Symposiumodontoiatrico_Numero_07

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3 DICEMBRE 2011 sommario Editoriale di Andrea Possenti Analisi In Vitro Sulla Precisione Delle Tecniche Di Impronta In Implantoprotesi di Antonio Castriottai Razionale dell’utilizzo dei lembi di accesso nella chirurgia degli ottavi inclusi inferiori. di Andrea Borgonovo "La Diagnosi Stomatologica nelle Malattie di Confine: La Nevralgia del Glossofaringeo” di Fabio Luciani la cefalometria 3d tramite cbct nella diagnosi in ortodonzia di Valeria Calace Indonesia: Tra draghi e vulcani, l’arcipelago magico. di Alfredo Tursi Norme redazionali 5 7 15 25 31 40 50 SYMPOSIUM ODONTOIATRICO QUADRIMESTRALE DI INFORMAZIONE SCIENTIFICA www.symposiumodontoiatrico.it REGISTRAZIONE Tribunale di Roma N.305 del settembre 2009 DIREZIONE SCIENTIFICA Dott. Andrea Possenti COMITATO SCIENTIFICO Prof. Emilio Govoni Prof. Emanuela Ortolani Prof. Luca Testarelli Prof. Vincenzo Rocchetti Prof. Roberto Di Giorgio Prof. Pietro Vettese Prof. Vincenzo Bucci Sabatini COMITATO DI REDAZIONE Dott. Luigi Genzano Dott.Cristiano Grandi Dott. Maurizio Fabi DIRETTORE RESPONSABILE Area Scientifica: dott. Donato Di Iorio Area Clinica: dott. Paolo Pianta DIREZIONE EDITORIALE Dr. Mihaela Roman COORDINAMENTO EDITORIALE Paolo Andrisani REDAZIONE, PUBBLICITA’ E ABBONAMENTI Dr. Cristiana Roman [email protected] tel./fax. 0761.422575 cell.: 3926784682 EDITORE BEST MICRO S.R.L. Via Marconi 49E, 01018 Valentano (VT) tel./fax. 0761.422575 STAMPA Tipografia Artigiana-Roma

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Analisi In Vitro Sulla Precisione Delle TecnicheDi Impronta In Implantoprotesi;Razionale dell’utilizzo dei lembi di accessonella chirurgia degli ottavi inclusi inferiori;"La Diagnosi Stomatologica nelle Malattie diConfine: La Nevralgia del Glossofaringeo”;la cefalometria 3d tramite cbct nelladiagnosi in ortodonzia;Indonesia:Tra draghi e vulcani, l’arcipelago magico.

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3DICEMBRE

2011

sommario

Editorialedi Andrea Possenti

Analisi In Vitro Sulla Precisione Delle Tecniche

Di Impronta In Implantoprotesi

di Antonio Castriottai

Razionale dell’utilizzo dei lembi di accesso

nella chirurgia degli ottavi inclusi inferiori.

di Andrea Borgonovo

"La Diagnosi Stomatologica nelle Malattie di

Confine: La Nevralgia del Glossofaringeo”

di Fabio Luciani

la cefalometria 3d tramite cbct nella diagnosi in ortodonziadi Valeria Calace

Indonesia:

Tra draghi e vulcani, l’arcipelago magico.

di Alfredo Tursi

Norme redazionali

5

7

15

25

31

40

50

SYMPOSIUM ODONTOIATRICO

QUADRIMESTRALE

DI INFORMAZIONE SCIENTIFICA

www.symposiumodontoiatrico.it

REGISTRAZIONE

Tribunale di Roma N.305 del settembre 2009

DIREZIONE SCIENTIFICA

Dott. Andrea Possenti

COMITATO SCIENTIFICO

Prof. Emilio Govoni

Prof. Emanuela Ortolani

Prof. Luca Testarelli

Prof. Vincenzo Rocchetti

Prof. Roberto Di Giorgio

Prof. Pietro Vettese

Prof. Vincenzo Bucci Sabatini

COMITATO DI REDAZIONE

Dott. Luigi Genzano

Dott.Cristiano Grandi

Dott. Maurizio Fabi

DIRETTORE RESPONSABILE

Area Scientifica: dott. Donato Di Iorio

Area Clinica: dott. Paolo Pianta

DIREZIONE EDITORIALE

Dr. Mihaela Roman

COORDINAMENTO EDITORIALE

Paolo Andrisani

REDAZIONE, PUBBLICITA’ E ABBONAMENTI

Dr. Cristiana Roman

[email protected]

tel./fax. 0761.422575

cell.: 3926784682

EDITORE

BEST MICRO S.R.L.

Via Marconi 49E, 01018 Valentano (VT)

tel./fax. 0761.422575

STAMPA

Tipografia Artigiana-Roma

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Tempi di crisi, tempi bui, cupi come una volta dicevano i nostri geni-tori e anche l’odontoiatria risente pesantemente di questa situazionegenerale.

La ricetta o la bacchetta magica per uscirne non sono ancora disponibili,ma la nostra categoria come si è attrezzata per difendersi? Negli ultimianni si è visto il proliferare di agenzie viaggio per voli in “paradisi” odon-toiatrici a basso costo dove tutt’ora vengono garantite cure rapide (dove èfinito il tempo di guarigione biologico), professionalità e soprattutto unnotevole risparmio economico. Come se non bastasse, l’odontoiatria lowcost l’abbiamo importata (vedi Vitaldent dalla Spagna) determinando quin-di un ulteriore corsa al ribasso delle tariffe, con buona pace di quelli chechiedono la liberalizzazione delle stesse ed abolizione dei minimi.Ma forse è proprio qui il punto: dove vogliamo portare l’odontoiatria?Il livello qualitativo dei nostri operatori e delle nostre attrezzature aveva

ed ha raggiunto livelli di eccellenza riconosciuti in tutto il mondo, adessoè vero, siamo in crisi economica ma non dobbiamo svendere la nostra pro-fessione.Giorni fa ascoltavo alla radio la pubblicità di una di queste catene low

cost, ormai sono come dei supermercati, pubblicizzare l’ablazione tartaroa NOVE euro. Considerati i costi di gestione di uno studio, la professiona-lità dell’operatore, il tempo (45 minuti necessario per una corretta e scru-polosa operazione) e non ultimo il carico fiscale mi chiedo: cui prodest ? (achi giova tutto ciò).In questo modo nel tempo abbasseremo sempre più la qualità delle

nostre prestazioni esponendoci anche a più elevati rischi legali e determi-nando una discesa verso il basso della nostra categoria.

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2011

editoriale

“Tempo di crisi”

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2011

analisi in Vitro sulla

Precisione delle

tecniche di imPronta

in imPlantoProtesi

Antonio Castriotta, Bruna Sinjari, Donato Di Iorio, Giovanna Murmura

Dipartimento Di Scienze O rali, Nano E Biotecno logie

Università Degli Studi G . d’Annunzio di Chieti – Pescara, Chieti

Direttore Prof. Sergio Caputi

Scienza

INTRODUZIONE

L’impronta in implantoprotesi costituisce una tappa

fondamentale nel trasferimento della situazione clinica

al laboratorio, in quanto è intesa come rilevamento del-

la posizione tridimensionale della/e fixture dell’arcata di

riferimento. Le variabili in gioco per ottenere un model-

lo realmente analogo alla situazione clinica sono:

1. materiali e tecniche per il rilevamento delle

impronte;

2. componentistica adeguata alle sistematiche implan-

tari (transfer, analoghi da laboratorio)

3. materiali e tecniche per lo sviluppo dei modelli.

I materiali da impronta dovrebbero possedere i

seguenti requisiti:

1. Biocompatibilita’: è auspicabile che i materiali da

impronta non siano tossici. Da questo punto di vista i

materiali che sfruttano come componenti sostanze

RiassuntoL’impronta costituisce una tappa fondamentale del trattamento pro-tesico e la tecnica con cui essa viene rilevata rappresenta una dellevariabili che determinano la precisione del manufatto protesico. Loscopo del presente lavoro è una valutazione in vitro sulla precisionedelle seguenti tecniche d’impronta:1. tecnica closed tray2. tecnica open-tray 3. tecnica open tray splintataPer il presente lavoro è stato costruito un modello sperimentale diriferimento in metallo sul quale sono stati inseriti 6 impianti. Sul modello sperimentale sono state rilevate cinque impronte conciascuna delle seguenti tecniche per un totale di 15 impronte divisein tre gruppi:Gruppo 1. tecnica closed trayGruppo 2. tecnica open-tray Gruppo 3. tecnica open tray splintataSuccessivamente dalle impronte sono stati ricavati i modelli di lavoroe si è proceduto alla costruzione delle barre di Ackermann.Ciascuna barra è stata poi posizionata sul modello sperimentale diriferimento e si è proceduto alla valutazione della precisione median-te l’utilizzo dei seguenti parametri:1. presenza di basculamento prima del fissaggio con le viti2. presenza di gap marginale Il basculamento era assente nelle barre ottenute mediante tecnicaopen tray splintata, mentre quattro barre realizzate mediante la tec-nica closed tray e due di quelle ottenute mediante tecnica open traypresentavano basculamento. Relativamente alla precisione marginale, le misurazioni hanno fornitoi seguenti valori medi di gap marginale: tecnica closed tray 226.800 ±48.391; tecnica open-tray 218.600 ± 50.053 µ m; tecnica open traysplintata 99.600 ± 27.763 µ m.Dal presente studio si evince che l’utilizzo della tecnica open tray con-duce a risultati soddisfacenti sotto il profilo clinico e tecnologico. Sievince, inoltre, che c’è maggior precisione a carico dell’impronta suimpianti con tecnica splintata rispetto alla tecnica non splintata.

