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Corso Base Dispense di riepilogo del corso Tecnologia

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tecnologia del suono

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Corso Base

Dispense di

riepilogo del

corso

Tecn

olog

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I

formati di questo tipo sono utilizzati per “immagazzinare” le informazioni di tipo audio nei computer e in tutti i supporti digitali, quali il CD audio, il DAT, il MiniDisc della Sony, il DVD, ecc. Navigando in internet o sempli-cemente accendendo il PC è normale imbattersi in diversi formati audio, spesso più adatti per riprodurre effetti sonori o commentare musicalmente giochi o applicazioni multimediali che per offrire una qualità audio elevata. Per la creazione di files audio esistono va-rie tecnologie, la maggior parte delle quali sono accomunate da un obiettivo di fondamentale im-portanza per le moderne applicazioni: la compressione dei dati. L’enorme sviluppo della rete di comunicazione globale (“Internet”) ha fortemente contribuito allo sviluppo di alcune delle più sofi-sticate tecniche di compressione di files audio e multimediali, al fine di permettere una maggiore rapidità nella trasmissione di dati. Lo spazio che può occupare un segnale audio dipende essen-zialmente da tre fattori: 1) frequenza di campionamento; 2) numero di bit; 3) numero di canali.

1. La frequenza di campionamento indica il numero di campioni al secondo in cui viene scomposta l’onda sonora originaria, attraverso la tecnica del “campionamento”;. Per o-gnuna di queste “porzioni” d’onda viene calcolato un valore medio approssimativo corri-spondente. Maggiore è la quantità di campioni considerati in un secondo (frequenza) e maggiore sarà la qualità del suono prodotto. Per capire meglio, si può usare un paralleli-smo con le immagini: tutte le volte che vediamo un’immagine su un computer, essa è composta da una serie di quadratini monocromatici (nel senso che il quadratino è di un solo colore per volta) uno accanto all’altro; se per la stessa immagine utilizziamo 30 grossi quadratoni o 3000 quadratini microscopici, il risultato cambierà notevolmente! La frequenza dei campioni si misura in Hertz (Hz). Il riferimento standard, adottato univer-salmente è 44100 Hz, cioè 44100 campioni al secondo. Tanto per fornire un riferimento sicuramente conosciuto, anche i CD audio in commercio sono campionati a 44.1 KHz

2. Le dimensioni del campione di un’onda dipendono anche dal numero di bit, o risolu-zione (8 – 16—24—32 bit). Possiamo immaginare il segnale campionato come formato da tanti livelli che visivamente somigliano a una scala, la quale segue un andamento il più fedele possibile alla forma d’onda originale. Gli 8 bit offrono una qualità inferiore ri-spetto ai 16 bit, per esempio, perché permettono di utilizzare solo 256 valori per rappre-sentare le informazioni sui livelli dei campioni. I 16 bit, consentendo 65.536 valori diver-si, ci forniscono un’accuratezza molto superiore. Convertendo campioni da 16 bit a 8 bit si dimezza il file originario ma contemporaneamente si riduce pesantemente la qualità della musica. Lo standard attuale prevede una risoluzione di 16 bit. Sempre utilizzando il parallelismo di cui sopra, immaginate di avere i vostri quadratini monocromatici, avendo a disposizione 65.536 sfumature di colore per riempirli, riuscirete ad avere una riprodu-zione dell’originale molto più fedele che con sole 256 sfumature!

3. Esistono 2 modalità principali di ripartizione dei canali audio (escludendo lo stereo inter-lacciato che esula dai fini di questa trattazione): 1) la modalità Mono: ha un solo canale audio; 2) la modalità Stereo ha due canali: sinistro e destro, separati. In questo caso penso che il concetto sia chiaro di per sé!

Ricapitolando. La qualità e la dimensione di un brano audio digitale dipendono da tre fattori: il nu-

I Formati Audio Digitali

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mero di campioni per secondo, la risoluzione e i canali. Il prodotto dei primi due elementi è de-finito bitrate, cioè bit per secondo, ovvero bps FORMATI AUDIO PRINCIPALI • Formati di tipo Wave

I registratori-lettori digitali furono sviluppati all'inizio degli anni Ottanta sotto forma di adatta-tori PCM (modulazione a impulsi codificati) per i videoregistratori domestici. Il compact disc (CD), sviluppato nel 1983 dalla Sony Corporation (Giappone) e dalla Philips (Paesi Bassi), ha portato il suono digitale in tutte le case, e anch’esso si basa sul PCM. Partendo dagli stessi algoritmi di codifica digitale, alcuni tra i più importanti produttori di software hanno creato dei formati audio digitali per le applicazioni informatiche. Tra questi vi sono .aiff; .au e, sicuramente più importante, il formato sviluppato da Microsoft e IBM: il Wave (.wav). Il formato Wave, può utilizzare frequenze di campionamento che arrivano fino a 44.1 kHz (lo standard), 48 kHz e, ora, anche 96 e perfino 192 kHz (tutte usate solamente negli studi di registrazione, dato che richiedono risorse enormi per gestire files da parecchi gigabyte!). At-tualmente può avere una risoluzione fino a 32 bit (16 è lo standard). Questo formato è or-mai, a sua volta, uno standard di riferimento, e viene largamente utilizzato in tutti gli ambiti informatici. Il pregio fondamentale di questo formato, però, costituisce anche il suo limite principale: se è vero che la mancanza di qualsivoglia tipo di compressione garantisce la mi-gliore qualità attualmente possibile (a parità di bps); è anche vero che i files che ne risultano sono molto grandi. Un solo minuto di musica campionato a 44.1 KHz, 16 bit, stereo in for-mato Wave occupa circa 10 Mbyte! Questi formati non sono, quindi, utilizzabili per diffonde-re musica su internet, ad esempio, dato che le velocità di scaricamento attuali ci costringe-rebbero a parecchie ore di connessione anche solo per un pezzo da 3 minuti!.

