Bessone "Discorsi dei liberti e parodia del Simposio platonico nella Cena Trimalchionis"

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    ccademia Editoriale

    Discorsi dei liberti e parodia del Simposio platonico nella Cena Trimalchionis

    Author(s): Federica Bessone

    Source: Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici, No. 30 (1993), pp. 63-86

    Published by: Fabrizio Serra EditoreStable URL: http://www.jstor.org/stable/23209073

    Accessed: 22-06-2016 04:03 UTC

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    Federica essone

    Discorsi dei liberti e parodia del Simposio

    platonico nella Cena Trimalchionis

    Innumerevoli sono i modelli letterari che il Satyricon coinvolge

    nella sua tessitura parodica; il Simposio di Platone uno di que

    sti e dissemina tracce di s, visibili, talora anzi esibite, nell'opera

    petroniana. L'entrata di Abinna e vari punti della Cena, la sto

    ria del fanciullo di Pergamo e alcune riflessioni di Gitone sul

    mnage con Encolpio sono luoghi in cui possiamo leggere la

    trasformazione romanzesca dell'illustre archetipo, operata nel

    segno della parodia e della degradazione1. A sollecitare una ve

    rifica del rapporto intertestuale col Simposio ora un altro pun

    to del romanzo, la conversazione dei commensali ai capitoli 41

    46 della Cena, riconoscere la presenza del modello, in forma di

    rovesciamento parodico, nella costruzione del dialogo dei liber

    ti ci aiuter ad apprezzare la complessit letteraria di questa

    creazione petroniana e a far emergere il disegno di una pi am

    pia relazione tra la Cena Trimalchionis e il dialogo platonico.

    Al cap. 41, 9 Trimalcione libera momentaneamente gli ospiti

    (come il Nasidieno oraziano) dalla sua tirannica presenza. Sot

    tratti all'incalzare delle portate e alla rega del padrone di casa, i

    convitati si danno alla conversazione: in una sequenza mimetica

    pressoch ininterrotta assistiamo cos alle tirate successive di

    cinque liberti, accomunate dalla ben nota qualit volgare del

    linguaggio e dalla vivacit espressiva che sprigiona effetti comi

    ci. Argomenti banali, orizzonti meschini e gusto del pettegolez

    zo, un ovvio e trito filosofeggiare, tutto proverbi e frasi fatte,

    1. Si vedano i contributi di: A. L., 2 Petronius, Beri. Philol. Wochenschr. 29,

    1900, p. 925-26; A. Cameron, Petronius and Plato, Class. Quart. n.s. 19, 1969,

    pp. 367-70 (con bibliografia precedente); M. Citroni, Due note marginali a Petro

    nio, Maia 27, 1975, pp. 297-305; R. Dimundo, Da Socrate a Eumolpo. Degrada

    zione dei personaggi e delle funzioni nella novella del fanciullo di Pergamo, MD

    10-11, 1983, pp. 255-65; G. Sommariva, Eumolpo, un 'Socrate epicureo' nel Satyri

    con, Ann. Scuoi. Norm. Pisa, Cl. Lett., ser. III, vol. XIV, 1, 1984, pp. 25-58. Il

    testo di Petronio sar citato secondo la terza edizione di K. Mller, Mnchen 1983.

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    Federica Bessone

    danno l'impronta fondamentale al brano, che celebra la trivialit di un ambiente sociale determinato.

    L'insieme dei discorsi stato interpretato, da un lato (analo

    gamente a quanto si era gi fatto per i saggi di cultura di Tri

    malcione2), come parodia di un genere letterario, quello del dia

    logo (soprattutto) filosofico, che verrebbe riprodotto da Petro

    nio nella sua forma esterna, con un evidente rovesciamento a

    livello di contenuti e di stile3 ; dall'altro, in relazione pi specifi

    camente al Simposio di Platone, come una sorta di anti

    Simposio, tentativo fallimentare dei liberti di far rivivere quell'i

    deale, suscettibile di una lettura in chiave simbolica pi che di

    un'analisi in termini di parodia4. Convinti, al contrario, che

    2. Gi da tempo, i ridicoli sfoggi eruditi in cui si cimenta Trimalcione nella Cena

    sono stati interpretati come goffe pretese del parvenu di imitare la conversazione

    dotta dei simposi letterari, o meglio come comica parodia del genere da parte di

    Petronio, di cui sono un segnale metaletterario le parole del personaggio a 39, 4:

    oportet etiam inter cenandum philologiam nosse. Un accenno gi in J. Martin, Sym

    posion. Die Geschichte einer literarischen Form, Paderborn 1931, p. 24; l'osserva

    zione stata ripresa da: A. Hug, Symposion-Literatur, RE IV A2, 1932, col. 1278;

    E. Courtney, Parody and Literary Allusion in Menippean Satire, Philologus 106,

    1962, p. 97; J. P. Sullivan, The Satyricon of Petronius, London 1968, p. 125; Came

    ron, art. cit. p. 370 e soprattutto da G. . Sandy, Petronius and the Tradition of the

    Interpolated Narrative, Trans. Am. Philol. Ass. 101,1970, pp. 471-73. Una breve

    notazione sulla parodia dei simposi letterari, con la loro conversazione idealizzata,

    nella scena del litigio tra Trimalcione e Fortunata si trova in V.Tandoi, Una propo

    sta di matrimonio per Trimalcione (PetrSatyr. 74, 15), in: Studia Fiorentina Ale

    xandre Ronconi sexagenario oblata, Roma 1970, p. 452.

    3. E' questa la tesi sostenuta con un'analisi dettagliata dei capp. 41-46 da A. Peru

    telli, Le chiacchiere dei liberti. Dialogo e commedia in Petronio 41-46, Maia 37,

    1985, pp. 103-19. In precedenza solo un brevissimo accenno era stato fatto da Ca

    meron, art. cit. p. 370: ...the real counterpart of the philosophical conversation

    proper to a dialogue is of course the homely philosophy of the freedmen. Perutelli

    fa riferimento anche al Simposio, sia in generale sia, specialmente, a proposito del

    malevolo discorso di Filerote sul morto Crisanto, possibile rovesciamento degli

    elogi platonici di Eros in antielogio (art. cit. p. 112-13; l'osservazione di un'analogia

    di struttura con il dialogo del Simposio platonico in particolare sembrerebbe impli

    cita in un cenno di Sullivan -1. cit. -, che non coglie per in alcun modo la funzione

    parodica: The successive conversational monologues of Trimalchio's guests lack

    the formality and singlemindedness of the speakers in the Symposium...).

    4. Cos Florence Dupont, Le plaisir et la loi. Du Banquet de Platon au Satyricon,

    Paris 1977, pp. 78-82 (da vedere tutto il terzo capitolo, Le Banquet d' Agathon et le

    Festin de Trimalchion, pp. 61-89, cui faremo riferimento pi volte). In questo sag

    gio di impianto generale viene accostata ad altri confronti tra l'episodio petroniano

    e il Simposio platonico l'osservazione di una corrispondenza strutturale tra i cinque

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    Simposio platonico e Cena Trimalchionis

    quest'ultimo sia l'approccio pi opportuno, la lettura che me

    glio risponde all'atteggiamento di Petronio verso i modelli di

    letteratura 'alta', ci proponiamo in questa sede di approfondire

    l'analisi testuale e di esaminare i meccanismi della parodia messi

    in atto dall'autore, la sua strategia intertestuale; per parodia in

    tendiamo in questo caso la riproduzione distorta di un modello

    nobile, che proietta una luce caricaturale non sul modello ma su

    se stessa, copia degradata di quello.

    Il testo platonico, di cui conosciamo il valore esemplare per il

    Satyricon e per la Cena in particolare, ci offre in tutta la sua

    prima parte l'esempio principe di un dialogo fatto di 'assoli'

    successivi e ambientato in un contesto conviviale, in evidente

    analogia con la costruzione petroniana - che su quella matrice

    appare ricalcata il parallelismo di struttura mette in risalto

    un'opposizione generale, radicalmente netta, tra i due contesti,

    in cui il secondo vuol essere letto (anche) come degradazione ed

    inversione del primo; a un'osservazione ravvicinata del brano

    del romanzo, come vedremo, emergono poi alcune, puntuali,

    opposizioni significative nei confronti del modello, che sottoli

    neano il generale gesto parodico di cui esso fatto oggetto.

    Non solo l'ambientazione del 'dialogo' petroniano , ovvia

    mente, conviviale, ma la sua precisa collocazione nell'ambito

    della cena riproduce il luogo tradizionalmente riservato alla

    conversazione nel simposio greco5 (punto d'avvio anche per il

    discorsi dei liberti - seguiti da quelli di Trimalcione e, quindi, di Abinna - e gli elogi

    di Eros pronunciati dai cinque oratori in Platone - coronati dai discorsi di Socrate e

    di Alcibiade All'interno di una costruzione complessiva della Cena che riproduce

    i momenti salienti del convito platonico (in maniera per disarticolata e svuotata di

    senso) il libero dialogo dei commensali ha secondo la studiosa un posto centrale:

    esso aspira all' ideale del Simposio le Banquet perdu , ma fallisce nel tentativo

    di realizzarlo, riesce nella negazione e nell'opposto di quello; la vacuit e la molestia

    dei discorsi sanciscono lo scacco dei liberti, impotenti a far rivivere il lgos sympoti

    ks e ridotti a strumenti scenici nelle mani del regista Trimalcione, re e tiranno di un

    banchetto dispotico. In questa prospettiva (descrizione del dialogo dei liberti come

    tentativo - fallimentare - di conformarsi al modello del simposio democratico ate

    niese; lettura in chiave simbolica di questo scacco - che rappresenterebbe fra l'altro

    la perdita della libert di parola, sul piano politico, nella Roma imperiale -) la Du

    pont respinge la definizione del rapporto tra la Cena e il Simposio in termini di

    parodia (l'interpretazione della Cena come anti-Simposio, proposta dalla studiosa

    francese, accolta e ribadita da R. Martin, La Cena Trimalcbionis: les trois ni

    veaux d'un festin, Bull. Ass. G. Bud 1988, 3, p. 243 s.).

