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Osservatorio veneto sul lavoro nero, elusione ed evasione contributiva ATTORNO AL LAVORO SOMMERSO IN VENETO. UNA RICOGNIZIONE Venezia, Marzo 2003

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ATTORNO AL LAVORO SOMMERSO IN VENETO.

UNA RICOGNIZIONE

Venezia, Marzo 2003

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“Così il vizio diviene benefico, quando è sfrondato e contenuto dalla giustizia”

Bernard Mandeville, La favola delle api (1705)

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Il Gruppo di ricerca che ha redatto questo Rapporto è stato composto da Bruno Anastasia (Veneto Lavoro, coordinatore del Gruppo), Letizia Bertazzon (Veneto Lavoro), Simona Boselli (Tutore del Comitato per l’emersione del lavoro non regolare, Presidenza del Consiglio dei Ministri), Stefania Bragato (Veneto Lavoro), Tiziano Davanzo (Veneto Lavoro), Anna de Angelini (Veneto Lavoro), Nicola Ianuale (Tutore del Comitato per l’emersione del lavoro non regolare, Presidenza del Consiglio dei Ministri), Maurizio Rasera (Veneto Lavoro). Il Gruppo di ricerca ha beneficiato ampiamente del dibattito e della collaborazione fornita, all’interno di un più ampio gruppo di lavoro, da Luciano Messina e Nicola Salvatore (Inps regionale) e da Laura Pazzaglia (Inail). Il contributo presentato nella parte quarta è di Marco Paggi (Avvocato, Vicepresidente Asgi). L’assistenza tecnica in diverse fasi di predisposizione del Rapporto è stata assicurata da Enrico Bernardinello (Inps regionale) e da Luigi Ranzato (Veneto Lavoro). L’editing è a cura di Paola Rocelli (Veneto Lavoro). Numerosi sono i ringraziamenti dovuti dal Gruppo di ricerca: - a tutti i partecipanti ai Seminari organizzati nell’ambito delle attività dell’Osservatorio per le utili discussioni; - agli Ispettori di Inps, Inail, Direzioni provinciali del lavoro e Agenzia regionale delle entra-te per il tempo che ci hanno dedicato nel corso delle interviste; - ai rappresentanti delle parti sociali e delle organizzazioni professionali che hanno collabo-rato nel corso dell’indagine sulle politiche realizzabili in tema di contrasto del lavoro nero; - al Coordinamento Generale Statistico Attuariale dell’Inps per le elaborazioni statistiche appositamente predisposte. e-mail: [email protected]

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INDICE

Presentazione...................................................................................... 7 1. Introduzione e sintesi. Il contrasto del sommerso: esigenza sempre

più condivisa, risultati ancora incerti ..................................................... 9

PARTE PRIMA: LE MISURE

2. La dinamica regionale dell’occupazione regolare e irregolare: un confronto tra dati Inps e Istat (Contabilità nazionale e Rtfl) ..................... 45

3. Evidenze per il periodo 2000-2002 dalle fonti statistiche

sulle attività di vigilanza ..................................................................101

PARTE SECONDA: LE POLITICHE

4. Il lavoro nero secondo gli ispettori: evoluzione del fenomeno ed impatto dell’attività ispettiva ......................................................................143

5. Per uno sviluppo ...“in regola”: il Veneto e le politiche di emersione dell’economia irregolare..................................................................173

6. Le politiche per combattere il lavoro nero secondo le valutazioni delle

associazioni imprenditoriali, sindacali e professionali................................201

PARTE TERZA: IMMIGRATI E LAVORO NERO

7. Il lavoro irregolare degli immigrati extracomunitari: evidenze statistiche........................................................................267

8. Immigrati e sommerso: un’indagine sul campo ........................................277

PARTE QUARTA: UNA TESTIMONIANZA PROFESSIONALE

9. Assetti normativi e forme di lavoro degli immigrati ..................................325

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PRESENTAZIONE

Nel gennaio del 2001 su iniziativa dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale si co-stituisce in Veneto l’Osservatorio sul lavoro nero, elusione ed evasione contributiva. Lo Statuto è sottoscritto da tutte le forze sociali, imprenditoriali e sindacali, dalle tre Università della Regione, dalle rappresentanze dei governi locali (Regione Veneto, Anci), da diversi centri di ricerca nonché dall’Unioncamere. A distanza di soli due anni assume particolare importanza la pubblicazione di questo “Rapporto di ricognizione”, non solo perché realizza uno degli obiettivi dell’Osservato-rio, ma anche perché si colloca in un momento in cui il dibattito sul problema è più vi-vo e in cui sono state predisposte concrete azioni tendenti a favorire l’emersione del lavoro sommerso. Alcune azioni in tal senso, per esplicita ammissione dei proponenti, non hanno prodotto i risultati sperati. Si rende quindi sempre più necessaria un’attività sistematica di indagine, capace di produrre conoscenza, di confrontarla, di diffonderla presso le parti sociali e l’opinione pubblica. Il Rapporto, certamente non esaustivo, realizza l’obiettivo di definire il fenomeno e di valutarne le dimensioni partendo dalle statistiche ufficiali sull’occupazione e sull’inci-denza del lavoro irregolare sul lavoro complessivo. Esso utilizza opportunamente le ri-sultanze statistiche dell’attività di vigilanza ed allarga la valutazione del fenomeno anche con analisi qualitative, evidenziando da una parte l’esperienza degli ispettori di vigilan-za, dall’altra le valutazioni delle associazioni imprenditoriali, sindacali e professionali. L’Assemblea dell’Osservatorio è ora chiamata a valutare le risultanze del rapporto, a decidere gli eventuali approfondimenti, a raccogliere tutte le proposte esistenti in ma-teria avanzate dalle parti sociali, a tentare di “istruire” una proposta unitaria. A questo scopo diventa fondamentale la collaborazione con le istituende Commissioni Regionale e Provinciali previste dall’art. 78 della legge 448/1998, con la regia della Re-gione Veneto, cui va riconosciuto il merito di aver sostenuto politicamente ed economi-camente le attività dell’Osservatorio.

Marco De Salvo

Direttore Regionale dell’Inps per il Veneto

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Capitolo 1°

INTRODUZIONE E SINTESI. IL CONTRASTO DEL SOMMERSO:

ESIGENZA SEMPRE PIÙ CONDIVISA, RISULTATI ANCORA INCERTI

1.1 Il sommerso: una questione centrale per l’analisi dell’economia e della

società italiana

Può aver senso un’analisi economica o sociologica o un quadro statistico complessivo

della realtà italiana senza considerare il fenomeno del sommerso?1 No, non ha senso.

È ormai riconosciuto ed acquisito da tutti i ricercatori ed osservatori attenti il fatto che

il sommerso - dimensioni, funzionamento, conseguenze - non è appendice, questione

marginale che ad libitum si può includere od escludere nell’analisi: esso è parte consi-

stente e funzionale della struttura produttiva nazionale, con tutte le ricadute che ad

esso si riconducono, potenzialmente positive (sta assicurando una sorta di “accumula-

zione originaria” in aree ancora poco sviluppate?) o sicuramente negative (obbliga im-

prese - e quindi società - a “bloccarsi” nell’impossibilità di emergere?, paralizza attori

con la necessità di restare “invisibili”?).2

Sulla ricerca economico-sociale il sommerso genera una sorta di attrazione/rimozione:

rimozione perché intrattabile, per definizione poco monitorato, poco “inquadrato”;

di conseguenza si rischia di perdersi tra le sabbie mobili di stime difficili dove so-

vrabbondano ipotesi poco verificabili e convenzioni troppo discrezionali;

1. Sommerso, irregolare, informale, illegale, non osservato, nero, grigio, “shadow economy”, “blak eco-nomy” etc.: la questione terminologica è intrigante e importante. Senza qui riprenderla integral-mente, si rinvia, tra gli altri, a Bianco (2002). In questo rapporto le definizioni più propriamente sta-tistiche sono sviluppate al cap. 2. Qui basti dire, per intanto, che il fuoco della nostra attenzione è sulle irregolarità contributive e fiscali relative all’utilizzo del fattore lavoro, in specie quelle che ne ge-nerano la “scomparsa” totale agli occhi (e ai controlli) delle istituzioni pubbliche.

2. Né il sommerso è fenomeno esclusivamente italiano. Secondo Schneider, Enste (2002), la quota di pil attribuibile alla shadow economy oscilla dal 35-44% dei Paesi in via di sviluppo al 21-30% dei Paesi in transizione per ridursi al 14-16% nella media dei Paesi Ocse.

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attrazione perché si tratta di cimentarsi con un argomento di frontiera3, dove le

conoscenze sono tutt’altro che consolidate ed è evidente la necessità di affinamenti

e precisazioni.

La ricerca socio-economica italiana ha prestato, nel suo complesso, una significativa

attenzione alla fenomenologia del sommerso,4 contribuendo a far sì che la rilevanza dei

tanti problemi generati dall’esistenza di un’ampia economia irregolare (dall’evasione fi-

scale al lavoro nero, dai differenziali territoriali di sviluppo alle distorsioni del Welfare)

divenisse, nel dibattito italiano, dato acquisito, tanto da trovare visibilità e riconosci-

mento istituzionale soprattutto5 con l’istituzione, il 19 maggio del 1999, presso la

Presidenza del Consiglio dei Ministri, di un apposito “Comitato per l’emersione del la-

voro non regolare” (ex art. 78, legge 448/1998), con il compito di suggerire e interagire

nelle complesse politiche che devono favorire l’emersione nel quadro dell’incentivazio-

ne dello sviluppo locale, dell’attivazione delle forze sociali ed imprenditoriali e della co-

struzione di nuovi rapporti tra soggetti pubblici e privati; a livello locale, sempre sulla

base della medesima previsione normativa, sono state istituite delle apposite Commis-

sioni regionali e provinciali. Questa linea di azione è stata poi rafforzata e articolata

ulteriormente con l’istituzione, a seguito dell’ “Avviso comune in materia di emersione

dall’economia sommersa” firmato il 24 luglio 2002 da tutte le parti sociali (tranne

Confiterim e Cgil), dei Cles (Comitati per il lavoro e l’emersione del sommerso). Nello stesso senso si è avviata l’iniziativa dell’Inps che con delibera del Consiglio di

Amministrazione del 5 aprile 2000 ha autorizzato la stipula di protocolli d’intesa con

istituzioni ed organismi interessati (Regione, Anci, Università, parti sociali etc.) per la

costituzione di Osservatori regionali sul lavoro nero, l’economia sommersa, l’evasione e

l’elusione contributiva. Ciò si è concretizzato in Veneto con la firma, il 23 gennaio

2001, da parte di Enti locali, associazioni imprenditoriali e sindacali, Università e cen-

3. Non a caso, qualche anno fa, in un appello ai giovani economisti, Sylos Labini ed altri, anziani e fa-mosi, li invitavano ad occuparsi non solo (o non tanto) di problemi di modellistica macro o micro ma di “sporcarsi le mani” con l’economia reale: e tra i fenomeni da studiare ed approfondire si citava pro-prio il sommerso.

4 . Solo per restare ad alcune delle più importanti ricerche degli ultimi anni, senza pretesa di esausti-vità, cfr. Cnel (2001); Meldolesi (1998) e (2000); Camera dei deputati (1998); Monitor Lavoro (2000); Università di Firenze (2000); Barbieri e Fullin (2000); Irpet (2001); Bianco (2002); Zizza (2002); Unioncamere Toscana (2001). Per il passato (ormai remoto) basti qui ricordare alcuni dei tanti lavori di Frey (1979, 1990). Presso il Centro di documentazione dell’Osservatorio regionale veneto sul lavoro nero è disponibile un’ampia e aggiornata bibliografia in materia.

5. Cfr. in questo Rapporto il cap. 5 per un’illustrazione più dettagliata delle iniziative centrali e locali su questo tema.

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tri di ricerca del “Protocollo d’intesa per la costituzione dell’Osservatorio sul lavoro ne-

ro, elusione ed evasione contributiva nella Regione Veneto”.

Numerosi inoltre sono i segnali di crescente attenzione a questi temi anche da parte

dell’Unione Europea, che di recente li ha fatti entrare in agenda come evidenziano - tra

l’altro - alcuni espliciti riferimenti ed indicazioni contenute nelle Linee guida proposte

dalla Commissione europea a partire dal 20006 come indirizzo per la redazione dei

Piani nazionali per l’occupazione (Nap) e, ancor di più, il fatto che nel recentissimo do-

cumento della Commissione, dedicato al futuro della Strategia europea dell’occupazione,

sia esplicitata la previsione, nel contesto di una complessiva razionalizzazione/concen-

trazione delle Linee guida ridotte a 11, di una linea guida - la quarta - dedicata a “Tra-

sformare il lavoro non dichiarato in lavoro regolare”.7

Per quanto riguarda l’Italia, il Nap 20028 ha dato ampio spazio alla tematica della lotta

al lavoro nero mettendo, almeno nell’analisi, al primo posto la necessità di “affrontare

le inefficienze e le iniquità causate dall’economia sommersa”.

L’insieme di iniziative che si va dispiegando si basa dunque, al fondo, su un’analisi

ampiamente condivisa, anche dalle istituzioni oltre che dagli studiosi, secondo cui il

sommerso non è affatto un problema superato, una questione risolta (o quantomeno

arginata) con il progredire di una modernizzazione ineluttabile che trascina le imprese

verso organizzazioni più complesse e, inevitabilmente, più “trasparenti”, almeno

nell’utilizzo del fattore lavoro. Il sommerso non è un retaggio di strutture economiche e

sociali ormai sorpassate e quindi, al presente, trascurabili. Tutt’altro: esso, nella forma

specifica di lavoro nero, sembra in crescita in tutte le nazioni occidentali, per lo stretto

intreccio esistente tra trasformazioni interne (squilibri nel mercato del lavoro dovuti

alle tendenze demografiche, incremento del salario di riserva dei lavoratori residenti,

sviluppo di movimenti migratori) ed esterne (crollo del muro di Berlino e apertura dei

Paesi dell’Est, globalizzazione) (Bianco, 2002, pag. 179). Inoltre, particolarmente in Ita-

lia, esso mostra radici tenaci, alimentate da una cultura che non di rado concede

6. Cfr. il documenti annuale del Consiglio europeo in materia di “Orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione”. Nel documento per il 2000, un primo riferimento al lavoro nero era contenuto nelle guidelines 10 e 11 relative alle politiche di facilitazione per lo sviluppo dell’imprenditorialità; nel documento per il 2001 la guideline 9 equipara sostanzialmente la regolariz-zazione del lavoro nero alla riduzione di ogni ostacolo, fiscale e contributivo, allo sviluppo dell’auto-imprenditorialità; nel documento per il 2002 le guidelines 8 e 9 propongono ancora la lotta al lavoro nero come mezzo per la promozione dell’imprenditorialità, riconoscendo però la necessità di ricorrere ad un mix ampio di politiche normative e di incentivo fiscale e contributivo nell’ambito di una strate-gia di accordo tra le parti sociali.

7. Commissione delle Comunità europee (2003). 8. Ministero del Welfare (2002).

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scarso riconoscimento alla virtù civica del corretto contribuente. Tali radici sono

“pronte” ad espandersi ulteriormente ogni qualvolta mutamenti congiunturali (fasi di

crisi, recessione) o strutturali (globalizzazione, terziarizzazione etc.) impongano una

qualche costosa riorganizzazione della struttura economica.

Nel 2002, suo primo anno di attività, l’Osservatorio veneto sul lavoro nero ha:

dato vita ad un Centro di documentazione sull’economia sommersa, istituito presso

l’Inps regionale veneto, aperto a ricercatori, studenti, operatori economici e sociali

dal giugno 2002;

organizzato alcuni momenti di riflessione seminariale per favorire il confronto con

ricerche e iniziative sviluppate in altri contesti.9

Ora questo “Rapporto di ricognizione sul sommerso in Veneto” segna la conclusione

della “fase costitutiva” dell’Osservatorio.

Il “Rapporto di ricognizione” si propone di inquadrare, alla dimensione regionale, le

problematiche più rilevanti connesse alla fenomenologia del sommerso, per evidenziare

le direzioni di lavoro in cui la ricerca e l’azione potrebbero utilmente proseguire.

C’è di certo una ricaduta importante che può venire dalle ricerche sul sommerso: ed è

il contributo al fine di costruire una sorta di “ecologia” del dibattito su un tema così

impervio, con lo scopo di delineare, per gli attori sociali e per il decisore politico, un

terreno condiviso di analisi (vale a dire terminologia, ricostruzione del fenomeno per

grandi linee, riconoscimento delle cause etc.) che consenta fra tutti un dibattito utile e

fecondo o, quanto meno, di capirsi.

Di seguito si contestualizzeranno e si sintetizzeranno i principali risultati di ricerca ot-

tenuti ed esposti, con maggiore dettaglio, nel corso dei vari capitoli che formano que-

sto “Rapporto di ricognizione”.

La sintesi di seguito proposta è organizzata dando conto delle tre parti in cui è suddi-

viso il Rapporto, vale a dire la questione delle misure (parte prima), la questione delle

politiche realizzate e delle proposte di cui si discute (parte seconda), un approfondi-

mento sul nesso tra immigrazione e lavoro nero (parte terza) integrato da una specifica

testimonianza professionale (parte quarta).

9. Sono stati realizzati nella primavera del 2002 tre seminari, in cui si sono prese in esame iniziative e ricerche svolte in Lombardia (relatori E. Reyneri e G. Fullin), in Europa (relatori A. Santoro e L. Tagle) e in Italia (relatore L. Campanelli).

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1.2 La questione delle misure: i (controversi) “numeri per dirlo”

Provare a “misurare” il sommerso è un’esigenza stimolata da una curiosità legittima,

densa di implicazioni politiche e di vere e proprie “sfide” statistiche.

Nonostante gli innegabili passi in avanti compiuti negli ultimi anni dalla statistica uffi-

ciale in termini di precisione definitoria,10 di metodologie di stima etc., il “sommerso”

rimane fenomeno sul quale continuano ad essere proposte stime mirabolanti, intese

più ad “épater les bourgeois” che a far avanzare la conoscenza, stime che tradiscono

talvolta, da parte di chi le propone, una scarsa consapevolezza delle ricadute di qua-

dro che ne sortirebbero (“dirlo con i numeri”, in effetti, è assai più complicato che “dir-

lo con gli slogan”…).

È dunque opportuno partire dalle “misure ufficiali”, che devono essere ben comprese,

nei loro pregi e nei loro limiti, prima di procedere (più o meno avventurosamente) per

altre strade.

1.2.1 Caratteristiche strutturali del sommerso nelle misure Istat “ufficiali”:

lavoro nero attorno al 15%, pil sommerso tra il 14 e il 17%

L’Istat è certamente, tra gli Istituti nazionali di Statistica, tra i più attenti alla proble-

matica del sommerso: ha continuamente affinato sia le definizioni utilizzate sia gli

strumenti di indagine e annualmente pubblica dati ufficiali sull’economia irregolare.

Attualmente si dispone dei dati nazionali rilasciati dall’Istat a ottobre 2002 (per il pe-

riodo 1992-2000) relativi a occupati, posizioni lavorative e unità di lavoro per settore,

distinti in regolari e non regolari11; in precedenza l’Istat aveva rilasciato i dati regionali

(per il periodo 1995-1999) relativi alle unità di lavoro.

Possiamo sintetizzare così quanto emerge dalle statistiche ufficiali disponibili:

10. In modo particolare con la distinzione tra “sommerso economico” (che è quello qui rilevante) e “som-merso statistico”, solo parzialmente sovrapposti (Calzaroni, 2000).

11. Per il 2001 una stima delle unità di lavoro irregolari in Italia è stata proposta da Svimez (2002): esse risulterebbero 3.579, con un tasso di irregolarità del 15,0%, sostanzialmente costante rispetto ai va-lori evidenziati a partire dal 1998, andamento questo frutto di una contrazione nel Centro Nord (dove il tasso di irregolarità è sceso sotto del 12%) e di una crescita nel Mezzogiorno (dove nel 2001 avrebbe raggiunto il 23%).

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Tab. 1 - Il lavoro sommerso in Italia e in Veneto, 1992-2000

1992 1995 1996 1997 1998 1999 2000 Tasso medio annuo di

variazione 1995-1999

Tasso medio annuo di

variazione 1992-2000*

A. Italia Occupati non regolari 3.089,1 3.134,3 3.195,0 3.263,8 3.290,3 3.306,0 3.378,2 1,34% 1,12% Occupati regolari 19.831,3 18.858,0 18.935,7 18.951,5 19.157,9 19.395,4 19.750,9 0,70% -0,05% Occupati totali 22.920,4 21.992,3 22.130,7 22.215,3 22.448,2 22.701,4 23.129,1 0,80% 0,11% quota % occupati irregolari 13,5% 14,3% 14,4% 14,7% 14,7% 14,6% 14,6% Posizioni non regolari 4.986,6 5.057,0 5.198,8 5.290,8 5.449,6 5.394,4 5.544,4 1,63% 1,33% Posizioni regolari 25.447,6 23.778,8 23.794,5 23.734,8 23.821,3 23.890,2 24.196,0 0,12% -0,63% Posizioni totali 30.434,2 28.835,8 28.993,3 29.025,6 29.270,9 29.284,6 29.740,4 0,39% -0,29% quota % posizioni irregolari 16,4% 17,5% 17,9% 18,2% 18,6% 18,4% 18,6% Unità di lavoro non regolari 3.137,8 3.262,7 3.287,8 3.358,8 3.465,2 3.458,8 3.551,7 1,47% 1,56% di cui*: - irreg. in senso stretto 1.995,8 1.907,5 1.966,6 2.012,4 2.040,3 2.048,8 1,80% 0,38% - posizioni plurime 746,3 757,3 787,4 797,3 849,7 844,0 2,75% 1,77% - stranieri 395,7 597,9 533,8 549,1 575,2 566,0 -1,36% 5,25% Unità di lavoro regolari 20.319,4 19.265,6 19.312,4 19.332,7 19.450,7 19.633,6 19.942,9 0,47% -0,23% Unità di lavoro totali 23.457,2 22.528,3 22.600,2 22.691,5 22.915,9 23.092,4 23.494,6 0,62% 0,02% quota % unità lav. irregolari 13,4% 14,5% 14,5% 14,8% 15,1% 15,0% 15,1% B. Veneto Unità di lavoro non regolari 228,6 226,3 227,0 233,7 233,8 0,56% Unità di lavoro regolari 1.812,7 1.837,1 1.861,4 1.868,7 1.893,5 1,10% Unità di lavoro totali 2041,3 2063,4 2088,4 2102,4 2127,3 1,04% quota % unità lav. irregolari 11,20% 10,97% 10,87% 11,12% 10,99%

* dati coerenti con la serie 1992-1999; ove i dati sono mancanti, il tma di variazione è calcolato per il periodo 1992-1999.

Fonte: ns. elab. su dati Istat e Baldassarini (2001)

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a. il livello del sommerso economico in Italia è elevato. Secondo le ultime stime dispo-

nibili, relative al 2000, si evidenzia (tab. 1) che in Italia gli occupati non regolari12

ammontano a quasi 3,4 milioni di unità, pari a poco meno del 15% dell’occupazio-

ne totale nazionale. Molte di più peraltro sono le posizioni irregolari (i posti di lavo-

ro, principali o secondari): si tratta di oltre 5,5 milioni di posizioni irregolari su un

totale di poco inferiore ai 30 milioni e pari al 18,6% del totale delle posizioni. Infine,

in termini di unità di lavoro, vale a dire di input di lavoro “normalizzato” secondo

orari contrattuali standard, l’Istat stima una quota di oltre 3,5 milioni di unità di la-

voro irregolari, pari al 15,1% del totale. Quest’ultimo è il dato più rilevante, in

quanto sintetizza il volume complessivo di lavoro irregolare utilizzato nel sistema;

b. per quanto riguarda la stima del prodotto interno lordo attribuibile al sommerso eco-

nomico, secondo l’Istat essa oscilla, con riferimento al 1998, tra il 15,8% e il 16,8%

(Baldassarini, Pascarella, 2003).13 È noto che altre stime (in particolare quelle do-

vute all’economista austriaco Schneider), prodotte soprattutto da istituti di ricerca

internazionali (cfr. Cnel, 2001, pag. 24; Bianco, 2002, pag. 20), basate su diversi

metodi (monetari e non monetari), propongono anche valori ben maggiori, fino al

25% (ed anche oltre) del pil.14 Tenuto conto che nel pil italiano (e nell’occupazione

secondo la contabilità nazionale) è già compreso un 15% di sommerso, esse impli-

cherebbero una rivalutazione del pil nazionale dell’ordine del 10-15%.15 È certo

che in Italia la quota di economia irregolare è consistente: ma ipotizzare che essa

coinvolga una quota ancora più imponente di occupazione e di redditi è esercizio

che presenta non poche controindicazioni sotto il profilo metodologico e per il

“quadro” dei conti nazionali che ne risulterebbe. Uno studio recente (Zizza, 2002),

utilizzando sia il currency demand approach (introducendo la criminalità come fat-

12. Si intende “occupati nella posizione principale”. Infatti un occupato regolare nella posizione princi-pale ma irregolare nella secondaria (plurima) è classificato dall’Istat tra i regolari.

13. Vengono in tal modo riviste al rialzo le stime, per un valore pari a circa un punto, già presentate sempre con riferimento al 1998 in Cnel, 2001 (pag. 43), dove oscillavano tra il 14,7 e il 15,4%.

14. In Italia l’Eurispes (2002) ha di recente rilanciato ipotizzando per il triennio 2001-2003 un peso del sommerso sul pil ufficiale pari al 29-30%, per un valore pari a 298,5 miliardi di euro nel 2001, 306 per il 2002 e 317 per il 2003 (calcolando quindi anche il futuro “nero”!). E i lavoratori in nero sareb-bero, sempre secondo il medesimo Istituto, 5,6 milioni, ben 2,1 milioni in più di quelli calcolati dal-l’Istat!

15. Il pil sommerso è maggiore dell’occupazione sommersa, perché non tutto il reddito occultato è necessariamente collegato al lavoro nero (ciò non implica dunque presupporre una produttività delle unità di lavoro irregolari maggiore di quelle regolari), anche se il nero è in genere una “catena” che coinvolge “naturalmente” lavoro e valore aggiunto. In effetti al 1998 la quota di valore aggiunto riferi-bile al sommerso (quota che si attestava tra il 14,7 e il 15,4%) “era da imputare per l’8,6% all’integrazione per lavoro non regolare (pari a 180 mila miliardi lire), per il 6% alla rivalutazione del fatturato e per lo 0,8% alla riconciliazione dei dati di domanda e offerta” (Zizza, 2002, pag. 24).

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16

tore di controllo) sia il model approach (che tratta il sommerso come variabile non

osservabile), giunge a stimare, con entrambe le metodologie, un livello del pil ita-

liano sommerso del tutto in linea con quello indicato da Istat;16 la medesima ri-

cerca individua un’evoluzione temporale del fenomeno che, per gli anni 1998-

2000, è segnata da un ridimensionamento sia per quanto riguarda l’incidenza che

il livello. Ancora, un’approfondita analisi dell’Ufficio studi dell’Agenzia delle entrate

(Liberati et al., 2002) relativa al 1998 ha stimato l’imponibile Irap non dichiarato

pari al 18,7% del pil (390.000 miliardi), con un’incidenza particolarmente elevata

in settori come i servizi sociali e domestici (dove il non dichiarato arriva al 62%),

alberghi e ristoranti (59%), attività immobiliari e servizi alle imprese (50%), com-

mercio (43%), trasporti (30%), industrie alimentari (31%), costruzioni (19%);

c. quanto alle tipologie di posti di lavoro e di lavoratori maggiormente coinvolti nell’eco-

nomia sommersa, la dinamica osservata per gli anni ’90 (tab. 1) evidenzia netta-

mente la forte crescita, e quindi l’incidenza crescente, degli immigrati da un lato (il

cui tasso di espansione è pari al +5,2% annuo tra il 1992 e il 1999) e delle posi-

zioni plurime dall’altro (doppio lavoro: +1,78% annuo), indicando in tal modo due

facce del mercato del lavoro per le quali le politiche proibizionistiche (rigide e basse

quote di ingresso in un caso, divieti di cumuli dall’altro tra diverse posizioni di la-

voro) si sono rivelate inefficaci;

d. vi è una sicura concentrazione territoriale dell’occupazione sommersa: l’irregolarità

al Sud, misurata in termini di unità di lavoro, coinvolge circa il 23% dell’occupa-

zione totale; nel Nord Ovest e nel Nord Est siamo attorno all’11% mentre il Centro

risulta allineato alla media Italia (graf. 1). In Veneto la quota dell’irregolare è mo-

desta, attorno all’11% in termini di unità di lavoro (tab. 1):17 si oscilla attorno alle

230.000 unità di lavoro, sostanzialmente stabili sia in valore assoluto che relativo;

non è disponibile un dato regionalizzato sugli occupati: una stima per il 1997 (Ge-

roldi, 2000) suggerisce un ammontare di 126.000 occupati irregolari in Veneto,

pari al 3,7% del totale nazionale (3,4 ml. di occupati).

16. Secondo questo studio, i valori maggiori individuati soprattutto da Schneider dipendono da un di-verso concetto sottostante di economia sommersa, tendente ad includere nell’economia irregolare - a differenza di quanto fatto da Istat - anche l’economia illegale.

17. Per un’argomentazione su dati fiscali circa il fatto che il Veneto non è una regione particolarmente evasion intensive, relativamente alla media italiana, cfr. Anastasia (1999).

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17

Graf. 1 - Tassi di irregolarità per ripartizioni (unità di lavoro irregolari su totale)

10,0

12,0

14,0

16,0

18,0

20,0

22,0

24,0

1995 1996 1997 1998 1999

Totale ItaliaNord-ovestNord-estCentroMezzogiorno

Fonte: ns. elab. su dati Istat

Tab. 2 - Veneto e Italia 1999. Unità di lavoro: irregolarità per settori (val. ass. in 000)

Veneto Italia Tasso di irregolarità Non

regolari Regolari Totale Non

regolari

Regolari Totale Veneto Italia

A. Valori assoluti Agricoltura 31,0 83,6 114,6 417,2 953,9 1.371,1 27,1% 30,4% Industria 28,7 788,1 816,8 540,3 6.228,4 6.768,7 3,5% 8,0% Industria in senso stretto 19,2 658,8 678 299,1 4.949,4 5.248,5 2,8% 5,7% Costruzioni 9,5 129,3 138,8 241,2 1.279,0 1.520,2 6,8% 15,9% Servizi 174,1 1.021,8 1.195,9 2.528,9 12.442,8 14.971,7 14,6% 16,9% Totale 233,8 1.894 2.127,3 3.486,4 19.625 23.111,5 11,0% 15,1% B. Composizione % Agricoltura 13,3% 4,4% 5,4% 12,0% 4,9% 5,9% Industria 12,3% 41,6% 38,4% 15,5% 31,7% 29,3% Industria in senso stretto 8,2% 34,8% 31,9% 8,6% 25,2% 22,7% Costruzioni 4,1% 6,8% 6,5% 6,9% 6,5% 6,6% Servizi 74,5% 54,0% 56,2% 72,5% 63,4% 64,8% Totale 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%

Fonte: ns. elab. su dati Istat

e. il fenomeno del sommerso interessa, seppur in forma diversa, tutti i settori economici

(tab. 2). In termini relativi, a livello di grandi rami, è senz’altro l’agricoltura il set-

tore che vede la maggior incidenza delle unità di lavoro irregolari (oltre il 30% in

Italia e il 27% in Veneto), mentre il settore secondario risulta meno interessato dal

fenomeno, che incide solo per l’8% (meno del 4% in Veneto); in termini assoluti è

peraltro il settore terziario quello di maggior peso perché impiega in Veneto il 75%

del lavoro attribuibile al sommerso (73% in Italia): ciò è legato sia alla presenza nel

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Tab. 3 - Unità di lavoro, occupati e posizioni lavorative regolari e irregolari per settore. Italia 2000

Valori assoluti (000)

Unità di lavoro Occupati Posizioni

Tasso di irregolarità

Regolari Irregolari Regolari Irregolari Regolari Irregolari Unità di

lavoro

Occupati Posizioni

lavorative

Agricoltura, silvicoltura e pesca 916,1 432,8 457,3 662,3 3.364,9 662,3 32% 59% 16%

Agricoltura, caccia e silvicoltura 873,6 413,0 440,3 641,4 3.308,3 641,4 32% 59% 16%

Pesca, piscicoltura e servizi connessi 42,5 19,8 17,0 20,9 56,6 20,9 32% 55% 27%

Industria in senso stretto 4.942,0 309,4 5.032,0 317,7 5.153,5 317,7 6% 6% 6%

Estrazione di minerali 37,8 3,8 38,9 3,8 39,7 3,8 9% 9% 9%

Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco 440,1 30,8 450,5 31,9 460,3 31,9 7% 7% 6%

Industrie tessili e dell'abbigliamento 658,5 68,1 681,5 70,4 693,8 70,4 9% 9% 9%

Industrie conciarie, prodotti in cuoio, pelle e similari 197,1 14,9 202,9 15,1 208,9 15,1 7% 7% 7%

Industria del legno e dei prodotti in legno 173,1 22,2 174,7 23,0 180,1 23,0 11% 12% 11%

Fabbricazione della carta e dei prodotti di carta; stampa ed editoria 280,8 21,3 284,2 22,1 293,1 22,1 7% 7% 7%

Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, tratt. dei combustibili nucleari 24,2 1,9 24,5 1,9 24,5 1,9 7% 7% 7%

Fabbricazione di prodotti chimici e di fibre sintetiche e artificiali 222,2 15,9 224,9 16,0 227,7 16,0 7% 7% 7%

Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche 191,0 10,1 195,1 10,3 197,5 10,3 5% 5% 5%

Fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi 295,7 25,8 298,8 26,2 306,6 26,2 8% 8% 8%

Produzione di metalli e fabbricazione di prodotti in metallo 729,4 22,6 738,2 23,2 761,4 23,2 3% 3% 3%

Fabbricazione di macchine ed app. mecc., compresi la rip. e la manutenzione 529,9 25,7 536,4 25,8 550,9 25,8 5% 5% 4%

Fabbricazione di macchine elettriche e di apparecchiature elettriche ed ottiche 457,9 12,4 465,7 12,7 485,9 12,7 3% 3% 3%

Fabbricazione di mezzi di trasporto 273,4 14,7 277,0 15,0 279,6 15,0 5% 5% 5%

Altre industrie manifatturiere 284,8 18,1 291,5 19,2 296,2 19,2 6% 6% 6%

Produzione e distribuzione di energia elettrica, di gas, di vapore e acqua calda 146,1 1,1 147,2 1,1 147,3 1,1 1% 1% 1%

Costruzioni 1.315,8 250,4 1.285,6 212,5 1.449,4 314,2 16% 14% 18%

Commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni 5.146,6 1.174,4 5.203,8 605,5 5.673,7 2.066,2 19% 10% 27%

Commercio all'ingrosso, al dettaglio e riparazioni 3.262,8 347,4 3.266,3 358,8 3.563,4 358,8 10% 10% 9%

Alberghi e pubblici esercizi 862,0 407,2 907,4 147,8 1.030,0 803,6 32% 14% 44%

Trasporti e comunicazioni 1.021,8 419,8 1.030,1 98,9 1.080,3 903,8 29% 9% 46%

Intermediazione monetaria e finanziaria; att. immobiliari ed imprenditoriali 2.600,0 416,0 2.557,3 405,5 3.065,0 450,1 14% 14% 13%

Intermediazione monetaria e finanziaria 581,6 56,9 587,3 59,3 617,2 59,3 9% 9% 9%

Attività immobiliari, noleggio, attività professionali ed imprenditoriali 2.018,4 359,1 1.970,0 346,2 2.447,8 390,8 15% 15% 14%

Altre attività di servizi 5.022,4 968,7 5.214,9 1.174,7 5.489,5 1.733,9 16% 18% 24%

Pubblica amministrazione e difesa; assicurazione sociale obbligatoria 1.373,1 - 1.389,6 - 1.389,6 - 0% 0% 0%

Istruzione 1.470,3 93,3 1.512,2 93,4 1.563,4 93,4 6% 6% 6%

Sanità e altri servizi sociali 1.219,1 97,6 1.249,5 97,7 1.316,7 97,7 7% 7% 7%

Altri servizi pubblici, sociali e personali 827,1 174,7 822,0 175,7 939,0 175,7 17% 18% 16%

Servizi domestici presso famiglie e convivenze 132,8 603,1 241,6 807,9 280,8 1.367,1 82% 77% 83%

Totale 19.942,9 3.551,7 19.750,9 3.378,2 24.196,0 5.544,4 15% 15% 19%

Fonte: ns. elab. su dati Istat

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Tab. 4 - Unità di lavoro dipendenti e indipendenti regolari e irregolari per settore. Italia 2000

