sua speranza se n'era andata. Orlando aveva suddiviso la sua giornata a pezzetti. A sera, ogni sera, andava da Nora. La coppia, come lui li chiamava, era stata separata. Per Alberto non era stato come per la nascita, il passaggio era stato immediato, Nora gli aveva posato la mano sulla spalla pensando che si fosse addormentato, infatti, dormiva tranquillo, sereno. Il professore non andava da lei per mangiare, né si sedeva mai in quella sedia a dondolo dove Alberto passava la sera, prima di andare a letto. Non pensava di poter lenire il dolore di Nora e quindi stava zitto, aspettava che lei finisse di mangiare e andasse in cucina a preparare la Moka. Si concludeva così quel gesto inconcluso. Orlando si bagnava le labbra col caffè di Alberto.

17

LUCIA TENCAIOLI

Un po’ di caffè Nel nostro solito locale, dove gli specchi alle pareti rimbalzano le immagini ingrandite, ho srotolato gli anni del passato, quando l’amore accarezzava il viso e brillava negli occhi luccicanti. Gira e rigira lento il cucchiaino nella tazzina scura e profumata, vortice di caffè con le persone, che m’hanno accompagnato nella vita. Caffè di compagnia, di sentimenti, d’amicizia e d’amore, o frettoloso per un incontro poi dimenticato. Un profumo soave che dissolve la stanchezza e il dolore e che svapora lacrime vecchie e nuove d’ogni giorno.

18

LUCIA TENCAIOLI

Ritorno Eccole, tonde e paffute, nuvole bianche ammassate che coprono il cielo, lasciando buchi d’azzurro sospesi. Stridono rondini allegre lanciate nell’aria di maggio e giunge l’odore salmastro nell’unico e stanco meriggio. Ti aspetto, speranza di sogni, perduta nel tempo lontano che torni nel vento la sera sul bianco pitosforo in fiore.

19

PAOLA CARROLI CALCAGNO

Il mistero di Sardorella

4. (continua dal numero precedente)

Intanto Giuseppina ed Elisabetta procedevano a braccetto sotto un unico ombrello, ispezionando la zona centimetro per centimetro. Entrambe erano zuppe d’acqua, ma non si volevano arrendere subito.

A un certo punto tra le foglie apparve una cosa a forma di cono rovesciato. Dopo aver lanciato un gridolino d’eccitazione, Giuseppina diede un calcetto a quell’oggetto misterioso e quasi si sbilanciò perché - credendo che il mucchietto fosse solido – aveva dato la pedata con un certo impeto. Invece quell’ammasso non era altro che un cumulo di fango (o di un’altra sostanza altrettanto poco profumata, ma decisero di non indagare). Comunque nessuna delle due si scoraggiò, anzi entrambe cominciarono a scavare a più non posso con degli attrezzi da giardinaggio portati per l’occasione. Il risultato fu deludente perché trovarono solo della melma e un paio di vermi. Stabilirono allora che era giunto il momento di abbandonare l’incarico e si diressero verso il casello ferroviario per ricongiungersi con gli altri. Nel frattempo per fortuna il maltempo era cessato, ma la casa cantoniera si trovava avvolta da un silenzio irreale. Infatti, quando le due donne entrarono - videro che all’interno non c’era anima viva. Sul tavolo della sala giacevano immobili i resti di un pasto consumato alla svelta, mentre l’anta dell’unico armadio della stanza era totalmente spalancata.

Giuseppina ed Elisabetta si precipitarono a guardare dentro l’armadio, ma furono abbagliate da una luce intensissima. Quando i loro occhi si abituarono a quella intensità luminosa, si accorsero che il bagliore proveniva da un oggetto dorato a

20

forma di piramide. Come Giuseppina lo toccò, il chiarore del manufatto si spense.

Elisabetta provò a prenderlo, ma era talmente pesante che sembrava fatto di piombo. Forse era incollato al ripiano. “Forse il tesoro è lì dentro” strillarono in coro.

