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SYMBOLON COLLANA DI STUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE Direore: Frcesco Romo 38 EVA DI STEFANO La Triade divina in Numenio di Apamea Un'anticipazione della teologia neoplatonica (1x5)+(1x6)+(3x5)+(4x10)71 CUECM

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COLLANA DI STUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE

Direttore: Francesco Romano

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EVA DI STEFANO

La Triade divina in Numenio di Apamea

Un'anticipazione della teologia neoplatonica

(1x5)+(1x6)+(3x5)+(4x10)'"'71

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l frammenti teologici di umenio, filosofo platonico pitagorizzante del li secolo d.C., che, secondo una felice espressione del Theiler, co­stituisce la più importante figura medioplatonica della Vorbereitung des Neuplatonismus, mostrano già cbiaramente tre distinti livelli del Principio, anche se non assegnano al Primo Principio uno statuto me­ta-noetico. Questa di umenio è una procedura complessa, che gerar­chizzando il divino in tre distinti momenti, anticipa di certo la teologia plotiniana. ella concezione metafisica numeniana emerge infatti, al di sopra dell'anima del mondo e dell'intelletto demiurgico, un Princi­pio superiore che Numenio chiama "primo Dio", o "primo Intelletto", il quale, pur non situandosi al di là dell'essere e dell'intelletto, presen­ta tratti di trascendenza ontologica e ineffabilità epistemica, che ne­cessariamente lo rendono affine all'Uno plotiniano. I tre Dei numeniani si presentano, peraltro, come tre differenti livelli di attività mentale, dei quali il secondo, cioè il vot:ìv, costituisce l'attività distintiva del secondo Dio. Anche il primo Dio può vot:ìv, ma solo chiedendo l'aiuto del Secondo, perché ciò che lo distingue non è il Pensiero, bensì l'Uno-Bene, che è al di sopra del!' Intelletto, cioè del voé:Ìv. umenio definisce il primo Dio come un'Intelligenza allo stato di quiete, perché non effettua alcun atto di pensiero, mentre defrnisce il secondo Dio come un'Intelligenza in atto, la cui funzione propria è appunto il pensare. In tal modo, il primo Dio pensa solo in quanto utilizza come assistente il secondo Dio, che è l'Intelletto in atto (tv rreoaxer/at:L roù &vrieov vot:ìv). A sua volta, il secondo Dio, che per creare un mondo materiale ha bisogno dell'aiuto del terzo Dio, ab­bandona la vory(Jlç ed esercita la 8uivow, che è la caratteristica pro­pria del terzo Dio.

Eva Di Stefano è ricercatore confermato e insegna Storia della filosofia anti­ca presso l'Università di Catania. Si è ·occupata di ricerche sul pensiero del primo ellenismo (sec. II-I a.C.) e dell'ellenismo di età imperiale (sec. I-II d.C.). Tra le sue pubblicazioni figurano: Antioco di Ascalona e la crisi dello

scel/icismo nel! secolo a.C., in "Atti del Convegno sullo scetticismo antico", tenutosi a Roma su iniziativa di Gabriele Giannantoni, direttore del "Centro di Studio del Pensiero Antico", Bibliopolis, apoli 1981, vol. I, 195-209; Proclo. Elementi di Teologia, Introd., Trad. e Comm., Cuecm, Catania 1994 (=Symbolon 12); Antropologia ed etica negli "Scritti a se stesso" di Marco Aurelio, ibidem, 2006 (=Symbolon 31 ).

€ 13,00 (i.i.) l 111

9 788866 000075

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SYMBOLON STUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE

Direttore: Francesco Romano

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EVA DI STEFANO

La Triade divina in Numenio di Apamea Un'anticipazione della teologia neoplatonica

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Nella copertina : la Tetraktys pilagorica secondo l'equivalente Tetrawamma biblico. che indica il nome di Dio (;-r1;T' � YHWH) composto da Ire lcllcrc-numcri (YHW � IO 5 6) in varia combinazione tra loro. Nella gcmalria ebraica la somma di tali lellere-numeri è 72, quanti furono i dotti scelti dal sacerdote Elcazar per la traduzione greca della cosiddella Bibbia dei Sellanla.

Nel frontespizio: Ecale raffigurata in un amuleto (da C. Bonner. Slrldies in Magica/ Amulets.

Michigan Univ. 1950)

Proprietà letteraria riservata

© Catania 2010 Cooperativa Universitaria Editrice Catanese di Magistero, Via Quartarone 24 -Via Teatro Greco 107 - 95124 Catania Sito web: www.cuecm.it- Tel. e fax 095 316737-7159473- E-mail: [email protected] C.c.p. 10181956 ISBN 978 88 6600 0075

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Dedico questo mio lavoro al prof. Francesco Romano, per il suo recente 80° compleanno.

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Eiç oÈ TOUTO OE�OEt EtnovTa xat a���va�EVOV Tatç �OQTUQtatç Tatç nì..aT<OVOç ÙVOXO>Q�Oaatlat xat auvo�aaatlat TOÌ:ç À.oyotç TOU nueayoQOU, È:mxaÀ.È:aaatlat oÈ Tà EEIV� Tà EùOOXt�OUVTa, nQOOq>EQO�EVOV aÙT<OV Tàç TEÀETàç Xat Tà oowa­TQ nxç TE tOQUOEtç OUVTEÀOWÈ:vaç nì..aTrovt 0�0-À.oyou�È:vroç, 6n6aaç BQax�avEç xat 'Iouoaì:ot xat Mayot xat Ai yunnot otÉEIEVTO.

Su questo problema, dopo avere esposto ed essersi basati sulle testimonianze di Platone, bisognerà risal i­re più indietro e connetterle agli insegnamenti di Pita­gora, poi richiamarsi ai popoli di chiara fama, con­frontando le loro iniziazioni, e i loro dogmi e le loro cerimonie cultuali, compiute in acco rdo con Platone, tutto ciò che i Bramani, i Giudei, i Magi e gli Egiziani hanno stabilito.

Numen io, fr. l a des P laces

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INDICE

l. Ambientazione storica p. 1 3

2 . Vita e scritti di Numenio p. 17

3. Numenio e la cultura .filosofico-religiosa del suo tempo p. 23

4. La Triade divina secondo Numenio

5 . Numenio e la cultura giudaico-cristiana

6. Conclusione

7. Bibliografia essenziale

8. Indici

Indice degli autori antichi

Indice degli autori moderni

Indice deiframmenti numeniani citati

p. 31

p. 69

p. 77

p. 81

p. 87

p. 89

p. 95

p. 99

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La Triade divina in N umenio di Apamea

Un 'anticipazione della teologia neoplatonica

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l . Ambientazione storica

A partire dal I secolo a.C., s'incontrano autori che gli antichi definiscono pitagorici. Alcuni testimoni, come Cicerone, parlano esplicitamente d'una rinascita del fenomeno pitagorico; e ad Alessandria, con Eudoro, si ha un esempio eminente della com­mistione tra platonismo e pitagorismo, che prosegue negli autori definiti solitamente neopitagorici, quali Moderato, Nicomaco e anche Numenio.1 Su quest'ultimo filosofo c'è un notevole studio di M. Frede (Numenius, in ANR W II 36, 2, Berlin-NewYork, de Gruyter, 1 987, l 034-75), in cui Numenio viene considerato un platonico pitagorizzante ( l 046 ss.). In effetti, nei suoi frammenti superstiti2 si trovano le peculiarità essenziali del "pitagorismo", fenomeno coerente col medioplatonismo, che comporta con quest'ultimo presupposti generali comuni di una visione tra­scendentistica e teologizzante del mondo.3 Il "pitagorismo" in­fatti, è una delle presentazioni possibili della filosofia platonica nei tre secoli che intercorrono tra la fine dell'Accademia e la comparsa della filosofia di Plotino.

1 Cf. B. Centrane, Cosa signijìca essere pitagorico in età imperiale. Per

una riconsiderazione della categoria stroriografica del neopitagorismo, in A. Brancacci (ed.), La filosofia in età imperiale. Le scuole e le tradizionifìloso­

fiche, Napoli 2000, 1 3 7- 1 68.

2 Numénius, Fragments, éd. et trad. par É. des Places, Les Belles Lettres, Paris 1 973.

3 Cf. F. Romano, «La cultura e la filosofia all'epoca dei Flavi e degli An­tonini)), in Storia della società italiana, vol . ll l: La crisi del Principato e la

società imperiale, Teti, Milano 1 996, 649.

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La scuola platonica solo nel I secolo a.C. rinuncia, per tornare al dogmatismo, allo scetticismo, che aveva adottato fin dalla me­tà del III secolo. E contemporaneamente in quest'epoca, l ' influenza pitagorica diventa determinante, suscitando forte in­teresse, poiché ritorna di moda il concetto d'un ordine di realtà trascendente e immateriale, qual è, come si vedrà, il primo Dio di Numenio.

I frammenti di questo filosofo, insieme con il.1L8aaxaltlx6ç, il conciso manuale d'istruzione platonica di Alcinoo, il Corpus Hermeticum e gli Oracoli caldaici sono assai importanti. Essi fanno parte della letteratura filosofico-religiosa del secondo se­colo d.C., che determina il diffondersi delle tematiche della tra­scendenza, nell'ambito d'un pensiero caratterizzato dalla teolo­gizzazione della filosofia platonica. In questi testi sopramenzio­nati, nozioni e teorie religiose acquistano senso metafisica­teologico, coerente con la tradizione platonica, pur in una nuova forma teoretica, che questa assume in epoca tardoantica, cioè in una direzione trascendentistica nei confronti del platonismo an­tico.

E ciò che colpisce in Numenio, è il restringersi della prospet­tiva filosofica alla sola dimensione metafisica e teologica. Egli, rifacendosi agli ambienti misticheggianti del neopitagorismo, si confronta con le tematiche della metafisica dell'anima e della trascendenza del Principio divino.

Già fin dali ' inizio del I secolo a.C. erano disponibili diverse immagini di Platone tra loro in forte contrasto, soprattutto l ' immagine del Platone scettico, e quella "stoicizzante" di An­tioco, sulle quali insisteva la storiografia delle origini del medio­platonismo. A queste due Michael Frede aggiunge l'immagine pitagorica di Platone, ricostruita dagli scritti che si presentano come opere del pitagorismo antico, ma che contengono in realtà, anche molte dottrine platoniche, dato il nesso profondo che in-

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tercorre fra la filosofia pitagorica e quella platonica, secondo la tradizione filosofica antica. La fioritura degli scritti platonico­pitagorici, a partire almeno dal Il secolo a.C. si può giustificare infatti, dall'indubbio interesse che Platone stesso e gli Accade­mici antichi ebbero per il pitagorismo.

Ma, la continuità della tradizione pitagorico-platonica dovet­te persistere anche durante i secoli dell'Accademia scettica. Fin dall'antica Accademia non era venuta mai meno l'idea d'un rap­porto ininterrotto tra pitagorismo e platonismo, quando già con Speusippo si era fatta strada l ' idea platonica d'una relazione fra aritmologia e antologia, sfruttata da Speusippo in chiave metafi­sica, a proposito della natura dell 'anima, anche se fino alle so­glie dell'età plotiniana, cioè, fino all 'età del cosiddetto medio­platonismo, la tradizione pitagorico-platonica non riuscì a chia­rire che la realtà degli enti matematici, possedendo un legame metafisica con l ' intelligibile in sé, discende dalla realtà intelligi­bile, cosa che solo con i Neoplatonici assumerà evidente conti-

• 4 guraztone.

4 È dottrina neoplatonica che i numeri sono caretterizzati da uno status

ontologico che ad essi deriva direttamente dalle idee. F. Romano infatti, scri ­ve nel suo Giamblico, Il numero e il divino, Milano 1 995, 3 8-39; ed ora Idem, ed., Giamblico, Summa Pitagorica, Milano 2006, 50-5 1 : «Ma se da una parte è vero, come dicevo, che quell ' idea del rapporto intrinseco tra pita ­gorismo e platonismo si fa strada fin dali 'antica Accademia, è anche vero, dall 'altra parte, che fino alle soglie del l 'età plotiniana (intendo dire fino all'età del cosiddetto medioplatonismo) tutta la tradizione pitagorico­platonica non riuscì a fare sufficiente chiarezza su un punto che solo con i Neoplatonici assume evidente configurazione, sul fatto cioè che la realtà de­gli enti matematici, pur nella sua indipendenza ontologica quale realtà me­diana (cosa che del resto risale al più antico platonismo ) , "discende" dalla realtà intelligibile, né potrebbe valere come "forma" o "essenza" della realtà

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Per quanto riguarda Numenio, Frede lo distingue da «un gruppo di filosofi che tentano di far rivivere la dottrina pitagori­ca, ma che nel far ciò non si appoggiano a Platone, ritenendolo l'autorità, come fa invece Numenio)) ( 1 047). L'attribuzione a Numenio della qualifica di pitagorico da parte di Frede è dovuta infatti, al riconoscimento della vena platonica nel suo pensiero, premessa la convinzione della sostanziale convergenza tra le due correnti di pensiero. E la profondità delle commistioni tra plato­nismo e pitagorismo ha fatto sì che a proposito di Numenio, si ponesse il problema, se per lui fosse più consona la qualifica di platonico, o quella di pitagorico. Numenio infatti, fu qualificato come pitagorico dagli autori cristiani, da Clemente di Alessan­dria, nonché da Origene, Eusebio e Nemesio, mentre a definirlo platonico furono gli stessi Neoplatonici, Giamblico e Proclo.5

Ma, come ha fatto notare ancora Frede ( 1 047 cit.), questo non pregiudica l'opportunità di considerare Numenio un platonico a tutti gli effetti, convinto com'era che le dottrine di Platone risa­lissero a quelle di Pitagora, e ne costituissero il naturale svilup­po, data la sostanziale unità tra le due tradizioni.

Pitagora tuttavia, non è per Numenio superiore a Platone, se non per la capacità da lui avuta di salvaguardare l'integrità della propria dottrina esoterica, e di mantenere una certa concordia ali' interno della comunità. 6

naturale se non p ossedesse e non conservasse tale legame metafisic o c on l ' intelligibil e i n sé».

5 Cf. H.D. S affrey, Un lecteur antique de Numénius: Eusèbe de Césarée,

in Forma .fìtturi. Studi in onore del cardinale Michele Pellegrino, Torino 1 975, 145- 1 53 .

6 Cf. Numenio, fr. 24 des Pl aces.

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2. Vita e scritti di Numenio

Sembra però, che l'idea della coincidenza tra pitagorismo e autentico platonismo dovette essere per Numenio uno strumento polemico antiaccademico, piuttosto che una propria convinzione storico-teoretica.7 Egli infatti, intende separare Platone da Ari­stotele e dalla stessa Accademia: rtgoù8É).u::8a xroQtsEt v aÙ'rÒv · AQtO'TOTÉÀ.ouç xaì Z'ilvrovoç oihro xaì vùv -rT;ç 'AxaÒT]).l.taç (fr. 24, 67-9).

Sappiamo poco sulla sua vita; una menzione di Clemente di Alessandria (Stromata, l, 22) fornisce un terminus ante quem, che permette di situar! o nella seconda metà del Il secolo, 8 in quel periodo storico, in cui si preannunzia il processo creativo delle dottrine e delle culture della tarda Antichità.

La tradizione dossografica lo collega ad un certo Cronio, au­tore meno fecondo, di cui resta il titolo d'un solo scritto, un trat­tato Sulla metempsicosi, OEQÌ rtaÀ.t yyEvEcriaç.9

Per quanto riguarda le dottrine di Numenio, abbiamo migliori informazioni per l 'interesse che i Neoplatonici e gli autori cri­stiani hanno mostrato nei suoi confronti. Fu infatti, letto e di­scusso durante le lezioni di P l o tino 10 e citato da Porfirio. 1 1

7 Cf. D.J . O 'Meara, Pythagoras Revived. Mathematics and Philosophy in

Late Antiquity, Oxford 1989, l O ss. M Numénius, Fragments, c it., notice, 7.

9 Cf. E.A. Leemans, Studie aver den WijsgeerNumenius van Apamea met

Uitgave der Fragmenten, Bruxelles 1 937.

1 ° Cf. Vita Plot. 14 . 11 Cf. Vita P lat. 1 7, 1-6.

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Giamblico lo ritenne tanto importante che, utilizzando un'accusa fatta nei confronti di Plotino, accusò di plagiario i col leghi neo­platonici, Porfirio, Arpocrazione, Teodoro di Asine.12

Delle sue opere, rimangono dei frammenti d'un trattato Sul Bene, llc(!Ì ràya�ov, riportati da Eusebio di Cesarea nella sua Praeparatio Evangelica e resti di un'opera sull' Incorruttibilità dell 'anima, llc(!Ì àcp�aeaiaç 1/Jvxijç, citata da Giamblico. Sono pervenuti anche ampi frammenti, citati da Eusebio (fr. 24-28 des Places) di un'altra opera notevole, una critica della storia dell'Accademia, basata sui criteri dello stato ideale della filoso­fia politica di Platone. Il titolo del libro, Sul dissenso fra gli Ac­cademici e Platone (llc(!Ì rijç rwv 'Axa8rywi·xwv rreòc; llÀ.a­�wva 8waraacwç), presenta il tema convenzionale delle dispute fra fi losofi, che, soprattutto a causa dei litigiosi Stoici (fr. 24, 37 ss. ) , laceravano l'Accademia, alla quale Numenio oppone la fe­deltà al Maestro e l 'unità di pensiero dei Pitagorici e degli Epi­curei (fr. 24, 1 8-36). L ungi dall'accettare un progresso del pen­siero filosofico, Numenio parte da un atteggiamento negativo nei riguardi dell'Accademia, dando un'interpretazione della sto­ria della scuola di Platone, che suppone un costante regresso del­la conoscenza della verità, a causa dell'oscurità che egli ravvisa nella tradizione primitiva, in conseguenza anche delle sottili di­spute che senza fine animavano i filosofi greci. In tal modo il tema del dissenso tra filosofi assume significative connotazioni metafisiche. Numenio, alludendo ai generi di realtà distinti nel Timeo, l 'Essere e il Divenire13 e il Luogo, ricettacolo del Dive-

1 2 Cf. D.J. O 'Meara, «New Fragments from Jamblichus», Col lection of Pythagorean Doctrines, American Journal of Philology, l 02, 198 1 , 26-40.

13 27d 28 ' ' � , ' ' 5:' , � ' ' ' ' - a: n -ro ov aEt, )'EVEcrtv uE oux EXOV, xat n -ro )'t)'VOJ.lEVOV

J.1Èv àEi, ov oÈ oùof:no't"E; ,ò J.1Èv o� vo�crEt J.lE't"à 1..6-you nEQtì..11n,6v, àEì

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nire, 14 afferma nei frammenti che fanno parte del secondo libro del Il&(!Ì ràyal?ov, che l 'Essere è incorporeo e che i corpi non sono che cadaveri, insistendo con un vocabolario nuovo, anti­stoico, sull' ov-rroç o v che è àcrffi,.w-rov e VOTJTOV, 15 e sui corpi­cadaveri. 16 Nei fr. 5 e 6, Numenio caratterizza l 'Essere nella sua eterna identità di esistenza (àd xa-rà -raù-ròv): Esso è semplice, invariabile, in una forma identica e non esce volontariamente da questa identità, nemmenq se costretto da altro (d vat oÈ émA.oùv xaì. àvaA.A.oiro-rov xaì. Èv ÌOÉ<;x -ri] aù-ri] xaì. )lTJTE È8eA.oucrtov Èl;tcr-racr8at -ri;ç -raÙTOTTJTOç )lTJ8' utfi ÉTÉQOU 1tQOcravayxa­çecr8at). Rimanendo vicino nel pensiero a Platone, Numenio af­ferma che l'Essere mantiene un'esistenza costante, identica, un'identità di forma dalla quale non si separa. Rispetto all'Es­sere non esiste passato o futuro, ma solo un tempo determinato, un presente (-rò ov ou-rE rtOTÈ Il� yÉvT)Tat, àA.A.' f:crnv àd Èv XQOVq> OQt<J)lÉVq>, -rq> Èvecr-rron )lOVq>. ), che può essere definito eternità (aiffiv).17 Stabilità, invariabilità, integrità appartengono

xaTà ·raùTà ov, TÒ o' aù 06!;1] J.lET. aìcr9f]crEroç ài..6you oo!;acrT6v, yt­yvOJ!Evov xaì. ànoÀ.ÀUJ.lEVOV, ovTroç OÈ oÙOÉ7tOTE ov.

· 1 4 52a-b: ev J!È:V dvat TÒ xaTà TaÙTà dooç lixov, àyÉvvT]l-ov xaì. à­vmÀ.E9QOV . . . TOÙTo o O'JÌ VOT]crtç ElÀ.TJXEV È:mcrxonéì:v· TÒ OÈ; OJ.lcOVUJ.lOV OJ.lot6v TE È:xEivcp OEUTEQOV, aìcr9T]TOV, yEVVTJTOV, 7tE<pOQT]J!Évov àEi, yt­yvoJ.lEVOV TE Év TtVt T07tql xaì. mxÀ.tV È:xéi9Ev ànoÀ.ÀUJ.lEVOV, OO!;l] J.lET aì­cr9f]crEroç 7tEQtÀ.T]7tTOV" TQl TOV OÈ; aÙ yÉvoç Òv TÒ Tfiç XcOQaç àf:i, <p90QÒV où 1tQOCJ0f:XOJ.lEVOV, EOQaV OÈ; 1taQÉXOV ocra ÉXEt yÉvEcrt v m'icrt V, aÙTÒ OÈ; J.lET àvatcr9T]criaç ànTÒv À.oytcrJ.léi> nvt v69cp.