• MPEG (Moving Picture Expert Group)/Mp3 Nasce all'inizio degli anni '90 come standard per la diffusione del segnale audio digitale (oltre che quello video) con qualità paragonabile a quella del CD audio. Come vedremo, non è riuscito completamente nell’intento, ma ci ha fornito uno strumento utilissimo! Analo-gamente a quanto fanno i sistemi di riduzione del rumore della famiglia Dolby, MPEG a-dotta tre sistemi di codifica differenti denominati layer1, layer2 e layer3 (quest'ultimo noto anche come MP3), di efficacia e complessità nell'ordine crescenti. Con MP3 è possibile comprimere i file audio (e video), arrivando addirittura a rapporti di compressione di 12:1, pur rimanendo nell’ambito di una perdita di qualità accettabile. Ad esempio una canzone di 5 minuti che in formato .Wav occupa circa 50MB può essere ridotta a soli 4 MB ed essere trasmessa, così, via modem con tempi più ragionevoli. Per questo motivo il formato MP3 è quello attualmente più diffuso per quanto riguarda i brani audio digitali. L' MPEG, tra le al-tre cose, elimina dai files audio determinate informazioni che “non sono necessarie”. Per far questo si basa sui risultati di numerose ricerche di Psicoacustica, una disciplina scienti-fica che si occupa della percezione uditiva nell’uomo. Questi studi rivelano, per fare un e-sempio, che il nostro orecchio non è in grado di percepire frequenze “deboli” adiacenti a frequenze “forti” in quanto queste ultime coprono (in termini tecnici si dice: “mascherano”) le prime. Le informazioni inerenti le frequenze più deboli quindi, poiché queste ultime “non sarebbero comunque percepibili dall’orecchio umano”, vengono eliminate dall’MPEG du-rante la fase di compressione. Procedendo in questo modo si ottiene una notevole riduzio-ne del file audio in termini di spazio fisico occupato. Importante: In realtà non è tutto oro quello che luccica! Per quanto “l’invenzione” (italiana, tra l’altro!) del formato Mp3 abbia aperto un’enorme spettro di possibilità altrimenti impen-sabili e costituisca un’applicazione di matematica superiore eccezionale, non si tratta co-munque di un miracolo. Mi spiego. - La codifica che trasforma un file wave in un fle mp3 è di tipo distruttivo. Ogni alterazione fatta, cioè, è irreversibile e non si potrà più risalire dall’mp3 al wave corrispondente, ma solo ad un file wave che conserva, però, tutti gli impoverimenti caratteristici del formato

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mp3. - Il grosso del risparmio in termini di dimensioni si ottiene eliminando parti del suono che, secondo un modello psicoacustico medio, non vengono percepite dall’ascoltatore… Il pro-blema è, appunto, la media! Ciascuno di noi sente in modo diverso, ed è quindi probabile che si accorga di alcune “mancanze” nel suono, mentre il nostro amico ne nota altre, op-pure, avendo un orecchio davvero medio, non si accorge di nulla! A questo va aggiunto il fatto, secondo me basilare, che l’orecchio di un musicista o di un tecnico del suono, solita-mente, è molto più sensibile e preciso dell’orecchio medio; basti pensare al fatto che un “ascoltatore medio” fa fatica a distinguere fra un basso e una chitarra, e non è in grado di distinguere tra rullante, tom e floor di una batteria! Un buon orecchio noterà, anche negli mp3 di migliore qualità, una notevole riduzione della dinamica, suoni impastati e confusi, sparizione di alcune caratteristiche quali sensazione di spazialità, freschezza del suono, oltre “all’effetto liquido” che compare in alcune occasioni… ecc.. Risulta chiaro che se vogliamo salvaguardare la qualità, e sempre in campo professionale, dobbiamo rifuggire da qualsiasi tipo di compressione spinta, mp3 in testa!