    5. Cfr. ad es. P. Von der Mhll, Il simposio greco, in: Poesia e simposio nella

    Grecia antica. Guida storica e critica, a c. di M. Vetta, Roma/Bari 1983, p. 10 (ed.

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    Federica Bessone

    dialogo del Simposio platonico)6: quel momento in cui, finite le

    portate (e offerte le libagioni rituali), i convitati si dedicano a

    bere vino e a discorrere amabilmente. Grazie all uscita di scena

    di Trimalcione si crea infatti una sosta, una sospensione e come

    un'illusione di fine del banchetto, presto spezzata col ritorno

    del padrone di casa e con la ripresa delle portate (47, 8: nec

    adhuc sciebamus nos in medio, quod aiunt, clivo laborare, nam

    commundatis ad symphoniam mensis tres albi sues in triclinium

    adducti sunt...). Se l'introduzione della sequenza oscurata per

    noi dal sospetto guasto testuale di 41, 9 (ma si veda l'Appendi

    ce, in cui espongo le ragioni per cui il testo mi sembra difendibi

    le), va ricordato che essa si riallaccia strettamente a 39, 1, al

    punto in cui, portato via il piatto zodiacale, il tentativo dei con

    vitati di darsi, appunto, al vino e alla conversazione era stato

    interrotto e ritardato da un ennesimo intervento di Trimalcio

    ne: interpellavit tam dulces fabulas Trimalchio; nam iam subla

    tum erat ferculum, hilaresque convivae vino sermonibusque pu

    blicatis operam coeperant dare. E' del resto con la richiesta di

    vino da parte di Dama7 e con il suo breve discorso, al vino

    interamente dedicato, che si apre il nostro brano.

    Al contesto 'simposiale' si lega evidentemente, come si det

    to, il primo intervento : Dama itaque primus cum fpataracinaf

    rig.: 1957); . Bielohlawek, Precettistica conviviale e simposiale nei poeti greci (da

    Omero fino alla silloge teognidea e a Crizia), ibid. (il saggio del 1940), p. 99, 105 e

    n. 16, ecc. Del resto non mancano esempi neppure in ambito latino: si veda, oltre ai

    passi di Cicerone e di Orazio citati pi avanti, Macr. Sat. 2, 1, 1 ; 7,1, 1, dove agisce

    ugualmente il modello della letteratura simposiale greca; cfr. inoltre Mart. 10, 48,18

    ss. (l'uso si fa convenzione letteraria; la stessa collocazione, nell'ambito del ban

    chetto, serve spesso da cornice ad un racconto nel racconto, specialmente nell'epica

    e nel romanzo: si vedano, ad es., Verg. Aen. 1, 723 ss.; Ov. Met. 4, 765 ss.; 8, 571

    ss.; 12, 155 ss.; 13, 639 ss.; Apul. Met. 2, 19).

    6. Si veda anche la definizione data da Plutarco, nel proemio generale alle sue

    Quaestiones convivales (I, 612 d-e), dei simposi scritti da illustri filosofi (Aristotele,

    Speusippo, Epicuro, Pritani, Ieronimo, Dione) sull'esempio di Platone e Senofonte:

    ... (iciv

    .

    7. Questa l'interpretazione comune, praticamente sicura, nonostante le incertez

    ze sul termine pataracina, che alcuni tentano di spiegare, altri ritengono corrotto

    (Mller3 lo stampa tra cruces): si veda il commento di M. S. Smith (Oxford 1975) ad

    loc. (e, da ultimo, M. G. Cavalca Schiroli, Dama: Petron. Satyr. 41, 10-12, in:

    Mnemosynum. Studi in onore di A. Gbiselli, Bologna 1989, p. 89) e si confronti la

    richiesta di Abinna ubriaco, subito imitato da Trimalcione, a 65, 8.

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    Simposio platonico e Cena Trimalcbionis

    poposcisset, 'dies' inquit 'nihil est. dum versas te, nox fit. itaque

    nihil est melius quam de cubiculo recta in triclinium ire. et mun

    dum frigus habuimus. vix me balneus calfecit. tamen calda potio

    vestiarius est. staminatas duxi, et plane matus sum. vinus mihi

    in cerebrum abiit'. Alla richiesta di nuove coppe, segnale d'ini

    zio del simposio8, tiene dietro un breve discorso che culmina in

    una dichiarazione di ubriachezza. L esordio sembrerebbe

    un'ennesima variazione conviviale sul tema della fuga del

    tempo9, ma un meccanismo di degradazione interviene nei con

    fronti di tale topica, e nel raggio delle espressioni possibili ne

    viene scelta una parzialmente ambigua, che serve a creare un

    effetto comico. La considerazione sulla fugacit del giorno e

    sull'incalzare della notte10 parrebbe infatti ricca di risonanze

    esistenziali11, in ragione del frequente scambio metaforico (o,

    meglio, metonimico) tra luce del giorno ed esistenza umana, tra

    notte e morte12; con la frase seguente si introduce per uno

    8. Qui sembrerebbe agire anche il modello della cena Nasidieni (cfr. ad es. Sulli

    van, op. cit. p. 127), in cui lo spazio lasciato libero dall'uscita dell'ospite colmato

    dai sussurri a bassa voce scambiati nell'orecchio tra i convitati (Hor. S. 2, 8, 77-8) e,

    tra l'altro, da una richiesta inascoltata di vino da parte di Vibidio (v. 82): in realt,

    come si dir anche in seguito (cfr. l'Appendice) l'analogia rimane in questo caso

    superficiale ed esterna, pi apparente che reale.

    9. Una di quelle considerazioni di ordine generale cos spesso associate all'invito a

    bere e al carpe diem, cui anche Trimalcione aveva fatto omaggio al cap. 34 (7; 10), e

    che un passo di Lucrezio (per non citare la ricchissima tradizione di poesia simpo

    siale in proposito) definisce come tipiche dei contesti conviviali: Lucr. 3, 912 ss. hoc

    etiam faciunt ubi discubuere tenentque/ pocula saepe homines et inumbrant ora

    coronis,/ ex animo ut dicant 'brevis hic est fructus homullis;/ iam fuerit neque post

    umquam revocare licebit'.

    10. Per la quale la formulazione pi vicina, in un contesto simposiale e in stretta

    connessione con l'invito a bere, forse quella di Alceo, fr. 346 LP: Beviamo.

    Perch aspettare le lucerne? Il giorno un dito... ( questa una delle due interpre

    tazioni possibili dell'espressione ). Il frammento il seguente:

    ' ; ' / +' ,

    .-1 /olvov / '.

    / , ' / .

    11. Di cui il carme di Alceo non privo, e che saranno valorizzate dal rifacimento

    di Asclepiade, A.P. 12, 50, 5 ss. (= HE 884 ss.): 1

    . / * ; / '

    , / , ' .

    12. E' appena il caso di ricordare Cat. 5, 4-6: soles ocdere et redire possunt: /

    nobis cum semel occidit brevis lux, / nox est perpetua una dormienda o Hor. C. 1,

    28, 15 s.: sed omnis una manet nox / et calcanda semel via leti. Per l'invito a bere

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    Federica Bessone

    scarto e quell'orizzonte di attese viene comicamente dissolto13:

    la conclusione tratta dal personaggio, che non c' niente di me

    glio del passare direttamente dalla camera da letto alla sala da

    pranzo, restituisce quella premessa al suo nudo significato lette

    rale e la svilisce a giustificazione della vita del debosciato, il

    quale inizia a gozzovigliare in pieno giorno14. Viene quindi pre

    sentata, dopo la considerazione di ordine generale, anche l'oc

    casione particolare, la circostanza presente che invita a bere vi

    no: nell'ambito della topica simposiale, con la gamma delle sue

    motivazioni occasionali, scelta di nuovo una giustificazione

    facilmente riconducibile ad un livello di fisicit elementare,

    quella del freddo esterno15; cos, anche il relativo elogio degli

    effetti del vino, inscrivibile a sua volta nella ricca tradizione

    simposiale delle lodi ad esso tributate16, scade ad una esaltazio

    ne della sua virt assolutamente limitata alla pura materialit

    legato alla coscienza del trascorrere del giorno si pu richiamare Hor. C. 3, 28, 5

    ss.: inclinare meridiem / sentis ac, veluti stet volucris dies, /paras deripere horreo /

    cessantem Bibuli consults amphoram. Anche la forma dell'espressione (dum versas

    te...), come stato notato, riecheggia formulazioni probabilmente tipiche di tali

    contesti, e forse proverbiali. Si porta a confronto Sen. De ira, 3, 43, 5 (la chiusa del

    dialogo) : dum respicimus, quod aiunt, versamusque nos, iam mortalitas aderii, e si

    potrebbero accostare espressioni come quella di Hor. C. 1, 11, 7 s. : dum loquimur,

    fugerit invida/ aetas, bench il loro carattere proverbiale non sia ristretto a questo

    solo ambito: si veda il commento di Nisbet-Hubbard (A Commentary on Horace:

    Odes Book 1, Oxford 1970) ad loc.