Parole Chiave: Impianti; Impronta; Precisione

AbstractImpression represent a crucial step in prosthodontic; also, the techni-que used to make an impression can determine the precision of thefinal restoration. The aim of the present research is an in vitro eva-luation on the precision of the following impression techniques:1. closed tray technique;2. open tray technique;3. splinted open tray techniqueAn aluminium master model with 6 implants was prepared for thepresent study and 5 impressions per each of the following techniqueswere taken:Group 1. closed tray technique;Group 2. open tray technique;Group 3. splinted open tray techniqueWith a total of 15 impressions divided into three groups.Afterwards, master models have been poured and Akermann’s barshave been realized.Each bar was positioned on the aluminium master model and preci-sion was evaluated considering the following parameters:1. presence of tilting before screw tightening;2. presence of a marginal gapTilting was absent in bars prepared with splinted open tray technique,while it was recorded in four bars prepared using closed tray techni-que and two bars prepared with open tray techniqueAs regards marginal precision, following mean values of marginal gaphave been measured: closed tray technique 226.800 ± 48.391; open-tray technique 218.600 ± 50.053 µ m; splinted open tray technique99.600 ± 27.763 µ mFrom the present study it is possible to state that the open tray tech-nique provides a clinical and technological satisfactory outcome. Also,it is possible to state that splinted technique produces a more preci-se results compared to non-splinted technique.

Key Words: Implants; Impression; Precision

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naturali, come ad esempio gli idrocolloidi o gli algianti

che garantiscono una elevata sicureza.

2. Stabilita’ Dimensionale: si definisce stabilità dimen-

sionale la capacità dell’impronta di rimanere inalterata

da un punto di vista volumetrico, dopo la rimozione dal

cavo orale. Essa è influenzata :

• dal tipo di reazione di presa

• dal coefficiente di espanssione termica

• dallo spessore del materiale che circonda

le strutture anatomiche

• dall´uniformità dello spessore del matreiale attorno

alle preparazioni

3. Accuratezza Dimensionale: si definisce accuratezza

dimensionale la capacita di un materiale per impronta di

garantire dopo lo sviluppo che il modello sia quanto piu

fedele possibile all´originale.

4. Precisione: viene spesso definita come la capacita

di riprodurre il dettaglio.

5. Resistenza Allo Strappo: con resistenza allo strap-

po si intende la capacita di un materiale di essere estrat-

to dal cavo orale del paziente senza subire danni.

6. Tissotropia: si definisce la capacita di una sostanza

di diventare piu fluida se sottoposta ad una forza di tipo

compressivo.

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2011

Fig. 1: tecnica open tray

non splintata in un caso di

riabilitazione con

overdenture supportata da

quattro impianti. (A)

cucchiaio individuale in

resina. (B)

funzionalizzazione del

cucchiaio mediante pasta

termoplastica; quest’ultima

fase si è resa necessaria in

quanto in questo caso il

modello di lavoro serviva

per la realizzazione sia della

barra, sia della base

protesica. (C-D)

inserimento dei transfer da

impronta sugli impianti. (E-

F) prova del cucchiaio. (G)

impronta rilevata in

polisolfuro. (H) particolare

dei transfer inglobati nel

materiale da impronta.

1

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7. Bagnabilita’: si definisce la capacita di una sostanza

chimica di bagnare la superficie con cui viene a contat-

to.

8. Tempi Di Lavoro clinicamente soddisfacienti.

Sono stati proposti vari sistemi di classificazione dei

materiali da impronta. Un sistema molto impiegato li

suddivide in elastici e non elastici o rigidi,a seconda che

siano elastici o meno dopo l’indurimento dell’impronta

nella cavità orale. Facendo riferimento a questa classifi-

cazione i materiali da impronta più importanti e diffusi

sono quelli elastici che, col trascorrere del tempo, han-

no quasi completamente sostituito quelli non elastici

per la maggior parte degli impieghi.

A) MATERIALI DA IMPRONTA NON ELASTICI

1) gesso da impronta o gesso di Parigi

2) paste termoplastiche da impronta

3) paste all’ossido di zinco

4) cere da impronta

B) MATERIALI DA IMPRONTA ELASTICI

1) IDROCOLLOIDI

a) reversibili (agar)

b) irreversibili (alginato)

2) ELASTOMERI

a) Gomme al polisolfuro

b) Gomme siliconiche a polimerizzazione

per condensazione

c) Gomme siliconiche a polimerizzazione

per addizione

d) Gomme polietere

In implantoprotesi si utilizzano gli elastomeri, ed in

particolare in letteratura si riporta che i siliconi ed i

polieteri permettono di ottenere i risultati migliori.

GOMME SILICONICHE DA IMPRONTA

I siliconi sono macromolecole costituite da una cate-

na di atomi di ossigeno alternati con atomi di silicio, nel-

la quale le due valenze libere del silicio sono legate con

gruppi organici diversi.

Le proprietà del polimero dipendono dalla natura del

radicale organico legato al silicio. La stabilità del legame

-Si-O-Si- garantisce ai siliconi una elevata stabilità.

POLIETERI

Sviluppati in Germania a cavallo degli anni ´60, que-

sti materiali sono rimasti pressochè invariati per quanto

riguarda la formulazione chimica, mentre sono state

introdotte numerose modificazioni per quanto riguarda

la consistenza. Chimicamente è un polimero a base di

polietere, vulcanizzato tramite di anelli iziridinici.

Questi materiali si presentano in una o due viscosità

(media o media e bassa).

Pasta base

E’ costituita da:

• un polietere ramificato a basso peso molecolare

le cui le molecole sono caratterizzate dalla presenza di

gruppi terminali reattivi;

• sostanze di riempimento (silice);

• plastificante.

Pasta reagente

E’ costituita da:

• un estere aromatico solfonato

(dove X è un gruppo alchilico);

• sostanze di riempimento (silice);

• plastificante.

Mescolando insieme le due paste si ha la formazione

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Fig. 2: modello sperimentale

in metallo con sei impianti

2

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di legami intermolecolari tra le

molecole di polietere, grazie ad una

polimerizzazione cationica attraver-

so gli anelli terminali, dovuta all’azio-

ne del solfonato, senza formazione

di prodotti secondari e, quindi, sen-

za variazioni dimensionali apprezza-

bili.

TECNICHE DI IMPRONTA IN

IMPLANTOPROTESI

Metodica Closed Tray

(o A Strappo)

Si posizionano sulle fixture i rela-

tivi transfer e poi viene rilevata l’im-

pronta con un cucchiaio standard o

con un portaimpronte individuale.

In questo caso con il portaimpron-

te individuale si riescono a ottenere

spessore ideale di materiale, un

portaimpronte che meglio si adatta

alle forme anatomiche e quindi un’

informazione molto più precisa.

Successivamente vengono posizio-

nati gli analoghi sui transfer e il tut-

to inviato al laboratorio. Anche

questa tecnica puo comportare del-

le imprecisioni come: il moncone

può non trovare una posizione defi-

nitiva (trasfer corti) o un intrappola-

mento di aria può impedirne il

completo riposizionamento (trasfer

lunghi e/o presenza di sottosqua-

dri). Questa metodica risulta con-

troindicata in presenza di evidenti

divergenze implantari o rispetto a

denti naturali.

Metodica Open Tray (o Pick - Up)

Questa tecnica neccessita di un

portaimpronte fenestrato in corri-

spondenza dell’ asse di emergenza

del trasfer posizionato sulla fixture.

Cosi viene rilevata la posizione tridi-

mensionale dell’impianto attraverso

un coping che rimane solidale con

l’impronta quando essa viene

rimossa dal cavo orale (fig. 1).