• MiniDisc Discorso a parte meritano i MiniDisc della Sony. Da qualche anno i MD sono diventati qua-si uno standard nel campo dell’home recording. Quasi tutti i musicisti che desiderano ave-re la possibilità di registrarsi optano per un 4 tracce con MD. Il motivo della scelta è solita-mente di tipo economico: costano relativamente poco. La scelta presenta dei grossi lati negativi, però! Il MD adotta un formato di compressione simile a quello dell’mp3, anche se molto meno “spinto”! Il risultato è che, anche se avessimo registrato del materiale perfetto, finiremmo col non avere la possibilità di utilizzarlo, perché ogni intervento (x es. la fase di mastering effettua-ta da uno studio di registrazione in vista di un demo) enfatizzerà i difetti “aggiunti” renden-do a volte indispensabile il retake in studio, con aumento esponenziale dei costi! Se quindi l’Md multitraccia può andar bene per registrare le nostre prove o i nostri esercizi “tanto per risentirsi”; consiglio comunque, spendendo ormai una cifra equivalente, di met-tersi in condizioni di fare Hard Disk Recording con il proprio PC, in modo da avere la pos-sibilità di fare tutto con la massima qualità!

• Il formato MIDI E’ nato come protocollo per la comunicazione tra strumenti musicali e si è in seguito evolu-to in una maggiore standardizzazione nel 1991 denominata General MIDI. I files di esten-sione .Mid contengono interi brani già composti con un sequencer con eventi musicali, (intesi ciascuno come messaggio relativo all’esecuzione di una nota o all’assegnazione di uno strumento, ecc.), con valori di tempo e metrica, singole tracce, tracce parallele. I files midi contengono istruzioni che comunicano alla scheda audio una serie di istruzioni del ti-po: “ora suona un Fa della seconda ottava con un pianoforte a coda e fallo durare x” . In un file midi ci sono solo comandi, in un files wave ci sono suoni.Si può quindi dire che la differenza fra un file midi e un corrispondente file audio Wave è paragonabile alla differen-za fra spartito di un brano e un nastro contenente lo stesso brano registrato. Nel caso del midi, quindi, la qualità dell’esecuzione (a partire dal medesimo file midi la cui qualità intrin-seca dipende dall’abilità di chi lo ha scritto), è strettamente legata alla qualità dell’”esecutore”, cioè l’expander, la tastiera midi, o la scheda audio che utilizziamo per ri-produrre il brano. Questo comporta un notevole risparmio di spazio: Un intero brano musi-cale, con tutte le parti, della durata di svariati minuti, può occupare qualche decina di Kbyte, dal momento che ogni singolo evento MIDI occupa soltanto 11 byte. I file Mid sono molto utilizzati nei giochi e sono diffusissimi sui siti di internet come colonne sonore per pagine Web. Essendo una sorta di spartito, è anche il modo migliore (se non forse l’unico!)per trasmettere via posta elettronica arrangiamenti o quant’altro.

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Questo specialissimo apparecchio per molti appare uno stumento oscu-ro; non conoscerlo può essere una grave lacuna ed è per questo che

dedichiamo un capitolo alla sua comprensione. Un buon microfono è uno strumento delicato e per avere il massimo delle prestazioni occorre sa-perne gli impieghi e le principali caratteristiche. Esistono due principali famiglie di microfoni: DINAMICI e a CONDENSATORE. • DINAMICO è quel microfono equipaggiato con un trasduttore (la parte che trasforma le on-

de sonore in variazioni proporzionali del segnale elettrico) fatto con lo stesso principio fisico dell'altoparlante. Una delicata e sensibile membrana, unita ad una bobina, lavora all'interno di un magnete.Ogni spostamento della membrana dovuto alla variazione della pressione dell'aria causata dai suoni, viene tradotto in un segnale elettrico proporzionale. Pregi: robustezza, collaudata affidabilità, buona qualità, silenziosità nel maneggio ed eco-nomia di acquisto. Difetti:Soffrono di una certa inerzia per la rilevazione di suoni molto deboli e non hanno una regolarità nella risposta in frequenza, ne consegue che i fabbricanti hanno sviluppato diversi modelli con caratteristiche specifiche per i vari strumenti e le voci.

• CONDENSATORE è quel microfono equipaggiato con un trasduttore che applica il principio del condensatore. Ogni spostamento della membrana del microfono, sottile come un'ala di farfalla, fa variare la capacità di un particolare condensatore che in uscita rende segnali e-lettrici proporzionali al suono captato. Pregi: Straordinaria qualità di ripresa, linearità nella risposta in frequenza: è il microfono professionale per eccellenza, capace di registrare qualsiasi strumento con resa autentica e fedele. In genere ha anche la possibilità di scegliere la polarità della ripresa per mezzo di un piccolo switch posto sul corpo del microfono. Difetti: I microfoni a condensatore sono molto costosi e delicati. Necessitano di una alimen-tazione chiamata Phantom (48 volt continua), di solito fornita solo da mixer di pregio.