    13. Lo scompenso qui messo in risalto con l'analisi dei meccanismi testuali era

    avvertito, in alcune fini osservazioni di carattere psicologistico, da V. Ciaffi, Inter

    mezzo nella Cena petroniana (41, 10-46, 8), Riv. Filol. Istr. Class. 83, 1955, p.

    115-16.

    14. Su questa dottrina paradossale, quasi un rovesciamento delle invettive seneca

    ne contro la turba lucifugarum, importanti le osservazioni di Perutelli, art. cit. p.

    109 e . 15; sulla sconvenienza (o estrema eleganza) del de medio potare die si veda

    anche la nota di Nisbet-Hubbard (A Commentary on Horace: Odes, Book II, Ox

    ford 1978) a Hor. C. 2, 7, 6.

    15. Al proposito si pu ricordare il carme 338 LP di Alceo - poeta che, secondo

    Ateneo, trovava motivo per bere in ogni stagione dell'anno -, modello dell'ode

    oraziana del Soratte (Hor. C. 1, 9); sulla frequente ambientazione invernale dei

    carmi simposiali cfr. Nisbet-Hubbard, Hor. Odes, Book I cit. p. 117, 134.

    16. Cfr. ad es., per rimanere in ambito latino, il discorso de vi vini pronunciato da

    Messalla nel Simposio scritto da Mecenate, su cui ci informa Servio Dan. ad Aen. 8,

    310; i w. 13-20 dell'Ode 3, 21 di Orazio, rivolta all'anfora e dedicata allo stesso

    Messalla; i w. 16 ss. dell'Epistola oraziana 1, 5 (l'invito a cena a Torquato), ecc. (si

    veda anche la nota di Nisbet-Hubbard a Hor. C. 1, 18, 3-6, p. 228).

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    Simposio platonico e Cena Trimalchionis

    fisiologica, di rimedio contro il freddo17. L'annuncio della pro

    pria ubriachezza, degno coronamento, suggella comicamente il

    pezzo e assimila il personaggio a una figura tipica dei simposi

    letterari, quella del forte bevitore o dell'ubriaco18.

    Questo per l'analisi puntuale. Se si considera ora l'intervento

    nel suo insieme, la tirata da crapulone proprio in apertura alla

    serie dei discorsi, pronunciata da un personaggio gi ubriaco in

    questa fase della cena19, rimanda per contrasto a quella che, nel

    Simposio di Platone, l'introduzione vera e propria al dialogo

    dei convitati. Al paragrafo 176 del testo greco, terminata la cena

    e dopo le libagioni, l'inno al dio e gli altri rituali, al momento di

    passare al vino (176 a: ) viene avanzata

    da Pausania la proposta di bere nel modo meno molesto (mode

    ratamente), visto anche che la maggior parte dei convitati risen

    te ancora gli effetti delle bevute del giorno prima. Accettata da

    Aristofane e da Agatone, grandi bevitori che al momento non si

    sentono pi in forze, la proposta viene ripresa entusiasticamen

    te dal medico Erissimaco, rappresentante dei pi deboli nel be

    re: poich nessuno ha voglia di esagerare col vino, egli non teme

    di riuscire fastidioso esponendo il punto di vista della medicina

    sull'argomento, cio che l'ubriachezza fa male agli uomini, e

    dichiara di non essere disposto e di non voler indurre altri, tan

    to pi con la testa pesante dal giorno precedente, ad andare

    oltre misura. Tutti si accordano, dunque, di non passare quel

    convito nell'ubriachezza (

    ), ma di bere ognuno secondo il proprio pia

    cere, senza costrizioni20. E' ancora Erissimaco, infine, a ribadire

    il concetto, aggiungendo il suggerimento di congedare la flauti

    sta e di passare il tempo, quel giorno, nei discorsi, su un argo

    mento che egli stesso proporr (...

    17. Mentre spesso il vino lodato come liberatore dagli affanni, capace di riaccen

    dere la speranza, di ricondurre alla giovinezza, di recare l'oblio... (cfr. A. La Penna,

    Il vino di Orazio: nel modus e contro il modus, in: Saggi e studi su Orazio,

    Firenze 1993, p. 275-97, a p. 290 ss.). L'esaltazione di Dama sar ripresa in forma

    decisamente volgare nel successivo discorso di Seleuco (42, 2).

    18. Cfr. Martin, op. cit. p. 106 ss.

    19. Mentre per gli altri personaggi i primi segni dell'ubriachezza si manifestano a

    52, 8, a 64, 2 e in seguito.

    20. Cio senza l'imposizione delle leggi simposiali, che stabilivano la quantit di

    vino che i convitati dovevano bere (cfr. il passo oraziano citato pi avanti).

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  • 7/25/2019 Bessone "Discorsi dei liberti e parodia del Simposio platonico nella Cena Trimalchionis"

    9/25

    Federica Bessone

    .., '

    , ' , ); sar di

    nuovo lui, nella parte finale, al momento dell'arrivo di Alcibia

    de ebbro e di fronte alla sua richiesta di vino e al suo autopro

    clamarsi arbitro delle bevute, ad obiettare che, in tal modo, essi

    non saranno in grado di parlare davanti al bicchiere n di canta

    re, ma berranno solo come degli assetati (214 a-b): ...

    ; , '

    ;

    L'incompatibilit tra lo stato di ubriachezza e la conversazio

    ne amabile che deve accompagnare il simposio ideale, per la

    quale si richiede moderazione nel bere, un concetto di radici

    antichissime, ripetutamente elaborato e ridefinito nella poesia

    simposiale greca21; esso viene ad assumere il rilievo speciale di

    una premessa imprescindibile nel convivio filosofico, a favore

    dei discorsi che ne costituiscono la componente centrale. Cos

    anche nel Simposio di Senofonte, insieme a quello di Platone

    archetipo del genere letterario; qui Socrate che, di fronte alla

    richiesta di una grande coppa da parte del buffone Filippo, ap

    poggiata da Callia, il padrone di casa, si fa promotore dell'ini

    ziativa di bere poco alla volta (23 ss.): perch il vino addormen

    ta le pene e risveglia le gioie, ma ai corpi umani avviene come

    alle piante, che, abbeverate troppo copiosamente, non riescono

    a sollevarsi e a lasciarsi penetrare dalle brezze, mentre, se bevo

    no secondo il bisogno, crescono ben dritte, fioriscono e produ

    cono frutti; cos anche noi, qualora ci facciamo versare da bere

    tutto in una volta, subito vedremo vacillare il nostro corpo e la

    nostra mente, e non saremo in grado neppure di respirare, tanto

    meno di dire qualcosa; se invece i servi faranno stillare per noi

    una pioggia fine e frequente in piccole coppe... cos, non essen

    do costretti dal vino ad ubriacarci, ma lasciandoci persuadere,

    giungeremo a una maggiore gaiezza (anche qui la proposta vie

    ne accolta da tutti).

    21. Si vedano i numerosissimi passi discussi nello studio citato di Bielohlawek

    (passim); tra tutte le formulazioni, interessante quella di Teognide, 467-96, con il

    biasimo rivolto al convitato che sa solo ripetere Versami e si ubriaca, l'esortazio

    ne agli altri a parlare amabilmente accanto al cratere, perch il simposio non sia

    , e l'esempio del poeta, che beve con moderazione (in Teognide cfr. anche i w.

    762-63, ecc.); si veda inoltre il discorso di Solone nel frammento di Alessi riportato

    da Ateneo, X 431 e.

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    10/25

    Simposio platonico e Cena Trimalchionis 71

    Che questo atteggiamento rimanga codificato come regola

    essenziale nel simposio ideale, incentrato sui discorsi molto pi

    che sul cibo o sul vino abbondante, risulta da numerosi passi del

    Convivio dei sette sapienti e delle Questioni conviviali di

    Plutarco22 e si pu osservare anche in ambito latino: lo mostra

    no, ad esempio, le parole di Catone nel De senectute ciceronia

    no (46), che si rifanno esplicitamente al modello senofonteo23, e

    il convito fortemente idealizzato che Orazio colloca nell'ago

    gnata villa sabina, modellato abbastanza chiaramente, mi pare,

    sull'archetipo platonico24.

    Tornando a Petronio, direi che la teorizzazione di Dama e la

    sua ubriachezza in atto, collocate in posizione incipitaria nella

    22. Cfr. ad es. Sept. Sap. conv. 156 c-e; Quaest. conv. 4, 660 (proemio) b-c. In

    generale si veda E. Pellizer, Outlines of a Morphology of Sympatic Entertainment,

    in: Sympotica. A Symposium on the Symposion, ed. by O. Murray, Oxford 1990, p.

    178 s.

    23. Me vero et magisterio delectant a maioribus institua et is sermo, qui more

    maiorum a summo adhibetur in poculo, et pocula, sicut in Symposio Xenophontis est,

    minuta atque rorantia et refrigerano aestate et vicissim aut sol aut ignis hibernus;

    quae quidem etiam in Sabinis persequi soleo conviviumque vicinorum cotidie com

    pleo, quod ad multam noctem, quam maxime possumus, vario sermone producimus.