E’ stata introdotta anche una

variante, detta tecnica pick-up splin-

tata. In questa variante i coping ven-

gono splintati in modo rigido tra di

loro o al cucchiaio individuale in

modo da avere una registrazione di

posizione degli impianti più affidabi-

le e un minor rischio di dislocamen-

to dei trasfer durante l’avvitamento

degli analoghi. Nel caso di impianti

singoli si fissa la superficie esterna

del coping al portaimpronta indivi-

duale con della resina a freddo

dopo che è avvenuto l’indurimento

del materiale da impronta. Si deve

rimuovere l’eccesso di materiale da

impronta che fuoriesce dalla fene-

stratura durante la fase plastica di

indurimento, liberando i bordi in

resina della finestra in modo da

poter colare successivamente la

resina intorno alla testa del trasfer e

sul cucchiaio individuale. In caso di

almeno due impianti, la possibilita è

quella di solidarizzare i coping tra di

loro con del filo interdentale o con

del filo metallico da legatura orto-

dontica, in modo da formare uno

scheletro passivo su cui depositare

della resina di precisione che bloc-

cherà i dispositivi di trasferimento

tra di loro. La presa dell’ impronta

avverrà successivamente in maniera

invariata. Alcuni autori sostengono

l’eventualità di imprecisioni dovute

alla contrazione dimensionale della

resina durante il suo indurimento,

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Fig. 3: rilievo delle impronte

con tecnica closed tray

3

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che potrebbe influire sulla precisio-

ne di posizione dei coping. Non esi-

stono sicure evidenze scentifiche

che testimoniano la superiorità di

una tecnica rispetto all’altra o

rispetto alla tecnica di riposiziona-

mento, che di conseguenza posso-

no essere considerate clinicamente

sovrapponibili.

Lo scopo del presente lavoro è

una valutazione in vitro sulla preci-

sione delle seguenti tecniche d’im-

pronta:

1. tecnica closed tray

2. tecnica open-tray

3. tecnica open tray splintata

MATERIALI E METODI

Per il presente lavoro è stato

costruito un modello sperimentale

di riferimento in metallo allo scopo

di riprodurre l’arcata mandibolare

edentula sul quale sono stati inseri-

ti 6 impianti paralleli tra loro in posi-

zione 33;34;36;43;44;46 (fig. 2).

Sono stati utilizzati impianti da

4,1 mm di diametro (3i Implant

Innovations, Inc. Palm Beach

Gardens, FL) a connessione inter-

na.Ogni impianto possedeva il pro-

prio abutment.

Sul modello sperimentale sono

state rilevate cinque impronte con

ciascuna delle seguenti tecniche per

un totale di 15 impronte divise in

tre gruppi (fig. 3):

Gruppo 1. tecnica closed tray

Gruppo 2. tecnica open-tray

Gruppo 3. tecnica open tray

splintata

Successivamente le impronte

sono state colate con del gesso di

tipo IV e si è proceduto alla costru-

zione delle barre di ackermann (fig

4).

Ciascuna barra è stata poi posi-

zionata sul modello sperimentale di

riferimento e si è proceduto alla

valutazione della precisione

mediante l’utilizzo dei seguenti

parametri:

1. presenza di basculamento pri-

ma del fissaggio con le viti

2. presenza di gap marginale

RISULTATI

Quattro delle cinque barre realiz-

zate sui modelli ottenuti mediante

la tecnica closed tray e due di quel-

le ottenute mediante tecnica open

tray presentavano basculamento,

mentre questo era essente in tutte

le barre ottenute mediante tecnica

open tray splintata (tab 1).

Relativamente alla precisione margi-

nale (fig. 5), le misurazioni condotte

al microscopio ottico hanno fornito

i seguenti valori medi di gap margi-

nale: Gruppo 1. tecnica closed tray

226.800 ± 48.391 µ m (Media ±

Dev. St); Gruppo 2. tecnica open-

tray 218.600 ± 50.053 µ m (Media

± Dev. St); Gruppo 3. tecnica open

tray splintata 99.600 ± 27.763 µ m

(Media ± Dev. St) (tab 2)

DISCUSSIONE DIFFERENZE TRA

LE VARIE TECNICHE

L’obiettivo di questo studio è di

valutare la precisione delle impronte

su impianti usando differenti tecni-

che da impronta. Oltre alle tecniche

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2011

Fig. 4: realizzazione di una

barra sperimentale

4

Page 10: Symposiumodontoiatrico_Numero_07

e i materiali bisogna prestare attenzione a vari fattori cli-

nici che possono influenzare la precisione dell’impronta.

E’ stata fatta una ricerca bibliografica e sono stati sele-

zionati quegli articoli in cui si sono messe a confronto le

diverse tecniche da impronta e i diversi materiali.

La maggior parte degli studi trovati confronta la tec-

nica indiretta (pick-up) con la tecnica di riposizionamen-

to (transfer) e la tecnica splintata con la tecnica non

splintata.

Per quanto riguarda i materiali da impronta sono sta-

ti messi a confronto quelli più utilizzati,cioè i polieteri e

polivinilsilossani.

TECNICA CLOSED TRAY VS TECNICA OPEN TRAY

La tecnica closed tray utilizza degli abutment

(copings) conici senza sottosquadri e un cucchiaio non

forato del commercio per prendere l’impronta. Gli

abutment vengono posizionati tramite una connessio-

ne sull’impianto, poi viene presa un’impronta e sfilata

dalla bocca, lasciando gli abutment sugli impianti. Gli

abutment vengono rimossi e connessi con gli analoghi

degli impianti. Dopo l’analogo e l’abutment assieme

vengono reinseriti nell’impronta prima di fare il model-

lo definitivo.

Invece l’impronta open tray utilizza dei transfer con

sottosquadri e un cucchiaio forato (un cucchiaio con

un’apertura) che consente alle teste dei transfer con le

relative viti di fuoriuscire dall’apertura del cucchiaio.

Prima di essere separari dagli impianti, i transfer vengo-

no svitati per essere rimossi assieme all’impronta. Gli

analoghi vengono connessi ai transfer per preparare il

modello definitivo.

In relazione a queste 2 tecniche ci sono 14 studi

che le mettono a confronto: 5 hanno dimostrato che

è piu’ precisa la tecnica pick-up, 2 hanno preferito la

tecnica closed tray e 7 dicevano che non c’è nessuna

differenza.

TECNICA SPLINTATA VS TECNICA

NON-SPLINTATA

Il principio della tecnica SPLINTATA è quello di

connettere tutti i transfer assieme usando un materia-

le rigido che previene gli spostamenti accidentali

durante le procedure di impronta. Si utilizzano dei

dispositivi come il filo interdentale o il filo metallico

per ortodonzia, che passino a ponte tra i transfer

stessi, a formare un telaio che sostenga la resina che

si utilizza per splintarli. Si impiega un cucchiaio indivi-

duale opportunamente forato, lo si prova in bocca

per assicurarsi che le teste dei transfer con le relative

viti fuoriescano dall’apertura del cucchiaio e poi si rile-

va l’impronta. Rimossa l’impronta, ci ritroveremo i

transfer inglobati nell’impronta, i quali verranno colle-

gati con gli analoghi.

La tecnica NON SPLINTATA utilizza sempre un cuc-

chiaio forato e i transfer non vengono uniti tra di loro

con resina. Si posiziona il transfer sull’impianto e si rile-

va l’impronta con cucchiaio individuale fenestrato. Si

toglie il materiale in eccesso sulle viti che fuoriescono

dall’impronta e si aggiunge della resina proprio per soli-

darizzare al massimo i transfer con l’impronta. A induri-

mento avvenuto si svitano le viti passanti e si rimuove

l’impronta portando con se anche i transfer, i quali ver-

ranno collegati con gli analoghi.

CONCLUSIONI

Dal presente studio si evince che l’utilizzo della tecni-

ca open tray conduce a risultati soddisfacenti sotto il

profilo clinico e tecnologico. Si evince, inoltre, che c’è

maggior precisione a carico dell’impronta su impianti

con tecnica splintata rispetto alla tecnica non splintata e

questo dato è in accordo con la letteratura.

12DICEMBRE

2011

5

Fig. 5: misurazione del gap

marginale al microscopio

ottico

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BIBLIOGRAFIA

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13DICEMBRE

2011

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INTRODUZIONE

La ricerca di un approccio ottimale per l’avulsione

dei terzi molari ha un’importanza rilevante. I terzi mola-

ri infatti, presenti nel 90% della popolazione, risultano

in condizioni di inclusione nel 33% dei casi_.

L’inclusione è probabilmente il risultato di fattori gene-

tici e patologici. Molto patologie sono collegate alla

situazione di inclusione dei terzi molari e per questa

ragione che l’avulsione di questi elementi risulta essere

una pratica frequente per l’odontoiatra.

Le manovre finalizzate all’estrazione dei molari inclu-

si interessano sia i tessuti molli che i tessuti duri. In con-

seguenza di ciò è frequente che i pazienti sottoposti a

questo tipo di intervento presentino dolore post-ope-

ratorio, edema e trisma. Numerosi studi si sono con-

centrati sull’analizzare la prevalenza, il tipo di inlcusione

(dandone una classificazione), tecniche chirurgiche fina-

lizzate alla rimozione e la sintomatologia pre e post-

operatoria._

L’allestimento del lembo e l’osteotomia necessarie

all’avulsione degli elementi¹ sono associate a numero-

se complicazioni_. Risulta evidente come la ricerca di

una tecnica chirurgica appropriata sia di fondamentale

importanza sia ai fini di ridurre i rischi durante l’inter-

vento sia nel permettere al paziente un miglior decor-

so post-operatorio.

La scelta del tipo di lembo da eseguire durante l’in-

tervento rappresenta una importante variabile dalla

quale dipendono sia la buona riuscita dell’intervento sia

la riduzione del disconfort e delle possibili conseguen-

ze negative a carico del parodonto degli elementi adia-

centi al terzo molare.

