Taddei, Eclettismo e Sintesi nei mosaici dell'Acheiropoietos di Tessalonica.

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Alessandro Taddei, Thessaloniki, Acheiropoietos, wall mosaics, Early Byzantine.

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RolSA

Rivista on linedi Storia dell’Arte

Dipartimento di Storia dell’ArteSapienza Università di Roma

Numero 12, Anno 2009

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RolSARivista on line di Storia dell’Arte

Rivista semestrale

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In copertina: Tessalonica, Chiesa dell’Acheiropoietos, particolare del mosaico dell’intradosso della navata centrale (foto A. Taddei)

ISSN: 1724-7152

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Rivista on line di Storia dell’Arte 12/2009Dipartimento di Storia dell’Arte

Sapienza Università di Roma

Storia dell’arte Medievale

Vinni Lucherini, Gervasio di Tilbury, Giraldo di Barri e il Salvatore lateranense:una nuova proposta interpretativa sulla funzione delle teste tagliate 7

Alessandro Taddei, Eclettismo e sintesi nella decorazione musiva dell’Acheiropoietosdi Tessalonica 33

Storia dell’arte Moderna

Gabriele Quaranta, Un castello di trame dipinte. Il ciclo pittorico del Don Quijotee altri temi letterari nel castello di Cheverny 55

Nicolette Mandarano, Venezia 1606: l’incontro fra Alessandro Turchi e GiovanBattista Marino 77

Laura Bartoni, Ai margini delle grandi collezioni: avvocati, medici, notai, ricchicommercianti. Collezionisti non tanto “mediocri” nella Roma del Seicento 87

Storia dell’arte ConteMporanea

Eleonora Rovida, Giochi di parole nell’arte di Joseph Cornell 97

Stella Bottai, I finlandesi Akseli Gallen-Kallela e Juho Rissanen in Italia: scritti,incontri, opere 111

MuSeologia, CritiCa artiStiCa e del reStauro

Alessia Muroni, Roma 1967: la mostra “Pittori moderni dalla collezione Cavellini” attraverso documenti inediti 131

Federica Papi, Appunti per uno studio su Michele Caffi: paladino della conservazionee critico d’arte medievale dimenticato dell’ ‘800 149

inforMatiCa appliCata alla Storia dell’arte

Linda Selmin, engramma: una rivista, una rete di connessioni 157

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to, mi sentirei di indicare, per la prima fase dell’Acheiropoietos, una data compresa nel venticinquennio 450-475 ma, forse, non ec-cessivamente anteriore al 4755.La decorazione musiva parietale dell’Achei-ropoietos è costituita oggi da una serie di quarantasette pannelli rettangolari su fondo dorato che decorano altrettanti intradossi. Fra questi, si conservano i pannelli delle ventisei arcate dei due colonnati della na-vata centrale, i tre del tribelon di comunica-zione tra nartece e navata centrale, quelli delle due arcate trasversali del nartece, i tre intradossi della trifora della facciata ovest e la serie di tredici pannelli delle arcate della galleria meridionale. Della restante decora-zione delle pareti non rimane alcuna traccia salvo un frammento, oggi al Museo Bizan-tino di Tessalonica6.La gamma di motivi impiegata per la cam-pitura di questi intradossi è abbastanza am-pia e comprende tralci di vite, “candelabre” d’acanto, festoni vegetali più o meno ela-borati, ghirlande intrecciate formanti clipei, schemi geometrici e vegetali, “tappeti” em-bricati7, nonché un ricco campionario di fi-gure zoomorfe (soprattutto uccelli e pesci). Il tutto subordinato a un preciso ordinamen-to concettuale che prevede, ad esempio, l’impiego della croce o dei simboli cristo-logici in funzione di attrazione visiva nei punti considerati chiave dell’articolazione interna dell’edificio.Ai tipi decorativi più diffusi e abituali se ne affiancano altri del tutto peculiari, difficil-mente rintracciabili altrove. È in quest’am-bito allogeno rispetto ai prototipi ideali del-la tradizione ellenistico-romana che matura un linguaggio autonomo sul quale vale la

La basilica della Madre di Dio (Theotokos) di Tessalonica sorge nel cuore della città antica, a breve distanza dall’Agorà roma-na, sul sito precedentemente occupato da un complesso termale di medie dimensioni, risalente al IV secolo d.C. La chiesa è oggi nota come basilica dell’Acheiropoietos1.La data della sua erezione non sembra, an-cor oggi, precisabile con sufficiente sicu-rezza. I diversi criteri adottati dalla critica contemporanea per restringere o modificare l’intervallo di tempo ventennale (431-450 d.C.) indicato da Stylianos Pelekanidis nel-la sua breve pubblicazione dell’edificio non hanno portato a risultati significativi ma solamente alla formulazione di una serie di ipotesi e alla sostanziale accettazione di una datazione più bassa, corrispondente al terzo quarto del V secolo2.Volendo prescindere da un inquadramento tipologico dell’architettura del monumen-to, ogni tentativo di definizione cronolo-gica va basato esclusivamente su indizi archeologici abbastanza evanescenti, rica-vabili dalle scarsissime testimonianze in nostro possesso. Anche i dati epigrafici, approfonditamente vagliati da Denis Feis-sel, Jean-Michel Spieser e poi da Chara-lambos Bakirtzis, non portano a conclusio-ni definitive3.Considerando, come si vedrà, che molti dei raffronti reperibili per contestualizzare le iconografie musive scelte a oggetto di questo studio si attestano tra la fine del V e l’inizio del VI secolo, non mi sembra pru-dente forzare eccessivamente la cronologia (450-470) proposta da Jean-Pierre Sodini per alcuni elementi della decorazione scul-torea in funzione architettonica4 e, pertan-

Eclettismo e sintesi nei mosaici dell’Acheiropoietos di Tessalonica

Alessandro Taddei

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1. Navata centrale, colonnato nord, nona arcata da ovest (figg. 1-2): due composi-zioni vegetali asimmetriche affrontate al centro del pannello, ove si trova un fiorone a otto calici irregolari non adiacenti, di for-ma triangolare con estremità trifide e bot-tone centrale bianco e rosa; gli otto calici presentano colorazione alternata: quattro di essi sono di colore bianco grigio, celeste e azzurro, nervature azzurre e contorni blu scuro, uno è raffigurato chiuso (?) nei colori rosa e rosso mentre i restanti tre sono bian-co, rosa, rosso chiaro e rosso.Le due composizioni sono formate dai se-guenti elementi: tre grandi foglie di ninfea rette da lunghi e spessi steli, di colore ver-de blu, verde e verde chiaro con nervature verde scuro, a lobo ripiegato; una foglia a campana, nei medesimi colori, anch’essa retta da uno stelo verde; due infruttescen-ze a calice verde con interno grigio e verde chiaro, poste alla base della pianta e piene dei semi detti in greco kyamos8; tre fiori a calice semichiuso con petali bianco e rosa con contorni rossi; due fiori (o forse infiore-scenze o boccioli?) chiusi a lobo ripiegato bianco rosa e rosso con nervature.Le tonalità cromatiche dominanti sono dun-que tre: il bianco grigio, il rosa rosso e il verde; i tre colori sono presenti attraverso una ricca gamma di sfumature, fra cui parti-colarmente interessanti sono quelle di pas-saggio dal verde scuro al verde e al verde

pena soffermarsi per qualche considerazio-ne. Perché se, da un lato, è questo il cam-po in cui gli artefici si aprirono a influenze esterne di vario genere, a suggestioni esoti-che o a una semplice ricerca della raritas, dall’altro è evidente come tali influenze e suggestioni venissero poi ricondotte a un processo di rielaborazione, al fine di otte-nere un risultato finale compatibile con il gusto estetico dominante.Tra i numerosi tipi di composizioni a ele-menti vegetali, uno colpisce per la sua pecu-liarità e rarità ed è quello delle foglie acqua-tiche, sintomo del recupero (quasi la parte per il tutto) di uno dei simboli del ricchissi-mo repertorio delle raffigurazioni a soggetto nilotico. E ancor più sorprendente è il fatto che il tipo è del tutto assente sia nella Ro-tonda sia in S. Demetrio né, ancor più in ge-nerale, sembra aver conosciuto applicazioni nel mosaico parietale, salvo rarissime occa-sioni. Neppure si tratta qui di un inserimen-to fortuito o pressoché casuale; al contrario, ben sei intradossi dell’Acheiropoietos sono campiti con queste raffinate composizioni a foglie d’acqua. Sono pannelli musivi ret-tangolari con fondo in oro, costituiti da due bordure concentriche, l’esterna decorata con tralcio vegetale e l’interna a semplice banda rossa lineare (ovvero blu nel caso dei mosaici del tribelon e della galleria meri-dionale). Eccone la ripartizione topografica all’interno della chiesa:

