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TARANTO tra storia, tradizioni e leggende ( ottava parte fino agli Svevi ) a cura di nonna Serena

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Storia di Taranto n.°8

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TARANTO

tra storia, tradizioni e

leggende ( ottava parte fino

agli Svevi )

a cura di nonna Serena

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TARANTO E I SARACENI

Nell’827 d.C. i

Saraceni, per la

prima volta, giunsero

sulle coste ioniche

portando morte e

distruzione.

L’occupazione saracena a Taranto

durò per circa quarant’anni, sia

pure con qualche breve

interruzione e la città fu

trasformata in un’importante base

navale dalla quale partivano

spesso le navi che portavano i

prigionieri al mercato degli schiavi.

Di fronte a tali notizie il papa

Gregorio IV si decise a chiedere

l’aiuto dell’imperatore Ludovico il

Pio, così nell’829 d.C. le terre

occupate furono liberate. Ma

diciassette anni dopo, nell’846,

una flotta saracena, guidata da

saheb-el-istoul, nome tradotto

poi in Saba, pose Taranto sotto

un assedio strettissimo. In questa

occasione fu l’imperatore Teofilo

ad affidare il comando di

un’armata al capitano Teodosio

che, con l’aiuto di sessanta galee

veneziane, costrinse il generale

Saba a fuggire.

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In realtà il generale saraceno si era

rifugiato a Crotone, dove attese

rinforzi. Con questi inseguì l’armata

cristiana, la sconfisse e costrinse

alla fuga lo stesso Teodosio, poi

assediò e conquistò nuovamente

Taranto. Nell’864 Urso Patrizio, al

comando di una flotta veneziana,

riuscì a sbaragliare i Saraceni che

fuggirono dalla città bimare e si

rifugiarono a Bari, di lì dirigendo

scorrerie per razziare la Campania,

la Calabria e l’Abruzzo. Dopo

soltanto quattro anni gli Arabi

sconfissero i Bizantini e ripresero il

possesso di Taranto.

Nell’880 l’imperatore bizantino

Basilio I il Macedone decise di

riprendersi la città, inviando due

eserciti guidati dai generali

Procopio e Leone Apostyppes ed

una flotta al comando

dell’ammiraglio Nasar che

sconfissero i Saraceni, liberando

così Taranto dal loro dominio. Per

circa quarant’anni, nonostante le

continue incursioni dei pirati, la

città, governata dai Bizantini

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godette di un periodo di pace e

venne ripopolata accogliendo

coloni greci. Alla morte

dell’imperatore Basilio I, i suoi

successori Leone VI e poi

Costantino VII non riuscirono a

tenere testa ai Saraceni che

avevano ripreso le loro incursioni

nel meridione d’Italia. Così nel

924, un esercito arabo guidato

dallo schiavone Sabir occupò e

distrusse la città messapica di

Oria, terrorizzando tutte le località

vicine. Il 15 agosto del 927 d.C.,

nonostante la strenua difesa dei

cittadini, Taranto fu occupata e

distrutta dall’esercito saraceno.

La maggior parte degli abitanti fu

massacrata e quelli sopravvissuti

furono portati come schiavi in

Africa, mentre i pochi superstiti

trovarono rifugio nei paesi vicini. Nel 967 salì al trono

bizantino Niceforo II

Foca ed i Tarantini

decisero di rivolgersi

a lui affinché

facesse ricostruire la

loro città.

L’imperatore s’interessò alla

richiesta pensando che era giusto

far tornare all’antica grandezza la

capitale della Magna Grecia, ma

anche per evitare che Taranto

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per la sua posizione strategica nel

Mediterraneo diventasse una

piazzaforte sicura dell’imperatore

Ottone I di Germania.

Niceforo II Foca, per prima cosa

fece fortificare la città costruendo

una roccaforte dove oggi sorge il

Castello Aragonese, poi diede la

direzione della ricostruzione ad un

architetto greco suo omonimo,

Niceforo Foca che fece riedificare le

mura greche e costruire grandi e

ricchi edifici. Venne poi colmato il

tratto costiero lungo il mar Piccolo

dove si formarono la via Di Mezzo e

la Marina ( oggi via Garibaldi).