15DICEMBRE

2011

razionale

dell’utilizzo dei

lembi di accesso

nella chirurgia

degli ottaVi inclusi

inferiori.

A. Borgonovo*, A. Panigalli**, E. Larovere**, P. Rosa **, A. Bianchi**

*Prof. A .C . Scuo la di specialità di chirurgia odontostomato logica, Università degli studi

di Milano , clinica odonto iatrica IRCCS Fondazione Po liclinico O pedale Maggiore Ca’

Granda.

**Medico frequentatore clinica odonto iatrica IRCCS Fondazione Po liclinico O pedale

Maggiore Ca’ Granda.

Chirurgia

Abstract

L’estrazione chirurgica dei terzi molari inclusi rappre-

senta una manovra molto frequente nella pratica

quotidiana del chirurgo orale.

La tecnica chirurgica di estrazione dei denti del giu-

dizio può essere più o meno invasiva, a seconda del-

la posizione del dente e dei suoi rapporti con le

strutture anatomiche circostanti. Denti del giudizio

in inclusione superficiale, verticali o leggermente

mesioinclinati, possono essere estratti senza grandi

difficoltà. In altri casi come in presenza di elementi

distoinclinati e in inclusione ossea profonda risulta

fondamentale garantire un accesso chirugico ade-

guato al fine di garantire una più agevole esecuzione

delle manovre operatorie.

Risulta evidente come l’incisione chirurgica, ed in

particolare il suo disegno, debba essere eseguita in

modo da garantire all’operatore una completa e

sicura visualizzazione dell’intera area operatoria.

Inoltre, l’allestimento del lembo chirurgico, deve

garantire il più possibile la riduzione del discomfort

post-operatorio per il paziente e le possibile conse-

guenze negative a carico degli elementi adiacenti

all’area operatoria.

Gli autori intendono analizzare i diversi disegni di

lembo proposti dalla letteratura prestando partico-

lare attenzione alle indicazione dell’utilizzo di ciascu-

no di questi in relazione alle peculiarità di ciascuno

di questi per quanto concerne il decorso post-ope-

ratorio e le conseguenze parodontali.

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16DICEMBRE

2011

Il disegno del lembo deve poter consentire l’accesso

visivo e strumentale all’elemento, preservare il più pos-

sibile le strutture nobili circostanti come l’arteria faccia-

le, il nervo linguale e lo spazio laterofaringeo ed infine,

consentire una sutura corretta ed agevole garantendo

una buona guarigione.

La scelta del lembo d’accesso è determinata dalla

profondità dell’inclusione e dalla posizione del terzo

molare. Risulta evidente che nei casi più complicati sia

necessario eseguire un lembo che garantisca un acces-

so maggiore.

Per l’avulsione degli ottavi inferiori vengono utilizzati

lembi mucoperiostei a spessore totale ed il disegno del

lembo può essere principalmente di tre tipi: marginale

o paramarginale, triangolare o trapezioidale. Ognuno di

questi disegni presenta delle indicazioni specifiche di

utilizzo.

LEMBI D’ACCESSO

LEMBO MARGINALE

Questo lembo prevede una incisione intrasulculare a

livello del settimo ed un’incisione distale di scarico che,

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17DICEMBRE

2011

partendo dalla metà distale del settimo, si dirige in dire-

zione distale e vestibolare. In alcuni casi (meno com-

plessi) questo lembo può essere eseguito senza l’inci-

sione di scarico distale. Inoltre la lunghezza del lembo

ed il numero di elementi coinvolti dipendono dalla

quantità di esposizione necessaria.

Questo tipo di lembo è considerato il più comune

approccio per l’avulsione dei terzi molari inferiori_ e

presenta numerosi vantaggi. Garantisce una buona visi-

bilità durante le fasi operatorie ed in caso si renda

necessario da la possibilità di estendere l’incisione sul-

culare al fine di aumentare l’esposizione dell’area ope-

ratoria. Inoltre l’assenza di incisione di scarico verticali

e la limitata estenzione del lembo garantiscono un

vascolarizzazione ottimale del lembo.

Nonostante la limitata estensione del lembo, il

decorso post operatorio risulta essere peggiore in

pazienti sottoposti ad avulsione con l’utilizzo di questa

tecnica. I pazienti presentano spesso trisma ed una

maggiore sintomatologia algica. Anche il rischio di dei-

scenza della ferita chirurgica risulta superiore in quanto

la passivazione di questo tipo di lembo è più difficolto-

sa da eseguire. Anche il danno parodontale provocato

agli elementi subito adiacenti all’ara dell’intervento

sembra essere superiore con l’utilizzo di questo lem-

bo._

L’allestimento di un lembo mucoperiosteo può

influire sul parodonto. L’aumentata attività degli osteo-

clasti successiva all’incisione può portare ad un riassor-

bimento osseo, l’incisione intrasulculare può interferire

con il legamento parodontale e quindi compromettere

lo stato di salute parodontale.5Per questa ragione Szmyd propose un l’utilizzo di un

lembo a busta modificato. In questa nuovo approccio

l’incisione intrasulculare a livello del secondo molare

veniva sostituita da un’incisione di tipo paramarginale al

fine di preservare l’attacco parodontale e quindi ridur-

re il riassorbimento osseo._

LEMBO TRIANGOLARE

Questo lembo di accesso associa ad un incisione

distale di scarico simile a quella del lembo a busta una

seconda incisione di svincolo che, partendo dal margi-

ne disto-vestibolare del settimo si dirige verso la linea

di giunzione mucogengivale con una nclinazione di cir-

ca 45°. Viene quindi praticata una terza incisione intra-

sulculare distale, estesa fino all’angolo disto-linguale che

permette lo scollamento del lembo anche sul versante

linguale rendendo possibile la protezione del nervo lin-

guale.

La presenza di una seconda incisione di svincolo

vestibolare facilita lo scollamento aumentandone la

possibilità di retrazione. Questo, come ovvio, permet-

te, rispetto al lembo a busta, di ottenere una maggiore

esposizione dell’osso alveolare aumentando l’accessibi-

lità visiva e strumentale. Risulta evidente come questo

tipo di vantaggio permetta di utilizzare questo disegno

in casi più complessi. La maggiore estensione del lem-

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bo con la presenza dell’incisione di svincolo, permette

un migliore drenaggio della ferita chirurgica riducendo

così l’edema post-operatorio.

La sutura ed il corretto posizionamento del lembo

risultano meno agevoli che con l’utilizzo di un lembo

marginale aumentando la durata delle fasi di sutura e

quindi dell’intervento. Inoltre la presenza dell’incisione

di scarico vestibolare può aumentare il rischio di decu-

bito dell’incisione sull’area dell’osteotomia.

LEMBO TRAPEZIOIDALE

Questo lembo d’accesso prevede l’esecuzione di

una incisione intrasulculare a livello del settimo (esten-

dibile anche al sesto) associata a due incisioni di scari-

co. La prima diretta distalmente come nel disegno dei

due precedenti lembi d’accesso e la seconda che dal

margine mesio-vestibolare del settimo (o disto-vesti-

bolare del sesto) si dirige in direzione mesiale.

La maggiore esposizione dell’area operatoria e lo

scollamento più agevole del lembo, rendono questo

tipo di approccio ideale per i casi più complessi.

La sua estensione elevata aumenta però il rischio di18DICEMBRE

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19DICEMBRE

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riassorbimento osseo legato all’allestimento del lembo

ed il rischio di una maggiore retrazione gengivale e per-

dita di attaco parodontale._

Il riposizionamento e la sutura di questo tipo di lem-

bo richiedono un maggiore dispendio di tempo, pro-

lungato la durata dell’intervento.

DISCUSSIONE

L’allestimento di un lembo d’accesso finalizzato all’a-

vulsione di un terzo molare inferiore incluso può esse-

re associato a conseguenze sul parodonto dei denti

adiacenti. Non è infatti poco frequente rilevare un’au-

mento della profondità dei sondaggio (PPD) a carico

dei secondi molari adiacenti all’intervento.

Il disegno del lembo rappresenta di fondamentale

importanza al fine di ridurre le conseguenze dell’inter-

vento.

Numerosi studi si sono concentrati sull’analizzare

eventuali rapporti tra il disegno del lembo e le conse-

guenze sulla salute del parodonto.

Nel 1983 Stephens_ ha pubblicato i risultati di uno

studio splith mouth che valutava la salute parodontale

del secondo molare successivamente all’avulsione del

terzo molare utilizzando due tipi di lembo: marginale e

trapezioidale. Successivamente all’estrazione dei terzi

molari indipendentemente dal tipo di tecnica utilizzata,

si è registrato una notevole riduzione dello stato

infiammatorio del parodonto del secondo molare.