15 Fr. 6 : 'AUà lllÌ ydacraTro nç, f:àv <pro Tou àcrroJ.laTou dvat ovoJ.la oùcriav xaì. ov.

16 fr. 4a: Tà OcOJ.laTa Ècrn <pUcrEt TE9VT]XOTa xaÌ. VEXQÒ. 17 Cf. P lato, Tim., 37e 3 - 38b 2; in Enn., III 7, 3 si può trovare un riferi­

mento al concetto di Numenio di aìffiv, cf. W . Beie rwaltes, Plotin iiber

Ewigkeit und Zeit (Enneade III 7), Frankfurt a. Main 1 967, 146- 1 4 7.

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all 'Essere àcrroflaTov, mentre cambiamento, flusso, disintegra­zione sono caratteristiche del mondo materiale. 1 8 Applicando questo contrasto ontologico alla storia dell'Accademia platonica da Speusippo ad Antioco di Ascalona, assimilando i successori di Platone, che non mantennero intatta e integra la filosofia del maestro al fluido, cangiante mondo materiale, 19 Numenio consi­dera gli Accademici colpevoli della corruzione del genuino pen­siero di Platone, nel momento in cui, introducendo nell ' Ac­cademia l 'ÈrtOX,, la famosa sospensione del giudizio (fr. 24, 5-1 8), non mantennero l ' eredità originaria (oùx ÈVÉflEtvav TlJ 7tQOOTlJ òtaòoxiJ fr, 24, l 0- 1 2). Compito degli Accademici sa­rebbe dovuto essere invece, il raggiungimento d'una completa concordanza su tutti i punti della dottrina platonica, come fecero gli Epicurei, che rimasero ugualmente legati alla dottrina del maestro, tanto che nemmeno i più lontani successori deviarono da Epicuro, ritenendo empietà ogni tentativo di corruzione. Nu-

IH Fr. 2-4a. C'è un interessante articolo di D.J . O 'Meara, «Being in Nu­menius an d Plotinus. Some Po ints of Comparison» , Phronesis 21, 1976, 120-

9, che propone un confronto sulla dottrina de li' Essere ( n:l o v) in Numenio e in Plotino, allo scopo di trovare una possibile influenza numeniana sul pen­s iero di Plotino. L 'autore anal izza in Enneadi V I 4, 2 e VI 5,3 la dottrina plo­tin iana de II' «onnipresenza integrale» de li' Essere che util izza aspett i della de­scrizione della seconda ipotes i del Parmenide e la confronta col fr. 8 e il frammento 5, des Places, dove Numenio tratta dell'Essere nei term ini di Tempo, Cambiamento, Movimento, Nome, suggeriti dal Parmenide. I fram­menti numeniani però, non mostrano un util izzo delle corrispondenti sezion i del Parmenide, anche se resta la possib i l ità che il dialogo platonico possa es­sere stato presente nelle parti perdute de li' opera numeniana.

1 9 Nella sua ed iz ione de i frammenti di Numen io, des Places ha notato (p. 76) che il filosofo usa la stessa espressione a propos ito di Carneade (fr. 27, I l : o ìov rto-raJ.l.Òc; QOOOOT]c;) e della materia (fr. 3, Il : 7tO'WJ.l.Òc; yàQ T] UÀ.TJ �oroOTJç).

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menio infatti, ammira l 'epicureismo per il mantenimento fedele ad una stretta ortodossia. Egli cerca una filosofia certa e affer­mata come un dogma, che crede ritrovare soltanto in un ritorno alla purezza primitiva. Al di là dei dissidi delle scuole posteriori, occorre risalire alle origini, e richiamarsi ai veteres theologi (fr. 52).

Il suo metodo è quello di un continuo ritorno ( àvaxm­Q�cracr8m) agli antichi popoli e agli antichi saggi. Nel fram­mento l a, Numenio afferma che, a chi dovrà trattare il problema di Dio, non solo deve fondare i propri ragionamenti su prove tratte da Platone, ma deve risalire ancora più indietro, ricolle­gando le proprie affermazioni non solo agli insegnamenti di Pi­tagora, ma anche deve richiamarsi ai popoli famosi, portando come testimoni i misteri, le dottrine, le cerimonie cultuali che essi hanno compiuto in accordo con Platone, tutto ciò che hanno istituito i Bramani, gli Ebrei, i Magi, gli Egiziani.

La critica di Numenio del l 'Accademia mira dunque, alla re­staurazione della dottrina di Platone nella sua integrità origina­ria, e si propone di separarla (xmQisEt v fr. 24, 28) dalla sua sto­ria successiva, cioè dalle interpretazioni di Platone dei successo­ri immediati, Speusippo e Senocrate, dei tardi membri del­l' Accademia, Arcesilao e Carneade, e dei Platonici più recenti come Antioco di Ascalona ( fr. 28, 1 4- 1 5). Ogni innovazione e cambiamento deve essere rimosso dalla pura, immutabile dottri­na di Platone.

L 'integrità platonica però, va separata non solo dall ' Ac­cademia, ma anche da Aristotele e dagli Stoici, 20 compito sentito particolarmente al tempo di Numenio, in cui questi filosofi ve-

2° Fr. 24,67-69 des Places: TCQOÙ9É).IE9a xroQtsEtV aù-ròv 'AQHHOTÉÀ.ouç xaì Z�vrovoç, oihro xaì vuv -rijç 'Axaùr]).ltaç.

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nivano utilizzati nell' interpretazione di Platone. Un altro plato­nico del II secolo, Attico, scrisse infatti, contro l 'adulterazione di Platone per mezzo di aristotelismi, un tema trattato anche nell'opera perduta di un altro contemporaneo, Calveno Tauro.

In tal modo, Platone liberato prima dagli elementi aristotelici e stoici, che hanno potuto insinuarvisi, poi dalla stessa Accade­mia, che ha dilaniato questo "Penteo", viene restituito alla sua vera personalità filosofica, cioè a Pitagora (fr. 24, 70) .

Nell 'edizione des Places si trovano altri frammenti, prove­nienti da Calcidio e da Origene, come anche ci sono molte noti­zie provenienti da fonti neoplatoniche, Porfirio, Giamblico e so­prattutto Proclo, che attribuisce a Numenio anche un Commen­tario del mito di Er della Repubblica di Platone.

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3 . Numenio e la cultura filosofico-religiosa del suo tempo

Numenio era nato come Posidonio ad Apamea, città della Si­ria, aperta a tutti gli influssi, dove gli incontri fra Oriente e Oc­cidente sono costanti. Il Puech2 1 è stato incline a credere che Numenio fosse appartenuto alla razza dei Semiti, importanti in­termediari negli scambi spirituali fra la filosofia greca e le teo­logie orientali. Secondo questo studioso,22 Numenio avrebbe aperto le porte della filosofia occidentale alle tendenze religiose orientali.

In effetti, è innegabile l' interesse di Numenio per le credenze e le pratiche orientali, soprattutto quelle giudaiche. Egli infatti, afferma di avere trovato confermata la dottrina di Platone e di Pitagora dai rituali, dai dogmi e dalle fondazioni cultuali {tÒQU­crEtç) dei Bramani, Giudei, Magi ed Egiziani (fr. l a cit.) e a questo scopo cita Mosè e le espressioni profetiche delle Scritture giudaiche (fr. 30; l b; l Oa; l e) e le testimonianze dell' ico­nografia egiziana (fr. 30; 53). Se si presta fede al frammento l Oa di Origene, Numenio conosce anche Gesù e nel III libro Sul Be­ne riferisce un racconto, che interpreta in maniera tropologica, relativo a Lui, senza peraltro nominarLo. Nello stesso testo menzionato da Ori gene ( = Contra Celsum, IV, 5 1 ) e citato da Eusebio (fr. 9 = Pr. ev., IX, 8, 1 -2), Numenio riferisce la tradi-

21 H.C. Puech, «Numénius d'Apamée et les théologies orientales au se­cond siècle», Annuaire de l 'lnstitut de philologie et d'histoire orienta/es et

slaves, Mélanges Bidez, Bruxelles 1 934, Il, 745-778. 22 Cf. «Numénius d' Apamée . . . » cit., 745 ss.

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zione ebrea dei due maghi «Jannes e Jambres, scribi sacri egi­ziani, che venivano giudicati eminenti esperti in magia, al tempo in cui i Giudei erano espulsi dall'Egitto. Quando infatti, i Giudei avevano come capo Museo, un uomo divenuto il più idoneo a pregare Dio, furono proprio essi ad essere scelti dal popolo egi­ziano per opporsi a Museo, ed essi si mostrarono capaci di far cessare le più gravi calamità che Museo scatenava sull'Egitto».

Su Numenio si è molto discusso, non solo come fonte di Pio­tino, ma anche su questo suo "orientalismo", sulla questione se egli sia stato uno gnostico. L 'orientalismo di Numenio fu impo­stato da E. Norden (Agnostos Theos, Lipsia 1 9 1 3), il quale, pun­tando sul fr. l 7, in cui si afferma che Dio è totalmente ignoto (rtavnirtacrtv àyvooUj.l.Evoç), sosteneva che Numenio fosse «fortemente penetrato di orientalismm> (p. 72). Ma nell 'epoca, in cui vive Numenio, ci troviamo di fronte ad una certa recipro­cità di scambi, che costituisce una comune base culturale, per cui è difficile operare un taglio netto fra motivi cosiddetti occi­dentali e motivi cosiddetti orientali , riferibili al mondo egiziano, ebraico, persiano.

Dodds,23 nella sua importante relazione su Numenio, tenuta agli «Entretiens sur l 'antiquité classique» del 1957, ha ripropo­sto il problema dei rapporti di Numenio con lo gnosticismo e anche con gli Oracoli caldaici. Il Puech, storico dello gnostici­smo, che nel 1 934, si è visto, sulla scia del Norden, aveva soste­nuto l' orientalismo di Numenio, nel corso della discussione sulla relazione del Dodds (Entretiens, cit., 36-38) ha rettificato alcune idee proposte nel saggio precedente, affermando che si tratta d'una questione delicata, definire ciò che esattamente ricoprono,

�3 Cf. E.R. Dodds, «Numenius and Ammonius», Entretiens sur l 'antiquité

classique, Yandoeuvres-Genève, V, 1 960, 3-6 1 .

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nell 'epoca considerata, i termini "Oriente" e "Occidente". Biso­gna chiedersi, egli dice, cosa ha condotto Numenio a distinguere un Primo e un secondo Dio. Secondo Puech, infatti , il problema è analogo negli gnostici e in Numenio, problema legato a quello della materia, male assoluto, e, di conseguenza, a quello della condizione umana. Egli trova in Numenio e negli gnostici la stessa concatenazione di problemi. Plotino infatti, osserva Puech, attaccando in Enn., II, 9, l gli gnostici, attacca Numenio, prendendosela con il suo voùç Èv T,cruxiçt, con il voùç, o con il 8EÒç àQy6ç. In effetti, la concezione combattuta da Plotino in questi brani, di una certa pigrizia, àQyia, del primo Noùç con­trapposto al secondo Noùç, che sarebbe xi VTJcrtç xaì. 1tQOcpOQa, movimento e processione (Il, 9, l , 28) richiama chiaramente il primo Dio di Numenio: -ròv jlÈV rtQiì>Tov 8EÒv àQyÒv d vm EQyrov crujlrtav-rrov xaì. PacrtÀ.Éa (fr. l 2).

Ma è Numenio stesso che ci fa conoscere gli influssi orientali del suo pensiero. Il primo libro del flcQÌ ràymJov contiene, si è visto, un "appello all 'Oriente" ( fr. l a ci t.), cui ricorre Numenio, riprendendo l 'antica idea d 'una primitiva e superiore saggezza, forse ispirata, posseduta, oltre che da Pitagora, anche da altri an­tichi saggi greci e persino da alcune nazioni barbare. 24 Egli af­ferma che, chi dovrà trattare il problema di Dio, deve risalire più indietro ( àvaxroQ�cracr8m) di Platone e collegarsi alle dottrine di Pitagora, che del resto si accordano con quelle dei Bramani, dei Magi e altri popoli, quali gli Egiziani e gli Ebrei : Eiç 8È -roù-ro ÒE�crEt Ein6v-ra xaì. crTJjlTJVOjlEVOV -raìç llaQTUQtatç -raìç nì..a-rrovoç àvaxroQ�cracr8m xaì. cruv8�cracr8m -roìç ì..6-

24 Cf. P. Hadot, «Théologie, exégèse, révéla tion, écri ture, dans la philoso­phie grecque», Les Règles de l 'interprétation, éd. M. Tardieu, Paris 1 987, 23 ss.

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yotc;; TOU nuSayOQOU, ÈmxaÀ.Écracr8at òÈ -rà E8VT] -rà EÙ­ÒO'Xtj..lOUVTa, rtQocrcpEQOilEvov aù-rrov -ràç -rEÀ.E-ràç xaì -rà M­Yila-ra -raç -rE tòQucrEtç cruv-rEÀ.ouj..lÉvaç llÀ.anovt Ò!loÀ.o­youllÉvwç, 6rt6craç BQUXIliivEç xaì ' Iouùal:ot xaì Mayot xaì Aiyurtnot òtÉ8Ev-ro. Era una credenza dell 'epoca che sia Pita­gora, sia Platone avessero attinto a sapienze più antiche, estranee ed anteriori alla Grecia. Numenio, affermando la dipendenza dei sistemi di Platone e di Pitagora nei confronti delle rivelazioni dell'Oriente, si sente autorizzato ad interpretare il platonismo in funzione di queste lontane ispirazioni, che il filosofo deve cerca­re di ritrovare, completando Platone, ricondotto a Pitagora, con i dogmi degli 88v11 -rà EÙòoxtj..louv-ra, testimoni delle dottrine pi­tagoriche. Il pitagorismo trova testimonianza infatti, soprattutto nella Sacra Scrittura giudaica, poiché condivide con essa, l' idea d'una divinità immateriale. E nella parafrasi origeniana del pri­mo libro del nseì ràyat9ov (fr. l b), che si trova nel Contra Cel­sum, e sembra si riferisca alla citazione precedente di Eusebio, Numenio afferma che questi popoli, fra cui soprattutto gli Ebrei, credevano che Dio fosse incorporeo, e non esita nella propria opera ad utilizzare le parole dei profeti e ad interpretarle allego­ricamente (TQ01tOÀ.oyl;crat): 6 nuSayOQEtOç NOUj..lYJVtOç, ocr-rtç Èv -rcj} 1tQOOTCJ> llEQÌ -ràya8ou, À.Éywv 7tEQÌ T<ÒV È8vrov ocra 1tEQÌ TOU 8EOU roç àcrWj..lOTOU ÙtEtÀ.T]cpEv, Èyxa-rÉ-rai;Ev aù-rotç xaì -roùç 'Iouùaiouç, oùx òxv{Jcraç Èv -ri;l cruyyQacpi;l aù-rou XQfJcracr8at xaì À.oyotç rtQOcpT]nxoìç xaì TQOrtoÀ.oyl;crat

, l au-rouç. Per un greco dell' epoca imperiale qual è Numenio, queste

tradizioni : indiana, persiana, egiziana ed ebraica avevano in co­mune la tendenza ad ammettere un Principio superiore, che non fosse i l Demiurgo, e distinguere un Dio che esiste in sé, libero da ogni azione provvidenziale sul mondo e da ogni legame con

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il sensibile, ma oggetto d'un contatto, al quale solo l 'estasi po­tesse giungere.

Queste sapienze orientali si contrapponevano dunque, alla concezione ottimistica del pensiero stoico greco, di un mondo direttamente prodotto e governato da Dio. Esse esprimevano in­vece, la concezione d'un Dio ignoto e di conseguenza, una vi­sione pessimistica d'un mondo di fatalità e di lotta.

Secondo il Puech del 193425 fu lo gnosticismo, e probabil­mente la gnosi valentiniana, a rappresentare l 'antica verità degli f:SvT] -rà eùòoxq.wuv-ra, «le nazioni famose>>. Esso, sorto in ambienti ebraici, che subivano influenze orientali, unificando le dottrine che si attribuivano ali ' India, ai Magi, agli Egiziani e agli Ebrei, potè essere il tramite fra l 'Oriente e Numenio, essen­do giunto al tempo di questo filosofo, alla sua piena fioritura?6

E i Magi e i Bramani poterono essere stati loro a influenzare Numenio nell' importante dottrina, tramandataci da Porfirio nel suo llc(!Ì rwv rfjç 1/Jvxi]ç bvvaf..Lcwv (fr. 44), delle due anime an­tagoniste n eli 'uomo: una razionale, buona, l' altra irrazionale e cattiva, che non cessano di combattersi ( "AA.A.ot òi, rov xaì NOU)lllVtOç, où TQta )lÉQT] wuxiiç )ltaç lì òuo yE, -rò A.oytxòv xaì aA.oyov, àA.A.à òuo wuxàç EXEtV lilla<; o'iov-rat, rocrrtEQ xaì aA.A.a, nìv )lÈV A.oytx1lv, T�V 8' aA.oyov). La sola divina è l 'anima razionale, che, uscita dal primo Dio, può entrare in con­tatto con Lui, attraverso la contemplazione: Me-rÉXEt 8È aù-rou -rà )lETtcrxov-ra ÈV aAAql )lÈV oÙÒEVt , ÈV ÒÈ IJ.OVql Tql Q)QOVElV" (fr. 1 9). Essa tuttavia, diviene cattiva, non appena, incorporan-

25 «Numenius d'Apamée», cit., 747-748. 26 Già E.R. Dodds (Proclus. The Elements of Theology, Oxford 1 933,

308) aveva osservato un sorprendente parallelismo fra la gnosi valentiniana e la dottrina teologica di Numenio.

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dosi, entra in contatto con la materia.27 In nessun altro luogo, prima di Numenio, questa dottrina ha assunto una forma così ra-

.dicale nella tradizione greca. E Calcidio, attingendo al llsQÌ rà­yal?ov di Numenio,28 espone nella sezione finale dell 'In Ti­maeum (295-299 = fr. 52) la dottrina numeniana della materia come anima cosmica cattiva. Numenio appare apertamente dua­lista, nell'attribuire a Dio l 'origine del bene e alla materia l 'origine del male: «lo stesso Numenio loda Platone di affermare due anime del mondo, l 'una estremamente benefica, l' altra mal­vagia, 29 cioè la materia, che, malgrado si agiti senza ordine, tut­tavia, poiché si muove d'un movimento interiore, proprio, è ne­cessario che viva e sia animata, come tutte le cose che si muo­vono d'un movimento naturale;30 essa anche crea e domina la parte passibile dell 'anima, in cui c'è un elemento materiale, mortale e corporeo,3 1 come la parte razionale dell 'anima ha per autori la ragione e Dio».32 Secondo Numenio dunque, dalle due

27 Cf. fr. 52 = In Timaeum 296, dove Calcidio oppone la dottrina degli Stoici, che considerano la materia indifferente, a quella di Pitagora e di Plato ­ne e quindi di Numenio, secondo i quali la materia è cattiva (piane noxia) e causa del male: Deum quippe esse -ut etiam Platoni videtur- initium et cau­sam bonorum, silvam malorum.

lN Cf. Timaeus a Calcidio translatus commentarioque instructus, ed. J .H . Waszink, London/Leiden 1 962.

29 Cf. Platone, Leggi, X, 896 e 4-6. 3° Cf. Platone, Fedro, 245 e 5-7; Timeo, 30a 3-6; Plutarco, De animae

procrea/ione, 1 0 1 4 c. 31 Si tratta del corpo pneumatico, di cui l 'anima si riveste nella sua disce-

sa. 32 Platonemque idem Numenius laudat, quod duas mundi animas autumet,

unam beneficentissimam, malignam alteram, sci licet s i lvam, quae, licet in­condite fluctuet, tamen, quia intimo proprioque motu movetur, vivat et anima convegetur necesse est lege eorum omnium quae genuino motu moventur;

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anime cosmiche derivano le due anime che sono in noi, l 'anima patibilis e l 'anima rationabilis.

E Giamblico, nel suo llc(!L rjJv;ri]ç (fr. 43) tramanda che Nu­menio metteva l 'una contro l 'altra, in lotta, queste due anime e le due vite corrispondenti che esse animano, la vita razionale e quella irrazionale. Esse si oppongono ali 'unità de li' io, come lo concepiva lo stoicismo.

E qualche riga più in basso dello stesso frammento Giambli­co ricorda che «Numenio e Cranio facevano derivare il male dal­la materia>> .

quae quidem etiam patibilis animae partis, i n qua est aliquid corpulentum mortaleque et corporis simile, auctrix est et patrona, sicut rationabilis animae pars auctore utitur ratione ac deo.

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4. La Triade divina secondo Numenio

La famosa citazione di Repubblica VI, 509 B 6ss.33 sul Bene, che «non è essere, ma trascende l' essere, in quanto ne è superio­re in dignità e potenza>> ( oùx oùcriaç ov-roç -rou àya8ou, àì..ì..: iht ÈrtÉXEt va -rt;ç oùcriaç rtQEO"�Et<;l xaì 8uvaJ1Et UrtEQÉxov­-roç), pur dovendosi intendere "al di qua" d eli' interpretazione neoplatonica,34 rimasta com'è in un rigido ontologismo, essendo il Bene, anche se superiore all ' essere in dignità e potenza, pur sempre un' idea, cioè vero essere, e di conseguenza, la Sua tra­scendenza rispetto ali' essenza non può essere presa nello stesso senso della trascendenza dell 'Uno rispetto ali ' essere, possiede tuttavia in se stessa, una certa tensione antiontologica, che i Neoplatonici sfrutteranno, intendendo l 'Uno come Principio as­solutamente trascendente l 'essere, a qualunque livello lo si con­sideri.