Fig. 1

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Altrettanto palese è l’irregolarità nella for-ma e disposizione dei calici del fiorone cen-trale che non può, a mio avviso, essere ca-suale e che fa parte ancora una volta di una semplice logica di fondo, ossia la ricerca di realismo. Sfortunatamente, la rappresenta-zione naturalistica di due piante di ninfea in fiore soffre molto dei limiti imposti dal-la forma rettangolare del pannello e l’esito dell’adattamento non è dei migliori.2. Navata centrale, colonnato sud, nona ar-cata da ovest (fig. 3). Rispetto al mosaico precedente, questo mostra maggiore ricerca di simmetria. Anche in questo caso, il centro geometrico e visivo è occupato da un fiore di ninfea con bottone formato da due cerchi concentrici di cui il più interno è di colore oro opaco con contorno blu scuro mentre quello esterno è in tessere oro con contorno rosso. Il fiore ha ventiquattro petali, di cui dodici in primo piano e dodici, più piccoli, in secondo piano; essi sono di forma lance-olata e tutti del medesimo colore: dal centro verso le estremità, si passa dall’oro opaco al rosa e al rosso chiaro; le venature sono in rosso chiaro. I contorni sono sfumati dal rosso vivo al rosso bruno man mano che ci si allontana dal bottone.Nelle due composizioni simmetriche si di-scernono: foglie acquatiche circolari o a lobo ripiegato di colore verde scuro, verde e verde chiaro con nervature verde scuro e contorni blu, sorrette da lunghi steli verdi profilati in blu scuro; fiori a calice semi-chiuso con petali lanceolati di colore bian-co rosa all’esterno e rosso chiaro all’inter-no con contorni e nervature rosso chiaro e rosso bruno; fiori chiusi in bocciolo (con tre petali rossi) sorretti da uno stelo con tre sepali verdi; infiorescenze di forma circo-lare con bordi ripiegati all’ingiù e di colore bianco rosa e rosso chiaro con contorni ros-so bruno; infruttescenze a coppa di colore rosa con contorni verdi, sorrette da steli e sepali verdi e aventi sommità bianco rosa cosparsa di semi di kyamos celesti con con-torno blu scuro; semplici steli o filamenti di colore verde.La gamma cromatica, molto sobria, è basa-ta sugli stessi colori impiegati nel mosaico

chiaro, le quali costituiscono la base dei ti-midi tentativi chiaroscurali applicati alle fo-glie di ninfea, tentativi che mitigano la pe-santezza delle tessere blu scuro dei contorni e delle nervature. L’altro importante gruppo cromatico è quello rappresentato dalla scala di toni dal bianco al rosa al rosa rosso inten-so e viene adoperato per la resa dei fiori; in questo caso, tuttavia, l’uso del chiaroscuro è limitato ai fiori in bocciolo e del tutto as-sente in quelli a calice semichiuso che pure sono i più visibili. In queste aree i contorni sono di color rosa rosso intenso.Anche mediante un’osservazione superfi-ciale si scorge l’intento di conferire un no-tevole grado di realismo alle raffigurazioni. Infatti, sebbene venga mantenuta l’imposta-zione centrica con il fiorone posto all’inter-sezione degli assi e le due ninfee che con-vergono verso di esso incorniciandolo, non si è, tuttavia, voluto insistere troppo sui rap-porti di simmetria. Pertanto, la disposizione delle foglie e dei fiori è abbastanza naturale e risponde, inoltre, all’esigenza di bilancia-re pieni e vuoti nello spazio a disposizione. Si percepisce che il bilanciamento è meglio riuscito nella metà est del rettangolo che non in quella ovest dove alcuni tentativi di regolarizzazione simmetrica producono un effetto irrigidente.

Fig. 2

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e azzurro, ha margini dal profilo ondulato in tessere azzurre. L’interno dei recipienti è campito in tessere azzurre e celesti.Ai lati di ciascun bacino trovano posto due volatili, forse tortore, posti simmetricamen-te e con il capo rivolto verso il recipiente (fig. 5); il loro piumaggio va dall’azzurro al celeste e al bianco grigio; sulle ali e sulla coda sono presenti striature blu scuro e ros-so, gli occhi e i contorni sono in azzurro o in blu scuro, il becco e le zampe sono rossi. Sui bordi dei due recipienti sono posati al-tri quattro uccelli con il capo rivolto verso l’indietro; i due sul recipiente a nord sono estremamente variopinti: quello a sinistra alterna al verde chiaro il viola scuro, il vio-la chiaro e il bianco grigio, zampe e con-torni sono in blu scuro e viola scuro; quello a destra è azzurro, celeste e bianco grigio con striature viola scuro, blu scuro, azzurro e rosso e sottogola verde. I due uccelli sul recipiente a sud presentano piumaggio più spento, con sfumature dal bianco grigio al viola, becco e zampe nere, contorni viola.Il centro geometrico e visivo è occupato da un clipeo privo di contorno (fig. 6); la cam-pitura dello sfondo è realizzata in tonalità sfumate: dalla circonferenza al centro si ha azzurro scuro, azzurro, celeste e celeste chiaro. Il clipeo ospita una croce latina con il braccio maggiore orientato verso il narte-ce (ovest); la croce è dorata (misto di tessere oro rovesciate e non) con estremità patenti e gemmate e contorni blu scuro. Dal punto d’intersezione dei bracci si dipartono quat-

precedente. Pertanto, le tonalità fondamen-tali del pannello sono il bianco rosa, il rosso chiaro e il verde (quest’ultimo presente in tutte le sfumature dal verde scuro al verde molto chiaro); i contorni sono in tessere contrastanti (blu scuro per le figure verdi e rosso bruno per quelle bianco rosa o rosso). Tessere d’oro allettate al contrario entrano largamente a far parte del fiore centrale, cui conferiscono la loro sfumatura bruna, ma sono quasi del tutto assenti nel resto delle figurazioni.Nella resa delle foglie di ninfea e nelle infio-rescenze fa la sua comparsa il chiaroscuro, applicato con risultati formali di alto livello da un artista in possesso di una solidissima tecnica, il quale concepisce una organizza-zione delle figure certamente meno estrosa di quella del mosaico precedente ma, in compenso, del tutto impeccabile.3. Tribelon, arcata centrale (fig. 4). Lo sche-ma decorativo è costituito da due compo-sizioni vegetali simmetriche affrontate al centro del pannello e originate da due bacini collocati al centro dei lati brevi del rettan-golo musivo. I due recipienti hanno piede triangolare bianco grigio, celeste e azzurro con contorni blu scuro; il piede è sormontato da un piccolo elemento sferico dei medesi-mi colori con lumeggiature in oro. Le pareti sono scanalate: le scanalature presentano alveo sfumato in oro, bianco grigio, celeste e azzurro con contorni blu scuro. L’imboc-catura ha bordi aggettanti la cui superficie superiore, disegnata da linee in oro, celeste

Fig. 3

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tavia, in questo caso, la rigida simmetria è mitigata da piccole concessioni alla libertà nella dislocazione degli elementi, fatto che infonde un notevole grado di realismo alla composizione. Anche la scelta cromatica di base è la medesima ma la varietà di colori qui presenti rimane senza eguali anche per la sapiente suddivisione in gruppi di colori freddi e aree basate sul rosa e sul rosso. Il piumaggio degli uccelli raggiunge qui i più alti vertici della vivacità e fantasia.La resa formale è di alto livello ed è spie-gabile con la posizione centrale del mosai-co. Il gioco di chiaroscuro nelle foglie di ninfea, la campitura del clipeo centrale e la decorazione dei bacini sono di eccezionale qualità. Sulla base di una sicura ripartizione fra pieni e vuoti, l’artista ha effettuato inol-tre tentativi di ricerca sperimentale tanto nel cromatismo esasperato dei piumaggi degli uccelli, quanto nella scomposizione in più colori dei contorni delle figure, che vengo-no ad assumere in tal modo una notevole leggerezza.4. Trifora della facciata ovest, arcata cen-trale (fig. 7). Anche nell’arcata centrale di questa finestra, esattamente in posizione simmetrica con l’arcata centrale del tribe-lon, si trova un intradosso decorato a foglie acquatiche.Lo schema decorativo è costituito da due composizioni vegetali simmetriche affron-tate al centro del pannello e originate da due bacini posti al centro dei lati brevi del ret-tangolo musivo. I due recipienti hanno un

tro raggi tra loro perpendicolari e disposti a 45 gradi rispetto ai bracci stessi. I raggi, aventi colorazione sfumata dal bianco gri-gio al celeste e all’azzurro, giungono fino ai margini del clipeo, che in corrispondenza dell’intersezione con essi passano dall’az-zurro scuro all’azzurro. Ai due lati del clipeo centrale si dispiegano le due composizioni vegetali, i cui elementi costitutivi sono: foglie acquatiche (ninfea) circolari o a lobo ripiegato di colore verde e verde chiaro con nervature, sorrette da steli verde chiaro; fiori chiusi in bocciolo di co-lore bianco rosa, privi di sepali e sorretti da steli verde chiaro o dorati; infiorescenze di forma circolare con bordi ripiegati all’in-giù e colore bianco rosa; infruttescenze a coppa di colorazione varia, sorrette da steli verdi e provviste di sepali, aventi sommità verde chiaro o bianco grigio o viola piene di semi di kyamos; spighe verde chiaro o verde grigio; semplici steli o filamenti di colore verde.L’arcata centrale del tribelon ha minore ampiezza delle laterali e la decorazione del pannello dell’intradosso mostra maggiore densità di elementi dato lo spazio ristret-to. Il repertorio decorativo è quello dei due mosaici precedenti, arricchito qui dalla pre-senza del grande clipeo centrale, degli uc-celli e dei due bacini, elementi assenti nei due pannelli della navata centrale. Maggiori sono le analogie con il mosaico del colon-nato sud, ove è presente la stessa ricerca di simmetria fra le due metà del pannello. Tut-