Dipendenti Indipendenti Tasso di irregolarità

Regolari

Non reg. Totale Regolari Non reg. Totale Dipendenti Indipendenti

Agricoltura, silvicoltura e pesca 199,3 322,6 521,9 716,8 110,2 827,0 62% 13%

Agricoltura, caccia e silvicoltura 192,2 311,9 504,1 681,4 101,1 782,5 62% 13%

Pesca, piscicoltura e servizi connessi 7,1 10,7 17,8 35,4 9,1 44,5 60% 20%

Industria in senso stretto 4.059,1 282,2 4.341,3 882,9 27,2 910,1 7% 3%

Estrazione di minerali 34,3 3,2 37,5 3,5 0,6 4,1 9% 15%

Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco 311,0 19,0 330,0 129,1 11,8 140,9 6% 8%

Industrie tessili e dell'abbigliamento 508,7 65,0 573,7 149,8 3,1 152,9 11% 2%

Industrie conciarie, prodotti in cuoio, pelle e similari 149,6 14,5 164,1 47,5 0,4 47,9 9% 1%

Industria del legno e dei prodotti in legno 100,5 20,1 120,6 72,6 2,1 74,7 17% 3%

Fabbricazione della carta e dei prodotti di carta; stampa ed editoria 216,3 20,4 236,7 64,5 0,9 65,4 9% 1%

Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei combustibili nucleari 24,0 1,7 25,7 0,2 0,2 0,4 7% 50%

Fabbricazione di prodotti chimici e di fibre sintetiche e artificiali 211,8 15,5 227,3 10,4 0,4 10,8 7% 4%

Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche 170,6 9,6 180,2 20,4 0,5 20,9 5% 2%

Fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi 250,7 25,0 275,7 45,0 0,8 45,8 9% 2%

Produzione di metalli e fabbricazione di prodotti in metallo 608,6 21,7 630,3 120,8 0,9 121,7 3% 1%

Fabbricazione di macchine ed app. mecc., compresi la rip. e la manutenzione 479,0 24,9 503,9 50,9 0,8 51,7 5% 2%

Fabbricazione di macchine elettriche e di apparecchiature elettriche ed ottiche 382,2 11,6 393,8 75,7 0,8 76,5 3% 1%

Fabbricazione di mezzi di trasporto 264,7 13,2 277,9 8,7 1,5 10,2 5% 15%

Altre industrie manifatturiere 201,4 16,0 217,4 83,4 2,1 85,5 7% 2%

Produzione e distribuzione di energia elettrica, di gas, di vapore e acqua calda 145,7 0,8 146,5 0,4 0,3 0,7 1% 43%

Costruzioni 693,7 197,3 891,0 622,1 53,1 675,2 22% 8%

Commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni 2.701,4 951,2 3.652,6 2.445,2 223,2 2.668,4 26% 8%

Commercio all'ingrosso, al dettaglio e riparazioni 1.533,3 306,6 1.839,9 1.729,5 40,8 1.770,3 17% 2%

Alberghi e pubblici esercizi 366,3 348,8 715,1 495,7 58,4 554,1 49% 11%

Trasporti e comunicazioni 801,8 295,8 1.097,6 220,0 124,0 344,0 27% 36%

Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immobiliari ed imprenditoriali 1.422,8 406,0 1.828,8 1.177,2 10,0 1.187,2 22% 1%

Intermediazione monetaria e finanziaria 511,0 55,1 566,1 70,6 1,8 72,4 10% 2%

Attività immobiliari, noleggio, attività professionali ed imprenditoriali 911,8 350,9 1.262,7 1.106,6 8,2 1.114,8 28% 1%

Altre attività di servizi 4.406,7 805,5 5.212,2 615,7 163,2 778,9 15% 21%

Pubblica amministrazione e difesa; assicurazione sociale obbligatoria 1.373,1 - 1.373,1 - - - - -

Istruzione 1.402,0 28,1 1.430,1 68,3 65,2 133,5 2% 49%

Sanità e altri servizi sociali 1.014,2 28,1 1.042,3 204,9 69,5 274,4 3% 25%

Altri servizi pubblici, sociali e personali 484,6 146,2 630,8 342,5 28,5 371,0 23% 8%

Servizi domestici presso famiglie e convivenze 132,8 603,1 735,9 - - - 82% -

Totale 13.483,0 2.964,8 16.447,8 6.459,9 586,9 7.046,8 18% 8%

Fonte: ns. elab. su dati Istat

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comparto di moltissime unità di piccole dimensioni sia all’immaterialità di molte

prestazioni: entrambi questi aspetti rendono i controlli ancora più problematici ed

aleatori di quanto già non lo siano per altre realtà economiche. I dati nazionali per il

2000 (tab. 3) evidenziano con una maggiore disaggregazione quali sono i settori più

esposti all’irregolarità: nel secondario si segnalano, con riferimento alle unità di la-

voro, costruzioni (18%) e legno-mobilio (11%), mentre nel terziario emergono alber-

ghi e pubblici esercizi (44%), trasporti (46%), attività varie di servizio alle imprese

(14%) e alle persone (16%) nonché i servizi domestici (83%);

f. l’irregolarità complessiva nel lavoro dipendente riguarda il 18% delle unità di lavoro

contro una quota dell’8% per il lavoro indipendente (tab. 4). Il lavoro dipendente ir-

regolare risulta rilevante nel comparto del legno-mobile (17% del relativo totale), nel

tessile-abbigliamento (11%), nelle costruzioni (22%), negli alberghi e pubblici eser-

cizi (49%), nei trasporti e comuicazinoi (27%), nelle attività immobiliari ed impren-

ditoriali varie, che incorporano anche molti servizi innovativi (28%), nei servizi so-

ciali e personali (23%), nei servizi domestici (82%) mentre, per quanto riguarda il la-

voro indipendente, è da segnalare la cospicua presenza di irregolare nei comparti dei

trasporti (36%), dell’istruzione (49%), della sanità e dei servizi sociali (25%).

Queste possono essere ritenute, in sintesi, le caratteristiche strutturali note del

sommerso.

1.2.2 La dinamica dell’irregolare nelle misure Istat “ufficiali”: fino al 1997

l’irregolare “salva” il bilancio occupazionale italiano; dal 1998 riprende il

sopravvento l’occupazione regolare

Complessa e controversa è l’analisi delle dinamiche dell’irregolare per comprendere se

esso sia un fenomeno “controllato” o in espansione.18

18. Ricerche relative ad un arco temporale più lungo (Bovi, Castellucci, 2001) hanno messo in evidenza che, al di là delle inevitabili oscillazioni cicliche, la proporzione tra economia irregolare e economia re-golare in Italia risulta tendenzialmente costante, fino a legittimare l’esistenza di un “tasso naturale di sommerso”. Ciò indicherebbe la prevalenza dei fattori strutturali, di lungo periodo, nel governare il ri-prodursi e il perpetuarsi delle forme irregolari di iniziativa economica. È come se il Paese avesse “incor-porato” - e ne traesse anche vantaggio - una quota significativa di black economy. Sono ovvie anche le implicazioni culturali di una simile linea di lettura: essa suggerisce infatti un profondo radicamento della “propensione” all’irregolare.

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Graf. 2 - Italia: incidenza del lavoro irregolare sul totale per posizioni lavorative, occupati e

unità di lavoro, 1992-2000 (%)

13,0%

14,0%

15,0%

16,0%

17,0%

18,0%

19,0%

1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000

Posizioni lavorativeOccupatiunità di lavoro

Fonte: ns. elab. su dati Istat

Le stime Istat mettono in luce per buona parte degli anni ’90 una tendenza alla cre-

scita relativa dell’irregolare particolarmente pronunciata nel caso delle posizioni e più

modesta con riferimento agli occupati e alle unità di lavoro (graf. 2). In altre parole la

velocità di crescita dei posti di lavoro irregolari - a seguito dell’espansione dei secondi

lavori irregolari - è stata superiore a quella dei posti di lavoro regolari.

Nel periodo della crisi economico-politica dei primi anni ’90 la crescita dell’irregolare -

soprattutto nel Mezzogiorno19 - ha impedito risultati ancor più negativi per il mercato

del lavoro di quelli effettivamente registrati. Fino al 1997 la dinamica delle unità di la-

voro irregolari è risultata migliore, anche in valori assoluti, di quella delle unità di la-

voro regolari (graf. 3). La crescita dell’irregolare si è rallentata/bloccata dopo il 1998:

gli indicatori infatti si stabilizzano, e per primo quello sugli occupati. Ciò è da mettere

in relazione al miglioramento della congiuntura e ai primi segnali di riduzione della

pressione fiscale, dopo il periodo difficile successivo alla crisi del ’92-’93.

19. A questo proposito va richiamato il ruolo degli ammortizzatori sociali con i sempre possibili - ancorché inattesi e indesiderati - “effetti perversi” (che peraltro gli Stati dell’Europa del Nord, con un Welfare più generoso, scontano in misura ancora maggiore che l’Italia). Le ricerche sul campo hanno messo in evi-denza l’esistenza di meccanismi operativi e contributivi (finte chiusure di impresa; utilizzo del licenzia-mento per accedere all’indennità di disoccupazione) che rendono gli ammortizzatori sociali, di fatto, “sgabelli del sommerso”. Il problema del monitoraggio costante dell’utilizzo e della funzione effettiva degli ammortizzatori è questione rilevante non solo per il Sud ma per l’intero territorio nazionale.

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Graf. 3 - Dinamica delle unità di lavoro regolari ed irregolari in Italia. 1992-2000

-800

-600

-400

-200

0

200

400

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000

Irregolari

Regolari

Fonte: ns. elab. su dati Istat

Ciò che le stime ufficiali lasciano trasparire - vale a dire il blocco relativo del som-

merso, dopo il varo del “pacchetto Treu” e in una fase di ripresa economica - appare in

parziale sintonia con la linea interpretativa che legge gli incrementi occupazionali fatti

registrare dall’Italia dopo il 1995 (circa 1,8 milioni di occupati in più tra il 1995 e il

2002 secondo Istat-Rtfl, in presenza di una sostanziale stabilità - ad un livello di poco

inferiore ai 39 ml. di abitanti - della popolazione in età lavorativa 15-64 anni) non

tanto o non solo come la “creazione” di nuovi posti di lavoro, ma come in buona parte

l’emersione “spontanea” di lavoro pre-esistente (che verrebbe quindi regolarizzato più

che creato),20 emersione dovuta a numerose concause e comunque sollecitata soprat-

tutto dalle politiche di moral suasion (studi di settore etc.) più che da un vero inaspri-

20. Formulando tale ipotesi si sottintende che la rilevazione Istat-Rtfl coglie in modo assai debole l’occupazione irregolare e che è solo il “divenire regolare” che rende l’occupazione “nota” alle fonti sta-tistiche (oltre che alle istituzioni fiscali e previdenziali). In tal caso la crescita recente dell’occupazione sarebbe essenzialmente “qualitativa” (più regolarità, più legalità), e come tale certamente benvenuta, ma la sua dinamica quantitativa risulterebbe, in larga parte, fittizia (il che, per altri versi, non sa-rebbe proprio confortante). La tesi dell’ “emersione indiretta” è sostenuta dal Comitato nazionale per l’emersione del lavoro non regolare (2003). Sui limiti di questa linea interpretativa (a partire dall’interrogativo chiave: perché l’emergere dell’input di lavoro non si è accompagnato ad un parallelo emergere di output) cfr. Ref-Irs (2002). Una validazione probante dell’una o dell’altra ipotesi dovrebbe essere supportata da una tempestiva disponibilità di dati amministrativi sull’occupazione regolare che, attualmente, può appartenere solo alla sfera dei desiderata.

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mento dei controlli.21 Se così fosse, per gli anni più recenti (2001-2002), dovremmo

registrare - allorché i dati saranno disponibili - un’accentuarsi della contrazione della

quota dell’irregolare i cui primi segnali si sono intravisti a partire dal 1998 (a meno

che non si sostenga l’ipotesi che il lavoro “emergente” è immediatamente rimpiazzato

da nuovo lavoro sommerso, tale da mantenere costante il rapporto tra i due segmenti

dell’economia).

1.2.3 L’occupazione regolare: una ricostruzione a partire dalle fonti amministrative

Un indicatore importante, nel contesto della nostra riflessione, può essere ricavato

dall’analisi della dinamica dell’occupazione regolare, come registrata dalle fonti ammi-

nistrative (previdenziali, fiscali). In particolare è interessante confrontare questa dina-

21. Anche dal confronto tra la dinamica di alcuni aggregati cruciali, quali il pil, le unità di lavoro, il get-tito Irpef e le entrate conseguenti ai contributi sociali (tab. 5), si potrebbe derivare qualche indica-zione sull’emersione. Operazione peraltro tutt’altro che semplice perché nella dinamica di questi ag-gregati influiscono diversi fattori (ciclo economico, mutamenti normativi etc.). In effetti è vero che il gettito Irpef evidenzia una dinamica maggiore del pil nel 1999 e nel 2001 ma d’altro canto i contri-buti sociali a carico sia dei datori di lavoro che dei lavoratori non mostrano una vivacità diversa da quella media dell’economia, anzi. Un ritmo di crescita particolare, intenso, risulta piuttosto, nel-l’aggregato, a carico dei lavoratori indipendenti, in riferimento ai quali le accennate politiche di moral suasion sembrano aver portato qualche risultato.

Tab. 5 - Italia. Dinamica del pil, delle unità di lavoro e degli occupati, dell'Irpef e dei contributi sociali (mil. di euro)

1998 1999 2000 2001 2002 tma 1998-2002

Pil ai prezzi di mercato a prezzi correnti 1.073.019 1.107.994 1.166.548 1.220.147 1.258.349 4,06% Unità di lavoro totali 22.916 23.049 23.452 23.844 24.099 1,27% Occupati (ex indagine forze di lavoro, medie annuali) 20.435 20.692 21.080 21.514 21.829 1,66%

1998

1999 2000 2001 tma

1998-2001

Irpef e addizionali 109.375 117.532 118.369 127.157 5,15% quota Irpef su pil 10,2% 10,6% 10,1% 10,4% Contributi sociali* 137.712 141.129 148.074 154.519 3,91% Dei datori di lavoro 97.778 99.426 104.147 108.491 3,53% - Effettivi 93.817 95.620 100.272 104.607 3,70% - Figurativi 3.961 3.806 3.875 3.884 -0,65% Dei lavoratori 39.492 41.337 43.564 45.665 4,96% - Dipendenti 26.432 26.469 27.166 28.702 2,78% - Indipendenti 13.060 14.868 16.398 16.963 9,11% Dei non lavoratori 442 366 363 363 -6,35%

* I contributi sociali sono indicati al netto degli sgravi contributivi. Fonte: ns. elab. su dati Istat, Contabilità nazionale, Rtfl e Conti delle Amministrazioni pubbliche

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mica con quella stimata dall’Istat sia con la contabilità nazionale che con l’indagine

trimestrale sulle forze di lavoro (Rtfl), entrambe fonti comprendenti sia l’occupazione

regolare che quella irregolare.

L’esigenza di costruire un quadro conoscitivo specifico per l’occupazione regolare (li-

vello e dinamica), è alla base del lavoro di ricerca resocontato nel cap. 2, dove si espo-

ne e si discute la puntuale presa in esame di tutte le fonti amministrative disponibili

nonché l’esito del confronto di ciascuna di esse con i dati occupazionali di contabilità

nazionale e con la Rtfl, vale a dire con la fonte dalla quale dipende, in buona sostanza,

l’immagine che ci si forma in Italia e in Europa a proposito del mercato del lavoro

italiano (e veneto).

I risultati del confronto (alcuni dei quali sono sintetizzati in tab. 6) permettono di soste-

nere che, particolarmente in Veneto, la crescita dell’occupazione alla fine degli anni ’90

risulta spinta dalla dinamica dell’occupazione regolare, così come rilevata dalle fonti

amministrative (che però si fermano al 2000 o prima). In particolare i dati Inps a livello

regionale mettono in evidenza una crescita significativa dell’occupazione regolare nel

1999 (fatta eccezione per i parasubordinati contribuenti, che risultano - a differenza dei

relativi iscritti - in calo), mentre risulta meno brillante la crescita osservata per il 2000;

a livello nazionale, invece, la crescita dell’occupazione secondo gli archivi Inps è signifi-

cativa in entrambi gli anni osservati. Tanto che, sia a livello regionale che nazionale, la

performance dell’occupazione si riduce se si escludono i lavoratori extracomunitari.

In margine a queste considerazioni di merito, si deve aggiungere un’osservazione di

metodo. Abbiamo sperimentato anche in questa circostanza le gravi e consistenti diffi-

coltà che le banche dati amministrative oppongono quando si cerca di utilizzarle per

trarne conoscenza di tipo sistematico-statistico. Si può certo imparare qualcosa da tali

difficoltà ripetute: ed è che le banche dati amministrative, adattissime al lavoro

investigativo sul singolo caso, lo sono (per ora) molto meno per le esigenze di profilare

quantità e tipologie collettive/universali (come si è riscontrato anche negli esperimenti

pilota di organizzazione delle visite ispettive sulla base di “indicatori di pericolosità”

desunti dalle banche dati amministrative).

Questa inadeguatezza dipende certo dalle finalità originarie per cui le banche dati am-

ministrative sono state costruite e sono ora mantenute ma anche dalle modalità con-

crete con cui sono “pensate” (“disegnate”), implementate (tempestività nel data entry,

accuratezza ed esaustività), (in)utilizzate (per studi e ricerche, per confronti con altre

banche dati). È lecito ritenere che (modesti) sforzi organizzativi potrebbero/dovrebbero

portare, in un futuro anche prossimo, ad un significativo miglioramento dello stato di

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cose esistenti, permettendo così di conseguire sotto il profilo della conoscenza stati-

stica importantissimi risultati, indispensabili per calibrare seriamente scelte e pratiche

politiche, altrimenti avventate.22

Tab. 6 - Dinamica dell'occupazione secondo diverse fonti Valori assoluti (000) Variaz. % sull'anno precedente

1998 1999 2000

2001 2002 1999 2000 2001 2002

A. VENETO Istat - Contabilità nazionale - Unità di lavoro Occupazione irregolare 234 234 0,0% Occupazione regolare 1.868 1.893 1,3% Totale 2.102 2.127 1,2% (nuova serie) 2.098 2.113 2.164 2.186 0,7% 2,4% 1,0% Istat- Rtfl Dipendenti 1.317 1.340 1.374 1.410 1.413 1,7% 2,5% 2,6% 0,2% Indipendenti 542 547 566 560 574 0,9% 3,5% -1,1% 2,5% Totale 1.859 1.887 1.940 1.970 1.987 1,5% 2,8% 1,5% 0,9% Unioncamere* Dipendenti delle unità locali 1.062 Inps Dipendenti privati per luogo di lavoro 1.059 1.086 1.104 2,5% 1,7% Assicurati dip. e indip. Inps per luogo di lavoro (escl. parasub. e dip. az. sett. pubbl.**)

1.550 1.581 1.599 2,0% 1,1%

Idem esclusi extracomunitari 1.506 1.530 1.538 1,6% 0,5% Parasubordinati contribuenti 161 150 -6,8% Assicurati Inps (con almeno un contributo nell'anno) al netto delle duplicazioni tra archivi (incl. parasub. iscr. e dip. az. sett. pubbl. **)

1.746 1.819 1.818 4,2% 0,0%

Excelsior Dipendenti 1.114 Dipendenti imprese private al 31.12 1.033 1.058 1.082 1.119 2,4% 2,3% 3,4% B. ITALIA Istat - Contabilità nazionale - Unità di lavoro Occupazione irregolare 3.465 3.459 3.552 -0,2% 2,7% Occupazione regolare 19.451 19.634 19.943 0,9% 1,6% Totale 22.916 23.092 23.495 0,8% 1,7% (nuova serie: aggiornamento al 2002) 22.916 23.049 23.452 23.844 24.099 0,6% 1,7% 1,7% 1,1% Occupati Occupazione irregolare 3.290 3.306 3.378 0,5% 2,2% Occupazione regolare 19.158 19.395 19.751 1,2% 1,8% Totale 22.448 22.701 23.129 1,1% 1,9% (nuova serie: aggiornamento al 2001) 22.448 22.701 23.129 23.505 1,1% 1,9% 1,6% Istat- Rtfl Dipendenti 14.549 14.823 15.131 15.517 15.850 1,9% 2,1% 2,5% 2,1% Indipendenti 5.886 5.869 5.949 5.997 5.979 -0,3% 1,4% 0,8% -0,3% Totale 20.435 20.692 21.080 21.514 21.829 1,3% 1,9% 2,1% 1,5% Unioncamere* Dipendenti delle unità locali (imprese private) 9.588 Inps Dipendenti privati 9.441 9.728 10.051 3,0% 3,3% Assicurati dip. e indip. Inps per luogo di lavoro (escl. parasub. e dip. az. sett. pubbl.**)

14.985 15.327 15.680 2,3% 2,3%

idem esclusi extracomunitari 14.630 14.932 15.240 2,1% 2,1% Parasubordinati contribuenti 1.265 1.272 0,6% Assicurati Inps (con almeno un contributo nell'anno) al netto delle duplicazioni tra archivi (incl. parasub. iscr. e dip. az. sett. pubbl.**)

17.218 18.311 18.102 6,3% -1,1%

Excelsior Dipendenti imprese private al 31.12 9.316 9.630 9.804 10.266 3,4% 1,8% 4,7%

* Imprese e occupazione in Italia - Quadri statistici al 31.12.1998. ** Si tratta dei dipendenti pubblici per i quali le aziende versano contributi all’Inps; sono compresi i dipendenti degli Enti locali che, fino al

1998, versavano all’Inps il contributo di malattia.

Fonte: ns. elab.

22. È sufficiente pensare, a questo proposito, ai gravi danni per le politiche causati dallo stato ancora as-sai lacunoso delle conoscenze disponibili sul livello, sui flussi, sulle caratteristiche e sulla distribu-zione territoriale dei lavoratori extracomunitari regolari.

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1.2.4 Dalle statistiche sulla vigilanza: nel triennio 2000-2002 in Veneto sono state

identificate circa 1.700 aziende in nero e poco meno di 50.000 lavoratori in nero

Sul problema delle “misure” dell’economia sommersa ritorna, da un’altra angolatura, il

cap. 3. La fonte esplorata è quella delle statistiche sugli esiti delle complesse attività di

vigilanza ed ispettive realizzate dai vari Istituti preposti (Inps, Inail, Direzioni provin-

ciali e regionale del Ministero del welfare etc.).

I dati disponibili con questa origine ricavabili sottendono la questione assai delicata (e

strumentalizzata) relativa alla possibilità di estrapolare da essi valutazioni più gene-

rali, riferibili all’intera struttura economica. In altre parole si tratta di capire se i ri-

sultati statistici relativi alle aziende visitate (e quindi la quota di aziende irregolari e di

lavoratori irregolari in esse presenti) siano generalizzabili all’intera struttura econo-

mica, presupponendo quindi che le aziende visitate sono un campione rappresentativo

dell’universo. In effetti estrapolazioni di questo tipo risultano del tutto affrettate e, da

un punto di vista scientifico, indifendibili: le aziende visitate non costituiscono in al-

cun modo un campione rappresentativo, essendo spesso oggetto di “accessi” mirati

(per segnalazioni pervenute agli Istituti di vigilanza o perché appartenenti a set-

tori/aree a particolare rischio di sommerso).

Va considerato comunque che, negli ultimi due anni, il monitoraggio dell’attività di vi-

gilanza è assai migliorato, per cui esso offre attualmente una serie di informazioni

statistiche che - seppur ancora di non facile aggregazione e confronto - forniscono in-

dicazioni di particolare rilievo. In effetti queste statistiche sono utili, oltre che per

documentare le dimensioni dell’attività ispettiva, per avere indicazioni sullo “zoccolo

minimo” (quello “scoperto”) di lavoro sommerso esistente nel sistema nonché sulle sue

tipologie; esse consentono, infine, di operare alcuni interessanti confronti intertempo-

rali e spaziali, pur con tutte le cautele derivanti dalle ragioni già indicate.

A livello italiano (Cnel, 2001, pag. 53 ss.), si evidenzia che le diverse task force all’opera

(Inps, Inail, Ministero del lavoro) hanno controllato nel 2000 circa 235.000 aziende e la-

voratori autonomi, pari a circa il 3-4% del totale dell’universo di riferimento (il che si-

gnifica che ogni impresa ha la probabilità di essere controllata una volta ogni 30 anni),

accertando 130.000 aziende con irregolarità, circa 260.000 lavoratori in posizione irre-

golare e quasi 1,2 miliardi di euro di contributi evasi. In particolare le ispezioni svolte

dall’Inps hanno rintracciato oltre 100.000 lavoratori in nero, il 15% di questi per periodi

superiori all’anno. Per quanto riguarda le statistiche Inail, di particolare interesse (e

gravità) è la constatazione che, con riferimento al 2000-2001 (fino al 31/5), circa un

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terzo degli incidenti mortali (42 su 135) e poco meno del 20% degli incidenti gravi (495

su 2.232) risulta essere avvenuto nei primi cinque giorni di lavoro, il che fa sospettare

una prassi frequente di regolarizzazione amministrativa a seguito di infortunio.

Dalla nostra elaborazione delle statistiche relative al Veneto, per il triennio 2000-

2002,23 emergono i seguenti risultati “essenziali” (tab. 7):24

a. negli ultimi anni l’attività ispettiva è stata intensificata: 15.000 aziende sono state

visitate nel 2000, quasi 20.000 nel 2001, oltre 21.000 nel 200225; negli ultimi anni

si è intensificata pure l’attenzione prestata agli autonomi (l’Inps ne ha visitati

4.000 nel 2001, oltre 5.000 nel corso del 2002);

b. la quota di aziende ispezionate trovate con irregolarità nella gestione del lavoro è

passata dal 58% nel 2000 al 43% nel 2002;

c. le aziende in nero (i “soggetti” ignoti) rappresentano circa il 5% del totale di quelle

visitate (risultano attorno alle 5-600 annue): si tratta di piccole aziende (con qual-

che sporadico caso di media azienda) attive soprattutto nel settore del commercio

(inclusa ristorazione) e dell’edilizia;

d. i lavoratori in nero identificati sono stati (comprendendo Ministero del Lavoro,

Inail e Inps) oltre 15.000 nel 2000, più di 17.000 nel 2001, di nuovo poco più di

15.000 nel 2002: per un totale pari a circa 48.000 unità nel triennio considerato;

e. in media (nelle statistiche Inps) si registrano due-tre lavoratori in nero per ogni

azienda irregolare;

f. la distribuzione settoriale riflette il peso strutturale dei diversi comparti;

g. quanto alle caratteristiche dei lavoratori in nero si osserva che:

in relazione alla classe di età risultano sostanzialmente equidistribuiti (non c’è

dunque particolare concentrazione);

modesta risulta la quota accertata di durate lunghe dei periodi di lavoro nero

(solo il 12% risulta superare l’anno);

su circa 41.000 lavoratori in nero dipendenti riconosciuti da Inps e Ministero

del lavoro, una quota significativa e crescente è quella degli stranieri (11.000,

pari a più del 20%), mentre marginale è la consistenza di pensionati (700), mi-

nori (270), beneficiari di ammortizzatori sociali (170), doppilavoristi (100).

23. Per un’analisi relativa agli anni 1986-1993 cfr. Anastasia (1995). 24. L’integrazione tra le diverse fonti è un processo ancora accidentato ed incompleto. In modo partico-

lare sono ancora da utilizzare intensivamente i dati Inail sul lavoro nero, qui considerati solo per quanto riguarda i principali elementi di sintesi.

25. Nel quarto trimestre dell’anno sono stati svolti accertamenti legati specificamente all’emersione del lavoro sommerso come prevista dalla l. 383/2001.

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Tab. 7 - Esiti delle visite ispettive. Quadro riepilogativo

2000 2001 2002

Parametri essenziali di riferimento (pro memoria)

a. Tutti gli enti ispettivi Aziende visitate 14.953 19.406 21.214 imprese al 31.12.1998 (fonte: Unioncamere) - regolari 6.320 10.004 12.010 imprese registrate 487.423 - irregolari 8.633 9.402 9.204 imprese con addetti 428.746 quota % az. visitate irregolari 58% 48% 43% imprese con dip. 104.098 b. Ministero + Inps Aziende visitate 12.109 16.888 18.734 occupati (media Rtfl 2000, in 000) Lavoratori in nero 13.877 15.270 14.012 dipendenti 1.374 c. Inps indipendenti 566 Aziende visitate 8.109 12.546 13.033 totale 1.940 - Aziende DM 6.326 8.037 7.313 - Aziende agricole 384 600 337 - Altri: autonomi/coll. 1.399 3.909 5.383 Aziende irregolari - Aziende DM 4.317 4.130 3.845 - Aziende agricole 174 261 157 - Altri: autonomi/coll. 729 1.348 1.369 di cui: aziende in nero 479 592 618 - Aziende DM 440 529 583 - Aziende agricole 39 63 35 - Altri: autonomi/coll. - - - Lavoratori in nero 10.805 11.702 10.613 - Aziende DM 10.070 10.340 9.130 - Aziende agricole 419 583 308 - Altri: autonomi/coll. 316 779 1.175 per tipologie (DM e agr) 10.489 10.923 9.438 - minori 7 19 35 - stranieri 2.078 2.280 3.160 - utilizzatori Welfare 269 281 222 - doppilavoristi 16 32 44 - altro 8.119 8.311 5.977 d. Inail (**) Posizioni* controllate 2.063 2.880 2.495 - di cui: irregolari 1.140 1.173 1.158 Nuove denunce di esercizio 272 246 263 Lavoratori in nero accertati 1.564 2.042 1.256

* Un'azienda può avere diverse posizioni. ** Inclusa attività di vigilanza integrata (perciò questi dati non coincidono con quelli di tab. 1 cap. 3).

Fonte: ns. elab. su dati Enti di vigilanza

In definitiva la consistenza del lavoro nero identificato non risulta affatto trascurabile,

anche se si tratta ancora di una quota minoritaria del lavoro nero esistente in regione,

così come stimato ufficialmente dall’Istat.

1.3 Le politiche: incentivi all’emersione, controlli, nuove proposte

La seconda parte di questo “Rapporto di ricognizione” è dedicata alle politiche di con-

trasto del lavoro nero. Di esse vengono presi in esame alcuni aspetti particolarmente

importanti, quali:

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l’organizzazione dei controlli e dell’attività di vigilanza (i relativi aspetti statistici sono

già stati considerati nella parte prima);

le recenti iniziative (legislative e non solo) generali e specifiche per favorire

l’emersione;

le opinioni delle parti sociali e delle maggiormente coinvolte organizzazioni professio-

nali in merito alle proposte utili per contrastare la diffusione del sommerso.

Innanzitutto si è ritenuto utile ed interessante prestare particolare attenzione alle indi-

cazioni e all’esperienza maturata dal personale ispettivo dei vari Enti che hanno com-

piti di vigilanza (cap. 4). A questo scopo sono state realizzate 21 approfondite interviste

con diversi protagonisti dell’azione di contrasto al lavoro nero in Veneto, nel corso delle

quali si è concentrata l’attenzione sulle questioni più rilevanti per l’efficacia dell’azione

di contrasto e di deterrenza che ci si attende dalle procedure di controllo e di monito-

raggio della regolarità del lavoro. Le interviste hanno spaziato dal percorso formativo

degli ispettori al loro modus operandi, dall’immagine che con l’esperienza essi hanno

maturato del sommerso (le sue cause, le radici sociali e antropologiche, gli eventuali

effetti perversi delle norme, i cambiamenti etc.) alla percezione della sua “vastità” e

della sua diffusione (o meno) etc.. È emersa una situazione segnata dalla presenza di

personale generalmente assai motivato, competente e conscio dell’importanza di un

approccio alle aziende ispezionate tecnico, non autoritario (con risvolti quasi “consu-

lenziali”), approccio che dev’essere finalizzato a ottenerne l’emersione, non certo la

chiusura (in un’ottica anche di utilità aziendale: da qui infatti deriva il finanziamento

per gli Enti previdenziali).

Le modalità di azione del personale ispettivo non risultano “standard” risentendo delle

peculiarità che contraddistinguono le diverse aree regionali (ad es. si riscontra, tra le

province venete, una diversa rilevanza delle denunce e quindi della conseguente pro-

grammazione degli accessi, etc.): in ogni caso i rapporti stretti con il territorio sono un

importante fattore di successo dell’attività di contrasto.

Si evidenziano inoltre specifici problemi organizzativi (relativi in particolare al

coordinamento e all’integrazione tra i vari corpi ispettivi) ed anche una visione non

convergente su qualche punto importante, tra cui di particolare rilievo è la questione

aperta dell’apporto dell’informatizzazione all’azione di contrasto.

Anche per quanto riguarda la percezione dell’entità del sommerso in Veneto, non vi è

totale convergenza di opinioni, essendoci chi ritiene che il fenomeno abbia una diffu-

sione consistente e crescente e chi, invece, ritiene che esso sia ormai limitato ad al-

cune tipologie di lavoratori e settori di produzione. Vi è convergenza nel valutare che

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siamo in presenza di un’area diffusissima di lavoro “grigio”26, mentre il (relativamente

poco) sommerso totale:

risulta presente soprattutto in edilizia, in agricoltura, nei pubblici esercizi e nel

contoterzismo del manifatturiero (in tal caso riguarda prevalentemente piccole e pic-

colissime imprese - spesso peraltro usate dalle grandi in outsourcing - che, tra l’al-

tro, sono attivatrici di una non trascurabile mobilità dei lavoratori dal sud al nord);

coinvolge, nella fase che si è aperta nel corso degli anni ’90, in larga misura i citta-

dini extracomunitari ed è strettamente collegato alla loro presenza più o meno re-

golare sul territorio, con particolare attenzione alla “questione cinese” ma anche a

nuove fenomenologie, quali l’articolazione che sta assumendo l’irregolarità nel set-

tore dei trasporti a seguito dei processi crescenti di delocalizzazione; per quanto ri-

guarda la popolazione locale, il sommerso utilizza particolarmente pensionati, stu-

denti, doppiolavoristi;

riguarda di frequente società “vestite” da forma giuridica cooperativa, utilizzate per

organizzare forme spurie di caporalato, anelli di catene di sub-appalto, funzioni ef-

fettive - quasi da agenzie interinali non autorizzate - di fornitura di manodopera da

impiegare a costo ridotto.

Il rilievo della funzione ispettiva, nei suoi molteplici significati - repressione, consu-

lenza, deterrenza - è ampiamente condiviso, così come sono convergenti le indicazioni

di fondo per una più efficace azione di contrasto. Che dev’essere sostanziata dai prin-

cipi di semplificazione, equità, trasparenza: poche regole uguali per tutti, per togliere

alibi all’illegalità. Più di tanti nuovi strumenti di controllo e di azioni promozionali

serve dunque un’azione decisa sulle norme. È un orientamento che mira alla radice

del problema, puntando a disgiungere e distinguere tra le ragioni di chi si trova in

condizioni di illegalità a causa di norme inadeguate o mal congegnate, e la situazione

di chi volontariamente cerca in qualsiasi modo di sfruttare la giungla normativa per

sottrarsi a qualsiasi obbligo.

Il secondo risvolto considerato delle politiche è relativo alle innovazioni legislative,

organizzative e contrattuali esperite in Italia negli ultimi anni con la finalità di co-

struire un contesto favorevole all’emersione e alla regolarizzazione. Il cap. 5 ricostrui-

26. Relativo soprattutto all’uso improprio delle nuove e diffuse forme contrattuali (co.co.co., associazioni in partecipazione), alle fittizie costituzioni in azienda da parte di individui senza alcun bene stru-mentale e autonomia imprenditoriale; agli straordinari che non rientrano in nessuna contabilità.

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sce puntualmente l’evoluzione degli strumenti esplicitamente finalizzati all’emersione,

a partire dai “contratti di riallineamento” fino all’ultima “operazione emersione”, orga-

nizzata dalla legge 383/2001 e successivi aggiustamenti, che ha previsto la possibilità

di ricorrere sia ad un percorso automatico di emersione sia ad un percorso progres-

sivo. Il bilancio di questa operazione, conclusa il 28 febbraio 2003, è - rispetto alle at-

tese - sostanzialmente fallimentare: in Veneto si sono registrate 122 domande di emer-

sione automatica e 40 domande di emersione progressiva, in Italia 1.800 delle prime e

876 delle seconde. Essa è comunque servita essenzialmente per portare l’attenzione

sul fenomeno mentre altri strumenti, pur non direttamente finalizzati allo scopo in og-

getto (crediti di imposta per l’occupazione, sanatoria per gli immigrati, agevolazioni alle

ristrutturazioni edilizie27 etc.), hanno avuto un impatto sostanziale, riducendo - pur in

misura non facilmente quantificabile28 - il fenomeno.29 In effetti la politica per

l’emersione non può essere una politica settoriale, affidata solo a provvedimenti ed

istituzioni ad hoc. Essa implica un’azione complessiva con il coinvolgimento di tanti

attori30 e con la rivisitazione di diverse istituzioni e norme esistenti, a partire dalla

considerazione fondamentale che la legalità e il rispetto delle leggi costituiscono un

interesse generale dello Stato, un vantaggio competitivo per l’insieme della società e un

irrinunciabile presupposto di giustizia sociale. Sulla scorta di questi presupposti nel

cap. 5 si dà conto di un vasto insieme di iniziative politiche e di pratiche territoriali

(l’attività degli Enti bilaterali, la concertazione locale, i Patti territoriali, la contratta-

27. Secondo i dati più aggiornati riportati nel sito del Ministero delle Finanze, dal 1998 al 31 ottobre 2001 in Veneto sono state presentate 106.499 comunicazioni per detrazioni di spese di ristruttura-zione edilizia (oltre il 10% del totale Italia, il quale alla stessa data risulta pari a 1.037.505). Si può stimare che circa una famiglia ogni 20 ha utilizzato questo strumento. Il valore aggiunto del settore costruzioni, a prezzi costanti, è cresciuto in Veneto tra il 1999 e il 2001 del 13,3% mentre il pil totale dell’economia regionale è aumentato dell’11,9%. In termini di unità di lavoro l’occupazione nel settore delle costruzioni, nel medesimo periodo, è salita del 10%.