In quel preciso momento si accorsero che nel ripiano sottostante c’era un martello.

Pareva quasi che l’arnese fosse comparso dal nulla per essere d’aiuto. Giuseppina lo usò per spaccare quel coso indefinibile, che si spezzò in due come una mela, ma invece dei semi del frutto sbucarono alcuni chicchi gialli. “Forse se li piantiamo nel terreno nasceranno degli alberi che produrranno frutti preziosi” – affermò Elisabetta. Dopo aver compiuto un lavoro certosino, le due donne ripresero il trenino e tornarono a Genova alla ricerca dei compagni perduti, che - accecati sul momento da quella radiazione potentissima – avevano deciso di allontanarsi in fretta e furia, ritenendo di essere vittima di un sortilegio.

E’ proprio grazie alle nostre due eroine se ancora oggi – quando sostiamo a Sardorella - possiamo ammirare dei fantastici alberi di lentisco che offrono piccole drupe sferiche auree e splendenti…

Nota dell’autrice: Il racconto è basato su una storia realmente accaduta, tranne che per la parte riguardante la ricerca del tesoro.

Si ringrazia per le informazioni storiche e geografiche: http://www.ferroviagenovacasella.it

21

ENRICA VACCA

Il caffè Con i suoi aromi, le sue sfumature, ora delicate, ora decise, il caffè è la perfetta metafora della vita. Può essere dolce o amaro, possiamo scegliere di consumarlo o gustarlo in solitudine… o in compagnia, sta solo a noi la scelta! Cogliere, ogni giorno, i diversi sapori e farsi sorprendere ogni momento. Dolce per i momenti di riflessione, forte per risvegliarsi al mattino con occhi nuovi.

22

ENRICA VACCA

Curiosità sul caffè Forse non sapevate che…

Esistono varie leggende sull’origine del caffè. La più

conosciuta è quella che racconta la storia di un pastore etiope. Un giorno, portando a spasso le sue capre, l’uomo si accorse che gli animali stavano mangiando bacche e foglie di una strana pianta. In seguito, arrivata la notte, le capre anziché dormire, rimasero sveglie e vivaci fino all’alba.

Così l’uomo si ricordò di quell’insolita pianta. Ne raccolse i

semi, li abbrustolì, li macinò e, dopo averne fatta un’infusione, ottenne il primo caffè della storia.

Questa, quindi, la leggenda. Di certo si sa che la pianta è

originaria dell’Africa occidentale e che, nel XV secolo, la bevanda arrivò a Damasco, al Cairo e a Istanbul. Venezia fu la prima città italiana a farne uso (intorno al XVI secolo) anche se, le prime “Botteghe del caffè” furono aperte intorno al 1645.

23

GIUSEPPINA SORBELLO Il caffè

Era il loro ultimo appuntamento. Anna si stringeva al suo compagno per sentirne ancora un poco il calore e per trattenerlo in qualche modo. L’atrio della stazione era affollato. L’altoparlante annunciava un ritardo. Qualcuno nella fretta li spinse e si trovarono l’uno nelle braccia dell’altro. Si guardarono smarriti. La borsa di lei era scivolata per terra e lui la raccolse porgendogliela con un gesto di tenerezza. C’era ancora un po’ di tempo alla partenza del treno per Monaco e decisero di entrare nel piccolo bistrot. Entrarono abbracciati, senza curarsi degli altri e sedettero al tavolino d’angolo. Le loro mani erano intrecciate, ma non osavano più guardarsi.

Chiara li vide subito e si avvicinò per ricevere le ordinazioni, rimanendo un attimo interdetta, perché colpita dall’espressione triste ma al contempo intensa dei due giovani. - Due caffè - dissero entrambi e le loro voci si sovrapposero. La ragazza ritornò al banco pensierosa, mise in moto la macchina del caffè e riempì il contenitore con la miscela più pregiata e destinata ai clienti speciali. Poi aprì una piccola vetrinetta dietro il bancone e prese due belle tazzine bianche che posizionò sotto il gruppo erogatore. L’aroma intenso del caffè si diffuse per tutto il locale, sorprendendo i clienti che assunsero un’aria felice, solo la coppia seduta al tavolino d’angolo sembrava non accorgersi di nulla.