    24. S. 2, 6, 65 ss.: o nodes cenaeque deum quibus ipse meique / ante Larem

    proprium vescor vernasque procaces / pasco libatis dapibus. prout cuique libido est /

    siccat inaequalis calices conviva, solutus / legibus insanis, seu quis capit acria fortis /

    pocula seu rnodias uvescit laetius. ergo / sermo oritur, non de villis domibusve alie

    nis, / nec male necne Lepos saltet; sed quod magis ad nos / pertinet et nescire malum

    est agitamus: utrumne / divitiis homines an sint virtute beati; / quidve ad amicitias,

    usus rectumne, trahat nos; / et quae sit natura boni summumque quid eius. / Cer

    vius haec inter vicinus garrit anilis / ex re fabellas... Sul passo si sofferma M. Puelma

    Piwonka, Lucilius und Kallimachos, Frankfurt a. M. 1949, p. 82 ss. (importanti i

    riferimenti a Lucilio, Varrone e Cicerone); non solo l'ambientazione del sermo (v.

    71), tuttavia, va ricondotta in generale alla tradizione della conversazione conviviale

    che ha nel Simposio di Platone la sua radice (Puelma Piwonka, op. cit. p. 83), ma si

    pu notare che lo sfondo delineato da Orazio al sermo di argomento filosofico

    (rispecchiamento del genere letterario satirico - sermo - quale praticato da Orazio

    stesso, come bene osserva lo studioso a p. 85) riproduce abbastanza precisamente lo

    sfondo su cui si svolge il dialogo nel Simposio platonico: cfr. soprattutto i w. 67-9

    con 176 e ... , '

    ;.. . , ,

    ; cfr. inoltre i w. 69-70 con la distinzione tra forti e deboli nel bere in 176 b-c.

    Si veda anche il brano dei Saturnalia di Macrobio (2, 8, 4-9) in cui Eustazio si

    oppone alla proposta di Evangelo di bere copiosamente, illustrandogli i vantaggi del

    vino preso in piccole quantit (minuta pocula : Macrobio conosce la traduzione

    ciceroniana, sopra citata, dell'espressione di Senofonte), sulla scorta della teorizza

    zione platonica nelle Leggi.

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  • 7/25/2019 Bessone "Discorsi dei liberti e parodia del Simposio platonico nella Cena Trimalchionis"

    11/25

    Federica Bessone

    sequenza dei discorsi, sembrano costituire il rovesciamento pa

    rodico delle teorizzazioni sulla moderazione nel bere premesse

    allo svolgimento del dialogo dei convitati nel Simposio di Plato

    ne, e presenti in genere nei simposi 'filosofici' ad esso affini o su

    di esso modellati25; proprio la collocazione incipitaria un

    esordio dei convivarum sermones che viola il galateo della con

    versazione simposiale in una sua cruciale premessa - suggerisce

    che si tratti di un segnale di inversione parodica valido per tutto

    il pezzo.

    La proposta di leggere in filigrana, sotto la costruzione del

    dialogo petroniano nel suo complesso e in un suo punto chiave

    quale quello iniziale, la presenza di un modello letterario illu

    stre pu essere confortata da alcune osservazioni sulla fase fina

    le del dialogo stesso. Al cap. 46, 1, dopo un lungo sproloquio

    sui giochi del circo, l'ultimo liberto, il cenciaiolo Echione, si

    interrompe in modo abrupto per apostrofare il retore Agamen

    none e introduce con mossa vivace un'obiezione che immagina

    di sentirsi rivolgere dall'interlocutore muto: videris mihi, Aga

    memnon, dicere: quid iste argutat molestas ? quia tu, qui potes

    loquere, non loquis. non es nostrae fasciae, et ideo pauperorum

    verba derides, scimus te prae litteras fatuum esse, quid ergo est?

    aliqua die... La movenza dialogica fittizia segna uno scarto nella

    sequenza dei discorsi; essa imprime una svolta alla tirata del

    personaggio, che, una volta scelto esplicitamente il destinatario

    (per la prima volta estraneo al giro dei liberti), cerca un contatto

    con lui prospettandogli un invito a cena e proponendogli il fi

    glio come allievo, e vira cos, passando per il problema dell'edu

    25. Teorizzazioni sugli effetti del vino e sull'ubriachezza erano spesso oggetto di

    scritti propriamente filosofici, alcuni dei quali in forma di simposio: abbiamo alcuni

    frammenti di un di Aristotele (e dell'ubriachezza trattava

    anche uno scritto di Teofrasto), frammenti e testimonianze sul Simposio di Epicuro

    (interessante in riferimento al discorso di Dama perch vi si parlava, nell'ambito

    della dottrina atomistica, del potere riscaldante - e rinfrescante - del vino: cfr. H.

    Usener, Epicurea, Lipsiae 1887, p. 115 ss., n. 58, 59, 60; la questione della natura

    fredda o calda del vino affrontata anche in Plut. Quaest. conv. 3, 5 (651 f-653 b) e

    in Macr. Sat. 7, 6, 1 ss.), sappiamo di un del peripatetico Ieronimo di

    Rodi e di annotazioni sull'uso del vino presso gli Egizi in un simposio di Dione di

    Alessandria (cfr. Plut. Quaest. conv. I, 612 d-e). L'argomento del vino topico

    nella letteratura simposiale in genere; esso molto ben rappresentato, ad es., nelle

    discussioni dei Deipnosofisti di Ateneo. Si vedano anche P. Boyanc, Platon et le

    vin, Bull. Ass. G. Bud, 3e sr. 4, 1951, p. 4; J. Rvay, Horaz und Petron, Class.

    Philol. 17, 1922, p. 208.

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  • 7/25/2019 Bessone "Discorsi dei liberti e parodia del Simposio platonico nella Cena Trimalchionis"

    12/25

    Simposio platonico e Cena Trimalcbionis 73

    cazione del ragazzo, verso l'argomento della cultura letteraria.

    Ricco di effetti comici per lo scompenso tra l'alto livello cultu

    rale del personaggio apostrofato - maestro di retorica - e la

    volgarit di orizzonti e di linguaggio esibita dal liberto nel co

    municargli le sue idee in tema di litterae, il pezzo suggella in

    climax l'intero intermezzo dei capitoli 41-46 .

    Direi che, alla luce di quanto si detto fin qui, l'apostrofe e

    l'osservazione di Echione sul mutismo del retore (che l'unico

    a saper parlare, ma che non prende parte alla conversazione)

    sembrano assumere una valenza metaletteraria27 e insieme una

    funzione di richiamo intertestuale. Il personaggio fa infatti, con

    un movimento autoriflessivo che presuppone la momentanea

    assunzione del punto di vista degli scholastici (di cui Agamen

    none il rappresentante), una considerazione che riguarda il

    suo stesso intervento e i discorsi dei suoi compagni nell'insie

    me: se si sono avute solo noiose ciance (quid iste argutat mole

    stus}28) perch a parlare sono stati gli illetterati, povera gente

    26. E' stato da tempo e pi volte osservato che la scelta del destinatario, mentre

    determina il tema del discorso di Echione, ne condiziona inversamente lo stile, nel

    senso che i volgarismi stilistici si addensano, con notevole effetto comico, proprio

    in corrispondenza dell'apostrofe al retore o assumono pieno risalto proprio l dove

    si parla di cultura letteraria (litterae). Per il carattere conclusivo della tirata, si pu

    notare che essa sigla il dialogo dei liberti con una lezione di vita rivolta da Echione

    al figlio, quasi a riassumere in forma epigrammatica, nella chiusa, una filosofia vali

    da per tutto il gruppo; essa mostra una forte analogia con la lezione di vita rivolta da

    Trimalcione ai convitati al termine della sua autobiografia (77, 6): in entrambe un'i

    dentica formula introduttiva 'didascalica' seguita da un'espressione proverbiale in

    forma succinta e simmetrica, alla seconda persona singolare, e dall'exemplum con

    validante di un personaggio passato dalla miseria alla fortuna.

    27. Una riflessione in parte simile stata fatta ultimamente da N. W. Slater, Reud

    ing Petronius, Baltimore/London 1990, p. 66 e soprattutto n. 16, che ha notato

    come l'apostrofe ad Agamennone costituisca a challenge for the passive reader,

    per cui il lettore passivo verrebbe ora coinvolto e chiamato a dare un giudizio su

    tutto il discorso di Echione, con un effetto simile a quello prodotto dall'appello

    diretto al pubblico nella commedia latina: sono d'accordo sull'effetto di rottura

    dell'allusione scenica' che lo studioso attribuisce all'apostrofe, anche se la mia posi

    zione alquanto diversa.

    28. Si noti il parallelismo con l'unica, brevissima nota diegetica che, in preceden

    za, aveva accennato in modo vago ad una reazione dei presenti, a 43, 1 : molestus

    fuit, Philerosque proclamavit... E' importante notare che anche questo costituisce

    un elemento di parodia rispetto alla funzione della conversazione simposiale (che

    quella di rendersi piacevoli agli altri e a se stessi, Dupont, op. cit. p. 80 s.) e

    all'effetto prodotto dai vari discorsi nel dialogo letterario (cfr. Permeili, art. cit. p.

    108 .

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    13/25

    Federica Bessone

    (pauperorum verba), perch in questo dialogo della cena petro

    niana chi conosce l'arte del parlare non prende la parola {tu, qui

    potes loquere, non loquis). L'apertura inaspettata, realizzata con

    un movimento tutto interno al discorso del liberto, di una visio

    ne prospettica sull'intero dialogo fa risaltare la qualit volgare

    del contesto mentre evoca in esso, per contrasto, una realt di

    versa e pi alta, che rimane con esso inconciliabile: viene cos

    reso esplicito quel gesto parodico dell'inversione e del rovescia

    mento di un paradigma alto - il dialogo letterario - che presie

    de, come abbiamo visto, alla costruzione dell'intera sequenza

    del dialogo dei liberti29.