Già i filosofi anteriori a Plotino dovettero cogliere questo si­gnificato antiontologico, ma tuttavia adottarono, riguardo al pas-

33 KaÌ. TOÌ:ç yt yvrocrXOIJ.ÉVotç TOt VUV Il� IJ.OVOV TÒ yt yvrocrxEcr8at rpavat ll1tÒ TOU àya8ou 7taQElVat, àJ...ì...à xaÌ. TÒ ElVat TE xaÌ. T�V oÙcrtav un' Èxdvou aÙToì:ç 1tQO<JEÌ:Vat, oùx oùcriaç onoç TOU àya8ou, àU' En È1tÉ­XEt va Tijç oÙcrtaç 1tQEcrPEtq xaÌ. ÒUVUIJ.Et tJ7tEQÉXOVLOç: «Si può dire, dun ­que, che gli oggetti conosciuti ricevono dal Bene non soltanto la loro capacità di essere conosciuti ma anche il loro essere e la loro essenza, pur essendo il Bene non essenza, ma qualcosa che per dignità e per potenza va ancora al di là del !' essenza».

34 Cf. F. Romano, Platonismo/Neoplatonismo: continuità e rotture, cit., 1 87 .

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so platonico un atteggiamento esitante e ambivalente come, per esempio, nel caso di Giustino, che descrive il primo Principio come rò o v, ma anche come bréxcl va ri]ç oùaiaç (Dia!. c. Tryph. 4, MSG 6, 484 A).35 Egli è un filosofo platonico, che, convertendosi al cristianesimo, fonda la propria fede sul­l' autorità della verità rivelata, ma anche dopo la conversione, n eli' esporre la propria dottrina cristiana, continua a considerarsi un filosofo platonico e questo non lo distingue dai filosofi paga­ni. Secondo Giustino, esiste una parentela fra la parziale genera­zione del Logos dei filosofi e il Logos non generato e ineffabile, che proviene da Dio. E nel colloquio con il maestro cristiano, Giustino ammette solo proposizioni razionalmente dedotte, uti­lizzando dali ' apologetica ebraica di tradizione alessandrina la teoria, secondo la quale gli insegnamenti della filosofia discen­dono dai profeti della Bibbia, affermando così, come Numenio (fr. 8), che Platone aveva attinto le sue dottrine da Mosè. Anche nella fonte medioplatonica di Calcidio (In Tim. , 176, p. 204, 5ss. Waszink) il primo Principio trascende l'oùaia, ma anche il vouç: Principio cuncta quae sunt et ipsum mundum contineri re­gique principaliter quidem a summo deo, qui est summum bo­num ultra omnem substantiam omnemque naturam, aestimatione intellectuque melior [ . . . ].

Il fatto è che fino a Plotino, molti Medioplatonici, pur inten­zionati ad accentuare i caratteri di separatezza del primo Princi­pio, non lo collocarono chiaramente al di sopra dell' intelletto e dell' essere. Lo stesso Numenio sembra incerto su questo punto. A fr. 1 6 des Places (Eus . , Pr. ev., Xl, 22, 3-5, p. 544 a-b V.; II,

3 5 Su l i 'atteggiamento incerto dci filosofi medioplatonici, a proposito di Repubblica 509 8 6 ss. cf. il notevole e assai erudito articolo di J. Whittaker, « ' En:ÉxEt va voli xaì oùaiaç)), Vigiliae Chrislianae, 23, 1 969, 9 1 -104.

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LA TRJADE DIVINA IN NUMENIO 33

p. 49, 1 3-50, 8 Mras) egli scrive: Ei ò' f:crn �Èv vorrròv T) oùcria xaì T) iòÉa, -ratYrTJç ò' <Ò!lOÀoyfJSTJ rtQEcr�{rrEQOV xaì

,, ';"' le - , ' 7 , f!l " ' at no v Et vat o vouç, au-roç ou-roç �ovoç EUQTJTat oov -ro àya86v. Kaì yàQ EÌ ò !lÈV ÒTJ!llOUQyÒç 8E6ç Ècrn yEvÉcrEooç, ÒQXEt -rò àya8òv oùcriaç d vat ÒQXTJ, dove sembra tenere pre­sente Repubblica 5098. Tuttavia, continuando dice: EtrtEQ òÈ ò ÒTJ!ltOUQyÒç ò -rflç yEvÉcrEroç Ècrnv àya86ç, � nou f:cr-rat xaì ò -rflç oùcriaç ÒTJ!llOUQyÒç aù-roaya8ov, crullcpUTOV -rij oùcri�. E successivamente scrive: ò !lÈV rtQihoç 8EÒç aù-roaya8ov· ò òÈ -rou-rou !llllTJT�ç ÒTJ�tOUQyÒç àya86ç· T) ò' oùcria 1.1ia 11Èv T) -rou rtQffi-rou, ÉTÉQa òÈ T) -rou ÒEUTÉQou· e così a fr. 2 des Pla-ces (Eus., Pr. ev. , Xl, 2 1 , 7-22, 2; p. 543 b-d V.; II, p. 48, 1 7-49, 1 3 Mras) rò àym96v è descritto come Ènoxou�Evov ÈnÌ -rij oùcri�. Anche l'aùroayaz9ov di Numenio non è dunque, com­pletamente separato dall ' oùcria. Ancora a fr. 22 des P laces (Pro­clus, In Timaeum, III, 1 03 , 28-32 Diehl) il primo Dio sembra superiore al vouç, ma allo stesso tempo capace di VOTJcrtç.

Oltre che Numenio, altri Neopitagorici, fra cui lo Pseudo­Brotino, dovettero afferrare la tensione antiontologica insita in Repubblica, 509B, e collegarono il Bene con l 'Uno, tradendo così l 'influenza del Parmenide, che veniva interpretato già a monte di Plotino, in chiave teologico-metafisica e sottoposto dunque, a questo dibattito.36

Nel neoplatonismo, l ' idea che l 'Uno è Principio assoluto, se da un lato implica una rottura con la tradizione platonica,37 e co­stituisce quella "discontinuità" nella stessa tradizione, di cui il plotinismo rappresenta la prima manifestazione storicamente de­terminata, dali 'altro lato, presenta un'evidente origine pitagori-

36 Cf. J. Whittaker, « ' E1tÉXEt va voli xaì. oùcriaç», ci t . , 95.

3 7 Cf. F. Romano, «Platonismo/Neoplatonismo: continuità e rotture», cii.

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co-neopitagorica, in virtù dell' idea, secondo cui il numero l è principio di ogni numero. 38

Come testimonia Siriano (In Metaph. 1 66, 5-6 Kroll), lo Pseudo-Brotino afferma infatti, che «il Principio supera in po­tenza e dignità sia l ' intelletto che l 'essere)) : BQOTtvoç 8È roç voù 7taVTÒç xaÌ oùcri.aç ÒUVUIJ.Et xaÌ 7tQEcrPEt<;X l>1tEQÉXEt (se. ll Évtai.a aì Tta). Questa nozione d'un primo Principio che tra­scende l'ovaia e i l voùç derivava direttamente dall'analogia del sole in Repubblica VI e Plotino, che senza dubbio ha alle spalle una lunga tradizione interpretativa, afferma categoricamente in Enneadi V, l , 8, 6ss . : Toù aÌTi.ou 8È voù ovToç rraTÉQa cprJcrÌ (se. Plato) Tàya8òv xaì TÒ ÈrrÉxEtva voù xaì ÈrrÉxEtva oùcri.­aç . . . rocrTE IH.aTrova doévm Èx �J.Èv Tàya8où TÒv voùv. La fon­te principale della dottrina in questione è indubbiamente Repub­blica 5088 9ss . : 'AQ' ouv où xaì 6 �À.toç o\).>tç IJ.ÈV oùx Ecrnv, at noç 8' rov aÙTi'jç OQCXTat un' aÙTi'jç TUUTllç/ ... ToÙTOV TOt­vuv . . . cpavm IJ.E ì..ÉyEtv TÒv Toù àya8où Exyovov, Ov Tàya8òv ÈyÉvvrJcrEv àvaì..oyov ÉauTqi, on 7tEQ aÙTÒ È v Tqi VOTJTéii Tomp 7tQ6ç TE voùv xaì Tà voOUIJ.EVa, TOÙTO TOÙTOV Èv Tqi OQaTqi 7tQOç TE o\).>t v xaì Tà OQOOIJ.EVa.

Inoltre, lo Pseudo-Alessandro di Afrodisia testimonia (In Me­taph. 821,32-822, 2 Hayduck) che «tra coloro che parlano delle essenze immobili (Tàç àxtv�Touç oùcri.aç), come di numeri ideali ( ToÙç EÌÒT)Ttxoùç àQt81J.ouç), alcuni come Platone e Bro­tino il Pitagorico, dicono che il Bene in sé è l 'Uno e si �ostanzia nell 'essere Uno (TÒ àya8òv aÙTÒ TÒ EV Ècrn xaì oùcriroTat Év

38 Cf. F. Romano, «La probabile esegesi pitagorizzante del Parmenide di Platone», in Il Parmenide di Platone e la sua tradizione, A tti de/Ili Colloquio

internazionale del Centro di Ricerca sul Neoplatonismo, a cura di M . Bar­banti e F. Romano, Symbolon 24, Catania 2002, 1 97-248 .

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-rqi cv dvat), come spesso si dice».39 L'osservazione di Siriano, che riproduce l'espressione dello Pseudo-Brotino si ispira a Re­pubblica 509B, mentre il commento dello Pseudo-Alessandro tradisce l ' influenza del Parmenide: in Siriano infatti, il primo Principio è al di là d eli' oùaia, e del voùç, nello Pseudo­Alessandro è oùcri.ro-rat Év -rqi cv d va t . Questa dottrina si riferi­sce (roç rroÀ.À.axtç E'tQ11Tat) a Platone e Brotino, ma anche ad al­tri scrittori neopitagorici (Platone e Brotino sono citati infatti, solo come esempi di oi J..LÉv). Questo significa che, fin dallo Pseudo-Brotino e da altri Neopitagorici, le ipotesi del Parmenide venivano interpretate secondo criteri teologico-metafisici. E Dodds, nel suo fondamentale e famoso articolo,40 commenta, di­cendo che tale sottile dottrina, secondo cui l 'Uno superessenzia­le diviene essenza per il fatto stesso che è Uno, non può non avere come sua fonte il Parmenide, da cui passò negli scritti pi­tagorici apocrifi.4 1

Sorprendentemente, una simile terminologia viene utilizzata da Numenio, fr. 4b des Places (Nemesius, llt:QÌ cpvat:wç à­vJJewrrov, 2, 8- 14; MSG 40, 540), a proposito della -rovtx� xi.­Vllcrt<; degli Stoici : -ri.ç i) ouvaJ..Lt<; aihll xaì Èv Tt Vt oùcri.ro-rat. Come responsabile di siffatta terminologia, lo Pseudo-Brotino può essere stato contemporaneo o non molto anteriore a Nume­nio.42 Se però, lo Pseudo-Brotino colloca il primo Principio al di

39 O i J!ÉV., 0001tEQ 6 nì..a't"OOV xaì. BQO'rt voc; 6 nu8ay6Qetoc;, cpaaì. v O'rt 't"Ò àya8òv aÙ't"Ò 't"Ò EV Èan xaì. oùairo'rat È v 'réi) EV d Vat roe; rtoì..A.axtc; elQTJ't"Ol.

40 «The Parmenides of P l ato and the Ori gin of the Neoplatonic One», CQ, 22, 1 928, 1 29- 1 42 .

4 1 Ibid. , 1 38. 42 H. Thes le ff (An lntroduction lo the Pythagorean Writings ofthe Helle­

nistic Period, A bo 1 9 6 1 , 1 1 5) tuttavia, colloca il llt:QÌ voù xaì 8zavoiaç del-

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là dell'oùaia e del vovç, altri Neopitagorici, come testimonia Giamblico,43 lo identificano effettivamente col voùç, dimostran­do così l ' incertezza tipica dei Medioplatonici sulla collocazione

lo Pseudo-Brotino, da cui possono essere derivati i commenti dello Pseudo­Alessandro e di Siriano, intorno al I li-II secolo a.C.

43 La teologia dell 'aritmetica, ed. F. Romano, Il numero e il divino cit.; Idem, Giamblico. Summa Pitagorica cit., 84 1 -843 : « l Pitagorici, dunque, lo chiamano non solo dio, ma anche intelligenza, e maschio -femmina: intelli­genza, perché il potere assolutamente egemonico di dio, che si trova sia nella sua capacità di creare il mondo che in generale in ogni sua attività crativa e in ogni suo potere razionale, anche se non si manifesta nella materia individua­le, è intelligenza nell 'agire, perché è identità e immutabilità nel conoscere, al­lo stesso modo del!' l che, sebbene differenziato nelle varie specie di enti, contiene in sé tutte le cose allo stato mentale, come se fosse un principio ra­zionale capace di creare come dio, e che non muta rispetto al principio razio­nale che è in sé, né permette ad altro di mutare, ma che rimane immutabile come lo è veramente anche la Moira Atropo». Tra gli scritti matematici di Giamblico, Francesco Romano include nel suo Il numero e il divino come anche nella Summa Pitagorica i Theologoumena arithmeticae pseudo­giamblichei, ma questa scelta non contesta la tesi corrente della non autentici­tà di tale scritto, anche se non manca, chi come J. Dillon, « lamblichus of Chalcis», ANRW, II, 36, 2, 1 987 ,876, sostenga che l 'opera può essere consi­derata un compendio del libro VII della Summa pitagorica. Certo è, afferma Romano (// numero e il divino cit., 34 ss.) che la dottrina contenuta nel libro VII della Summa Pitagorica e nei Theologoumena arithmeticae, due testi che sono un insieme di "estratt i" da Giamblico, o da fonti della sua

'teologia del

numero, si inquadra organicamente nella cornice più vasta della Summa pita­

gorica, ma anche degli altri trattati giamblichei ad essa esterni, e cioè il De

mysteriis e il De anima, opera quest'ultima che si distingue per la nozione di "facoltà" (8uva,..nç) psichica, caratterizzata da una visione gerarchizzante, ti­pica del pensiero neoplatonico, come dimostra D.P. Taormina (l/ lessico delle

potenze del/ 'anima in Giamblico, Firenze 1 990 = Symbolon l 0) sulla base di un esame lessicografico, confrontato in tutti gli scritti giamblichei.

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del primo Principio, che trascende ovaia e voùç, o viene identi­ficato totalmente col voùç.

Ora, difficilmente i l pitagorismo rinascente può essere collo­cato in un determinato periodo di tempo, così come accade inve­ce, per il platonismo, che si rinnova con Antioco di Ascalona,44

dopo la lunga parentesi scettica. lnvero, una tradizione pitagorica è già operante nel l secolo

a.C., convalidata dagli scritti "Pseudo-Pythagorica", che è pos­sibile oggi leggere nell 'edizione di Thesleff.45 A partire dalla se­conda metà del l secolo a.C. la storia del platonismo s' intreccia infatti, e quasi si confonde con quella del pitagorismo.46 Il risve­glio del pitagorismo del l secolo a.C . si verifica soprattutto a Roma, con Nigidio Figulo e ad Alessandria, con Eudoro e Ario Didimo,47 ed è testimoniato dalla circolazione di testi neopitago­rici, quali le Memorie pitagoriche di Alessandro Poliistore, il Trattato sulla natura del! 'universo dello Pseudo-Ocello Lucano, il trattato Sui principi dello Pseudo-Archita.

Medioplatonismo e neopitagorismo sono coalescenti all' ini­zio dell 'età imperiale romana. Si tratta infatti, di un unico orien­tamento di pensiero, che si può qualificare come platonico­pitagorico o pitagorico-platonico, a seconda che si sottolinei l'uno o l 'altro aspetto di tale comune dottrina, come chiaramente avviene nel I l secolo d.C. , con Numenio, come testimoniano le

44 Cf. Eva Di Stefano, «Antioco di Ascalona e la crisi dello scetticismo nel I secolo a.C.», A tti, Bibliopolis, 1 98 1 , vol . l, 1 95-209.

45 Cf. H. Thesleff, The Pythagorean Text of the Hellenistic Period, Àbo 1 965.

46 Cf. F. Romano, «La probabile esegesi pitagorizzante del Parmenide di Platone», cit., 236.

47 Le origini della rinascita del pitagorismo sono discusse da H . Thesleff, An Introduction to the Pythagorean Writings, cit., 46-7 1 .

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fonti . Nei primi secoli d.C. infatti , le due scuole sono associate in una relativa corrispondenza dottrinale, anche se la stretta rela­zione tra Platone e il pitagorismo risale almeno al III secolo a.C. , quando si suppose che il Timeo di Platone era stato copiato da un libro pitagorico.

Momento essenziale di questa simbiosi tra platonismo e pita­gorismo, è rappresentato da Eudoro di Alessandria e Moderato di Gades, contemporaneo di Nerone e dei Flavi, che interpretò l 'antica teoria pitagorica del numero in senso metafisico. Porti­rio nella Vita di Pitagora (48 = pp. 58-59 des Places) ci dà noti­zia che Moderato si sarebbe servito nei suoi libri di Studi Pita­gorici delle dottrine pitagoriche sui numeri, per spiegare i prin­cipi metafisici di Platone.

Per primo, è stato Dodds, che nel suo significativo articolo48

ha dimostrato, sulla base di un brano di Simplicio (In Phys. 230, 34ss. Diels),49 che a sua volta, si rifà a Porfirio, come già nel l secolo d.C., Moderato di Gades conoscesse un' interpretazione neopitagorica del Parmenide, analoga a quella dei Neoplatonici : «Questa congettura intorno alla materia (che essa sia incorporea e priva di qualità), sembra che fra i Greci, per primi l 'abbiano

4M «The Parmenides of Plato . . . » ci t., 1 29 ss. 49 TaUTT]V OÈ TCEQÌ Tijç UÀ.T]ç urc6votav f:oixamv ÈOXT]XÉVat TCQéihot

)lÈV TOOV • EU�vrov oi. nueayOQEtOt, J.lETà o' ÈxEivouç 6 m .. chrov, roç xaì MoOÉQaToç lO"TOQEl. OUToç yàQ xaTà Tou(; nueayOQEtouç TÒ )lÈV TCQOOTOV EV UTCÈQ TÒ dvat xaì rcaoav oùoiav àrcoq>atVETat , TÒ OÈ OElJTEQOV EV, OTCEQ ÈoTÌ TÒ ovTroç ov xaì VOT]TÒv, Tà ctOT] q>EoÌv dvat , TÒ oÈ TQtTov, orcEQ Èon TÒ tJmxtx6v, J.lETÉXEtv TOÙ ÉvÒç xaì Trov a::ioéòv, T�v oÈ àrcò TOIJTou TEÀ.EuTaiav q>um v T�v Trov aio8T]Téòv oùoav J.lT]OÈ J.lETÉXEt v, ÒÀ.À.à xaT' EJ.lq>am v Èxa::i vrov XEXOOJ.lijo8at, Tijç È v aÙTotç UÀ.T]ç TOÙ J.l� ovToç TCQCOTroç Èv n'ii TCOO"ql OVTOç OUOT]ç O"XtOO"J.lO xaì ETt J.lUÀ.À.OV urcoj3Ej3T]XUtaç xaì. àrcò TOUTOU.

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avuta i Pitagorici, e dopo di loro Platone, come racconta anche Moderato. Questi infatti, seguendo i Pitagorici, mostra che il primo Uno è al di là dell' essere e di ogni essenza ('rò !!ÈV 1tQWTov EV urrÈQ -rò élvat xaì. rràcrav oùcriav), mentre il se­condo Uno, che è l' ente veramente tale ed è intelligibile (-rò ovnoç ov xaì. VOllTÒv,) sono le Idee (-rà EHill), e il terzo Uno, che è quello psichico, partecipa dell'Uno e delle Idee (!lETÉXEtv -roù ÉvÒç xaì. -rwv Eiòwv), mentre la natura ultima, che deriva da questo e che è quella dei sensibili, non ne partecipa affatto, ma è ordinata per riflesso di quelli (xa-r' f:wpacrt v ÈxEi vrov,) essendo la materia nei sensibili primariamente ombra del non essere nel­la quantità di essere (-riìç Èv aù-rotç UÀ.llç TOÙ Il� ov-roç 1tQOOT(J)ç Èv Tql 1t(J)(Jql ov-roç OUcrllç crxiacr!la) e di livello ancora inferiore e derivatO>).

Sembra però, che la dottrina pitagorica degli Uno, operanti a diversi livelli, e corrispondenti dunque, agli Uno delle prime due ipotesi del Parmenide, fosse già conosciuta prima di Moderato, nel l secolo avanti Cristo, come testimonia Simplicio (In Phys. 1 8 1 , l Oss. Diels ), 50 da Eudoro di Alessandria, che espone

5° Ka-rà -ròv àvom1-roo À.oyov cpa-rÉov -roùç nueayoQtxoùç -rò EV àQx�v -réiiv miv-roov À.Éyt:tv, xa-rà ùt: -ròv ùt:u-rt:Qov ì..oyov ùuo àQxàç -réiiv àrro-rt:­À.ou!J.Évoov d va t, -rò -rE EV xaì. -r�v f:vav-riav -rou-rq> cpum v . . . ùto, cpTJcri, xaì xa-r' clÀ.À.OV 't"Q07t0V àQx�v ecpacrav d Vat -réiiv miv-roov -rò EV, roç a v xaì. -rfiç UÀ.Tjç xaì. -réiiv ov-roov m1v-roov èl; aù-rou YEYEVT)IJ.EVOOV. 't"OU't"O ùÈ d Vat xaÌ. 't"ÒV ll1tEQclVOO 9EOV ... cpT)).JÌ 't"Ot VUV -roÙç 1tEQÌ. 't"ÒV nu9ayOQaV -rÒ !J.È:V EV 7tclV't"OOV àQx�v àrroÀ.mdv, xa-r' aÀ.À.ov ÙÈ 't"Q01t0V ùuo -rà àvoo-ra-roo cr-rotxda rraQEtcrayEtV . . . OO<J't"E roç !J.È:V àQx� -rò EV, roç ùÈ <HOtXEÌ:a -rò EV xaì. ti à6Qtcr-roç ùuaç, àQxaì. cl!J.cpOO EV ov-ra 7tclÀ.t v. xaì. ùfiì..ov o n aÀ.À.o )..lÉV Ècrnv Ev ti àQX� nov 1tclV'rOOV, ano ùÈ; EV -rò -rij ùuaùt àvnxEt)..lEVOV, o xaì. !J.Ovaùa xaÀ.oumv.