28. Nella risposta fornita ad un’interrogazione parlamentare il 18 marzo 2003, il sottosegretario Viespoli ha fatto riferimento ai “dati forniti dall’Agenzia delle entrate e dall’Inps, in ordine all’aumento sia delle ritenute d’acconto verste dai datori di lavoro che delle iscrizioni di nuovi lavoratori all’Inps. Tali dati, infatti, evidenziano oltre 270.000 nuove posizioni lavorative, riferite a dicembre 2002, che non sono giustificabili e che probabilmente riguardano anche una forma di regolarizzazione di manodo-pera sommersa” (www.camera.it).

29. Sulla contrazione/allargamento del medesimo agiscono, con segno incerto, anche altre politiche quali i condoni previsti dall’ultima Legge finanziaria. Assai importante in materia è stata l’iniziativa, atti-vata dalla Finanziaria 2002, nota come “Scudo fiscale 1”, avente per oggetto l’emersione non di occu-pati ma di capitali. Secondo i dati pubblicati su Il Sole Nord Est del 24 febbraio 2003, i capitali rim-patriati o regolarizzati in Veneto ammontano al valore complessivo di 3,5 miliardi di euro: si tratta di un valore non molto inferiore al valore aggiunto di un anno dell’intero settore sanitario regionale.

30. Secondo Meldolesi, nel caso della legge 383/2001, sono venuti a mancare proprio quegli accordi provinciali tra parti sociali cui era legata una parte significativa dell’operazione (cfr. Il Sole 24 ore, 27 febbraio 2003, pag. 29: “Sommerso, l’emersione ha fatto flop”).

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zione decentrata etc.) che, pur originando da intenti e motivazioni diverse, stanno

contribuendo di fatto anche a ridurre lo spazio dell’economia sommersa, dando visibi-

lità e ripercussioni operative agli impegni assunti dalle parti sociali a livello locale.

Nella stessa direzione, rafforzando l’animazione e il collante tra le varie azioni ed espe-

rienze, vanno le iniziative attivate a livello nazionale dando vita al Comitato nazionale

per l’emersione e, a livello periferico, alle Commissioni regionali e provinciali, ai tutor

per l’emersione e, da ultimo, ai Cles.

Come terza direzione di ricerca in materia di politiche contro il sommerso, è stata rea-

lizzata un’approfondita indagine sottoponendo un’ampia serie di proposte in materia

di contrasto del lavoro nero, già note e oggetto di dibattito, a diversi rappresentanti

delle parti sociali e delle organizzazioni professionali venete per verificarne gli orienta-

menti in proposito, le opinioni in merito alla fattibilità nonché l’efficacia attesa in caso

di adozione (cap. 6). Si possono così sintetizzare le valutazioni raccolte:

1. è generale, e prioritario, il favore accordato a politiche di forte riduzione della pres-

sione fiscale e soprattutto della pressione burocratica (semplificazione); la com-

plessità delle procedure è spesso percepita come un meccanismo attraverso il

quale l’apparato amministrativo difende le proprie posizioni di controllo sul si-

stema produttivo;

2. la flessibilità degli strumenti messi a disposizione dell’impresa è considerata

un’altra essenziale priorità, in particolar modo la flessibilità degli strumenti di na-

tura contrattuale. Flessibilità non significa, tout court, possibilità di espellere

manodopera o di impiegarla in condizioni di precarietà, significa piuttosto possibi-

lità di differenziare l’utilizzo della stessa;

3. un importante elemento emerso e valutato con favore è quello relativo alla costitu-

zione di un sistematico conflitto di interessi tra chi vende e chi acquista un deter-

minato bene e/o servizio (cui va consentita ad esempio la detraibilità dell’Iva);

4. risultati positivi sono attesi da una più stringente normativa in materia di appalti

(dove la logica del massimo ribasso non può contrastare con l’esigenza del rispetto

effettivo di leggi e contratti) e di responsabilità delle aziende maggiori che attivano

l’intera filiera degli operatori economici legati all’impiantistica e alle costruzioni;

5. per quanto riguarda gli immigrati, il sostanziale favore che incontra la proposta di

allargare le quote di ingresso, evidenzia come la trasparenza dei meccanismi di re-

clutamento e di incontro domanda/offerta di lavoro sia una questione cruciale.

Perché un lavoratore possa “fruttare” bisogna “investire” su di esso. Ogni clande-

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stino, ogni lavoratore non regolare rende impossibile l’attuazione di investimenti di

qualsiasi tipo sullo stesso, altrimenti questa manodopera può essere solo sfruttata;

6. si propone di abolire quelle normative che sembrano fatte apposte per aumentare

l’irregolarità (i vari divieti di cumulo…)31 mentre, d’altro canto, non si dà partico-

lare rilievo, data la situazione veneta di pressoché piena occupazione, all’uso

strumentale dei dispositivi del Welfare;

7. per quanto riguarda i lavori più occasionali, meno strutturali si vede con favore

l’introduzione di uno strumento innovativo come il vaucher anche se al riguardo si

nutrono discrete perplessità per quanto riguarda la sua fattibilità;

8. infine, si dà grande valore all’incentivazione della visibilità delle imprese come

strumento per incrementare il valore aggiunto aziendale. Per questo si propone

l’istituzione di un sistema di certificazioni che renda, appunto, visibile e quindi af-

fidabile l’operato dell’azienda.

Va ricordato, infine, che l’indagine di cui si dà conto nel cap. 6 ha avuto lo scopo di

raccogliere e sintetizzare i grandi orientamenti delle parti sociali e delle associazioni

professionali, senza aver la pretesa di scendere fino all’implementazione delle singole

proposte anche nei dettagli. Tale implementazione infatti richiede la soluzione dei nu-

merosi problemi conseguenti al disegno specifico di ogni intervento normativo, inclusa

la valutazione degli effetti in termini di finanza pubblica.

1.4 Una questione recente ma ormai centrale: immigrati e lavoro nero

È ormai riconosciuto da tutti che la questione immigrati sta al centro dell’attuale mor-

fologia del “lavoro nero”.

Per rendersene conto è sufficiente osservare (tab. 8) l’incidenza degli immigrati in nero

sul totale dei lavoratori in nero “accertati”. Tale incidenza da un valore attorno al 20%

nel biennio 2000-2001 è salita ad un valore attorno al 33% nel 2002 con una crescita

significativa anche nei dati assoluti: da poco più di 3.000 lavoratori immigrati in nero

“scoperti” nel 2000 e nel 2001 si è passati a poco meno di 5.000 nel 2002.32

31. Non si finirà mai di provare stupore per i tempi biblici con cui il legislatore è intervenuto per abolire i divieti di cumulo pensione/lavoro dipendente: misura che pur trovava da tempo quasi tutte le parti sociali sostanzialmente concordi sulla necessità di superarla.

32. Dati riferiti agli accertamenti condotti dalle Direzioni del lavoro e dall’Inps.

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Ciò risulta coerente con il fatto che, facendo riferimento alle diverse tipologie di lavoro

irregolare stimate dall’Istat, negli anni ’90 in Italia la crescita del sommerso è ascrivi-

bile essenzialmente, oltre che al doppio lavoro (posizioni plurime), agli stranieri, i quali

risultano rappresentare - secondo le stime più recenti - circa un sesto (15-17%) del

totale del lavoro irregolare, mentre il loro peso può essere valutato, per i medesimi

anni, attorno al 3-4% del lavoro regolare.

Tab. 8 - Lavoratori extracomunitari irregolari: incidenza sul totale dei lavoratori in nero

accertati nelle visite ispettive. Province del Veneto. Anni 2000-2002

Totale

Extracomunitari quota % extracomunitari

2000 Belluno 360 113 31,4% Padova 1.985 555 28,0% Rovigo 516 96 18,6% Treviso 2.097 962 45,9% Venezia 2.410 166 6,9% Verona 3.441 440 12,8% Vicenza 3.068 773 25,2% VENETO 13.877 3.105 22,4% 2001 Belluno 588 53 9,0% Padova 2.307 432 18,7% Rovigo 1.096 125 11,4% Treviso 1.964 710 36,2% Venezia 3.626 667 18,4% Verona 3.227 522 16,2% Vicenza 2.462 591 24,0% VENETO 15.270 3.100 20,3% 2002 Belluno 314 36 11,5% Padova 2.814 1.473 52,3% Rovigo 834 212 25,4% Treviso 1.758 586 33,3% Venezia 2.841 714 25,1% Verona 3.304 911 27,6% Vicenza 2.147 691 32,2% VENETO 14.012 4.623 33,0%

Fonte: ns. elab. su dati Direzione regionale del Ministero del lavoro e Inps

La domanda di (o la disponibilità ad utilizzare) lavoro nero trova nell’abbondante of-

ferta di lavoro immigrata, regolarmente e non, “materia prima” importante.

Nel cap. 7 è ricostruito, sotto il profilo statistico, lo status quaestionis circa il nesso tra

lavoratori immigrati e lavoro nero. In particolare viene documentato il gap esistente nei

dati sui permessi di soggiorno attivati (che danno accesso al lavoro in Italia) e sulle po-

sizioni di lavoro regolari risultanti negli archivi Inps. Tale gap - il cui livello richiede

tuttora ulteriori accertamenti statistici per rimuovere imprecisioni e incertezze nei dati

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finora disponibili - è interpretabile come “segnale” quanto meno di un bacino consi-

stente di lavoratori immigrati con regolare permesso di lavoro ma a forte “rischio” di

impiego nell’economia sommersa. Ciò risulta comprovato dall’evidenza che, tra i lavo-

ratori extracomunitari in nero accertati nel corso delle visite ispettive condotte dalle

Direzioni provinciali del lavoro, oltre due terzi sia nel 2001 che nel 2002 risultavano

regolarmente presenti in Italia.

Per quanto riguarda il lavoro nero degli immigrati irregolarmente presenti, informa-

zioni eloquenti sono desumibili dalle varie sanatorie realizzate negli ultimi anni e da

quella in corso. A seguito della sanatoria 1998 in Veneto sono stati regolarizzati oltre

15.000 extracomunitari, mentre le domande presentate, sempre in Veneto,

nell’autunno del 2002 per quella tuttora in corso sono state oltre 60.000 (di cui

25.000 presentate per lavoro di assistenza ad anziani o di aiuto domestico). Si tratta di

cifre assai consistenti e che, per di più, non sembrano aver “assorbito” integralmente

tutto il lavoro irregolare presente. Né si può dire che ancora l’Italia si sia dotata di una

politica dei flussi la cui tempestività, continuità, fluidità e trasparenza33 siano tali da

rendere inutile per il futuro il ricorso a nuove sanatorie.34

Particolarmente su questo tema, gli aspetti statistici necessitano di essere integrati

con indagini qualitative ad hoc (più approfondite che estese). Il cap. 8 riferisce su una

ricerca, svolta in un’area del trevigiano ad elevata pressione migratoria, finalizzata a

raccogliere indicazioni sul vissuto degli immigrati extracomunitari in rapporto al la-

voro e, in particolare, alla sua connotazione di regolarità o meno.35

L’indagine documenta che:

a. questa “tematica” è ben presente e conosciuta dai soggetti immigrati (che, a dif-

ferenza di quanto talvolta si sostiene, sembrano afferrare precisamente la distin-

zione e la differenza di condizione tra lavoro regolare e irregolare); è infatti espe-

33. È sufficiente pensare, in materia di bassa trasparenza, al ruolo che i visti turistici, rilasciati a per-sone soprattutto dei Paesi dell’Est Europeo, hanno assunto come canali per l’incontro tra la do-manda e l’offerta di lavoro. Secondo i dati del Ministero degli Esteri, nel 2001 sono stati rilasciati 950.000 visti di ingresso, di cui 435.000 per turismo, 144.000 per affari, 80.000 per lavoro (subordi-nato e autonomo), 65.000 per ricongiungimento familiare. Circa 450.000 visti sono stati rilasciati a Paesi dell’Est europeo (incluse Russia e Turchia), 30.000 a Paesi dell’America Latina, 300.000 a Pa-esi africani ed asiatici a basso livello di sviluppo.

34. Come hanno fatto rilevare molti rappresentanti delle parti sociali, la politica dei flussi non può consi-stere in una serie continua di stop and go legati più ai tempi della politica che alle necessità delle im-prese. Ciò determina fatalmente incertezze e appesantimenti che sono il terreno fertile su cui spun-tano e trovano ragione scelte di ricorso a modalità irregolari di reperimento della manodopera.

35. Va tenuto conto che sul tema specifico del sommerso non è facile far parlare gli stessi extracomuni-tari, spesso straordinariamente consapevoli della “delicatezza” delle loro (eventuali) affermazioni in proposito.

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rienza assai comune (25 su 30 intervistati sono “passati” per il lavoro nero),

spesso necessaria (senza alternative) nella fase di ingresso in Italia e nel suo

mercato del lavoro e subita e percepita come una condizione oltremodo svan-

taggiosa;

b. le modalità delle pratiche illegali sono assai varie e numerose, diversamente artico-

late per settori, per mansioni e in relazione al progetto migratorio (se di lungo o

breve periodo);

c. le prassi degli immigrati, il loro modo di stare sul mercato del lavoro regionale,

puntano generalmente a ottenere la regolarità complessiva della posizione (sia per

il soggiorno che per il lavoro), tendendo ad adeguarsi velocemente con le prassi di

sommerso tipiche anche dei residenti (disponibilità al doppio lavoro irregolare, a

straordinari fuori busta etc.), perdendo le connotazioni più strettamente legate alla

nazionalità di origine;

d. è segnalato qualche caso vissuto (controintuitivamente) come una sorta di

discriminazione a rovescio: è il caso della fabbrica che rifiuta gli straordinari in

nero agli stranieri consentendoli invece alla manodopera locale.

Infine, nella parte quarta, la problematica del nesso tra lavoro degli immigrati e

lavoro nero è arricchita con la testimonianza professionale dell’avv. Marco Paggi,

vicepresidente dell’Asgi (Associazione studi giuridici immigrazione) (cap. 9).

Sulla base della sua lunga esperienza legale, l’A. ricostruisce e classifica le diverse ti-

pologie e le diverse situazioni in cui il lavoratore immigrato può/deve incrociare il la-

voro irregolare, in una condizione di disparità di potere contrattuale rispetto ai soggetti

economici locali. Ciò peraltro accade sovente anche a causa di sfasature procedurali e

di normative inadeguate ai processi reali in corso. La documentata rassegna delle si-

tuazioni possibili mette in risalto quanto il tema “immigrazione” risente (negativa-

mente) del fatto di essere divenuto politicamente fin troppo rilevante: infatti ciò rap-

presenta un ostacolo - o quanto meno una seria complicazione - per una razionale ge-

stione amministrativa che sappia essere adeguata alle esigenze dei vari soggetti inte-

ressati (famiglie, immigrati, imprese).

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1.5 Un bilancio conclusivo e indicazioni di prospettiva

Non ci sembra di maniera sintetizzare la ricognizione svolta sostenendo a proposito del

sommerso - che si conferma fenomeno sociale allo stesso tempo vasto e sfuggente - la

compresenza, in questa fase, di “luci” ed “ombre”.

Luci: derivanti dalle evidenze statistiche che hanno segnalato negli ultimi anni ’90 al-

meno una stabilizzazione della quota del sommerso, dall’incisività accresciuta di al-

cuni strumenti di controllo e dalla loro potenzialità crescente (informatizzazione della

P.A., studi di settore), dalla consapevolezza sempre più diffusa, anche tra gli operatori

economici, dell’ineluttabilità non solo di una generica “modernizzazione” (con conse-

guente rinuncia a pratiche troppo informali…) ma proprio di una maggior visibilità

delle strutture di impresa al fine di consentirne la crescita stessa e la partecipazione ai

mercati globali.

Ombre: perché ci sono diversi motivi strutturali per temere un “allargamento” del som-

merso, a partire dal rilievo crescente dell’economia immateriale e delle forme di im-

presa “virtuali”, scarsamente legate alla “fisicità” di una struttura di produzione. E a

questo sfondo strutturale si possono legare alcune domande di stretta attualità: il decli-

no italiano, vale a dire i rischi che si intravedono per la competitività del sistema Paese

non più ricostruibile con la svalutazione, renderà il sommerso nuovamente “attraente”?

l’influsso combinato di globalizzazione dei mercati e migrazioni dei lavoratori è destinato

a rafforzare le “occasioni” di sommerso? la diffusa “presa di coscienza” che il sommerso

non è utile alla società è proprio irreversibile o sta per essere di nuovo sopravanzata da

fin troppo ragionevoli speranze in una nuova fase di assicurata impunità?

Per non illudersi serve, di certo, la consapevolezza che il vizio non può essere abolito:

ma è altrettanto importante - come già Mandeville all’inizio del ‘700 illustrava - assicu-

rarsi che esso sia contemperato, limitato, costretto a dissimularsi, impossibilitato a

proporsi come veicolo di successo sociale. Non può candidarsi ad essere imitato, non

può pretendere la visibilità. Per questo lo sforzo di misurazione è importante, così

come è importante documentare i progressi nella regolarità (rafforzare la fiducia nelle

istituzioni), insistere nella semplificazione delle procedure e nella riduzione del peso fi-

scale e burocratico (ridurre le tentazioni), agevolare chi si impegna ad emergere (per-

donare i pentiti), mantenere incisivi e modernizzare i controlli (punire i recidivi e dare

ampio risalto alle azioni con valore di deterrenza), varare e dare la giusta priorità alle

politiche avvertite come importanti per arginare l’inclinazione, se non l’abitudine, al

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sommerso. C’è una sorta di path dependance nei comportamenti irregolari che va

contrastata e spezzata con un mix di politiche ri-regolative e repressive.

Compito della ricerca deve essere quello di accompagnare questi processi di contrasto.

Più specificamente gli sviluppi che, a tal riguardo, si possono profilare sono i seguenti:

sotto il profilo delle misure:

affinamento e aggiornamento delle conoscenze, basate su dati amministrativi,

in merito alla dinamica dell’occupazione regolare;

estensione di indagini sul campo per saggiare l’effettivo “tasso di occupazione”

(con i vari “metodi” indiretti illustrati in Di Nardo, Caldarelli, Izzo, 2000);

organizzazione completa, comparabile e aggiornata, delle statistiche sull’attivi-

tà di repressione;

sotto il profilo delle politiche:

monitoraggio dei risultati conseguiti anche dalle politiche indirettamente in-

fluenti sull’emersione;

monitoraggio della semplificazione delle procedure;

monitoraggio delle azioni svolte per rafforzare la trasparenza.

sotto il profilo degli approfondimenti:

la questione degli immigrati merita di essere tenuta in particolare considera-

zione nei suoi numerosi risvolti;

ma anche al nesso tra beneficiari del Welfare e pratiche di economia sommersa

sarà utile prestare particolare attenzione.

Alla pubblicizzazione di queste ricerche sarà dedicata un’apposita collana di lavori

dell’Osservatorio (“Iceberg”).

La fase di attività dell’Osservatorio successiva alla diffusione e alla discussione di que-

sto “Rapporto di ricognizione” prevede, oltre alla continuazione lungo le linee già indi-

cate delle attività di ricerca e di miglioramento delle statistiche e delle conoscenze di-

sponibili, un indispensabile rafforzamento dei rapporti con le Università venete nonché

con gli operatori economici e sociali e con gli addetti alle attività di contrasto, anche

per completare e affinare le survey resocontate in questo Rapporto.

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PARTE PRIMA:

LE MISURE

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Capitolo 2°

LA DINAMICA REGIONALE DELL’OCCUPAZIONE REGOLARE E IRREGOLARE:

UN CONFRONTO TRA DATI INPS E ISTAT (CONTABILITÀ NAZIONALE E RTFL )

2.1 Premessa

Si considera come occupazione regolare quella per la quale le imprese non si sottrag-

gono, in tutto o in parte, agli adempimenti previsti dalla legge, siano essi di tipo am-

ministrativo (comunicazioni obbligatorie), o fiscale o contributivo.

Già a partire da questa definizione si può evidenziare come sia difficile cogliere il con-

fine fra occupazione regolare e occupazione irregolare. Fra gli occupati in imprese che

si sottraggono alla visibilità sotto tutti gli aspetti sopra evidenziati e gli occupati as-

sunti con contratto regolare ma con parte delle prestazioni non registrate, o quelli che

svolgono ore di lavoro non retribuite nell’impresa familiare, esiste una sfumatura di

forme intermedie, con visibilità più o meno manifesta, costituenti un’area ‘grigia’, dal

confine non ben definibile e mutevole nel tempo, in funzione della situazione congiun-

turale del sistema economico e delle nuove opportunità di riduzione degli oneri contri-

butivi consentite dall’evoluzione della normativa in materia di mercato del lavoro.

In base alla classificazione dell’ Istat, in accordo con le definizioni del System of Natio-

nal Account (Sna, 1993), possiamo distinguere tre livelli di “economia non [diretta-

mente] osservata” (ENO):

(1) illegale (2) sommerso (3) informale.

Diamo per acquisite le differenze esistenti fra questi tre comparti.1

L’occupazione in attività illegali (proibite dalla legge o svolte da persone non autoriz-

zate) non rientra nel campo di osservazione dell’economia regolare (nei Paesi dell’Unio-

ne europea essa non viene nemmeno inclusa nel campo di rilevazione del PIL).

1. Per la classificazione adottata dall’Istat si veda in particolare Calzaroni, 2000.

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L’occupazione nell’economia informale (generalmente legata a prestazioni elementari di

singoli, che si esplicano al di sotto di una pur minima soglia organizzativa, per lo più

basate sull’occupazione occasionale, o relazioni di parentela, senza contratto formale)

è di più incerta collocazione ma, nella maggior parte dei casi, di difficile rilevazione, in

quanto spesso non esistono norme che richiedono alcun tipo di registrazione.

All’interno dell’economia sommersa occorre distinguere tra ‘sommerso economico’ e

‘sommerso statistico’. Fino alla metà degli anni ’90 nelle stime di contabilità nazionale

(CN) dell’Istat non si riusciva a distinguere il sommerso economico dal sommerso sta-

tistico, perché anche quest’ultimo veniva imputato all’occupazione irregolare. Nella più

recente revisione delle stime di contabilità nazionale e territoriale l’affinamento della

metodologia e la possibilità di abbinamento a livello di dato elementare fra i più im-

portanti archivi statistici e amministrativi hanno consentito di stimare separatamente

le due componenti, attribuendo anche il sommerso statistico all’economia regolare e

considerando come irregolare solo il sommerso economico.

Anche una volta definita l’economia regolare, il campo di osservazione degli occupati

regolari è difficile da circoscrivere in modo netto.

Attraverso gli archivi amministrativi è possibile identificare le imprese e le istituzioni

regolarmente iscritte, considerando come regolare l’occupazione dichiarata in termini

di posizioni lavorative e di giornate e ore lavorate in un determinato lasso di tempo. Ma

anche per l’occupazione dichiarata c’è la possibilità di evadere parzialmente gli obbli-

ghi contributivi e fiscali. Esiste inoltre una miriade di imprese di piccolissime dimen-

sioni che, pur non nascondendosi, non sono visibili alla maggior parte delle fonti am-

ministrative.

Come fra le aziende è possibile tracciare una graduatoria dell’irregolarità in base al ti-

po di adempimento occultato, così nell’ambito del mercato del lavoro esiste una differen-

ziazione che va dal lavoro regolare sotto tutti gli aspetti, dichiarato da un’impresa rego-

lare, a tipologie differenziate di lavoro ‘grigio’, che si sottrae solo parzialmente agli ob-

blighi contributivi fino al ‘nero totale’ di lavoro non dichiarato in imprese non regolari.

Negli anni recenti la quota di assunzioni con contratto tradizionale a tempo indetermi-

nato e a tempo pieno si è andata sempre più restringendo a fronte dell’espansione di

nuove tipologie contrattuali che consentono maggior flessibilità e risparmio per le im-

prese sui costi del lavoro. Molte delle nuove o vecchie forme contrattuali (collabora-

zioni coordinate, apprendistato, ecc.), utilizzate in modo improprio rispetto ai loro

scopi dichiarati, si collocano ai limiti esterni dell’economia regolare.

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Inoltre via via che si espande l’area delle assunzioni a tempo determinato e il part-

time, ragionare solo in termini di ‘occupati’ (dal lato offerta) e ‘posizioni lavorative’ (dal

lato domanda) non consente di valutare l’effettiva intensità del lavoro regolare utiliz-

zato nel sistema economico. Molte delle posizioni lavorative rilevabili attraverso stati-

stiche derivate da fonti amministrative sono in realtà secondi lavori, spesso di durata

limitata. Per altro verso un posto di lavoro può essere occupato da più lavoratori in

tempi diversi nell'ambito dell’intervallo considerato. Per questo negli studi finalizzati

alla stima dei conti economici è stato introdotto il concetto di ‘equivalenza a tempo

pieno’ valutando l’input di lavoro in termini di unità di lavoro (ULA).2 Utilizzeremo an-

che noi più avanti questo concetto, fatto proprio dall’Istat nelle stime di contabilità

nazionale.

2.2 Le fonti informative utilizzabili per la stima diretta dell’occupazione

regolare a livello regionale

In questo lavoro prenderemo in considerazione le fonti che consentono una stima per

via diretta dell’occupazione regolare a livello regionale.

Nell’approccio degli economisti italiani si ritiene che le fonti disponibili dal lato della

domanda di lavoro (imprese e istituzioni) siano quelle più idonee ad evidenziare

l’occupazione regolare, mentre le fonti che riportano informazioni raccolte presso le

famiglie dovrebbero consentire di evidenziare anche fasce di occupazione non dichia-

rata dalle imprese.

In realtà anche le famiglie sono spesso reticenti a far dichiarazioni su temi che hanno

a che fare con il fisco, anche se si tratta di interviste a fini statistici3. Non sempre,

inoltre, il membro intervistato (in genere un parente che è a casa perché non lavora,

2. Per la definizione di unità di lavoro (Ula), vedi Calzaroni, 2000. 3. Da una verifica effettuata sui dati individuali dell’indagine trimestrale Istat sulle forze di lavoro (Rtfl)

emerge che nel Veneto le persone che dichiarano di non essere occupate (in quanto studenti o casa-linghe o pensionati o disoccupati), ma che ad una domanda successiva rispondono di aver effettuato almeno un’ora di lavoro nella settimana antecedente l’intervista, sono 26.600, pari all’1,5% (1,4% i maschi). Questa quota è notevolmente superiore a quella riscontrata in Lombardia (0,9%). Una seconda verifica interessante concerne i doppi lavori. In Italia l’Istat stima che il 29% degli oc-cupati abbia una seconda posizione lavorativa. Nel Veneto il fenomeno dovrebbe essere ancora più accentuato. Eppure gli occupati intervistati nell’ambito di Rtfl dichiarano solo nell’1,7% dei casi di svolgere un’altra attività, oltre a quella principale (in tutto si tratta appena di 29.700 individui, di cui 7.400 di sesso femminile). La quota di chi dichiara di avere un secondo lavoro indipendente è appena dell’1,6%. In meno della metà dei casi (0,7% degli occupati) si tratta di un’attività stagiona-

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spesso anziano) è informato correttamente circa la natura reale del rapporto di lavoro

del soggetto cui si riferiscono le informazioni. Inoltre le indagini sulle famiglie non col-

gono l’occupazione dei non residenti, in particolare degli extracomunitari senza per-

messo di soggiorno.

Dal lato imprese, con l’informatizzazione dei più importanti archivi amministrativi,

sono stati fatti molti progressi negli anni recenti per una quantificazione esaustiva

dell’occupazione non occultata volontariamente. Tuttavia continuano ad esserci seg-

menti considerevoli (piccolissime imprese, imprese senza una sede fisica specifica,

collaborazioni occasionali senza partita Iva, ambulanti, ecc.) che non appaiono in al-

cun archivio amministrativo e sfuggono ad ogni tipo di rilevazione statistica.

L’uso di fonti amministrative presenta del resto una serie specifica di problemi:

disallineamento temporale o disponibilità irregolare nel tempo;

diverso campo di osservazione: ciò è di rilievo soprattutto a livello infranazionale.

L’indagine dell’Istat sulle forze di lavoro (d’ora in poi Rtfl) rileva solo le famiglie re-

sidenti nella regione; il censimento della popolazione solo le famiglie residenti più i

componenti delle convivenze;4 il censimento dell’industria e servizi solo gli occu-

pati in unità locali con sede nella regione; l’archivio imprese dell’Inps solo i

lavoratori dipendenti registrati in imprese contribuenti in regione; gli archivi dei

centri per l’impiego (Netlabor) solo i lavoratori dipendenti che hanno avuto almeno

un’assunzione o cessazione o trasformazione del rapporto di lavoro negli ultimi

anni;

errori di registrazione. Per effetto di errori nella registrazione del codice fiscale o

della partita Iva sono frequenti le duplicazioni di imprese e/o lavoratori anche

all’interno di uno stesso archivio;

ritardi nell’aggiornamento dei dati. Poiché sono soprattutto le cessazioni a subire ri-

tardi nella registrazione, lo stock presente a date recenti risulta spesso sovrastimato;

sovrapposizioni nella copertura, con rischio di contare due volte lo stesso soggetto,

presente contemporaneamente in più archivi amministrativi con diverso campo di

osservazione (il caso più evidente è quello degli occupati che esercitano come se-

condo lavoro una collaborazione occasionale o continuata);

le o occasionale. A titolo di confronto, le percentuali corrispondenti calcolate per la Lombardia so-no 0,79% e 0,36%.

4. Nel censimento della popolazione e delle abitazioni del 2001 sono state rilevate informazioni anche sulle persone temporaneamente presenti, inclusi gli extracomunitari. Ma i risultati definitivi non so-no ancora stati resi noti dall’Istat.

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diversa attribuzione di attività economica o tipologia di rapporto per uno stesso la-

voro in fonti diverse; oppure utilizzazione di sistemi di classificazione difficilmente

comparabili fra loro;

copertura parziale.

Per evitare duplicazioni, con conseguente sovrastima dello stock, è spesso necessario

poter effettuare abbinamenti a livello di dato elementare. Ma a livello regionale la di-

sponibilità di fonti amministrative è limitata e non consente di arrivare ad una stima

esaustiva. Alcune fonti, come ad esempio gli archivi del Ministero delle Finanze, dai

quali è possibile ricavare informazioni sulle imprese di più piccole dimensioni e non

localizzate, sono disponibili solo a livello nazionale. Altre (Inps, Unioncamere) forni-

scono a livello regionale solo dati aggregati e non consentono di fare abbinamenti fra

dati individuali. Per altro verso, esistono fonti, quale ad esempio quella degli archivi

dei centri per l’impiego che sono informatizzate e valorizzate solo in alcune regioni, in

particolare nel Veneto. In ogni caso a livello regionale, utilizzando solo fonti ammini-

strative, non è possibile ricostruire il quadro dell’occupazione regolare nella sua inte-

rezza, ma solo per segmenti.

2.3 Le fonti disponibili per il Veneto

Le principali fonti amministrative esaminate per il Veneto, oltre a quelle statistiche, sono:

Centri per l’Impiego, archivi amministrativi Netlabor (dati elementari per lavoratori

e imprese);

Inps (elaborazioni specifiche effettuate dall’Inps con risultati aggregati a livello

regionale o provinciale);

Cerved-Infocamere, Registro delle imprese (dati elementari per impresa e unità lo-

cale, serie storica annuale 1992 - 2000);

Unioncamere, Archivio statistico delle imprese (abbinamento fra più fonti ammini-

strative; dati aggregati a livello di comune, dimensione di impresa, categoria di at-

tività economica).

Per valutare la coerenza dei risultati elaborati per singoli segmenti di occupazione a

partire dalle diverse fonti amministrative prese in considerazione, questi verranno via

via confrontati con quelli delle elaborazioni effettuate sui dati elementari Rtfl nello

stesso periodo, a parità di campo di osservazione e di classificazione delle branche di

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attività, in modo da attutire le differenze dovute al diverso campo di copertura di cia-

scuna fonte.

Nella maggior parte dei casi le fonti disponibili consentono di valutare l’entità

dell’occupazione solo in termini di occupati (numero individui che hanno effettuato

almeno un giorno o un’ora di lavoro in un determinato intervallo temporale oppure

stock di lavoratori occupati ad una determinata data) o di posizioni lavorative (con-

tratti espliciti o impliciti fra singoli individui e un’autorità istituzionale) e non permet-

tono di valutare la quantità di occupazione anche in termini di giorni e ore lavorate,

che costituiscono l’input di lavoro immesso effettivamente nell’economia.

Infine, al paragrafo 2.3.3, faremo riferimento alle stime effettuate dall’Istat per la co-

struzione della contabilità nazionale, a partire dall’abbinamento tra una pluralità di

fonti statistiche e amministrative (molte delle quali disponibili solo a livello nazionale).

La stima a livello regionale dell’occupazione e delle unità di lavoro, articolate in rego-

lari e irregolari, fornisce un quadro un quadro di valutazione complessiva della coe-

renza fra i risultati ottenuti a partire da ciascuna delle fonti prese in considerazione.

2.3.1 Le fonti statistiche

Le uniche fonti che forniscono un quadro esaustivo dell’occupazione nella regione

sono quelle statistiche:

dal lato delle imprese e istituzioni (posti di lavoro): il censimento dell’industria e

dei servizi (CIS) insieme al censimento dell’agricoltura (CA), effettuati dall’Istat con

cadenza decennale5, con ultima rilevazione rispettivamente nel 2001 e nel 2000;6

dal lato delle famiglie (occupati secondo il luogo di residenza e/o lavoro): il censi-

mento della popolazione e delle abitazioni (CP), con cadenza decennale (ultima ri-

levazione nel 2001), e la rilevazione trimestrale delle forze di lavoro (Rtfl), effettuata

con cadenza trimestrale su un campione di famiglie residenti.

Dall’unione fra CIS e CA, anche se sfalsati fra loro di un anno, dovrebbe essere teori-

camente possibile ricostruire quasi interamente l’insieme dei posti di lavoro regolari

esistenti in regione alla data di rilevazione, compresi (dal 1991) quelli nelle istituzioni

5. Per le sole imprese è stato effettuato un censimento intermedio nel 1996, con procedura semplificata. 6. Per le sole imprese con più di 20 addetti l’occupazione viene rilevata anche attraverso le rilevazioni

annuali su fatturato e prodotto lordo delle imprese extragricole.

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pubbliche e private, con la sola esclusione del segmento dei professionisti. C’è però

una certa quota di imprese, per lo più di piccole dimensioni e/o senza sede territoriale,

che sfugge alla rilevazione.

A tutt’oggi, però, dell’ultima tornata censuaria solo per il CA sono stati elaborati e

pubblicati i dati definitivi. Del CIS l’Istat ha reso pubblici solo alcuni dati provvisori a

livello aggregato. E per quanto riguarda il CP non sono ancora stati elaborati dati

sull’occupazione.

Tab. 1 - Confronto fra occupati secondo il CIS (1991 e 2001) e occupati rilevati da Rtfl nel mese di ottobre. Veneto e Italia

CIS 1991

RTFL ott. 92

% CIS/RTFL

CIS 2001

RTFL ott. 01

% CIS/RTFL

VENETO agricoltura 105.752 87.525 industria 805.233 791.060 101,8 774.803 800.456 96,8 commercio 285.944 286.712 99,7 310.064 292.934 105,8 totale servizi pubblici e privati 599.234 557.124 107,6 753.722 663.600 113,6 totale extra-agricoli 1.690.411 1.634.896 103,4 1.838.589 1.756.990 104,6 TOTALE OCCUPATI 1.806.178 1.980.346 ITALIA agricoltura 1.149.352 industria 6.857.894 6.197.002 6.884.715 90,0 commercio 3.304.838 3.334.026 3.455.295 96,5 totale servizi pubblici e privati 7.813.689 9.242.796 10.209.037 90,5 totale extra-agricoli 17.976.421 18.773.824 20.549.047 91,4 TOTALE OCCUPATI 21.698.399

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat

In tab. 1 i dati aggregati dei CIS del 1991 e del 2001 vengono messi a confronto con

quelli dell’indagine Rtfl effettuata nel mese di ottobre (corrispondente al mese di effet-

tuazione dei censimenti) rispettivamente del 1992 (data di inizio della nuova serie revi-

sionata) e del 2001.