Questa zona “ colmata” si

riconosce per via degli isolati

stretti e lunghi, paralleli fra di loro

ed a ridosso l’uno dell’altro,

anticamente chiamati ”a striga”.

La parte alta della città venne

messa in comunicazione con

quella bassa per mezzo delle

” postierle”, stretti viottoli a forte

pendenza forniti di gradini.

Per collegare la

città al territorio

circostante fu

costruito fra il mar

Piccolo e il mar

Grande un ponte a

sette arcate,

chiamato

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ponte di Porta Napoli, distrutto da

un’ alluvione nel 1883. L’architetto

Niceforo Foca fece anche

costruire un nuovo acquedotto e

numerose chiese. Nella zona

Vasto, nei pressi del ponte

girevole, nel 1967, il Presidente

della Repubblica Italiana

Giuseppe Saragat inaugurò una

Colonna in ricordo della

ricostruzione della città, distrutta

dai Saraceni nel 927 d.C.

I NORMANNI A TARANTO

Per oltre cento anni i

Bizantini

governarono

Taranto e l’Italia

meridionale,

nonostante le

continue incursioni

dei pirati saraceni. Nell’anno

1002 Salerno venne assediata

dagli Arabi e Guaimaro, principe

della città, si vide costretto a

chiedere l’aiuto ad un gruppo di

cavalieri normanni, che erano

giunti a Napoli, di ritorno da un

pellegrinaggio ai luoghi santi.

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I Normanni, cioè uomini del Nord,

provenivano dalla penisola

Scandinava ed erano bravi

navigatori che con le loro leggere

imbarcazioni affrontavano il mare

senza temerne i pericoli. Verso la

fine del IX secolo, dopo averli

sconfitti, firmarono un trattato con i

Francesi diventando proprietari del

ducato di Normandia. Si

convertirono al Cristianesimo e

questo convinse papa Sergio IV a

chiedere a Molocco, vicereggente

dell’imperatore bizantino, di aiutare

questi cavalieri per liberare l’Italia

dai Saraceni.

Come racconta Giacinto Peluso

nella sua Storia di Taranto,

secondo la tradizione fra il X e l’XI

secolo nacquero le prime

“compagnie di ventura” formate dai

Normanni che furono invitati dal

nobile cittadino barese Melo di Bari

ad aiutarlo a liberare la città dal

dominio bizantino, cosa che non

avvenne. Lo stesso Melo fu

costretto a fuggire e l’Italia

meridionale restò saldamente nelle

mani dell’Impero bizantino.

Soltanto la Sicilia era ancora

occupata dai Saraceni e là

decisero di andare i Normanni

guidati da Guglielmo di Altavilla.

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Guglielmo sconfisse i Saraceni in

Sicilia guadagnandosi il

soprannome di” Bracciodiferro”

per aver ucciso l’emiro di

Siracusa con una sola mano, ma

dovette abbandonare l’impresa,

quando i Bizantini gli ricordarono

che quelle terre appartenevano

all’Imperatore. I Normanni

decisero, allora, di conquistare la

Puglia e stabilirono la loro sede a

Melfi.

Nel 1042 Guglielmo I d’Altavilla fu

eletto Capo supremo del suo

popolo e l’anno successivo gli fu

riconosciuto il titolo di Conte di

Puglia. In un primo momento le

popolazioni meridionali accolsero

con favore i nuovi governanti, ma,

in seguito a saccheggi e

profanazioni di chiese, furono

considerati dei nemici. Lo stesso

papa Leone IX decise di intervenire

chiedendo l’aiuto dei Bizantini, ma

le truppe normanne annientarono

le forze papali ed imperiali a

Civitate del Fortore nel 1053. Così

tutte le terre del Sud d’Italia furono

occupate dl popolo del Nord, fatta

eccezione per Bari, Trani, Otranto

e Taranto. Infine nel 1063, Taranto

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si arrese a Roberto il Guiscardo