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l ' opinione sui due Uno dei Pitagorici,5 1 che distinguono un pri­mo Uno, quale principio unico e comune di tutte le cose, e un secondo Uno che, insieme con la Diade, costituisce la coppia dei principi supremi, che Eudoro chiama Monade; «Bisogna dire che i Pitagorici affermano che l 'Uno, secondo il ragionamento di livello più alto (xa-rà -ròv àvro-rchro ì..6yov) è principio di tut­te le cose (àQXlÌV nòv m1v-rrov), mentre secondo il ragionamento di ordine secondario ( xa-rà ùÈ -ròv ÙEUTEQOV ì..6yov ), sono due i principi delle cose che si producono (ùuo àQxàç -rrov àrtoTE­ÀOUJ.lÉvrov), l 'Uno e la Natura ad esso contraria, (TÒ TE EV xaì -r'JÌv Èvav-riav -rounp cpumv) [ . . . ] dunque, continua Eudoro, an­che in Un altro senso (xat XaT' OÀÀOV TQ01tOV) dicono che prin­cipio di tutte le cose è l 'Uno, nel senso che da esso sarebbero generati e la materia e tutti gli enti ( roç av xaì -rfjç UÀllç xaì TWV ov-rrov m1v-rrov ÈS aù-roù yeyEVllJ.lÉvrov). E questo è anche il Dio supremo (-ròv urtEQavro 8e6v) [ . . . ] . Affermo di conseguen­za, che Pitagora (-roùç rtEQÌ -ròv f1u8ay6Qav), mentre lascia l 'Uno principio di tutte le cose, in un altro senso, invece, intro­duce i due elementi supremi [ . . . ] in modo che l 'Uno sia princi­pio, e l'Uno e la Diade indeterminata siano elementi, e ambedue gli Uno ancora una volta principi (rocrTE roç J.lÈV àQXlÌ TÒ EV, roç ùÈ <JTOlXEÌ:a TÒ EV xaì il à6Qt<JTOç ùuaç, àQxaì awpro EV OVTa

51 Gli studiosi tuttavia, ritengono che tale dottrina appartenga allo stesso Eudoro, come propria interpretazione originale del pensiero neopitagorico e quindi sia dottrina nuova rispetto a quell a del pitagorismo classico, poiché, afferm ando l'unicità del Principio, rompe con la teoria p latonica dei Principi e prelude dunque, al neoplatonismo. Cf. F. Romano, Il neoplatonismo, ci t., 22. L'origine neopitagorica del concetto di Uno quale "Assoluto trascenden­te" è stata dimostrata dallo studio di J. Whittaker, «Neopythagoreanism and the Trascendent Absolute», Symbolae Osloenses 48, 1 973 = J . W., Studi es in

Platonism and Patristic Thought, London 1 984, 77-86.

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mxÀtv). Ed è evidente che altro è l 'Uno come principio di tutte le cose, altro l 'Uno come opposto alla Diade, che chiamano an­che Monade».

L'Uno dunque, è il Principio di ogni cosa, anche se in un al­tro senso, dice Eudoro, occorre dire che delle cose in divenire, i principi sono due, e cioè l 'Uno e la natura ad esso contraria, la Molteplicità. In questo secondo senso, non si tratta di principi, ma di "elementi sommi" (àvona·rro cr-rotxda). Quindi Eudoro distingue l 'Uno come Principio assoluto e unico, dall'Uno come elemento primo assieme alla Diade indeterminata. Di conse­guenza, il principio di tutte le cose è uno solo, l 'Uno assoluto, mentre sono subalterni a quest'ultimo gli elementi della molte­plicità infinita delle cose. Questa teoria di Eudoro dei due Uno è conseguenza della necessità di mantenere contemporaneamente la trascendenza del l 'Uno e la sua funzione di principio della molteplicità e quindi la sua coordinazione con la Diade ideter­minata.

Ancora più significativo, riguardo all'esegesi neopitagorica del Parmenide, appare il discorso di Numenio, come testimonia la fonte Eusebio, nel fr. 2 ci t., 1 7-23 d es P laces (P r. e v., Xl, 2 1 ; Il , pp. 48 ss. Mras) del fl&(!Ì ràyatJoù, in quelle parole, con cui egli accompagna l 'esortazione ad abbracciare lo studio delle ma­tematiche: «armarsi di ardore giovanile verso le matematiche (vEavtEucra)lÉV<p rtQÒc; -rà )la8�)laTa) e contemplare i numeri (-roùç àQtS)loÙç 8Eacra)lÉvcp) e così esercitarsi matematicamente su che cosa è l 'Essere» ( oihcoç Èi{)lEÀETTjcrat )l0811)la, T t Ècrn TÒ ov).

La storiografia moderna ha discusso soprattutto alcuni fram­menti numeniani, relativi alla distinzione dei tre livelli della di­vinità. Si tratta di una procedura che non può non venire consi­derata un precorrimento di quella plotiniana, anche se la gerar-

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chia teologica di Numenio non assegna al Principio supremo uno statuto meta-noetico.

La concezione delle due anime s 'accorda infatti, col raddop­piamento del ÒEtrrEgoç 8E6ç, discusso da Numenio nei suoi di­scorsi teogonici, denominati "Sul Primo e sul secondo Dio" (8Eou ngorrou xaì ÒEUTÉQOU, in Eusebio, Praep. ev. , Xl, 1 8, l , p. 40, 1 3 Mras = fr. I l e 1 2) . Mentre il primo Dio è l' Idea del Bene, il ÒEl>TEQOç 8E6ç è buono per partecipazione al Primo. 52 Il ÒEl>TEQOç 8E6ç però, pur essendo ugualmente uno ( ò 8EÒç !!É­v-rot ò ÒEu-rq�oç xaì TQi -roç Ècr-rì v élç fr. 1 1 ), possiede un doppio carattere. 53 Se partecipa del primo Dio è ÒEUTEQOç, men­tre, se si rivolge alla materia che è diade, è -rgi -roç e può essere considerato come i l mondo: «il Dio che è secondo e terzo non è che uno; tuttavia, per il fatto che si associa alla materia che è diade, se la unifica, è diviso da essa, che è dotata di concupi­scenza ed è fluida. Poiché dunque, non è più attaccato ali' Intelligibile (in questo caso sarebbe attaccato a se stesso), per il fatto che guarda la materia, si prende cura di essa e si dimenti­ca di se stesso (ànEgion-roç Éau-rou yiyvETat). Entra in contat­to con il sensibile e lo predilige, lo eleva inoltre fino al proprio carattere, avendo diretto il proprio desiderio verso la materia» (Ènogd;allEvoç -ri'jç UÀ.T]ç, ibid.).54 Ed è proprio il desiderio del-

52 Cf. fr. 20: El7tEQ Ècrt"Ì. jJ.Et"oucri<;X t"OÙ 7tQcOTOU à;ya9où àya96ç, <àya9où> iòta av ElTJ o 7tQCihoç voùç, cììv aÙToaya9ov.

SJ Cf h ti 1 6 . o ' s: , s: ' � ' - , ' s: , . an c e r. : yaQ uEUTEQoç ut TToç rov auT07tOtEt t"TJV TE tuEav f:aut"où xaì. TÒv xocrjJ.OV, ÒTJjJ.toUQyÒç cììv. L' aÙTonotd può essere un ha­

pax.

54 A fr. 2 1 (Proclus, In Timaeum, I, 303,27-304,7 Diehl) Numenio però, non lascia la stessa gerarchia di fr. I l , dove il primo Dio non è creatore, mentre il Secondo e il Terzo nun sono che Uno, e il Terzo, pur essendo di­staccato dal Secondo, ha ugualmente natura demiurgica. Nel fr. 2 1 invece,

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la materia, il desiderio del corpo e della vita terrena, che deter­mina la discesa e la caduta dell'anima.55

Le stesse descrizioni del Primo e del secondo Dio di certo, si riscontrano nei frammenti degli Oracoli caldaici, che sembrano in stretto rapporto con Numenio.56 Gli Oracoli caldaici hanno goduto di una straordinaria fortuna nella tradizione platonica an-

Proclo, chiedendosi in quale posto debba collocarsi nella gerarchia degli es­seri il Demiurgo, riferendo l 'opinione di Numenio, afferma che questo filoso­fo «proclama che ci sono tre Dei e chiama il primo Padre (rta-rÉQa) , il se­condo Creatore (rtot T]'t"�v), il terzo Creazione (rtoi T]J..ta); perché il mondo, se­condo lui è il terzo Dio. In modo che, nella sua dottrina, vi sono due Demiur­ghi, il primo Dio e il Secondo, mentre il terzo Dio è il mondo creato (-rò OTJJ..llOUQYOIJJ..LEVov). È meglio, in effetti, esprimersi così, che parlare, come fa Numenio, in stile tragico, di nonno, figlio, nipote (mlrtrtov, 1'-:yyovov, àrt6-yovov). Ora, con un simile linguaggio, in primo luogo, ci si inganna, conside­rando il Bene nel numero delle cause suddette; il Bene invece, non è tale per natura da poter fare coppia con qualunque cosa, né d'essere inferiore in grado ad altra cosa». Proclo qui vuole dire che, assimilando "Padre" al Bene, Nu­menio contraddice Timeo, 28c3 : -ròv J..LÈV oùv rtotT]-r�v xaì rta-rÉQa, dove rtot T]-r�ç precede rta-r�Q. poiché pone il Bene che trascende ogni posizione, sullo stesso piano delle classi divine inferiori, che invece si riferiscono al primo Dio, che le trascende tutte. Sulla gerarchia divina di Numenio cf. M. Baltes, Numenios von Apamea und der Platonische Timaios, in �IANOH­MATA. Kleine Schriflen zu Platon und zum Platonismus, Stuttgart-Leipzig 1 999, 1 -32.

55 Fr. 1 1 : 6 8t:Òç J..LÉv-rot 6 OEU't"EQO<; xaì -rQi-roç Èc:nìv Etç· crUJ..L<pEQOJ..lE­voç OÈ -rij UÀ.l] ouaot oucrij Évot J..LÈV aù-r�v. crxiçt:-rat OÈ urt' aù-rTjç, È7tt-8UJ..LT]'t"lXÒV �8oç ÈXOUOT]ç xaÌ QEOUOT]ç. Tqi oÙv J..l� dvat 1tQÒç -rqi VOT]Tqi (�v yàQ àv rtQÒç Éau-rqi) otà -rò -r�v UÀ.T]V �À.ÉrtEt v, -rau-rT]ç È:rttJ..LEÀ.OUJ..lEVoç àrtEQlOrt-roç Éau-rou yi. yvt:-rat. Kaì art't"E't"at -roti aicr8T]'t"OU xaì 1tEQlÉ1tEt àvaye:t -rt: 1'-:n dç -rò "lowv èeoç èrtoQt:l;aJ..Lt:voç -rTjç ui..TJç.

56 Cf. E.R. Dodds, ��New Light on Chaldaean Oracles», HThR, t. UV, 1 96 1 , 265-272.

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tica, ed anche oltre,57 fin dall'epoca della loro redazione, che ri­sale alla seconda metà del secondo secolo d.C. E, con l 'ec­cezione di Plotino, che, secondo Pierre Hadot,58 non ha cono­sciuto gli Oracoli caldaici, o ha rifiutato di interessarsene, essi, divenendo una sorta di "Bibbia dei Neoplatonici"59, furono og­getto di forte interesse, da parte appunto dei maggiori esponenti del neoplatonismo, non soltanto pagano.

Dopo l 'edizione curata alla fine dell'Ottocento da Wilhelm Kroll,60 quasi tutti i più importanti studiosi della cultura tardo­antica si sono occupati di questa raccolta. Tra i contributi più re­centi vanno segnalati i saggi di Michel Tardieu,6 1 Henri Domi­nique Saffrey,62 Luc Brisson,63 e la nuova edizione con com­mento di Ruth Majercik.64

57 Michele Psello li commentò diffusamente. Cf. É des Places, Oracles

Chaldai"ques avec un choix de commentaires anciens, texte établi et traduit par É des P laces, Paris 1 97 1 , 1 53-20 l .

SK Cf. P. Hadot, Bi/an et perspectives sur /es Oracles Chaldai"ques, in H . Lewy, Chaldaean Oracles and Theurgy, Paris 1 9782, 703-20.

59 Come ha affermato Franz Cumont, Orientai Religions in Roman Paga­

nism, London 1 9 1 l . 6° Cf. G. Kroll, De oraculis chaldaicis, Breslau 1 894. 6 1 M. Tardieu La Gnose Valentinienne et !es Oracles Cha/dai"ques, in B .

Layton (ed.), The Rediscovery ofGnosticism, l , Leiden 1 980, 1 94-237. 62 H.D. Saffrey, «Les Néoplatoniciens et les Oracles. Chaldai"ques)), Revue

des Études Augustiniennes, XXVII, 1 98 1 , 209-225. 63 L. Brisson, La piace des Oracles Chaldai"ques dans la Théologie Plato­

nicienne, in A.-Ph. Segonds - C. Steel (a cura di), Proclus et la Théologie

Platonicienne. Actes du Colloque lntemational de Louvain, 1 3- 1 6 mai 1 998. En l' honneur de H .D. Saffrey e L.G. Westerink, Leuven-Paris 2000, 1 09-62.

64 R. Majercik, The Chaldean Oracles: Text, Translation and Commenta­

ry by R. M . Studies in Greek and Roman Religion, 5, Leiden-New York­K0benhavn-Koln 1 989.

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Restano tuttavia aperte, importanti questioni, quali l ' in­certezza sull'autore e sulla natura della silloge, che si è costituita con citazioni sparse e frammentarie, ricavate da fonti prevalen­temente neoplatoniche.

Gli oracoli vengono presentati come trasmessi dagli dei (9EortaQa8o-ra) e pronunciati da spiriti guida, che si trovano in oggetti magici, cruv9��a-ra o m)��oÀa, o da medium umani in stato di possessione divina.

Complesse sono pure le questioni riguardanti i rapporti tra gli Oracoli e autori, o correnti religiose e filosofiche dell' epoca. Ri­spetto al i ' ermetismo e allo gnosticismo, è impossibile stabilire rapporti di priorità o di posteriorità, in quanto esiste un retroterra culturale comune, dal quale tutte e tre queste forme si sono svi­luppate.

Un'altra importante controversia concerne il rapporto tra gli Oracoli e Numenio. Soprattutto in due casi le somiglianze sono notevoli n eli ' espressione e nel pensiero. Il fr. 7 des P laces degli Oracoli infatti, dice: «Perché il Padre perfezionò tutte le cose, e le diede a un Intelletto secondo, che voi, intero genere umano (nav yÉvoç àv8Qffiv), chiamate Primm),65 che richiama da vicino il fr. 1 7 des Places di Numenio, dove c'è un'analoga apostrofe ( ro av9QWTtOt) e si rimprovera agli uomini di considerare Primo un Intelletto, che in realtà, è inferiore e meno divino dell' altro: «È come se Platone dicesse : Uomini, Colui che voi considerate Intelletto, non è il Primo; c'è prima di Lui un altro Intelletto, an­teriore e più divinm).66

65 rrav-ra yàQ ÈI;,ETÉAEO"O"E rraT�Q xaì v/i) rraQÉOOOXE OEUTÉQ/i), ov TCQéòTOV XÀ.TJlçETE TCUV yÉvoç ÙVOQéòV.

66 ' .,.Q aveoorrot , OV TorraçETE UJ.lEÌç voùv oùx EO"Tt TCQéòToç. àAA. . ETEQO<; TCQÒ TO\JTOU voùç TCQEOPUTEQOç xaì 9EtOTEQoç' .

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Il frammento 8 des Places degli Oracoli recita: «Presso di lui siede la Diade, perché essa possiede entrambe le funzioni : con­tenere con l 'intelletto gli intelligibili e introdurre nei mondi la sensazione)) ( a'{cr8Tjcrt v). In questo frammento degli Oracoli si trova dunque, la stessa doppia funzione della diade, che corri­sponde a un secondo Intelletto rivolto verso l ' Intelligibile e ver­so il sensibile. E Numenio a fr. 1 5 dice : «ora il Primo si occupa degli Intell igibili, il Secondo degli Intelligibili e dei sensibili)). In tal modo, la vita è data ai corpi, quando il Demiurgo si volge verso di noi e ci guarda, ma tutto finisce, se il Dio volge lo sguardo verso se stesso (fr. 12 cit.). A frammento 15 Numenio dunque, afferma che l 'attività del secondo Intelletto è rivolta, proprio come quella della Diade subordinata al Padre caldaico di fr. 8 degli Oracoli, al mondo sensibile e al mondo intelligibile.

Festugière e Waszink hanno pensato che sia stato Numenio a ispirare gli Oracoli,67 mentre Dodds e des Places hanno ipotiz­zato il contrario, e cioè che l 'apostrofe ali 'umanità sia sorta in un contesto oracolare, anziché filosofico.68 Lewy invece, evi­denzia le differenze dottrinarie tra gli Oracoli e Numenio, e spiega le somiglianze con una comune fonte medioplatonica.69 P. Hadoe0 sottolinea alcuni contrasti: per gli Oracoli la materia è generata dal Padre (rtaTQOYEV�ç UÀ.TJ, cf. Psello, Hypotyp., 27, 20 1 des Places), mentre Numenio (fr. 52 cit.) rimprovera ad al-

67 Cf. A .-J . Festugière, La révélation d 'Hermès Trismégiste, vol. 3, 1 953, 52-59; J .H. Waszink, «Porphyrios und NumeniuS)), in Aa. Vv., Porphyre En­

tretiens sur l 'Antiquité classique, Xli, Fondation Hardt, Vandoeuvres-Genève 1 966, 43-4.

68 Cf. E.R. Dodds, «Numenius and Ammonius)) ci t . , 1 0- 1 1 ; Numénius, Fragments, par É. des Places, cit., 1 7- 1 9.

69 Cf. H . Lewy, cit., 320- 1 . 7° Cf. P. Hadot, Bi/an et perspectives, cit. , 707-9.

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cuni Pitagorici di far derivare la materia da Dio (ex deo silva), e nello stesso frammento rifiuta anche la derivazione della diade dalla monade, mentre nel fr. 1 2 degli Oracoli si legge: «è una monade estesa e genera due)) ( . . . Tava� 11ovaç Ècrn v xaì òuo )'EVV�).