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bilità delle arcate della trifora. Tuttavia, da un punto di vista qualitativo, il pannello si distingue da quelli (a tralci di vite) delle al-tre due arcate della stessa trifora per la mag-giore attenzione ai chiaroscuri, per la sobria gamma cromatica e per l’assenza totale di episodi di semplificazione formale.5. Galleria meridionale, colonnato, ter-za arcata, da ovest (fig. 8). I mosaici delle gallerie, a causa della loro notevole altezza rispetto al piano terreno, subiscono un pro-cesso di semplificazione compositiva, volto a conferire loro una maggiore visibilità dal basso. Ciò non pregiudica la loro qualità formale, che rimane alta. Particolarmente enfatizzate appaiono le bordure, di colore rosso con decorazione a cabochon, simu-lante una fila di pietre incastonate.Lo schema decorativo è costituito da due composizioni vegetali simmetriche dispie-gate su uno sfondo costituito da due festoni di foglie verde scuro, originati da due sacchi con l’imboccatura aperta posti al centro dei lati brevi del rettangolo musivo, e affrontati al centro del pannello, dove trova posto un clipeo con la croce9. I due sacchi sono di colore grigio con sfumature giallo scuro e rosso simulanti le pieghe della stoffa; le pa-reti sono rinforzate da due lacci incrociati di colore azzurro; dall’imboccatura pendono due corde o legacci di colore giallo scuro. Al di sopra dei festoni si dispongono i se-guenti elementi, costitutivi di due compo-sizioni vegetali: foglie acquatiche (ninfea)

piccolo piede a sezione triangolare di colo-re blu scuro. Le pareti sono lisce e il loro volume è reso tramite sfumature dal bianco grigio al celeste e all’azzurro. Gli elementi costitutivi delle due composizioni vegetali sono: foglie acquatiche (sempre di ninfea) circolari o a lobo ripiegato di colore ver-de chiaro e verde con nervature e contorni blu scuro, sorrette da steli verdi o verde e blu scuro; fiori chiusi in bocciolo di colore bianco rosa, rosso e rosso bruno, sorretti da steli verdi con due o tre sepali verdi; sem-plici steli o filamenti di colore verde.Il pannello è costituito da una semplifica-zione del mosaico della nona arcata del colonnato sud della navata centrale, del quale riprende anche la precisa attenzione alla simmetria e il linearismo delle forme. Lo stesso discorso vale per la disposizione degli elementi a gruppi ideali di tre, la trat-tazione chiaroscurale delle foglie e la resa degli steli principali tramite una doppia li-nea di tessere (verde e blu scuro) insieme alla organicità nella distribuzione dei pieni e dei vuoti. Il richiamo al pannello del colonnato sud non deve far dimenticare che qui le com-posizioni vegetali vengono associate alla presenza caratterizzante della croce entro clipeo, mentre nel caso del mosaico della navata il centro geometrico era occupato da un fiore di ninfea, senza alcuna interruzione del repertorio vegetale. Il livello della resa formale è subordinato ovviamente al ristret-to spazio a disposizione e alla scarsa visi-

Fig. 6Fig. 5

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chiaro e verde, nervature verde scuro o blu scuro, sorrette da steli verdi e verde chiaro; fiori chiusi in bocciolo di colore bianco rosa, con cinque petali ancora chiusi, sorretti da steli verde chiaro; foglie di forma allungata e terminanti a punta, di colore verde chiaro e giallo con venature verde scuro.Verso il centro del pannello entrambi i festo-ni vanno a terminare in una sorta di elemen-to cilindrico longitudinale di raccordo10. Al di sopra del raccordo cilindrico, e a metà della sua lunghezza, trova posto un clipeo con la croce11.Il repertorio decorativo del pannello – foglie di ninfea e boccioli rosa – è molto simile a quello del mosaico della terza arcata della galleria. In quest’ultimo mosaico, tuttavia, la ghirlanda di fondo offriva maggiore spa-zio in larghezza, diretta conseguenza dello spessore inferiore della bordura esterna e della maggiore ampiezza del riquadro cen-trale. Gli elementi vegetali delle due com-posizioni risultano più fitti ma, allo stesso tempo, altrettanto proporzionati e con la medesima cura per il chiaroscuro. La resa formale è altrettanto buona in confronto all’altro sottarco della galleria e, anzi, si po-trebbe aggiungere che qui le figure, sebbene di forma più semplice e di minore varietà, mostrano maggiore vivacità e cura nel di-segno, più realismo insieme a minore rigi-dezza.L’utilizzo del repertorio figurativo cosiddet-to “nilotico” nell’ambito del mosaico e della pittura di ambiente cristiano viene general-mente giustificato sulla scorta del fatto che

circolari o a lobo ripiegato di colore ver-de chiaro e verde con lumeggiature gialle, nervature verde blu o blu scuro, sorrette da steli verdi, verde chiaro e oro; fiori chiusi in bocciolo di colore bianco grigio e giallo scuro (o interamente giallo scuro), sorretti da steli gialli, verdi e oro con tre sepali ver-di; infruttescenze a coppa di colore verde e verde chiaro, sorrette da steli giallo e oro scuro e con sommità cosparse di semi di kyanos blu scuro; semplici steli o filamenti di colore verde.La differenza sostanziale con gli altri pan-nelli in cui compare lo stesso tipo di deco-razione – nella navata centrale, nel trivilon e nella trifora della facciata ovest – risiede nel fatto che qui le foglie acquatiche sono dispiegate su una ghirlanda di sfondo. E, in effetti, la visibilità della decorazione è giocata sul contrasto fra il fondo scuro e gli elementi vegetali in primo piano, risaltan-ti con la loro tonalità principalmente ver-de chiaro ma anche grigio argento e giallo scuro. Nonostante le semplificazioni impo-ste dall’altezza, si è di fronte a un mosaico il cui livello di resa formale è alto, senza dubbio da ricondurre a una mano sicura che punta a creare chiaroscuri, sfumature e alleggerimento dei contorni. Sulla base di tali presupposti dovrebbe essere fuori di dubbio che in antico questi pannelli, sebbe-ne di qualità inferiore rispetto a quelli della navata, fossero comunque progettati anche per un’osservazione ravvicinata, dal piano della galleria.6. Galleria meridionale, colonnato, ottava arcata, da ovest (fig. 9). Lo schema decora-tivo è costituito da due composizioni vege-tali simmetriche dispiegate su uno sfondo costituito da festoni che, originati da due sacchi con l’imboccatura aperta sorretti da una base d’acanto rovesciata e posti al cen-tro dei lati brevi del rettangolo musivo, si affrontano al centro del pannello, dove tro-va posto un clipeo con la croce.Al di sopra dei festoni si dispongono i se-guenti elementi, costitutivi delle due com-posizioni vegetali: foglie acquatiche (nin-fea) circolari o raffigurate di profilo e con estremità superiore ripiegata, di colore verde Fig. 7

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che si hanno gli indizi di un accoglimen-to delle iconografie nilotiche all’interno di edifici ecclesiastici13.Il tratto distintivo della tendenza orienta-le sarà quello di continuare sul percorso dell’estrapolazione di elementi vegetali e animali (piante di ninfea e uccelli acqua-tici) ritenuti “connotanti” e, in particolare, dell’enfatizzazione della ninfea, che rag-giunge dimensioni sempre maggiori e in al-cuni casi diviene elemento dominante14.Il punto di avvio del processo di ridimen-sionamento finora illustrato è riconoscibile in alcuni pavimenti africani collocabili tra la fine del II e il III secolo d.C. In uno fra gli esempi più noti di mosaico nilotico “tradizionale”, ovvero il pannello con la processione trionfale del Nilo pro-veniente dalla cosiddetta Villa del Nilo a Leptis Magna (II secolo d.C.), si incontrano tutti gli elementi della tradizione ellenistica organicamente collegati fra loro (personi-ficazione del Nilo a cavallo di un ippopota-mo, nilometro, figure di ninfe, fanciulli che sorreggono ghirlande e guidano il corteo etc.). A questo stadio, gli elementi vegetali (piante di ninfea) sono ancora di dimensio-ni normali e non sono altro che uno degli elementi caratteristici del paesaggio15. Ma già alla fine del II secolo si intravede la vo-lontà degli artisti africani di estrarre singole scene da trasformare in soggetti “di genere” destinati a piccoli riquadri musivi, come ac-

esso non doveva essere ritenuto portatore di valenze simboliche. I paesaggi nilotici, così come le scene acquatiche, rivestivano in ef-fetti un ruolo sostanzialmente neutro nella decorazione degli edifici di culto. In altre parole, la scelta di rappresentare il Nilo o scene ad esso riconducibili trae origine dal suo ruolo di fiume paradisiaco, in concomi-tanza, probabilmente, con un riferimento all’idea di età dell’Oro non propriamente di origine cristiana ma progressivamente fil-trato e accettato12.A ciò va aggiunto che la perdita del signifi-cato mitologico originario dell’iconografia del Fiume non si manifesta, ovviamente, in maniera drastica per una scelta maturata in ambiente cristiano. Si tratta piuttosto della maturazione di un processo già in corso da tempo che aveva reso visibili le potenziali-tà decorative derivanti dalla estrapolazione delle singole unità figurative da una scena complessiva.Fino alla metà del IV secolo, la mitologia del Nilo ha fornito largamente spunti per la creazione di emblemata di tipo narrativo. La transizione verso la completa neutralità del-le scene del Nilo si verifica abbastanza per tempo in Africa e in Italia, assicurando non solo la sopravvivenza ma anche una fortuna durevole al soggetto, come dimostrano si-gnificativamente alcuni esempi africani del periodo giustinianeo. Nelle regioni orientali è soltanto con il terzo quarto del secolo V