La differenza fra le quantità rilevate dalle due fonti (CIS-Rtfl) è l’effetto composto di fe-

nomeni di segno opposto:

l’esclusione dei non residenti da Rtfl (segno positivo)

il sommerso statistico dovuto a unità locali non osservate dal CIS (segno negativo)

una quota di lavoro irregolare non extracomunitario dichiarato dalle famiglie e non

dalle imprese (segno negativo)

il fatto che a un occupato dichiarato dalle famiglie possa corrispondere più di un

posto di lavoro dichiarato dalle imprese (part-time, doppio lavoro regolare, doppio

lavoro irregolare, tutti con segno positivo).

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In Italia al 2001 il saldo fra questi fenomeni è sempre negativo, con un numero di po-

sti di lavoro dichiarati dalle imprese inferiore del 10% circa a quello del numero di oc-

cupati dichiarati dalle famiglie nell’industria e nei servizi, con una differenza del 4%

nel commercio.

Nel Veneto, invece, i posti di lavoro rilevati presso le imprese e le istituzioni localizzate

nella regione sono superiori del 4,6% rispetto al numero di occupati dichiarati dalle

famiglie residenti nel Veneto. In valore assoluto il saldo è di 81.599 unità, valore di

poco superiore a quello dell’occupazione regolare extracomunitaria nella regione a fine

2001 (pari a circa 75.000 unità, secondo le stime di Veneto Lavoro,7 di cui, però, circa

un terzo già computate anche da Rtfl come residenti nel Veneto)8. Quasi tutta la diffe-

renza è dunque spiegabile, come ammontare netto, in base al diverso campo di rileva-

zione. Quello che non appare è l’effetto compensativo fra doppie posizioni lavorative e

lavoro sommerso (sommerso statistico + lavoro locale irregolare dichiarato solo dal lato

famiglie). L’incidenza delle posizioni plurime (segno positivo) appare maggiore nei ser-

vizi, rispetto all’industria. Nel Veneto al 2001 questo fenomeno sembrerebbe più pro-

nunciato.

Per il settore primario è più difficile elaborare stime confrontabili, in quanto la mano-

dopera aziendale dichiarata nel censimento dell’agricoltura comprende, insieme ai la-

voratori a tempo pieno, un numero consistente di conduttori e componenti familiari

che prestano la loro attività in azienda in modo informale o a part-time, con impiego

assai limitato del loro tempo lavorativo. Mediamente i lavoratori indipendenti lavorano

solo 93 giornate l’anno, i dipendenti 42 giornate, con un minimo di 31 per quelli a

tempo determinato.

Il confine fra occupazione regolare e irregolare è più sfumato che altrove: l’Istat nelle

stime di contabilità regionale considera regolari gli occupati con più di 180 giornate

lavorative, ma i dati pubblicati per il Veneto non sono disaggregati per classi di gior-

nate e non consentono di effettuare questo calcolo.

Per avere dati confrontabili con quelli dichiarati dalle famiglie, abbiamo calcolato il

numero di occupati che risulterebbe se le medesime giornate di lavoro fossero state

effettuate da lavoratori a tempo pieno che lavorassero il numero minimo di ore previste

7. Anastasia, Gambuzza, Rasera, 2001. 8. Dalle elaborazioni fatte sui dati Rtfl, gli occupati in Veneto risultano ripartiti per cittadinanza come

indicato in tab. 20.

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dal rispettivo contratto (questo concetto coincide con quello di ULA adottato nelle

stime di contabilità nazionale: vedi definizione più avanti).

Complessivamente nel Veneto l’occupazione equivalente stimata è di 86.946 lavoratori

indipendenti e 5.431 lavoratori dipendenti.

Tab. 2 - Occupazione agricola nel Veneto secondo i risultati del censimento dell’agricoltura 2000

manodopera dichiarata

n. lavoratori

giornate

n. medio giorni/ lavoratore

n. ULA (calcolato)

conduttori e familiari 165.042 14.836.757 90 52.988 familiari che lavorano in azienda 96.591 9.508.000 98 33.957 TOT. INDIPENDENTI 261.633 24.344.757 93 86.946 dirigenti e impiegati t. indet. 2.180 71.173 33 324 t. det. 2.437 86.827 36 395 operai t. indet. 4.190 413.869 99 1.881 t. det. 19.928 622.973 31 2.832 TOT. DIPENDENTI 28.735 1.194.842 42 5.431

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat, censimento agricoltura 2000

2.3.2 Le fonti amministrative

2.3.2.1 Il Registro delle imprese

A partire dal 1992 la Regione acquisisce annualmente da Infocamere i dati elementari

a livello di unità locale provenienti dai Registri delle Ditte delle Camere di Commercio,

informatizzati a cura del Cerved. Il campo di osservazione di questi archivi nella prima

metà degli anni ’90 era quasi uguale a quello degli archivi Netlabor dei Centri per

l’impiego. A partire dal mese di febbraio 1996, con l’istituzione del Registro delle Im-

prese, la fascia di soggetti tenuti all’iscrizione obbligatoria si è allargata, compren-

dendo anche le imprese agricole. Da elaborazioni effettuate in passato per il Veneto,

quando questa fonte era l’unica disponibile annualmente ad un livello territoriale e

settoriale sufficientemente dettagliato, risulta che il numero di addetti dichiarati dalle

imprese è sottostimato di circa il 10%. Nell’occupazione complessiva a fine anno non

sono compresi gli addetti in imprese nate nel corso dell’anno (non ancora tenute all’ob-

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bligo di dichiarazione), gli addetti in imprese aperte solo nella stagione estiva e una quo-

ta di titolari che non hanno incluso la propria persona nel numero degli addetti.9

Poiché la dichiarazione degli addetti non è più richiesta a partire dal 2002, questa

fonte ha perso l’importanza che aveva in passato e perciò non viene presa in conside-

razione in questo contributo.

2.3.2.2 L’Archivio Statistico delle Imprese, realizzato da Unioncamere

A partire dal 1997, per poter disporre di un archivio aggiornato anche sotto il profilo

occupazionale cui fare riferimento per le proprie indagini, Unioncamere ha realizzato

un archivio statistico aggiornato per integrazione delle informazioni amministrative,

anagrafiche ed economiche del Registro Imprese e del REA con i dati contenuti negli

archivi delle imprese dell’Inps e dell’Inail.10 Esso costituisce dunque una fonte ideale

per l’analisi del lavoro regolare. L’archivio è stato successivamente aggiornato con ca-

denza annuale fino al 2000 e costituisce l’universo di riferimento per il Sistema infor-

mativo Excelsior.

Il campo di osservazione si estende a tutti i lavoratori dipendenti e indipendenti delle

imprese del settore privato. La fascia corrispondente di occupati residenti nel Veneto,

misurata attraverso le indagini Rtfl, è pari all’87% degli occupati in complesso. Per gli

occupati indipendenti la copertura è quasi totale, mentre è pari all’82,1% per i dipen-

denti (sono esclusi tutti gli addetti del settore pubblico allargato). Si tratta, dunque di

una fonte di notevole interesse per un’analisi della struttura dell’occupazione regolare

nel Veneto (intendendo per regolare l’occupazione registrata).

Le elaborazioni che seguono sono state fatte sui dati dell’archivio statistico datato

31/12/1998, acquisiti da Veneto Lavoro a livello di comune, di singola categoria di at-

9. Per una valutazione della qualità dei dati nel Veneto si rinvia a de Angelini, 1996. 10. L’Archivio Statistico delle Imprese di Unioncamere è di fatto costruito per integrazione delle stesse

fonti attraverso le quali è realizzato ‘ASIA’, l’archivio dell’Istat in base al quale vengono aggiornate anche le stime di contabilità nazionale (v. oltre). Nell’industria i totali per branca delle posizioni lavorative registrate attraverso tale fonte sono vicini a quelli stimati da CN per l’occupazione regolare. In alcune branche (estrazione di minerali, industrie tessili e dell’abbigliamento, industrie alimentari), c’è coincidenza perfetta. Per il settore nel suo complesso, a fronte di 4.302.000 addetti a fine anno registrati da Unioncamere nel 1998, l’Istat stima 4.202.000 posizioni di lavoro regolari (la differenza è appena del 2%). Per i servizi di trasporto, telecomunicazioni-informatica, credito, attività immobiliari, studi professionali e altri servizi alle imprese il totale complessivo delle posizioni regolari differisce solo dell’1,5%; vi sono però grandi differenze per singola branca, dovute probabilmente ad una diversa classificazione delle singole attività Lo stesso fenomeno si verifica fra commercio-riparazioni e settore alberghiero.

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tività economica e di classe dimensionale, con informazioni sul totale degli addetti

nelle unità locali localizzate nel Veneto e sul numero di addetti dipendenti.

A parità di campo di osservazione il numero di occupati in unità locali localizzate nel

Veneto (comprendente i non residenti) risultante dai dati amministrativi risulta supe-

riore del 4,2% a quello degli occupati residenti dichiarati dalle famiglie secondo la Rtfl

effettuata nello stesso trimestre del 1998 (tab. 3). Sono i lavoratori indipendenti quelli

per i quali il distacco è maggiore (11,4% in più), mentre per i dipendenti esso si riduce

allo 0,5%. L’elaborazione che segue consente di approfondire il confronto a livello di

branca di attività e tipo di occupazione.

Tab. 3 - Confronto a parità di campo settoriale di osservazione fra l’Archivio statistico delle imprese di Unioncamere e Rtfl. Addetti in complesso, dipendenti e indipendenti per branca di attività. Veneto

Unioncamere Istat-Rtfl Archivio statistico 31/12/98 Rilevazione ottobre 1998 Totale Dip. Indip. Totale Dip. Indip.

Agricoltura, caccia e silvicoltura 147.436 14.927 132.509 76.279 17.101 59.178 Pesca, piscicoltura e servizi connessi 6.359 4.155 2.204 4.703 3.271 1.432 Estrazione di minerali 2.525 2.023 502 3.435 3.240 195 Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco 48.354 37.827 10.527 42.225 32.781 9.444 Industrie tessili e dell abbigliamento 103.352 89.285 14.067 97.353 84.018 13.335 Industrie conciarie, fabbr. di prodotti in cuoio, pelli 43.519 37.636 5.883 48.337 39946 8.391 Fabbr. della carta e dei prodotti di carta; stampa 27.950 23.323 4.627 33.151 26.589 6.562 Cokerie, raffinerie, chimiche, farmaceutiche 42.761 39.119 3.642 41.426 36.299 5.127 Fabbr. di prod. della lavorazione di minerali non met. 34.910 29.275 5.635 32.585 27.314 5.271 Produzione di metallo e fabbr. di prodotti in metallo 105.279 86.423 18.856 93.158 80.317 12.841 Fabbr. macchine ed app. elettr. ed ottici; mezzi trasp. 161.796 140.865 20.931 171.890 147.911 23.979 Ind. del legno, della gomma, della plastica e altre varie 96.961 72.413 24.548 96.675 74.574 22.101 Produzione e distribuzione energia elettrica, gas, acqua 21.811 21.623 188 14.268 13.961 307 Costruzioni 137.122 71.695 65.427 128.491 69.806 58.685 Commercio all ingrosso e al dettaglio; riparazioni 291.724 141.459 150.265 287.941 131.269 156.672 Alberghi e ristoranti 81.488 43.477 38.011 86.221 40.657 45.564 Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni 80.952 60.126 20.826 86.905 64.785 22.120 Intermediazione monetaria e finanziaria 48.178 40.047 8.131 50.946 41.917 9.029 Att. immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, altre 105.391 62.471 42.920 109.118 64.626 44.492 Pubblica amministrazione 83.561 83.355 206 Istruzione 6.464 5.089 1.375 84.858 83.135 1.723 Sanità e altri servizi sociali 15.947 14.909 1.038 116.167 97.939 18.228 Altri servizi pubblici, sociali e personali 42.486 23.018 19.468 59.577 35.197 24.380 Servizi domestici presso famiglie e convivenze 53 19 34 11.309 10.558 751 non codificato 1.956 751 1.205

Settori confrontabili: AGRICOLTURA 153.795 19.082 134.713 80.982 20.372 60.610 INDUSTRIA IN SENSO STRETTO 689.218 579.812 109.406 674.503 566.950 107.553 COSTRUZIONI 137.122 71.695 65.427 128.491 69.806 58.685 COMMERCIO-ALBERGHI-RISTORANTI 373.212 184.936 188.276 374.162 171.926 202.236 SERVIZI IMPRESE 234.521 162.644 71.877 246.969 171.328 75.641 SERVIZI FAMIGLIE (escl. P.A., istruzione, sanità, s. dom.) 42.486 23.018 19.468 59.577 35.197 24.380 TOTALE SETTORI CONFRONTABILI 1.630.354 1.041.187 589.167 1.564.684 1.035.579 529.105 TOTALE GENERALE 1.654.774 1.061.955 592.819 1.860.579 1.310.566 550.013

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat e Unioncamere

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La categoria che presenta la massima divergenza è quella dei lavoratori autonomi del

settore primario: le famiglie ne dichiarano solo 61.000, contro i 135.000 risultanti da-

gli archivi amministrativi. È probabile che nella maggior parte dei casi si tratti di atti-

vità agricole esercitate a part-time da lavoratori che dichiarano l’attività principale in

altro settore o di familiari coadiuvanti, che prestano nell’azienda familiare un’attività

del tutto marginale, se non addirittura nulla. I dati relativi ai lavoratori dipendenti

agricoli, invece, sono dello stesso ordine di grandezza in entrambe le fonti.

Tab. 4 - Confronto a parità di campo settoriale di osservazione fra l’Archivio statistico delle imprese di Unioncamere e Istat-Rtfl. Rapporto percentuale fra i dati risultanti dalle due fonti per settore di attività

Addetti Unioncamere/Occupati Rtfl % Totale

Dipendenti Indipendenti

AGRICOLTURA 189,9 93,7 222,3 INDUSTRIA IN SENSO STRETTO 116,6 115,0 124,5 COSTRUZIONI 106,7 102,7 111,5 COMMERCIO-ALBERGHI-RISTORANTI 99,7 107,6 93,1 SERVIZI IMPRESE 95,0 94,9 95,0 SERVIZI FAMIGLIE (escluso P.A., istruzione, sanità, s.domestici) 71,3 65,4 79,9 TOTALI CONFRONTABILI 110,4 107,5 116,0 % settori confrontabili su totale (Rtfl) 84,1 79,0 96,2 % settori confrontabili + altri privati su totale (Rtfl) 87,4 82,1 99,8

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat e Unioncamere

Per l’industria il divario è dell’ordine del 2% sia per i dipendenti che per gli indipen-

denti. Per il settore delle costruzioni è dello stesso ordine di grandezza, ma quasi tutto

dovuto all’occupazione indipendente.

Nelle attività terziarie il rapporto si inverte: l’occupazione registrata è sempre inferiore

a quella dichiarata, con la sola eccezione del lavoro dipendente negli alberghi e pub-

blici esercizi. È probabile che queste differenze sistematiche siano in parte dovute a

un’errata attribuzione della categoria economica da parte delle famiglie.

3.3.2.5 L’occupazione regolare stimata dal Comitato nazionale per l’emersione del

lavoro regolare attraverso l’integrazione di più fonti

I dati per provincia e branca di attività dell’archivio statistico delle imprese realizzato

da unioncamere, hanno costituito il punto di partenza per una stima dell’occupazione

regolare effettuata dal Comitato nazionale per l’emersione del lavoro regolare. Per rico-

struire il quadro completo dell’occupazione regolare in Italia, gli autori della ricerca

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hanno integrato questi dati con le informazioni sui pubblici dipendenti, sui lavoratori

domestici, i collaboratori coordinati e continuativi e i liberi professionisti, attingendo da

altre fonti amministrative. L’integrazione è avvenuta sempre a livello di dati aggregati.

Nel commentare i risultati - cui si rimanda, senza riportarli in questa sede - gli autori

fanno notare che nel 1997, anno per il quale sono state elaborate le stime, gli occupati

da loro contati per sommatoria di archivi amministrativi risultano più numerosi di

quelli stimati dall’Istat per la Contabilità Nazionale (v. oltre), sia a livello nazionale, sia

per le singole regioni. Le differenze, a detta degli autori, sono da attribuire sia alle du-

plicazioni, ineliminabili quando si moltiplicano le fonti amministrative senza che sia

possibile effettuare un riscontro a livello di dato elementare, sia ai diversi intervalli

temporali cui si riferiscono i dati occupazionali le diverse fonti prese in considerazione

(media annua nella contabilità nazionale, stock al 31/12/97 per gli addetti nelle im-

prese e pubblici dipendenti, attivi durante l’anno per i collaboratori coordinati conti-

nuativi, lavoratori domestici e liberi professionisti).

In effetti il risultato del conteggio effettuato è superiore a quello degli occupati regolari

stimati dall’Istat (19.887.387 contro i 18.951.000 occupati di CN), ma inferiore a

quello delle ‘posizioni lavorative’ regolari (v. oltre), che sono 23.734.800, cioè 25% più

degli occupati e 19% più dei posti di lavoro contati dal Comitato.

2.3.2.3 Gli archivi dell’Inps

I problemi derivanti dall’integrazione fra archivi amministrativi gestiti con criteri di-

versi sono inevitabili quando si lavora a livello di dato aggregato.

La disponibilità da parte dell’Inps ad effettuare alcune elaborazioni specifiche finalizzate

alle ricerche in corso nell’ambito dell’Osservatorio sul lavoro irregolare del Veneto, ci ha

consentito di effettuare verifiche puntuali sui dati dei diversi archivi gestiti dall’Ente.

Attraverso tali archivi si riesce a coprire un campo di osservazione pari a quasi l’80%

dell’occupazione in complesso.

Le statistiche diffuse fino ad oggi dall’Inps venivano comunemente elaborate estraendo le

informazioni sull’occupazione dipendente dal modello DM10, compilato mensilmente dalle

aziende (che serve per il pagamento dei contributi). Nell’utilizzare tali dati bisogna tener

conto che le imprese, per facilitare le operazioni amministrative, possono accentrare i

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pagamenti presso una delle loro sedi (in genere quella centrale): in questo modo vengono

attribuiti a una provincia (e a una regione) lavoratori che operano di fatto in un’altra.

Per riattribuire correttamente l’occupazione sul territorio, l’Inps ha utilizzato il modello

O1M che, per ogni lavoratore dipendente, contiene l’informazione sulla provincia di la-

voro. Tuttavia gli ultimi dati pubblicati a tutto il 2002 si riferivano al 1997, in quanto

l’introduzione, a partire dal 1998, del quadro SA, che deve essere presentato al Mini-

stero delle Finanze ad ottobre dell’anno seguente a quello di riferimento e trasmesso

all’Inps solo dopo esser stato elaborato, al posto del modello O1M, che veniva trasmes-

so direttamente all’Inps, ha comportato negli ultimi anni un ritardo nell’aggiornamento

delle statistiche correnti.

Per superare tali limiti, nel 2002 l’Osservatorio del Veneto sul lavoro nero ha chiesto al

Coordinamento Generale Statistico Attuariale dell’Inps nazionale un’elaborazione spe-

cifica, in modo da poter disporre di serie storiche dei dati estratti dall’archivio dei lavo-

ratori dipendenti riferiti al luogo di lavoro, anziché al luogo di contribuzione. Sono state

inoltre richieste serie storiche aggiornate dei dati provenienti da tutti gli altri archivi

Inps (non solo quindi relativamente al Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti).

Tab. 5 - Lavoratori dipendenti nelle province del Veneto secondo il luogo di contribuzione e secondo il luogo di lavoro, anni 1997-2000 (media annua di osservazioni mensili)

Belluno Padova Rovigo Treviso Venezia Verona Vicenza VENETO

1997 Lavoratori dipendenti per provincia di contribuzione (DM10)

51.740 194.122 41.563 192.790 185.984 193.809 220.201 1.080.209

Lavoratori dipendenti per provincia di lavoro (O1M)

57.003 201.766 48.790 204.780 187.610 193.429 223.070 1.116.448

differenza percentuale rispetto a provincia di lavoro

9,2 3,8 14,8 5,9 0,9 -0,2 1,3 3,2

1998 Lavoratori dipendenti per provincia di contribuzione (DM10)

52.501 200.803 42.686 196.498 180.412 198.035 225.328 1.096.263

Lavoratori dipendenti per provincia di lavoro (quadro SA/770)

56.969 205.845 48.730 211.261 192.888 199.122 227.145 1.141.960

differenza percentuale rispetto a provincia di lavoro

7,8 2,4 12,4 7,5 6,5 0,5 0,8 4,2

1999 Lavoratori dipendenti per provincia di contribuzione (DM10)

48.727 194.847 40.522 191.426 174.521 193.764 221.230 1.065.037

Lavoratori dipendenti per provincia di lavoro (quadro SA/770)

53.228 199.671 48.462 207.973 188.361 194.884 223.180 1.115.759

differenza percentuale rispetto a provincia di lavoro

8,5 2,4 16,4 8,6 7,3 0,6 0,9 4,5

2000 Lavoratori dipendenti per provincia di contribuzione (DM10)

48.907 201.120 40.763 197.712 180.273 198.693 226.306 1.093.774

Lavoratori dipendenti per provincia di lavoro (quadro SA/770)

53.163 201.019 47.368 214.327 181.457 200.356 225.675 1.123.365

differenza percentuale rispetto a provincia di lavoro

8,7 -0,1 13,9 7,8 0,7 0,8 -0,3 2,6

Fonte: elab. Inps - Coordinamento generale Statistico Attuariale

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In tab. 5 i dati relativi al 1998 e agli anni successivi sono il frutto di una stima effet-

tuata utilizzando l'informazione sulla provincia di lavoro rilevata nei quadri SA dei

mod. 770 trasmessi all'Inps dal Ministero delle Finanze; per i dati relativi al 1997 la

stima è stata effettuata utilizzando l’informazione sulla provincia di lavoro rilevata dai

modelli O1M trasmessi all’Inps a fine anno dalle aziende.

Si può constatare che per la regione in complesso utilizzare i dati relativi al luogo di

contribuzione (DM10) comportava nel Veneto, rispetto all’ultima elaborazione, una

sottostima degli occupati pari al 2,6% nel 2000 e dell’ordine del 4-4,5% nei due anni

precedenti. Chi ne faceva maggiormente le spese era la provincia di Rovigo, dove la

sottostima raggiungeva il 14-16%, seguita da Belluno e Treviso. Al 2000 solo Padova e

Vicenza presentano un saldo positivo degli occupati computati secondo la provincia di

contribuzione.

Per aver un’idea del grado di copertura ed esaustività della fonte e per valutarne la qualità

a fini statistici, abbiamo ripetuto l’esercizio già fatto in precedenza, effettuando un’elabo-

razione sui dati individuali Rtfl con raggruppamento per settore/tipologia di lavoro nel

modo più possibile conforme ai contenuti degli archivi Inps.

I risultati a livello regionale sono riportati in tab. 6 e tab. 7. Per facilitare il confronto abbia-

mo riportato, ove possibile, anche il dato depurato della componente extracomunitaria.11

Complessivamente, escludendo il settore pubblico12 e i lavoratori parasubordinati, che

sono rilevati in modo diverso, l’occupazione regolare conteggiata a partire dalla fonte

Inps per somma delle posizioni lavorative risultanti dai diversi archivi gestionali risulta

al 2000 sovrastimata dell’8,6% rispetto all’occupazione in complesso rilevata attraver-

so Rtfl. La sovrastima è crescente nel tempo: al 1997 era pari al 4,6%. Se si esclude la

componente extracomunitaria, la differenza diminuisce di due punti percentuali.

Dal confronto emerge un sostanziale allineamento fra Inps e Rtfl per l’occupazione di-

pendente del settore privato (al 2000 la differenza non supera l’1% mentre al ’97 era

pari a –1,3%), cui si contrappone la sovrastima in tutti gli altri settori.

Il settore agricolo come definito negli archivi amministrativi dell’Inps risulta più ampio

rispetto al settore agricolo definito dalla classificazione delle attività economiche e non

si possono individuare al suo interno le componenti del settore agricolo in senso

stretto, cui fanno riferimento il censimento dell’agricoltura e la Contabilità Nazionale.

11. Vedi note 7 e 8. 12. Vedi nota (**) alla tab. 6.

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Tab. 6 - Confronto fra numero di posizioni lavorative degli archivi Inps per settore contributivo e numero di occupati secondo la Rtfl, per uguale campo di osservazione e anno

ARCHIVI INPS (somma dati aggregati) ISTAT- RTFL (residenti nel Veneto)

1997

1998 1999 2000 1997 1998 1999 2000 2001

Lav. dip. privati non agr.per provincia di contribuzione (DM10) (*) 984.791 1.001.500 1.024.390 1.062.691 997.962 1.014.983 1.030.048 1.051.379 1.070.859

Lav. dip. settore pubblico che versano all'Inps (DM10)(**) 83.861 83.120 29.025 19.024 17.037 17.812 20.225 23.093 21.704

Lav. dip. settore agr., caccia, foreste e pesca (DM10) (*) 11.557 11.643 11.622 12.059 3.518 3.602 4.051 2.821 3.569

Totale lavoratori dipendenti per luogo di contribuzione (DM10) (*) 1.080.209 1.096.263 1.065.037 1.093.774

Totale lavoratori dipendenti per luogo di lavoro (O1M/SA770) 1.116.448 1.141.960 1.115.759 1.123.365 1.018.517 1.036.397 1.054.324 1.077.293 1.096.132

Lavoratori dip. per luogo di lavoro (O1M) - solo settore privato (*) 1.032.587 1.058.840 1.086.734 1.104.341 1.001.480 1.018.585 1.034.099 1.054.200 1.074.428

di cui: esclusi lavoratori extracomunitari 1.002.015 1.024.162 1.047.298 1.057.161 990.074 1.005.228 1.014.215

Artigiani e commercianti 366.376 369.436 373.598 375.705 353.809 345.401 330.004 324.568 333.648

Operai agricoli a tempo determinato 21.275 22.671 23.897 24.523 15.969 16.440 13.037 12.470 11.041

Operai agricoli a tempo indeterminato 10.588 10.352 10.552 10.987 2.262 2.187 2.797 2.704 2.872

Operai agricoli (***) 31.173 32.389 33.735 34.607 18.231 18.627 15.834 15.174 13.913

di cui: esclusi lavoratori extracomunitari 27.426 27.675 27.804 27.204 17.804 18.244 15.605 15.174 13.913

Agricoli autonomi 81.165 76.529 73.406 70.224 70.901 64.054 67.398 69.677 65.738

Lavoratori domestici 13.180 13.062 13.435 14.092 12.931 10.531 10.508 9.098 11.486

di cui: esclusi lavoratori extracomunitari 8.558 8.359 8.147 7.971 12.080 9.919 10.222 9.098 11.486

Totale campo osservazione Inps (esclusi dip. pubblici e parasubordinati) 1.524.481 1.550.256 1.580.908 1.598.969 1.457.352 1.457.198 1.457.843 1.472.717 1.499.213

di cui: esclusi extracomunitari 1.485.540 1.506.161 1.530.253 1.538.265 1.444.045 1.441.584 1.435.641

Parasubordinati contribuenti nell'anno 130.772 161.081 150.137 88.422 102.828

di cu : non computati nei settori precedenti 28.636 40.036

Totale campo osservaz Inps compresi dip. pubblici, parasubordinati (****) e

extracomunitari

1.739.114 1.794.457 1.760.070 1.563.432 1.580.896

di cui: esclusi lavoratori extracomunitari 1.700.173 1.750.362 1.709.415 1.547.818 1.558.694

altri fuori campo osservazione Inps (*****) 372.101 384.198 408.595 444.529 449.059

Totale occupati 1.846.490 1.859.208 1.886.663 1.940.339 1.969.976

(*) Il dato relativo ai lavoratori dipendenti è ottenuto come media annua delle osservazioni mensili. (**) Si tratta dei soli dipendenti di aziende del settore pubblico per i quali vengono effettuati versamenti di contributi all’Inps. Fino al 1998 venivano computati anche i dipendenti degli Enti Locali che versavano

all’Inps il contributo per i servizio sanitario nazionale. In Rtfl sono stati computati solo i dipendenti pubblici a tempo determinato. (***) Il numero dei lavoratori agricoli in Inps è minore della somma degli operai a tempo indeterminato e determinato, potendo un lavoratore avere nell'anno qualifiche diverse. (****) In Rtfl vengono sommati solo i parasubordinati che non dichiarano il primo lavoro nei settori precedenti. (*****) Le categorie che non sono comprese nel campo di osservazione sono: gli imprenditori, i professionisti e i soci di cooperativa non dipendenti e tutti gli addetti del settore pubblico (pubblica amministrazione,

istruzione, sanità) esclusi quelli assunti con contratto a tempo determinato.

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat

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Tab. 7 - Differenza percentuale fra numero occupati presenti negli archivi Inps e numero di occupati secondo la Rtf, per settore di contribuzione Inps e anno

1997 1998

1999 2000

Lav. dip. privati non agr.per provincia di contribuzione (DM10) (*) -1,3 -1,3 -0,5 1,1 Lav. dip. settore pubblico che versano all'Inps (DM10) (**) n. c. n. c. n. c. n. c. Lav. dip. settore agr., caccia, foreste e pesca (DM10) (*) 228,5 223,2 186,9 327,5 Lav. dip. per luogo di lavoro (O1M) - totale 9,6 10,2 5,8 4,3 Lavoratori dip. per luogo di lavoro (O1M) - solo settore privato (*) 3,1 4,0 5,1 4,8 di cui: esclusi lavoratori exracomunitari 1,2 1,9 3,3 Artigiani e commercianti 3,6 7,0 13,2 15,8 Operai agricoli a tempo determinato 33,2 37,9 83,3 96,7 Operai agricoli a tempo indeterminato 368,1 373,3 277,3 306,3 Operai agricoli (***) 71,0 73,9 113,1 128,1 di cui: esclusi lavoratori exracomunitari 54,0 51,7 78,2 79,3 Agricoli autonomi 14,5 19,5 8,9 0,8 Lavoratori domestici 1,9 24,0 27,9 54,9 di cui: esclusi lavoratori exracomunitari -29,2 -15,7 -20,3 -12,4 Totale campo osservazione Inps (esclusi dip. pubblici e parasubordinati) 4,6 6,4 8,4 8,6 di cui: esclusi extracomunitari 2,9 4,5 6,6 Parasubordinati contribuenti nell'anno 82,2 46,0 Totale campo osservaz Inps compresi dip. pubblici, parasubordinati (****) e extracomunitari

14,8 11,3

di cui: esclusi lavoratori exracomunitari 13,1 9,7 % campo osservazione Inps/ totale Rtfl 79,8 79,3 79,9 79,2

(*) Il dato relativo ai lavoratori dipendenti è ottenuto come media annua delle osservazioni mensili. (**) Si tratta dei soli dipendenti di aziende del settore pubblico per i quali vengono effettuati versamenti di contributi all’Inps. Fino al 1998

venivano computati anche i dipendenti degli Enti Locali che versavano all’Inps il contributo per i servizio sanitario nazionale. In Rtfl sono stati computati solo i dipendenti pubblici a tempo determinato.

(***) Il numero dei lavoratori agricoli in Inps è minore della somma degli operai a tempo indeterminato e determinato, potendo un lavoratore avere nell'anno qualifiche diverse.

(****) In Rtfl vengono sommati solo i parasubordinati che non dichiarano il primo lavoro nei settori precedenti.

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Inps e Istat

Inoltre i criteri di erogazione dei trasferimenti previdenziali e assistenziali determinano

in alcuni casi dichiarazioni di lavoratori relative alla posizione nell’azienda e al numero

di giornate lavorate non significative.

La situazione è diversa da quella documentata dall’archivio di Unioncamere. Mentre lì

la sovrastima riguardava gli indipendenti, qui la sovrastima riguarda gli operai agri-

coli: quelli che versano contributi all’Inps sono più del doppio di quelli che si dichia-

rano tali in Rtfl. Anche escludendo dagli archivi Inps gli extracomunitari (che in questo

segmento sono pari al 21% del totale), la differenza resta dell’ordine del 70%. È ancora

più elevata per le altre categorie agricole che versano i contributi nel fondo dei dipen-

denti. Invece per i lavoratori autonomi, a differenza di quanto emergeva dalla fonte

precedente, il numero di occupati coincide quasi al 2000 con quello dichiarato dalle

famiglie. Questa differenza può essere spiegata in base alle diverse modalità di com-

puto degli addetti al settore: i dati dell’Inps sono ottenuti come media annua del nu-

mero mensile dei soggetti i quali hanno effettuato almeno un giorno di lavoro in quel

mese (pertanto un lavoratore stagionale che ha fatto una sola giornata di lavoro al

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mese pesa quanto un lavoratore a tempo pieno per tutto l’anno); i dati di Unioncamere

sono, invece, quelli dichiarati dalle aziende a fine anno. Ciò comporta in un sistema

aziendale polverizzato come quello del Veneto, potrebbero essere numerose le aziende

di dimensione economica inconsistente, condotte a part-time da lavoratori occupati a

tempo pieno in altri settori (dove versano i contributi Inps), che però nella dichiara-

zione di fine anno al Registro imprese dichiarano almeno un addetto indipendente.

Per artigiani e commercianti c’è, rispetto a Rtfl, una differenza positiva crescente nel

tempo, tanto che da un divario del 3,6% al 1997 si è arrivati al 15,8% al 2000: per gli

artigiani si tratta probabilmente di una proliferazione di microimprese, ad elevata na-

talità e mortalità, probabilmente intestate in molti casi a familiari di lavoratori occu-

pati come dipendenti in altri settori o pensionati.13

Quello dei lavoratori domestici è l’unico settore nel quale, escludendo i lavoratori extra-

comunitari dai dati di fonte Inps, la differenza cambia segno. Il numero di domestici non

extracomunitari per cui vengono pagati contributi all’Inps è cioè inferiore a quello di-

chiarato dalle famiglie residenti nel Veneto. In questo settore le famiglie, dunque, avreb-

bero meno timore a dichiarare, in un’indagine con scopi statistici, anche una quota di

occupazione irregolare, accanto a quella per la quale vengono versati regolarmente i

contributi. Vedremo in seguito come questa non sia che la punta di un iceberg, la cui

parte sommersa è sei volte superiore a quella emergente a fini statistici.

Il segmento di massima divergenza è quello dell’occupazione parasubordinata. Il dato

della prima riga, più volte commentato in passato, riguarda il numero di parasubordi-

nati iscritti nell’archivio specifico. Questa informazione, che concorre al conteggio del

totale,14 sovrastima l’occupazione effettiva: un individuo continua ad essere iscritto

anche se nell'anno in corso non ha effettuato nemmeno un'ora di lavoro parasubordi-

13. Quello degli artigiani e commercianti è l’unico settore contributivo per il quale sono pubblicati dati aggiornati sul sito internet, distinti secondo la posizione. Nel Veneto la quota di titolari è rispettiva-mente pari all’89% e all’84% con la seguente distribuzione:

1997

1998 1999 2000 2001

Artigiani - titolari 176.869 177.900 179.825 181.172 181.296 - collaboratori 23.156 23.487 23.602 23.438 22.970 - totale 200.025 201.387 203.427 204.610 204.266 Commercianti - titolari 138.405 140.340 142.721 144.178 142.354 - collaboratori 27.946 27.709 27.450 26.917 26.648 - tolale 166.351 168.049 170.171 171.095 169.002 TOTALE 366.376 369.436 373.598 375.705 373.268

14. Pur disponendo dell’informazione sul numero dei contribuenti per anno abbiamo preferito sommare

nel totale il dato relativo al totale iscritti alla Gestione, per omogeneità con le altre tabelle elaborate appositamente dall’Inps per l’Osservatorio del Veneto.

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nato. Nella riga successiva è indicato il numero dei collaboratori contribuenti nell’anno

in corso (dei quali circa l’8% ha effettuato solo o anche collaborazioni in qualità di

professionisti), quali risultano da una recente indagine specifica effettuata dall’Inps15.

L’Istat a partire dal 1999 pone nel questionario Rtfl di gennaio una domanda volta ad

appurare se il soggetto intervistato ha svolto o meno collaborazioni coordinate conti-

nuative (d’ora innanzi Co.co.co.) nel corso dell’anno precedente e, se sì, quanta parte è

rappresentata da contratti di collaborazione rispetto al suo volume di affari comples-

sivo dell’anno considerato. Complessivamente nel 2000 i soggetti che hanno dichiarato

di aver avuto collaborazioni nell’anno precedente erano 102.00016. Di questi una quota

crescente fra il 1999 e il 2000 (rispettivamente 44% e 57%) aveva un volume d’affari

superiore al 50% derivante da tale attività.