    Per di pi, la chiamata in causa dell'intellettuale a questo

    punto della rappresentazione, dopo che tutti e cinque i liberti

    hanno pronunciato il loro discorso, ci rimanda ancora una volta

    al Simposio di Platone, in cui, agli elogi di Eros pronunciati in

    successivi discorsi dai vari commensali (Fedro, Pausania, Erissi

    maco, Aristofane, Agatone), segue in ultimo, conclusione e cul

    mine, l'annunciato ed atteso discorso di Socrate. Il luogo depu

    tato al pezzo forte diventa cos il luogo di un'attesa frustrata,

    che il testo per un istante fa intravedere e subito distrugge; al

    posto del sublime racconto socratico si colloca, non l'intervento

    dell'intellettuale della Cena Trimalchionis, bens lo sproloquio

    di un liberto in tema di educazione e di cultura, culmine della

    sequenza dialogica, ma culmine nel senso della volgarit e degli

    effetti comici (subito dopo, il materialissimo discorso, di pessi

    mo gusto, pronunciato da Trimalcione reduce dal bagno giunge

    a sua volta a coronare la serie, segnando il punto pi basso della

    struttura petroniana proprio in corrispondenza di quello pi

    elevato nella costruzione platonica)30; la parodia cos com

    pleta.

    Merita soffermarsi un attimo, a questo punto, sulla figura di

    Agamennone. Il gioco intertestuale, come si visto, proietta per

    un momento sulla figura del maestro l'ombra di Socrate (e si

    29. Il segnale , come mi fa notare Mario Labate, metalinguistico oltre che meta

    letterario : quia tu, qui potes loquere, non loquis, con il clamoroso volgarismo del

    l'uso attivo del verbo per il deponente (se si accetta, come mi sembra opportuno, la

    lieve correzione del Burman per loquere, non loqui di H), affermazione e insieme

    dimostrazione in atto, dichiara esplicitamente ed esprime con forza raddoppiata

    l'estraneit di chi sa parlare a questo dialogo di illetterati.

    30. Cfr. Dupont, op. cit. pp. 83 ss., in particolare p. 85.

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    14/25

    Simposio platonico e Cena Trimalchionis 75

    noti che, subito dopo, il retore immaginato in veste di possibi

    le pedagogo per il figlio di Echione31). Il consueto meccanismo

    di degradazione investe, del resto, questa stessa figura, chiamata

    per un istante ad accennare la funzione del Socrate platonico. Il

    testo petroniano, come sempre avviene, mentre fa dell'ironia a

    spese del liberto, non risparmia neppure il personaggio del reto

    re e accumula nei suoi confronti potenzialit satiriche che si

    libereranno appieno solo in seguito; la sdegnosa estraneit di

    Agamennone alla libera conversazione dei convitati, messa in

    evidenza da Echione, contrasta con il ruolo di spalla che egli

    assume a partire dal cap. 48 nei confronti di Trimalcione, la

    sciandosi ripetutamente interpellare per dare esca agli sfoggi di

    cultura del padrone di casa, funzionando come parte integrante

    del suo ingranaggio teatrale: un intellettuale degradato al ruolo

    di adulatore e parassita32.

    31. E' curioso che la presentazione del possibile discepolo al maestro abbia qual

    che somiglianza con la presentazione del proprio figlio fatta da Strepsiade a Socrate

    nelle Nuvole di Aristofane, w. 877 ss.: l'analogia forse troppo circoscritta e vaga,

    ma non si pu escludere un effetto programmato dal testo, uno slittamento dal

    Socrate platonico al Socrate della commedia aristofanea per il sovrapporsi momen

    taneo della figura di Echione a quella di Strepsiade, modello di mentalit concreta e

    diffidente verso le astrattezze della cultura.

    32. Si pensi, in particolare, alla meschina prestazione di 48, 4 ss., dove, alla do

    manda di Trimalcione sed narra tu mihi, Agamemnon, quam controversiam hodie

    declamasti?, il retore inizia con *pauper et dives inimici erant, offrendo lo spunto

    per la battuta di pessimo gusto dell'ospite quid est paupert La volgarit della battu

    ta, e quindi di Agamennone che si presta al gioco, amplificata dalla contiguit con

    l'intermezzo dei liberti, in particolare con gli ultimi due discorsi: quello di Ganime

    de, con l'urgenza del problema della carestia e della miseria personale incombente

    (44, 2; 44, 15); quello di Echione, con l'esplicita dichiarazione di appartenenza alla

    classe dei pauperes, esibita proprio in faccia al retore, e con il tentativo - vano in

    partenza - di stabilire un contatto con lui, oltre le distanze sociali. In questo modo,

    con grande economia di mezzi e in maniera indiretta, Agamennone viene caratteriz

    zato come una bassa figura di adulatore e di parassita, che sopporta e sostiene le

    volgarit di Trimalcione - non molto diverse da quelle dei suoi colleghi - solo per

    captarne le ricche cene. Ci sar detto poi, quasi esplicitamente, a 52, 7-8: excipimus

    urbanitatem iocantis, et ante omnes Agamemnon qui sciebat quibus mentis revoca

    retur ad cenam; l'espressione molto simile, curiosamente, a quella che qualifica la

    figura di un buffone parassita nel Simposio di Senofonte, 1,14:

    ,

    (cfr. le parole del parassita in PI. Capt. 482 s.). Si ricordi,

    infine, l'involontario autoritratto che Agamennone d di s nei capitoli iniziali del

    romanzo, quando paragona i retori compiacenti verso i discepoli agli adulatori che

    captant le cene dei ricchi, attenti a dire solo ci che pu far loro piacere.

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  • 7/25/2019 Bessone "Discorsi dei liberti e parodia del Simposio platonico nella Cena Trimalchionis"

    15/25

    Federica Bessone

    Per considerare ora la funzione generale che il personaggio

    svolge nella cena, si possono congiungere con una linea ideale i

    punti che segnano la sua presenza: il disegno che ne viene fuori

    sembra in certo modo riprodurre (nella consueta forma della

    degradazione e del rovesciamento parodico) il ruolo tenuto da

    Socrate nel Simposio platonico, a conferma dell' intravista omo

    logia funzionale tra le due figure (accompagnata da inversione

    parodica) nel dialogo dei convitati. E' al seguito dell'intellettua

    le, incontrato forse poco prima dell'inizio conservato del ro

    manzo, che Encolpio e compagni si recano alla cena di Trimal

    cione; analogamente nel Simposio platonico al seguito di So

    crate, regolarmente invitato in casa di Agatone, che Aristodemo

    si reca al convito, dopo essersi imbattuto casualmente nel filo

    sofo: lo stesso Aristodemo, predecessore di Encolpio personag

    gio e narratore, il testimone diretto degli eventi e l'autore del

    racconto (che viene riportato da Apollodoro33). Menzionato al

    momento dell'arrivo alla porta del triclinio (28, 6: cum Aga

    memnone ad ianuam pervenimus), Agamennone ricompare alla

    fine del dialogo dei liberti, evocato dalle parole dell'ultimo ora

    tore che sottolineano la mancata partecipazione al dialogo del

    l'intellettuale, Socrate mancato; nel Simposio il grande filosofo

    tiene invece il discorso pi importante dopo quelli di tutti gli

    altri convitati34. Rientrato in scena Trimalcione, al cap.48 Aga

    33. Il parallelismo stato osservato da J. Martin, op. cit. p. 77 s. Si notino altri,

    minori, elementi di analogia: al cap. 26, 8-10 uno schiavo di Agamennone giunge a

    notificare o a ricordare ad Encolpio e compagni che quello il giorno della cena da

    Trimalcione, lautissimus homo, essi allora si preparano vestendosi con cura, amici

    mur ergo diligenter; in Platone, a 174 a, Aristodemo incontra Socrate che si appe

    na lavato e ha eccezionalmente indossato i sandali, gli domanda dove sia diretto,

    fattosi tutto cos bello ( ), e apprende da lui che si sta recando

    a cena da Agatone: per questo si fatto bello, per andare bello da un bello (

    , ).

    34. Altri, secondari, elementi del rovesciamento si potrebbero vedere nel disprez

    zo per i pauperes rinfacciato ad Agamennone (confermato dalla sua caratterizzazio

    ne come adulatore e parassita): proprio l'opposto della figura di Socrate, sempre

    ammirato per la sua indifferenza alle ricchezze, per il suo intrattenersi con persone

    di umile condizione e per il suo parlare un linguaggio simile al loro, pur dicendo

    cose altissime; inoltre nella derisione dei discorsi dei liberti attribuita ad Agamen

    none, che si contrappone all'imbarazzo, alla paura di mostrarsi ridicolo e di attirarsi

    derisione espressa da Socrate nel Simposio al momento di prendere la parola, dopo il

    bellissimo discorso di Agatone (198 c-d: ,

    '

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  • 7/25/2019 Bessone "Discorsi dei liberti e parodia del Simposio platonico nella Cena Trimalchionis"

    16/25

    Simposio platonico e Cena Trimalchionis

    mennone assume il suo ruolo di spalla per le esibizioni erudite e

    'brillanti' del padrone di casa, che lo chiama in causa con un

    paio di domande e ne commenta le risposte con facezie o sofi

    smi, ricevendone esagerati elogi35: quasi un'inversione dei ruoli

    rispetto al Simposio, in cui Socrate fa precedere il suo racconto

    su Diotima da una discussione preliminare con Agatone, il pa

    drone di casa, nella forma abituale di un'interrogazione per do

    mande successive, che ha per esito la confutazione del prece

    dente discorso di Agatone stesso (199 c-201 c). La degradazione

    romanzesca riduce l'intellettuale del banchetto a poco pi di

    un ombra.