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brano avere fortuna nell’ambito del mosai-co pavimentale, se non altro a causa di un forte conservatorismo riconoscibile nella produzione musiva pavimentale di età im-periale, fatto che dovrebbe aver scoraggia-to qualsiasi tipo di moda egittizzante19. È altrettanto vero che, in epoca più tarda, il discorso non vale per altri settori artistici. Il gusto per i paesaggi nilotici trova infatti piena applicazione nella decorazione parie-tale a opus sectile vitreo (post 350 d.C.) rin-venuta negli scavi del porto di Kenchreai, presso Corinto20. Le grandi foglie di ninfea verde brillante viste a volo d’uccello, fiori e boccioli su steli leggermente incurvati dal vento (fig. 10) e uccelli palustri su sfondo blu scuro uniforme danno vita infatti a un paesaggio fluviale che si dispiega su registri orizzontali: si nota una mancanza di pro-spettiva, dovuta non certo alla particolare tecnica artistica, che conferma ancora una volta la tendenza a usare gli elementi del vecchio repertorio alessandrino in maniera paratattica (fig. 11)21. Rimane naturalmente la possibilità che i pannelli di Kenchreai sia-no prodotto di importazione dall’Egitto22.Il gusto bidimensionale trova larga appli-cazione in Oriente allorché, nel V secolo, i grandi spazi pavimentali sia in edifici di cul-to sia in abitazioni private vengono riempiti con scene a elementi giustapposti. Un puro “tappeto musivo” è infatti il pavimento del transetto nord della chiesa della Moltiplica-

cade nella villa di Dar Buc Ammera a Zli-ten, di età tardoseveriana16. Qui, due dei sei pannelli quadrati che fungono da contorno al mosaico con le figure delle Stagioni sono riempiti da piccole scene con pigmei, gran-di piante di ninfea con fiori e vari uccelli acquatici (alcuni di essi accovacciati nelle grandi foglie a campana della ninfea). In queste scene singole la pianta o le foglie di ninfea acquisiscono via via dimensioni maggiori e dal ruolo di contorno, passano a quello di elemento connotante in mancanza ormai di altri riferimenti all’ascendenza ni-lotica della scena stessa. Da un settore della medesima villa di Zliten restaurato verso la metà del III secolo pro-viene un mosaico su fondo bianco nel quale gli elementi del paesaggio scompaiono del tutto per lasciare il posto a un insieme di figure giustapposte di piante di ninfea, pe-sci vari e uccelli, di cui alcuni, come nel mosaico delle Stagioni, sono accovacciati entro le foglie17. Tracce della medesima ri-cerca in direzione bidimensionale si notano, alla fine del III secolo, in un mosaico del Museo di Sousse (Tunisia), proveniente da Uzalis (el-Alia) dove, tuttavia, gli elemen-ti del paesaggio (ville porticate e chioschi sulle rive del fiume) occupano ancora una parte consistente dello spazio. La vegeta-zione comprende palme nane, ninfee e altre specie vegetali18.In Grecia le iconografie nilotiche non sem-

Fig. 9

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dentellata di tessere bianche25 e un gruppo di mosaici da Antiochia. Fra questi, in pri-mo luogo, si può ricordare la bordura del mosaico cosiddetto di Ktisis nell’ambiente 4 della “Casa di Ge e delle Stagioni”, del terzo quarto del secolo V, caratterizzata da una teoria di uccelli acquatici e piante di ninfea con fiori e frutti26. All’ultimo quarto del secolo appartengono poi alcuni pannel-li di forma quadrata del mosaico rinvenuto nel terreno di Rassim Bey Adali a Dafne (Harbiye), in cui singole piante o foglie di ninfea con boccioli e frutti fanno da sfon-do a piccole scene con pesci o anatre e al-tri volatili acquatici27. Una bordura musiva più tarda, di eccezionale ricchezza e qualità per l’epoca (VI secolo), decora un mosaico proveniente da un edificio di ignota desti-nazione rinvenuto a Sarrîn, presso Hiera-polis (Membij, Siria): si tratta di una teoria di cespi di ninfea, uccelli, animali e figure umane28.Lo stesso processo di trasformazione e di creazione di composizioni destinate a bor-dure o a pannelli si manifesta per tutto il VI secolo all’interno degli edifici di culto: una scena con anatre e pesci su uno sfondo di ninfee si trova infatti nel pavimento della chiesa dei SS. Lot e Procopio a Khirbet el-Mukhayyat29. Il favore incontrato da que-sto tipo di paesaggio è testimoniato anche da una bordura con uccelli, pesci e foglie di ninfea a Gerasa, nel settore di pavimen-to presso l’esedra sud est della chiesa di S. Giovanni Battista (529-533 d.C.)30. Ad in-fluenze orientali – in particolare antioche-ne – sull’isola di Cipro deve probabilmente essere ricondotta la notevole fascia ad af-

zione dei Pani a Et-Tabgha in Israele, del V secolo (fig. 12), nel quale, oltre alle piante di ninfea (che assumono l’aspetto di arbu-sti) e di papiro, compaiono numerosi uccelli e anche qui alcuni di essi sono posati entro le foglie di ninfea (figg. 13-14), segno della permanenza di modelli consolidati. A ricor-dare che si tratta del Nilo si scorge la figu-ra di un nilometro, isolato in alto a sinistra. Tutte le figure sono semplicemente affian-cate le une alle altre sul fondo bianco23. In contesto non ecclesiastico incontriamo poi il più tardo pannello pavimentale dell’am-biente 3 della casa del kyrios Leontis a Scy-thopolis (Beth Shean). Qui, il grado di liber-tà connesso alla natura laica dell’ambiente – che comunque è annesso a una sinagoga – si traduce nella eccezionalità di una scena di carattere spiccatamente pagano: la per-sonificazione del Fiume all’interno di un paesaggio con nilometro e la raffigurazione della città di Alessandria si accompagnano infatti a un’iscrizione che sviluppa un tema di salvazione, segno probabile che anche in ambiente ebraico si era verificato il medesi-mo processo di ricezione delle iconografie nilotiche come figura di una futuribile età aurea24.In altri pavimenti dell’area siro-palestinese si trova inoltre un cospicuo numero di bor-dure o piccoli pannelli in cui gli elementi nilotici (soprattutto vegetali e uccelli) co-minciano gradualmente ad assumere valore decorativo: una bordura appartenente alla villa di Eleutheropolis (Beit Jibrin, presso Gaza, Israele), della fine del III secolo, nella quale le foglie di ninfea a campana presen-tano bordi elegantemente resi da una linea

Fig. 10 Fig. 11

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Purtroppo di incerta datazione, ma forse collocabile a cavallo fra V e VI secolo, è il mosaico di una chiesa rinvenuta nel già ci-tato sito palestinese di Beit Jibrin, in parti-colare il pavimento del settore orientale del-la navata sud, le cui figurazioni appaiono in vari punti danneggiate dagli interventi ico-noclasti. Due dei quadrati costruiti su altret-tanti lati dell’ottagono ospitante la figura di un leone che cattura la sua preda racchiudo-no le raffigurazioni (pressoché perdute) di due uccelli ai lati di una pianta di ninfea con elementi che si dipartono simmetricamente dallo stelo centrale (foglie circolari, infrut-tescenze a calice con semi e foglia centrale a campana); la rappresentazione della pian-ta di ninfea di Beit Jibrin mostra forti analo-gie con la articolazione della composizione “semplificata” del mosaico della trifora del-la facciata ovest dell’Acheiropoietos, ulte-riore e importante segnale della presenza di schemi rigidi e codificati nell’ambito della rivalutazione decorativa degli elementi di origine nilotica35.Ma la raffigurazione di una pianta di ninfea isolata è presente anche in un interessante quanto poco conosciuto mosaico parietale, quello del già citato monastero di Mār Sa-muel presso Kartmin, in Turchia (512 d.C.). Nella lunetta sud al di sotto della volta del bema si trova infatti la raffigurazione di un ciborio, alla cui destra compare un albero di cipresso. Fra quest’ultimo e il ciborio, una pianta dall’aspetto stilizzato mostra una grande foglia semicircolare dalla sommità lumeggiata con tessere argento e oro e la parte inferiore di colore verde, a sua volta

fresco rinvenuta all’interno di una cisterna a Salamis-Constantia e attribuita generica-mente al VI secolo (figg. 15-16). Ci si trova di fronte a un soggetto di genere originato dalla giustapposizione di elementi vegetali e zoomorfi organizzati secondo una teoria continua, in cui l’eleganza ornamentale del fitto scenario “esotico” serve, una volta di più, a connotare semplicemente il paesag-gio paradisiaco31.In data relativamente avanzata si assiste alla estrapolazione della singola foglia di ninfea come elemento decorativo autonomo. Il fe-nomeno è riconoscibile già alla fine del V secolo nel pannello orientale del pavimento della sacrestia nord della chiesa di Chouei-fat a Khaldé, in Libano, ove singole foglie di ninfea compaiono all’interno di piccoli riquadri, entrando a far parte del campio-nario di figure vegetali e zoomorfe che ca-ratterizzano il mosaico32. Verso il 500 d.C. si dovrebbe invece collocare il pavimento dell’ambiente 2 della “Casa di Ktisis” di Antiochia, caratterizzato da uno schema a griglia di quadrati disegnata da una sottile treccia dentellata e resa in rainbow style: all’interno dei quadrati compaiono figure di uccelli alternate a singole foglie di ninfea identiche fra loro33. Lo schema a griglia di quadrati compare anche nel mosaico della chiesa di Beit Mery a Beirut, attribuito al secondo terzo del VI secolo. La griglia è disegnata da linee di boccioli di rosa e in-clude varie figurazioni vegetali e animali tra cui una sorta di fiore di ninfea, in realtà una via di mezzo tra un fiore e un’infruttescenza con semi34.