Nonostante ciò questo studio non ha evidenziato dif-

ferenze di sorta tra i due quadranti presi in esame, sug-

gerendo l’ipotesi che lo stato di salute del parodonto

non fosse in relazione con il tipo di lembo utilizzato. I

risultati di questo studio sono stati poi confermati da

studi successivi di Quee e Schoefield.__

Quee nel suo studio analizzò, oltre all’influenza del

disegno del lembo, anche quella dell’altezza della cre-

sta ossea distalmente al secondo molare. A sei mesi

dall’avulsione dei terzi molari, la perdita di attacco

distale al secondo molare non risultava essere in rela-

zione con l’altezza della cresta ossea. Questo dato,

insieme ai risultati relativi alle misurazione dell’attacco

in relazione al tipo di lembo, portò gli autori ad affer-

mare che in tutti i casi la rimozione dei terzi molari

inclusi conduce ad una inevitabile perdita di attacco a

carico dell’area distale al secondo molare e che questa

perdita avviene indipendentemente dal tipo di lembo

utilizzato e dall’altezza della cresta ossea.

In un recente studio_ sono state confrontati due tipi

di lembo d’accesso a busta (marginale e paramargina-

le) in termini di guarigione della ferita, PPD a carico del

secondo molare, sintomatologia algica post-operatoria,

trisma ed edema. i risultati hanno evidenziato una

migliore guarigione a breve termine (5 giorni) nei

pazienti in cui veniva utilizzato un lembo paramargina-

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2011

le. Nonostante questa iniziale differenza, però, l’utilizzo

dei due tipi di lembo non hanno reso apprezzabili van-

taggi o svantaggi in termini di riduzione

dell’edema, del trisma e del dolore post-operatorio.

Il disegno del lembo può invece influenzare la guari-

gione primaria della ferita chirurgica._

E’ importante sottolineare come il dolore e l’edema

post-operatorio siano eventi molto frequenti in pazien-

ti sottoposti a questo tipo di intervento, rappresentan-

do un importante motivo di discomfort. I fattori che

concorrono a causare il dolore pos-operatorio e l’ede-

ma sono molteplici e sono da porre in relazione con il

processo infiammatorio che si innesca successivamente

al trauma chirurgico. Uno dei fattori che maggiormen-

te contribuisce ad influire su dolore ed edema è la gua-

rigione della ferita chirurgica. Una guarigione di prima

intenzione si verifica quando la ferita chirurgica viene

suturata permettendo la giustapposizione dei margini

del lembo. Questi, combaciando perfettamente garan-

tiscono la chiusura ermetica dell’alveolo post-estrattivo,

precludendo qualsiasi tipo di comunicazione con l’e-

sterno.

La guarigione di seconda intenzione, invece, i lembo

i margini non vengono fatti collimare. ma viene lasciata

una possibilità di comunicazione tra l’alveolo post-

estrattivo e l’esterno. Questo consente il drenaggio dei

prodotti del processo infiammatorio.

Come evidenziato da Danda et al_ in un recente

Page 19: Symposiumodontoiatrico_Numero_07

studio (JOMS 2010) una guarigione di seconda inten-

zione sembra poter ridurre il discomfort post-operato-

rio dei pazienti sottoposti ad avulsione di terzi molari

inclusi. I risultati di questo studio Split-mouth esguito su

un campione di 93 pazienti hanno mostrato una diffe-

renza significativa dell’estensione dell’edema, che risul-

tava, a distanza di 7 giorni, mediamente superiore nel

gruppo 1 (chiusura di prima intenzione). Anche l’entità

del dolore post-operatorio registrata al settimo giorno

di guarigione era superiore nel gruppo 1.

Alla luce di questi dati è evidente come, al fine di

garantire un decorso post-operatorio migliore, sia da

preferire una guarigione di seconda intenzione.

Evitando di far collimare i lembi si garantisce la possi-

biltà di drenaggio della ferita e quindi la riduzione del-

l’edema e della sintomatologia algica.

CONCLUSIONI

L’avulsione dei terzi molari inclusi può condurre a

conseguenze a carico del parodonto del secondo

molare. Il disegno del lembo d’accesso influenza la gua-

rigione della ferita chirurgica e per questa ragione la sua

scelta risulta importante ma sembra non avere conse-

guenze rilevanti sulla salute parodontale del secondo

molare.

La presenza di questo tipo di conseguenze sembra

quindi non essere in relazione alla tecnica chirurgica,

bensì la conseguenza di processi diffe-

renti.

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25DICEMBRE

2011

"la diagnosi

stomatologica nelle

malattie di confine:

la neVralgia del

glossofaringeo”

Fabio Luciani**, Paolo Piva**, Fabiana Muzzi***

Francesco N. Bartuli*, Claudio Arcuri****

*Professore a Contratto , Settore Disciplinare Med/28, Faco ltà di Medicina e Chirurgia,

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” - Cattedra di Parodonto logia;

**U.O .C . di O dontostomato logia, Servizio di Chirurgia O dontostomato logica

O spedale “S. G iovanni Calibita – Fatebenefratelli” – Iso la T iberina, Roma;

***U.O .C . di O dontostomato logia, Servizio di Gnato logia C linica O spedale

“S. G iovanni Calibita – Fatebenefratelli” – Iso la T iberina, Roma;

*** Professore O rdinario , T ito lare dell’Insegnamento di Parodonto logia C .L.S.O .P.D -

Università di Roma “Tor Vergata”, Direttore U.O .C . O dontostomato logia, O spedale

“San G iovanni Calibita – Fatebenefratelli” - Iso la T iberina, Roma.

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”,

U.O .C . di O dontostomato logia - Cattedra di Parodonto logia;

O spedale “S. G iovanni Calibita Fatebenefratelli” - Iso la T iberina

Direttore: Prof. C laudio A rcuri

Medicina

Riassunto

La nevralgia del glossofaringeo è una sindrome,

osservata per la prima volta nel 1910 da Theodore

H. Weisenburg, che ha descritto la malattia come

“un dolore lancinante al collo e all'orecchio”.

Le malattie nevralgiche del IX paio di nervi cranici

possono essere classificati in due diverse forme clini-

che: Nevralgia Major e Nevralgia Minor. La sua ezio-

patogenesi non è nota, ma dovrebbe essere attribui-

ta ad una compressione vascolare. La diagnosi della

forma essenziale avviene grazie al riconoscimento e

alla localizzazione del dolore, esplosivo e provocato

da improvvisa stimolazione dei punti trigger.

Parole Chiave

Nevralgia del Glossofaringeo, Zone Grilletto, RMN

Abstract

Glossopharyngeal neuralgia is a syndrome observed

for the first time in 1910 by Theodore H.

Weisenburg, who described the disease as "a sharp

pain in the neck and ear."

Disease neuralgia of the ninth cranial nerve can be

classified into two different clinical forms: Neuralgia

Neuralgia Minor and Major. Its etiology is unknown,

but should be attributed to a vascular compression.

The diagnosis of essential form is due to the recogni-

tion and location of pain, caused by sudden and

explosive stimulation of trigger points.

Key Words

Glossopharyngeal neuralgia, Trigger Point, RMN

INTRODUZIONE

La nevralgia del glossofaringeo è una sindrome, osser-

vata per la prima volta nel 1910 da Theodore H.

Weisenburg, che ha descritto la malattia come “un

dolore lancinante al collo e all'orecchio”. Nel

1926, Wilfred Harris ha coniato il termine 'glos-

sopharyngeal nevralgia' che lo differenzia nettamente

dalla nevralgia del trigemino 1. Il nervo glossofaringeo, o

IX paio di nervi cranici, è una piccola radice nervosa,

che ha il suo nucleo originario nel romboencefalus, che

si trova in profondità nel collo e ha le proprie efferen-

ze a livello del midollo lateralmente, appena rostralmen-

te al nervo vago (Fig. 1). Le fibre nervose del glossofa-

ringeo portano la sensibilità generale dai due terzi della

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26DICEMBRE

2011

parte posteriore della lingua per il gusto, dalla faringe e

dal palato molle. Le sue fibre parasimpatiche innervano

la ghiandola parotide attraverso il ganglio otico, le ghian-

dole salivari minori e ghiandole sottomucose accessorie

della lingua e della faringe. Le fibre motorie somatiche

dello stilofaringe, innervano le fibre muscolari e la parte

superiore dei muscoli faringei 1,2.

DISCUSSIONE

Le malattie nevralgiche del IX paio di nervi cranici pos-

sono essere classificati in due diverse forme cliniche:

Nevralgia Major e Nevralgia Minor. La Nevralgia Major,

corrisponde alla forma essenziale, colpisce sia le donne

e gli uomini con più di 40 anni, ed in via eccezionale, gli

adolescenti. La sua eziopatogenesi non è nota, ma

dovrebbe essere attribuita ad una compressione vasco-

lare. In effetti, la compressione vascolare della radice del

nervo può causare demielinizzazione o, in alternativa,

una ripetitiva attivazione del recettore per l’N-metil-D-

recettore per l'acido aspartico e quindi una iper-eccita-

bilità nei neuroni centrali. Altre ipotesi riguardano malat-

tie dismetaboliche o forme legate a virus neurotropici,

ma purtroppo nessuna di queste ha conferme scientifi-

che valide. Le peculiarità del dolore sono caratterizzate

da improvviso dolore unilaterale, che non trova benefi-

cio dai comuni trattamenti antidolorifici 3. La durata del-

la crisi varia da alcuni secondi ad alcuni minuti, e porta

spesso il malato ad uno stato di ansia che lo condiziona

a prendere posizioni per trovare un po’ di sollievo.