PARLIAMO DEL DIAGRAMMA POLARE DEI MICROFONI In scena su un palco o in sala prove, tra casse spia ed amplificatori, i rientri degli altri strumenti sono sempre in agguato sul vostro beneamato microfono che, poverino, dovrebbe ignorare tutti i suoni eccettuato quello emesso dal vostro strumento o dalla vostra voce. Magari!... In realtà, al massimo si riescono ad attenuare i suoni che non sono davanti alla capsula del microfono, ed è già qualcosa; il resto è in mano ai tecnici del suono (quando ci sono!). La qualità che determina questa capacità è la direzionalità del microfono. Esistono infatti varie ti-pologie di microfono, che sono costruite in modo da avere una sensibilità diversa rispetto ai suoni provenienti dalle varie direzioni (vedi figura). Vediamo le più importanti Omnidirezionale significa che è ugualmente sensibile a tutti i suoni, indipendentemente dall’angolo di provenienza Cardioide significa che quel microfono ha una direzionalità a forma di cuore: i suoni all'interno di questo spazio sono captati, mentre al di fuori vengono notevolmente attenuati.

I Microfoni

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Ipercardioide significa che questa caratteristica polare è ancora più spinta. Polarità ad otto: Significa che dinanzi al microfono esistono due aree di captazione direzionale. Si utilizza questa polarità, ad esempio, nelle radio in presenza di due speaker.

La stragrande maggioranza dei microfoni in commercio sono di tipo DINAMICO CARDIOIDE, SUPERCARDIOIDE O IPERCARDIOIDE. Questo tipo di microfono, nelle sue realizzazioni più prestigiose di fabbricanti capaci come Shure, AKG ed altri, di solito unisce grande flessibilità di uso, robustezza ed affidabilità, oltre ad una qualità che soddisfa anche le registrazioni più accurate. La risposta in frequenza di un microfono dinamico ha però una “finestra” limitata come già detto e, soprattutto, varia abbastanza sensibilmente a seconda della frequenza del suono (risposta in frequenza non lineare). Questa caratteristica, insieme ad altre caratteristiche quali la sensibilità alla pressione sonora (transiente) e la presenza e l’intensità dell’effetto prossimità, definiscono l’utilizzo specifico che ogni costruttore consiglia per quel dato microfono. Nel catalogo di ogni fabbricante, tra i microfoni dinamici direzionali troveremo quindi tre tipologie di massima:

1. Microfoni destinati alla grancassa,, costruiti con una considerevole superficie della cap-sula, come il D112 della AKG, e dotati di una grande robustezza.

2. Microfoni idonei alla ripresa di strumenti musicali dal registro medio e alto. Capsula con superficie media, come lo Shure SM57, utilizzato per rullante, per le chitarre e strumenti vari.

3. Microfoni per il canto, di solito a forma di cono gelato, con caratteristiche particolarmente adatte alla voce. Molti di questi presentano anche uno spiccato effetto di prossimità; la risposta in frequenza alle frequenze basse aumenterà esponenzialmente avvicinando la sorgente sonora alla capsula. Un classico è lo Shure SM 58.

Principali Diagrammi Polari. Quasi tutti i microfoni in commercio presentano un disegno semplificato di questo diagramma vici-

no alla capsula per consentire la rapida individuazione della sua tipologia.

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Norme Generali sull’uso dei microfoni • Diminuire il più possibile la distanza dalla sorgente sonora che vogliamo riprendere. • Utilizzare a nostro favore il diagramma polare di ogni microfono, mantenendo la sorgente

all’interno dell’angolo di massima efficienza del microfono, meglio se si riesce, in genere, a mantenerlo perpendicolare in asse.

• Per lo stesso motivo, cercare di porre il microfono in modo che l’angolo di MINORE efficien-za sia in corrispondenza dei monitor

• Cercare di mantenere la distanza tra il microfono e la sorgente fissa il più possibile • MAI puntare il microfono direttamente verso i monitors o le casse • MAI picchiare direttamente su una capsula per vedere se il microfono è acceso • Un microfono è uno strumento abbastanza delicato che, soprattutto, teme l’umidità. Ripone-

te i microfoni nelle loro scatole appena possibile e non gettate via il sacchettino anti-umido che di solito contengono. Un microfono costa parecchio, ma se lo trattiamo come si deve ci durerà per una vita intera, letteralmente!

L’argomento microfoni che in questo corso è stato affrontato in modo forzatamente superficiale, verrà ripreso e ampliato nelle lezioni di Tecnologia Avanzata; durante le quali si entrerà più nello specifico, soprattutto per quanto riguarda l’uso dei microfoni, i rudimenti sulle tecniche di microfo-naggio e quant’altro serva nella pratica ad un musicista che si trovi a dover affrontare una serata senza avere supporto tecnico.

Da Sx a Dx: AKG D112; Shure SM57; Shure SM58

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Il mixer è un aggeggio indispensabile nel quale, prima o poi, si imbatte qualsiasi musicista. Ve ne sono di molti tipi e con le ca-ratteristiche più disparate, ma gran parte del discorso vale con uno qualunque di essi. Imparare ad usare un mixer sfruttando