Fig. 12 Fig. 13

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terno dell’Acheiropietos di Tessalonica rappresenta un episodio sorprendente e, soprattutto, isolato. Poiché le composizioni con ninfee caratterizzano più pannelli mu-sivi, è evidente che si tratta non di una ti-mida apertura all’eclettismo ma, piuttosto, di una scelta consapevole. Non essendovi altri esempi di ghirlande di questo tipo biso-gna supporre logicamente la perdita totale di eventuali confronti, sia che essi fossero in Grecia sia altrove. Tale perdita potrebbe essere stata facilitata anche dal fatto che in Grecia e nell’Illirico le decorazioni di que-sto tipo non hanno mai preso piede nel mo-saico pavimentale: l’esiguità numerica de-gli esempi di decorazione musiva parietale del V secolo rischiano di offrire un quadro incompleto e trasformare in unicum un tipo decorativo vegetale forse all’epoca ben dif-fuso e che, sicuramente, sopravvivrà nel pe-riodo successivo, come si vede nel mosaico di Kartmin e nell’affresco di Salamis.Si è visto inoltre che è in area siro-palesti-nese che alla fine del V secolo si trovano esempi di estrapolazione della foglia di ninfea da contesti figurativi più ampi per ridurla a elemento singolo di decorazione, un passaggio chiave, a mio avviso, per la sua introduzione nel repertorio delle ghir-lande. Nella medesima regione abbondano i mosaici con scene fluviali e sono numerosi i casi di adattamento dei repertori acquatici alessandrini alle bordure musive. È proba-bile che il bacino orientale del Mediterra-neo abbia conosciuto alla fine del V secolo un notevole sviluppo dell’uso di queste ti-pologie decorative e che in una città portua-le come Tessalonica sia giunto un riflesso di gusto mutuato dalla Siria attraverso le rotte dell’Egeo.Ogniqualvolta ci si accosta ai motivi pre-senti nel ciclo musivo dell’Acheiropoietos emergono alcuni problemi che è opportuno enunciare in sede preliminare, prima cioè di procedere a qualsivoglia tentativo di pre-cisazione cronologica o di contestualizza-zione nell’ambito delle linee evolutive del mosaico parietale nella seconda metà del V secolo d.C.Il primo di essi è rappresentato dalla im-

sovrastata da un fiore con corolla circolare verde, rosso e rosa con bottone bianco. Le dimensioni e la forma della foglia rendono assai probabile l’identificazione, anche in questo caso, con una pianta di ninfea36.La foglia di ninfea diventa poi elemento costituente di un tralcio vegetale in uno dei girali racchiudenti figure di animali nel mo-saico della prima anticamera della chiesa libanese di Zahrani, datato al 524 d.C.37.La presenza di un repertorio vegetale as-solutamente raro in Grecia, quale quello di tipo acquatico di derivazione alessan-drina può essere spiegato, come nel caso di Kenchreai, con il ricorso all’importa-zione di materiali o – per quanto concerne l’Acheiropoietos – di cartoni decorativi di tipo eclettico. I due casi di Kenchreai e di Salamis, benché non si tratti di mosaici e pur costituendo due episodi cronologica-mente molto distanti, testimoniano il fatto che i repertori nilotici, assenti nelle decora-zioni pavimentali dell’area ellenica, dove-vano essere apprezzati per la realizzazione di pannelli parietali. Un’eccezione è costi-tuita dalle interessanti “citazioni” presenti nel mosaico marino della basilica A di Ni-kopolis: la larga fascia di bordura con scena marina appartenente al pavimento musivo dell’ala nord del transetto della basilica (secondo quarto del VI secolo) reca fra gli elementi del paesaggio acquatico larghe fo-glie cuoriformi e foglie di ninfea a campa-na, all’interno di una delle quali – come a Zliten e a Et-Tabgha – si vede una figura di uccello acquatico accovacciato, segno del prestito di microscene nilotiche ormai codificate dall’uso a un contesto di tipo dif-ferente, quale quello della rappresentazione dell’oceano38.Se l’opus sectile di Kenchreai può essere solo ipoteticamente ricondotto a relazioni tra l’Egitto e il porto di Corinto, per l’af-fresco di Salamis è invece abbastanza certa la filiazione da ambienti artistici antiocheni, nel quadro della permanenza di Cipro – an-cora nel VI secolo – entro l’orbita politica e culturale siro-palestinese.Ma l’uso della foglia di ninfea per formare ghirlande o composizioni vegetali all’in-

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le proposte di assegnazione al VI secolo dei mosaici di quest’ultima: “Since the mosaic decoration, which is surely an original part of the building, appears to presuppose that of St. George [la Rotonda] it may provide an approximate terminus ante quem for the latter […]”39. Anche Robin Cormack si soffermava sul ciclo musivo dell’Acheiro-poietos al termine di un articolo del 1969, nel quale si tratta in particolare della per-duta decorazione musiva della navata inter-na settentrionale della vicina basilica di S. Demetrio e, in particolar modo, della sua datazione sulla base della documentazione grafica raccolta dall’architetto W. S. George prima dell’incendio del 1917. Nel proporre una datazione all’ultimo quarto del V secolo per i mosaici di S. Demetrio, Cormack im-postava un tentativo di cronologia indiretta individuando delle analogie tra la decora-zione dei sottarchi della basilica del marti-re e quelli dell’Acheiropoietos40. Le tesi di Kitzinger sulle connessioni tra i mosaici de-corativi della Rotonda e quelli dell’Achei-ropoietos fornirono lo spunto a W. Eugene Kleinbauer per alcune precisazioni, conte-nute al termine dell’imponente saggio dal titolo The Iconography and the Date of the Mosaics of the Rotunda of Hagios Geor-gios, Thessaloniki, pubblicato nel 1972. La sostanziale accettazione da parte di Klein-bauer delle relazioni stilistiche fra la deco-razione dei due monumenti era tuttavia su-bordinata alla attribuzione delle differenze qualitative al prodotto del lavoro di due bot-teghe di diversa origine (Costantinopoli per la Rotonda e locale per l’Acheiropoietos) ma sostanzialmente coeve41. Tuttavia, se è pur vero che differenze sostanziali esistono, è nella natura intrinseca di ciascun ciclo che esse vanno ricercate, nelle dimensioni, nei contenuti o nelle scelte programmatiche ma non nell’apparato decorativo e non figurato, che in tutti e tre i casi accompagna e integra i mosaici iconici; qui, infatti, è sufficiente un’analisi più attenta per comprendere che le differenze qualitative sono estremamente limitate, che l’accuratezza formale è sostan-zialmente la medesima e, soprattutto, il les-sico adoperato presenta analogie talmente forti da richiedere prudenza.

possibilità di reperire nell’ambito della produzione musiva parietale un numero di confronti adeguato senza compiere salti geografici e cronologici per chiarire le mo-dalità dello sviluppo stilistico o la fortuna dei tipi iconografici a seconda delle aree regionali, elementi che sono indagabili con maggiore facilità qualora ci si occupi del mosaico pavimentale e ciò per pure ragioni quantitative.Una forte pregiudiziale si cela inoltre nella limitata attenzione prestata fino a oggi dalla critica ad alcuni dei tipi decorativi non figu-rati presenti nelle altre decorazioni parietali tessalonicesi, dunque nella Rotonda gale-riana e nella fase originaria della basilica di S. Demetrio. A questo proposito, gran parte della produzione di contributi comparatisti-ci è stata in qualche maniera “ossessionata” dai finora infruttuosi tentativi di datazio-ne – relativa e assoluta – dei tre cicli ma, come effetto positivo, si è avuta per tempo la consapevolezza dell’importanza di stu-diare il più possibile in parallelo le decora-zioni dei tre edifici. Già il saggio di Ernest Kitzinger dal titolo Byzantine Art in the Pe-riod between Justinian and Iconoclasm, del 1958, menzionava rapidamente i pannelli dell’Acheiropoietos raffrontandoli con gli elementi decorativi del mosaico absidale della chiesa di Hosios David nella città alta di Tessalonica e proponendo per entrambi una diretta filiazione dai modelli della Ro-tonda galeriana, con la creazione di una sor-ta di tradizione locale. Sulla base di una at-tribuzione al 450 circa, Kitzinger adottava i sottarchi dell’Acheiropoietos come termine di datazione relativa per la Rotonda, contro

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to all’interno delle province di Macedonia, che nella seconda metà del V secolo vedono esplodere, come peraltro ovunque accade-va, la moda degli elementi figurativi da in-serire all’interno delle griglie geometriche. Ora, considerando che la maggior parte de-gli esempi che si possono citare a conforto di quanto detto proviene da edifici di carat-tere privato (domus, piccoli edifici termali etc.) rimane da chiedersi se tale tendenza valesse anche per le committenze di carat-tere pubblico. A tale proposito, viene fatto di pensare che le due grandi decorazioni pavimentali del peristilio settentrionale del palatium di Galerio (completato entro il primo quarto del IV secolo)42 e dei portici della terrazza superiore dell’agorà romana (terzo quarto del IV secolo)43, di tipo pura-mente geometrico, devono aver fornito un precedente probabilmente condizionante per le altre commissioni pubbliche di cui oggi non è rimasta traccia.Il mosaico parietale tessalonicese si è con-servato soltanto nella decorazione edifici di culto e, dunque, dovrebbe rispondere alle scelte di una committenza di tipo diverso, anche se in parte privata ed eventualmente finanziata da personaggi laici. Un’atmosfe-ra probabilmente più permeabile agli in-flussi esterni come quella della gerarchia ecclesiastica del V secolo potrebbe essersi concretizzata in scelte non condizionate da tendenze regionali o locali ma, anzi, at-tente all’evoluzione dell’arte di quei cen-tri dell’Asia Minore e dell’Africa con cui Tessalonica si trovava costantemente in contatto via mare, non solo per ragioni po-litiche ma anche commerciali o di approv-vigionamento. È un fatto che decorazioni musive parietali come quelle della Roton-