La localizzazione preferenziale del dolore è la parte

posteriore e profonda parte della bocca e l'orofaringe,

il palato molle e la radice della lingua con irradiazione in

direzione delle orecchie e delle porzioni laterali e

posteriori del collo4. L'insorgenza di crisi può anche

essere provocata da stimoli fisiologici come la degluti-

zione, lo starnuto, la tosse, ma nella maggior parte dei

casi l'esordio è spontaneo, con fasi regolari o irregolari

in base al soggetto. La localizzazione dei punti trigger

sono in genere diverse posizioni della testa e del collo

come i pilastri tonsillari, la radice della lingua, le aree

esterne del padiglione auricolare, la mandibola e le zone

muscolari della regione ioidea del collo (Fig. 2). Molto

rara è l'associazione con sintomi cardiologici, come la

sincope, caratterizzata da bradicardia e ipotensione. La

possibile associazione tra sincope e GN potrebbe esse-

re legata alla stretta connessione tra il nervo vago e il

nervo glossofaringeo, che può favorire la creazione di

un riflesso vago-glossofaringeo5. L'altra forma di nevral-

gia è la nevralgia Minor, che è anche definita "nevralgia

sintomatica", perché comprende le forme secondarie a

Fig. 1: Origine Intracranica del IX Paio

dei Nervi Cranici

Fig. 2: Distribuzione del Territorio di

Innervazione del n. Glossofaringeo

Fig. 3: R.M. dell'ATM e dei territori

periauricolari

1

Page 25: Symposiumodontoiatrico_Numero_07

27DICEMBRE

2011

2

3

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28DICEMBRE

2011

malattie conosciute. La sintomatologia dolorosa è più

contenuta e le caratteristiche ne rendono facile la diffe-

renziazione con la forma essenziale. In realtà, non ci

sono legami con i gruppi di età, e può colpire indiscri-

minatamente uomini e donne, in qualsiasi momento

della vita. L’insorgenza della sintomatologia non è mai

improvvisa e violenta, ma progressiva. Il dolore è molto

meno violento, ma comunque invalidante, associato a

sensazioni urenti, con periodi di remissione, che spesso

non sono mai del tutto esenti da sintomi.

I punti trigger possono essere presenti, ma non sono

patognomonici come nella forma essenziale e possono

essere localizzati anche in aree atipiche. Fenomeni di

diffusione dolore possono essere visualizzati con altri

territori interessati con varie risposte che possono

includere anche spasmi farinngo-esofagei6.

In conformità con l'eziopatogenesi, la nevralgia sinto-

matica può essere classificata in:

- Nevralgia secondaria a malattie neoplastiche del

cervello;

- Nevralgia secondaria ad aneurisma vascolare;

- Nevralgia secondaria a malattie infiammatorie;

- Nevralgia secondaria alla sindrome di Bouquet, in

seguito a stati traumatici che coinvologono il fascio

muscolare di Riolano;

- Nevralgia secondaria alla sindrome di Eagle, per

ossificazione del legamento stiloioideo.

DIAGNOSI E TRATTAMENTO

La diagnosi della forma essenziale è molto semplice,

grazie al riconoscimento della localizzazione e delle

caratteristiche del dolore, che è esplosivo, provocato da

improvvisa stimolazione dei punti trigger. Nonostante

ciò, per la sua estrema rarità, la diagnosi della nevralgia

del glossofaringeo è spesso una diagnosi di esclusione

da altre malattie più frequenti. La Risonanza Magnetica

tridimensionale mostra che il contatto o la contiguità tra

i vasi sanguigni e il tessuto neurale non è visibilmente

differente nel lato sintomatico e non sintomatico, così

da escludere qualsiasi nesso di causalità coerente al

dolore7 (Fig. 3).

La nevralgia del glossofaringeo può beneficiare di

trattamenti medici e chirurgici.

Il trattamento medico può utilizzare la carbamazepi-

na o il gabapentin per i parossismi dolorosi. Altri farma-

ci utilizzati per la nevralgia del trigemino, come lamotri-

gina, l’acido valproico, il topiramato e piccole dosi,

potrebbero essere utilizzati anche se non ci sono pro-

ve scientifiche evidenti per nevralgia del glossofarin-

geo8.

Per i pazienti refrattari alla terapia medica, l'interven-

to chirurgico deve essere preso in considerazione come

alternativa. Le possibilità sono la rizotomia del glossofa-

ringeo e delle radici nervose superiori del nervo vago,

oppure una decompressione microvascolare.

Nella maggior parte dei casi il trattamento curativo è

la sezione intracranica della radice. Più

recentemente, la decompressione microvascolare è uti-

lizzata con risoluzione completa del dolore nel 76% dei

casi e sostanziale miglioramento in un ulteriore 16%9.

CONCLUSIONI

La nevralgia del glossofaringeo è una rara malattia

caratterizzata da dolore acuto localizzato in zone tipiche

nella forma essenziale, e in aree atipiche in quella secon-

daria. Nel forma major, la causa è spesso fraintesa, e

nella forma minor ci sono molte malattie che possono

provocare la sintomatologia. La diagnosi può essere dif-

ficile, non per le sue caratteristiche, ma per la sua rarità,

e per questo motivo, molti specialisti, dal neurologo

all’odontoiatra, possono essere coinvolti nel riconosci-

mento della patologia.

BIBLIOGRAFIA

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31DICEMBRE

2011

la cefalometria

3d tramite cbct

nella diagnosi

in ortodonzia

Valeria Calace, Alessandra Giordano, Angelica d’Addetta

Ortodonzia

Scopo del lavoro: Il nostro obiettivo è eseguire una reviewdella letteratura per valutare i vantaggi, i limiti e le indicazio-ni dell’impiego della cefalometria in 3D da radiogrammiottenuti con la tomografia computerizzata Cone-Beam(CBCT) nell’ortodonzia.Materiali e metodi: E’ stato analizzato materiale pubblicatoe non in ogni lingua tramite l’impiego di database generici especifici del settore odontoiatrico. Risultati: Dopo l’analisi dei titoli e degli abstract, sono statiidentificati 35 articoli. Conclusioni: La cefalometria 3D su immagini ottenute dascansioni tramite CBCT rispetto a quella tradizionale offreuna maggiore precisione nella localizzazione dei reperi.Considerando però la dose di radiazioni emessa, l’uso dellaCBCT non è raccomandabile nella pratica ortodontica diroutine.Parole chiave: Tomografia Computerizzata, Cone Beam,Cefalometria 3D, Diagnostica ortodontica, CBCT,Cefalometria.

Aim of the study: Our objective was to make a review ofthe literature to evaluate the advantages, the limits and theindications of the use of 3D cephalometry on CBCT scansin orthodontics.Methods: We searched published and unpublished mate-rial in any language by using general and specialist databa-ses; key orthodontic and dental journals were searched byhand. Results: By screening titles and abstracts, we identified 35articles. Conclusions: The 3D cephalometry in CBCT scans compa-red to 2D images allows an improved reliability in land-marks. Considering the radiation dose, the use of CBCT isnot recommended in routinely orthodontic practice.Key words: Computed Tomography, Cone Beam, 3DCephalometric analysis, OrthodonticDiagnosis,CBCT,Cephalometry.

INTRODUZIONE

L’analisi cefalometrica è uno dei fondamenti della dia-

gnosi ortodontica sebbene la bidimensionalità della

documentazione radiologica su cui si basa includa dei

limiti. Difatti le strutture umane tridimensionali vengono

proiettate su un singolo piano con conseguenti difficoltà

nell’esecuzione di un esame preciso. Inoltre l’immagine

radiografica può includere degli errori intrinseci legati

alla posizione del capo del paziente e/o alla fonte radio-

logica.

La tomografia computerizzata medica convenzionale

(CT) fu introdotta nel settore dell’ortodonzia al fine di

poter ottenere ricostruzioni tridimensionali più accura-

te e precise delle strutture cranio-facciali. La CT utilizza

un fascio di raggi X collimato che ruota attorno al

paziente con piccoli avanzamenti dopo ogni rotazione.