al massimo le sue caratteristiche è un’operazione che richiede un intero anno del corso di Tecnico del Suono (e un sacco di anni di pratica); ma riuscire a non spaven-tarsi di fronte a tutte quelle manopoline, e riuscire anche a far uscire un segnale si-mile a quello che vorremmo, è un obiettivo raggiungibile senza troppi sforzi! L’utilizzo del Mixer, quindi la sua nascita, deriva dalla necessità di avere un strumen-to di controllo di tutte le sezioni di un Ensemble, sia orchestrale che vocalico. La radio, che è la mamma di tutte le comunicazioni di massa, ha fomentato per pri-ma lo sviluppo di questo strumento, data la ripresa di orchestre e cantanti o di diver-si presentatori e speakers. GENERALITA’ SUL SEGNALE AUDIO Prendiamo nota di alcune caratteristiche elettriche principali dei segnali audio gene-rati da strumenti musicali o microfoni: · Livello di uscita, espresso anche in Dbu, che spiega la natura elettrica di ogni se-gnale: elevato il livello quando si tratta di uno strumento a tastiera o altro generato-re, basso quando si tratta di microfono o chitarre con pick up passivi. In pratica pos-siamo dire che un microfono genera un segnale audio “più basso” di quello di una ta-stiera · Impedenza, per questioni connesse alle leggi fisiche che regolano l’elettricità, i se-gnali generati da un microfono o da uno strumento quale la tastiera, hanno una im-pedenza (che possiamo considerare, semplificando, la “resistenza che oppone al pas-saggio del segnale”), misurata in Ohm, molto differente tra di loro. Questi, assieme ad altri che non interessano a questo punto del discorso, sono alcuni dei motivi per i quali ogni canale di un mixer ha, solitamente, due ingressi; uno MI-

CROFONICO e uno DI LINEA. Questo è un particolare del retro di un mixer. Rappresenta gli ingressi re-lativi ad un canale (il 12). Dal basso verso l’alto: L’ingresso microfonico (MIC), caratterizzato da un connettore di tipo XLR femmina (spesso detto anche cannon dal nome della ditta che li ha com-mercializzati per prima) L’ingresso LINEA (LINE IN), connettore di tipo Jack femmina (più propria-mente TRS). Sulla scritta sottostante “Bal (or Unbal)” torneremo a breve, così come sul Jack femmina contrassegnato “Insert”

Il Mixer

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SEGNALE BILANCIATO E SBILANCIATO I segnali che vengono prodotti da uno strumento musicale, e ancor di più da un mi-crofono, sono segnali a basso livello, immaginateli come un mormorio. Per poter sen-tire chiaramente e senza distorsioni un mormorio abbiamo bisogno di un silenzio as-soluto: la presenza di rumori o disturbo di qualsiasi genere ci renderà difficoltoso ca-pire, se non addirittura impossibile! Nel nostro caso il disturbo è rappresentato dal “rumore elettromagnetico” presente nell’ambiente che ci circonda. Quante volte ci è capitato, nella nostra sala prove, di sentire un ronzio insopportabile uscire dalle cas-se, o addirittura sentire la radio! Senza dilungarmi molto sugli aspetti elettromagne-tici, vi basti sapere che, di fatto, ogni cavo è una potenziale antenna ricevente, che sarà tanto più efficiente (a nostro discapito!) quanto più è lungo e peggio schermato.

-Sbilanciato

Le linee sbilanciate sono caratteristiche delle connessioni in uscita degli strumenti musicali quali tastiere, chitarre, ecc. Si tratta di uno standard che, per quanto diffusissimo, non permette l’isolamento massimo del segnale. Il segnale, infatti, essendo di natura elettrica, necessita di un circuito chiuso per propagarsi; avviene così che sul conduttore esterno che abbiamo connesso a terra per fungere da schermo elettromagnetico, passi ANCHE il segnale, “sporcandosi” nel tragit-to con tutte le interferenze captate dal cavo. Qualsiasi cavo Jack-Jack mono (più propriamente detto TS) è di questo tipo, così come i collega-menti del nostro Hi-Fi di casa (solitamente con connettori RCA)

-Bilanciato

Nel caso dei segnali provenienti dai microfoni, che hanno un livello particolarmente basso, o in qualsiasi situazione nella quale siamo costretti ad usare cavi lunghi, la schermatura fornita da u-na linea sbilanciata non è sufficiente. In questi casi si ricorre alle linee schermate bilanciate. In questo caso i conduttori avvolti dallo schermo sono due ed in essi fluisce il segnale. Questi pren-dono il nome di caldo (positivo, hot), e freddo (negativo, cold). Lo schermo (sleeve), connesso elettricamente a terra, non deve in nessun modo entrare nel circuito dove scorre il segnale e in questo modo separa più efficacemente il segnale dal disturbo. Tutti i cavi microfonici XLR (cannon) sono bilanciati, mentre un cavo Jack-Jack stereo (bilanciato) può essere usato sia per connettere due apparecchiature portando un segnale stereo sbilanciato, sia due apparecchiature portando un segnale mono bilanciato. Presupposto fondamentale per il funzionamento delle linee bilanciate è che lo schermo non sia assolutamente connesso con i conduttori di segnale. Gli apparati dotati di ingressi e di uscite bi-lanciati, sono dotati di appositi circuiti che garantiscono l’isolamento dalla terra, nel caso noi si colleghi un cavo sbilanciato ad un sistema bilanciato, di fatto sbilanciamo tutta la linea. Esempio: Io collego ad un microfono un cavo XLR da 30mt e, dato che l’unico ingresso che ho è di tipo jack mono, collego un cavettino da 20cm con un connettore XLR e uno Jack mono per adattare il ca-vo… facendo questo io ho “creato” un cavo sbilanciato da 30mt, che sarà una fabbrica inesauribi-

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le di disturbi di ogni genere! L’unico modo per trasformare una linea sbilanciata in una bilanciata è connettersi attraverso un “trasformatore” che si chiama D.I. Box Le DI Box sono spesso attive, necessitano cioè di alimentazione che, a seconda del modello, viene fornita con una pila o attraverso la Phantom data dal mixer, come per i microfoni a condensatore.