Assai significativo, nel confronto con Numenio mi sembra il fr. l degli Oracoli, che verte sul tema dell ' inconoscibilità e su­periorità del Principio supremo rispetto al pensiero umano:7 1

«Esiste un certo Intel ligibile, che tu devi concepire con il fiore dell ' intelletto (VOEÌV VOOU av8Et); perché, se tu inclinassi verso di Lui il tuo intelletto e lo concepissi come qualcosa di determi­nato, non lo concepiresti. È infatti, potenza di forza luminosa avvolgente, che brilla di tagli intellettivi. Non bisogna, dunque, intendere con veemenza questo Intelligibile, ma con fiamma estesa di esteso intelletto (v6ou Tavaoù Tavaij cpÀ.oyi fr. l , 6), che misura tutte le cose, eccetto questo Intelligibile. Non biso­gna concepirlo con intensità, ma tenendo puro, distolto, l 'occhio della tua anima, tendere verso l ' Intelligibile un intelletto vuoto, così da apprendere l ' Intelligibile, poiché sussiste al di fuori d eli ' in te llettm). 72

7 1 Cf. S . Lilla, ((La teologia negativa dal pensiero greco classico a quello patristico e bizantino», Helikon, XXII-XXVII, 1 982-7, 2 1 3 ; XXVIII , 1 988,

204-6. 72 � Ecrn v yaQ '!l v o l'] TOV, o XQ� O" E VOEÌ: v v6ou av9e:t . iìv yàQ È7te:yxÀi Vl]ç cròv vouv xàxe:ì:vo vo�ol]ç c0ç 1"t VOcOV, OÙ XEÌ:VO VO�O"Etç· Écrn yÒQ ÒÀ.xJiç Ò!lcptc:paouç OUValltç VOEQaÌ:ç O"TQU1tTOUOa TO!laÌ:crt V. Où o� XQ� crcpOOQOTTJTl vodv TÒ VOT]TÒV i:xdvo àUà v6ou Tavaou Tavaij cpÀ.oyì 7tavTa llETQOUO"l] 7tÀ�V TÒ VOT]TÒV ÈxEÌvo· XQECÌl O� TOUTO voJioat oùx ÒTEvroç, aU' ayvòv Ò7tOO"TQOcpov Olllla cpÉQOVTa crJiç 1\JuxJiç TEÌVat XEVEÒV VOOV EÌç TÒ VOT]TOV,

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Il frammento è riportato da Damascio, l, 1 54, 1 6-26, che lo intende come una descrizione del primo membro della triade in­telligibile, che viene compreso attraverso il fiore dell ' intelletto (vodv v6ou av8Et), con cui si raggiunge l 'f::vrocrtç con l' Uno, ma nel contesto caldaico, il riferimento è al l ' Intelletto paterno. Si tratta d 'un vorrr6v di natura particolare, esterno all ' intelletto (v. l O) e quindi superiore al l'intelletto-intelligibile, che deriva da Lui e dalla Sua potenza. È l ' Intelletto paterno, anteriore all ' intelletto-intelligibile che da Lui discende; ma non è qualco­sa di determinato, e dunque, non è attingibile attraverso le nor­mali funzioni del pensiero. Si giunge a Lui, attraverso il "fiore dell ' intelletto" (v. l ), la facoltà di natura ignea, che è il vertice dell 'anima umana, che in virtù del SUO potere di O'UV8T]).ta, per­mette di raggiungere l ' Intelletto paterno. 11 fiore dell' intelletto infatti, è una realtà non più pensante, mediante cui l 'umano si ri­congiunge al divino. 73 E Michele Psello, che più volte si è occu-

o<pQa 1-!U81Jç TÒ VOf]Tov, Èm:Ì. v6ou f:S,ro tJ1tUQXEt . 73 Per la rielaborazione procliana della dottrina del "fiore del!' Intelletto"

cf. W. Beierwaltes, Proklos. Grund::iige seiner Metaphysik, Frankfurt 1 9792,

367-82. Per Proclo, il ritorno all ' Uno avviene attraverso la presenza del Prin­cipio nel soggetto conoscente (TÒ Èv �1-!ÌV Ev), che è TÒ àxQ6Ta-rov, i l vertice dell'anima. Cf. anche l ' interessante lavoro di Ch. Guérard, L 'hyparxis de

/'dme et la fleur de /'inte//ect dans la mystagogie de Proc/us, in Proc/us lec­

teur et interprète des anciens, par J. Pépin et H.-D. Saffrey, Paris 1 987, 335-49 . L 'urmQ/;tç, secondo Guérard, diviene in Proclo un campo mistico, in cui l 'anima attinge il suo EV, passando per il suo av8oç voli. In Proclo, dunque, un:aQ/;tç indica la realtà originaria, mentre tm6a-racrtç l 'esistere in una con­creta situazione ontologica. "YrraQ/;tç è la realtà al di là di ogni partecipabili­tà, un:6a-racrtç, la realtà al di qua della partecipazione. Ka-rà �-!É8t:S,t v si op­pone infatti, a xa8' urraQ/;t v e non a xa8' un:6a-racrt v. Cf. Proclo, Elementi di

teologia 65, a cura di E. Di Stefano, Firenze 1 994 = Symbolon 1 2 .

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pato degli Oracoli caldaici, 74 commentando nella sua ES�Yllcrtç Téòv xaì..òa'ixéòv QllTffiv il fr. L , l (P.G., CXXII, L 144 b 6):

''Ecrn òÈ ò� Tt VOllTÒV o XQ� crE VOEÌV v6ou av8Et afferma che l ' anima possiede per ciascun oggetto d ' in­

tellezione una potenza corrispondente, ma Dio non è afferrabile con l ' intelletto, sebbene sia un intelligibile, bensì col "fiore dell ' intelletto", che è la potenza unificatrice del l'anima. L'Uno primordiale infatti, continua Psello, non è in qualche modo co­noscibile, se non solo con ciò che in noi è uno, che rende possi­bile la conoscenza del Principio e permette di ricongiungersi a Lui.

E l ' intelletto del ,uvar1Jç, cui è diretto l'oracolo, per accoglie­re Dio, deve divenire "vuoto" (v. 9: t!Juxilç TEtvat xEvEÒv v6ov Èç -rò vo11T6v), accostandosi al Primo con l'occhio puro del­l 'anima. 75

Allo stesso modo, Numenio a fr. 2, 1 4 cit. invoca il luogo so­litario (ÈQlliJ.ta 8EcrrrÉcrtoç), dove avviene l ' incontro con Dio ( àÀ.ÀfJ. nç acpa-roç xaÌ àòt �YllTOç àTEXVffiç ÈQlliJ.la 8Ecr1tÉ­crtoç, Ev8a -rou àya8ou l1811 òtaTQt�ai TE xaì àyì..a"tat, aù-rò ÒÈ ÈV EÌQ�VlJ, ÈV EÙIJ.EVElçl, TÒ llQEIJ.OV, TÒ ÉYEIJ.OVtXÒV 'tÀ.Effi Èrroxou�J.EVOV ÈrrÌ -rij oùcriçi). È un luogo senza luogo, nel quale il pensiero si è tramutato in non-pensiero, in una sorta di raptus mistico. In effetti, cogliere il primo Principio è qualcosa che va oltre le forze del nostro intelletto. E soltanto mediante il supe-

74 La lista delle opere e degli altri testi di Michele Psello sugli Oracoli

caldaici si trova nell 'opera di H. Lewy, Chaldaean Orac/es and Theurgy, cit., Excursus VI, Psellus and the Chaldaeans.

75 Cf. Alessandro Linguiti, Motivi di teologia negativa negli Oracoli cal­

daici, in Arrhetos Theos. L 'Ineffabilità del primo principio nel medio platoni­

smo, a cura di Francesca Calabi, Pisa 2002, 1 03- 1 1 7 .

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ramento del pensiero, l ' anima diviene una col suo Principio/6

che sussistendo fuori dall ' intelletto (v. lO: ocpQa J.1081Jç -rò VOY]TOV, ÈrrEÌ v6ou f:l;ro urraQXEt), non può essere conosciuto per via razionale «in virtù, commenta Psello (P.G., CXXII, l l 48d), della trascendenza intelligibile e della particolarità della Sua esistenza, che è al di là di ogni intelletto (xa-rà J.lOVY]V -r�v VOY]T�V U7tEQ�OÀ�v xaì T�v iòtOTY]Ta -ri;ç urtaQI;Eroç, voù rrav-r6ç -r' ÈrrÉxEt va oùcrav), per cui mostra il Suo carattere su­peressenziale (òt' ou -rò U7tEQOUcrtov77 òEi.xvu-rat) [ . . . ] Il divino è superiore infatti, ad ogni parola e pensiero, come del tutto im­pensabile e inesprimibile e meglio onorato dal silenzio che non sarebbe celebrato con parole d'ammirazione. È infatti, più alto anche della celebrazione, d eli' espressione, del pensiero».

Questa "teologia negativa" di Psello aveva ricevuto già da Proclo e sotto la sua influenza, da Damascio e dallo Pseudo­Dionigi Areopagita la sua maggiore teorizzazione di strumento anagogico (àvayroy�), di cui si serve l ' anima per risalire al pri­mo Principio ineffabile.78 Si tratta di un tipo di teologia teorizza­ta per la prima volta da Plotino, come tecnica scientifica del di­scorso teologico, che non utilizza più gli schemi del modello classico del discorso filosofico, ma diviene un'ermeneutica

76 Cf. Plotino, Enneadi, I I I , 8, 9, 29-32 : . . . Il� miv-ra vouv EÌ vm; Proclo, In Parm., 1 080, 9: ooç Il� vouç.

77 Cf. Proclo, Elementi di teologia 1 1 5 , a cura di E. Di Stefano cit., 1 5 1 -1 52.

?H Su questa tematica cf. F. Romano, L 'ermeneutica dell 'ineffabile nel

neoplatonismo, in AA.VV., Questioni neoplatoniche, a cura di F. Romano e A. Ti né, Firenze 1 988, 1 1 -26 ( = Symbolon 6 ) .

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dell'ineffabile, in cui il linguaggio viene "desemantizzato" e ri­dotto al "silenzio mistico". 79

Proclo, in un brano dell'In Timaeum (fr. 22 = In Timaeum, III, 1 03, 28-32 Diehl), spiegando come Numenio avesse scoper­to i suoi tre Dei, attraverso l 'esegesi del testo di Timeo 39e7, che verte sulla problematica platonica del rapporto tra «Vivente in sé», «Idee» e «Demiurgo», 80 afferma: «Numenio fa corrisponde­re il primo Dio a "ciò che è il Vivente" e dice che pensa con l 'aiuto (Év 1tQO<JXQ�crEt)8 1 del Secondo; fa corrispondere il Se-

79 In Elementi di teologia, ci t., 1 20, Proclo dà un ' interessante elaborazio­ne della teoria dell' ineffabile, attraverso una teorizzazione della nozione di 7tQOVOta, interpretata etimologicamente come 7tQ6-vota, cioè come 7tQÒ voù, l 'attività della provvidenza, che precedendo l ' intelletto, è inintelligibile e dunque, inconoscibile e ineffabile: ((Presso gli dei risiede l 'attività prenoetica primaria. E dove infatti, dovrebbe esserci l 'attività anteriore all' intelletto (T] 7tQÒ voli ÈvÉQYEta), se non presso i principi superessenziali (Èv -roì:c; U7tE­QOUaiotc;)? Ora, l 'attività prenoetica, come mostra il nome, è l 'attività che precede l ' intelletto» (i] òÈ 7tQOVota ffic; -rouvo11a È:!J.cpaivEt, ÈvÉQYEta Èa-rt 7tQÒ vouc;). Sulla definizione "etimologica" di Proclo negli ET e negli scritti specifici sull 'argomento, quali il De dee. dub. c. prov. cf. F. Romano, Proclo. Lezioni sul Crati/o di Platone, Catania 1 989, 1 5 1 (C 65).

M o ((Come dunque, l ' Intelletto contempla le Idee che sono comprese nel Vivente che è (-ré\i o Éan v çé\iov), quali e quante sono in Lui, tali e tante pen­sò (òtEvo�9TJ) che anche questo dovesse avere)): D1tEQ oùv voùc; Èvouaac; ìòÉac; -ré\i o Éanv çé\iov, oì:ai -rE ÉvEtat xaì. oaat, xa90QQ, -rotau-rac; xaì. -roaau-raç ÒtEV0�9T] ÒEtV xaÌ. 1"0ÒE CJXElV.

81 E.R.Dodds (((Numenius and AmmoniuS)), Entretiens sur l 'antiquité classique, cit., 14- 1 5) esamina la 7tQOOXQT]atc; che fa che il primo Dio ricorra al Secondo, e il Secondo al Terzo. Ora, l 'attività distintiva del primo Dio non è il pensiero. L'Uno-Bene infatti, è al di sopra del l ' Intelletto, come sarà in Platino e l ' Intelletto è al di sopra dell'Anima del mondo, che è i l terzo Dio. Platino da giovane s ' ispirerà a questa dottrina di Numenio (Enn ., III, 9 [ 1 3] l'

1 5-20).

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condo all' Intelletto e dice che questo crea (Òlll.llOUQYEÌ: v) con l'aiuto a sua volta, del Terzo; fa corrispondere il Terzo al­l' Intelletto che esercita il pensiero discorsivo)) (xa-rà -ròv òta­vooui!Evov). 82 In questo frammento, Numenio distingue il Vi­vente in sé, come anche le Idee che sono in Lui, dali' Intelletto che le contempla. Il Vivente in sé costituisce un primo Intelletto che è il primo Dio e che di per sé non pensa; pensa con l'aiuto del secondo Intelletto, il quale pensa, contemplando il primo Dio e le Idee che sono in Lui.

I tre Dei sono caratterizzati da tre differenti livelli di attività mentale. Il voEÌ:v è l 'attività distintiva del secondo Dio. Il primo Dio può voEì:v solo, chiedendo l'aiuto del Secondo, ma la sua at­tività distintiva non è il pensiero. Esso è l 'Uno-Bene, al di sopra de li' Intelletto. Numenio Lo definisce come un' Intelligenza nello stato di quiete che non effettua alcun atto di pensiero, mentre de­finisce il secondo Dio come un' Intelligenza in atto, la cui fun­zione propria è il pensare. In tal modo, il primo Dio pensa, uti­lizzando come assistente il Secondo, che è l ' Intelletto in atto (Èv 7tQOOXQTJOEt -rou ÒEUTÉQOU vodv). A sua volta, il secondo Dio, per la necessità di creare un mondo materiale, con l 'aiuto del terzo Dio, abbandona la v611crtç ed esercita la òuivota, caratteri­stica del terzo Dio.83 E Plotino, nei suoi scritti giovanili, ripren-

82 Fr. 22: Noujl�vtoc; oÈ -ròv jlÈv 1tQéihov xa-rà -rò · o f:crn çipov' ni-rn:t xaì <pTJcrtV f:v 1tQO<JXQ�<JEt -rou OEUTÉQOU vodv, -ròv oÈ OEUTEQOV xa-rà -ròv vouv xaì -rou-rov aù f:v 1tQO<JJCQ�<JE:t -rou TQt -rou OTJjllOUQydv, -ròv OÈ TQt TOV xa-rà TÒV OtaVOOUjlEVOV. I l vouc; OtaVOOUjlEVOç corrisponde all'espressione di Timeo (vouc;) OtEvo�9TJ (39e 9).

83 Come ha mostrato E.R. Dodds, «Numenius and Ammonius» cit., 1 3 , l ' espressione vouc; BtavooujlEvoc; di Numenio ha un senso medio e significa l ' Intelletto che esercita la Bui vota, cioè che ragiona e riflette. Si tratta dell 'attività del secondo Dio nel suo contatto con la materia. In Plotino, nel

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derà la stessa dottrina: «Nulla impedisce che l' Intelligibile sia l' Intelletto stesso nello stato di quiete, di unità e di calma. Quan­to alla natura dell' Intelletto che vede questo primo Intelletto come se fosse in se stesso, è un atto che proviene da questo pri­mo Intelletto; questo atto vede il primo Intelletto. Poiché questo secondo Intelletto vede il Primo, esso è in qualche modo, l ' Intelletto di questo primo Intelletto, poiché lo pensa>> (Enn., III, 9 [ 1 3 ] l , 1 5 -20).84

Per quanto riguarda il rapporto fra il primo Dio e il vorrr6v, a fr. 1 6 cit. Numenio dice: «Se l' Intelligibile è l 'Essenza e l' Idea e se l' Intelletto è stato riconosciuto anteriore e causa, si è provato che questo Intelletto è, Lui solo, il Bene. E infatti, se il Dio de­miurgo è principio del divenire, il Bene è principio dell'Essenza. A questo Bene corrisponde il Dio demiurgo, che lo imita, come all 'Essenza corrisponde il divenire, che ne è l' immagine e la co­pia. Ora, se veramente il Demiurgo del divenire è buono, certa­mente anche il Demiurgo dell' Essenza sarà il Bene in sé ( aÙToaya8ov ), che è della stessa natura dell 'Essenza>> ( <J\JIJ.<:pU­Tov Tij oùcric;x). Se il primo Dio dunque, è l' Idea del Bene, il se-

suo primo periodo, la ouivota è l 'attività dell'anima, cf. Enn. , 1 1 1 , 9 [ 1 3] l , 25, dove, sotto l ' influenza di Numenio, TÒ otavomJ�-tt:vov è una sorta di nome proprio dell 'anima.

Numenio come gli Oracoli, attribuisce al primo Dio un movimento innato che è in quiete, movimento stabile, corrispondente alla natura del primo Dio (fr. 1 5 : 'Anì yàQ ·dic; TCQocroucrT)c; •ii> OEUTÉ:Qcp xtv�crt:mç T�v TCQocroùcrav •ii> TCQW"t'(!> crTam v cpTJil ì d vat xi VTJO"L v cru�-tcpuTov), che essendo un Intellet­to nello stato di quiete, non effettua alcun atto di pensiero, a differenza del secondo Dio, che è un Intelletto in atto, la cui funzione propria è il pensare.

84 "H TÒ �-tÈV VOTJTOV oÙoÈv XffiÀUEL xaÌ. voùv EÌvat Èv cnacrEt xaÌ. ÉVO"t'TJ"t'l xaì i)cruxiçx, -�v oÈ "t'OÙ voù cpum v "t'OÙ OQéiiV"t'Ol; ÈXEt vov "t'ÒV voùv <ÒV È v au•<i> ÈVÉQYELOV n va àrc' ÈXEt vou, � OQ<;i f:xdvov· OQéiiv"t'a oÈ ÈXElVOV OtOV ÈXElVOV ElVat VOÙV ÈXEtVOU, O"t'l VOEl ÈXElVOV'

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condo Dio è buono per partecipazione al Primo (fr. 20 cit.),85 mentre il mondo, pensato dal Demiurgo è il terzo Dio, che è co­pia dell 'essenza del secondo Dio (fr. 1 6 cit.). 86 Anche gli Oracoli caldaici, siano essi fonte, o derivati da Numenio, s'accordano con la dottrina numeniana della materia, considerandola cattiva (fr. 88, 2), o amara (fr. 1 29).87 Per gli Oracoli caldaici e Nume­nio, il Dio primo, essendo trascendente, non può trovarsi in con­tatto con la materia che, del resto, è cattiva.

Qualunque sia la priorità, una certa comunanza d' ispirazione collega Numenio a quest'opera singolare. Numenio è vissuto nel secondo secolo d. C., gli Oracoli caldaici non possono essere anteriori a Marco Aurelio, poiché i loro presunti autori, Giuliano il Caldeo e Giuliano il Teurgo, vivevano sotto questo imperato­re.

Sempre nel frammento 43 cit. di Giamblico, Numenio precisa il modo in cui l 'uomo acquisisce la sua seconda anima cattiva. Secondo lui, il male s'attacca all 'anima, attraverso «appendici venute dall'esterno» {àrtò -rrov i:!;ro8Ev 7tQOcrq:>UOIJ.Évrov),88 di cui l 'anima si riveste nella sua discesa.

H; Platino si rifiuterà d'ammettere una simile dottrina. Per Platino infatti, «l' Uno non potrebbe avere niente in comune con le cose che vengono dopo di Lui, se questo elemento comune non fosse prima di Lui» (Enn., V, 5 [32] 4, 1 5).

86 � ò · oùcria Il i a !J.È:V iJ Toù 1tQWTou, ÉTÉQa ò' iJ Toù ÒEUTÉQou· Tic;

!J.t!J.TJIJ.a o xaÀ.Òç x6cr!J.oc;, XEXaÀ.À.romcr!J.Évoc; IJ.EToucric;x TOÙ xaÀ.ou. 87 Cf. fr. 5, 34, 88, 1 29, 1 34, 1 58. Su un punto, tuttavia, gli Oracoli si se­

parano da Numenio; per essi la materia è il dominio dei demoni (fr. 90). 88 In un passo di Macrobio, In somn. Scip. , I , I l , 1 2, che quasi certamente

risale a Numenio, dove l'anima acquisisce un sidereum o luminosum corpus

nel corso della sua discesa, attraverso le sfere planetarie, si trova un parallelo col fr. 43 : quaedam siderei corporis incrementa. M. Mazza (Helikon, I I I ,

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Un altro importante frammento (53 cit.) della raccolta des P laces sull' orientalismo riguarda la consacrazione e animazione di immagini magiche (tOQUcru; fr. l a cit.) : 89 il dio veniva ad abi­tare la statua che diveniva il dio stesso.90 Ora, sia il corpo astrale che la fabbricazione di statue magiche erano procedimenti carat­teristici della teurgia, arte che i Neoplatonici apprenderanno dai XaÀ.oa·ixà A6yw.

Le teologie di Numenio e degli Oracoli hanno in comune due Intelletti divini, di cui il Primo o «Padre» è trascendente e àQy6ç (fr. 1 2 cit.), inoperoso in tutta l'opera della creazione, mentre il Secondo, si è visto, è o t Troç ( fr. 1 6 ci t.), trovandosi in relazione e col mondo intelligibile e con quello sensibile. È dunque, a tor­to, dice Numenio, che gli uomini prendono il secondo Dio che essi conoscono, per il primo Dio, che per loro rimane del tutto ignoto ( rcav-rarcacrt v àyvom)J.1Evov fr. 1 7 ci t.). Il primo Dio è

1 963, 1 36) ha collegato i 1!QOcrqm6JlEVa di fr. 43 con gli incrementa di Ma­crobio, scoprendo nel frammento di Numenio una prova dell'origine orienta­le, gnostico-ermetica, della dottrina. L 'anima in discesa acquisisce da ogni sfera planetaria «certi incrementi di corpo stellare)) e nello stesso tempo certe facoltà.

89 Proclo la chiama TEÀEcrnx� (in Tim., I I I , 1 55, 1 8 ; cf. fr. 35). 90 I profani credevano che le statue fossero dei visibili, ma agli occhi dei

filosofi esse erano simboli delle invisibili potenze divine. Numenio infatti, occultorum curiosior (fr. 55) come lo definisce Macrobio, svelò i misteri eleusini, interpretandoli razionalmente, identificando le divinità di Eleusi con potenze incorporee e non con realtà materiali: Numenio denique inter philo­sophos occultorum curiosiori offensam numinum, quod Eleusinia sacra inter­pretando vulgaverit, somnia prodiderunt, viso sibi ipsas Eleusinias deas habi­tu meretricio antea apertum lupanar videre prostantes, admirantique et causas non convenientis numinibus turpitudinis consulenti respondisse iratas ab ipso se de adyto pudicitiae suae vi abstractas et passim adeuntibus prostitutas. Cf. P.Hadot, Le voi/e d 'Isis. Essai sur l 'histoire de l 'idée de nature, Paris 2004.

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trascendente, infinitivamente elevato, al di sopra di tutte le cose; impossibile dunque, che venga appreso con i sensi e la ragione, i mezzi normali di conoscenza.