Chiara posò sul vassoio le tazzine bianche, la piccola lattiera, anch’essa di porcellana finissima, e due sfogliatelle appena sfornate. Poi si avvicinò al tavolino e, tenendo il vassoio davanti a sé, con il suo più dolce sorriso disse: - Ecco fatto, - E per Voi, clienti speciali, due sfogliatelle appena sfornate “Offerta della casa”. - I due giovani la guardarono

24

attraverso la nebbia dei loro occhi, che tradivano una forte emozione e la ringraziarono con voce a stento percettibile. Intimidita Chiara si allontanò con l’amarezza nel cuore.

Da quando aveva accettato quel posto di cameriera nel

piccolo bistrot le capitava spesso di essere l’involontaria testimone di molti piccoli drammi e di molte piccole felicità. Si trovava, suo malgrado, partecipe della vita degli altri ed era per lei come essere su un set cinematografico e sfiorare gli attori di un film, dove lei stessa era una piccola comparsa. La sera, prima di addormentarsi, faceva scorrere lentamente davanti agli occhi le immagini della giornata e si dilettava a ricucire le storie o a ricrearle, sempre con esito felice. Si, lei adorava le fiabe e quindi il finale doveva essere: … «e vissero felici e contenti». Solo così scivolava nel sonno e nessun incubo l’avrebbe svegliata. E così fu anche quella sera per la giovane coppia, mentre un vago e complice profumo di caffè inondava la sua cameretta.

25

MARCO MARZAGALLI Ironia della sorte

Quando teneva la tazzina a quel modo, con il dito mignolo alzato, bisognava starne alla larga.

Era un segnale di stop, vietato avvicinarsi, tantomeno interloquire. Perlomeno così suggeriva il buon senso.

Alvaro Patanè era un bel tipo, a prenderlo con le molle, ma quando gli giravano, ah! se gli giravano, diventava insopportabile e un tantino pericoloso. C’era sempre qualcosa che gli faceva saltare la mosca al naso. Già dalle prime mosse, una specie di rituale, chi lo conosceva bene capiva che era meglio lasciarlo stare.

Il caffè lo prendeva seduto, rivolto all’ingresso del locale, come volesse impedire l’accesso a estranei o quantomeno affrontarli a viso aperto esortandoli col suo fare minaccioso a non entrare.

Nel suo mutismo che pareva contemplazione, gli occhi mulinavano posandosi qua e là. Non avevano bisogno di stimoli particolari, le pupille roteavano incessantemente per coprire tutto il campo visivo.

Assodato che non sarebbe stato disturbato, dava inizio alle operazioni che prevedevano una serie di azioni meticolosamente preparate.

Una volta servito al tavolo, osservava attentamente la tazzina che non presentasse alcuna scalfittura della ceramica né segno di impurità o di sporcizia. Analogamente analizzava minuziosamente la qualità del cucchiaino, della zuccheriera e del suo contenuto. Allineava il piccolo recipiente della corroborante bevanda nella corretta posizione di consumo con minimi tocchi del dito indice. Zuccherava facendo scivolare la sostanza cristallina lentamente sulla schiuma densa del caffè. Rimescolava.

26

Ovviamente ogni sua mossa era intervallata da pause più o meno lunghe, tanto che un avventore del locale che ancora non lo conoscesse bene, avrebbe potuto gridargli: “e mùviti ca si

fridda!” Totò Musumeci, il barista, sapeva come doveva preparargli

il caffè. Lo macinava fine fine, lo faceva colare a lungo di modo che un po’ di polvere di caffè passasse dal filtro e si deponesse sul fondo della tazzina. Perché l’Alvaro praticava una sorta di caffeomanzia, l’arte divinatoria di leggere i fondi di caffè per predire il futuro di chi gli stava intorno o di chi si fosse rivolto espressamente a lui.