Una questione differente è invece costituita dalla presenza in alcuni dei pannelli di un repertorio di motivi di diretta derivazione pavimentale. Si tratta di tipi ben noti, per i quali è possibile rifarsi a esempi diffusi più o meno in tutto il bacino del Mediterraneo, situazione anch’essa che non agevola la ri-cerca di specificità regionali o di percorsi di trasmissione dei modelli. A ciò si aggiun-ga, quale ulteriore difficoltà, l’adozione, nella maggior parte dei mosaici in oggetto, di un repertorio classicheggiante di scarsa originalità – ghirlande, tralci di vite, com-posizioni di foglie d’acanto – dal quale non è possibile ricavare informazioni determi-nanti, salvo all’atto di estrapolarne alcuni elementi peculiari, qualora essi si rendano disponibili, fatto che non in tutti casi si ve-rifica.In forza di ciò si produce una sorta di sbi-lanciamento nella documentazione disponi-bile a favore di quei motivi per i quali più facile è il confronto con la produzione mu-siva pavimentale. Riguardo quest’ultima, il quadro offerto da Tessalonica è quanto mai peculiare e offre lo spunto per alcune considerazioni sulla committenza privata e su quella pubblica e destinata agli edifici di culto nonché sui differenti programmi de-corativi. Paradossalmente, il corpus musivo pavimentale di Tessalonica tra IV e VI seco-lo rivela che la città ebbe un gusto spiccato per il conservatorismo, continuando a pro-durre, ancora nel V secolo avanzato, mosai-ci appartenenti alla moda geometrizzante di età tetrarchica. Essi ricalcano, in molti casi, tipologie elaborate e diffuse con successo tra la fine del III secolo e l’epoca costanti-niana in tutto l’Illirico orientale. Tessaloni-ca si trova dunque in una sorta di isolamen-

Fig. 15 Fig. 16

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tavano gli originali dell’Africa, ma tramite una semplificazione e standardizzazione che ha la sua origine, a mio avviso, in area siro-palestinese, vasto laboratorio di sintesi dove questi tipi conoscono una larghissima diffusione tra V e VI secolo46.

Note

1. Il nome attuale dell’edificio, [Panagia] Acheiropoietos è il recupero, dopo la domina-zione ottomana (1430-1912) di un appellativo tardomedievale sovrapposto alla dedicazione originaria e attestato per la prima volta nel 1320 (T. Papazotos, Ho Megalos Naos tes Theotokou ste Thessalonike. Mia epanexetase ton pegon gia ten historia tes Acheiropoietou, “Makedo-nika”, 22, 1982, pp. 112-131, in part. p. 117). L’attributo acheiropoietos indica, generalmen-te, un oggetto “non fatto da mano [umana]”. Nel caso in cui esso si associa alla persona della Vergine, si riferisce a un’immagine sacra realiz-zata tramite intervento divino. 2. Le fonti documentarie di età moderna sull’Acheiropoietos sono in gran parte costi-tuite da resoconti di viaggio o estrapolabili da opere di carattere corografico e di valore assai variabile, in cui notizie provenienti da tradizio-ne orale prendono decisamente il sopravvento, anche presso autori particolarmente scrupolo-si e fededegni. Una nutrita raccolta di fonti fu composta alla fine del XIX secolo da M. Chat-zi-Ioannou nella sua Astygraphia Thessalonikes etoi Topographike perigraphe Thessalonikes, Thessalonike 1880 (ristampa anastatica Athe-nai 1978), pp. 78-82, opera scritta sulla traccia della fondamentale opera di T. L. F. Tafel, De Thessalonica eiusque agro dissertatio geogra-phica, Berolini 1839. Quanto alla critica con-temporanea, l’architettura della basilica e i suoi mosaici sono stati oggetto di una serie di con-tributi, più o meno approfonditi, ma nessun ap-profodimento monografico è mai stato tentato. Si vedano: Ch. Texier, R. Poppewell-Pullan, L’architecture byzantine ou Recueil des monu-ments des premiers temps du christianisme en orient, Londres 1864, pp. 158-162; O. M. Dal-ton, Byzantine Art and Archaeology, Oxford

da di Galerio dopo la sua trasformazione in chiesa, della fase originaria di S. Demetrio e dell’Acheiropoietos presentano casi di eclettismo di non secondaria importanza. Sebbene si tratti dell’adattamento di ele-menti allogeni a un linguaggio tradiziona-le e, pertanto, nulla di paragonabile a una ricezione passiva, tuttavia mosaici come quello assai noto e oggetto di ampia discus-sione che decora la volta della nicchia me-ridionale della Rotonda non costituisce una casualità ma è indizio dell’assorbimento di modelli orientali (iranici o di altra origine) rielaborati dal linguaggio ellenistico44.È altrettanto probabile che nel V secolo avanzato la situazione politica dell’Illirico orientale abbia fatto sì che una serie di cen-tri vitali e interdipendenti abbiano comin-ciato a elaborare tendenze stilistiche non sempre inquadrabili in un processo evolu-tivo comune, forse a causa dell’insicurezza delle vie di comunicazione o di semplici forme di localismo. L’influenza artistica di una città strategicamente e politicamente determinante come Tessalonica su centri vicini come Stobi, Lychnidos, Heraklea Lynkestis, Anfipoli, Filippi, sebbene sia da ritenere parte attiva del reticolo di relazioni e scambi culturali tra le città della Mace-donia, rimane tuttavia non sempre chiara e dimostrabile45.Con maggiore facilità si possono inve-ce scorgere gli indizi di una ricezione da parte di Tessalonica di modelli e tendenze codificati in aree verso le quali la città ve-niva proiettata a causa della sua posizione sull’Egeo: Costantinopoli, da un lato, ma ancor più le coste del Mediterraneo orien-tale. Il grado evolutivo di alcune tipologie iconografiche attestate nell’Acheiropoietos di Tessalonica ma assenti nelle regioni cir-costanti, sia elleniche sia danubiane, corri-sponde a risultati stilistici raggiunti in Asia Minore tra la metà del V e il VI secolo. Tra queste tipologie sono da annoverare innan-zitutto le composizioni di foglie acquatiche ma anche schemi di origine africana, come, per esempio, gli embricati con piuma di pa-vone, riproposti però non più con le carat-teristiche geometrico-vegetali che conno-

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diamorphose tes palaiochristianikes konches tes Acheiropoietou, “He Thessalonike” 3, 1992, pp. 11-32. K. T. Raptis, Paratereseis epi hori-smenon domikon stoicheion tes Acheiropoie-tou, “To Archaiologiko Ergo ste Makedonia kai Thrake”, 13, 1999, pp. 219-236; A. Zobouasimi, Ergasies stereoses ka apokatastases tou Ierou Naou tes Panagias Acheiropoietou. Skepseis kai symperasmata meta ten oloklerose epembaseon topikou charaktera, “Mnemeio & Periballon”, 7, 2001, pp. 209-222. 3. D. Feissel, J.-M. Spieser, Inventaire en vue d’un recueil des inscriptions historiques de By-zance. II. Les inscriptions de Thessalonique. Supplément, “Travaux et Mémoires”, 7, 1979, pp. 303-348, in part., p. 312 (nr. 6); C. Bakirt-zis, Sur le donateur et la date des mosaïques d’Acheiropoietos à Thessalonique, in Atti del IX Congresso di Archeologia Cristiana (Roma 21-27 settembre 1975) Città del Vaticano, II, pp. 37-44. 4. I capitelli della navata centrale apparten-gono al tipo composito “a foglie d’acanto fi-nemente dentellato”. Di fattura notevolemente accurata, essi presentano una duplice corona di foglie d’acanto e una serie di palmette fra le vo-lute. L’astragalo è caratterizzato da piccole fo-glie appuntite, talvolta disposte in obliquo e da un kalathos molto espanso. R. kautzsch, Kapi-tellstudien. Beiträge zur einer Geschichte des spätantiken Kapitells im Osten vom vierten bis ins siebente Jahrhundert, Berlin-Leipzig 1936, p. 134 e tavv. 431-432 (raffronto con il capitello nr. 1208 del Museo Archeologico di Istanbul); R. Farioli, I capitelli paleocristiani e bizantini di Salonicco, “Corsi di Cultura sull’Arte Raven-nate e Bizantina”, 11, pp. 132-177, in part. 154-155. Per la datazione: J.-P. Sodini, La sculpture architecturale à l’époque paléochrétienne en Illyricum, in Xe Congrès International d’Ar-chéologie Chrétienne 1984, I, pp. 207-298, in part. 225-226. 5. È quanto ho sostenuto già in altra sede: A. Taddei, La decorazione musiva della basilica della Panagia Acheiropoietos a Tessalonica (Università degli Studi di Napoli “L’Orienta-le” – Tesi di Dottorato non pubblicata), Napoli 2004. 6. Frammento musivo parietale proveniente dalla galleria meridionale, con probabile scena