Non essendo coglibile direttamente da un concetto analogico, né potendo essere oggetto di conoscenza discorsiva, si può otte­nere una qualche nozione sul primo Principio, attraverso una specie di spogliazione, che Lo separa da tutto ciò che Egli non è. È la cosiddetta "via negationis", con cui Numenio afferma la trascendenza assoluta del primo Dio ineffabile.9 1 Poiché nessun concetto finito permette di avvicinarLo, non avendo nulla che Gli rassomigli o Gli sia vicino, non essendoci di Lui, né defini­zione, né nome, il primo Dio sfugge alla conoscenza razionale. E l'inconoscibilità di Dio, come appare fin dal Parmenide92 e

9 1 La 'via negationis' insieme con quella del l 'analogia e con la terza via, l 'estasi, converge in ciò che Festugière chiama <<La trascendance du Dieu

ineffab/e)), che è il titolo di tutta la seconda sezione della prima parte del vo­lume di A.-J . Festugière, La Révélation d 'Hermès Trismégiste, IV: Le Dieu

inconnu et la gnose, Paris 1 954. 92 È l 'applicazione della prima ipotesi del Parmenide all'Uno come Primo

Principio infatti, che genera l ' idea, secondo la quale de li ' Uno non è possibile avere alcuna conoscenza, essendo l ' Inintelligibile in quanto tale, e cioè, in quanto causa di ogni intelligibile. Plotino riconoscerà nel Parmenide la strut­tura della propria teoria delle tre ipostasi originarie (1tEQÌ. Tiòv TQtiòv àQ­Xtxiòv tmocnaaErov): l 'Uno, l ' Intelletto, l 'Anima, così come la espone in Enneade V l ( l O) 8, dove dice che Platone, correggendo ciò che aveva detto Parmenide, distingue tra loro il primo Uno, che è Uno in senso più proprio (o XUQtOOTEQOV ev), il secondo Uno, che è Uno-Molti (Ev 1tOÀ.A.a) e il terzo Uno, che è Uno e Molti (Ev xaì. 1toUa). In tal modo, anche il Parmenide di Plato­ne è d'accordo con la dottrina delle "tre nature" (xaì. m)Jlcprovoç oi5Troç xaì. aÙTOç ÈO"Tt Tatç cpUO"EO"t Tatç TQtO"l V).

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dalla VII Lettera di Platone e anche dalla celebre dichiarazione del Timeo93 è un segno della Sua trascendenza.94

Nel mondo ellenistico e successivamente nella tarda Antichi­tà, lo svi luppo della riflessione su Dio produce un'esegesi matu­ratasi in seno ali ' Accademia e nel neopitagorismo, che per l 'esigenza di risalire all 'assolutamente Primo enfatizza il concet­to di trascendenza, fino a diventare un' "ossessione dell ' epé­keina".95 L' intelligenza umana infatti, risulta inadeguata alla possibilità di raggiungere il sommo Principio trascendente, che di conseguenza, può venire descritto solamente per mezzo di una via negationis, con attributi che esprimono ciò che Egli non è. Sulle origini della cosiddetta "teologia negativa", già E. Nor­den (Agnostos Theos, cit.) aveva ravvisato una forte influenza orientale, ma questa tesi è stata contrastata da Dodds ( «The Parmenides of Plato . . . )) cit., cf. anche ibid., Proclus. The Ele­ments of Theology cit., 3 1 1 ) e soprattutto da Festugière (La révélation . . . cit.), secondo cui le origini dell 'apofatismo sono da rinvenirsi nella filosofia greca.

Il termine di àrrocpanx� 8EoÀ.oyia compare solo con lo Pseudo-Dionigi Areopagita, ma le radici del concetto risalgono a

93 28c3-5; «Scoprire l 'autore e il padre di questo universo, è una grande impresa, e quando lo si è scoperto, è impossibile divulgarlo a tutti», TÒv . . . 1tOtT]T�v xaì. rtaTÉQa TOUOE TOU rtavTÒç Et>QEÌ:v TE ÉQyov xaì. EUQOV­Ta EÌç 1t<lVTaç àouvaTOV À.ÉyEtV.

94 Fra i diversi significati di ayvrocrToç e termini affini, usati in riferimen­to a Dio, che enumera E .R. Dodds ( The Elements of Theology, cit., 3 1 1 -3 1 2), tre corrispondono alle vie d'analogia, di negazione e d'estasi. Esse si trovano esposte nelle Enneadi, ma tutte e tre fanno parte già della tradizione platonica prima di Plotino, come appare nel medioplatonismo. Alcinoo infatti, le di­stingue già, �tOacrxaÀ.tx6ç, X.

95 Cf. A. Magris, La logica del pensiero gnostico, Brescia 1 997.

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tempi più antichi. La tendenza all' apofatismo e la concezione di un Dio trascendente al mondo e agli esseri creati si diffonde nel­la prima età imperiale, nel platonismo e nel giudaismo ellenisti­co, ma anche nello gnosticismo, nell' ermetismo e nel cristiane­simo, che contemporaneamente alle teorizzazioni filosofiche, esprime già negli apologisti la sua formulazione dell ' irraggiun­gibilità di Dio, formulazione che, per l ' interazione tra filosofia e teologia,96 si sviluppa nei Padri greci, come in Clemente di Alessandria, che risente di una profonda conoscenza della filo­sofia greca.97 I suoi Stromata introducono alla "gnosi" cristiana: nella Bibbia infatti, egli scopre il messaggio dei "Greci miglio­ri", cioè Pitagora e Platone, che utilizzano la stessa dizione alle­gorica della profezia.

In tale processo, in cui ha avuto un ruolo dominante la specu­lazione neopitagorica,98 si può tracciare una linea di continuità, che parte da Eudoro e Moderato, e arriva ad Alcinoo e Numenio.

Una sistematizzazione delle tre vie (la via negationis, la via analogiae, la via eminentiae) per giungere alla conoscenza di Dio si trova infatti, già nel Didaskalikos ( 1 65 , 1 3-34) di Alci­noo, che anticipa la successiva speculazione neoplatonica sul­l 'assoluta trascendenza ed ineffabilità del Principio, che con P lo­tino e più ancora con Giamblico, Proclo, Damascio e in ambito cristiano, con lo Pseudo-Dionigi Areopagita sbocca nella vera e propria "teologia negativa" o apofatica. È importante sottolinea­re come il primo Dio di Alcinoo del cap. X del suo L1L8aaxaÀL-

96 Cf. J. Daniélou, Message évangélique et culture hellénistique, Tournai 1 96 1 .

97 C f. S . Lil la, Clement of Alexandria. A Study in Christian Platonism and

Gnosticism, Oxford 1 97 1 , 2 1 2-226. 9H Cf. J . Whittaker, «Neopythagoreanism and negative Theology», SO,

XLIV, 1 969, 1 08 - 1 25.

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xor; presenti già, un' ampia formulazione teorica del "metodo negativo", analogo a quello delle conclusioni negative della prima ipotesi del Parmenide di Platone: «se l 'uno è uno», d Ev EcrTat -rò EV ( 1 37d 2-3), che è stato oggetto nel neopitagorismo, come si è visto (p. 1 8 ss.), di un' interpretazione in senso teolo­gico-metafisico, che identifica l 'uno negativo della prima ipotesi del dialogo con il primo Principio. E dalle strette analogie tra il concetto d ' ineffabilità del primo Dio di Didask. X, 1 65 , 5 :

"AQQllToç o' ÈcrTÌ xaÌ· vqi f..I.OVCfl Àll7tTOç e l'uno della prima ipo­tesi del Parmenide (Prm. 1 42a 2-6) si può ipotizzare che Alci­noo abbia effettivamente conosciuto l ' esegesi neopitagorica del Parmenide, interpretato in chiave ontologica, come una descri­zione negativa del primo Principio ed abbia considerato questo dialogo di Platone come fonte della propria teologia negativa.99

Sfuggendo al l6gos infatti, il Dio di Alcinoo è llQQ11TOç, e può essere definibile dunque, solo xa-rà àcpatQEcrt v (Didask. X, 1 65, 1 7), cioè per viam negationis, un procedimento graduale di astrazione mentale, con cui si coglie il primo Principio, che non è razionalmente afferrabile, poiché si negano di Lui tutte le ca­tegorie logiche, con cui potrebbe essere definito. Per giungere al concetto di essenza immateriale, Alcinoo si serve d'un esempio matematico (11. 1 6- 1 9) : «La prima maniera di concepire Dio -egli scrive - si farà dunque, secondo negazione ( xa-rà àcpatQE­crtv) di questi predicati ( "EcrTat O� 1tQWTll f..I.ÈV aÙTOÙ VOllcrtç TJ xa-rà àcpatQEcrtv -rm)nov), allo stesso modo che siamo perve­nuti a concepire il punto, per astrazione dal sensibile (omoç xaì <Jllf..I.EÌOv Èvo�craJ..I.EV xa-rà àcpatQEcrt v àrrò -roù aicr811-roù),

99 Cf. Eva Di Stefano, 11 Parmenide di Platone e il Didaskalikos di Alci­

noo, in 11 Parmenide di Platone e la sua tradizione, Atti del I I I Colloquio in­ternazionale del centro di Ricerca sul neoplatonismo, cit . , 1 85- 1 95.

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avendo concepito dapprima la superficie, poi la linea, infine il puntm) (ÈmcpavEtav vo�crav-rEç, éha YQO)l)l�V, xaì TEÀEU­-raìov -rò crTJ)lEÌov). Allo stesso modo, si conosce il primo Dio, astraendo da tutti gli attributi, che le altre cose possiedono. Il rapporto tra geometria e procedimento aferetico è in Alcinoo co­sì stretto che nell ' importante studio di H.A. Wolfson 1 00 si so­stiene che l 'applicazione dell' àcpaiQt:acr; in ambito filosofico, sia derivata direttamente dagli Elementi di Euclide, la cui poten­zialità teologica dovette essere intuita da Alcinoo. Ora, afferma­re che il primo Dio si può comprendere solo negativamente, allo stesso modo del punto geometrico, sembra, si tratti, d'un adat­tamento medioplatonico di una fonte neopitagorica. Sono i Neo­pitagorici, infatti, come si è visto, seguiti più tardi da Proclo (In Eucl., p. 94, 8- 1 8 Friedlein), che all' interno della tradizione pla­tonica, definiscono il primo Principio col metodo dell ' àcpai­Qt:au;. Attraverso l 'applicazione del procedimento aferetico emerge infatti, per Alcinoo la non-dicibilità del Principio, 1 0 1 che essendo iiQQTJTOç, è coglibile solo, attraverso l' àcpaiet:atç, ma essendo un primo Intelletto che egli definisce oÙcrtOTTJç (Di­dask. X, 164, 30), non è collocabile in una dimensione meta­antologica.

1 00 «Albinus and Plotinus on divine attributes)), Harward Theological Re­

view, 45, 1 952, 1 1 8 ss. Ora lo stesso studio si trova nel volume a cura di I . Twersky - G.H . Wil liams, Studies in the history of philosophy and religion.

Harry Austryn Wolfson, vol. l, Cambridge (Mass.) 1 973, 1 1 5- 1 30. 10 1 Cf. il contributo di M . Abbate, Non-dicibilità del "Primo Dio " e via

remotionis nel cap. X del Didaskalikos, in Arrhetos Theos, a cura di F. Ca1abi cit., 55-75.

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Fino a Plotino infatti , nessun autore ha interpretato i l Bene come Principio al di sopra dell 'essere. 1 02 L' àrpaiet:azç di Ploti­no invece, conduce all ' intuizione dell' assoluta trascendenza dell 'Uno. 1 03

Trovo una stretta somiglianza fra questo procedimento di graduale astrazione dal sensibile presentato da Alcinoo e la ri­cerca di Dio in Numenio. Egli infatti, afferma, di Lui si può ave­re una qualche visione, solo attraverso una pura facoltà d ' intuizione (fr. 2 cit.), 1 04 che può mettere in contatto l 'uomo col suo Principio. Nell' introdurre questo singolare frammento del llt:QÌ ràyatJov, sulla visione numeniana del Bene, Eusebio (Pr.

1 02 Cf. M. Baltes, fs the idea of the Good in P lato 's Republic beyond

being?, in M. Joyal (ed.), St11dies in Plato and the p/atonie tradition. Essays

Presented to John Whittaker, Aldershot 1 997, 3-23. 1 03 Cf. D.J. O' Meara, Plotinus. An lntroduction lo the Enneads, Oxford

1 993. 1 04 Tà IJ.ÈV oùv <HOIJ.ULO Àajkì:v lliJ.Ì:V ÉI;Ean GT]IJ.atVOIJ.Évou; h TE OIJ.Ot­

rov cm6 TE nov Èv -roì:ç 7WQUXEt1J.ÉVotç YVOOQlGIJ.ClL(l)V èv6v-rrov· -ràyaeòv OÈ oÙÒEvÒç Èx 7taQUXEt1J.Évou oùò' aù àn:ò OIJ.Otou aia9T]TOÙ èan Àa�Etv IJ.TJXUV� nç oÙÒEIJ.LU, àHà ÒE�aEt , oiov d nç èn:l axon:lj xa9�1J.Evoç vaùv aÀ.taòa �Qaxf:ì:av n va TOUT(l)V -réiiv èn:axTQLO(l)V -réiiv IJ.OV(l)V IJ.LUV, IJ.O­VT]V, EQTJIJ.OV, IJ.ETUXUIJ.totç EXOIJ.ÉvTJV òl;ù ÒEÒOQXÒ>ç IJ.t� �oÀij xa-rEÌÒE -r�v vaùv, ou-rroç ÒEÌ: nva àrrd96v-ra 1!0QQOO àrrò -réiiv aia9T]Téiiv OIJ.tÀijaat •ii> àya9ii> IJ.OVC]> IJ.OVOV, Év9a IJ.�TE nç av9Qrortoç IJ.�TE n çii>ov ELEQOV IJ.T]OÈ aéii�J.a 1J.Éya IJ.T]OÈ GIJ.lXQOV, àHa nç acpa-roç xal àòt �YTJTOç à-rqvéiiç EQT]­IJ.lU 9EarrÉmoç, Év9a -roù àya9où �9TJ òta-rQt�ai TE xal àyÀ.a·im, aù-rò òÈ f:v EÌ.Q�Vl,l, f:v EÙIJ.EvEiçx,-rò �QEIJ.OV, -rò r,yEIJ.Ovtxòv 'tÀEro f:rroxouiJ.Evov f:rrì. -rij oùaiçx. Ei òÉ nç rtQÒç -roì:ç aia9T]-roì:ç ÀtrraQéiiV -rò àya9òv f:cptrrTaiJ.E­vov cpav-raçE-rat Xcl1!Et -ra TQUcpéiiv OtOt 't'O •ii> aya90 EVLETUXT]XÉVat , TOÙ rrav-ròç OIJ.UQTclVEt. Ti!> yàQ ovn où QUÒtaç, 9Eiaç OÈ 1!QÒç aù-rò OEÌ: IJ.E96-òou· XUÌ. Éan XQclLtGTOV TéiiV UtG9TJTéiiV ÙIJ.EÀ�GUVLt, VEUVtEUGUIJ.ÉVC]) 1!QÒç -rà IJ.U9�1J.UTU, -roùç àQt91J.oÙç 9EUGUIJ.ÉVC]>, ou-rroç EXIJ.EÀE-rijaat IJ.09TJIJ.U, -ri f:an -rò o v.

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e v., XI, 2 1 , 7-22, 2) rivela che è Numenio stesso, che, ragionan­do come l 'esegeta di Platone ( -r�v -rou ID..anovoç òtavotav ÉQilllVEurov) ci insegna, per conoscere Dio, un metodo non faci­le, ma divino ( où Qaòiaç, 8Eiaç òÉ ), quando, astraendosi dalle cose sensibili, purificando e ordinando il proprio pensiero, «in­vaghendosi con ardore giovanile delle matematiche ( vEavtEU­craj.lÉvro 7tQÒç -rà j.la8�j.la-ra), contemplati i numeri ( -roùç àQt-8j.loÙç 8Eacraj.lÉV!:!>), ci si esercita matematicamente, fino a ciò che si accosta all 'oggetto della scienza suprema: ciò che è l' Essere)) ( ou-rroç ÈXj.lEÀ.E-rJicrat j.lU811j.la, T l ÈcrTt TÒ o v).

Bisogna fare il vuoto in sé, dice Numenio: Dio infatti è EQEj.loç, si nasconde in una solitudine indicibile, inenarrabile, divina ( ÒÀ.À.a nç acpa-roç xaÌ. àòt �YllTOç ÒTEXV<Òç ÈQllj.lla 8EcrrrÉcrwç), così, come quando del tutto solitaria (j.liav, j.lOVllV, EQllj.lOV) appare a intervalli, la piccola barca perduta in mare.

Prima di questa rapida intuizione, tuttavia, come afferma Pla­tone, 1 05 tutta la salita verso l 'Essere deve consistere in esercizi dell ' intelletto: «Noi possiamo trarre la nozione dei corpi dai se­gni ( Ollj.lat voj..l.Évotç) delle cose simili e dalle impronte degli oggetti presenti ai nostri occhi. Il Bene, al contrario, né alcun oggetto presente, né alcun sensibile che Gli rassomigli, danno qualche possibilità di conoscerLo, ma bisognerà fare così. Come se qualcuno, seduto in un posto di guardia, aguzzando la vista, scorge improvvisamente, unica, isolata, solitaria, circondata dai flutti, una piccola barca da pesca, una di quelle leggere imbarca­zioni, che s 'avventurano sole, così bisogna distaccarsi dalle cose sensibili, per intrattenersi con il Bene, da solo a solo, là, dove non c 'è, né essere umano, né altra creatura vivente, né un corpo,

1 05 Cf. Platone, Repubblica VI, 505a2 it -rou àya9ou ioÉa J.1Éytcr-rov ,.u:ieTJJ.la.

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né grande né piccolo, ma una solitudine indicibile, assolutamen­te inenarrabile, divina, là dove il Bene ha la sua dimora, i suoi passatempi, le sue festività, e dove Egli se ne sta, sorridente, in pace, con benevolenza, i l Tranquillo, il Sommo Maestro, flut­tuante al di sopra dell ' essenza. E se qualcuno, attaccato alle cose sensibili, immaginasse di vedere volare il Bene e lì sopra, in preda al desiderio, credesse di avere incontrato il Bene, sbaglie­rebbe completamente. Per ottenere ciò, infatti, occorre realmente un metodo non facile, ma divino: e la cosa migliore è trascurare i sensibili e applicarsi con ardore giovanile alle matematiche e considerare i numeri, e così esercitarsi matematicamente su che cosa è l 'Essere)).

Sembra qui che Numenio voglia interpretare misticamente al­cuni passi celebri di Platone, quali l ' ascesa del Simposio, il mito del Fedro, il passo della Settima Lettera sulla scintilla che içai­cpVJ7ç s'accende nell 'anima, che possono voler indicare un salto istantaneo dal relativo ali 'assoluto, e cercare di comunicare un'esperienza intuitiva interiore, accessibile in una unio mystica, che metta in contatto col divino, ma che essendo al di là della logica, non è propriamente conoscenza. È una descrizione della conoscenza attraverso l'estasi, la terza via che completa le vie d 'analogia e di negazione. Numenio infatti , paragona colui che contempla l'Essere ad una sentinella, che da un luogo elevato veglia su un mare vuoto, e improvvisamente vi scorge un'unica, solitaria barca: allo stesso modo, egli dice, ci si deve astrarre dalle cose del senso, ed entrare in solitaria comunione con il Be­ne, da solo a solo (of.ltÀiìcrat np àya8ij} f.lOV(!l f.lOvov) in una di­vina solitudine che non può essere raccontata o descritta (àÀÀa nç acpa-roç xaÌ à8t �YllTOç àn:xvffiç ÈQEf.lta 8EcrrtÉcrtoç), con il Bene, che avanza sopra il mare dell'Essere ( Èrroxouf.lEvov ÈrrÌ -rij oùcri<;l).

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Nel pensiero filosofico del secondo secolo, in cui vive Nu­menio, col declino del razionalismo s 'accentua la tendenza alla teoria mistica, che va irrobustendosi da Marco Aurelio a Plotino e da Giustino a Origene. In un mondo assai impoverito sul piano intellettuale, insicuro su quello materiale, carico di paura e d'odio, come sarà il mondo del terzo secolo, ogni possibilità di scampo doveva esercitare sugli animi più sensibili una forte at­trattiva. E la cultura nel suo insieme, sia quella pagana che quel­la cristiana, già nel secolo di Numenio entra in una fase, nella quale la religione ricopre l ' intera area della vita e la ricerca di Dio fa ombra sulle altre attività umane. 1 06

Questo straordinario frammento di Numenio dovette essere familiare a Plotino e potrebbe essergli servito come base teoreti­ca del proprio misticismo. Nelle Enneadi si trovano infatti, con­cordanze verbali e dottrinali con questo frammento. La più nota concordanza si trova alle Il. l l - 1 2 del frammento suddetto, dove Numenio parla di OjltÀ:ilcrat -r<!> àya8<!5 j..LOV<p jlovov. 1 07 Dopo le parole j..LOVql j..LOVOV, Numenio continua Ev8a ll�TE nç av-8Qomoç llllTE n s<!>ov ETEQOV llllÒÈ <JOOJ..la j..LÉya llllÒÈ <JjltXQOV, e la stessa serie di parole, crro11a, av8Qrortoç, s<!>ov, si ritrovano a Enn. , VI 7, nello stesso capitolo 34, dopo che Plotino utilizza la formula jlOVll ll6vov: ou-rE crrojla-roç En aicrSavETat, [ . . . ] ouTE ÉaUT�V aÀ.À.O n À.ÉyEt, OÙX av8QffiTtOV, OÙ s<!>ov, OÙX OV, OÙÒÈ nav.