In molti casi la collaborazione coordinata costituisce un secondo lavoro. Per tale motivo

per elaborare questa informazione abbiamo incrociato la risposta a questa domanda con

la variabile in cui è stata ricodificata l’attività economica, secondo il settore contributivo

Inps. È così possibile individuare quanti dei co.co.co. svolgevano di fatto il primo lavoro

in uno dei settori contributivi già presi in considerazione. In tab. 6 abbiamo riportato

nella riga superiore il numero complessivo di persone che hanno avuto un lavoro di

questo tipo nel 1998 e nel 1999 (dichiarandolo nella rilevazione di gennaio dell’anno

successivo). Nella riga successiva è indicato il numero dei collaboratori che o non si so-

no dichiarati occupati o hanno dichiarato di svolgere l’attività principale in uno dei set-

tori contributivi già presi in considerazione nelle righe precedenti.17 Quest’ultimo dato è

poi quello che viene sommato nel totale degli occupati nel campo di osservazione Inps.

Se rapportato al numero complessivo di Co.co.co. dichiarato in Rtfl, il numero di para-

subordinati contribuenti contato dall’Inps risulta sovrastimato del 50%; se però si escludo-

no dal computo i soggetti già inclusi in un altro settore di lavoro dipendente o indipendente

con obbligo contributivo, allora la sovrastima risulta dell’ordine di quattro volte il dato reale.

15. Cfr. Inps, 2001. 16. In tab. 6 l’informazione rilevata nell’indagine del gennaio 2000 è stata correttamente attribuita all’an-

no precedente, cioè al 1999. 17. Mediamente i settori di attività primaria dichiarati da chi ha avuto almeno un rapporto di collabora-

zione coordinata negli anni 1998-1999 sono i seguenti:

Settori Inps

Altri settori

lavoratori dipendenti privati 7,6% settore pubblico 3,7% artigiani e commercianti 47,8% imprenditori/liberi professionisti 26,9% agricoli autonomi 8,6% non occupati 5,4%

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La sovrastima dei dati occupazionali Inps rispetto a quelli risultanti da Rtfl è in parte

dovuta alle differenze relative alle modalità di rilevazione e calcolo degli occupati. Oltre

alla differenza dovuta a luogo di lavoro/luogo di residenza, c’è un diverso modo di

computare i lavoratori presenti. Nelle statistiche Inps il dato dei lavoratori dipendenti è

ottenuto come media delle osservazioni mensili, quello degli autonomi come stock pre-

sente ad una certa data. In Rtfl invece ci si riferisce al numero medio annuo di lavora-

tori con almeno un’ora di lavoro dichiarata nella settimana di riferimento delle quattro

rilevazione trimestrali.

La sovrastima è inoltre certamente dovuta, per una quota consistente, alla presenza

contemporanea di un lavoratore su diversi archivi. Per valutare quanto incida questo

fenomeno è stata chiesta un’ulteriore elaborazione specifica all’ Inps, contando una

sola volta i lavoratori presenti in più archivi.

La sovrastima dovuta alle duplicazioni, che possiamo assumere come incidenza media

delle seconde posizioni lavorative regolari (ma, per la modalità di rilevazione, potrebbe

anche trattarsi di più lavori di tipo diverso svolti in diversi periodi dell’anno), risulta

uguale al 5% (tab. 8), leggermente superiore a quella media nazionale (4,5%). L’ordine di

grandezza del divario è circa pari ad un terzo di quello riscontrato rispetto ai dati Rtfl.

A differenza di tab. 6, nelle righe 2-6 di tab. 8 i lavoratori sono contati anche se la loro

presenza negli archivi è dovuta ad un solo giorno retribuito o lavorato durante l’anno.

Questo diverso modo di computare le presenze determina al 2000 un aumento delle

‘teste’ contate: 1.909.710 invece di 1.797.74418, pari ad una differenza del 6,2%. La

differenza percentuale è maggiore rispetto all’analogo conteggio fatto per il 1998 ed è

maggiore di quella computata a livello italiano (5,2%), segno della maggior mobilità del

mercato del lavoro veneto, che consente ad uno stesso lavoratore di accedere a più la-

vori nel corso dell’anno.

L’effetto combinato dei due fenomeni è quello di un numero di ‘teste’ occupate comunque

superiore a quello computato per somma dei vari archivi (1.818.300 contro 1.797.744) e

quindi superiore al numero di occupati risultante da Rtfl. È aumentato però anche il di-

vario rispetto ai criteri di rilevazione di Rtfl (solo lavoratori presenti in una determinata

settimana per ogni trimestre), per cui fare un raffronto diretto fra i risultati delle due

fonti diventa più difficile.

18. In questa nuova elaborazione, effettuata su tutti gli archivi Inps, i lavoratori parasubordinati sono estratti dall’archivio degli iscritti, anziché da quello dei contribuenti.

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Tab. 8 - Lavoratori presenti negli archivi Inps. Confronto tra somma delle posizioni lavorative dei diversi archivi e numero di lavoratori presenti almeno una volta nell’anno in uno o più archivi. Veneto e Italia, anni 1998, 1999, 2000

Veneto Italia

1998

1999 2000 1998 1999 2000

Secondo la regione di lavoro:

1 Lavoratori presenti - media annua osservazioni mensili - : somma dei dati risultanti dai vari archivi(*)

1.783.419 1.777.668 1.797.744 17.726.041 17.684.673 17.988.683

differenza % 2/1 2,2 7,2 6,2 0,9 7,9 5,2

2 Lavoratori presenti nell'anno: somma dei dati risultanti dai vari archivi

1.822.918 1.905.842 1.909.710 17.879.642 19.077.406 18.924.523

3 Lavoratori presenti nell'anno: somma dei C.F. distinti nel complesso degli archivi

1.745.825 1.818.519 1.818.300 17.218.304 18.311.127 18.102.337

differenza % 2/3 4,4 4,8 5,0 3,8 4,2 4,5

Secondo la regione di contribuzione:

5 Lavoratori presenti nell'anno: somma dei dati risultanti dai vari archivi

1.786.622 1.848.252 1.883.492 17.879.642 19.077.406 18.924.523

6 Lavoratori presenti nell'anno: somma dei C.F. distinti nel complesso degli archivi

1.711.816 1.765.563 1.795.940 17.218.304 18.311.127 18.102.337

differenza % 3/6 2,0 3,0 1,2

Numeri indice (1998=100)

1 lavoratori presenti: somma dei dati risultanti dai vari archivi - media annua osservazioni mensili (regione di lavoro)

100,0 99,7 100,8 100,0 99,8 101,5

2 Lavoratori presenti nell'anno: somma dei dati risultanti dai vari archivi (regione di lavoro)

100,0 104,5 104,8 100,0 106,7 105,8

3 Lavoratori presenti nell'anno: somma dei C.F. distinti nel complesso degli archivi (regione di lavoro)

100,0 104,2 104,2 100,0 106,3 105,1

5 Lavoratori presenti nell'anno: somma dei dati risultanti dai vari archivi (regione di contribuzione)

100,0 103,4 105,4 100,0 106,7 105,8

6 Lavoratori presenti nell'anno: somma dei C.F. distinti nel complesso degli archivi (regione di contribuzione)

100,0 103,1 104,9 100,0 106,3 105,1

(*) Il totale differisce da quello di tab. 6. Vedi nota 18.

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Inps

Anche escludendo dal computo le doppie posizioni e tenendo conto della differenza nei

criteri di rilevazione, sembrerebbe di rilevare una differenza nella stima complessiva

dell’occupazione fra le due fonti. Contrariamente a quanto ci si aspettava in base

all’assunto teorico che le indagini effettuate dal lato dell’offerta colgono meglio

l’occupazione complessiva, includendo anche una quota dell’occupazione irregolare,

qui sembrerebbe apparire il contrario.

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Questa conclusione va ulteriormente verificata, in quanto implicherebbe una sotto-

stima dei tassi di occupazione ufficiali, utilizzati per i confronti interregionali e inter-

nazionali, i quali sono basati sui dati di RTFL. Su questa tematica torneremo alla fine

di questo capitolo.

Tab. 8 bis - Lavoratori presenti negli archivi Inps. Confronto tra somma delle posizioni lavorative dei diversi archivi e numero di lavoratori presenti almeno una volta nell’anno in uno o più archivi. Dati provinciali anno 2000

somma dei dati risultanti dai vari archivi (provincia di

lavoro)

lavoratori presenti

nell'anno in uno o più archivi (provincia di

lavoro)

differenza %

somma dei dati risultanti dai vari archivi (provincia di

contribuzione)

lavoratori presenti

nell'anno in uno o più archivi (provincia di

contribuzione)

differenza %

Belluno 86.895 82.599 5,2 83.091 78.938 5,3 Padova 352.682 336.038 5,0 350.600 334.724 4,7 Rovigo 91.445 87.137 4,9 84.644 80.574 5,1 Treviso 347.792 331.606 4,9 332.451 316.869 4,9 Venezia 309.654 296.567 4,4 310.547 298.123 4,2 Verona 358.385 338.858 5,8 357.897 339.259 5,5 Vicenza 362.857 345.495 5,0 364.262 347.453 4,8 VENETO 1.909.710 1.818.300 5,0 1.883.492 1.795.940 4,9 ITALIA 18.924.523 18.102.337 4,5 18.924.523 18.102.337 4,5

Nella seconda parte di tab. 8 sono stati calcolati i numeri indice dell’occupazione, fatto

100 il numero di occupati al 1998, secondo i diversi criteri di conteggio. È interessante

notare che se dal criterio di rilevazione delle medie mensili si passa al computo degli

individui occupati almeno una volta nell’anno, il tasso di crescita dell’occupazione

aumenta (apparentemente) di circa 4 punti percentuali nel triennio. Invece se si elimi-

nano le duplicazioni fra archivi diversi - entrambi computati secondo il luogo di lavoro

- si riscontra un calo della crescita di appena qualche decimo di punto, sia a livello re-

gionale sia a livello nazionale. Il divario nel Veneto è più sostenuto (+5,4%, invece di

+4,9%) se la somma dei dati dei vari archivi viene fatta per luogo di contribuzione an-

zichè per luogo di lavoro.

A conclusione di questa esplorazione della fonte Inps presentiamo i risultati di

un’ultima elaborazione effettuata dalla struttura centrale di statistica su richiesta

dell’Osservatorio Veneto, che mostra la distribuzione percentuale delle sovrapposizioni

fra i diversi archivi nel corso del 2000.

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Tab. 9 – Presenza di lavoratori su uno o due archivi Inps nel corso dell’anno 2000 (distribuzione %)

DIPENDENTI

PARASUBORDINATI ARTIGIANI COMMERCIANTI OPERAI AGRICOLI DOMESTICI AUTONOMI AGRICOLI

DIPENDENTI ITALIA 93,8% 3,8% 0,7% 0,7% 0,7% 0,2% 0,1% DIPENDENTI VENETO 95,3% 2,8% 0,7% 0,6% 0,4% 0,1% 0,1%

PARASUBORDINATI

DIPENDENTI COMMERCIANTI ARTIGIANI AUTONOMI AGRICOLI OPERAI AGRICOLI DOMESTICI

PARASUBORDINATI ITALIA 62,7% 22,6% 8,3% 4,7% 1,0% 0,5% 0,2% PARASUBORDINATI VENETO 59,0% 19,9% 10,9% 8,5% 1,4% 0,2% 0,1%

ARTIGIANI

PARASUBORDINATI DIPENDENTI COMMERCIANTI AUTONOMI AGRICOLI OPERAI AGRICOLI DOMESTICI

ARTIGIANI ITALIA 90,4% 4,7% 4,2% 0,5% 0,1% 0,1% - ARTIGIANI VENETO 88,3% 7,2% 3,9% 0,5% 0,1% - -

COMMERCIANTI

PARASUBORDINATI DIPENDENTI ARTIGIANI OPERAI AGRICOLI AUTONOMI AGRICOLI DOMESTICI

COMMERCIANTI ITALIA 86,6% 8,4% 4,2% 0,5% 0,2% 0,1% - COMMERCIANTI VENETO 84,2% 11,0% 4,1% 0,5% 0,1% 0,1% -

AUTONOMI AGRICOLI

PARASUBORDINATI DIPENDENTI OPERAI AGRICOLI COMMERCIANTI ARTIGIANI DOMESTICI

AUTONOMI AGRICOLI ITALIA 93,2% 3,0% 2,1% 1,2% 0,3% 0,2% - AUTONOMI AGRICOLI VENETO 92,8% 3,6% 2,4% 0,8% 0,2% 0,2% -

OPERAI AGRICOLI

DIPENDENTI PARASUBORDINATI AUTONOMI AGRICOLI COMMERCIANTI ARTIGIANI DOMESTICI

OPERAI AGRICOLI ITALIA 89,2% 8,3% 1,1% 0,8% 0,3% 0,2% 0,1% OPERAI AGRICOLI VENETO 82,1% 14,8% 0,8% 1,6% 0,3% 0,3% 0,1%

DOMESTICI

DIPENDENTI PARASUBORDINATI OPERAI AGRICOLI COMMERCIANTI AUTONOMI AGRICOLI ARTIGIANI

DOMESTICI ITALIA 90,0% 8,0% 1,3% 0,3% 0,2% 0,1% 0,1% DOMESTICI VENETO 86,8% 11,3% 1,1% 0,3% 0,2% 0,2% 0,1% Fonte: elab. Inps

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La tipologia con maggiori sovrapposizioni è, come ci si aspettava, quella dei lavoratori

parasubordinati. Nel Veneto al 2000 solo il 59% degli iscritti nel corrispondente archi-

vio risulta non sovrapposto ad altri. In Italia la quota è leggermente più elevata

(62,7%). Il 20% degli individui che hanno avuto almeno un rapporto di collaborazione

nel 2000 risultano aver lavorato almeno un giorno durante l’anno come lavoratore di-

pendente, il 10,9% come commerciante, l’8,5% come artigiano.

La categoria immediatamente successiva, quanto a probabilità di svolgere un altro la-

voro contemporaneamente o in un altro periodo dello stesso anno, è quella degli operai

agricoli, che solo nell’82% dei casi (89,2% in Italia) hanno svolto un unico tipo di la-

voro durante l’anno. Questa quota è però aumentata negli ultimi anni: nel 1998 erano

il 79,6%. Il 14,8% sono lavoratori dipendenti, assunti probabilmente come stagionali

agricoli nei mesi di maggior attività agricola. L’1,6% è costituito da lavoratori autonomi

agricoli, che nei periodi di punta lavorano anche come stagionali presso un’altra

azienda agricola.

Seguono i commercianti e gli artigiani, dei quali rispettivamente l’11% e il 7,2% ha

avuto nel corso dell’anno anche uno o più rapporti di lavoro parasubordinato.

Dei domestici, infine, l’11,3% ha lavorato almeno una volta durante l’anno come lavo-

ratore dipendente, l’1,1% come collaboratore.

2.3.2.4 Gli archivi Netlabor dei Centri per l’impiego

Gli archivi amministrativi dei Centri per l’Impiego (ex Scica), informatizzati nel Veneto

nel corso degli anni ’90, ed unificati oggi in un unico sistema informativo regionale, rea-

lizzato nell’ambito del Sistema Informativo Lavoro (Sil), costituiscono, potenzialmente, la

più aggiornata e ricca fonte di dati sul mercato del lavoro esistente in regione. La valo-

rizzazione a fini statistici delle informazioni ivi contenute costituisce oggetto di uno spe-

cifico progetto dell’Osservatorio sul mercato del lavoro di Veneto Lavoro. Numerose pub-

blicazioni degli ultimi anni sono state realizzate utilizzando i dati di tale fonte.19

Le informazioni coprono, però, solo il campo di osservazione del lavoro dipendente nel

settore privato. Nel Veneto, attraverso l’elaborazione dei dati delle quattro rilevazioni

trimestrali delle forze di lavoro effettuate dall’Istat nel 2001, abbiamo stimato che, sul

totale dei residenti, la fascia di lavoratori oggetto di registrazione obbligatoria presso i

19. Cfr. www.venetolavoro.it

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Centri per l’impiego (occupazione dipendente delle imprese del settore privato) rappre-

senta mediamente (media dello stock alle quattro rilevazioni trimestrali del 2001) il

55% degli occupati.20 Restano esclusi dal campo di osservazione 871.000 occupati su

1.970.000 occupati dichiarati, dei quali:

560.000, pari al 28%, lavorano come indipendenti,

310.000, pari al 15,8%, lavorano nella Pubblica amministrazione e nei servizi

dell’istruzione e sanità, che, in prima approssimazione, possiamo identificare come

Settore pubblico allargato (la quota di servizi privati in questi settori è compensata

dalla quota di occupati pubblici negli altri servizi (aziende municipalizzate di tra-

sporto, nettezza urbana, ecc.) classificati nei settori prevalentemente privati).

Le informazioni contenute negli archivi Netlabor si riferiscono a tutti i rapporti di la-

voro registrati a partire dall’anno di informatizzazione, avvenuta con tempi diversi per

ciascun centro nel corso della prima metà degli anni ‘90. Non sono perciò registrati i

rapporti di lavoro registrati prima di tale data, che non abbiano avuto alcuna trasfor-

mazione successiva. Ciò significa che non è possibile ricavare statistiche esaustive

dello stock occupazionale, in quanto non vengono computati i rapporti a tempo inde-

terminato aperti da un lungo periodo.

È possibile però ricostruire il numero dei rapporti a tempo determinato aperti ad un

determinato istante, valutandone la consistenza e la struttura per tipologia di rap-

porto. In tab. 1021 è stato valutato il numero medio annuo di occupati temporanei,

come media di quattro osservazioni trimestrali, in modo da avere dati confrontabili con

Rtfl. Anche escludendo i lavoratori extracomunitari le quantità calcolate sono note-

volmente superiori a quelle rilevate da Rtfl in misura ancora più consistente di quanto

non sia risultato dalle fonti statistiche fino ad ora prese in considerazione.

Tab. 10 - Occupazione temporanea: confronto fra dati Netlabor e Rtfl. Stock medio annuo

Archivi CPI, NETLABOR Istat, RFTL RO+VI+VR+VI RO+VI+VR+VI Veneto in complesso totali di cui al netto extrac.

totali(*)

1997 88.377 81.762 45.642 83.447 1998 94.110 86.647 45.859 86.078 1999 103.380 94.467 50.892 99.343 2000 109.206 96.364 60.849 111.739 2001 109.229 93.078 56.520 105.291

(*) Fra gli occupati a tempo determinato gli extracomunitari risultano essere meno di 1.000.

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Amministrazioni provinciali - Archivi Netlabor

20. Cfr. de Angelini, 2002. 21. Cfr. Anastasia, Maurizio, 2002.

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La sottostima di Rtfl rispetto a Netlabor sembra in effetti riguardare soprattutto i rap-

porti a tempo determinato. Questa conclusione emerge con evidenza ancora maggiore

se anziché effettuare un’analisi di stock, si porta l’attenzione sui flussi dell’occupazio-

ne regolare.

In una ricerca svolta nel 2001 in collaborazione fra Veneto lavoro e l’Università di Pa-

dova, nell’ambito del progetto cofinanziato dal Miur (Ministero dell’istruzione,

dell’università e della ricerca)22 abbiamo provato ad effettuare una simulazione sui dati

dei centri per l’impiego dei flussi annui che l’Istat effettua sui dati trimestrali di Rtfl,

calcolando a ciascuna delle date corrispondenti a quelle della rilevazione sulle forze di

lavoro, il numero di lavoratori occupati che era stato assunto nel trimestre, e som-

mando i risultati per anno. Per avere risultati omogenei è stato preso in considerazio-

ne, nell’una e nell’altra fonte, lo stesso universo di riferimento, costituito dall’insieme

dei lavoratori dipendenti nei soli settori extragricoli a prevalente componente privata,

considerando unicamente quelli residenti nel Veneto (in quanto la rilevazione Istat vie-

ne fatta sulle famiglie residenti). La figura che segue mostra gli scostamenti fra le serie

stimate a partire dalle due fonti: l’andamento stagionale è simile, ma c’è una divergen-

za nei valori assoluti, che si accentua nel tempo, raggiungendo il 30% nel 2000. La diffe-

renza fra le due stime è dovuta totalmente ai rapporti a tempo determinato (cfr. fig. 3).

Fig. 1 – Entrate trimestrali di lavoratori dipendenti extra-agricoli nel settore privato: confronto tra archivi Centri per l’impiego (Netlabor) e Istat-Rtfl (criterio: numero lavoratori entrati nel trimestre e ancora occupati a fine trimestre)

0

10.000

20.000

30.000

40.000

50.000

60.000

70.000

80.000

1997

1 2 3 4

1998

1 2 3 4

1999

1 2 3 4

2000

1 2 3 4

NETLABOR ISTAT, forze di lavoro

Fonte: elab. Veneto lavoro su dati Istat-Rtfl e e dati Cpi -Netlabor

22. Cfr. A. de Angelini, A. Giraldo, 2002b.

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Fig. 2 – Entrate trimestrali di lavoratori dipendenti in imprese extra-agricole secondo il tipo di contratto dal 1997 al 200: confronto tra archivi Netlabor e Istat-Rtfl

0

10.000

20.000

30.000

40.000

50.000

60.000

1997

1 2 3 4

1998

1 2 3 4

1999

1 2 3 4

2000

1 2 3 4

Netlabor tempo indet.Netlabor tempo det.Istat tempo indeterm.Istat tempo det.

Fonte: elab. Veneto lavoro su dati Istat, Rtfl e su dati Cpi, Netlabor

Queste conclusioni trovano conferma nei primi risultati di un’altra indagine in corso

nell’ambito dello stesso progetto di ricerca, attraverso la quale vengono abbinati i dati

individuali delle forze di lavoro con i dati elementari Netlabor.

Si dimostra che l’immagine del mercato del lavoro colta dalle famiglie, attraverso Rtfl,

sia in parte divergente da quella colta attraverso i dati comunicati all’autorità ammini-

strativa dalle imprese, che registrano l’esatta natura dei rapporti di lavoro. Si tratta di

un punto di vista che molto spesso riflette non la situazione oggettiva, ma le aspetta-

tive dell’intervistato. Inoltre molto spesso chi è intervistato non è il titolare del rap-

porto di lavoro, ma un familiare, che non sempre è a conoscenza del carattere effettivo

del rapporto di lavoro, ma lo interpreta in base ai dati di fatto. In un contesto di mer-

cato del lavoro fluido come quello del Veneto, in cui, almeno per i giovani, i rapporti a

termine costituiscono la modalità generalizzata di ingresso al lavoro e quasi sempre fi-

niscono con l’evolversi in breve tempo verso un lavoro stabile, molto spesso essi ven-

gono percepiti e dichiarati come rapporti permanenti fin dall’inizio. Esemplare è il caso

dell’apprendistato: nel 2001 dichiarano di essere apprendisti 21.000 lavoratori, contro

gli oltre 70.000 che risultano dagli archivi dell’Inps e dei Centri per l’impiego23.

23. Cfr. A. de Angelini, A, Giraldo, 2002 a.

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2.3.2.5 Confronti fra fonti amministrative: note conclusive

Il confronto fra dati sull’occupazione regolare estratti da fonti diverse è, però,

un’operazione che richiede molta cautela, anche a parità di campo di osservazione.

In funzione del diverso scopo della rilevazione, registrazione e trattamento delle infor-

mazioni, le diverse amministrazioni e talora anche la stessa amministrazione, fra i

suoi diversi archivi gestionali, adottano criteri notevolmente differenziati nel registrare

e trattare le informazioni, sotto il profilo dell’unità di rilevazione (occupato, posizione

lavorativa, unità di lavoro, singolo contratto), dell’arco temporale di riferimento (rileva-

zione a una data specifica, settimanale, mensile, trimestrale), del luogo di rilevazione

(comune di residenza dell’occupato, sede dell’impresa/unità locale, luogo di contribu-

zione) e dei criteri di conteggio del numero di occupati .

Tab. 11 - Quadro sinottico dei criteri di rilevazione delle fonti utilizzate

Fonte Unità di rilevazione

Luogo Arco di tempo cui si riferiscono le osservazioni

Soggetto dichiarante

Livello aggregazione

dei dati rilevati

Criteri di conteggio

Istat, Censimento industria e servizi

posto di lavoro occupato

sede unità loc.

data definita unità locale impresa/unità locale

numero posti di lavoro occupati alla data del censimento

Istat, Censimento dell’agricoltura

giornata di lavoro

sede azienda data definita azienda agr. azienda numero giornate effettuate nell’anno

Istat, rilevazione delle forze di lavoro

individuo luogo residenza 2° settimana del trimestre

famiglia individuo almeno un'ora di lavoro nella settimana precedente l'intervista

Inps, archivio lav. dipendenti (DM10)

posizione lavorativa

luogo versamento contributi

mese impresa impresa almeno un giorno lavorato nel mese

Inps, elaborazione su più archivi (*)

individuo occupato

anno impresa individuo almeno un giorno lavorato durante l'anno

Unioncamere posto di lavoro occupato

sede unità loc.

data definita impresa/unità locale

unità locale n° posti di lavoro occupati al 31 dicembre

Centri per l’impiego, Netlabor

contratto di lavoro

sede unità locale

giorno unità locale singolo contratto

Qualsiasi criterio

(*) elaborazione specifica su più archivi per Osservatorio Veneto.

Fonte: elab. Veneto Lavoro

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Si è visto come il diverso luogo di rilevazione possa determinare l’esclusione di deter-

minate fasce di occupati, quali in particolare gli extracomunitari, che oggi costitui-

scono un segmento sempre più consistente anche dell'occupazione regolare.

Nell’integrazione fra fonti diverse non deve essere sottovalutata, inoltre, l’importanza

dell’arco temporale di riferimento. Se la rilevazione è fatta in un giorno preciso

dell’anno (es. Unioncamere) il numero di posizioni lavorative coincide con il numero di

‘teste’ occupate secondo il luogo di lavoro. Se l’intervallo è di una settimana o un

mese, questa equivalenza non vale più. Via via che si allarga l’arco di tempo osservato

aumenta il divario fra occupati con almeno un giorno lavorativo in quel periodo e to-

tale delle posizioni lavorative conteggiate (si vedano i diversi risultati che si ottengono

sugli archivi Inps, a partire da metodi di conteggio diversi).

A parità di intervallo e di oggetto di rilevazione, il problema si complica per la contem-

poranea registrazione su più archivi: se il conteggio viene fatto su dati aggregati, non è

possibile eliminare le duplicazioni.

Per le fonti prese in considerazione in questo rapporto sintetizziamo le differenze in

tab. 11.

2.3.2 L’occupazione regolare secondo l’Istat, nell’ambito delle stime dei conti

nazionali e territoriali

2.3.3.1 La metodologia di stima e i risultati per il Veneto

Solo l’Istat è oggi in grado di effettuare stime esaustive dell’occupazione a livello nazio-

nale e territoriale, in quanto ha a disposizione i più importanti archivi statistici e am-

ministrativi a livello di dato elementare.

Le stime dell’input di lavoro immesso nel sistema economico vengono effettuate inte-

grando e confrontando statistiche diverse, sulla base dell’assunto che ciascuna fonte, se

opportunamente standardizzata (in termini di periodo temporale, classificazione set-

toriale, popolazione di riferimento) possa comunicare con le altre, consentendo di far

emergere differenze quantitative a cui è possibile attribuire un significato economico.

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L’operazione di integrazione fra i censimenti e diversi archivi amministrativi che utiliz-

zano come unità di informazione l’impresa e le istituzioni 24 costituisce il punto di par-

tenza per le stime dell’occupazione regolare e irregolare nell’ambito degli studi per la

Contabilità Nazionale.

L’approccio metodologico prevede la costruzione di un primo benchmark per il 1991,

che sfrutta le diverse risultanze censuarie, aggiornato, per i dati riguardanti le im-

prese, con i risultati del censimento intermedio del 1996. A partire dal 1996 le infor-

mazioni sull’input di lavoro regolare sono aggiornate con il registro delle imprese attive

ASIA (realizzato per integrazione delle diverse fonti amministrative), mentre quelle su-

gli occupati dichiarati fornite dalle famiglie sono elaborate sfruttando i dati della Rtfl.

Gli occupati sono analizzati secondo il numero di lavori svolti, utilizzando il concetto di

‘posizioni lavorative’25. Dalla stima delle posizioni lavorative si passa, attraverso la cono-

scenza delle ore lavorate, alla stima delle ‘unità di lavoro equivalenti a tempo pieno’

(Ula),26 che costituiscono il coefficiente di espansione dei valori pro-capite delle princi-

pali grandezze che determinano il PIL.

Dal confronto fra il set di informazioni rilevate dal lato impresa e il set di informazioni

rilevate dal lato offerta (censimento della popolazione, indagine sulle forze di lavoro)27

vengono individuati, a livello di singola categoria di attività economica, gli occupati re-

golari, gli occupati irregolari e le posizioni lavorative regolari secondo il principio gene-

rale per cui la componente irregolare rappresenta l’eccedenza della fonte lato offerta di

lavoro rispetto alla fonte lato domanda, mentre l’eccedenza di quest’ultima sulla prima

rappresenta una misura delle posizioni lavorative multiple (in realtà si tratta sia nel

primo che nel secondo caso del saldo fra i due fenomeni a livello di categoria di atti-

vità).28 Nella maggior parte dei casi le posizioni lavorative plurime regolari provengono

24. Ministero delle Finanze; Banca d’Italia; Inps; singoli Ministeri e Rgs per l’occupazione pubblica; e al-tre per stime puntuali su determinate attività (estrazione del petrolio, tabacco, servizi ferroviari, po-ste e telecomunicazioni, intermediazione finanziaria, assicurazioni).

25. Una posizione lavorativa è definita come un contratto, implicito o esplicito, tra una persona ed una unità istituzionale ed è caratterizzata dalla possibilità che ad un occupato possano corrispondere una o più posizioni lavorative, svolte in parallelo o in diversi periodi all’interno del lasso di tempo preso in considerazione.

26. Le unità di lavoro (Ula) sono il quoziente tra il totale delle ore lavorate e la media annua del numero di ore lavorate per posizione lavorativa a tempo pieno.

27. Anche per le fonti dal lato offerta è stato effettuata per il 1991 un’integrazione, tramite abbinamento dei dati elementari. Attraverso tale operazione è stata evidenziata una componente di occupazione non regolare in famiglie residenti non rilevata dalle forze di lavoro. Tale componente riguarda le forme di occupazione più deboli, ed è più alta nell’agricoltura (23,2%), nel commercio e pubblici eser-cizi (10,4%) e negli altri servizi (9,9%); rispetto alla posizione, la quota massima si trova fra i coadiu-vanti (15,7%) ed è maggiore fra gli indipendenti (10,2%) che fra i dipendenti (9,1%).

28. L’assunzione alla base è che, in condizioni di invarianza del campo di osservazione, di coincidenti riferimenti spaziali e temporali, di assenza di lavoro irregolare e di posizioni lavorative multiple, le

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dalla fonte Iva (occupati in unità di piccolissime dimensioni, prevalentemente nel set-

tore dei servizi vendibili, con elevatissima natalità/mortalità, non osservate dalle fonti

statistiche e contributive).

Per la stima dell’occupazione (in gran parte irregolare) nei servizi domestici e per gli

stranieri non residenti le fonti amministrative sono integrate con indagini su fonti spe-

cifiche (in particolare, l’indagine sui consumi delle famiglie per i servizi domestici).

Infine per alcuni settori, dove è più elevata la componente di doppio lavoro irregolare

(costruzioni, trasporto merci e passeggeri per conto terzi, alberghi e pubblici esercizi)

vengono effettuate effettuate stime occupazionali con approccio diverso, ricavando in-

formazioni dal lato della domanda (parco autoveicoli circolanti, spesa delle famiglie).

Sono definite regolari le prestazioni lavorative registrate e osservabili sia alle istituzioni

fiscali-contributive, sia da quelle statistiche e amministrative. Sono definite non rego-

lari le seguenti tipologie di attività lavorative:

continuative svolte senza il rispetto della normativa vigente;

occasionali, svolte da persone che si dichiarano non attive (studenti, casalinghe,

pensionati);

degli stranieri non residenti e non regolari;

plurime non dichiarate alle istituzioni fiscali.

In accordo con le nuove definizioni introdotte dal Sistem of National Account (Sna 1993),

l’Istat, attraverso la metodologia usata nella recente revisione, considera come occupa-

zione irregolare solo il ‘sommerso economico’, per il quale non si assolvono totalmente o

parzialmente gli obblighi amministrativi, attribuendo all’occupazione regolare il ‘som-

merso statistico’, dovuto alla presenza di attività non facilmente individuabili da

un’indagine statistica presso le imprese (non ostensibili).

I risultati delle stime per branca di attività, in termini di occupati, posizioni lavorative

e unità di lavoro, con distinzione fra occupazione regolare e non regolare e con indivi-

duazione delle posizioni plurime, sono pubblicati solo per l’aggregato nazionale. A li-

vello regionale l’Istat ha pubblicato dati sul lavoro regolare e irregolare solo per settore

di attività e solo in termini di unità di lavoro (Ula).

posizioni lavorative rilevate presso le imprese coincidono con gli occupati rilevati presso le famiglie. Comparando le due osservazioni a livello di categoria di attività economica vengono ottenuti i se-guenti segmenti di occupazione, a seconda che il numero di persone che si dichiarano occupate sia maggiore o minore delle posizioni dichiarate dalle imprese: - occupati regolari: persone occupate che eguagliano il numero di posizioni lavorative; - occupati irregolari: persone occupate che eccedono il numero di posizioni lavorative; - posizioni lavorative multiple: posizioni che eccedono il numero di persone occupate.

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La quota di unità di lavoro irregolari stimata in complesso nel Veneto dalla Contabilità

nazionale (CN) è dell’11,0%, pari alla metà di quella del Mezzogiorno e inferiore a quella di

tutte le altre circoscrizioni italiane.

Tab. 12 - Unità di lavoro totali e regolari e incidenza % delle unità di lavoro irregolari nel 1999. Veneto, Italia e Circoscrizioni (valori medi annui)

Distribuzione settoriale totale unità di lavoro

(migliaia)

totale unità di lavoro

regolari (migliaia)

totale economia

agricoltura industria industria in senso stretto

costruzioni servizi

Veneto (valori assoluti) 2.127,3 1.893,5 1.893,5 83,6 788,1 658,8 129,3 1021,8 % unità di lavoro irregolari

Veneto 2.127,3 1.893,5 11,0 27,1 3,5 2,8 6,8 14,6 Totale Italia 23.111,5 19.625,1 15,1 30,4 8,0 5,7 15,9 16,9 Nord-ovest 6.843,4 6.084,1 11,1 19,5 4,5 3,5 9,2 14,4 Nord-est 5.119,5 4.562,9 10,9 23,7 3,2 2,9 4,4 14,1 Centro 4.724,6 4.005,5 15,2 25,2 9,1 6,2 18,4 17,0 Mezzogiorno 6.412,6 4.961,2 22,6 38,4 19,3 14,5 28,8 21,2

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat

Fig. 3 - Tasso di irregolarità delle unità di lavoro al 1999 per regione (Istat, Contabilità nazionale)

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

30,0

Piem

onte

Valle

d'A

osta

Lom

bard

ia

Tren

tino

Alt

o Ad

ige

Vene

to

Friu

li Ve

nezi

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pani

a

Pugl

ia

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a

Cala

bria

Sici

lia

Sard

egna

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat

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Nell’industria in senso stretto quasi il 97% delle unità di lavoro risultano regolari. Come

in tutte le altre regioni, il settore in cui il tasso di irregolarità è più elevato è quello agricolo

(27,1%); nel Veneto il valore stimato supera quello di tutte le circoscrizioni del centro-

nord. Anche nei servizi c’è un’elevata concentrazione di lavoro non regolare (14,6%),

mentre nel settore delle costruzioni i valori stimati per il Veneto sono contenuti (6,8%), di

tutt’altro ordine di grandezza rispetto a quelli dell’Italia centrale (18,4%) e del Mezzogiorno

(21,2%).

Per non incorrere in errori interpretativi nella lettura di questi indicatori è opportuno

aver ben presente la differenza fra i concetti di occupato, posizione lavorativa e unità

di lavoro. Ad un occupato, computato come valore medio annuo, possono corrispon-

dere più posizioni lavorative (nel caso di doppio lavoro o di più lavori svolti nel corso

dell’anno in imprese diverse) oppure meno di una posizione lavorativa (nel caso di un

lavoro effettuato solo per alcuni mesi dell’anno). Per altro verso ad una posizione lavo-

rativa può corrispondere un numero di unità di lavoro equivalenti inferiore a 1 (nel

caso di un lavoro a part-time o effettuato solo per un certo periodo dell’anno).

Paradossalmente, anche in totale assenza di occupati irregolari si potrebbero avere più

posizioni di lavoro irregolari, se fossero tutte plurime, e più unità di lavoro a parità di

posizioni lavorative, se gli occupati effettuassero ore di lavoro irregolari aggiuntive a

quelle regolari.