    La funzione socratica, che Agamennone chiamato ad accen

    nare senza riuscire a ricoprirla, sembra venir distribuita tra il

    retore e Trimalcione, vero protagonista della Cena (il quale nec

    umquam philosopbum audivit, 71, 12)36: come Socrate, Aga

    mennone giunge su invito portando gli amici, ma il padrone di

    casa che, come Socrate nel Simposio, si fa attendere e arriva in

    ritardo (31, 8; 32, 1); Agamennone non prende la parola, come

    Socrate, in chiusa del dialogo conviviale: sar Trimalcione a far

    lo; sar, infine, Trimalcione ad incalzare il retore col fuoco di

    fila delle sue domande e con la sua (poco socratica) dialettica37.

    Il testo petroniano rivela ad un'analisi approfondita il caratte

    re di un palinsesto, svela la trama di una costruzione parodica

    complessa; se si raccordano le osservazioni fatte in questa sede

    con quello che sappiamo sulla parodia del Simposio nella secon

    da parte della Cena, dal discorso di Nicerote38 all'entrata di

    ...; 199 a-b: -

    - , , ' ,

    , ).

    35. 48, 4-7: .sed narra tu mihi, Agamemnon, quam controversiam hodie declama

    sti?...die ergo, si me amas, peristasim declamationis tuae. cum dixisset Agame

    mnon: pauper et dives inimici erant, ait Trimalchio quid est pauper}, turbane

    inquit Agamemnon et nescio quam controversiam exposuit. statim Trimalchio hoc

    inquit si factum est, controversia non est; si factum non est, nihil est, haec aliaque

    cum effusissimis prosequeremur laudationibus, rogo inquit Agamemnon mihi ca

    rissime, numquid duodedm aerumnas Herculis tenes, aut...

    36. Su questo buone osservazioni gi in Dupont, op. cit. p. 86.

    37. A. L., Zu Petronius cit.; Dupont, op. cit. p. 73 ss.

    38. Citroni, art. cit. p. 301 ss.

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    17/25

    Federica Bessone

    Abinna39 alle scene di gelosia40 alla conclusione41, si precisa un

    disegno complessivo che fa del dialogo platonico una matrice

    importante per l'intero episodio del romanzo ed arricchisce la

    nostra comprensione del suo tessuto narrativo.

    Appendice (Sat. 41, 9)

    Ho rimandato a questo luogo una discussione che richiede un

    certo spazio: difendere un testo sospettato dall'intelligente dif

    fidenza di filologi insigni comporta l'onere della prova, quindi

    un indugio puntiglioso nei dettagli; la pedanteria sar scusata

    se, come credo, gli argomenti letterari, intrecciati nella difesa a

    quelli pi propriamente filologici, forniranno un complemento

    importante al discorso sin qui svolto.

    Il testo tradito : ab hoc ferculo Trimalchio ad lasanum surre

    xit. nos libertatem sine tyranno nacti coepimus invitare conviva

    rum sermones. Dama itaque primus cum fpataracinaf poposcis

    set, 'dies' inquit 'nihil est... In seguito alla proposta di H. Fuchs

    (Verderbnisse im Petrontext, in: Studien zur Textgeschichte und

    Textkritik, Kln 1959, p. 63), convivarum sermones viene

    espunto da Mller nella terza edizione in quanto glossa pene

    trata nel testo, nata come titolo della sezione42. Fuchs pensava

    che si fosse corrotto qualcosa come nos...coepimus invitare. Nella stessa direzione, E. Courtney (So

    me passages of Petronius, Bull. Inst. CI. St. 17,1970, p. 66) ha

    supposto qualcosa di simile a invitare . Su un'al

    tra linea, Mller scriveva in apparato alla seconda edizione

    (1965), avendo apposto le cruces nel testo: exspectatur coepi

    mus intermissos repetere sermones ; in modo analogo, recente

    mente, W. S. Watt (Notes on Petronius, CI. & Med. 37, 1986,

    39. Il parallelo con l'arrivo di Alcibiade nel Simposio, gi segnalato da A. L., Zu

    Petronius cit., e da G. Wissowa (Athenaeus und Macrobius, Nach. Gtt. Ges.

    Phil. Hist. Kl. 3, 1913, p. 334, . 2), analizzato soprattutto da Cameron, art. cit.

    40. Citroni, art. cit. p. 305 . 1.

    41. L'osservazione, pi volte ripresa in seguito, gi in A. L., Zu Petronius cit.

    42. A una glossa pensa anche J. P. Sullivan, Interpolations in Petronius, Proc.

    Cambr. Philol. Soc. 202, n.s. 22, 1976, p. 109: essa sarebbe del tipo ascriptive/

    explanatory e rientrerebbe nella categoria II (interpolazioni plausible or deserv

    ing of consideration by an editor).

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    18/25

    Simposio platonico e Cena Trimalchionis 79

    p. 174) ha proposto : coepimus invicem communicare sermones,

    inseguendo una maggiore vicinanza paleografica.

    Il sospetto di interpolazione (o di aggiustamento successivo a

    corruttela), esercizio di uno scetticismo per altro salutare di

    fronte al testo petroniano, fa forse in questo caso torto all'auto

    re, poich sembra colpire un punto nevralgico della sua strate

    gia narrativa e sottrarre al testo molto del suo potere semantico,

    mentre non poggia su argomenti filologici decisivi.

    a) L'aspetto di didascalia che ha di per s l'espressione conviva

    rum sermones, e che ha fatto pensare ad una glossa43, potrebbe

    avere un ruolo essenziale nella strategia testuale: esso fornisce

    forse al lettore il segnale esplicito, programmato dall'autore,

    dell'inizio di una sequenza 'codificata', il dialogo conviviale;

    agisce quindi come indicatore della parodia e chiave d'interpre

    tazione, al pari di altre spie di questo tipo accese da Petronio un

    po' ovunque nel romanzo e talora anche nella Cena (39, 3: sic

    notus Ulixes?... oportet etiam inter cenandumphilologiam nos

    se ; 73, 1 : quid faciamus homines miserrimi et novi generis laby

    rinthe inclusi...?, ecc.44). Il segnale qui un cenno intertestuale

    rivolto in primo luogo al dialogo platonico, modello ricono

    sciuto di tutto il brano; cos, non sar inutile notare che una

    iunctura identica a quella petroniana (salvo per il numero) defi

    nisce in Macrobio, Sat. 1, 1, 3 il dialogo dei convitati nel Simpo

    sio di Platone: nam cum apud alios quibus sunt descripta convi

    va, tum in ilio Piatonis Symposio non austeriore aliqua de re

    convivarum sermo, sed Cupidinis varia et lepida descriptio

    est...*5.

    b) La pretesa difficolt di riferire il nos al gruppo ristretto di

    Encolpio e compagni (Ascilto e Gitone), per la presenza di due

    43. Si noti che il caso parallelo di 35, 7, addotto da Fuchs, si rivelato fallace.

    44. Su questi segnali predisposti per il lettore accorto, manifestazioni peculiari

    dell'arte allusiva petroniana, cfr. P. Fedeli, Petronio : il viaggio, il labirinto, MD 6,

    1981, p. 91 ss. (in particolare p. 108 s.).

    45. Didascalie di questo tipo, inoltre, sono frequenti in contesti narrativi analoghi,

    anche dove, come in Petronio, all'indicazione diegetica (quasi sempre sermo o ser

    mones) segue la parte mimetica, il discorso o i discorsi riportati direttamente: cfr.,

    ad es., Verg. Aen. 1, 748 ss.; Hor. Sat. 2, 6, 70 ss. (cit. supra); . Met. 12, 159 ss.;

    in particolare Apui. Met. 2, 19 ss.: iam inlatis luminibus epularis sermo percre

    buit...

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    19/25

    Federica Bessone

    prime persone plurali 'generali' poco prima, a 41, 8 (laudavimus

    dictum et circumeuntem puerum sane perbasiamus; cfr. M. S.

    Smith, Petronii Arbitri Cena Trimalchionis, Oxford 1975, p. 97

    s.), non mi sembra reale. Qui inizia infatti (41, 9) un nuovo

    movimento narrativo, ed nel contesto immediato che va cerca

    ta una coerenza espressiva; sufficiente la contrapposizione

    con la massa dei convivae a chiarire la portata ristretta del nos,

    bench il senso di libertas possa apparire generale (cfr. Ciaffi,

    art. cit. p. 114 . 1). Anche ammesso che le prime persone plu

    rali a 41, 8 si riferiscano all'insieme dei commensali, la restrizio

    ne di campo che si ha col passaggio al nos limitativo non inna

    turale: si pu notare infatti che, ovunque si verifichi nella Cena

    un vuoto di regia, sempre il gruppetto dei protagonisti che

    riprende l'iniziativa dell'azione e torna in primo piano staccan

    dosi dallo sfondo, come nel tentativo di fuga al momento di

    recarsi al bagno (72, 5) o nella fuga vera e propria, a 78, 8; in

    quest'ultimo caso si passa senz'altro, come avverrebbe nel no

    stro brano, da una serie di nos indistinti ed ambigui o decisa

    mente generali (78, 3 omnesque nos unxit) ad un nos da riferirsi

    inequivocabilmente ai tre personaggi: nos occasionem opportu

    nissimam nacti Agamemnoni verba dedimus raptimque tam

    plane quam ex incendio fugimus (si noti il parallelismo sintatti

    co-verbale con il nostro passo, nos libertatem sine tyranno

    n acti 46.