1911, pp. 382-383; Ch. Diehl, M. Le Tourneau, H. Saladin, Les monuments chrétiens de Salo-nique, Paris 1918, pp. 37-41; S. Pelekanidis, Palaiochristianika Mnemeia Thessalonikes. Acheiropoietos, Mone Latomou, Thessaloniki 1949, pp. 11-41; R. F. Hoddinott, Early By-zantine Churches in Macedonia and Southern Serbia. A Study of the Origins and the initial Development of East Christian Art, London 1963, pp. 155-158; R. Janin, Les églises et les monastères de grandes centres byzantins, Paris 1975, pp. 375-404; W. E. Kleinbauer, Remarks on the Building History of the Acheiropoietos Church at Thessaloniki, in Actes du Xe Congrès International d’Archéologie Chrétienne (Thes-salonique 28 september 4 october 1980), Città del Vaticano 1984, II, pp. 241-257. K. Theo-charidou, Ch. Mavropoulou-Tioumi 1985: He anastelose ton byzantinon kai metabyzantinon mnemeion ste Thessalonike, Thessaloniki 1985, pp. 63-70; K. Theocharidou, Acheiropoietos Basilica, Thessaloniki: Early Byzantine Addi-tions to the 5th Century Building and their Li-turgical Function (Preliminary Report), in Ab-stracts of Short Papers of the 17th International Byzantine Congress (Washington D.C., August 3-8 1986), Dumbarton Oaks-Georgetown Uni-versity 1986b, pp. 344-345; E. kourkoutidou-nikolaïdou, Acheiropoietos. The great Church of the Mother of God, Thessaloniki 1989; K. hattersley-smith, Byzantine Public Architec-ture between the fourth and early eleventh cen-turies AD with special reference to the town of Byzantine Macedonia, Thessaloniki 1996. Gli studi specifici più recenti riguardano esclusiva-mente alcune problematiche di carattere archi-tettonico dell’edificio e si devono a K. theocha-ridou, Hoi phaseis tou naou tes Acheiropoietou ste Thessalonike, in B’ Symposio Christianikes Archaiologikes Hetaireias, Athenai 1982, pp. 31-32; Ead., Problemata apokatastases tes dyti-kes pleuras tou klimakostasiou kai ton boreinon prosthekon sten Acheiropoieto Thessalonikes, in Γ’ Symposio Christianikes Archaiologikes Hetaireias, Athenai 1983, pp. 33-34; Ead., Acheiropoietos: problemata stereoses kai apo-katastases, kriteria kai ektase ton epembaseon, in Anasteloseis byzantinon kai metabyzantinon mnemeion, Atti del Convegno Internazionale ( Thessalonike 1985), Thessalonike 1986a, pp. 61-70; Ph. oreopoulos, Mia alle apopse gia te

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ta da cinque circonferenze delineate da singole linee di tessere di diverso colore: la più esterna, rossa, funge da contorno; procedendo verso il centro si trovano una seconda e una terza cir-conferenza di color oro scuro, una quarta rossa e, infine, una quinta nuovamente oro scuro. Il fondo del clipeo, campito in azzurro scuro uni-forme, presenta come unica variazione due cir-conferenze di tessere blu scuro lungo la cornice. All’interno del clipeo trova posto una croce la-tina con estremità patenti (il braccio maggiore è rivolto verso sud); la croce è in tessere miste oro scuro e oro brillante con contorni blu scu-ro. 12. Sull’argomento si vedano E. Kitzinger, Mosaic Pavements in the Greek East and the Question of a «Renaissance» under Justinian, in Actes du VIe Congrès international d’étu-des byzantines (Paris 27 juillet-2 aout 1948), Paris 1951, II, pp. 209-223; A. Hermann, Der Nil und die Christen, “Jahrbuch für Antike und Christentum”, 2, 1959, pp. 30-69, in part. 63; E. alföldi-rosenbaum, A nilotic scene on Justi-nianic floor mosaics in Cyrenaican churches, in La Mosaïque Gréco-romaine II. IIe Colloque in-ternational pour l’étude de la mosaïque antique (Vienne 30 aout-4 septembre 1971), Paris 1975, pp. 149-153, in part. 151-152. 13. J. Balty, Thèmes nilotiques dans la mo-saïque tardive du Proche-Orient, in Alessandria e il mondo ellenistico-romano. Studi in onore di Achille Adriani, a cura di N. Bonacasa, A. Di Vita, Roma 1984, III, pp. 827-834, in part. 832. 14. Il nome di questa pianta con alto stelo, fio-re rosa e foglie coniche o a campana con mar-gini solitamente ripiegati è nymphea nelumbo ovv. nelumbium speciosum. Il nelumbium è det-to anche loto sacro degli Egizi e “giglio rosato del Nilo” secondo Erodoto (Hist. II, 92): M. A. Sacopoulo, La fresque chrétienne la plus an-cienne de Chypre, “Cahiers Archéologiques”, 13, 1962, pp. 61-83, in part. 77. Questa pian-ta va tuttavia distinta dal loto bianco ordinario a foglia circolare che si sviluppa a pelo d’ac-qua. S. Aurigemma, I mosaici di Zliten, Milano 1926, p. 122 e n. 11; L. Iibrahim, R. Scranton, R. Brill, Kenchreai. Eastern Port of Corinth, II (The Panels of Opus Sectile in Glass), Leiden 1976, p. 32. Si veda inoltre il paragrafo intitola-

di cervi accanto a una fontana di vita, fra girali di acanto: si veda la scheda a cura di Ch. chat-ziantoniou, “Archaiologikon Deltion”, 49, II/2, pp. 474-475. 7. Su questi mosaici “a embrici” o “a squa-me” di origine pavimentale, ben rappresentati in quattro intradossi dell’Acheiropoietos ma, in realtà, sorprendentemente diffusi anche in S. Demetrio e nella Rotonda: A. Taddei, Decora-zioni “a squame” con piuma di pavone in alcu-ni mosaici parietali di Tessalonica, in Studi in onore di Umberto Scerrato per il suo settanta-cinquesimo compleanno, a cura di M. V. Fonta-na, B. Genito, Napoli 2003, II, pp. 805-816. 8. Si tratta di un baccello conico con struttura ad alveare contenente semi eduli; il seme è detto appunto Aigyptios kyamos cioè “fava egiziana”, cfr. più avanti. 9. Il centro geometrico del pannello è occupa-to da un clipeo la cui spessa cornice è formata da quattro linee di tessere (le due esterne in oro scuro, quelle interne grigio argento) incluse en-tro due linee di contorno blu scuro. Il fondo del clipeo è campito a gradazioni cromatiche: dalla circonferenza verso il centro si passa dall’az-zurro scuro all’azzurro e al celeste. All’interno del clipeo trova posto una croce latina con estre-mità patenti (il braccio maggiore è rivolto verso sud); la croce è di colore oro scuro con contorni blu scuro. Dal punto d’intersezione dei bracci si dipartono quattro raggi tra loro perpendicolari e disposti a 45 gradi rispetto ai bracci stessi. Que-sti ultimi, aventi colorazione sfumata dal bian-co grigio al celeste e all’azzurro, giungono fino ai margini del clipeo. 10. Il cui volume è reso attraverso diverse gradazioni di colore dal blu dei contorni, all’az-zurro scuro, al rosso, al rosso chiaro, al rosa e al bianco. Il cilindro è dotato di imboccature leggermente svasate con doppi bordi dorati, divisi in due da una linea rossa, aventi contor-no inferiore rosso e superiore blu scuro. Il ci-lindro espleta la funzione di “sostegno” visivo del clipeo centrale e contribuisce a enfatizzarlo con l’isolarlo dal resto della decorazione. Tale elemento di raccordo, ben noto nel panorama del mosaico decorativo a ghirlande del periodo tardoantico, compare, nel ciclo della basilica, soltanto in questo mosaico della galleria. 11. Il clipeo possiede una larga cornice forma-