Anche la descrizione numeniana del Bene, ÈnoxoojlEvov Èrtt Tij oùcri<;X riecheggia nella descrizione plotiniana di Dio Èrto­XOOj..LEvov -rij vo11Tij cpocrEt (I, l [53] 8, 9).

1 06 Cf. E. R. Dodds, Pagan and Christian in an Age of Anxiety, Cambridge 1 965.

107 Cf. Enn., 1 6 [I] 7,8; VI 7 [38] 34, 7; VI 9 [9] I l , 50.

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LA TRIADE Di ViNA iN NUMENJO 65

Da un frammento ricavato dal llEQÌ. .Puxfiç di Giamblico (fr. 42) 1 08 · h N

. l ' "d d'

. d' SI sa c e umemo sosteneva 1 ea « una umone e una

identità senza distinzione fra l'anima ed i suoi principi ( àQxai) divini)), e da un altro frammento (4 1 ) 1 09 dello stesso Giamblico che Numenio sosteneva la presenza del mondo divino nel­l 'anima individuale : «Vi sono alcuni, che definiscono l 'essenza dell 'anima nella sua totalità, formata di parti simili, identica e una, in modo tale che in una qualunque delle sue parti c 'è tutto l' insieme; costoro inoltre, insediano fin nell 'anima particolare il mondo intelligibile, gli dei, i demoni, il Bene e tutte le realtà su­periori, e dichiarano che tutte le cose si trovano ugualmente in tutte le anime, sebbene, per ciascuna, secondo il modo appro­priato alla propria essenza. Di questa opinione sono senza dub­bio, Numenio, e anche Plotino, sebbene quest'ultimo non la pro­fessi in modo assolutm). 1 1 0 Nel mondo intelligibile, dice Nume­nio, cioè nel mondo divino «tutto è in tutto, ma in una maniera appropriata al i ' essenza di ciascun m) ( Èv rtéicrt v [ . . . ] min-a d vat, oixEiroç IJ.ÉVTOt xaTà T�v aÙTrov oùcriav Èv ÉxacrTotç). Ora, l 'essenza intelligibile è formata di parti simili ( OIJ.OlOIJ.EQTj), poiché tutto vi si implica reciprocamente, ma all'interno di que-

1 °K "Evrocrt v J.!Èv oùv xaì TaÙTo·nrra àouixQt Tov Tilç \j)uxilç rtQÒç Tàç f:auTilç àQxàç rtQEcr�EuEtv cpaivETat NouJlfJvwç.

1 09 Eicrì of] n vEç o'ì néicrav T� v TOtaUTTJV oùcriav OJlOtOJlEQTl xaì aÙT�v xaì �onav àrtocpat VOVTat, cl>ç xaì È v OTCJ)OUV aùTilç �ÉQEt d Vat Tà oA.a· oh t VE<; xaì È v Tij JlEQt<JTij \j)uxij TÒV VOTJTÒV XO<JJlOV xaì 9Eoùç xaì oai­JlOvaç xaì Tàya9òv xaì rtavTa Tà rtQE<J�UTEQa Èv aÙTij ÈvtOQUOUcrt xaì ÈV 1t0crt V OO<JUUTOO<; 1t(lVTU El Vat àrtocpat VOVTat, OÌXEtiDç JlÉVTOt XUTÙ T� V aùni>v oùcriav Èv ÉxacrTOtç. Kaì TUUTTJ<; Tilç o61;T]ç àvaJlcpt<J�T]TTJTOOç JlÉV Ècrn NOUJlTJVtoç, où rtaVTl] oÈ OJlOÀ.OYOUJlÉVroç nA.roTtvoç·

1 1 0 E analogamente, credendo n eli' identità d eli' anima con i suoi principi, Plotino poteva dire: ÈcrJ.!Èv ExacrToç xocrJloç VOTJTOç ( I I I , 4 [ 1 5] 3, 22).

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sta essenza le distinzioni provengono da moti propri, secondo i quali essa si differenzia. Così nell 'anima particolare si trovano il mondo intelligibile, gli dei, i demoni, i l Bene e tutte le realtà su­periori, cioè tutti i gradi della realtà.

Questa teoria, che P. Hadot definisce principio di denomina­zione per predominanza, 111 diviene dopo Numenio, il principio fondamentale della teologia pagana. Egli è stato il primo ad ap­plicarla sistematicamente alle relazioni all' interno del mondo in­telligibi le.

Si trova già nelle teorie morali di Antioco di Ascalona, 1 1 2 per il quale anche se la vita felice è privata di certe condizioni mate­riali di fortuna, essa resta felice, perché le cose traggono il loro nome da ciò che predomina in esse. Numenio utilizza questa teoria del composto totale, per descrivere le caratteristiche della realtà incorporea.

Le origini lontane di questa nozione risalgono ad Anassagora, in cui si trova l ' intimo legame tra le nozioni di omeomerie e di composto totale: «Essi affermavano che tutto è mescolato nel tutto, perché vedevano che tutto è stato generato da tutto. Ma aggiungevano che gli oggetti appaiono differenti e le denomina­zioni (7tQOcrayoQEUEcr8at) cambiano, in base a ciò che sovrab­bonda in quantità nella mescolanza degli infiniti elementi. Allo stato puro non si trova infatti, nulla che sia solo il bianco, il ne-

1 1 1 Cf. P. Hadot, Porphyre et Victorinus, I , Paris I 968, 243-244. 1 1 2 Cf. Cicerone, Tusculanae, V, 8, 22: Dicebantur haec quae scripsit

etiam Antiochus locis pluribus virtutem ipsam per se beatam vitam efficere posse neque tamen beatissimam, deinde ex maiore parte plerasque res nomi­nari, etiamsi quae pars abesset ut vires, ut valetudinem, ut divitias, ut hono­rem, ut gloriam quae genere non numero cemerentur, item beatam vitam etiamsi ex aliqua parte clauderet, tamen ex multo maiore parte obtinere no­men suum.

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ro, il dolce, la carne e l 'osso, ma ciò che predomina ((hou oÈ nì-etcrTov exacrTov EX Et) in ogni cosa, pare che sia la sua natu­ra». 1 1 3

L 'essenza di ogni cosa è costituita dunque, da una mescolan­za di tutto in tutto: essa è omeomera; tutto è nello stesso tempo e tutto è in tutto. E la distinzione all' interno di questa omeomeria, s 'effettua da una differenza di proporzione nella mescolanza.

Questo principio verrà applicato dai Neoplatonici, all' interno dell ' ipostasi vouç, alla triade subordinata 't"Ò o v - çro� - vouç, soprattutto da Proclo, 1 1 4 dove Essere, Vita, e Intelligenza sono tre aspetti d'una singola realtà, ciascun aspetto implicando gli altri, come causa o come conseguente, ma anche sono i tre gradi consecutivi del rilevarsi del cosmo dall'Uno, ciascun grado es­sendo predominante ad un certo stadio della rtQ6oooç. 1 1 5 N ella vita l ' essere è presente in virtù della partecipazione e l ' intelletto in virtù della causalità, ma ciascuno solo secondo il modo della vita (çronxffiç); nell' intelletto vita ed essere sono mediante par­tecipazione, ma secondo il modo intellettivo ( VOEQffiç), nel-

1 1 3 Aristotele, Fisica, l, 4, I 87b l -7 . 1 1 4 Elementi di Teologia, 1 03 : Oav-ra f:.v m'icnv, oi.xt=:iroç oÈ f:.v f:xacr-rq>,

ma anche I O I e 1 02, dove Proclo rende conto de li 'articolazione dialettica della seconda ipostasi plotiniana, dimostrando che l 'Essere è condizione di tutto ciò che vive e pensa, poiché niente che viva è privo di essere, così come niente che pensi è privo di vita. L'Essere è dunque, il primo tra i tre principi impartecipati.

1 1 5 L'applicazione di questa nozione alla triade TÒ ov - çro� - vouç è più antica di Proclo. Si trova già in Mario Vittorino, adv. Arium IV, 5 (P.L. 8, I I I 6 d 4 ) : haec tria accipienda ut singula, sed ita ut qua suo plurimo sunt hoc nominentur et esse dicantur. Su l i ' origine della triade -rò o v - çro� - vouç e sul suo posto nel sistema di Plotino cf. l 'importante saggio di P. H ado t, Étre, Vie,

Pensée chez Plotin et ava n t Plotin, Entretiens sur l 'Antiquité c/assique V, Les sources de Plotin, Vandoeuvres-Genève, I 960, I 07- l 57.

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l 'essere, sono presenti vita e intelletto al livello dell'essere (ovnoç). In questa triade, i temhni s' implicano e si suppongono reciprocamente, distinguendosi per la predominanza in ciascuno d'un aspetto sugli altri. Tò ov, primo termine della triade, ha l'Essere come suo carattere predominante, ma allo stesso tempo è vita e intelletto sub specie entitatis. 1 1 6

1 1 6 Nel suo commentario degli Elementi di Teologia di Proclo, Dodds (The Elements of Theology, cit., 252-253) aveva fatto notare che in Plotino c'è già una tendenza a distinguere nel voùç la triade dell 'essere, della vita e del pensiero, per l ' influenza di Soflsta 248 e 7ss., dove Platone, riconoscendo che l 'Essere, per essere conosciuto, deve patire, dunque essere in movimento, conclude che il rtav-rsÀ.éiiç ov, non può escludere i suoi caratteri, çro-.1 e voùç. E, partendo dalle osservazioni di Dodds, Hadot nello studio sopracitato ha osservato che P l o tino concepisce la pienezza de li' Essere come l 'unità multi­pla, formata dalla compenetrazione reciproca di essere, vita e pensiero. Ploti­no però, non giustifica questa definizione dell'Essere plenario. Questa formu­la, di cui si ha traccia pare, fin dalla Antica Accademia (A.J. Festugière, Le

Dieu inconnu et la Gnose cit., 53 n. 5 : «I l est possible que, dès l 'Ancienne Académie, on ait spéculé sur des passages comme Soph. 248 e ss., où le mouvement et la vie sont attribués au rtav-rsÀ.éiiç ov . . . » ), è frutto secondo Hadot (p. 1 23 - 129) del lavoro della scolastica platonica, che prima di Plotino aveva dato un posto speciale alla triade essere - vita - pensiero, accostandola alla divisione delle tre parti della filosofia e alla distinzione delle tre tappe della paideia, definendo l ' implicazione reciproca di questi momenti, attraver­so il principio di denominazione per predominanza. Sembra dunque, che nel medioplatonismo, i tre elementi della paideia, la natura, l 'esercizio, la dottri­na siano stati accostati alle tre parti della filosofia, la fisica, l 'etica e la logica e infine alla triade essere, vita, pensiero.

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5 . Numenio e la cultura giudaico-cristiana

Le opere di Platone considerate da Numenio, come si è visto, un mezzo per accedere al divino appreso dall 'anima, e quindi al­la verità della vera filosofia, finiscono per avere una posizione paragonabile a quella delle Scritture.

Ricostruire il pensiero platonico non significava infatti, rico­struire quel che il Platone storico aveva pensato, ma significava ricostruire, per mezzo degli scritti di Platone, la vera filosofia conosciuta da Platone stesso e da altri . E una volta trovata la ve­rità, si rendeva superfluo il riferimento al maestro. Partendo da questo convincimento, per ricostruire la vera filosofia, ci si po­teva appoggiare infatti, agli Oracoli caldaici, considerati scritti d ' ispirazione divina.

La differenza tra il Primo e il secondo Dio è illustrata nel fr. 1 3 1 1 7 da Eusebio, con il paragone dell 'agricoltore e dell 'operaio. Il primo Dio è, secondo Numenio, come l 'agricoltore: Egli «se­mina il seme di ogni anima» nel suo appropriato ricettacolo. Il secondo Dio, �T]jltoUQy6ç o VOjlo8É-rY]ç invece, è come l 'ope­raio: «sparge, distribuisce e trapianta in ciascun uomo i semt, che prima sono stati seminati dal primo Dim).

1 17 Questo frammento è conservato in citazione diretta in Praep. Evang. , Xl, 1 8, GCS 2.42. 1 5ss. Mras: "QoTJ:EQ of: TJ:IlÀ.tV À.oyoc; ÈoTÌ. YEOOQYéi> TJ:QÒc; TÒV (j)UTEUOVTa, àvà TÒV aÙTÒV À.oyov j.I.OÀ.tOTO Èon V 6 TJ:Q<iiToç 8EÒç TJ:QÒç TÒV OT)jl toUQYOV: o JlÉV YE cO V OTJ:ÉQj.I.O TJ:OOT)ç \j!uxiic; OTJ:ElQEt Eic; T cl JlETO­À.ayxavovTa aÙTOU XQ�JlOTa OUJlTI:OVTa· 6 VOj.I.08ÉTT)ç of: (j)UTEUEt xaì. BtavÉj.I.Et xaì. j.I.ETacpuTEUEt Eic; Jilliic; i:xaoTouc; TÒ Èxd8Ev TJ:QOXaTa�E­�ÀTJ!lÉva.

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È da notare che in questo frammento, Numenio definisce il primo Dio con l 'espressione'O 11év ys mv probabilmente remini­scenza di Esodo 3, 14: EÌrtEV 6 8EÒç 1tQÒç Momcriìv À.Éymv· ' E­yro EÌIJ.l 6 rov. Già Festugière aveva sostenuto che Numenio, per definire il suo primo Principio, dovette avere in mente la formu­la di Dio dei Settanta. 1 1 8 Ma, E.R. Dodds nel suo «Numenius and Ammonius», 1 1 9 ritenendo il testo corrotto dal punto di vista paleografico, ha contestato la probabilità di questa interpreta­ziOne:

' o IJ.ÉV YE rov crrtÉQIJ.a 1t(l<JT]ç tj>uxiìç (J1tEtQEl Eiç -rà IJ.ETa­Àayxavov-ra aù-roù XQ�IJ.a-ra cru�J.nav-ra·

Secondo lui, l 'oscurità del passo è accresciuta dalla corruzio­ne testuale, che sembra far dire a Numenio che il primo Dio è il seme dell 'anima che Egli insemina. Ma, dal punto di vista sin­tattico non è ammissibile la costruzione di Dodds, che considera crnÉQIJ.a un attributo, perché la parola è un accusativo che di­pende da crndQEL

D'altronde, secondo Dodds, 'O wv "Colui che è" xa-r' È/;o­x�v, non può essere difeso in modo convincente come un ebrai­smo. Di conseguenza, lo studioso suggerisce di correggere o wv in 6 IJ.ÉV YE a' rov = 1tQOOTOç rov. Ma, a mio avviso, non c'è biso­gno d'ammettere alcuna corruzione testuale, e l'uso da parte di Numenio del titolo 'O wv per nominare il primo Dio, anche se può non essere considerato un ebraismo, mostra tuttavia, l ' interesse che Numenio nutre per la Sacra Scrittura giudaica, con cui il platonismo condivide l' idea d'una divinità immateria­le. Probabilmente invece, Numenio riconosce il potenziale pia-

1 1 8 A.-J. Festugière, La Révé/ation d'Hermès Trismégiste, I I I : Les doctri­

nes de l 'cime, Paris 1 953, 44 n.2. 1 1 9 Les sources de Plotin, cit., 1 5 ss.

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tonico di questa formula, che lega i l giudaismo al concetto pla­tonico di Essere e se ne serve per nominare il primo Dio, a pro­va dell' identità di fondo della dottrina di Mosè con quella di Pla­tone. Già Filone d'Alessandria aveva utilizzato infatti, la formu­la dei Settanta' O J.l.ÉV yE òSv. prima di Numenio, che può averla ricavata da lui o dalla tradizione giudaico-alessandrina, come importante collegamento fra giudaismo e platonismo. 1 20

Anche gli scrittori cristiani acquisirono l ' interpretazione pla­tonica della formula dei Settanta. Non si sa in quale periodo fu stabilito il collegamento fra Esodo e Timeo. Ma già Giustino, ri­portando le opinioni dei Platonici contemporanei, parla di Dio in termini di realtà platonica: TÒ xa-rà TÒ aÙTÒ Xat rocrau-rroç atf:Ì f:xov (Dia!. cum Tryph. 3, PG 6. 48 1 ); ed Eusebio, ricavando il concetto platonico di Essere da Esodo 3, 14 cita Timeo 27D5-28A l per provare questo collegamento (Praep. Evang. l l . 9- l O, PG 2 1 . 868-873).

Con un frammento ermetico, conservato da Lattanzio, 1 2 1 J.

Whittaker1 22 ha fornito la prova che la formula dei Settanta, in-

1 2° Cf. J. Whittaker, «Moses Atticizing», Phoenix, 2 1 , 1 967, 1 96 ss. J .H . Waszink, «Porphyrios und Numenios», Entretiens sur l 'antiquité classique, 1 2, Vandoeuvres-Genève 1 966, 35-78, rifiuta l 'emendamento di Dodds di ò jlÉV YE rov e sostiene che Numenio che considera la principale fonte, da cui attinge Porfirio per la conoscenza del giudaismo, dovette conoscere bene gli scritti di Filone, come d'altronde molti studiosi hanno supposto, incluso Dodds, Pagan and Christian in an Age of Anxiety ci t., 1 3 0 n. 2.

1 2 1 Div. Inst. l . 6 . 4 : hic (se. Trismegistus) scripsit libros et quidem multos ad cognitionem divinarum rerum pertinentes, in quibus maiestatem summi ac singularis dei asserit isdemque nominibus appellat quibus non dominum et patrem, ac ne quis nomen eius requireret, àvrovujlov esse dixit, eo quod no­minis proprietate non egeat, ob ipsam scilicet unitatem, ipsius haec verba sunt: 6 oÈ 8EÒç dç, 6 OÈ dç òvojlaToç où 1tQOcrOÉETat · Écrnv yÒQ 6 cììv à­vrovujloç.

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terpretata nel significato dell ' innominabilità di Dio, si era pro­pagata anche al di fuori degli ambienti giudaici e cristiani. E, a maggior ragione, la propagazione universale della dottrina è una prova dell 'autenticità di fr. 1 3 , di cui non c 'è motivo di diffidare dunque, nel punto in cui Numenio, usando il titolo dei Settanta

· O ffiv, esprime l ' ineffabilità del primo Dio. 1 23

D' altronde, contro l'opportunità di questi emendamenti ci so­no le sicure testimonianze di Origene, Porfirio ed Eusebio, che conoscevano bene le opere di Numenio e sono testimoni d eli' attrattiva e dell' influenza che esercitarono sul filosofo me­dioplatonico concetti e testi ebraici. Essi sostengono che Nume­nio approvava la religione giudaica, e faceva frequente ricorso agli scritti giudaici nelle sue opere, soprattutto nel nq2ì -rà­ya8où, da cui proviene il fr. 1 3 , che non presenta "a nasty textu­al problem", come sostiene Dillon, 1 24 ma che conferma invece, ciò che sappiamo da Origene, Porfirio, ed Eusebio.

Si può concludere dunque, che nel momento di porgersi la famosa interrogazione che, secondo Eusebio (fr. 8), ci viene tramandata dalla tradizione: 1 25

"Ti yaQ Ècrn nì..anov � Mrocrfjç à-rnxl.çrov;"

122 "Moses Atticizing" cit., 1 99. 123 Nell'apparatus ad loc. di des Places si trova un altro emendamento di

P. Thillet, che corregge o !J.ÉV yE cìlv in o !J.ÈV yEvviilv, basandosi sulla descri­zione del Demiurgo da parte di Platone: o TOÒE TÒ rrav yEvv�aaç Tim.

4 1 A5 . Anche J. Dillon (The Middle Platonist, London 1 977, 368) ha propo­sto una correzione, leggendo o !J.ÈV yEroQyiilv, al posto di o !J.ÉV yE cìlv. Ma questa variante non introduce nessun concetto nuovo nel testo e serve al solo obiettivo d'eliminare la formula o div, che invece, non deve essere eliminata.

1 24 The Middle Platonist cit., 368.

125 Taiha !J.ÈV òuv o Nou!J.�vtoç, OIJ.OÙ ni flì..<iTrovoç xaì. rroì..Ù TCQOTE­QOV Tà MroaÉroç ÈrrÌ TÒ aaq>Èç Òtf:QIJ.TJVf:U(I)V. Eix6Troç lìljTa EÌç auTÒV f:xdvo TÒ ì..Oytov TCEQtq>ÉQETat lìt' oli rpavm JlVTJIJ.OVEUETat.

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Numenio avrà avuto in mente da un lato, il testo biblico di Esodo 3, 14 'Eym CÌJ.1L 6 wv, dall'altro, l ' espressione Tò ov àci, adoperata da Platone (27D), nell'introdurre la figura del De­miurgo, ritenendo che Platone avesse derivato la propria conce­zione di Essere da Mosè, ovvero che la dottrina di Platone fosse fondamentalmente d'accordo con quella di Mosè.

Eusebio testimonia come Numenio si sforzasse di presentare le religioni non greche e in particolare, la religione ebraica in conformità con Platone (fr. l a cit.). Ancora Origene sostiene che Numenio utilizzava le parole dei profeti (ì..6you; 7tQOq:>T)nxoìç), interpretando le allegoricamente ( TQ07toÀ.oyTjcrat aÙTouç fr. l b cit.) e includeva, fra i popoli che hanno concepito Dio come in­corporeo, anche i Giudei: À.Éyrov 1tEQÌ Trov È8vrov ocra 7tEQÌ 'tOU 8EOU roç àcrroJ.Ul'tOU ÒtEl.ÀT)q:>EV, ÈyxaTÉTa/;EV aÙ'totç x.aÌ 'tOÙç

· Iouòaiouç. Mi sembra difficile, poter credere che Numenio ab­bia discusso dell' immaterialità del Dio giudaico, senza far rife­rimento a Esodo 3, 14 .