Il sistema sorgente-rilevatore compie una rotazione

intorno all’oggetto producendo una serie di immagini

2D elaborati poi da un software. Nelle ricostruzioni 3D

i piani vengono definiti tramite l’impiego di tre o quat-

tro punti di riferimento, a differenza dei tracciati 2D in

cui ne vengono impiegati due1 . I vantaggi sono nume-

rosi, fra questi vi è l’eliminazione della sovrapposizione

delle strutture bilaterali e degli artefatti e la possibilità di

valutare la porzione destra e sinistra del cranio indipen-

dentemente l’una dall’altra2,3. Infatti nelle radiografie

tradizionali la porzione del viso più vicina alla pellicola è

ingrandita rispetto alla porzione distante, determinando

così un doppio contorno mandibolare visibile sulle

radiografie. I costi e l’elevata dose di radiazioni hanno

limitato l’impiego della CT ai soli casi di pazienti con

asimmetria4. In vista di una dose di radiazioni minore,

una maggiore precisione e costi minori rispetto alla

CT5,6 fu sviluppata la tomografia computerizzata cone-

beam (CBCT). La CBCT non esegue sezioni assiali mul-

tiple, ma genera emissioni di radiazioni “pulsate” nel

corso di una singola rotazione intorno al paziente che

dura tra i 20 e i 40 secondi Il fascio di raggi X utilizza-

to ha una forma geometrica conica e solitamente rico-

pre tutta l’area di interesse con la possibilità di scegliere

diversi campi di vista (FOV), in relazione all’ampiezza

della regione da esaminare (fig.1). I dati grezzi ottenuti

vengono elaborati dal computer tramite l’algoritmo

“cone-beam” sviluppato da Feldkamp nel 19847 dive-

nendo in una prima fase immagini scannerizzate tramite

il DICOM (Digital Imaging and Communications in

Medicine) che permette la segmentazione delle varie

strutture rappresentate. Dopo ciò i dati sono quantifi-

cati in piccoli “cubi” detti voxel che costituiscono le

informazioni elementari e possono essere ruotati o

ingranditi; questi hanno dimensioni, nel caso della tec-

nologia CBCT, anche inferiori a 0.15 mm di lato, netta-

mente minori rispetto alla CT8 . Queste misurazioni

sono reali e anatomicamente dettagliate9. Le immagini

radiografiche ottenibili dai dati della CBCT includono:

tomographic multi-planar reformatted (MPR) slices,

telecranio 2D in proiezione latero-laterale e postero-

anteriore, ortopantomografia e immagini 3D (fig.2). La

dettagliata riproduzione del distretto cranio-facciale

ottenuto tramite la CBCT è oggetto di crescente inte-

resse nel settore ortodontico, se prima del 2007 gli arti-

coli che parlavano della CBCT legata all’ortodonzia era-

Page 30: Symposiumodontoiatrico_Numero_07

no 14 attualmente hanno superato i 300.

C’è il rischio che la CBCT archivi la radiografia conven-

zionale nella diagnosi ortodontica di routine o va circo-

scritta solo a casi specifici? Se si a quale tipo di casi?

Il nostro studio ha lo scopo di valutare le indicazioni del-

la CBCT nella diagnosi ortodontica, i vantaggi e i suoi

limiti.

MATERIALI E METODI

Il materiale è stato ricercato senza limiti sul tipo di lin-

gua utilizzata nel database del Pubmed System tramite

l’impiego di parole chiave correlate all’impiego della

CBCT nell’ortodonzia.

Sono stati inclusi review, studi in vivo, su crani secchi e

sintetici in cui veniva esaminato l’uso della CBCT nella

cefalometria comparandola alla cefalometria tradiziona-

le.

Il materiale che poneva la CBCT in correlazione alla chi-

rurgia maxillo-facciale e implantare è stato ecluso, in

modo da circoscrivere l’area di interesse all’ambito dia-

gnostico nell’ortodonzia.

RISULTATI

Dall’analisi di titoli, abstract e articoli sono stati identifi-

cati in totale 35 articoli.

DISCUSSIONE

Fra i vantaggi dell’impiego di una cefalometria ottenuta

da scansioni tramite CBCT vi è la possibilità di orienta-

re la posizione del capo nei casi in cui i pazienti abbia-

no assunto una postura errata. Hassan10 ha riscontra-

to differenze statisticamente significative nelle misura-

zioni di valori cefalometrici su tracciati tradizionali di

pazienti con la testa in posizione corretta e non, diffe-

renza assente nel caso dell’impiego della CBCT.

Quest’ultimo aspetto è stato evinto anche da El-

Beialy11, effettuando le misurazioni su radiografie ese-

guite su uno stesso cranio secco messo in sei posizioni

differenti inclusa quella corretta, a differenza di Hassan

che ha analizzato 8 crani inclinati tutti a 15° lateralmen-

te. Nelle teleradiografie in proiezione antero-posteriore

quest’aspetto è particolarmente importante, infatti una

lieve deviazione del capo può alterare dei valori nelle

radiografie convenzionali.

Di recente è stata messa in discussione la precisione dei

valori desunti da CBCT. Periago12 paragonando le

misurazioni eseguite su ricostruzioni 3D generate da

dati ottenuti con la CBCT con quelle rilevate diretta-

mente su crani secchi ha evidenziato che in due terzi dei

parametri i dati ottenuti con la CBCT erano statistica-

mente differenti rispetto a quelli dei crani. In conclusio-

ne ha affermato però che alla luce dei valori analizzati

questi dati statisticamente significativi non potevano

essere tradotti in una validità clinica.

Lascala13 ha evidenziato che le misurazioni su ricostru-

zioni 3D partendo da CBCT sottostimano le dimensio-

ni effettive del massiccio cranio-facciale, ma che ciò è

statisticamente significativo solo per quel che riguarda la

base del cranio.

La qualità dell'immagine nelle ricostruzioni bidimensio-

nali per quello che riguarda la CBCT è paragonabile a

quella delle radiografie convenzionali11,12.

Riguardo l’analisi 3D il margine di errore delle misura-

zioni lineari eseguite su immagini ottenute da CBCT in

3D su campioni di crani secchi è di 0,5-2 mm quando

non vengono impiegati marker di riferimento. Quando

invece si aggiungono questi ultimi il margine di errore è

inferiore ai 0,5 mm. Va sottolineato che i marker di rife-

rimento metallici non possono essere impiegati in vivo,

inoltre i campioni di crani secchi non subiscono l’atte-

nuazione delle radiazioni dovuta ai tessuti molli né pre-

sentano artefatti correlati alla presenza di altre strutture

32DICEMBRE

2011

fig.1: rappresentazione

schematica

della CT e CBCT3

1

Page 31: Symposiumodontoiatrico_Numero_07

33DICEMBRE

2011

fig. 2: Analisi

cefalometrica 3D25

come le vertebre13.

Un recente studio afferma che l’iden-

tificazione dei reperi cefalometrici

3D con le ricostruzioni tramite

CBCT offrono misurazioni riproduci-

bili se viene seguito un protocollo

dall’operatore. I valori di ICC (intra-

class correlation coefficient) delle

misurazioni di 30 punti cefalometrici

ripetuti per tre volte da tre diversi

operatori utilizzando lo stesso

software14 rivelano una certa varia-

bilità nell’individuazione dei reperi.

L’identificazione di reperi 3D è più

precisa impiegando la MPR (multi

planar reconstruction) sebbene que-

sta richieda più tempo perché neces-

sita dell’identificazione dei reperi sui piani assiale, sagit-

tale e coronale ed un controllo bilaterale nei tre piani

dello spazio9. C’è da dire che il margine di errore nel

contesto 3D è maggiore dato che i punti sono indivi-

duati lungo gli assi X,Y e Z rispetto ai canonici assi X e

Y nel campo 2D. Nei tracciati 2D un margine di errore

di 1 mm è considerato accettabile15, aggiungendo un

terzo asse nel campo 3D si aggiunge un ulteriore mar-

gine di errore a quello totale. Lou16 ha evidenziato

però che la presenza di un margine di errore non pre-

clude una diagnosi appropriata. Questo aspetto

dovrebbe essere ulteriormente analizzato.

La letteratura evidenzia chel’individuazione dei reperi

Condylion, Porion e Gonion impiegati per definire il

piano di Francoforte e il piano Mandibolare, hanno un

elevato margine di errore16,17,18 nella CBCT.

Chen19 ha evidenziato le discrepanze nelle compo-

nenti verticali che ne susseguono. L’aspetto di maggio-

re imprecisione è l’individuazione del Porion, partico-

larmente in direzione mesio-vestibolare (M/L) e cranio-

caudale (C-C) 9 (tab.1). Ciò è dovuto alla curvatura del

meato acustico esterno su cui esso è localizzato e al

suo passaggio nella squama del temporale (fig.3) .

Anche il Gonion ed il Condylion sono localizzati su

superfici ricurve con conseguenti difficoltà nella loro

individuazione precisa18. Kumar e Ludlow20 compa-

rando cefalometrie tradizionali e 3D di 32 pazienti han-

no evidenziato che ad eccezione del piano di

Francoforte (P< 0,0001) sia le misurazioni angolari sia

quelle lineari a carico di tessuti duri e molli non sono

state statisticamente differenti (P> 0,01). Gli stessi

Kumar e Ludlow hanno ribadito questo concetto in

un’indagine eseguita su 10 crani secchi sottoposti a

radiografie tradizionali e a CBCT21. Medesima la con-

clusione di Zamora22 nell’analisi di 13 misurazioni

angolari e lineari effettuate sulle cefalometrie di otto

pazienti.

Vlijman23 analizzando le misurazioni su 40 crani secchi

e ripetute per 5 volte ha evidenziato una differenza sta-

tisticamente significativa fra le misurazioni di

ANB,SNB,NL/ML,NSL/BOP;NLS/ML,NSL/NL. Una

comparazione delle misurazioni ripetute a intervallo di

un mese su 25 crani secchi ha evidenziato differenze

statisticamente significative24.