Usava un metodo casalingo, senz’arte né parte, ma a detta sua e di alcuni suoi seguaci, molto affidabile. Lui si limitava a bere il caffè lasciandone un po’ sul fondo, capovolgeva la tazzina sul piattino, si concentrava su ciò che voleva indagare, attendeva qualche minuto perché rimanesse una traccia più o meno asciutta, raddrizzava la tazzina e cercava di interpretare i segni formatisi sul fondo e sulle pareti di porcellana.

Così Alvaro Patanè aveva predetto innumerevoli fatti che avevano riguardato la tranquilla popolazione di quei luoghi.

Aveva previsto fidanzamenti e sposalizi, come pure liti o tradimenti, separazioni e ricongiunzioni familiari. Sapeva preannunciare periodi di siccità o di precipitazioni abbondanti, le sorti dell’agricoltura o di altre attività lavorative. Quand’era necessario si pronunciava sullo stato di salute delle persone ed era d’aiuto in caso di perdite o ritrovamenti di oggetti di varia natura.

Può darsi che la preveggenza di Alvaro fosse frutto delle credenze popolari, delle voci che corrono, di quel che si riteneva probabile o auspicabile, ma c’era sempre qualcuno che aspettava con ansia le sue premonizioni. C’era insomma chi se la rideva, ma anche chi lo prendeva estremamente sul serio.

27

Ciò fino a quando il nostro buonuomo decise di tornarsene a casa dopo una serata di bagordi in cui, oltre alla solita buona dose di caffè, aveva provveduto a trangugiare una quantità fuori misura di bevande alcoliche. Nel buio della notte egli si era imbattuto in un vecchio compagno d’armi, o così almeno credeva.

In effetti il gran compagnone non si mostrò affatto loquace, limitandosi a sordi sbuffi o grugniti e veri e propri ragli che l’Alvaro aveva interpretato come espressioni di giubilo o manifestazioni ridanciane in risposta alle sue battute e alle amichevoli pacche sulle spalle.

Eh sì, quel gran compagnone non era altri che un umile esponente della razza equina, e più propriamente un mulo. Sebbene avvezzo alla sopportazione e alle stramberie umane, quell’essere disturbato nella quiete del riposo, aveva mostrato improvvisamente tutta la sua indole selvaggia, sferrando due poderosi calci sul deretano del malcapitato Alvaro che era stramazzato pesantemente al suolo battendo, ahimè, il capo sul selciato.

Data l’ora tarda, il suo corpo fu rinvenuto soltanto la mattina dopo, e per quanto misteriosa apparisse la sua morte, la gente del posto che notoriamente è propensa a non farsi troppe domande, fu giustamente concorde nel ritenerlo vittima di qualche disgrazia. Mizzica, si disse soltanto, li funni di cafè nu l’avìanu prividutu.

(Accipicchia, si disse soltanto, i fondi di caffè non l’avevano previsto.)

28

MARIA GIOVANNA FRANCESCHI O caffè O caffè, bene mio amato, ti gusto ancor ad occhi semichiusi la mattina quando dalla moka, fluttuante, t’offri al mio palato avido del tuo caldo calore che scivola dentro fino a risvegliare un po’ la mente ed iniziare così la mattina. Che dire poi del nuovo incontro con la pancia piena? Dicono che aiuti a digerire, vero o no ti cerco nuovamente perché troppo mi piaci e lentamente giro il cucchiaino come un bambino. Caffè caro è una vita che ci conosciamo, ogni giorno ci ritroviamo perché sei troppo buono, sempre pronto a soddisfare il mio bisogno. La sera no, ti lascio solo Ma l’appuntamento è per domattina e sarà un piacere iniziare la giornata con te nella tazzina. Ciao! Giovannina