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1975, p. 151; Balty 1990, p. 66, ma essa è ri-presa di recente da R. ovadiah, y. turnheim, The Mosaic Pavement of the House of Kyrios Leontis: Context and Meaning, “Rivista di Ar-cheologia”, 27, 2003, pp. 111-118, in part. 115. 25. m. avi-yonah, Mosaic Pavements in Pa-lestine, “The Quarterly of the Department of Antiquities in Palestine”, 2, 1933, pp. 136-181, in part. 146-148 (nr. 23); Balty 1984, p. 829 e tav. 132.3; a p. 830 sono citati altri esempi pro-venienti dalla medesima area geografica. 26. D. Levi, Antioch Mosaics Pavements, Princeton-London-The Hague 1947, p. 347 e tav. 181a; Balty 1984, p. 830 e tav. 133.1. 27. levi 1947, p. 349 e tavv. 84b (1° e 2° pan-nello), 181b (4° pannello), 183c (6° pannello). 28. balty 1990, pp. 60-68, tavv. 28-29, 31.2, 32 e tav. a col. F. 29. balty 1984, p. 829 e tav. 133.2 30. C. Kraeling, Gerasa. City of the Decapo-lis, New Haven 1938, pp. 326, 328-329 e tav. 68b. 31. Sacopoulo 1962, p. 80 e figg. 3-6, 14-15. 32. M. Chehab, Mosaïques du Liban, “Bulle-tin du Musée de Beyrouth”, 14-15, 1957-1959, p. 112 e tav. 72.1; P. donceel-voûte, Les pa-vements des églises byzantines de Syrie et du Liban. Décor, archéologie et liturgie, Louvain-la-Neuve 1988, p. 366 e fig. 350. 33. levi 1947, p. 358 e tavv. 85b e 137c. 34.s. garreau, h. h. curvers, Mosaïques de Berytus. Analyse stylistique et chronologique, “Bulletin d’Archéologie et d’Architecture Li-banaises”, 7, 2003, pp. 281-320 in part. 306 e fig. 18. 35. r. ovadiah, a. ovadiah, Hellenistic, Ro-man and Early Byzantine Mosaic Pavements in Israel, Roma 1987, pp. 18-20 e tav. 11.1 (nr. 17). 36. e. J. w. hawkins, m. c. mundell, The Mosaics of the Monastery of Mār Samuel, Mār Simeon, and Mār Gabriel near Kartmin, “Dum-barton Oaks Papers”, 27, pp. 279-295, in part. 290 e fig. 38. 37. Chehab 1957-1959, p. 95 e tav. 50; don-ceel-voûte 1988, pp. 430-431 e fig. 430. 38. M. Spiro, Critical Corpus of the Mosaic Pavements on the Greek Mainland, Fourth/Si-

to “thèmes nilotiques” in J. Balty, La mosaïque de Sarrîn (Osrohène), Paris 1990 (Inventaire des mosaïques antiques de Syrie – I.M.A.S. fasc. 1), pp. 60-68, in part. 61 e n. 282. La pian-ta è provvista di una sorta di baccello conico con struttura interna ad alveare: in ciascuna cel-la si trova un seme edule, chiamato aigyptios kyamos ossia “fava egiziana” (strabone, Geo-graphica, XVII, 1, 15): per la descrizione par-ticolareggiata si veda ibrahim, scranton, brill 1976, p. 34. 15. Si veda anche l’altro mosaico di età impe-riale – meno conosciuto – con scena di banchet-to sul Nilo, proveniente da Thmuis e conserva-to al Museo del Nilo di Alessandria: Hermann 1959, p. 64 e tav. 7a. 16. Aurigemma 1926, pp. 101-102, 119-127, figg. 63, 71-74 e tav. C; L. Foucher, Les mo-saiques nilotique africaines, in La Mosaïque Gréco-romaine, Actes du colloque international (Paris 29 aout-3 septembre 1963), Paris 1965, pp. 138-143, in part. 140 e tavv. 16-17. D. Par-rish, Season Mosaics of Roman North Africa, Roma 1984, p. 245 e tav. 94a. 17. Aurigemma 1926, pp. 82-83; Foucher 1965a, p. 141 e fig. 21. 18. L. Foucher, Inventaire des mosaiques – Feuille n° 57 de l’Atlas Archéologique (Sous-se), Tunis 1960, p. 93 e tav. 8; id. 1965, p. 139 e figg. 4, 9. 19. Ph. Bruneau, Tendances de la mosaïque en Grèce à l’époque impériale, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt. Principat, II,12.2, a cura di H. Temporini, Berlin-New York 1981, pp. 320-346, in part. 345 e n. 148. 20. ibrahim, scranton, brill 1976, p. 268. 21. Ibidem. 22. Ibidem. 23. E. Kitzinger, Stylistic Developments in Pavement Mosaics in the Greek East from the Age of Constantine to the Age of Justinian, in La Mosaïque Gréco-romaine 1965, pp. 341-352, in part. 349 e fig. 17; Balty 1984, pp. 827-828 e tav. 132.3. 24. N. Zori, The House of Kyrios Leontis, “Israel Exploration Journal”, 16, 1966, pp. 123-134, in part. 124, 131-132, fig. 4 e tav. 12. La datazione alla metà del V secolo non è del tutto condivisa dalla critica: cfr. alföldi-rosenbaum

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lyricum. The Northern regions, in Xe Congrès International d’Archéologie Chrétienne 1984, II, pp. 445-475, nonché Ead., Tetrarchic Floor Mosaics in the Balkans, in La Mosaïque Gré-co-romaine IV, IVe Colloque international pour l’étude de la mosaïque antique (Trèves 8-14 août 1984), Paris 1994, pp. 171-182. 46. Si veda il paragrafo dal titolo “Les écailles à bouton de rose” in donceel-voûte 1988,pp. 456-457.

Immagini

1. Tessalonica, Acheiropoietos, intradosso della navata centrale 2.Tessalonica, Acheiropoietos, intradosso della navata centrale 3. Tessalonica, Acheiropoietos, intradosso della navata centrale 4. Tessalonica, Acheiropoietos, intradosso dell’arcata centrale del tribelon 5. Tessalonica, Acheiropoietos, intradosso dell’arcata centrale del tribelon, particolare 6. Tessalonica, Acheiropoietos, intradosso dell’arcata centrale del tribelon, particolare 7. Tessalonica, Acheiropoietos, intradosso dell’arcata centrale della trifora della facciata ovest, particolare 8. Tessalonica, Acheiropoietos intradosso del-la galleria meridionale 9. Tessalonica, Acheiropoietos, intradosso della galleria meridionale 10. Kenchreai (Corinto), opus sectile vitreo, particolare con pianta di ninfea (da ibrahim, scranton, brill 1976) 11. Kenchreai (Corinto), opus sectile vitreo, pannello con paesaggio fluviale (da ibrahim, scranton, brill 1976) 12 Et-Tabgha (Israele), chiesa della Moltipli-cazione dei Pani e dei Pesci, pavimento musivo nilotico 13. Et-Tabgha (Israele), chiesa della Molti-plicazione dei Pani e dei Pesci, particolare del pavimento musivo nilotico 14. Et-Tabgha (Israele), chiesa della Molti-plicazione dei Pani e dei Pesci, particolare del pavimento musivo nilotico

xth Centuries with Architectural Surveys, New York-London 1978, p. 450 e tavv. 487-491 (con bibl. prec.); G. hellenkemper-salies, Zu Stil und Ikonographie in den frühbyzantini-schen Mosaiken von Nikopolis, in Nikopolis A’. Praktika tou protou Diethnous Symposiou gia te Nikopole (23-29 Septembriou 1984), a cura di E. Chrysos, Preveza 1987, pp. 295-310, in part. 300 e fig. 4. 39. e. kitzinger, Byzantine Art in the Period between Justinian and Iconoclasm, in Berichte zum XI. Internationalen Byzantinisten-Kongreß (München 1958), München 1958, pp. 1-50, in part. 23 e n. 86. 40. r. s. cormack, The Mosaic Decoration of S. Demetrios, Thessaloniki. A Re-examination in the Light of the Drawings of W. S. George, “The Annual of the British School at Athens”, 64, pp. 17-52, in part. 49. 41. w e. kleinbauer, The Iconography and the Date of the Mosaics of the Rotunda of Ha-gios Georgios, Thessaloniki, “Viator. Medieval and Renaissance Studies”, 3, pp. 27-107, in part. 106. 42. P. asimakopoulou-atzaka, Syntagma ton palaiochristianikon psephidoton dapedon tes Hellados, III,1 (Ta psephidota dapeda tes Thes-salonikes), Thessalonike 1998, pp. 84-85, 188-191, tavv. 18-19, 28 e tav. a col. 5-9. 43. asimakopoulou-atzaka 1998, pp. 113-122, 215-219, tavv. 68-87 e tavv. a col. 18-21g. 44. Se ne veda la descrizione particolareg-giata in J.-M. Spieser, Thessalonique et ses monuments du IVe au VIe siècle. Contribution à l’étude d’une ville paléochrétienne, Athènes-Paris 1984, pp. 133-134, 135-141 e tavv. 20 e 21.1. Per la derivazione di tali motivi decorati-vi dalla produzione tessile cfr., inoltre, A. go-nosová, The Formation and Sources of Floral Semis and Floral Diaper Patterns Reexamined, “Dumbarton Oaks Papers”, 41, pp. 227-237, in part. 237 e n. 39. 45. Per l’odierna Macedonia greca si veda P. asimakopoulou-atzaka, Ta palaiochristiani-ka psephidota dapeda tou Anatolikou Hillyri-kou, in Xe Congrès International d’Archéologie Chrétienne 1984, I, pp. 361-444, mentre per le regioni settentrionali dell’Illirico orientale: r. e. kolarik, The Floor Mosaics of Eastern Il-

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the south upper gallery, still retain their mosaic revetment. There are no human images in these mosaics: on the other hand, they show a who-le series of geometrical and vegetal patterns, in some of which is to be recognized a certain degree of eclecticism. Among these, the nym-phaea-leaves vegetal pattern offers a particular case-study, for its origins are to be find within the widespread repertory of the nilotic mosaics. The aim of this article is to draw up the evo-lution process by which some elements of an “exotic” fashion from Hellenistic Egypt had to be modified and re-adapted to be used in a me-rely decorative context in the Greek mainland.

15. Salamis-Constantia (Cipro), cisterna, par-ticolare della decorazione parietale ad affresco (da sacopoulo 1962) 16. Salamis-Constantia (Cipro), cisterna, par-ticolare della decorazione parietale ad affresco (da sacopoulo 1962)

Abstract

Of the original 5th-century wall mosaic decora-tion of the Acheiropoietos basilica at Thessalo-niki only a part has been preserved until today. The arch soffits, either belonging to the colon-nades of the central nave, or to the tribelon, and