Per comprendere questo concetto, fondamentale per poter valutare nel loro giusto si-

gnificato i dati diffusi sul lavoro irregolare nel Veneto, è utile partire dall’esame della

tab. 13, nella quale è computato a livello nazionale i rapporto fra posizioni lavorative

/occupati unità di lavoro/posizioni lavorative e unità di lavoro/occupati per le diverse

branche di attività economica, con ulteriore articolazione in lavoro regolare e lavoro ir-

regolare.

A livello dell’intero sistema economico il numero di unità di lavoro è quasi uguale a

quello degli occupati (il rapporto è uguale a 1,02; nel Veneto sale a 1,04), ma questo è

il risultato dell’esistenza 1,29 posti di lavoro per ogni occupato, ciascuno dei quali

equivale mediamente solo a 0,79 posti di lavoro a tempo pieno. Per il lavoro irregolare

il numero di posti di lavoro a tempo pieno per occupato sale a 1,64, ma le unità di la-

voro equivalenti a tempo pieno scendono a 0,64 per posto di lavoro (cioè per poter la-

vorare lo stesso numero di ore di lavoro di un lavoratore regolare gli irregolari devono

cumulare un maggior numero di lavori diversi); cosicchè il numero di Ula/occupati è

superiore (1,05 contro 1,01).

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Tab. 13 - Occupati, posizioni di lavoro e unità di lavoro totali (regolari e non regolari) in Italia nell’anno 2000

ATTIVITÀ ECONOMICHE TOTALE LAVORO REGOLARE LAVORO IRREGOLARE occupati posiz./

occup. Ula

/posiz. Ula

/occup.

occupati posiz/ occup.

ula/ posiz.

ula/ occup.

occupati posiz/ occup.

ula/ posiz.

ula/ occup.

Agricoltura 1.119,6 3,60 0,33 1,20 457,3 7,36 0,27 2,00 662,3 1,00 0,65 0,65Agricoltura, silvicoltura 1.081,7 3,65 0,33 1,19 440,3 7,51 0,26 1,98 641,4 1,00 0,64 0,64Pesca e servizi connessi 37,9 2,04 0,80 1,64 17,0 3,33 0,75 2,50 20,9 1,00 0,95 0,95Industria in senso stretto 5.349,7 1,02 0,96 0,98 5.032,0 1,02 0,96 0,98 317,7 1,00 0,97 0,97Estrazione di minerali 42,7 1,02 0,96 0,97 38,9 1,02 0,95 0,97 3,8 1,00 1,00 1,00Industrie alimentari 482,4 1,02 0,96 0,98 450,5 1,02 0,96 0,98 31,9 1,00 0,97 0,97Industrie tessili abbigl. 751,9 1,02 0,95 0,97 681,5 1,02 0,95 0,97 70,4 1,00 0,97 0,97Industrie conciarie, cuoio pelle 218,0 1,03 0,95 0,97 202,9 1,03 0,94 0,97 15,1 1,00 0,99 0,99Industria del legno 197,7 1,03 0,96 0,99 174,7 1,03 0,96 0,99 23,0 1,00 0,97 0,97Industria stampa ed editoria 306,3 1,03 0,96 0,99 284,2 1,03 0,96 0,99 22,1 1,00 0,96 0,96Fabbr. coke, raffinerie petroli 26,4 1,00 0,99 0,99 24,5 1,00 0,99 0,99 1,9 1,00 1,00 1,00Prod chimici e fibre sintetiche 240,9 1,01 0,98 0,99 224,9 1,01 0,98 0,99 16,0 1,00 0,99 0,99Gomma e plastica 205,4 1,01 0,97 0,98 195,1 1,01 0,97 0,98 10,3 1,00 0,98 0,98Minerali non metalliferi 325,0 1,02 0,97 0,99 298,8 1,03 0,96 0,99 26,2 1,00 0,98 0,98Produzione di metalli 761,4 1,03 0,96 0,99 738,2 1,03 0,96 0,99 23,2 1,00 0,97 0,97Fabbricaz. macchine 562,2 1,03 0,96 0,99 536,4 1,03 0,96 0,99 25,8 1,00 1,00 1,00Fabbr. app. elettr, eettroniche 478,4 1,04 0,94 0,98 465,7 1,04 0,94 0,98 12,7 1,00 0,98 0,98Fabbr. mezzi di trasporto 292,0 1,01 0,98 0,99 277,0 1,01 0,98 0,99 15,0 1,00 0,98 0,98Altre industrie manifatturiere 310,7 1,02 0,96 0,97 291,5 1,02 0,96 0,98 19,2 1,00 0,94 0,94Prod. distrib. en. elettr, gas 148,3 1,00 0,99 0,99 147,2 1,00 0,99 0,99 1,1 1,00 1,00 1,00Costruzioni 1.498,1 1,18 0,89 1,05 1.285,6 1,13 0,91 1,02 212,5 1,48 0,80 1,18Commercio alberghi trasporti 5.809,3 1,33 0,82 1,09 5.203,8 1,09 0,91 0,99 605,5 3,41 0,57 1,94Comm all'ingrosso, al dettaglio 3.625,1 1,08 0,92 1,00 3.266,3 1,09 0,92 1,00 358,8 1,00 0,97 0,97Alberghi e pubblici esercizi 1.055,2 1,74 0,69 1,20 907,4 1,14 0,84 0,95 147,8 5,44 0,51 2,76Trasporti e comunicazioni 1.129,0 1,76 0,73 1,28 1.030,1 1,05 0,95 0,99 98,9 9,14 0,46 4,24Servizi imprese 2.962,8 1,19 0,86 1,02 2.557,3 1,20 0,85 1,02 405,5 1,11 0,92 1,03Intermed. monetaria-finanz. 646,6 1,05 0,94 0,99 587,3 1,05 0,94 0,99 59,3 1,00 0,96 0,96Att.immob.,noleggio, profess. 2.316,2 1,23 0,84 1,03 1.970,0 1,24 0,82 1,02 346,2 1,13 0,92 1,04Altre attività di servizi 6.389,6 1,13 0,83 0,94 5.214,9 1,05 0,91 0,96 1.174,7 1,48 0,56 0,82Pubblica amministrazione 1.389,6 1,00 0,99 0,99 1.389,6 1,00 0,99 0,99 - Istruzione 1.605,6 1,03 0,94 0,97 1.512,2 1,03 0,94 0,97 93,4 1,00 1,00 1,00Sanità e altri servizi sociali 1.347,2 1,05 0,93 0,98 1.249,5 1,05 0,93 0,98 97,7 1,00 1,00 1,00Altri s. pubb.,sociali, personali 997,7 1,12 0,90 1,00 822,0 1,14 0,88 1,01 175,7 1,00 0,99 0,99Serv. domestici presso famiglie 1.049,5 1,57 0,45 0,70 241,6 1,16 0,47 0,55 807,9 1,69 0,44 0,75Totale 23.129,1 1,29 0,79 1,02 19.750,9 1,23 0,82 1,01 3.378,2 1,64 0,64 1,05

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat, Contabilità Nazionale

Il rapporto posizioni/occupato e quello unità di lavoro/posizioni - e, di conseguenza,

quello unità di lavoro/occupato - varia notevolmente da branca a branca. In agricol-

tura, a causa anche delle molte posizioni contributive fittizie, ad ogni occupato rego-

lare corrispondono due unità di lavoro, mentre per gli irregolari il rapporto è di 0,65

(in quanto lavorano soprattutto come stagionali). All’opposto, negli alberghi e pubblici

esercizi il rapporto ULA/occupati degli irregolari è il doppio di quello dei regolari (ri-

spettivamente 2,76 contro 0,95), nei trasporti è pari a quattro volte tanto (4,24 contro

0,99).

Anche solo in base alle specificità della struttura settoriale si può stimare, dunque,

che in una regione come il Veneto, caratterizzata da un’elevata specializzazione turi-

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stica e da un ruolo leader nel settore del trasporto per conto terzi, il rapporto

ULA/occupati dei lavoratori irregolari sia particolarmente elevato. Ciò significa che la

quota di occupazione irregolare è notevolmente inferiore a quella delle unità di lavoro

irregolari. Ciò vale in particolare per i settori dove il lavoro irregolare non è svolto da

extracomunitari.

D’altra parte è presumibile che in un sistema economico ‘ricco’ come quello del Ve-

neto, con frequente ricorso delle imprese maggiori all’outsourcing verso piccole imprese

sommerse, con utilizzo sempre più intenso di forme contrattuali atipiche, in molti casi

secondo finalità difformi da quelle previste dalla legge, in un contesto con difficoltà di

reperimento sul mercato del lavoro regolare di figure professionali qualificate, una

quota notevole delle ore di lavoro irregolari siano effettuate da occupati regolari, che

svolgono in nero parte della loro attività, spuntando a volte anche remunerazioni con-

sistenti (straordinari, sabati e ferie pagate, secondo lavoro indipendente sommerso,

co.co.co. che mascherano un lavoro dipendente29).

Il tasso di irregolarità elaborabile attraverso l’uso dei dati diffusi dall’Istat va dunque

interpretato tenendo conto del contesto cui si riferisce e può anche indicare forme

tutt’altro che arretrate di organizzazione produttiva, in cui sia il lavoratore sia

l’impresa cercano di sfruttare a proprio favore la flessibilità consentita dagli strumenti

contrattuali, minimizzando i rispettivi fattori di rischio.

A seconda dell’accento che si dà al fenomeno dell’irregolarità e degli aspetti che ven-

gono fatti rientrare in tale categoria il confine fra lavoro regolare e irregolare può va-

riare notevolmente.

La quota di lavoro irregolare stimata dall’Istat nell’ambito della CN è molto più bassa,

a livello medio italiano, di quella stimata dal Censis (Roma, 2003), attraverso

un’indagine recente, con il supporto operativo di reti di rappresentanza imprendito-

riale e sindacale, istituzioni e autonomie funzionali.

A livello nazionale al 2000 l’Istat stima che l’84% dell’occupazione dipendente, se mi-

surata in termini di occupati, o l’82,0%, se misurata in termini di unità di lavoro, sia

regolare. Secondo il Censis la quota di lavoro dipendente regolare sarebbe invece pari

solo al 53%. Includendo però nell’occupazione regolare gli occupati con contratto regi-

strato che hanno solo un trattamento di fatto irregolare, la distanza tra valutazioni

Censis e dati Istat si riduce notevolmente.

29. Tra le attività dei Co.co.co. rilevate dal Primo rapporto sul lavoro parasubordinato dell’Inps (2001), il 38% è costituita da ‘amministratore, sindaco di società’; tra le altre attività significative viene dichia-rato il “dottorato di ricerca”, la “partecipazione a collegi e commissioni”, ecc.

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Tab. 14 - Quota di lavoro regolare e irregolare stimata dall’Istat e dal Censis

NORDEST ITALIA Censis Istat Censis Istat 2002 2000 2002 2000 occupati

Ula occupati occupati Ula

- Lavoro dipendente regolare 75,0 52,7 83,6 82,0 - Lavoro dipendente irregolare 25,0 47,3 16,4 18,0 di cui senza contratto 11,8 26,0 Totale lavoro dipendente 100,0 100,0 100,0 100,0 - Lavoro indipendente regolare 90,1 84,3 90,4 91,7 - Lavoro indipendente irregolare 9,9 15,7 9,6 8,3 Totale lavoro indipendente 100,0 100,0 Totale lavoro irregolare 14,1 14,6 15,1

Fonte : Istat, Censis

Per il Nord Est le differenze sono modeste: il tasso di irregolarità stimato dall’Istat per

le unità di lavoro in complesso (14,1%) è poco superiore al tasso di irregolarità dell’oc-

cupazione dipendente senza contratto del Censis (11,8%).

Anche secondo il Censis, il Nord Est risulta l’area geografica che ha la più elevata quo-

ta di lavoro regolare sotto tutti gli aspetti.

2.3.3.2 Ulteriori specificazioni emergenti dal confronto fra dati CN e dati Rtfl

Gli occupati in complesso stimati dall’Istat-CN per il Veneto, comprendenti anche

l’occupazione irregolare, sono più numerosi di quelli rilevati attraverso Rtfl. La diffe-

renza fra occupati residenti nel Veneto dichiarati in Rtfl e occupati che lavorano nel

Veneto stimati in CN al 2000 è pari al 7,4%, con uno scarto di circa 144.000 unità

(tab. 15). Conoscendo il numero di occupati dipendenti regolari extracomunitari (circa

65.000 occupati al 2000, secondo Netlabor, di cui 24.000 già conteggiati da Rtfl, in

quanto residenti30), ed ammettendo che per gli occupati non extracomunitari il saldo

fra entrate e uscite sia nullo, la parte restante, pari a circa 100.000 unità, dovrebbe

comprendere il lavoro irregolare extracomunitario più quello non dichiarato dalle fami-

glie residenti.

30. Gli extracomunitari occupati rilevati da Rtfl sono tutti a tempo indeterminato. Si tratta degli indivi-dui residenti già da tempo nel paese, gran parte dei quali ormai inseriti stabilmente nel mercato del lavoro.

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Tab. 15 - Confronto fra i dati occupazionali Rtfl (valori medi annui) e stime CN, per settore di attività. Veneto 1995-2000

1995

1996 1997 1998 1999 2000

TOTALE ATTIVITÀ occupati RTFL 1.797,2 1.815,7 1.846,5 1.859,2 1.886,7 1.940,3 differenza CN-RTFL (V.A.) 153,6 158,5 151,4 151,3 150,6 144,0 differenza CN-RTFL (%.) 8,5 8,7 8,2 8,1 8,0 7,4 occupati CN 1.950,8 1.974,2 1.997,9 2.010,5 2.037,3 2.084,3 unità di lavoro CN 2.041,3 2.063,4 2.088,4 2.102,4 2.127,3 2.163,8 di cui irregolari (V.A.) 228,6 226,3 227,0 233,7 233,8 di cui irregolari (%) 11,2 11,0 10,9 11,1 11,0 AGRICOLTURA, SILVICOLTURA, PESCA occupati RTFL 94,6 90,7 92,9 86,3 87,3 87,7 differenza CN-RTFL (V.A.) 1,5 -0,4 1,5 1,0 -1,2 -2,8 differenza CN-RTFL (%.) 1,6 -0,5 1,6 1,2 -1,4 -3,2 occupati CN 96,1 90,3 94,4 87,3 86,1 84,9 unità di lavoro CN 129,5 125,0 124,9 118,3 114,6 di cui irregolari (V.A.) 33,8 31,8 34,4 33,7 31,0 di cui irregolari (%) 26,1 25,4 27,5 28,5 27,1 INDUSTRIA IN SENSO STRETTO occupati RTFL 633,5 639,1 658,5 675,8 676,4 669,1 differenza CN-RTFL (V.A.) 25,6 25,2 17,1 11,3 9,4 17,9 differenza CN-RTFL (%) 4,0 3,9 2,6 1,7 1,4 2,7 occupati CN 659,1 664,3 675,6 687,1 685,8 687,0 unità di lavoro CN 650,4 654,1 666,5 678,2 678,0 di cui irregolari (V.A.) 18,5 16,6 17,4 21,5 19,2 di cui irregolari (%) 2,8 2,5 2,6 3,2 2,8 COSTRUZIONI occupati RTFL 123,3 128,7 131,3 129,7 131,8 141,9 differenza CN-RTFL (V.A.) 3,4 -0,3 -1,1 -3,4 -1,8 -3,0 differenza CN-RTFL (%) 2,8 -0,3 -0,9 -2,6 -1,3 -2,1 occupati CN 126,7 128,4 130,2 126,3 130,0 138,9 unità di lavoro CN 135,3 136,8 139,7 135,6 138,8 di cui irregolari (V.A.) 10,9 9,2 7,6 11,2 9,5 di cui irregolari (%) 8,1 6,7 5,4 8,3 6,8 TOTALE SERVIZI occupati RTFL 945,9 957,2 963,7 967,4 991,2 1041,7 differenza CN-RTFL (V.A.) 123,0 134,0 134,0 142,4 144,2 131,8 differenza CN-RTFL (%) 13,0 14,0 13,9 14,7 14,5 12,7 occupati CN 1.068,9 1.091,2 1.097,7 1.109,8 1.135,4 1.173,5 unità di lavoro CN 1126,1 1147,5 1157,3 1170,3 1195,9 di cui irregolari (V.A.) 165,4 168,7 167,6 167,3 174,1 di cui irregolari (%) 14,7 14,7 14,5 14,3 14,6

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat

Nella realtà veneta, però, questa situazione ipotetica è lontana dalla realtà. In un con-

testo di mercato del lavoro con eccesso di domanda sull’offerta, il lavoro irregolare è

annidato soprattutto fra le posizioni lavorative plurime, la cui incidenza è più elevata

che altrove. Molto spesso non si tratta tanto di lavoratori dipendenti in nero, quanto di

imprese in nero: le aziende anzichè utilizzare direttamente lavoratori in nero ricorrono

all’outsourcing coinvolgendo imprese di piccolissime dimensioni, molto spesso nate ad

opera di ex dipendenti, che più facilmente riescono ad occultare in tutto o in parte la

propria attività. La rilevanza di rapporti di lavoro a tempo determinato (oltre il 50%

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delle assunzioni) tende per altro verso ad abbassare il rapporto tra numero di unità di

lavoro e numero di occupati.

Accontentiamoci pertanto di esplorare i dati della tabella che segue che consente un

confronto fra i due indicatori in oggetto (differenza percentuale tra Rftl e CN e % unità

di lavoro irregolari stimate da CN), cercando di interpretare, sulla base di conoscenze

emerse in altri settori di questa indagine, le differenze riscontrabili.

La differenza fra le due fonti è consistente solo nel terziario, per effetto del sommerso

aziendale colto dalle stime della contabilità nazionale attraverso fonti indirette e il

confronto con le partite IVA. Non sorprende che in questo settore la quota di lavoro ir-

regolare sia dello stesso ordine di grandezza della differenza fra le due fonti, con un

valore che distacca nettamente le altre branche extraagricole (quasi 15%). Si tratta di

un insieme di attività assai eterogeneo, che va dai servizi terziari avanzati, in cui

l’occupazione irregolare riguarda professioni ad elevata qualifica, offerti soprattutto da

residenti, agli alberghi e al lavoro domestico presso le famiglie, dove è massima

l’offerta di professioni a bassa qualifica di extracomunitari.

Nel settore agricolo ad una quota di lavoro irregolare che è più elevata di quella di tutti

gli altri settori fa riscontro una differenza fra CN e Rtfl decisamente modesta; da posi-

tiva che era nel 1995, diventa negativa negli ultimi due anni.

Fig. 4 - Confronto fra stime sul lavoro irregolare di CN e dati Rtfl per settore di attività. Veneto 1995-2000

-5,0

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

30,0

agricoltura industria costruzioni servizi

Occupati: differenza % CN/Rtfl % Unità di lavoro irregolari

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat

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Nell’industria, entrambi gli indicatori hanno valori bassissimi (meno del 3%), in con-

trasto con i risultati dell’attività ispettiva31. Malgrado la crescente partecipazione di

extracomunitari la differenza fra CN e Rtfl non è elevata e si riduce nel tempo. Il fatto

che rimanga pressoché costante nel tempo anche la quota di unità di lavoro irregolari,

potrebbe essere segno dell’esistenza di processi di turn-over nelle posizioni di lavoro ir-

regolari esistenti, che, come avviene per il lavoro a tempo determinato, costituiscono

solo una forma di primo ingresso nel mercato del lavoro, cui seguono forme di lavoro

più stabile e tutelato.

Per gli occupati in complesso, senza distinzione fra irregolari e irregolari, la CN stima il

numero degli occupati e delle unità di lavoro in complesso, anche a livello di branca di

attività, articolati secondo il tipo di posizione (dipendente, indipendente) (tab. 16). Poi-

ché disponiamo di dati sugli occupati in complesso (regolari e irregolari) dichiarati

dalle famiglie residenti nel Veneto, provenienti da Rtfl, elaborabili con lo stesso livello

di dettaglio settoriale di quelli di CN, è possibile fare alcune deduzioni sull’incidenza

del lavoro irregolare e delle posizioni di lavoro plurime anche per singola branca, ef-

fettuando il percorso in senso inverso a quello effettuato dall’Istat per la stima

dell’occupazione irregolare, cioè confrontando le posizioni di lavoro stimate da Istat nel

Veneto con l’occupazione dichiarata dalle famiglie del Veneto. La differenza positiva

dovrebbe essere interpretabile come la somma dei seguenti fenomeni di occupazione

aggiuntiva non rilevata da Rtfl: stranieri non residenti + occupati con primo lavoro non

regolare non dichiarati dalle famiglie.

Questa differenza resta abbastanza costante nel tempo (8%), riducendosi di un punto

solo nel 2000.

Nell’industria è elevata nel settore alimentare (fenomeno legato alla stagionalità della

produzione), nel settore della fabbricazione dei prodotti di minerali non metalliferi (cioè

soprattutto nell’industria del marmo, dove esistono professioni rifiutate dalla manodo-

pera residente per la pericolosità), e, in misura minore, in settori tradizionali in crisi

per la concorrenza di altri paesi a più basso costo del lavoro, quali l’industria

dell’abbigliamento e l’industria del legno e mobile in legno.

31. Al 2000 sono stati rilevati nell’industria 217 lavoratori in nero ogni 100 aziende visitate, contro i 164 lavoratori in nero ogni 100 aziende appartenenti al settore terziario.

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Questo risultato trova conferma nel valore non elevato del tasso di irregolarità stimato

per il Veneto da CN per l’industria delle costruzioni (6,8% delle ULA, contro il 15,9%

nazionale e il 28,8% delle regioni meridionali). Si tratta di un valore che contrasta con

l’esperienza empirica e l’evidenza dell’attività ispettiva. L’elevata attività di ristruttura-

zione edilizia presente nella nostra regione e la presenza di moltissime aziende di pic-

colissima dimensione, per lo più senza dipendenti, sono tutti elementi che giocano a

favore di una maggior capacità di nascondimento delle imprese irregolari in questo

settore. È probabile che l’irregolarità riguardi prevalentemente le posizioni plurime

(anche a livello nazionale nell’industria delle costruzioni ci sono 1,5 posizioni per ogni

occupato irregolare contro le 1,2 del lavoro regolare), di cui l’Istat non pubblica la

consistenza a livello regionale. Da non sottovalutare è infine, a partire dal 1998,

l’effetto di emersione indotto dalla legge sulla deducibilità fiscale delle spese per ri-

strutturazioni edilizie.

Tab. 16 - Occupati totali, dipendenti e indipendenti, media annua 2000. Confronto fra stima Istat, CN e Rtfl (valori in migliaia di unità). Veneto

CN

(valori assoluti)

Rtfl

(valori assoluti)

differenza CN-Rtfl

(valori assoluti)

differenza CN–Rtfl /Rtfl

valori %

totale

dip. indip. totale dip. indip. totale dip. indip. totale dip. indip.

Agricoltura, silvicoltura, pesca 84,9 29,2 55,7 87,7 18,0 69,7 -2,8 11,2 -14,0 -3,2 62,3 -20,1

Industria (esc. costr.): 685 573,7 113,3 665,2 554,4 114,7 15,8 19,3 -1,4 2,4 3,5 -1,2

- Ind. alimentari, bevande e tabacco 49,4 37,4 12,0 40,7 31,3 9,4 8,7 6,1 2,6 21,5 19,6 ---

- Ind. tessili e dell'abbigliamento 110,6 91,9 18,7 101,0 86,4 14,6 9,6 5,5 4,1 9,5 6,3 ---

- Ind. conciarie, prod. cuoio, pelle e sim. 45,3 37,2 8,1 50,0 41,9 8,1 -4,7 -4,7 0,0 -9,3 -11,1 ---

- Fabbr. prod. minerali non metalliferi 41,1 34,5 6,6 27,3 22,5 4,8 13,8 12,0 1,8 50,7 53,4 ---

- Prod. metallo e fabbr. prod. in metallo 94,6 79,7 14,9 87,8 73,9 13,9 6,8 5,8 1,0 7,7 7,8 ---

- Ind. meccaniche, elettromeccaniche 159,7 141,9 17,8 166,9 144,5 22,5 -7,2 -2,6 -4,7 -4,3 -1,8 -20,8

- Ind. legno, gomma, plastica e altre man. 119,1 91,2 27,9 101,3 72,6 28,7 17,8 18,6 -0,8 17,6 25,6 -2,6

Costruzioni 138,9 78,9 60,0 141,9 76,6 65,3 -3,0 2,3 -5,3 -2,1 3,0 -8,1

Comm. ingrosso e dettaglio; riparazioni 316,4 180,0 136,4 292,1 150,2 142,0 24,3 29,8 -5,6 8,3 19,9 -3,9

Alberghi e ristoranti 107,1 56,3 50,8 81,7 45,8 35,9 25,4 10,5 14,9 31,1 22,9 41,6

Servizi 750,0 603,6 146,4 667,9 529,5 136,8 82,1 74,1 9,6 12,3 14,0 7,0

- Trasporti, magazzinaggio e comunicaz. 91,8 72,0 19,8 89,5 68,0 21,6 2,3 4,0 -1,8 2,5 5,9 -8,1

- Intermediazione monetaria e finanziaria 47,4 43,0 4,4 55,1 45,3 9,9 -7,7 -2,3 -5,5 -14,0 -5,0 ---

- Att. imm., noleggio, informatica, ricerca 167,1 97,5 69,6 118,9 63,6 55,3 48,2 33,9 14,3 40,5 53,2 25,9

- P. amm. e difesa; ass. sociale obbligat. 79,5 79,5 0,0 93,1 92,0 1,2 -13,6 -12,5 -1,2 -14,6 -13,6 ---

- Istruzione 111,0 102,5 8,5 111,2 108,2 3,0 -0,2 -5,7 5,5 -0,2 -5,3 ---

- Sanità e altri servizi sociali 104,0 84,2 19,8 110,8 96,6 14,2 -6,8 -12,4 5,6 -6,1 -12,9 ---

- Altri serv. pubblici, sociali e pers. 72,6 48,3 24,3 76,6 44,8 31,7 -4,0 3,5 -7,4 -5,2 7,7 -23,4

- Serv. dom. presso famiglie e conv. 76,6 76,6 0,0 12,6 11,0 1,6 64,0 65,6 -1,6 508,2 596,3 ---

Totale 2.084,3 1.521,7 562,6 1940,3 1374,5 565,9 144,0 147,2 -3,3 7,4 10,7 -0,6

--- dato non significativo

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat

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Nell’insieme eterogeneo dei servizi non commerciali quasi tutta la differenza positiva è

dovuta ad alcuni specifici settori: i servizi domestici presso famiglie e convivenze, dove

gli occupati stimati da CN sono passati in cinque anni da 5 e 6 volte quelli di Rtfl, gli

alberghi e pubblici esercizi (+31%), le attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca,

altre attività professionali ed imprenditorialile (+41%), comprendenti sia servizi di con-

sulenza di alto livello, facenti ricorso a contratti che eludono la normativa contributiva

e finanziaria, sia attività quali il noleggio dei mezzi di trasporto e i servizi di facchinag-

gio e pulizia, gestiti talvolta con iniziative imprenditoriali che nascono e muoiono in

poco tempo.

Invece in altri settori, quali specificatamente la pubblica amministrazione, i servizi del

credito e intermediazione finanziaria, la produzione e distribuzione di energia elettrica,

di gas, di vapore e acqua le stime della contabilità nazionale si discostano negativa-

mente in modo crescente nel tempo dalle quantità dichiarate dalle famiglie.

La differenza fra l’occupazione in complesso stimata da CN e gli occupati secondo Rtfl,

dovuta soprattutto alla presenza extracomunitaria, è attribuibile totalmente all’occu-

pazione dipendente (147.000 unità, pari a 10,7%). Per l’occupazione indipendente,

invece, la differenza è negativa: - 0,6%.

Fra i dipendenti l’occupazione in più stimata da CN si concentra nell’agricoltura

(+62%), negli alberghi e pubblici esercizi (+22,9%), nel commercio (+19,9%) e nei ser-

vizi. In quest’ultimo settore quasi tutta l’ccupazione non dichiarata dalle famiglie si

concentra nei servizi alle imprese (‘immobiliari, ecc’, con 34.000 occupati in più sti-

mati da CN), malgrado la bassa presenza in questo settore della componente extraco-

munitaria, e nei servizi domestici dove l’occupazione reale, in base ai risultati

dell’indagine sui consumi delle famiglie, fatti propri da CN, risulta quasi otto volte su-

periore a quella esplicitamente dichiarata in Rtfl (76.600 contro 12.600). Nell’in-

dustria, invece, malgrado il peso che hanno al suo interno gli extracomunitari nel

Veneto, l’eccedenza della contabilità nazionale sulle forze di lavoro è di sole 19.300

unità dipendenti, pari al 3,5% (questo dato coincide con la quota di unità di lavoro ir-

regolari stimata da Istat) e -1.400 indipendenti (-1,2%).

Non è da sottovalutare, infine, la possibilità che le differenze fra un comparto e l’altro

siano in parte dovute all’attribuzione a branche diverse della stessa attività.

Nel settore dell’occupazione indipendente c’è scarto positivo nei comparti caratterizzati

da molte imprese di piccolissime dimensioni: in particolare in quello degli alberghi e

pubblici esercizi (+41,6%), e nelle attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, al-

tre attività professionali ed imprenditoriali (+25,9%) .

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La tabella che segue (tab. 17) consente di confrontare le differenze per branca fra le

due fonti con un indicatore dell’intensità di lavoro per occupato, costruito come diffe-

renza percentuale fra numero di unità di lavoro e numero di occupati stimati da CN

per l’occupazione in complesso (ultime tre colonne).

Tab. 17 - Occupati dichiarati, occupati regolari stimati e unità di lavoro in Veneto (media annua 2000). Confronto fra stime CN e Rtfl

Differenza numero occupati

CN - Rtfl (valori assoluti)

Differenza unità di lavoro -

occupati CN (valori assoluti)

Differenza CN - Rtfl numero

occupati (valori % su occ. CN)

Differenza unità di lavoro -

occupati CN (valori % su occ. CN)

totale

dip. indip. totale dip. indip. totale dip. indip. totale dip. indip.

Agricoltura, silvic., pesca -2,8 11,2 -14,0 26,3 -2,1 28,4 -3,3 38,4 -25,1 31,0 -7,2 51,0

Industria (totale): 16,7 21,6 -6,7 -3,2 -17,6 14,4 1,6 3,3 -3,8 -0,4 -2,7 8,3

Industria (esc. costr.): 15,8 19,3 -1,4 -12,3 -14,8 2,5 2,3 3,4 -1,2 -1,8 -2,6 2,2

- Estrazione di minerali -1,8 -1,1 -0,7 0,0 0,0 0,0 -84,2 -57,7 -336,0 0,0 0,0 0,0

- Ind. alimentari, bevande e tabacco 8,7 6,1 2,6 -1,5 -1,6 0,1 17,7 16,4 --- -3,0 -4,3 0,8

- Ind. tessili e dell'abbigliamento 9,6 5,5 4,1 -4,7 -5,1 0,4 8,7 6,0 22,0 -4,2 -5,5 2,1

- Ind. conciarie, prod. cuoio, pelle e sim. -4,7 -4,7 0,0 -1,1 -1,3 0,2 -10,3 -12,5 --- -2,4 -3,5 2,5

- Fabbr. pasta-carta, carta; stampa edit. 0,7 0,5 0,2 -0,5 -0,7 0,2 2,1 1,9 2,8 -1,5 -2,6 3,2

- Cokerie, raffinerie, chimiche, farmac. -22,5 -18,4 -4,1 -0,1 -0,2 0,1 -106,9 -90,7 -516,9 -0,5 -1,0 12,5

- Fabbr. prod. lav. minerali non metall. 13,8 12,0 1,8 -0,6 -0,7 0,1 33,6 34,8 --- -1,5 -2,0 1,5

- Prod. metallo e fabbr. prod. in metallo 6,8 5,8 1,0 -0,4 -0,9 0,5 7,1 7,2 6,6 -0,4 -1,1 3,4

- Ind. meccaniche, elettromeccaniche -7,2 -2,6 -4,7 -0,5 -1,1 0,6 -4,5 -1,8 -26,3 -0,3 -0,8 3,4

- Ind. legno, gomma, plastica e altre man. 17,8 18,6 -0,8 -2,7 -3,0 0,3 15,0 20,4 -2,7 -2,3 -3,3 1,1

- Prod. distr. en. el., gas, vapore, acqua -3,3 -2,5 -0,8 -0,2 -0,2 0,0 -30,6 -22,9 -1,9 -1,9

Costruzioni -3,0 2,3 -5,3 9,1 -2,8 11,9 -2,2 2,9 -8,8 6,6 -3,5 19,8

Comm. ingrosso e dettaglio; riparazioni 24,3 29,8 -5,6 -1,3 -12,3 11,0 7,7 16,6 -4,1 -0,4 -6,8 8,1

Alberghi e ristoranti 25,4 10,5 14,9 36,8 25,8 11,0 23,7 18,7 29,4 34,4 45,8 21,7

Servizi 82,1 74,1 9,6 20,9 -22,4 43,3 10,9 12,3 6,6 2,8 -3,7 29,6

- Trasp., magazzinaggio e comunicazioni 2,3 4,0 -1,8 28,8 16,5 12,3 2,5 5,6 -8,8 31,4 22,9 62,1

- Intermediazione monetaria e finanziaria -7,7 -2,3 -5,5 0,2 -0,8 1 -16,3 -5,3 --- 0,4 -1,9 22,7

- Att. imm., noleggio, informatica, ricerca 48,2 33,9 14,3 -20,9 -27,1 6,2 28,8 34,7 20,6 -12,5 -27,8 8,9

- P. amm. e difesa; ass. sociale obbligat. -13,6 -12,5 -1,2 -0,9 -0,9 0 -17,2 -15,7 --- -1,1 -1,1

- Istruzione -0,2 -5,7 5,5 0,6 -1,2 1,8 -0,2 -5,6 --- 0,5 -1,2 21,2

- Sanità e altri servizi sociali -6,8 -12,4 5,6 1,1 -0,5 1,6 -6,6 -14,7 --- 1,1 -0,6 8,1

- Altri serv. pubblici, sociali e pers. -4,0 3,5 -7,4 0,1 -2,7 2,8 -5,4 7,2 -30,5 0,1 -5,6 11,5

- Serv. dom. presso famiglie e conv. 64,0 65,6 -1,6 -21,8 -21,8 0 83,6 85,6 --- -28,5 -28,5

Totale 144,0 147,2 -3,3 79,5 -28,6 108,1 6,9 9,7 -0,6 3,8 -1,9 19,2

--- dato non significativo

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat

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In complesso nel Veneto il numero di unità di lavoro equivalenti stimato è superiore al

numero degli occupati: cioè ogni occupato lavora mediamente, fra secondi lavori, stra-

ordinari ecc., un numero di ore eccedenti quelle considerate normali (corrispondenti

ad un orario contrattuale). Nel lavoro indipendente le unità di lavoro sono superiori del

19% agli occupati (per effetto delle numerose posizioni plurime), mentre per i dipen-

denti la differenza è negativa (cioè mediamente in un anno, malgrado l’elevata quota di

assunzioni a tempo determinato, un occupato lavora l’1,9% in meno del tempo con-

sentito dal contratto).

Sia nel lavoro indipendente che, ancor più, in quello dipendente, l’eccedenza delle ULA

rispetto agli occupati risulta massima nel comparto degli alberghi e pubblici esercizi,

dove è anche elevata la differenza fra occupati stimati da CN e occupati dichiarati dalle

famiglie. L’eccedenza è anche molto elevata nel settore dei trasporti (soprattutto per il

lavoro indipendente, cioè per i ‘padroncini’), nell’agricoltura e nelle costruzioni (in en-

trambi solo per quanto riguarda il lavoro indipendente).

2.3.4 Il quadro di coerenza fra fonti

A conclusione di queste analisi, ci sembra di poter dire comunque che la stima più

corretta ed esaustiva dell’occupazione in complesso e della quota di unità di lavoro re-

golari è quella della Contabilità nazionale: - per il numero di fonti prese in considera-

zione e integrate fra loro; - per il livello di dettaglio a cui queste sono state utilizzate

(nella maggior parte dei casi a livello di dato elementare) e per le verifiche incrociate a

cui sono state sottoposte; - per l’ attenzione posta all’eliminazione delle duplicazioni

(almeno, fra imprese).

L’ammontare dell’occupazione in complesso stimato da CN per il Veneto, depurato

della componente extracomunitaria (stimata), è superiore di poco alla occupazione di-

chiarata dalle famiglie attraverso Rtfl (per entrambe le fonti le quantità sono misurate

come media annuale).