    46. Del resto, l'uso della prima persona plurale nella Cena costituisce a sua volta

    un problema aperto, che richiederebbe di per s uno studio; vi infatti chi ha

    sostenuto, contro Smith, che anche le forme verbali di 41, 8 (laudavimus, perbasia

    mus) vanno riferite ad Encolpio, Ascilto e Gitone, non essendo necessario attribuire

    a tutti i convitati le tendenze omosessuali - sottolineate dal marcato perbasiamus -

    caratteristiche dei protagonisti: cos B. Baldwin (Editing Petronius: Methods and

    Examples, Acta Classica 31, 1988, p. 42 s.), che difende in base a ci il testo

    tradito. Riservato sicuramente ad Encolpio e compagni all'inizio (quando il grup

    petto ancora isolato, ai capp. 27-30 e oltre) ed ancora nell'episodio del bagno (ai

    capp. 72-3, dove il gruppo di nuovo ben distinto e contrapposto agli altri, cfr. 73,

    4-5), l'uso del nos e della prima persona plurale tende, nel resto del banchetto, ad

    una certa indistinzione e risulta stingere talvolta in un riferimento piuttosto vago

    all'insieme dei commensali (cfr. R. Beck, Encolpius at the Cena, Phoenix 29,

    1975, p. 277): nella coralit della situazione di spettatori il punto di vista dei prota

    gonisti, estensione di quello di Encolpio narratore, quasi si confonde sullo sfondo

    omogeneo del pubblico. A dire il vero, questo sembra essere piuttosto un effetto

    collaterale (indotto anche dalla genericit del vos con cui Trimalcione si rivolge ai

    suoi ospiti, parlando forse alla massa anzich ai soli scholastici) e, ove manchino

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  • 7/25/2019 Bessone "Discorsi dei liberti e parodia del Simposio platonico nella Cena Trimalchionis"

    20/25

    Simposio platonico e Cena Trimalchionis 81

    c) La iunctura invitar e...sermones non banale, ma non affat

    to impossibile47, anzi pi che accettabile: l'uso del verbo con

    complemento oggetto astratto, nel senso di excitare, bortari,

    provocare, instigare sim. (Thes. ling. Lat.) ha vari paralleli e

    risponde a uno sviluppo naturale dal senso di invitare qualcu

    no a compiere un'azione (o ad assumere un atteggiamento) a

    quello di provocare un'azione (o un atteggiamento) da parte di

    qualcuno (cfr. Scheffer, in: Titi Petroni Arbitri Satyricn quae

    supersunt, cur. P. Burmn, II ed. Amsterdam 17432, p. 185:

    Provocare, allectare. Optime. Quomodo Hr. Epod. 2, 27-28

    fontesque lympbis ob strep unt manantibus, / somnos quod invi

    tet levis). Esso suggerisce con elegante concisione, nella ma

    niera rapida ed ellittica che spesso caratterizza il racconto pe

    troniano (e, in particolare, le 'didascalie' diegetiche del dialogo

    dei liberti), vari tentativi possibili messi in atto dai protagonisti

    per suscitare la conversazione, cercando pretesti, rintracciando

    argomenti, ponendo domande (cos intendeva gi, benissimo,

    Heinsius - in Burman, ibid. -: Hoc est, provocare colloquen

    do). Si vorrebbero dei loci similes, ed ecco che soccorrono al

    cuni confronti: illuminante, direi, per la iunctura parallela ed il

    contesto analogo, Plin. Paneg. 49, 4-5 non tibi semper in medio

    cibus semper que mensa communis? non ex convictu nostro mu

    tua voluptas? non provocas reddisque sermones}, che ritrae

    specificazioni come omnes, universi e simili, il nos andr primariamente riferito ai

    protagonisti (soprattutto nel caso dei vari notavimus - paralleli al notavi spesso

    usato da Encolpio -, nelle espressioni di incertezza di fronte alle trovate sceniche di

    Trimalcione e nella maggior parte delle espressioni di stupore ed ammirazione -

    parallele a quelle usate da Encolpio in prima persona -, nei moti di disgusto, ecc.);

    per la maggior parte si avranno dei casi ambigui, che attraverso azioni attribuibili in

    prima istanza ai personaggi principali lasciano intravedere comportamenti generali

    dei convitati; un caso simile forse nonostante Baldwin - quello di 41, 8, che

    potrebbe essere di questo tipo generale/indistinto ('a doppia focalizzazione' ?) : ma

    non si possono ricavare di qui prove decisive, in un senso o nell'altro, riguardo al

    testo di 41, 9, poich (come si visto) indifferente che vi sia coerenza o discrepan

    za tra il nos di 41, 9 e le prime persone plurali di 41, Isolata la posizione di C.

    Pellegrino, I convivarum sermones e il liberto Dama: Satyr., 41, 9-12, Lato mus

    47, 1988, p. 660 ss., che accetta il testo tradito ma intende il nos di 41, 9 come

    riferito a tutti i commensali. Per la contrapposizione tra il gruppo dei protagonisti e

    il resto dei convitati, infine, cfr. 60, 7 e 60, 9 (inoltre, nell'episodio del bagno, 73,

    4-5; contrapposizione tra ego e reliqui convivae si ha a 60, 2).

    47. Perplessit sono espresse (sulle orme di V. Tandoi, che in un corso universita

    rio proponeva di correggere in incitare) da M. Salanitro, Convivarum sermones,

    Invigilata lucernis 10, 1988, pp. 286-88.

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    21/25

    Federica Bessone

    l'atteggiamento di Traiano nel banchetto, i suoi tentativi di sti

    molare la conversazione conviviale suscitando i discorsi altrui e

    rispondendo con i propri. Se lecito impostare una sorta di

    proporzione, invitare...sermones sta ad un'espressione del tipo

    ... ut haec rfrant invitentur (Macr. Sat. 7, 2, 7) come provo

    cas... sermones (Plin., 1. cit.) sta ad espressioni quali illum... ad

    narrandum provoca (Macr. Sat. 7, 2, 11), e come hos ego sermo

    nes... lacessivi numquam, sed non valde repressi (Cic. F am. 3, 8,

    7) sta a omnino probabiliora sunt, quae lacessiti dicimus quam

    quae priores (Cic. De orat. 2, 230)48. Come parallelo situaziona

    le, da affiancare al passo di Plinio, interessante infine Svet. Aug.

    74 : cenam ternis ferculis aut cum abundantissime senis praebe

    bat, ut non nimio sumptu, ita summa comitate, nam et ad com

    munionem sermonis tacentis vel summissim fabulantis provoca

    bat, et . ..

    d) Eccessivi mi paiono, quindi, i dubbi sulla plausibilit del

    comportamento di Encolpio e compagni, i quali non farebbero

    che promuovere consapevolmente uno dei momenti tipici, anzi

    il momento essenziale del banchetto, quello della conversazione

    (si vedano anche le considerazioni di Perutelli sulla possibile

    interferenza tra Encolpio personaggio ed Encolpio narratore,

    art. cit. p. 104); n l'intervento di Dama mi sembra risposta

    incongrua al loro tentativo di suscitare la conversazione: sem

    mai, la tirata dell'avvinazzato segna un'immediata caduta di to

    no uno scatto ironico, una comica smentita rispetto all'a

    spettativa di un civile dialogo conviviale evocata dal tentativo

    dei commensali colti, e tale scarto agisce come perno della

    parodia49.

    48. O, ancora, come voce mea voces elidente dei (. Fast. 1, 256; cfr. anche Ex

    Pont. 2, 5, 46) sta a quem ego totiens omni ratione temptans ad disputandum elice

    re... (Cic. De or. 2, 13). A invitare sermones si pu forse accostare, infine, una

    iunctura senecana con arcesso: Sen. Cons. ad Marc. 5, 3 quarepatere, immo arces

    se sermones quibus ille narretur, et apertas aurespraebe adnomen memoriamque

    filii tui.

    49. Sulla stretta connessione di convivarum sermones con le parole di Dama cfr.

    anche M. Salanitro, art. cit. p. 286 s. Tutto il nesso itaqueprimus (...inquit) si adatta

    in modo singolarmente calzante ad un precedente coepimus invitare convivarum

    sermones, non si potrebbe dire altrettanto se si avesse il solo itaque. almeno una

    volta, a 26, 7 s. (...sed tot vulneribus confossis fuga magis placebat quam quies.

    itaque cum maesti deliberaremus quonam genere praesentem evitaremus procellam,

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    22/25

    Simposio platonico e Cena Trimalchionis 83

    Le correzioni proposte da Fuchs e da Courtney si rifanno ad

    un uso comune di (se) invitare in riferimento a cibi e bevande

    (introducendo, in realt, una banalizzazione) e forniscono cos

    uno spunto immediato al discorso di Dama sul vino: in tal

    modo manca per un'introduzione generale alla lunga sequenza

    delle tirate dei liberti, che si generano l'una dall'altra per una

    reazione a catena; se da un lato si d un rilievo pi vasto, in

    riferimento alla massa dei commensali, all'elemento del bere,

    importante per l'ambientazione 'simposiale' ma in effetti gi

    presente nel testo (in quanto implicato nella richiesta e nel

    discorso di Dama), dall'altro si sacrifica il riferimento esplicito

    all'elemento complementare della conversazione, che ha una

    portata maggiore perch investe tutto l'arco dei capp. 41-46.