Perfino Porfirio, filosofo pagano, mentre ricorda in De antro nympharum l O, che la grotta o m erica delle Ninfe è dedicata non solo alle Ninfe delle acque, le Naiadi, ma anche alle «anime che discendono nella generazione>>, testimonia la forte attraenza del pensiero giudaico su Numenio, citando un frammento (fr. 30), 1 26

che esemplifica il peculiare metodo allegorico di Numenio, che si avvale delle citazioni della Genesi. Egli sostiene che le anime che discendono nella generazione, essendo essenze divine, dello stesso pneuma di Dio, prima d' incarnarsi in questo mondo, svo-

1 26 Nu!J.<paç OÈ va·{oaç À.ÉYOIJ.EV xaì. Tàç ni>v ÙOU'r<OV TI{>OEO'rrOOaç ou­VUIJ.Etç ìoiroc;, ÉÀ.Eyov oÈ xaì Tàç EÌç yÉvEcrt v xanoucrac; I)Juxàc; Xot vroc; émacrac;.' Hyoùno yàQ 7tQOcrtçavEt v •c'il uoan Tàç I)Juxàç 9E07tVOq> OVLt, i&; <pYJcrtV o NouiJ.�VtOç, otà -roÙTo À.Éyrov xaì TÒv 7tQO<p�TTJV EÌQYJXÉvat È1J.<pÉQEcr9at Ènavro •oli uoaToç 9EOù nvEÙIJ.a.

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lazzano invisibili come le Ninfe Naiadi sull' acqua, che un soffio divino anima (8Eortv6ql), allo stesso modo del pneuma di Dio, aggiunge Numenio, che come dice Mosè (Genesi l , 2), prima della creazione, si muoveva sulle acque: otà -roù-ro /J;yrov xaì -ròv 1tQOcpTJTT]V EtQT]XÉ:Vat ÈJ1cpÉ:QE<J8at Èmivro TOU uoa-roç 8EoÙ 1tVEÙJla.

Si può affermare in conclusione, che l 'uso di o wv di Esodo 3, 14, con cui Numenio nomina la suprema divinità, manifesta la sua affezione per il giudaismo, ma, più che un ebraismo, costi­tuisce invece, una prova biblica dell ' identità basilare degli inse­gnamenti di Mosè e Platone, che giustifica l 'appropriazione di massa del platonismo nell 'esegesi giudaico-alessandrina. 1 27

Prima di Numenio, anche F ilone di Alessandria e i suoi pre­decessori ellenistici ebrei, seguiti dalla tradizione patristica cri­stiana dovettero intendere l ' o wv di Esodo 3, 1 4, come il signi­ficativo collegamento fra credo ebraico e concetto platonico di Essere: ò 8EÒç JlOVOç Èv Tql étvat ucpÉ:crTT]XEV. ou xaQtV à­vayxairoç ÈQEÌ 1tEQt aÙ-rou· "f:yro EtJll Ò rov" (Quod deterius potiori insidiari soleat, 1 60) 1 28•

Ma in F ilone di Alessandria si trova anche una seconda inter­pretazione di o wv: JlTJ JlÉ:VTOt VOJltcrl]ç -rò ov, o Ècrn rtQÒç ÒÀYJ8EtaV OV, urt' àv8Qc01tOU nvÒç xa-raÀaJl�aVE<J8at (De mu-

1 27 Le importanti ed erudite ricerche di John Whittaker, che sono state menzionate in questo studio, tendono a far penetrare le dottrine cristiane della tarda Antichità nell'atmosfera intellettuale della cultura ellenica. I Padri infat­ti, per costruire concettualmente la loro dottrina cristiana, si sono rivolti alla "teologia" platonica, anche se si sono dovuti scontrare con l'aporia capitale di dover conciliare la nozione biblica di un Dio dotato di volontà, che agisce in modo contingente, con un 'ontologia che presuppone l 'immobilità di Dio.

128 «Solo Dio consiste nell 'Essere: e perciò Egli dice necessariamente di sé: "lo sono colui che è")).

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tatione nominum, 7). 1 29 Filone però, va oltre questo concetto. Alla richiesta infatti, che Mosè rivolge a Dio di rivelarglisi, il profeta riceve una risposta negativa: «L'Essere per sua natura, non può essere vistm> (Il� rtEcpux6-roç ÒQàcr8at, De mutatione nominum, 9). E all ' impossibilità di vedere, corrisponde l ' im­possibilità di conoscere il nome di "Colui che è": «Non vedi che al profeta desideroso di sapere, quale risposta debba dare a colo­ro che vogliono conoscere il Suo nome, Egli dice: "Io sono Co­lui che è", ciò che significa la mia natura è di essere, non di es­sere nominato ( oùx ÒQ�c; on cptÀortEucr-roùvn -rqi 1tQOcp�r1], Tt TOtç 1tEQt TOÙ ÒVO!laToç aÙTOÙ ç llTOÙcrt V àrtOXQt TÉOV, cp11crì v o n "iym EÌJlz o m v, " tcrov -rqi d vm nÉcpuxa, où ÀÉ­yEcr8at/ De mutatione nominum, 1 1 ). "Colui che è," per Filone, non può avere un nome, in quanto la Sua natura è solamente di Essere, e qualunque nome, aggiungendo qualcosa ali' Essere, comporta la predicazione, implicante pluralità e relazionalità. 1 30

I nomi, con cui gli uomini designano Dio, 8E6ç e XUQtOç, so­no impropri, poiché indicano aspetti divini che si riferiscono a chi è immerso nella durata temporale e sono dunque, in relazio­ne con gli uomini, non con "Colui che è" nella sua assolutezza. Sono nomi impropri, mentre il nome vero di Dio non è stato ri­velato a nessuno: «Sono stato visto - Egli dice - da Abramo, Isacco e Giacobbe, come loro 8E6ç, ma non ho rivelato loro il

129 << Non credere tuttavia, chi! l ' Essere che veramente è, possa venire

compreso da alcun uomo». 1 3° Cf. D.T. Runia, Naming and Knowing: Themes in Philonic Theology

with special Reference to the "De Mutatione nominum ", in R. V an Den Broek - T. Baarda - L. Mansfeld (edd.), Knowledge of God in the Graeco­

Roman W or/d, Leiden-New York 1 988, 69-9 1 .

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mio nome XUQtOc;»> (De mutatione nominum, 1 3) . 1 3 1 Si tratta di una xaraxeryau;, un uso linguistico improprio, per indicare un nome che non può essere detto. Filone, volendo esprimere qual­cosa di inesprimibile, usa termini scorretti. 1 32

Sempre a De mutatione nominum, 1 3 si ha un concetto ancora diverso; non più l ' impossibilità di avere un nome, ma la scelta di non rivelarlo: «Se si invertissero i termini del l ' iperbato, l 'ordine del discorso potrebbe essere questo "non ho rivelato il nome a me proprio, ma il nome usato impropriamente"». L'Essere è ineffabile, e il suo logos non è proferibile con un nome adatto. È impossibile dunque, dare nomi a Dio, anche se non è impossibi­le per l' Essere avere un nome: «Inoltre, se Dio è ineffabile, è certo anche inintelligibile e inafferrabile» (De mutatione nomi­num, 1 5). 1 33

E come Filone, allo stesso modo non si può escludere, come ho cercato di dimostrare, che Numenio adoperasse la formula dei LXX, per esprimere l ' ineffabilità e l ' inconoscibilità di Dio.

1 3 1 È rilevante il fatto che XUQlOç è usato nella LXX, per indicare il tetra­gramma, il nome impronunciabile di Dio.

1 32 Cf. J. Whittaker, Catachresis and Negative Theology: Philo of Alexan­

dria and Basilides, in S . Gersh, Ch. Kannengiesser (edd.), Platonism in Late

Antiquity (Christianity and Judaism in Antiquity, VII I) Notre Dame 1 992, 6 1 -82.

133 Sulla divaricazione di alcuni passi filoniani, riconducibile a diversità di contesti, in cui Dio è privo di nomi, mentre in altri appare innominabile e na­scosto, per l ' impossibilità di conoscere i l Suo nome adeguato, che indiche­rebbe la Sua essenza inconoscibile agli uomini, cf. lo studio di F. Calabi, Co­

noscibilità e inconoscibilità di Dio in Filone di Alessandria, in Arrhetos

Theos. L 'ineffabilità del Primo Principio nel Medioplatonismo, a cura di F . Calabi, Pisa 2002, 35-54.

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6. Conclusione

Francesco Romano, nella sua nota monografia su' Il Neopla­tonismo, Roma 1 998, ha messo in evidenza come, a partire da Plotino, l 'elemento caratterizzante che distingue il neoplatoni­smo dal platonismo classico e dalla sua versione medioplatoni­ca, sia la nozione di "trascendenza" onto-epistemica di Princi­pio.

La tematica-cardine, a cui Romano ha dedicato la parte più originale della sua ricerca sul neoplatonismo, è infatti, l' iden­tificazione d'una radicale e rivoluzionaria, dal punto di vista sto­riografico, distinzione tra pensiero classico e pensiero neoplato-

• o ' fi l fi o fil fi d o 1 34 mco, e c10e tra 1 oso 1a antica e 1 oso 1a tar oantlca, nascen-do il neoplatonismo come rottura della tradizione platonica, do­vuta alla crisi dell'ontologia classica, operata con lo strumento neopitagorico della dottrina dell 'Uno. 1 3 5

Si vanifica così quella tensione che Platone esprime nella formula dell'ayaOÒv brix&L va rfiç oua[aç de) famoso passo di Repubblica 509 B 8-9, secondo cui il Bene «non è essere, ma trascende l' essere>>, dovendosi tale formula intendere non ancora in senso neoplatonico, cioè alla maniera dell' Uno neoplatonico, che trascende effettivamente ogni distinzione tra essere e non

1 34 Questa tesi fu presentata per la prima volta nella relazione inaugurale tenuta in occasione del primo Convegno della Società Italiana per lo Studio del Pensiero Medievale, Padova 1 99 1 . Cf. F. Romano, Platonismo/Neo­platonismo: continuità e rotture, ci t.

1 3 5 Cf. F. Romano, L 'Uno come fondamento, a cura di G.R. Giardina, Catania 2004.

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essere ed è quindi al di là dell' essere (i:nba:t va ri]ç oùaiaç), ed è perciò produttivo dell 'esistenza e dell' intelligibilità di ogni cosa. Nel neoplatonismo infatti, l 'essere, anche nella sua forma più universale che è quella dell' intelligibile, è ipostasi non di livello primario, bensì di livello derivato dal Principio.

Ora, la gradazione ontologica, che Plotino in Enn. V, I, l O, 8 attribuisce a Platone, ammette al di sopra dell 'anima e dell ' in­telletto demiurgico che è "padre", un Principio ulteriore, il Bene, che lo stesso Plotino definisce, appunto, rò bréxt:L va voiJ xaì bré­XE:L va oùaiaç, stabilendo così un processo generativo, in cui i:x

11èv roiJ àyatJoiJ ròv voùv, i:x 8è roiJ voiJ n} v rpvzrjv.

In nessun filosofo anteriore a Plotino si può trovare un siste­ma gerarchico così nettamente delineato. Eppure, i frammenti teologici di Numenio, filosofo platonico pitagorizzante del II se­colo d.C., che, secondo una felice espressione del Theiler, costi­tuisce la più importante figura medioplatonica della Vorberei­tung des Neuplatonismus, mostrano già chiaramente tre distinti livelli del Principio, anche se non assegnano al Primo Principio uno statuto meta-noetico. Questa di Numenio è una procedura complessa, che gerarchizzando il divino in tre distinti momenti, anticipa di certo la teologia plotiniana. Nella concezione metafi­sica numeniana emerge infatti, al di sopra dell'anima del mondo e dell' intelletto demiurgico, un Principio superiore che Numenio chiama "primo Dio", o "primo Intelletto", il quale, pur non si­tuandosi al di là dell'essere e dell' intelletto, presenta tratti di tra­scendenza ontologica e ineffabilità epistemica, che necessaria­mente lo rendono affine all'Uno plotiniano.

I tre Dei numeniani si presentano, peraltro, come tre differen­ti livelli di attività mentale, dei quali il secondo, cioè il voeìv,

costituisce l'attività distintiva del secondo Dio. Anche il primo Dio può voeìv, ma solo chiedendo l 'aiuto del Secondo, perché ciò che lo distingue non è il Pensiero, bensì l ' Uno-Bene, che è al

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di sopra dell' Intelletto, cioè del vot:ìv. Numenio definisce il primo Dio come un'Intelligenza allo stato di quiete, perché non effettua alcun atto di pensiero, mentre definisce il secondo Dio come un'Intelligenza in atto, la cui funzione propria è appunto il pensare. In tal modo, il primo Dio pensa solo in quanto utilizza come assistente il secondo Dio, che è l' Intelletto in atto (iv rreo­axel]at:l rov 8t:vrieov vot:ìv). A sua volta, il secondo Dio, che per creare un mondo materiale ha bisogno dell'aiuto del terzo Dio, abbandona la VOTJatç ed esercita la 8uivow, che è la caratteristica propria del terzo Dio.

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8 . INDICI

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Indice degli autori antichi

Accademici, 1 5, 1 8, 20.

Alcinoo, 14, 57 n, 58, 59 e n, 60, 6 1 .

Alessandro Poliistore, 3 7.

Anassagora, 66.

Antioco di Ascalona, 20, 2 1 , 37, 66.

Arcesilao, 2 1 .

Ari o Didimo, 3 7.

Aristotele, 1 7, 2 1 , 67 n.

Arpocrazione, 1 8 .

Attico, 22.

Calcidio, 22, 28 e n, 32.

Calveno Tauro, 22.

Carneade, 20 n, 2 1 .

Cicerone, 13 , 66 n.

Clemente di Alessandria, 1 6, 1 7, 58.

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90 EVA DI STEFANO

Corpus Hermeticum, 14.

Cronio, 1 7, 29.

Damascio, 48, 50, 58 .

Epicurei, 1 8, 20.

Epicuro, 20.

Euclide, 60.

Eudoro, 1 3, 37, 38, 39, 40 e n, 4 1 , 58 .

Eusebio, 1 6, 1 8, 23 , 26, 4 1 , 42, 6 1 , 69, 7 1 , 72, 73 .

Filone di Alessandria, 7 1 , 74, 76 n.

Giamblico, 1 5 n, 1 6, 1 8, 22, 29, 36 e n, 54, 58, 65.

Giuliano il Caldeo, 54.

Giuliano il Teurgo, 54.

Giustino, 32, 64, 7 1 .

Lattanzio, 7 1 .

Macrobio, 54 n, 5 5 n.

Marco Aurelio, 54, 64.

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LA TRIADE DIVINA IN NUMENIO 9 1

Mario Vittorino, 67 n.

Medioplatonici, 32, 36.

Michele Psello, 44 n, 46, 48, 49 e n, 50.

Moderato, 1 3 , 38, 39, 58 .

Nemesio, 1 6, 35 .

Neopitagorici, 33, 35 , 36, 60.

Neoplatonici, 1 5 e n, 1 6, 1 7, 1 8, 3 1 , 38, 44, 55, 67.

Nicomaco, 1 3 .

Nigidio Figulo, 37.

Numenio, 1 3 e n, 14, 16 e n, 1 7, 1 8, 19 e n, 20 e n, 2 1 , 22, 23, 24, 25, 26, 27 e n, 28 e n, 29, 32, 33, 35 , 37, 4 1 , 42 e n, 43 e n, 45, 46 e n, 47, 49, 5 1 e n, 52 e n, 53 e n, 54 e n, 55 e n, 56, 58, 6 1 , 62, 63, 64, 65, 66, 69, 70, 7 1 e n, 72, 73, 74, 76, 78, 79.

Oracoli caldaici, 1 4, 24, 43, 44, 49 e n, 54, 69.

Origene, 1 6, 22, 23, 64, 72, 73,

Pitagora, 1 6, 2 1 , 22, 23, 25, 26, 28 n, 38, 40, 58.

Pitagorici, 1 8, 36 n, 39, 40, 47.

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92 EVA DI STEFANO

Platone, 14, 1 5 , 1 6, 1 7, 1 8, 1 9, 20, 2 1 , 22, 23, 25, 26, 28 e n, 32, 34 e n, 35, 37 n, 38, 39, 45, 5 1 n, 56 n, 37, 58, 59 e n, 62 e n, 63, 68 n, 69, 7 1 , 72 n, 73, 74, 77, 78.

Platonici, 2 1 , 7 1 .

Plotino, 1 3 , 1 7, 1 8 , 20 n, 24, 25, 3 1 , 32, 33, 34, 44, 50 e n, 5 1 n, 52 e n, 54 n, 56 n, 57 n, 58, 6 1 , 64, 65 e n, 67 n, 68 n, 77, 78.

Porfirio, 1 7, 1 8, 22, 27, 38, 7 1 n, 72, 73 .

Posidonio, 23 .

Proclo, 1 6, 22, 43 e n, 48 n, 50 e n, 5 1 e n, 55 n, 58, 60, 67 e n, 68 n.

Pseudo-Alessandro di Afrodisia, 34, 35 , 36 n.

Pseudo-Archita, 37.

Pseudo-Brotino, 33, 34, 35, 36 n.

Pseudo-Dionigi Areopagita, 50, 57, 58

Pseudo-Ocello Lucano, 3 7.

Senocrate, 2 1 .

Simplicio, 38. 39.

Siriano, 34, 35, 36 n.

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LA TRIADE DIVINA IN NUMENIO

Speusippo, 1 5 , 20, 2 1 .

Stoici, 1 8, 2 1 , 28 n, 35 .

Teodoro di Asine, 1 8 .

93

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Indice degli autori moderni

Abbate M., 60 n.

Baltes M., 43 n, 6 1 n.

Beierwaltes W., 1 9 n, 48 n.

Brisson L., 44 e n.

Calabi F . , 49 n, 60 n, 76 n.

Centrone B. , 1 3 n.

Cumont F., 44 n.

Daniélou J., 58 n.

des Places É., 1 3 n, 1 6 n, 1 8, 20 n, 2 1 n, 22, 32, 33, 35 , 38 , 4 1 , 44 n, 45, 46 e n, 55 , 72 n.

Di Stefano E., 48 n, 50 n, 59 n.

Dillon J., 36 n, 72 e n.

Dodds E.R. , 24 e n, 27 n, 35, 3 8, 43 n, 46 e n, 5 1 n, 52 n, 57 e n, 64 n, 68 n, 70, 7 1 n.

Festugière A.-J., 46 e n, 56 n, 57, 68 n, 70 e n.

Frede M., 1 3 , 1 4, 1 6.

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96 EVA DI STEFANO

Giardina G.R., 77 n.

Guérard Ch., 48 n.

Hadot P., 25 n, 44 e n, 46 e n, 55 n, 66 e n, 67 n, 68 n.

Kroll G. , 34, 44 e n.

Leemans E.A., 1 7 n,

Lewy H., 44 n, 46 e n, 49 n.

Lilla S., 47 n, 58 n.

Linguiti A., 49 n.

Magris A., 57 n.

Majercik R., 44 e n.

Mazza M. , 54 n.

Norden E. , 24, 57.

O 'Meara D.J . , 17 n, 18 n, 20 n, 61 n.

Puech H.C., 23 e n, 24, 25, 27.

Romano F., 13 n, 1 5 n, 3 1 n, 33 n, 34 n, 36 n, 37n, 40 n, 50 n, 5 1 n, 77 e n.

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LA TRIADE DIVINA IN NUMENIO

Runia D.T., 75 n.

Saffrey H.D., 1 6 n, 44 e n, 48 n.

Taormina D.P., 36 n.

Tardieu M., 25 n, 44 e n.

Thes1eff H., 35 n, 3 7 e n.

Waszink J .H. , 28 n, 32, 46 e n, 7 1 n.

Whittaker J., 32 n, 33 n, 40 n, 58 n, 6 1 n, 7 1 , 74 n, 76 n.

Wolfson H.A., 60.

97

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Indice dei frammenti numeniani citati

Numénius

Fragments, éd. et trad. par É. des Places, Paris 1 973

fr. l a: p. 2 1 , 23, 25, 55 , 73. fr. l b : p. 23, 26, 73. fr. l e: p. 23. fr. 2 : p . 20 n, 33, 4 1 , 49, 6 l . fr. 3 : p. 20 n. fr. 4a: p. 1 9 n. fr. 4b: p .35 . fr. 5 : p 1 9, 20 n, 54 n . fr. 6 : p. 19 e n. fr. 8: p. 20 n, 32, 72. fr. 9: p. 23. fr. l O a: p . 23 . fr. l l : p. 42 e n, 43 n. fr. l 2 : p. 25, 42, 46, 55. fr. 1 3 : p. 69, 72 fr. 1 5 : p. 46, 53 n fr. 1 6 : p. 32, 42 n, 53, 54, 55. fr. l 7 : p. 24, 45, 55 , fr. 19 : p. 27. fr. 20: p. 42 n, 54. fr. 2 1 : p. 42 n. fr. 22: p . 33, 5 1 , 52 n. fr. 24: p. 1 6 n, 1 7, 1 8 , 20, 2 1 e n, 22. fr. 24-28 : p. 1 8 . fr. 27: p. 20 n.

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100

fr. 28: p. 2 1 fr. 30: p. 23, 73 fr. 4 1 : p. 65 . fr. 42: p . 65 .

EVA DI STEFANO

fr. 43 : p. 29, 54 n, 55 n. fr. 44: p. 27. fr. 52: p. 28 e n, 46, fr. 53 : p. 23, 55 . fr. 55 : p. 55 n .