Questo risultato è scontato in partenza, in quanto Rtfl, negli anni successivi al censi-

mento della popolazione del 199132, costituisce per il 70% delle attività la fonte princi-

32. Attraverso un confronto a livello micro fra Rtfl e CP effettuato per il quarto trimestre 1991, l’Istat ha verificato la compatibilità fra le informazioni sull’occupazione fornite dallo stesso soggetto attraverso le due fonti. A livello nazionale è stata riscontrata una sottostima degli occupati da parte di Rtfl dell’ordine del 3% (di cui 21% classificati fra le persone in cerca di occupazione e 79% tra la popola-

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pale a partire dalla quale vengono aggiornate, per confronto con le posizioni rilevate

sulle fonti amministrative, le stime relative alla quantità di lavoro irregolare. L’assunto

in base al quale è fatta tale stima è che le famiglie, a differenza delle imprese, dichia-

rino integralmente sia l’occupazione regolare che quella irregolare. La consistenza e

l’andamento effettivo dell’occupazione irregolare dipende dunque per il 70% - in parti-

colare per tutto il settore industriale - dall’effettiva capacità dell’Rtfl di cogliere tale

componente

Vi sono delle differenze, però, nella distribuzione fra settori. Mentre nell’agricoltura e

nell’industria la differenza fra CN e Rtfl è dell’ordine del 3% (con segno negativo per

l’agricoltura e positivo per l’industria), per i servizi sale al 15% (14,7% nel 1998, 12,7%

nel 2000).

Le differenze più elevate riguardano le branche per le quali l’Istat ha stimato

l’occupazione in complesso ricorrendo a fonti indirette: ciò vale, in particolare per gli

alberghi e ristoranti (la differenza al 2000 era del 31%, del 41% per la sola occupa-

zione dipendente) e per i servizi domestici presso famiglie (608.000, contro 76.600, al

2000, con una differenza pari al 510%), stimati entrambi a partire dai consumi delle

famiglie.

A livello regionale l’Istat non diffonde dati disaggregati secondo le due componenti re-

golare e irregolare in termini di occupati, ma solo in termini di unità di lavoro (ULA),

perciò non è possibile conoscere il numero di prime posizioni regolari nel Veneto, ma

solo il numero di unità lavorative irregolari (cioè il numero di occupati che sarebbero

teoricamente necessari per effettuare tutte le ore di lavoro irregolari lavorate di fatto

nell’anno). Ciò rende difficile un confronto diretto con le posizioni di lavoro regolari re-

gistrate dalle fonti amministrative.

Benchè queste siano ormai sono quasi tutte informatizzate e in grado di monitorare,

seppur con un certo ritardo, l’andamento di fette consistenti dell’occupazione regolare,

non è facile valutare la coerenza dei risultati con il quadro generale di CN.

In particolare le posizioni lavorative computate sugli archivi gestionali Inps (nella ta-

bella è indicato il conteggio per sommatoria degli archivi), sono difficili da mettere di-

rettamente a confronto i dati di CN, in quanto la ripartizione è per archivi contributivi

e non per settori. Inoltre, a parità di campo di osservazione settoriale, manca il seg-

mento di lavoro indipendente costituito dagli imprenditori e liberi professionisti; per

zione non attiva). L’abbinamento fra dati individuali ha permesso di integrare le informazioni di Rtfl, recuperando quelle mancanti da CP.

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altro verso solo qui appare distinto dagli altri il segmento del lavoro parasubordinato

(che comprende anche una parte del lavoro dei liberi professionisti).

Nella tabella che segue (tab. 18) è stata effettuata una stima per settori di attività, al

1998 (anno per il quale sono disponibili a livello disaggregato anche i risultati di

Unioncamere), al fine di rendere possibile un confronto riepilogativo fra le varie fonti.

Tab. 18 – Quadro comparativo delle stime occupazionali per il Veneto a partire da diverse fonti (1998)

Unioncamere Inps (*) CN Rtfl posizioni lavorative

posizioni lavorative

occupati totali

unità di lavoro totali

unità di lavoro

regolari

ottobre occupati

media annua

occupati

agricoltura 153.795 122.046 87.300 118.200 84.600 80.982 86.283 industria 923.301 803.472 813.400 810.900 781.100 802.994 805.502 - ind. in senso stretto 786.179 687.100 676.400 656.700 674.503 675.778 - costruzioni 137.122 126.300 134.500 124.400 128.491 129.724 servizi 650.219 839.630 1.109.800 1.169.100 1.003.000 976.600 967.424 - commercio e p. es. 373.212 351.381 401.500 438.300 374.162 360.151 - altri servizi privati 277.007 270.892 420.800 440.300 316.967 319.826 - settore pubblico 86.585 287.500 290.500 285.471 287.447 Co.co.co 130.772 Totale escl. settore pubblico 1.727.315 1.677.563 1.723.000 1.807.700 1.575.105 1.571.762 TOTALE 1.764.148 2.010.500 2.098.200 1.868.700 1.860.576 1.859.209

(*) stima effettuata ripartendo i lavoratori dipendenti non agricoli fra industria, commercio e servizi, in base ai risultati pubblicati dall’Inps al 1997, e di una ponderazione dei risultati per luogo di lavoro anziché per luogo di contribuzione.

Fonte: elab. Veneto Lavoro su fonti varie

Le differenze a livello settoriale mettono in guardia da una lettura frettolosa degli an-

damenti congiunturali di singoli segmenti occupazionali, che prescinda da una attenta

valutazione del modo con cui vengono rilevate e assemblate le informazioni nella fonte

in esame.

In particolare, l’apparente sovrastima dell’occupazione nel settore agricolo da parte

delle fonti amministrative è dovuta all’esistenza in questo settore di un elevato numero

di posizioni lavorative plurime. A livello nazionale per ogni occupato regolare ci sono

7,36 posizioni lavorative. Nel Veneto il rapporto tra posizioni lavorative e occupati in

agricoltura oscillerebbe fra 1,69 (dati Unioncamere) e 1,40 (dati Inps), cioè un valore

notevolmente più modesto di quello risultante a livello medio italiano. Invece il rap-

porto tra unità di lavoro e occupati, risultante dalla contabilità regionale, è superiore:

1,35, contro le 1,2 unità rilevate a livello nazionale.

Nel settore dei servizi le stime della contabilità nazionale sono molto più accurate di

quelle delle statistiche amministrative. Le ragioni sono le stesse già enunciate per

spiegare la sovrastima rispetto a Rtfl. A parte la motivazione dovuta ad un’errata clas-

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sificazione delle attività da parte delle diverse tipologie di soggetti dichiaranti, il mag-

gior numero di occupati è probabilmente una conseguenza del fatto che in questo

settore si è fatto ricorso in misura più consistente a stime specifiche, anche con me-

todi indiretti (in particolare nei trasporti, negli alberghi e pubblici esercizi, nei servizi

bancari, nei servizi domestici), cogliendo una fascia di lavoro (per lo più irregolare) che

non risulta dalle statistiche amministrative.

Il settore industriale è quello nel quale i risultati delle diverse fonti amministrative ri-

sultano più coerenti con il quadro generale della contabilità regionale. L’occupazione

regolare può essere valutata con sufficiente correttezza anche indipendentemente dalla

fonte utilizzata, ma manca un’altrettanto approfondita valutazione dell’incidenza del

lavoro irregolare.

2.4 Dinamica recente dell’occupazione regolare

Secondo le statistiche ufficiali, elaborate sulla base di Rtfl, negli anni recenti

l’occupazione complessiva del Veneto è cresciuta di 29.000 occupati l’anno, ad un

tasso medio annuo dell’1,5%. Per ogni 100 occupati residenti mediamente nel 1995 ne

vengono rilevati 105,1 nel 2000, 106,7 nel 2001.

Tab. 19 - Veneto. Variazione media annua dell’occupazione secondo le stime CN e Rtfl (migliaia di unità) e tasso % medio annuo

Variaz. medie annuali (migliaia di unità) 95-96 96-97

97-98 98-99 99-00

95-00 variaz. media annua

95-00 variazione

totale

tasso % medio annuo

Occupati in complesso Rtfl 18,5 30,8 12,7 27,5 53,7 28,6 143,1 1,5 CN 23,4 23,7 12,6 26,8 47,0 26,7 133,5 1,3 di cui: escl. sett. pubblici Rtfl 18,5 31,2 4,1 14,8 38,6 21,4 107,2 1,4 CN 23,8 25,0 14,9 25,3 41,5 26,1 130,5 1,5

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat

Trattandosi di informazioni rilevate presso le famiglie residenti, secondo l’opinione cor-

rente questa crescita dovrebbe essere comprensiva sia del lavoro regolare sia di quello

irregolare, almeno per la parte residente nella regione.

Non vengono invece computati i lavoratori non residenti nella regione, in particolare i

nuovi ingressi di extracomunitari, che, invece, sappiamo essere state una delle com-

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ponenti più dinamiche del mercato del lavoro in questo periodo (nel 2000 il 14% delle

assunzioni ha riguardato extracomunitari), rimpiazzando i vuoti di offerta determinati

dal calo demografico e dall’aumento dei tassi di scolarizzazione.

D’altra parte, se si parte dalle stime della contabilità nazionale, che computano anche

gli extracomunitari, la crescita degli occupati in complesso (regolari e irregolari) fra il

1995 e il 2000 risulta leggermente inferiore, dell’ordine di poco più di 26.000 occupati

l’anno (con la sola eccezione del 2000, con 47.000 occupati in più rispetto all’anno

precedente), con un tasso pari all’1,3%. Questo risultato appare contradditorio con il

precedente.

Tuttavia, escludendo i settori a prevalente impiego pubblico, dove i cittadini extraco-

munitari non sono quasi presenti, i rapporti fra Rtfl e CN si invertono: il tasso di cre-

scita stimato da CN è di 1,5%, quello di Rtfl di 1,36%, con una differenza in valore as-

soluto pari a circa 5.000 occupati, imputabile alla componente migratoria. Si tratta di

un valore ancora notevolmente inferiore alle quantità stimate per i nuovi ingressi da

un anno all’altro (in particolare dal 1999 al 2000, in base ai dati registrati nei centri

per l’impiego, si stima un incremento netto di 15.000 extracomunitari per il solo lavoro

dipendente nel settore privato33).

È possibile che una parte degli extracomunitari entrati negli anni precedenti si stabi-

lizzi col tempo nella regione, e venga quindi colta anche attraverso le indagini svolte

presso le famiglie residenti.

Tab. 20 - Veneto. Serie storica degli occupati dichiarati in Rtfl secondo la cittadinanza. Valori medi annui (migliaia di unità)

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 Var. totale1993-1999

Val. assoluti (migl. di unità) cittadini Italiani e UE 1.798,3 1.777,8 1.784,3 1.800,0 1.828,9 1.838,9 1.860,4 extracomunitari 2,8 6,7 10,1 12,5 14,3 17,6 24,0 altri paesi ‘ricchi’ 0,6 1,0 0,2 0,5 0,5 0,7 0,3 dato mancante 0,9 1,3 2,7 2,6 2,7 2,1 2,0 totale occupati 1.802,6 1.786,8 1.797,2 1.815,7 1.846,5 1.859,2 1.886,7 % extracom/totale 0,2 0,4 0,6 0,7 0,8 0,9 1,3 Variazione media annua occupati totali -15,8 10,4 18,5 30,8 12,7 27,5 84,0 di cui: extracomunitari 3,9 3,4 2,4 1,8 3,2 6,4 21,2

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat, Rtfl

33. Cfr. Anastasia et al., 2001.

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La tab. 20, elaborata sui dati Rtfl consente di quantificare questa ipotesi: i lavoratori

extracomunitari residenti nel Veneto nel 1993 erano - secondo Rtfl - meno di 3.000; al

1999 sono diventati 24.000. Un quarto dell’aumento occupazionale complessivo colto da

questa fonte negli anni osservati, pari a 21.000 nuovi occupati su 84.000, è costituito

da cittadini extracomunitari residenti nel Veneto. Quasi tutti hanno un lavoro a tempo

indeterminato (o almeno lo dichiarano tale); quindi si tratta di lavoratori ormai stabiliz-

zati, che quasi certamente sono andati ad aggiungersi allo stock degli occupati regolari.

Tab. 21 - Numero di unità di lavoro regolari e irregolari nel Veneto dal 1995 al 1999 (valori medi annui, migliaia)

1995

1996 1997 1998 1999

Unità di lavoro in complesso 2.041,3 2.063,4 2.088,4 2.102,4 2.127,3 di cui: - regolari 1.812,7 1.837,1 1.861,4 1.868,7 1.893,5 - irregolari 228,6 226,3 227,0 233,7 233,8

Fonte: Istat, stime Contabilità Nazionale

Tab. 22 - Variazione media annua delle unità di lavoro regolari e irregolari secondo le stime CN 1995-1999 (migliaia) e tasso % medio annuo

95-96 96-97 97-98 98-99 95-00 variaz. media annua

95-00 variaz. totale

tasso % medio annuo

Unità di lavoro in complesso 22,10 25,00 14,00 24,90 21,5 86,0 1,0 di cui: - regolari 24,40 24,30 7,30 24,80 20,2 80,8 1,1 - irregolari -2,30 0,70 6,70 0,10 1,3 5,2 0,6

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat

Tab. 23 - Tasso di lavoro regolare nel Veneto e nelle altre ripartizioni dal 1995 al 1999 (% delle unità di lavoro regolari sul totale delle unità di lavoro)

1995

1996 1997 1998 1999

Veneto 88,8 89,0 89,1 88,9 89,0 Totale Italia 85,5 85,5 85,2 84,9 84,9 Nord-ovest 88,7 88,7 88,8 88,8 88,9 Nord-est 88,8 88,9 88,9 88,8 89,1 Centro 85,8 85,8 85,2 85,0 84,8 Mezzogiorno 79,3 79,1 78,4 77,7 77,4

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat

Secondo le stime per la contabilità nazionale, per il Veneto quasi tutto l’aumento oc-

cupazionale avvenuto fra il 1995 e il 1999, in termini di unità di lavoro, sarebbe do-

vuto alla componente regolare (+81.000 unità, con un tasso medio annuo dell’1,1%),

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mentre le unità di lavoro irregolari sarebbero aumentate di sole 5.000 unità, con un

tasso dello 0,6%.

Si tenga conto che queste quantità sono espresse in termini di unità di lavoro equiva-

lente e che non implicano necessariamente un incremento di occupati dello stesso or-

dine di grandezza.

Quello che viene stimato dalla contabilità nazionale, comunque, non è il flusso di lavo-

ratori irregolari, ma la variazione di stock. Le analisi effettuate sul lavoro a tempo de-

terminato insegnano che l’ordine di grandezza di uno stesso fenomeno può anche es-

sere molto diverso (anche fino a 10 volte tanto) a seconda che si misurino flussi o va-

riazioni di stock.

Tab. 24 - Numeri indice delle unità di lavoro regolari e non regolari per settore di attività economica dal 1995 al 1999 (base 1995=100). Veneto, Italia e Circoscrizioni

Veneto

Italia Nord-ovest Nord-est Centro Mezzogiorno

TOTALE ECONOMIA totali 102,3 106,9 100,8 100,9 110,1 111,2 regolari 104,5 101,9 102,8 104,3 101,4 99,0 irregolari 102,3 106,9 100,8 100,9 110,1 111,2 AGRICOLTURA totali 91,7 92,1 99,3 90,8 90,0 91,8 regolari 87,4 81,6 81,7 86,8 82,3 78,6 irregolari 91,7 92,1 99,3 90,8 90,0 91,8 INDUSTRIA totali 97,6 96,7 92,1 87,9 102,4 98,4 regolari 104,2 100,7 98,8 104,2 99,3 101,0 irregolari 97,6 96,7 92,1 87,9 102,4 98,4 INDUSTRIA in senso stretto totali 103,8 96,5 86,3 94,5 103,5 100,1 regolari 104,3 100,5 98,1 103,9 99,7 101,6 irregolari 103,8 96,5 86,3 94,5 103,5 100,1 COSTRUZIONI totali 87,2 96,9 103,6 72,8 101,1 96,9 regolari 103,9 101,4 102,1 105,3 98,0 99,5 irregolari 87,2 96,9 103,6 72,8 101,1 96,9 SERVIZI totali 105,3 112,4 102,7 105,0 113,7 123,1 regolari 106,4 104,5 106,8 106,3 103,4 101,5 irregolari 105,3 112,4 102,7 105,0 113,7 123,1

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat, CN

Nella seconda metà degli anni ’90 le unità di lavoro regolari sono cresciute nel Veneto

più che in tutte le altre regioni. Il numero indice calcolato rispetto al 1995 è pari a

104,5 con un distacco positivo di due punti rispetto a quello del lavoro irregolare

(all’opposto di ciò che avviene mediamente in Italia, dove l’indice del lavoro irregolare

supera di 5 punti quello del lavoro regolare). Solo in agricoltura il calo delle unità di

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lavoro regolari è stato più pronunciato, raggiungendo a fine periodo un valore di 87,4,

contro il 91,7 del lavoro irregolare, senza differenziazioni evidenti rispetto al compor-

tamento delle altre regioni.

Il lavoro irregolare è calato anche nell’industria e, in modo ancora più pronunciato, nel

settore delle costruzioni, anche se molto meno di quanto è avvenuto nel Nord-Est nel

suo complesso (gli indici a fine periodo sono rispettivamente, per il Veneto e il Nord-

Est, 97,6 e 87,9 per l’industria; 87,2 e 72,8 per le costruzioni).

L’unico settore in cui c’è stato un aumento di lavoro irregolare nel Veneto è quello dei

servizi, seppur sempre ad un tasso di crescita inferiore a quello del lavoro regolare.

Per comprendere quali segmenti occupazionali abbiano contribuito maggiormente al

divario riscontrato fra Rtfl e CN, nella tabella che segue abbiamo calcolato i numeri

indice (posto il valore al 1995=100) relativi alle serie dell’occupazione in complesso dal

1995 al 2000, costruite a partire da Rtfl e CN, per branche di attività confrontabili.

Il distacco positivo di Rtfl rispetto a CN si è realizzato soprattutto negli ultimi due anni

ed ha riguardato tutti i settori, con massima accentuazione nei servizi (il valore finale

del numero indice di Rtfl è 114,8 contro 111,1 di CN), in agricoltura (92,7 contro 88,3)

e nelle costruzioni (115,1 contro 109,6). Invece nell’industria in senso stretto la diffe-

renza è complessivamente pari a poco più di un punto, cui hanno contribuito in modo

particolare l’industria alimentare, il settore conciario, quello del marmo (lavorazione di

minerali non metalliferi), l’industria della stampa ed editoria.

Fra i servizi, i responsabili dell’aumento in Rtfl sono, sorprendentemente, soprattutto

quelli del settore pubblico allargato. In particolare l’occupazione nella pubblica ammi-

nistrazione in tutti gli anni ‘90 ha, secondo le stime della contabilità nazionale, anda-

mento opposto a quello che presenta in Rtfl (il numero indice a fine periodo assume ri-

spettivamente il valore di 95,7 e 107,3).

Anche l’occupazione nei settori a prevalente impiego pubblico dell’istruzione e della

sanità cresce più secondo Rtfl che secondo CN.

Invece nel settore dei trasporti e in quelli del commercio, alberghi e pubblici esercizi,

dove il lavoro irregolare prende più spesso le forme del ‘sommerso ricco’ (con molte po-

sizioni plurime e ore straordinarie), CN rileva quote crescenti di occupazione che non

trovano riscontro in Rtfl.

Rispetto a Rtfl il numero indice a fine periodo, a parità di campo di osservazione, è su-

periore di due punti: ad un aumento di 75.000 occupati rilevati attraverso l’Inps fa ri-

scontro un aumento di soli 15.000 occupati secondo Rtfl.

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Tab. 25 – Dinamica dell’occupazione per branca secondo le stime della contabilità regionale e secondo l’indagine sulle forze di lavoro. Numeri indice (1995=100)

STIME CONTABILITÀ REGIONALE (occupati) INDAGINE FORZE DI LAVORO (valori medi annui)

V.A.

migl.

NUMERI INDICE (1995=100) V.A.

migl.

NUMERI INDICE (1995=100)

2000

1995 1996 1997 1998 1999 2000 2000 1995 1996 1997 1998 1999 2000

Agricoltura,silvicoltura, pesca 84,9 100,0 94,0 98,2 90,8 89,6 88,3 87,7 100,0 95,9 98,3 91,2 92,3 92,7

Industria (escluse costruzioni) 687 100,0 100,8 102,5 104,2 104,1 104,2 669,1 100,0 100,9 103,9 106,7 106,8 105,6

- Estrazione di minerali 2,1 100,0 100,0 105,6 116,7 122,2 116,7 3,9 100,0 126,4 102,3 78,3 61,5 93,8

- Ind. alimentari, bevande e tabacco 49,4 100,0 98,7 102,2 107,9 105,9 108,3 40,7 100,0 100,4 109,6 116,9 119,5 112,1

- Ind. tessili e dell'abbigliamento 110,6 100,0 97,8 97,7 98,2 91,4 89,2 101,0 100,0 86,7 89,5 93,0 88,2 94,4

- Ind. conciarie, fabbr. prodotti in cuoio, pelle e similari 45,3 100,0 101,3 102,5 100,4 96,2 94,8 50,0 100,0 113,0 116,9 105,4 97,0 100,8

- Fabbr. pasta-carta, carta e prodotti di carta; stampa ed editoria 33,3 100,0 104,1 104,1 110,2 113,3 113,3 32,6 100,0 114,1 132,3 157,6 160,1 148,5

- Cokerie, raffinerie, chimiche, farmaceutiche 21,1 100,0 95,9 99,5 106,6 109,6 107,1 43,6 100,0 95,7 97,0 107,9 109,6 110,0

- Fabbr. prodotti lavorazione di minerali non metalliferi 41,1 100,0 107,9 111,2 109,0 112,0 112,0 27,3 100,0 134,4 141,0 135,9 148,9 123,9

- Prod. metallo e fabbr. prodotti in metallo 94,6 100,0 104,3 105,7 107,6 110,2 110,0 87,8 100,0 106,1 108,1 108,1 105,4 98,1

- Fabbr. macchine ed app. meccanici, elettr. ed ottici; mezzi di trasporto 159,7 100,0 101,4 105,5 108,3 109,7 113,2 166,9 100,0 101,2 106,6 110,3 113,3 111,7

- Ind. legno, gomma, plastica e altre manifatturiere 119,1 100,0 99,2 100,0 101,2 104,4 103,8 101,3 100,0 95,8 92,0 95,0 98,4 100,2

- Prod. e distr. energia elettrica, gas, vapore e acqua 10,7 100,0 98,4 92,7 91,1 87,0 87,0 14,0 100,0 101,8 103,1 104,4 105,8 109,3

Costruzioni 138,9 100,0 101,3 102,8 99,7 102,6 109,6 141,9 100,0 104,4 106,6 105,2 106,9 115,1

Commercio ingrosso e dettaglio; riparazioni 316,4 100,0 100,7 101,5 102,3 103,4 106,1 292,1 100,0 100,0 100,7 96,8 97,4 101,7

Alberghi e ristoranti 107,1 100,0 100,7 101,5 100,9 105,8 112,3 81,7 100,0 101,4 107,1 106,8 103,0 106,5

Servizi 750,0 100,0 102,9 103,4 104,9 107,5 111,1 667,9 100,0 101,7 101,8 104,4 108,7 114,8

- Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni 91,8 100,0 104,5 106,2 104,8 106,7 111,3 89,5 100,0 97,7 99,7 95,9 100,1 106,5

- Intermediazione monetaria e finanziaria 47,4 100,0 98,5 96,6 98,1 99,6 99,8 55,1 100,0 89,9 94,3 107,3 103,9 111,1

- Att. imm., noleggio, informatica, ricerca, altre att. prof. ed imprenditoriali 167,1 100,0 106,2 112,7 118,3 129,2 141,1 118,9 100,0 112,5 119,0 119,2 123,7 131,5

- P. amm. e difesa; ass. sociale obbligatoria 79,5 100,0 98,6 96,6 95,5 95,3 95,7 93,1 100,0 97,2 100,9 101,5 102,6 107,3

- Istruzione 111,0 100,0 99,5 99,3 97,8 99,3 100,9 111,2 100,0 99,1 92,5 92,2 100,5 113,5

- Sanità e altri servizi sociali 104,0 100,0 101,4 101,9 102,1 102,2 105,7 110,8 100,0 103,5 106,6 115,3 119,1 117,3

- Altri serv. pubblici, sociali e personali 72,6 100,0 103,5 102,5 108,4 113,0 115,1 76,6 100,0 105,4 95,8 99,9 113,6 120,2

- Servizi domestici presso famiglie e convivenze 76,6 100,0 110,1 106,1 109,5 107,3 105,9 12,6 100,0 116,3 94,6 98,8 82,6 85,6

Totale 2.084,3 100,0 101,2 102,4 103,1 104,4 106,8 1.940,3 100,0 101,0 102,7 103,4 105,0 108,0

Numeri indice (1997=100) 100,0 100,6 102,0 104,3 100,0 100,7 102,2 105,1

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat

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Tab. 26 – Dinamica dell’occupazione dipendente nei settori privati extragricoli secondo l’Inps e secondo l’Rtfl. Numeri indice (1997=100)

Archivi Inps (somma dati aggregati) Istat- Rtfl (residenti nel Veneto) V.A. numeri indice (1997=100) V.A. numeri indice (1997=100)

2000

1997 1998 1999 2000 2000 1997 1998 1999 2000 2001

Lav. dip.privati non agr.per provincia di contribuzione (DM10) (*) 1.062.691 100,0 101,7 104,0 107,9 1.051.379 100,0 101,7 103,2 105,4 107,3 Lav. dip. settore pubblico che versano all'Inps (DM10)(**) 19.024 100,0 99,1 34,6 22,7 23.093 100,0 104,5 118,7 135,5 127,4 Lav. dip. settore agr., caccia, foreste e pesca (DM10) (*) 12.059 100,0 100,7 100,6 104,3 2.821 100,0 102,4 115,2 80,2 101,4 Totale lavoratori dipendenti per luogo di contribuzione (DM10) (*) 1.093.774 100,0 101,5 98,6 101,3 Totale lavoratori dipendenti per luogo di lavoro (O1M/SA770) 1.123.365 100,0 102,3 99,9 100,6 1.077.293 100,0 101,8 103,5 105,8 107,6 Lavoratori dip. per luogo di lavoro (O1M) - solo sett. privato (*) 1.104.341 100,0 102,5 105,2 106,9 1.054.200 100,0 101,7 103,3 105,3 107,3 di cui: esclusi lavoratori extracomunitari 1.104.341 100,0 102,5 105,2 106,9 100,0 101,5 102,4 0,0 0,0 Artigiani e commercianti 375.705 100,0 100,8 102,0 102,5 324.568 100,0 97,6 93,3 91,7 94,3 Operai agricoli a tempo determinato 24.523 100,0 106,6 112,3 115,3 12.470 100,0 102,9 81,6 78,1 69,1 Operai agricoli a tempo indeterminato 10.987 100,0 97,8 99,7 103,8 2.704 100,0 96,7 123,7 119,5 127,0 Operai agricoli (***) 34.607 100,0 103,9 108,2 111,0 15.174 100,0 102,2 86,9 83,2 76,3 di cui: esclusi lavoratori extracomunitari 34.607 100,0 103,9 108,2 111,0 15.174 100,0 102,5 87,6 85,2 78,1 Agricoli autonomi 70.224 100,0 94,3 90,4 86,5 69.677 100,0 90,3 95,1 98,3 92,7 Lavoratori domestici 14.092 100,0 99,1 101,9 106,9 9.098 100,0 81,4 81,3 70,4 88,8 di cui: esclusi lavoratori extracomunitari 14.092 100,0 99,1 101,9 106,9 9.098 100,0 82,1 84,6 75,3 95,1 Totale campo osser. Inps (escl. dip. pubblici e parasubord.) 1.598.969 100,0 101,7 103,7 104,9 1.472.717 100,0 100,0 100,0 101,1 102,9 di cui: esclusi extracomunitari 1.598.969 100,0 101,7 103,7 104,9 100,0 99,8 99,4 Parasubordinati contribuenti nell'anno 100,0 123,2 114,8 0,0 Totale campo osservaz Inps compresi dip. pubblici, parasubordinati (****) e extracomunitari

100,0 103,2 101,2

di cui: esclusi lavoratori extracomunitari 100,0 103,2 101,2 altri fuori campo osservazione Inps (*****) 444.529 100,0 103,3 109,8 119,5 120,7 - P. amministrazione 88.445 100,0 101,4 101,9 105,5 120,3 - Istr. sanità 204.188 100,0 104,1 109,6 114,8 117,1 - imprenditori, lib. prof. e soci coop. 151.896 100,0 103,3 116,0 137,7 126,7 Totale occupati 1.940.339 100,0 100,7 102,2 105,1 106,7

(*) Il dato relativo ai lavoratori dipendenti è ottenuto come media annua delle osservazioni mensili. (**) Si tratta dei soli dipendenti di aziende del settore pubblico per i quali vengono effettuati versamenti di contributi all’Inps. Fino al 1998 venivano computati anche i dipendenti degli Enti Locali che versavano

all’Inps il contributo per i servizio sanitario nazionale. In Rtfl sono stati computati solo i dipendenti pubblici a tempo determinato. (***) Il numero dei lavoratori agricoli in Inps è minore della somma degli operai a tempo indeterminato e determinato, potendo un lavoratore avere nell'anno qualifiche diverse. (****) In Rtfl vengono sommati solo i parasubordinati che non dichiarano il primo lavoro nei settori precedenti. (*****) Le categorie che non sono comprese nel campo di osservazione sono: gli imprenditori, i professionisti e i soci di cooperativa non dipendenti e tutti gli addetti del settore pubblico (pubblica amministrazione,

istruzione, sanità) esclusi quelli assunti con contratto a tempo determinato.

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Istat

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Escludendo dal computo gli extracomunitari l’andamento dell’occupazione nel settore

privato dell’economia negli ultimi anni sarebbe addirittura leggermente decrescente

secondo i dati rilevati presso le famiglie.

La differenza negativa che si riscontra confrontando i valori del numero indice sul to-

tale degli archivi Inps con quelli relativi all’occupazione in complesso rilevata da rtfl

dipende dal diverso modo di conteggiare il settore pubblico34 e il lavoro subordinato.

Osservando più attentamente la tab. 26, nella quale sono stati calcolati per Inps e Rtfl

i numeri indice (1997=100) per settori confrontabili, si vede che al 2000 il numero

indice finale della serie lavoratori dipendenti extragricoli Inps per provincia di

contribuzione (prima riga) assume a fine periodo un valore superiore a quello di Rtfl

(107,9 contro 105,4).

L’occupazione regolare, misurata attraverso gli archivi amministrativi dell’Inps, è cre-

sciuta più di quella rilevata con l’indagine Rtfl anche negli altri settori, con la sola

esclusione di quello dei lavoratori agricoli autonomi, che sono, per motivi strutturali,

in continuo calo dagli anni ‘60.

Per la popolazione locale i tassi di crescita dell’occupazione regolare sono costante-

mente inferiori a quelli della popolazione totale (comprendente gli extracomunitari) in

tutti i settori, in particolare in quello degli operai agricoli e in quello dei lavoratori do-

mestici, che vengono sostituiti sempre più da manodopera extracomunitaria. Non a

caso quest’ultimo fenomeno non appare nella rilevazione effettuata presso le famiglie,

in quanto gli immigrati di recente non sono ancora residenti nel Veneto e pertanto non

vengono rilevati. Il calo dell’occupazione locale risulta leggibile in Rtfl solo per i dipen-

denti extragricoli, che più facilmente hanno potuto stabilizzarsi nella regione.

I settori esterni al campo di osservazione, peraltro, risultano essere quelli a massima

crescita: pubblica amministrazione (120,3), sanità e istruzione (117,1), imprenditori,

liberi professionisti e soci di cooperative (126,7).

Quali conclusioni possiamo trarre da questi risultati?

La crescita dell’occupazione che si è verificata in questi ultimi anni è indubbiamente

dovuta quasi tutta all’occupazione regolare, che è quella rilevata attraverso le statisti-

che amministrative.

34. Nell’archivio Inps i dipendenti di aziende del settore pubblico per i quali è previsto il versamento di contributi all’Inps, negli anni 1997 e 1998 comprendevano anche i dipendenti degli Enti locali per il versamento di contributi al servizio sanitario nazionale. Il calo che si riscontra negli ultimi due anni è apparente e dipende unicamente dal venir meno di tale obbligo contributivo.

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Il fatto che vi siano differenze nel cogliere l’intensità di crescita settoriale dell’occupa-

zione fra fonti di natura diversa può essere una conseguenza della coesistenza nel Ve-

neto di diverse tipologie di lavoro irregolare, con visibilità differenziata per i diversi

soggetti amministrativi.

Quest’ipotesi concorda con la lettura del lavoro irregolare nel Veneto data in altri set-

tori di questa ricerca, secondo la quale il sommerso nel Veneto è una realtà con molti

aspetti e molti significati.

Nella realtà regionale i lavori totalmente in nero alle dipendenze, imposti dalla domanda,

sono sempre meno numerosi e coinvolgono ormai quasi esclusivamente extracomunitari

nella fase di ingresso nel mercato del lavoro regionale, con elevato turn over.

D’altra parte il ricorso da parte delle imprese a lavoro irregolare per ragioni di ‘soprav-

vivenza nel mercato’ avverrebbe in un numero contenuto di casi, soprattutto da parte

delle imprese a loro volta sommerse, che non emergono dalle fonti amministrative, ma

solo attraverso indagini specifiche condotte con metodi indiretti, o dalle fonti ispettive.

Al lavoro sommerso ‘povero’, tipico delle economie arretrate, si va sostituendo nel Ve-

neto un ‘sommerso ricco’ , che si sovrappone al lavoro regolare e si diffonde in conti-

nuità con la crescita delle varie tipologie di lavoro atipico, confondendosi o trasfor-

mandosi spesso in esse (finti co.co.co., finti apprendisti, finti imprenditori, finte coope-

rative ) con finalità connesse all’aumento di flessibilità.

Analogamente a quanto succede per quasi tutti gli altri strumenti regolari di flessibi-

lità, l’incidenza del lavoro irregolare misurata in termini di stock di occupati appare

modesta, ma il coinvolgimento delle forze di lavoro è assai ampio: gran parte dei lavo-

ratori, chi più chi meno, sperimentano quando sono ancora studenti, o nella fase ini-

ziale di ingresso nel mercato del lavoro, o a seguito del pensionamento anticipato, o in

parallelo con la fase centrale della carriera lavorativa, forme di evasione parziale o to-

tale degli obblighi contributivi e/o fiscali, che possono convivere con forme di occupa-

zione regolare.

Riferimenti biliografici

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del lavoro nel Veneto. Tendenze e politiche. Rapporto 1995, Franco Angeli, Milano.

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namica e caratteristiche di uno stock eterogeneo, collana “I Tartufi”, n. 11, dicembre

(www.venetolavoro.it).

Anastasia B., Gambuzza M., Rasera M., 2001, Le sorti dei flussi: dimensione della do-

manda di lavoro, modalità di ingresso e rischio di disoccupazione dei lavoratori

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per, n. 30, novembre.

Baldassarini A., Sacco (1998), “L’economia sommersa. Definizioni e metodi di defini-

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2001.

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Capitolo 3°

EVIDENZE PER IL PERIODO 2000-2002 DALLE FONTI STATISTICHE

SULLE ATTIVITÀ DI VIGILANZA

3.1 Introduzione

In merito ai dati statistici sulle attività ispettive dei vari enti preposti alla vigilanza, i

rischi da un lato di interpretazioni distorte e dall’altro di sottovalutazioni sono note-

voli. Taluni utilizzano queste informazioni attribuendo ad esse un valore rappresenta-

tivo che non hanno, pervenendo così a stime infondate sulla consistenza del som-

merso lavorativo nel territorio. Altri, più attenti ad un uso corretto delle fonti ammini-

strative e consapevoli che le visite ispettive non sono realizzate sulla base di schemi di

campionamento, guardano con scetticismo a questa fonte e, di conseguenza, la tra-

scurano o la ignorano.

L’obiettivo dello studio qui presentato mira non solo a mettere in luce i limiti della

fonte, sotto il profilo della sua utilizzabilità a fini statistici nel quadro delle attività di

indagine sul lavoro sommerso, ma anche a valorizzarla, riconoscendole una ricchezza

di informazioni che, se opportunamente contestualizzate e trattate, possono aiutare ad

aumentare la conoscenza disponibile sul fenomeno del sommerso economico e in par-

ticolare sul lavoro nero.

Il focus principale della nostra analisi è costituito dai lavoratori in nero, cioè da coloro

che non risultano iscritti al libro paga se dipendenti o non risultano iscritti alla ge-

stione contributiva di pertinenza se autonomi (commercianti, artigiani, liberi profes-

sionisti) o parasubordinati (collaboratori coordinati e continuativi). Dal lato delle

aziende l’attenzione è focalizzata sia sulle aziende “sommerse”, vale a dire sulle im-

prese che non risultano iscritte all’Inps/Inail pur avendo dipendenti (di conseguenza

sommersi), sia sulle aziende irregolari in genere - includenti le sommerse - quelle in

cui, cioè, si sono registrate irregolarità nei rapporti di lavoro.