Ludlow25 comparando il posizionamenti di 24 reperi

da parte di cinque operatori su 20 pazienti ha rilevato

una più precisa e statisticamente significativa localizza-

zione nelle immagini 3D , soprattutto per il Condilion, il

Gonion e l’Orbitale.

Gli studi in vivo non presentano differenze statistica-

mente significative per quello che riguarda i tessuti mol-

li26.

Un aspetto essenziale è la dosimetria di queste indagini

radiologiche. Silva et al27 comparando le dosi assorbite

da 16 siti di organi sensibili in seguito a convenzionali

ortopantomografie e telecrani in proiezione latero-late-

rale, CBCT e CT , ha evidenziato che la documentazio-

ne radiografica tradizionale presenta la dose di radiazio-

ni minore (10,4 µ Sv) seguita da CBCT (61 µ Sv) e infi-

ne da CT (429,7 µ Sv). Nel 2010 la House of

Delegates of the American Associaton od

Orthodontists ha affermato che l’impiego della CBCT

non è necessaria negli accertamenti radiografici di rou-

tine28.

Bisogna però evidenziare che l’effettiva dose di radiazio-

ni varia a seconda del: tipo di scanner impiegato, zona

utile per l’imaging (FoV) selezionata, numero di proie-

zioni acquisite, caratteristiche del detettore, modalità di

esposizione e altri fattori29,30,31. Un articolo del 2001

che analizzava la correlazione fra l’uso della CT nei bam-

bini e l’incidenza di tumori letali indotti da radiazioni ha

evidenziato che la dose emessa dalle CT doveva esse-

re ridotta da 6000 a 2600 µ S,dosi che la CBCT non

sfiorano affatto32,33,34,35. Di contro i vantaggi di mac-

chinari più piccoli e di costi ridotti esaltano la CBCT

rispetto alla CT.

La dose di radiazioni emessa dai mezzi impiegati sui

pazienti dovrebbe essere riportata in milli-sievert (mSv)

o micro-sievert (µ Sv) per esprimere la dose effettiva

(E). Molti autori riportano la dose assorbita che non è

rilevante per i clinici perché non prende in considerazio-

ne il rischio di radiazione del paziente nella sua totalità.

2

Page 32: Symposiumodontoiatrico_Numero_07

34DICEMBRE

2011

fig.3A: Telecranio in proiezione

latero-laterale convenzionale

che mostra la variabilità della

localizzazione del Porion. B.

Sezione coronale ottenuta da

CBCT che illustra le differenti

posizioni M/Le C/C che

possono essere impiegate per

individuare il porion: sulla

porzione più alta del margine

osseo del condotto uditivo

esterno; B: margine laterale del

condotto uditivo esterno; C: il

segmento più esterno dei

tessuti molli del condotto u

ditivo esterno25

tab.1: Analisi della variabilità

della localizzazione dei reperi in

direzione AP,CC e ML nelle

immagini ottenute con MPR9

CONCLUSIONI

Possiamo riassumere così i vantaggi della cefalometria

3D con CBCT:

- Dati 3D;

- Dimensioni reali (1:1);

- Elevata risoluzione;

- Potenziale di generazione di immagini 2D;

- Minore dose di radiazione di MSCT

- Minori costi di MSCT;

- Meno distorsioni per artefatti;

- Assenza di sovrapposizioni.

Di contro come limiti oltre all’elevata dose rispetto alla

documentazione radiografica tradizionale bisogna sotto-

lineare che per ottenere un’immagine completa del cra-

nio di un paziente servirebbe un ampio campo di vista

(FOV), a causa della dimensione limitata del detettore il

FOV rimane limitato. Possiamo quindi affermare che lo

scanner CBCT ideale per l’ortodonzia al momento non

è ancora disponibile.

I risultati della nostra review dimostrano che sebbene la

cefalometria 3D offra misurazioni più precise per l’ele-

vata dose di radiazioni emessa non può rientrare nella

diagnosi ortodontica di routine. Al momento rimane un

valido ausilio nello studio di asimmetrie e di casi orto-

dontici complessi. Di certo lo studio tridimensionale

potrebbe essere un punto di partenza per elaborare

nuovi parametri e valori da analizzare in modo da evol-

vere la tradizionale cefalometria.

MPR

Reperi AP CC ML P

A 0.74 2.01 0.68 <0.0001

B 0.69 2.19 1.32 0.0036

Condylion 1.82 1.01 2.55 <0.0001

Gnathion 1.04 1.80 1.40 0.2089

Gonion 1.71 1.75 1.22 0.1393

Inc inf 0.63 0.67 2.06 <0.0001

Inc sup 0.62 0.76 1.99 <0.0001

Menton 1.65 0.75 1.43 0.0146

Nasion 0.66 0.83 0.65 0.6016

Orbitale 2.80 0.80 5.76 <0.0001

Pogonion 0.69 1.91 1.35 0.0018

Porion 1.46 3.46 7.14 <0.0001

Sella 0.65 0.66 1.05 0.0807

A cutaneo 0.78 1.93 0.79 <0.0001

B cutaneo 0.90 1.63 1.20 0.0949

Gnation cutaneo 1.73 1.95 1.44 0.423

Pogonion cutaneo 1.31 3.98 1.44 <0.0001

Media 1.16 1.50 1.67

3

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35DICEMBRE

2011

BIBLIOGRAFIA

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Se esiste sulla terra un

posto dove il sacro si

mescola virtuosamente

con il profano, la natura con le

tradizioni umane, questo e`

l`Indonesia.

Di ritorno da questo meravi-

glioso paese mi stupisco, recu-

perando i ricordi, di come abbia

visto e goduto di talmente tante

esperienze e sensazioni da met-

terle in zone recondite della mia

mente….poi d`improvviso una

foto, una frase, un souvenir me

le fanno tornare in mente ed

esclamare: “ma ho visto anche

questo!!!”.

E cosi` la memoria mi si riapre

e torno ai momenti vissuti in

questo arcipelago di piu` di

17000 isole tra l`Asia e

l`Australia, durante i ventuno

giorni che mi hanno visto loro

ospite.

Ricordo quando una mattina

ho tentato invano di raggiungere

il nirvana al tempio di

Borobodur sull`isola di Giava. Si

dice che chi ascende tutti i piani

di questo tempio, tutti meravi-

gliosamente decorati con basso-

rilievi, e tocca uno dei Buddha

che all`ultimo piano sono posti

all`interno di alcune nicchie, rag-

giunge il nirvana. Peccato che

l`ultimo piano sia in restauro e

che quindi abbia dovuto rinun-

ciare al nirvana, resta comunque

il ricordo…

Ricordo il vulcano Kawa Ijien

(nella sua caldera vi e` una cava

di zolfo purissimo), dove i porta-

tori percorrono salite e discese

ripidissime con il loro carico sul-

fureo di almeno 90 chili sulle

spalle. Giava e` isola di vulcani,

quasi tutti attivi, pertanto non

riesco a non pensare a quando,

alle tre del mattino, infreddoliti

nonostante la stagione, siamo

saliti sulle pendici di un grande

vulcano per scoprire, man mano

che l`alba ci si manifestava, che

ne conteneva all`interno altri

quattro….e uno di questi quat-

tro e` il famoso Bromo, del qua-

le a breve avremmo salito le

pendici per arrivare al cratere e

farci investire dai suoi densi fumi

bianchi.

Ma l`arcipelago indonesiano

non e` soltanto potenza vulcani-

ca, ma anche e soprattutto misti-

cismo popolare, a Bali come a

Sulawesi, dove si partecipa a

cerimonie funebri fastose e

cruente come a semplici riti di

offerta, perche` e` vero che que-

sto e` il paese musulmano piu`

popoloso, ma qui le religioni

sono tutte rappresentate, dal

buddismo all`animismo, e tutte

tollerate…fondamentalisti per-

mettendo.

Infine…la natura…il mare,

con i fondali tra i piu` belli al

mondo, l`acqua trasparente e la

sabbia chiara….e gli animali, dal-

le specie normali a quelle inve-

rosimili, come e` capitato di

vedere noi a Komodo, dove

l`uomo convive con l`animale

che al mondo assomiglia mag-

giormente ai dinosauri, il drago

di Komodo appunto, lucertolone

di cinque e piu` metri dalla pelle

squamata e le zampe tozze che

non fanno pensare ad un anima-

le veloce come invece esso e`.

Insomma il viaggio in

Indonesia e` un insieme di espe-

rienze: come un coro a piu` voci,

ognuna stupenda di per se`, ma

che fusa con le altre compone

un unicum indimenticabile.

Buon viaggio.

indonesia

MARCO POLO

Tra draghi e vulcani, l’arcipelago magico.

40DICEMBRE

2011

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41DICEMBRE

2011

Di Alfredo Tursi

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42MAGGIO

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43MAGGIO

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46DICEMBRE

2011

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47MAGGIO

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50DICEMBRE

2011

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