    Del resto, il desiderio di darsi con pi larghezza al vino in

    assenza del padrone di casa non sembra sicuramente estendibile

    dal liberto ubriacone alla generalit dei convitati, gi forniti a

    saziet dal servizio di Trimalcione50. Va sottolineato che

    ottenere la libertas dal tiranno significa, piuttosto, per Encolpio

    (e compagni) poter riprendere quei tentativi interessati e curiosi

    di far parlare i convitati, inaugurati con successo a 37, 1 (non

    potui amplius quicquam gustare, sed conversus ad eum, ut quam

    plurima exciperem, longe accersere fabulas coepi sciscitarique,

    quae esset mulier illa, quae hue atque illuc discurreret, cui segue

    il primo 'assolo' di Ermerote) e bruscamente interrotti proprio

    dall'invadenza di Trimalcione a 39, 1, con rincrescimento del

    un us servus Agamemnonis interpellavit trepidantes et 'quid voss" inquit...), esso

    sembra riferirsi non tanto al verbo principale quanto, piuttosto, alla proposizione

    introdotta dal cum narrativo, il che, nel nostro caso, potrebbe anche appoggiare le

    proposte di Fuchs e di Courtney; ma qui si ha itaque primus, un nesso che non si

    pu ragionevolmente scindere dal suo naturale riferimento a inquit e che risulta

    quindi eccezionalmente coerente con coepimus invitare convivarum sermones.

    50. In questo senso va fatta una chiara distinzione rispetto alla cena Nasidieni

    (Hor. S. 2, 8), in cui il padrone di casa impallidisce alla richiesta di pi vino da parte

    dei commensali perch, raffinato gourmand, teme l'ottundimento del gusto, nemico

    dell'arte culinaria, e insieme paventa lo sfrenarsi della maldicenza (w. 33 ss.): Tri

    malcione non ha preoccupazioni cos sottili e non sembra esercitare un'azione re

    pressiva di questo tipo sui suoi ospiti. N si pu dire che la satira oraziana, punto di

    riferimento importante per la cena Trimalchionis, eserciti in questo caso un ruolo

    rilevante di modello, se non per la sceneggiatura del momentaneo assentarsi dell'o

    spite: i convitati di Nasidieno non intavolano una conversazione generale, ma si

    limitano a scambiarsi sussurri nell'orecchio, forse commentando l'accaduto (w. 77

    8 : tum in lecto quoque videres / stridere secreta divisas aure susurros).

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  • 7/25/2019 Bessone "Discorsi dei liberti e parodia del Simposio platonico nella Cena Trimalchionis"

    23/25

    Federica Bessone

    protagonista (interpellavit tam dulces fabulas Trimalchio). Da

    un lato si ha un effetto di sospensione e di ritardo che giunge nel

    nostro passo alla sua risoluzione naturale, con il desiderio

    insoddisfatto di Encolpio che trova ora puntuale compi

    mento;51 dall'altro si ha l'assunzione da parte dei protagonisti,

    liberi dall'ingombrante presenza dell'ospite, di quel ruolo di

    incoraggiamento della comune conversazione conviviale che

    una varia letteratura attribuisce spesso al dominus convivir'2, e

    che in questa cena-spettacolo viene altrimenti soppresso,

    stravolto o esercitato in maniera distorta e dispotica da

    51. Rimasto libero il campo, l'orizzonte si amplia e la relazione individuale tra

    Encolpio ed Ermerote cede il passo a quella multipla nos/convivae.

    52. Interessante a questo proposito, oltre ai passi di Plinio e di Svetonio citati

    sopra, Cic. De off. 1, 37, 132; 134-5 (devo la segnalazione a Mario Labate), dove si

    delinea un'arte del sermo (ivi compreso quello conviviale) come risultato di una

    regolazione discreta ed accorta, di un'orchestrazione condotta con naturalezza, in

    sensibile e sapiente: ...sermo in circuits, disputationibus, congressionibus familiarium

    versetur, sequatur etiam conviva; ...sit ergo hic sermo, in quo Socratici maxime

    excellunt, lenis minimeque pertinax, insit in eo lepos. nec vero, tamquam in posses

    sionem suam venerit, excludat alios, sed cum reliquis in rebus tum in sermone com

    muni vicissitudinem non iniquam putet; ...habentur autemplerumque sermones aut

    de domesticis negotiis aut de re publica aut de artium studiis atque doctrina, danda

    igitur opera est, ut etiamsi aberrare ad alia coeperit, ad haec revocetur oratio, sed

    utcumque aderunt...; animadvertendum est etiam, quatenus sermo delectationem

    habeat, et ut incipiendi ratio fuerit, ita sit desinendi modus. Una simile arte del

    sermo conviviale intravediamo disegnata (grazie ad una testimonianza di Gellio)

    anche nella satira menippea di Varrone Nescis quid vesper serus vehat, in cui si

    definisce nei suoi vari aspetti un ideale di banchetto: Geli. 13,11, 3-5 = Varr. Nescis

    quid... 336-40 Astbury, ...nec loquaces autem, inquit, convivas nec mutos legere

    oportet, quia eloquentia in foro et apud subsellia, silentium vero non in convivio set

    in cubiculo esse debet, sermones igitur id temporis habendos censet non super rebus

    anxiis aut tortuosis, sed iucundos atque invitabiles et cum quadam inlecebra et vo

    luptate utiles, ex quibus ingenium nostrum venustius fiat et amoenius. quod prefec

    to, inquit, eveniet, si de id genus rebus ad communem vitae usum pertinentibus

    confabulemur, de quibus in foro atque in negotiis agendis loqui non est otium. domi

    num autem, inquit, convivii esse oportet non tarn lautum, quam sine sordibus, et in

    convivio legi non omnia debent, sed ea potissimum, quae simul sint et delec

    tent (cfr. J-P. Cbe, Varron, Satires mnippes [d., trad, et comm.], 9, Roma 1990,

    p. 1436; si noti, fra l'altro, che i consigli sugli argomenti da toccare nella conversa

    zione sono puntualmente disattesi dagli oratori di Petronio - v. anche Cbe, op. cit.

    p. 1437 . 35 si confronti anche la prescrizione di Cic. De off. 1, 37, 134: in

    primisque provideat, ne sermo vitium aliquod indicet inesse in moribus; quod maxi

    me tum solet evenire, cum studiose de absentibus detrahendi causa aut per ridiculum

    aut severe, maledice contumelioseque diatur soprattutto con il maligno discorso di

    Filerote al cap. 43).

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    24/25

    Simposio platonico e Cena Trimalchionis 85

    Trimalcione stesso (cfr. ad es. 61, 1-3: ...Trimalchio ad

    Nicerotem respexit et 'solebas' inquit 'suavius esse in convictu;

    nescio quid nunc taces nec muttis. oro te, sic felicem me videas,

    narra illud quod tibi usu venit'); sono poi i convitati a rivelarsi

    immediatamente non all'altezza della possibilit offerta loro e a

    trasformare lo spazio dell' intrattenimento educato e piacevole

    in un trionfo di cattivo gusto.

    Gli emendamenti proposti da Mller e da Watt, anche se il

    primo ha il merito di sottolineare il raccordo narrativo con 39,

    1, risultano inferiori al testo tradito perch attribuiscono ai pro

    tagonisti un ruolo pi decisamente attivo nella conversazione,

    che non corrisponde alla sostanziale mancanza di fusione tra il

    gruppo degli scholastici e quello dei liberti nella Cena e alla

    netta estraneit dei personaggi colti, limitati al ruolo di spetta

    tori, rispetto al dialogo (estraneit rinfacciata da Echione ad

    Agamennone a 46, 1).

    Il testo tradito, soddisfacente dal punto di vista linguistico e

    stilistico, attraente per pi ragioni: esso fornirebbe un riag

    gancio evidente, dichiarato, a quella sorta di prolessi, di esca

    narrativa data a 39, 1 (interpellavit tam dulces fabulas Trimal

    chio; nam iam sublatum erat ferculum, bilaresque convivae vi

    no sermonibusque publicatis operam coeperant dare), rianno

    dando il filo spezzato del racconto53; indicherebbe esplicita

    mente l'inizio di una sequenza 'codificata', il dialogo conviviale,

    sottolineando con un segnale metaletterario il gesto parodico

    nei confronti del Simposio di Platone54; investirebbe il gruppet

    to di una funzione narratologica analoga a quella svolta dal per

    sonaggio Encolpio al cap. 36, dove il suo tentativo di attaccar

    conversazione e le sue domande ad Ermerote danno occasione a

    Encolpio narratore di riportare il discorso del liberto: scompar

    so dalla scena il regista Trimalcione, sono i nostri eroi a farsi

    53. Si ha una struttura a doppio incastro: la spiegazione astrologica di Trimalcione

    interrompe gli esordi della conversazione tra i convitati e completa il 'numero' del

    piatto zodiacale dopo il ritardo costituito dal discorso di Ermerote; a sua volta tale

    spiegazione, con quel che segue, funziona come elemento ritardante rispetto al

    preannunciato dialogo conviviale, che pu avere luogo solo una volta uscito di

    scena il padrone di casa.

    54. Offrirebbe, inoltre, quasi un parallelo scenico all'introduzione dei discorsi nel

    Simposio stesso, dove proprio la proposta di un commensale, Erissimaco, a dare il

    via al dialogo (v. supra).

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    25/25

    Federica Bessone

    registi (e poi spettatori) dell'azione, venendo incontro con la

    loro curiosit agli interessi del narratore e, in ultima analisi,

    dell autore.

    Universit di Pisa