29

CLARA CROVETTO Lampi di viaggio Alicante la Medusa Cadiz… sospesa… Gibilterra l’araba Lisboa “tudo bem” Granada gli occhi neri e Barcelona dei cento colori Un suono unico: la pancia della nave, il rullio, la scialuppa, le gru dei porti

a mia madre

Haiku Dlin dlin mattino Il cucchiaino sbatte Sulla tazzina

30

INDICE

Prefazione di Elisabetta Baldassari pag. 3 Il caffè di Renato de Luca pag. 4 Oltre i vetri e una pioggia di Renato de Luca pag. 6 Magia di caffè di Ugo Soliani pag. 7 Tra i flutti della vita di Ugo Soliani pag. 8 Mozart di Giuseppe Guccione pag. 9 Malato di Giuseppe Guccione pag. 12 Il pane di Logan di Giuseppe Guccione pag. 14 Il caffè - Nora di Giuseppe Guccione pag. 15 Un po’ di caffè di Lucia Tencaioli pag. 17 Ritorno di Lucia Tencaioli pag. 18 Il mistero di Sardorella 4 di Paola Carroli pag. 19 Il caffè di Enrica Vacca pag. 21 Curiosità sul caffè di Enrica Vacca pag. 22 Il caffè di Giuseppina Sorbello pag. 23 Ironia della sorte di Marco Marzagalli pag. 25 O caffè di Maria Giovanna Franceschi pag. 28 Lampi di viaggio di Clara Crovetto pag. 29 Haiku di Clara Crovetto pag. 29

31

QUADERNI PRECEDENTI Quaderno n. 1 – La terra di Liguria (Maggio 2008) Quaderno n. 2 – Passioni ed incontri Quaderno n. 3 – Festività, tradizioni e personaggi liguri Quaderno n. 4 – Una frase che non ho detto o che ho letto Quaderno n. 5 – I quattro elementi Quaderno n. 6 – Il sogno Quaderno n. 7 – Degli affetti Quaderno n. 8 – Il viaggio Quaderno n. 9 – Il lavoro Quaderno n. 10 – Una strada, una piazza, un vicolo Quaderno n. 11 – Seguire il cuore o la ragione? Quaderno n. 12 – La bellezza Quaderno n. 13 – La fratellanza Quaderno n. 14 – Gli animali Quaderno n. 15 – Romanticismo Quaderno n. 16 – Storie in un altro tempo Quaderno n. 17 – Felicità e tristezza Quaderno n. 18 – La mia città Quaderno n. 19 – La pioggia Quaderno n. 20 – C’era una volta Quaderno n. 21 – Inverno Quaderno n. 22 – Musica Quaderno n. 23 – Il mare Quaderno n. 24 – Autunno Quaderno n. 25 – Un’immagine Quaderno n. 26 – La natura Quaderno n. 27 – Il cibo Quaderno n. 28 – Dedicato a… Quaderno n. 29 – Il silenzio Quaderno n. 30 – Insieme Quaderno n. 31 – La follia Quaderno n. 32 – L’attesa

32

Essendo la nostra un'Associazione Culturale libera e indi-pendente, ciascun autore si assume la sola e piena responsa-bilità delle opinioni politiche, religiose e, in generale, delle posizioni etiche e sociali contenute nei propri testi.

***

RINGRAZIAMENTI Un grazie sincero da parte di tutti gli scrittori di “Alba Letteraria” va allo staff della biblioteca Lercari e al Municipio Bassa Val Bisagno che hanno sostenuto e finanziato il presente opuscolo. Gruppo culturale

Alba Letteraria http//:www.albaletteraria.beepworld.it

Per informazioni: Gruppo Culturale Alba Letteraria c/o Villa Imperiale - Biblioteca L. G. Lercari L’impaginazione del presente opuscolo è curata da: Fabio Sardi - [email protected] Marco Marzagalli - [email protected] Curatori del sito web: Paola Maria Carròli Marco Marzagalli - [email protected]