A questo punto risulta chiaro il significato delle scritte sugli ingressi del canale del mixer: l’ingresso MIC è sempre bilanciato, quindi non necessita di diciture, mentre il LINE IN, nel nostro caso, è costruito in modo da accettare sia segnali sbilanciati mediante jack “mono”, sia segnali mono bilanciati mediante jack “stereo”. Canali di ingresso Nel disegno a fianco è raffigurata schemati-camente la sezione di ingresso di un mixer, con, indicato dalle frecce, il percorso che se-guono i segnali provenienti dai vari ingressi. Tali segnali percorrono una serie di circuiti identici, che formano un singolo canale di ingresso, per poi confluire in vari modi nei bus di miscelazione (le uscite aux per i monitor o gli effetti, o l’uscita master per l’amplificazione finale), rappresentati con le frecce orizzontali tratteggiate, dove avviene la miscelazione vera e propria, e che con-fluiscono nella sezione di uscita. Ogni circui-to dei canali di ingresso fa capo a determi-nati controlli che possono apportare modifi-che al segnale audio, oppure possono de-terminare le modalità con cui avviene la mi-scelazione. Vogliamo ora esaminare in det-taglio questi circuiti, definendone caratteristi-che funzionali e operative. Connettori di ingresso – Alimentazione Phantom—Controllo gain La maggior parte dei mixer possiede, come abbiamo già visto, per ogni canale due ingressi: uno microfonico bilanciato, con connettore XLR, l’altro di linea bilanciato o sbilanciato con connettore Jack. Vi è anche un terzo connettore jack denominato insert, la cui funzione sarà spiegata più a-vanti. In alcuni mixer esiste un piccolo commutatore sul frontale per abilitare l’ingresso microfonico o l’ingresso linea, in altri inserendo un jack nell’ingresso linea si disabilita l’ingresso microfonico. Sul connettore microfonico può essere fornita una alimentazione phantom, sotto forma di ten-sione continua a 48 V. L’alimentazione phantom serve per il funzionamento dei microfoni a con-densatore o per le DI Box attive non alimentate a pila. L’alimentazione phantom può essere abilitata da un interruttore su ogni canale, o, nei mixer più

Gain

Filtri eq.

Aux pre fader

Fader

Pan pot

Aux post fader

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economici, da un interruttore unico che fornisce questa alimentazione contemporaneamente su tutti gli ingressi microfonici. Bisogna però prestare molta attenzione al fatto che l’alimentazione phantom, per le modalità con cui è erogata, richiede obbligatoriamente una linea bilanciata. In ca-so di sbilanciamento, infatti, unendo un conduttore di segnale con lo schermo, si manderebbe la phantom in corto circuito. In alcuni casi si rischierebbe anche di far circolare la phantom all’interno di strumenti musicali, col risultato di danneggiarli. E’ inoltre da notare che, quando la phantom è inserita, ogni connessione o sconnessione del cavo provoca un “botto” nelle casse, quindi è consigliabile disinserire la phantom prima di operare, o, se non fosse possibile, mettere in “mute” il canale! Il primo comando che il segnale passa è il controllo di Gain (guadagno), comandato solitamente dal primo potenziometro in alto sul canale, e che, a volte, reca la dicitura Trim. Si tratta di un pre-amplificatore a guadagno variabile, che ha la funzione di adattare l’impedenza in ingresso, va-riando la sensibilità, in modo che il segnale venga trattato dal canale nel migliore modo possibile. Un segnale di intensità troppo alta, infatti, saturerebbe il canale, provocando un suono distorto. D’altra parte un segnale troppo basso dovrebbe essere molto preamplificato dai circuiti successi-vi del mixer, in questo modo si preamplificherebbero anche tutti i rumori parassiti. Da ciò si dedu-ce che il Gain è uno dei controlli più importanti e delicati della catena: una buona regolazione del gain ci permette di avere un segnale equilibrato su cui lavorare, esso infatti non “alza o abbassa il volume di ingresso”, bensì ne migliora le caratteristiche, in un certo senso! Uso del controllo di gain Per poter regolare al meglio il gain, occorre attivare sul canale il tasto PFL (pre fader listen, con-trollo che verrà illustrato in seguito), questo ci da modo di visualizzare sull’indicatore (VU meter) l’intensità del segnale dopo il gain, ma prima di tutti gli altri controlli. Si regolerà il controllo di gain affinchè sul VU meter si legga 0dB in corrispondenza del punto più alto del segnale. Questo procedimento va seguito per ogni canale in ingresso. Se abbiamo effettuato questa operazione in modo corretto, possiamo supporre che passato il controllo di gain, i segnali provenienti dalle fonti più diverse, abbiano tutti una ampiezza più o me-no simile, o almeno dello stesso ordine, in modo da consentirci di elaborarli e poi miscelarli insie-me allo stesso modo. E’ buona regola generale non alzare il gain oltre il 65% ca. A questo punto, sul percorso del segnale, è inserito il con-nettore di insert. Si tratta di un jack stereo “normalizzato”, nel senso che se nessun jack vi è connesso, il segnale prosegue normalmente il suo percorso, se invece viene in-serito un apposito cavo, il cui schema è illustrato a fianco, il segnale può essere prelevato per essere elaborato da apparecchiature esterne, come equalizzatori, compressori, noise gate, e quindi di nuovo immesso nel mixer per il suc-cessivo trattamento.