( cioè l’astuto), nominato duca di

Puglia e di Calabria dal papa

Niccolò II. Sotto il dominio dei

Normanni Taranto venne

rivalutata per il suo porto e rifiorì il

commercio. La città si sviluppò

sempre sull’Acropoli che fu divisa

in “ quattro pittaggi”, cioè

quartieri, separati da via di Mezzo

e via Nuova. Il pittaggio San

Pietro( nei pressi della chiesa di

San Domenico) ed il pittaggio

Baglio( attuale piazza Catello) si

affacciavano sul mar Grande,

mentre il pittaggio Ponte( dove

c’è il ponte di pietra) ed il pittaggio

Turripenne (discesa Vasto) si

trovavano sul mar Piccolo.

Sempre in epoca normanna si

diede il via ai lavori per la

ricostruzione della Cattedrale di

Taranto, dedicata poi a San

Cataldo, per desiderio dell’allora

vescovo Drogone. L’attuale

facciata, invece, fu eseguita nel

1713 su disegno dell’architetto

Mauro Manieri.

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GLI SVEVI A TARANTO

Nel 1186 Enrico VI, figlio di

Federico Barbarossa, sposò

Costanza d’Altavilla, erede del

regno normanno. In questo modo

l’Italia meridionale passò in mano

agli Svevi. Ma Enrico VI governò

solo per pochi anni ed alla sua

morte lasciò erede il figlioletto di

appena tre anni, Federico II. L’anno

successivo anche Costanza si

ammalò e chiese al papa

Innocenzo III di assumere la tutela

del figlio. Nel 1212, Federico fu

nominato re e nel 1220 il papa

Onorio III lo proclamò imperatore

facendogli

promettere che avrebbe

intrapreso una crociata in Terra

Santa. Solo nel 1227 l’imperatore

si decise a partire per

Gerusalemme e secondo la

tradizione, ritornando dalla Terra

Santa si fermò a Taranto facendo

costruire un grande palazzo che

chiamò Rocca Imperiale, accanto

al quale fu edificata la chiesa di

San Pietro Imperiale, chiamata,

poi chiesa di San Domenico

Maggiore.

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Un’altra tradizione racconta che

proprio in quel periodo, nel 1224

circa, passò da Taranto San

Francesco d’Assisi, di ritorno dalla

Terra Santa e qui formò un piccolo

gruppo di” fratelli minori”, presso la

chiesa di San Lorenzo, in via

Duomo, poi divenuto Convento di

San Francesco e, trasformato nel

periodo napoleonico in Caserma

Rossarol.

Federico II fu un grande re che visse

in modo contrastante il rapporto con

la Chiesa che combatté a lungo, ma

sempre rispettandola e fu

certamente amante della cultura,

infatti si circondò di uomini dotti.

Fondò l’Università di Napoli e fece

costruire palazzi, chiese e castelli di

notevole valore artistico fra i quali

Castel del Monte, inserito

nell’elenco dei patrimoni

dell’UNESCO nel 1996.

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Federico II morì nel 1250 a Castel

Fiorentino nei pressi di Foggia ed il

suo corpo fu trasportato a Taranto

e, poi, trasferito, via mare a

Palermo. Prima di morire

l’imperatore nominò Principe di

Taranto suo figlio Manfredi,

anch’egli regnante illuminato ed

ambizioso che si trovò contro il

papa Urbano IV, il quale per

liberare l’Italia meridionale dagli

Svevi chiamò in aiuto i Francesi

comandati da Carlo d’Angiò che

riuscirono a sconfiggere e ad

uccidere Manfredi nella battaglia di

Benevento nel 1266.

Dante Alighieri dedicò a Manfredi

alcuni degli episodi più belli nel III

canto del Purgatorio della Divina

Commedia, inserendolo fra i

pentiti , ma ancora in cerca di

perdono:

“…biondo era e bello e di

gentile aspetto, ma l’un de’ cigli

un colpo avea diviso.

…Poi sorridendo disse:” Io son

Manfredi, nepote di Costanza

imperadrice;

…Orribil furon li peccati miei;

ma la bontà infinita ha sì gran

braccia, che prende ciò che si

rivolge a lei.”