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Filtri di equalizzazione In generale uno “stadio di equalizzazione” ha il compito di modificare la risposta in frequenza di un segnale audio. Possiamo, in pratica, far si che una determinata gamma di frequenze risulti esaltata o attenuata. L’effetto sul suono di una tale ope-razione permette di variare la composizione delle armoniche, e quindi entro certi limiti, il timbro del suono. Risulta particolarmente importante poter intervenire sul timbro dei singoli suoni, prima di procedere al missaggio, dato che solo miscelando dei buoni suoni, riusci-remo ad ottenere un buon risultato finale. E’ da notare che per “suoni buoni”, non si intende per forza suoni “belli” di per se! Una chitarra, per esempio, con un suono bello, pieno e ricco, non è detto che risulti funzionale aggiunta ad un missato gene-rale, anzi, magari risulta fastidiosa, mentre una chitarra equalizzata diversamente sarà bellissima all’interno del sound generale, anche se da sola ci sembrerà “brutta”! Lo stadio di equalizzazione di un canale di ingresso di un mixer è composto da un certo numero di filtri (gli equalizzatori propriamente detti), di solito da due a quat-tro, che agiscono sul suono in maniera indipendente. Tali filtri possono essere di tre tipi: shelving, parametrici o semiparametrici: • I filtri shelving o “a mensola” agiscono su una frequenza fissa e produrran-no un’esaltazione o un’attenuazione a seconda della posizione del potenziometro in una banda che si estende da quella frequenza verso gli estremi. Normalmente, come nell’esempio a fianco, sono di questo tipo gli EQ posti agli estremi: a fianco abbiamo in alto un EQ grafico per gli alti (HI) centrato sui 12 KHz (12000 Hz) e ca-pace di produrre una variazione di +/-15db su tutte le frequenze audio da 12KHz in su, e uno identico per i bassi (LO), ma incentrato sugli 80Hz • I filtri semiparametrici agiscono su una frequenza variabile, quindi la ban-da sulla quale si produrranno gli effetti di esaltazione e attenuazione è anche essa variabile. Nei filtri parametrici, i più completi, possiamo variare anche la pendenza del filtro, ossia in un certo senso l’ampiezza della banda dove avviene l’esaltazione o l’attenuazione. Nell’esempio a lato abbiamo un solo EQ semiparametrico per i medi (MID), che presenta in basso un potenziometro che permette di scegliere la frequenza di intervento (FREQ) espressa in Herz e variabile tra i 100 e gli 8000, mentre il potenziometro superiore regola la quantità dell’intervento esattamente come negli EQ shelving. Non è possibile suggerire un modo univoco per usare lo stadio di equalizzazione di un canale, dato che i parametri in gioco sono pressoché infiniti, mentre la trattazio-ne dei rudimenti di equalizzazione, caso per caso, è argomento di Tecnologia A-vanzata. Gli unici consigli universalmente validi ed importanti sono: le esaltazioni o attenuazioni sono espresse in db, che è una unità di misura su scala logaritmica che, quindi, comporta variazioni esponenziali (esaltare di 3 db significa in pratica raddoppiare la potenza!) l’entità degli interventi deve tenere conto di questo fatto-re, così da evitare problemi ai componenti, finali e altoparlanti, che dovranno ripro-durlo. E’ sempre consigliabile, inoltre, operare “tagliando” le frequenze che danno fastidio, piuttosto che esaltando le antagoniste, in questo modo si ottiene un suono più bilanciato e si è sicuri di non saturare il canale. A volte, a completamento dello stadio di equalizzazione, vi sono filtri con caratteri-stiche di intervento fisse, come ad esempio un passa alto (filtro che fa passare tut-te le frequenze sopra quella data e “taglia” completamente tutte quelle sotto) con frequenza di 75 Hz che va utilizzato con tutti quei suoni le cui fondamentali non si

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estendono così in basso (quasi tutti), per prevenire rientri fastidiosi a bassa frequenza. Nel nostro esempio, il pulsante di inserimento del passa alto è posto di fianco al gain ed è segnato (LOW CUT) Fader e pan pot Il fader, o dosatore, è il controllo (solitamente lineare e verticale, più raramente controllato da un potenziometro rotatorio) che si trova più in basso nel pannello frontale di un mixer. Ha il fonda-mentale compito di dosare la presenza del segnale di quel singolo canale nel missaggio genera-le. Di solito agisce su una scala graduata in decibel (quindi logaritmica!) in cui il valore 0dB di ri-ferimento è posto più o meno a tre quarti della scala. Per ottenere le migliori prestazioni, come regola generale di massima, e per avere a disposizione un surplus di potenza in caso di necessi-tà, non bisognerebbe mai scostarsi dallo 0dB più di +/-3dB. Il mixer, come la quasi totalità degli apparecchi audio, è predisposto per la stereofonia, quindi presenta in uscita due canali distinti per ricostruire un’immagine stereo. Il segnale mono del nostro canale, può essere inviato in diversa misura ai due canali di uscita at-traverso il controllo di pan pot (panoramic potentiometer). Questo controllo presenta normalmen-te uno scatto al centro della corsa, corrispondente ad un immagine sonora centrale, con il segna-le presente in egual misura su entrambi i canali di uscita. Ruotandolo verso sinistra otterremo un immagine spostata a sinistra, con maggior presenza di segnale sull’uscita sinistra, ruotandolo verso destra otterremo un immagine spostata a destra, con maggior presenza di segnale sull’uscita destra. Attraverso un uso attento del Panpot, potremo fare in modo che l’ascoltatore, per esempio, senta il suono della chitarra provenire dalla posizione del chitarrista, anche se in re-altà lo sta ascoltando dall’impianto, o dare spazialità alla batteria, ecc. PFL (pre fader listen) Questo termine si traduce perfettamente come preascolto, ascolto prima del fader. Questa fun-zionalità, molto cara ai disk jokey, permette di ascoltare in cuffia il segnale presente sul canale, indipendentemente dalla posizione del fader, quindi anche con fader a -8 , ossia con nessun suo-no sul mixato. Contemporaneamente all’ascolto in cuffia invia anche il segnale al VU meter di uscita, per la regolazione del gain che abbiamo visto precedentemen-te. Aux Accanto al missaggio principale, è possibile avere dei missaggi ausiliari completa-mente indipendenti. L’utilizzo tipico di questi missaggi è quello di gestire linee monitor, ossia quei si-stemi di diffusori posti sul palco ad uso dei musicisti, i quali hanno bisogno di un missaggio personalizzato. Un altro uso tipico è quello di gestire gli ingressi degli effetti, quali riverberi, delay ecc. che devono essere applicati solo su determinati suoni, ossia su determinati canali e per di più in misura diversa. Le linee aux si dividono in pre fader e post fader. Alcuni mixer consentono di com-mutare alcune linee aux da pre fader a post fader e viceversa. Nel nostro esempio notiamo il tasto PRE che svolge questa funzione Una linea aux pre fader non è minimamente influenzata dalla posizione che hanno i faders dei vari canali. Il missaggio aux pre fader ottenuto resterà sempre lo stesso anche se variamo il mis-saggio principale. Questo tipo di linea aux è quella che si usa per i monitor di palco, che devono essere completamente indipendenti dal programma di sala. Le linee post fader prelevano il segnale dopo che è stato dosato dal fader. Ogni intervento ope-rato sul fader per variare il missaggio di sala, varierà conseguentemente il missato della linea aux

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post fader. Oltre all’uso evidenziato sopra, queste linee si impiegano soprattutto per prelevare il segnale da mandare ai processori d’effetto. Dal momento che poi il segnale elaborato dai proces-sori d’effetto deve essere rinviato al mixer e mixato con il suono originario, è necessario che va-riando la quantità del suono puro nel missaggio, vari conseguentemente la quantità di suono ef-fettato che vi si aggiunge. Canali stereo Quando abbiamo una sorgente stereo, come ad esempio un lettore CD, una tastiera con uscita stereo e dobbiamo miscelarla con altre sorgenti, dobbiamo in pratica fare in modo che il segnale che la sorgente stereo mi invia sul canale destro venga mixato e si ritrovi sul canale destro d’uscita, e allo stesso modo il canale sinistro della sorgente sul canale sinistro d’uscita. Affinché ciò avvenga dobbiamo impiegare due canali d’ingresso del mixer, uno dei quali tratterà il canale destro della sorgente, e al momento del missaggio dovrà essere panpottato completa-mente a destra, l’altro tratterà il canale sinistro e dovrà essere panpottato completamente a sini-stra. Tutti gli altri controlli, dal gain, ai filtri di equalizzazione, alle mandate aux, fino al fader, de-vono essere rigidamente regolati allo stesso modo nei due canali, pena un trattamento diverso del segnale destro dal sinistro. Dal momento che le sorgenti stereo di segnale audio sono sempre più diffuse, in taluni mixer si è ritenuto opportuno inserire dei canali d’ingresso stereo, che in pratica conglobano due canali mo-no unificandone i controlli. I canali stereo hanno in genere solamente gli ingressi di linea, una sezione di equalizzazione a-dattata, al posto del pan pot un controllo di bilanciamento che consente di compensare eventuali differenze di livello fra i segnali dei due canali.

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