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I dati raccolti provengono dalle attività ispettive dell’Inps, delle Direzioni provinciali del

lavoro, dell’Inail e di alcuni enti di minor rilevanza in termini di attività ispettiva.

Si è scelto di sviluppare l’analisi per un periodo limitato, dal 2000 al 2002, perché le

procedure di raccolta e di elaborazione dei dati sulle visite ispettive sono mutate dal

2000 e la confrontabilità con gli anni precedenti non è assicurata. Inoltre, solo dal

2000 la fonte in esame consente, grazie alle nuove informazioni archiviate, di svolgere

analisi con un certo livello di approfondimento.

I molti dati raccolti sulle visite ispettive1 sono stati organizzati in questo capitolo in al-

cune tabelle strumentali a dare un quadro aggiornato delle irregolarità registrate e

funzionali al tentativo di rispondere ad alcune domande cruciali quali:

a. la dinamica del sommerso: cresce o cala?

b. quali sono le diverse specificità territoriali?

c. in che relazione sta il sommerso con la dimensione delle imprese e i diversi settori

produttivi?

d. quali sono le tipologie dei lavoratori in nero?

Sui temi sollevati dalle prime due domande si sofferma il paragrafo 3.4; il 3.5 tratta la

terza problematica affacciata, mentre l’ultimo paragrafo (3.6) conclude l’analisi con al-

cuni approfondimenti sui lavoratori in nero.

Una premessa sul significato delle informazioni desunte dalle visite ispettive è dovero-

sa vista la particolarità delle fonti amministrative considerate (paragrafo 3.2); al par. 3.3

si discutono i problemi derivanti dall’aggregazione di dati provenienti da enti diversi.

3.2 Ricchezza e limiti dei dati sulle visite ispettive

Le diverse fonti statistiche sulle visite ispettive (predisposte dai vari enti preposti: Inps,

Direzioni provinciali del lavoro, Inail) contengono una rilevante quantità di informa-

zioni sulle irregolarità riscontrate nell’impiego del fattore lavoro nel mondo produttivo,

ma tali informazioni, come già detto, per non divenire facili strumenti di distorte inter-

pretazioni, devono essere contestualizzate nel loro ambito di formazione.

1. Si veda, per maggiori informazioni, in appendice a questo capitolo, il dossier costruito con i dati delle visite ispettive dell’Inps.

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Innanzitutto va ribadito, come meglio verrà argomentato nel seguito, che i dati risul-

tanti dalle visite ispettive non possono essere considerati come stime delle irregolarità

(e in particolare del lavoro nero), ma costituiscono piuttosto utili informazioni sulle ti-

pologie del sommerso con riguardo sia alle imprese che ai lavoratori. Non si possono

utilizzare come base per indicatori di stima delle irregolarità perché le visite ispettive

non sono pianificate seguendo schemi di campionamento statistico2 e non hanno certo

un fine conoscitivo sul sommerso. Esse perseguono l’obiettivo di verificare il rispetto

delle norme (nel senso più ampio del termine) nel mondo del lavoro e le irregolarità che

vengono cercate variano a seconda dell’istituto che promuove l’attività ispettiva.

L’Inps si pone l’obiettivo principale di scovare irregolarità per quanto riguarda i versa-

menti dei contributi, l’Inail è principalmente interessato a ispezionare (controllare) si-

tuazioni di irregolarità legate alla materia infortunistica, le Direzioni provinciali del la-

voro (per brevità d’ora in poi: Ministero del lavoro) guardano ai diversi aspetti che inte-

ressano il mondo del lavoro comprese le violazioni nell’applicazione dei contratti.

Diversità tra i tre enti si colgono anche guardando alle determinanti lo sviluppo delle

attività ispettive. Il Ministero del lavoro si muove per lo più dietro segnalazione o in

base a indagini “settoriali” specifiche pianificate (lavoro minorile, lavoro agricolo, etc.);

gli altri due enti, invece, attuano le visite quasi esclusivamente sulla base di piani an-

nuali e provinciali stabiliti con l’obiettivo di realizzare il massimo risultato in termini di

recupero dei versamenti contributivi (Inps) e di riduzione del rischio del pagamento di

somme per infortuni (Inail).

Le risultanze che emergono dall’attività ispettiva rappresentano, quindi, l’esito di un

lavoro dovuto all’operare di tre fattori:

a. i programmi di vigilanza varati dagli istituti;

b. la disponibilità di ispettori in forza (in genere, ma non puntualmente, in numero-

sità correlata con la dimensione dell’universo delle imprese presenti sul territorio);

c. le segnalazioni di irregolarità pervenute.

Se è questo il contesto in cui vanno analizzati i dati sulle visite ispettive, risulta evi-

dente l’estrema cautela con cui devono essere svolti anche i confronti interprovinciali,

intersettoriali e intertemporali. Può accadere infatti che in una provincia emerga di più

il lavoro nero rispetto ad un’altra perché vi sono più aziende presenti sul territorio (il

2. Sommando le visite del Ministero del lavoro e quelle dell’Inps la percentuale del visitato è del 3% circa calcolato sull’universo Cerved-Infocamere.

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che dovrebbe equivalere a più ispettori in forza) o perché i settori considerati nelle vi-

site ispettive sono quelli in cui è possibile ci sia più lavoro nero o perché l’attività

ispettiva è stata più efficiente.

Nella comparazione tra anni diversi si deve tener conto che non solo possono variare i

programmi dell’attività ispettiva, ma anche le stesse forze ispettive messe in campo.

La significativa mole di informazioni che si può trarre dalle fonti sulle visite ispettive

va quindi interpretata alla luce del contesto in cui “si forma” il dato.

Altrettanto fondamentale è, poi, l’attenzione alla qualità dei dati raccolti e resi disponi-

bili. Solo attraverso un’analisi che segua tutti i passaggi, dalla verbalizzazione della vi-

sita all’imputazione dei dati e alla estrazione degli stessi, è possibile capire il signifi-

cato delle informazioni che i diversi enti forniscono sulle risultanze delle loro visite

ispettive. Così alcune variabili registrate nei verbali, seppure per contenuto siano di

estremo interesse, non possono essere considerate se non con estrema cautela data la

loro scarsa affidabilità: è questo il caso dell’occupazione totale (regolare e non)

dell’impresa visitata che non sempre viene registrata nei verbali.

Nelle tabelle che corredano questo saggio, si analizzano i dati sulle visite ispettive delle

principali fonti sopra richiamate (Inps, Ministero del lavoro, Inail) e si forniscono inol-

tre alcuni approfondimenti utilizzando distintamente la fonte Inps,3 che risulta essere

- sia per finalità dell’attività, che per numero di visite realizzate - la più rilevante.

Per quanto riguarda il trattamento dei dati si è ritenuto utile, oltre che presentare i va-

lori assoluti, costruire e studiare indicatori che consentano, pur con le cautele del caso,

anche alcune analisi comparate a livello territoriale e temporale.

Un’importante obiezione alla comparazione può essere avanzata assumendo - sulla

scorta della letteratura esistente - che la consistenza dell’economia sommersa dipende

in buona misura dalla struttura produttiva dei sistemi economici (che condiziona,

quindi, i tassi di irregolarità riscontrati in un territorio o in un periodo). La distorsione

che ne deriva in sede di comparazione territoriale risulta attenuata se si considera che

l’attività ispettiva in ogni provincia viene realizzata perseguendo l’obiettivo pianificato

(soprattutto nel caso dell’Inps) di massima ricerca del nero. Pertanto, i confronti inter-

provinciali, a prescindere dall’analisi settoriale, si possono pensare come comparazioni

tra “valori di massimo”.

3. Per un’analisi sulla fonte Inps si rinvia al già citato “dossier” in appendice a questo capitolo.

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Nei confronti intertemporali si deve tener conto delle variazioni dei programmi delle

attività di vigilanza che, comunque, sottendono sempre l’obiettivo di massimo risultato

sopra dichiarato.

Le forze ispettive in campo influiscono sulla numerosità delle visite ispettive, ma non

direttamente sui tassi di irregolarità.

3.3 Nota metodologica sull’aggregazione dei dati dei vari enti che hanno

compiti ispettivi

Per fornire un quadro complessivo delle risultanze delle visite ispettive nel periodo

analizzato (2000-2002) è necessario considerare tutte le fonti che svolgono attività

ispettiva.

Ogni ente svolge attività ispettiva per proprio conto e può incontrare situazioni che

interessano anche altri enti. Così, ad esempio, se il Ministero del lavoro nel corso dei

propri controlli trova lavoratori in nero, lo comunica all’Inps il quale non registra i dati

nell’archivio della vigilanza se non nel caso in cui la situazione trovata richieda diret-

tamente una visita dei propri ispettori, i quali allora daranno seguito ad un verbale i

cui dati verranno imputati nell’archivio. Quest’ultima condizione si verifica in un nu-

mero limitato di casi di comunicazioni da Ministero a Inps. Pertanto i dati del Mini-

stero del lavoro possono essere sommati a quelli dell’Inps con un basso errore di so-

vrapposizione, stimabile, sulla base dell’esperienza degli operatori addetti all’imputa-

zione dei dati, pari al 10%. Non si hanno elementi per valutare se il medesimo pro-

blema riguardi pure i rapporti tra Ministero ed Inail; in ogni caso considerata la più

bassa numerosità delle visite Inail, anche questa possibile sovrapposizione dovrebbe

avere un peso tale da non inficiare il dato complessivo e le analisi condotte su di esso.

Analoghe riflessioni valgono per gli altri enti (Enpals, Guardia di Finanza, Asl, etc.).

Oltre alle attività ispettive proprie dei singoli enti, ci sono quelle che vedono impegnati

sul campo più enti contemporaneamente. Si tratta della “vigilanza congiunta” e della

“vigilanza integrata”.

Alla prima, istituita presso le Direzioni provinciali del lavoro, partecipano congiunta-

mente le Direzioni del lavoro, l’Inps e l’Inail: i gruppi costituiti effettuano visite mirate

di particolare complessità che si concludono con un verbale congiunto.

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Quella integrata è invece una vigilanza di tipo straordinario mirata a settori in cui è

giudicato elevato il rischio di evasione contributiva e fiscale e coinvolge, oltre agli enti

menzionati, anche la Guardia delle Finanze e le Asl.

Infine, c’è la “vigilanza speciale” che nelle statistiche è spesso conglobata in quella

integrata (o viceversa); essa, a differenza della integrata, è rivolta ad accertare situa-

zioni di irregolarità in particolari ambiti come ad esempio il lavoro minorile, l’interme-

diazione di manodopera, l’impiego irregolare di lavoratori extracomunitari, etc..

In tutti casi in cui c’è la diretta partecipazione alle operazioni dei diversi enti, i dati

vengono registrati anche negli archivi dei singoli enti: ciò implica, in definitiva, la ne-

cessità di escludere i risultati della congiunta, dell’integrata e della speciale dalla

somma delle attività di vigilanza.

3.4 Sommerso: specificità territoriali e dinamiche

I primi elementi salienti che emergono dai dati delle visite ispettive sono evidenziati nel

graf. 1 riportante le informazioni sulla vigilanza complessiva (esclusa congiunta e spe-

ciale/integrata).

Graf. 1 - Aziende irregolari su visitate nelle province del Veneto. Attività di vigilanza dei vari enti (esclusa vigilanza congiunta e integrata/speciale)

0,0%

10,0%

20,0%

30,0%

40,0%

50,0%

60,0%

70,0%

80,0%

Belluno Padova Rovigo Treviso Venezia Verona Vicenza

2000 2001 2002Media Veneto 2000 Media Veneto 2001 Media Veneto 2002

Fonte: ns. elab. su dati della Direzione regionale del Ministero del lavoro (pubblicazioni 2000, 2001, 2002) e Inps

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Il tasso osservato di irregolarità delle aziende4 (aziende irregolari5 su visitate) è dimi-

nuito in Veneto dal 2000 al 2002: si è passati da un tasso di irregolarità del 58% nel

2000 al 43% nel 2002. Ciò non risulta imputabile a variazioni di impiego delle risorse

ispettive in campo. Se si considera che il numero delle aziende visitate è aumentato

nei tre periodi (tab. 1) si può supporre, piuttosto, una relazione positiva tra attività di

controllo e calo delle irregolarità.

A livello territoriale si nota che la provincia di Vicenza evidenzia tassi di irregolarità

sempre maggiori alla media regionale; Venezia ha caratteristiche simili, mentre Ve-

rona, dopo aver registrato tassi superiori alla media nel primo anno, si attesta succes-

sivamente sui livelli regionali.

La tab. 1 fornisce un quadro riepilogativo dell’attività ispettiva. In particolare riporta nelle

due ultime colonne un indice di misurazione dell’andamento del tassi di irregolarità,

calcolato come rapporto tra tassi riferiti a periodi diversi: al numeratore il tasso al tempo

t+1 e al denominatore il tasso al tempo t. Se il rapporto è maggiore di 1 allora il tasso di

irregolarità è in crescita, se minore di 1 è in calo, se uguale a 1 è stazionario. Come si può

osservare guardando alle vigilanze ordinarie più numerose in termini di aziende visitate

(Inps, Inail e Ministero del lavoro), gli indici sono in quasi tutte le province in calo e ciò

vale sia per l’attività dell’Inps che per quella dell’Inail e del Ministero del lavoro.

Il calo dei tassi di irregolarità delle aziende può far presumere che diminuisca anche il

tasso di lavoro nero (lavoratori in nero su aziende visitate) anche se non esiste neces-

sariamente una relazione perché il lavoro nero è solo una modalità - seppure impor-

tante - delle irregolarità possibili. Dall’analisi dei dati risulta che dal 2000 al 2002 anche i tassi di lavoro sommerso sono

scesi. Infatti la numerosità dei lavoratori in nero “scoperti” risulta abbastanza costante

(14.000 nel 2000, 15.000 nel 2001, 14.000 nel 2002) mentre è aumentato il numero di

aziende visitate (da 12.000 a 19.000). Di conseguenza in Veneto si è passati da un’in-

cidenza di 115 lavoratori in nero ogni 100 aziende visitate a 75 lavoratori in nero ogni

100 aziende visitate nel 2002 (tab. 2). La dinamica non risulta uniforme in tutto il ter-

ritorio: infatti si osservano tassi in crescita (si veda l’indice delle due ultime due colon-

ne della tabella) nel rodigino e nel veneziano tra il 2000 e il 2001 e nel padovano nel-

l’ultimo periodo considerato.

4. L’uso del termine “aziende” è in parte improprio in quanto si intende riferirsi non solo alle attività eco-nomiche con dipendenti, ma anche ai lavoratori autonomi che, come vedremo, sono soggetti alle visite ispettive dell’Inps.

5. “Aziende irregolari” significa aziende per le quali si è registrata una qualche irregolarità nell’applicazio-ne delle norme che regolano i rapporti di lavoro.

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Tab. 1 - Riepilogo attività di vigilanza dei vari enti. Province del Veneto. Anni 2000-2001-2002

2000 2001 Aziende visitate Aziende visitate

Regolari Non

regolari

Totale Irreg./tot. (a)

Regolari Non regolari

Totale Irreg./tot. (b)

Belluno Congiunta 12 11 23 47,8% 4 1 5 20,0% Speciale* 2 3 5 60,0% 48 8 56 14,3% Ministero del lavoro 108 109 217 50,2% 200 225 425 52,9% Inps 65 145 210 69,0% 383 242 625 38,7% Inail 100 69 169 40,8% 87 83 170 48,8% Altri enti 1 0 1 0,0% 0 3 3 100,0% Totale** 274 323 597 54,1% 670 553 1.223 45,2% Padova Congiunta 0 3 3 100,0% 35 45 80 56,3% Speciale* 1 13 14 92,9% 26 34 60 56,7% Ministero del lavoro 270 331 601 55,1% 376 461 837 55,1% Inps 1.026 938 1.964 47,8% 1.490 1.081 2.571 42,0% Inail 343 346 689 50,2% 184 350 534 65,5% Altri enti 18 13 31 41,9% 0 17 17 100,0% Totale** 1.657 1.628 3.285 49,6% 2.050 1.909 3.959 48,2% Rovigo Congiunta 50 56 106 52,8% 42 18 60 30,0% Speciale* 1 5 6 83,3% 76 90 166 54,2% Ministero del lavoro 375 224 599 37,4% 305 224 529 42,3% Inps 217 301 518 58,1% 599 351 950 36,9% Inail 30 41 71 57,7% 164 49 213 23,0% Altri enti 6 2 8 25,0% 0 3 3 100,0% Totale** 628 568 1.196 47,5% 1.068 627 1.695 37,0% Treviso Congiunta 2 12 14 85,7% 8 5 13 38,5% Speciale* 4 9 13 69,2% 69 30 99 30,3% Ministero del lavoro 223 344 567 60,7% 377 525 902 58,2% Inps 618 727 1.345 54,1% 1.541 1.029 2.570 40,0% Inail 492 196 688 28,5% 110 109 219 49,8% Altri enti 15 12 27 44,4% 2 14 16 87,5% Totale** 1.348 1.279 2.627 48,7% 2.030 1.677 3.707 45,2% Venezia Congiunta 1 9 10 90,0% 10 31 41 75,6% Speciale* 15 24 39 61,5% 13 116 129 89,9% Ministero del lavoro 495 430 925 46,5% 252 417 669 62,3% Inps 306 822 1.128 72,9% 1.016 1.312 2.328 56,4% Inail 172 228 400 57,0% 66 151 217 69,6% Altri enti 2 13 15 86,7% 4 9 13 69,2% Totale** 975 1.493 2.468 60,5% 1.338 1.889 3.227 58,5% Verona Congiunta 17 14 31 45,2% 14 35 49 71,4% Speciale* 2 12 14 85,7% 19 34 53 64,2% Ministero del lavoro 138 340 478 71,1% 159 324 483 67,1% Inps 455 1.297 1.752 74,0% 1.009 805 1.814 44,4% Inail 253 274 527 52,0% 478 287 765 37,5% Altri enti 11 19 30 63,3% 45 33 78 42,3% Totale** 857 1.930 2.787 69,3% 1.691 1.449 3.140 46,1% Vicenza Congiunta 4 6 10 60,0% 14 28 42 66,7% Speciale* 0 9 9 100,0% 34 38 72 52,8% Ministero del lavoro 312 301 613 49,1% 232 265 497 53,3% Inps 202 990 1.192 83,1% 769 919 1.688 54,4% Inail 62 91 153 59,5% 155 110 265 41,5% Altri enti 5 30 35 85,7% 1 4 5 80,0% Totale** 581 1.412 1.993 70,8% 1.157 1.298 2.455 52,9% VENETO Congiunta 86 111 197 56,3% 127 163 290 56,2% Speciale* 25 75 100 75,0% 285 350 635 55,1% Ministero del lavoro 1.921 2.079 4.000 52,0% 1.901 2.441 4.342 56,2% Inps 2.889 5.220 8.109 64,4% 6.807 5.739 12.546 45,7% Inail 1.452 1.245 2.697 46,2% 1.244 1.139 2.383 47,8% Altri enti 58 89 147 60,5% 52 83 135 61,5% Totale** 6.320 8.633 14.953 57,7% 10.004 9.402 19.406 48,4%

(segue)

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109

Tab. 1 - Riepilogo attività di vigilanza dei vari enti. Province del Veneto. Anni 2000-2001-2002 (segue)

2002 '01/'00 '02/'01 Aziende visitate

Regolari Non regolari

Totale Irreg./tot. (c)indice

b/a indice

c/b

Belluno Congiunta 9 4 13 30,8% 0,4 1,5 Speciale* 4 2 6 33,3% 0,2 2,3 Ministero del lavoro 211 158 369 42,8% 1,1 0,8 Inps 389 158 547 28,9% 0,6 0,7 Inail 84 72 156 46,2% 1,2 0,9 Altri enti 0 3 3 100,0% -- 1,0 Totale** 684 391 1.075 36,4% 0,8 0,8 Padova Congiunta 47 25 72 34,7% 0,6 0,6 Speciale* 78 59 137 43,1% 0,6 0,8 Ministero del lavoro 663 537 1.200 44,8% 1,0 0,8 Inps 1.401 1.006 2.407 41,8% 0,9 1,0 Inail 200 135 335 40,3% 1,3 0,6 Altri enti 2 15 17 88,2% 2,4 0,9 Totale** 2.266 1.693 3.959 42,8% 1,0 0,9 Rovigo Congiunta 43 31 74 41,9% 0,6 1,4 Speciale* 77 128 205 62,4% 0,7 1,2 Ministero del lavoro 439 271 710 38,2% 1,1 0,9 Inps 734 385 1.119 34,4% 0,6 0,9 Inail 75 37 112 33,0% 0,4 1,4 Altri enti 0 2 2 100,0% 4,0 1,0 Totale** 1.248 695 1.943 35,8% 0,8 1,0 Treviso Congiunta 0 11 11 100,0% 0,4 2,6 Speciale* 5 18 23 78,3% 0,4 2,6 Ministero del lavoro 291 385 676 57,0% 1,0 1,0 Inps 1.841 853 2.694 31,7% 0,7 0,8 Inail 218 255 473 53,9% 1,7 1,1 Altri enti 0 4 4 100,0% 2,0 1,1 Totale** 2.350 1.497 3.847 38,9% 0,9 0,9 Venezia Congiunta 21 55 76 72,4% 0,8 1,0 Speciale* 6 191 197 97,0% 1,5 1,1 Ministero del lavoro 271 482 753 64,0% 1,3 1,0 Inps 1.167 1.143 2.310 49,5% 0,8 0,9 Inail 228 191 419 45,6% 1,2 0,7 Altri enti 0 12 12 100,0% 0,8 1,4 Totale** 1.666 1.828 3.494 52,3% 1,0 0,9 Verona Congiunta 53 7 60 11,7% 1,6 0,2 Speciale* 18 30 48 62,5% 0,7 1,0 Ministero del lavoro 824 725 1.549 46,8% 0,9 0,7 Inps 1.301 1.057 2.358 44,8% 0,6 1,0 Inail 470 220 690 31,9% 0,7 0,8 Altri enti 11 27 38 71,1% 0,7 1,7 Totale** 2.606 2.029 4.635 43,8% 0,7 0,9 Vicenza Congiunta 14 25 39 64,1% 1,1 1,0 Speciale* 0 0 0 0,0% 0,5 0,0 Ministero del lavoro 234 210 444 47,3% 1,1 0,9 Inps 829 769 1.598 48,1% 0,7 0,9 Inail 127 90 217 41,5% 0,7 1,0 Altri enti 0 2 2 100,0% 0,9 1,3 Totale** 1.190 1.071 2.261 47,4% 0,7 0,9 VENETO Congiunta 187 158 345 45,8% 1,0 0,8 Speciale* 188 428 616 69,5% 0,7 1,3 Ministero del lavoro 2.933 2.768 5.701 48,6% 1,1 0,9 Inps 7.662 5.371 13.033 41,2% 0,7 0,9 Inail 1.402 1.000 2.402 41,6% 1,0 0,9 Altri enti 13 65 78 83,3% 1,0 1,4 Totale** 12.010 9.204 21.214 43,4% 0,8 0,9

Nota: I dati relativi all'Inps differiscono da quanto riportato nelle pubblicazioni della Direzione Regionale *) La vigilanza speciale contiene l'integrata Regionale. **) Il totale è calcolato escludendo la vigilanza congiunta e speciale.

Fonte: ns. elab. su dati della Direzione regionale del Ministero del lavoro e Inps

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Tab. 2 - Lavoratori in nero trovati nelle visite ispettive dell'Inps e del Ministero del lavoro. Province del Veneto. Anni 2000-2002

2000 2001 Lavoratori in

nero Aziende visitate

Lavoratori in nero ogni 100

aziende visitate (a)

Lavoratori in nero

Aziende visitate

Lavoratori in nero ogni 100

aziende visitate (b)

Belluno 360 427 84,31 588 1.050 56,00 Padova 1.985 2.565 77,39 2.307 3.408 67,69 Rovigo 516 1.117 46,20 1.096 1.479 74,10 Treviso 2.097 1.912 109,68 1.964 3.472 56,57 Venezia 2.410 2.053 117,39 3.626 2.997 120,99 Verona 3.441 2.230 154,30 3.227 2.297 140,49 Vicenza 3.068 1.805 169,97 2.462 2.185 112,68 VENETO 13.877 12.109 114,60 15.270 16.888 90,42

2002 '01/'00 '02/'01 Lavoratori in

nero Aziende visitate

Lavoratori in nero ogni 100

aziende visitate (c)

Indice b/a Indice c/b

Belluno 314 916 34,3 0,7 0,6 Padova 2.814 3.607 78,0 0,9 1,2 Rovigo 834 1.829 45,6 1,6 0,6 Treviso 1.758 3.370 52,2 0,5 0,9 Venezia 2.841 3.063 92,8 1,0 0,8 Verona 3.304 3.907 84,6 0,9 0,6 Vicenza 2.147 2.042 105,1 0,7 0,9 VENETO 14.012 18.734 74,8 0,8 0,8

Nota: nei dati Inps sono compresi i soggetti visitati (autonomi) e nel 2002 anche i collaboratori coordinati e continuativi

Fonte: ns. elab. su dati della Direzione regionale del Ministero del lavoro e Inps (imprese Dm, agricole e autonomi)

Graf. 2 - Numero lavoratori in nero ogni 100 aziende visitate. Attività di vigilanza del Ministero del lavoro e dell'Inps

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

Belluno Padova Rovigo Treviso Venezia Verona Vicenza

2000 2001 2002Media Veneto 2000 Media Veneto 2001 Media Veneto 2002

Fonte: ns. elab. su dati della Direzione regionale del Ministero del lavoro e sulla fonte visite ispettive dell'Inps

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Le aree di Verona, Venezia e Vicenza risultano, pur con oscillazioni tra un anno e l’al-

tro, quelle che presentano con significativa continuità il più elevato rapporto tra lavo-

ratori in nero scoperti e aziende visitate (graf. 2). Si tratta delle medesime aree territo-

riali per le quali si è già osservato, all’interno della regione, il più elevato rapporto tra

aziende irregolari e aziende visitate (cfr. graf. 1).

3.5 Dimensioni di impresa e settori produttivi

È largamente condivisa l’opinione che il lavoro nero sia più facilmente utilizzato nelle

imprese di piccole dimensioni, mentre quanto più complessa è l’organizzazione azien-

dale tanto più difficile è far ricorso diretto al lavoro nero. In tal caso, per risparmiare

sul costo del lavoro, si ricorre all’outsourcing coinvolgendo imprese di minori dimen-

sioni che sopportano costi organizzativi più bassi e che hanno maggiore flessibilità an-

che in termini di variazione del contingente di manodopera e che, al limite, possono

funzionare da “intermediari” con il lavoro nero.

Graf. 3.1 – Distribuzione delle imprese visitate per dimensione

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Belluno Padova Rovigo Treviso Venezia San Donà TotaleVenezia

Verona Vicenza VENETO

grandi medie piccole

Fonte: ns. elab. su dati Inps 2001

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Dai dati sulle visite ispettive dell’Inps si ricava che in Veneto oltre il 55% dei lavoratori

in nero “scoperti” è rintracciato nelle piccole6 imprese.7 Le piccole imprese costitui-

scono la quasi totalità delle imprese visitate e quindi non stupisce affatto che, paral-

lelamente, sia elevata la quota di lavoratori in nero ad esse attribuibile.

Peraltro, raffrontando i grafici 3.1 e 3.2 (entrambi contengono la disaggregazione pro-

vinciale e in questo caso si è mantenuta la distinzione tra Venezia e San Donà dispo-

nibile sempre nei dati dell’Inps) riferiti al 2001 come anno rappresentativo nell’analisi,

emerge che la quota di lavoro nero riscontrata nelle piccole aziende è inferiore alla

quota di queste sulle aziende visitate mentre si registra una quota di lavoratori in nero

“scoperti” nelle aziende di medie dimensioni più accentuata della quota di queste sul

totale delle aziende visitate.

Graf. 3.2 – Distribuzione dei lavoratori in nero “scoperti” per dimensione delle imprese

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Belluno Padova Rovigo Treviso Venezia San Donà TotaleVenezia

Verona Vicenza VENETO

grandi medie piccole

Fonte: ns. elab. su dati Inps 2001

6. Sono definite dall’Inps imprese piccole quelle fino a 9 dipendenti, medie quelle dai 10 ai 99 dipendenti e grandi quelle oltre.

7. Si rimanda al Dossier statistico per i dati suddivisi per dimensioni delle aziende.

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Tab. 3 - Aziende e lavoratori in nero per settori. Veneto. Anni 2000-2002

Aziende visitate Aziende in nero Aziende in nero su visitate

Lavoratori in nero

Lavoratori in nero su 100

aziende visitate

2000 Industria 1.555 85 5,5% 3.374 217,0 Metalmeccaniche 393 10 2,5% 664 169,0 Manifatturiere 502 32 6,4% 1.206 240,2 Chimiche 63 0 0,0% 103 163,5 Edili 414 32 7,7% 620 149,8 Varie 183 11 6,0% 781 426,8 Terziario 2.572 231 9,0% 4.219 164,0 All'ingrosso e al dettaglio 1.183 81 6,8% 1.241 104,9 Strutture alberghiere 146 3 2,1% 262 179,5 Ristorazione 802 97 12,1% 1.257 156,7 Varie 441 50 11,3% 1.459 330,8 Artigianato 2.029 119 5,9% 2.428 119,7 Metalmeccaniche 387 10 2,6% 339 87,6 Manifatturiere 798 50 6,3% 1.297 162,5 Chimiche 33 0 0,0% 21 63,6 Edili 595 48 8,1% 629 105,7 Varie 216 11 5,1% 142 65,7 Altro 170 5 2,9% 49 28,8 Agricoltura 384 39 10,2% 419 109,1 Autonomi 1.399 - - 316 22,6 Collaboratori coord. e cont. nd nd - nd nd TOTALE 8.109 479 5,9% 10.805 133,2 2001 Industria 1.656 71 4,3% 3.603 217,6 Metalmeccaniche 364 5 1,4% 1.012 278,0 Manifatturiere 503 19 3,8% 361 71,8 Chimiche 41 2 4,9% 61 148,8 Edili 595 36 6,1% 571 96,0 Varie 153 9 5,9% 1.598 1044,4 Terziario 3.559 301 8,5% 4.613 129,6 All'ingrosso e al dettaglio 1.778 140 7,9% 1.250 70,3 Strutture alberghiere 363 7 1,9% 535 147,4 Ristorazione 988 112 11,3% 1.278 129,4 Varie 430 42 9,8% 1.550 360,5 Artigianato 2.711 154 5,7% 2.092 77,2 Metalmeccaniche 315 8 2,5% 381 121,0 Manifatturiere 970 34 3,5% 796 82,1 Chimiche 24 0 0,0% 27 112,5 Edili 1.043 82 7,9% 738 70,8 Varie 359 30 8,4% 150 41,8 Altro 111 3 2,7% 32 28,8 Agricoltura 600 63 10,5% 583 97,2 Autonomi 3.909 - - 779 19,9 Collaboratori coord. e cont. nd nd - nd nd TOTALE 12.546 592 4,7% 11.702 93,3 2002 Industria 1.625 72 4,4% 4.539 279,3 Metalmeccaniche 380 8 2,1% 628 165,3 Manifatturiere 438 21 4,8% 725 165,5 Chimiche 43 0 0,0% 153 355,8 Edili 619 35 5,7% 668 107,9 Varie 145 8 5,5% 2.365 1631,0 Terziario 3.236 348 10,8% 2.582 79,8 All'ingrosso e al dettaglio 1.552 164 10,6% 685 44,1 Strutture alberghiere 178 2 1,1% 128 71,9 Ristorazione 1.003 129 12,9% 1.218 121,4 Varie 503 53 10,5% 551 109,5 Artigianato 2.360 160 6,8% 1.788 75,8 Metalmeccaniche 313 15 4,8% 227 72,5 Manifatturiere 644 43 6,7% 763 118,5 Chimiche 18 0 0,0% 12 66,7 Edili 966 76 7,9% 608 62,9 Varie 419 26 6,2% 178 42,5 Altro 92 3 3,3% 221 240,2 Agricoltura 337 35 10,4% 308 91,4 Autonomi 5.383 - - 698 13,0 Collaboratori coord. cont. nd nd - 477 nd TOTALE 13.033 618 4,7% 10.613 81,4

Nota: con il termine aziende ci si riferisce anche ai soggetti (autonomi e coordinati - continuativi). Fonte: ns. elab. su dati Inps (imprese DM, agricole e autonomi)

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Per quanto riguarda le “specificità settoriali” del sommerso, è noto, anche dai dati di

contabilità nazionale, che il sommerso coinvolge particolarmente alcuni comparti

dell’economia quali l’agricoltura, l’edilizia e alcune tipologie di servizi.

Con la fonte Inps sulle visite ispettive è possibile calcolare l’incidenza sia delle aziende in

nero sul totale delle aziende visitate sia dei lavoratori in nero ogni 100 aziende visitate.

L’esito dell’analisi mostra che l’incidenza più elevata per quanto riguarda le aziende in

nero sul totale delle visitate è riscontrabile nell’agricoltura e in alcuni segmenti del ter-

ziario (ristorazione) (tab. 3).

Per quanto riguarda il lavoro nero i valori più elevati si riscontrano nell’industria (e

non solo nell’edilizia). Nel terziario si riscontrano valori elevati nei comparti classificati

come “varie” e nella ristorazione.

Anche i dati Inps, come quelli complessivi già commentati, evidenziano una sostan-

ziale continuità nel numero di lavoratori in nero “scoperti”: circa 11.000 nel 2000,

12.000 nel 2001, 11.000 nel 2002. La distribuzione settoriale vede nel 2002 al primo

posto l’industria, cresciuta da 3.400 a 4.500 lavoratori in nero, mentre il settore ter-

ziario è passato da 4.200 lavoratori in nero nel 2000 a 2.600 nel 2002. Anche i lavo-

ratori in nero scoperti nell’artigianato sono diminuiti, passando da 2.400 nel 2000 a

1.800 nel 2002. Modesto è il rilievo assoluto dell’agricoltura: 420 lavoratori in nero nel

2000, 310 nel 2002. In crescita risultano gli autonomi (700 nel 2002).

3.6 I lavoratori in nero: stranieri ma non solo

I dati delle visite ispettive dell’Inps e del Ministero del lavoro consentono di disaggre-

gare in diverse tipologie i lavoratori in nero trovati a seguito dell’attività ispettiva.

Dopo aver valutato la scarsa variabilità del peso delle singole tipologie nel tempo, si è

scelto di aggregare i singoli contingenti di lavoratori in nero trovati nei tre anni consi-

derati raggiungendo così un totale di oltre 40.000 lavoratori tra le visite ispettive

dell’Inps (escluso autonomi) e quelle del Ministero del lavoro (tab. 4).

Ogni 100 lavoratori in nero trovati nelle aziende venete, 26 risultano stranieri, quasi

totalmente extracomunitari8, 2 sono pensionati, 2 sono distribuiti tra categorie di poco

rilievo (lavoratori in cassa integrazione, percettori di indennità di disoccupazione, in ma-

8. Non è stata riportata l’informazione distinta per extracomunitari perché essa era disponibile solo nei dati Inps dai quali risulta che nei tre anni il peso dei lavoratori extracomunitari è del 93% sul totale stranieri.

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lattia, doppio lavoristi, minori, studenti) mentre, infine, la maggioranza (70 lavoratori su

100) è rappresentata da soggetti non appartenenti a tipologie specificamente monitorate.

I lavoratori stranieri in nero raggiungono le quote più consistenti sull’intero ammon-

tare dei lavoratori sommersi nelle province di Treviso (44%), Padova (37%) e Vicenza

(28%). La distribuzione territoriale dell’immigrazione regolare (con permesso di sog-

giorno) in Veneto giustifica le alte quote nel trevigiano e nel vicentino, meno invece nel

padovano. Vi è da ritenere, anche sulla base delle notizie di cronaca riportate nella

stampa, che siano le comunità cinesi, molto diffuse nella provincia del Santo ma poco

presenti nelle statistiche del Ministero dell’Interno, ad alzare la quota padovana. Nelle

altre aree territoriali si raggiunge la quota del 20% a Verona, mentre la minor inci-

denza è osservata a Rovigo (12%), Belluno e Venezia (18%).

Tab. 4 - Tipologie di lavoratori in nero trovati nelle visite ispettive dell'Inps e del Ministero del lavoro negli anni 2000-2002. Province del Veneto

Cig Malattia, mater-nità e

infortuni

Lavora-tori in

disoccu-pazione

Doppio lavoro

Minori Stranieri Studenti Pensio-nati

Altri non registrati

libro paga

TOTALE

Anni 2000 20 2 47 18 60 3.085 33 217 10.079 13.561 2001 17 5 31 36 82 3.218 60 258 10.784 14.491 2002 2 1 38 47 128 4.499 87 215 7.820 12.837 TOTALE 39 8 116 101 270 10.802 180 690 28.683 40.889 Comp. % 2000 0,1% 0,0% 0,3% 0,1% 0,4% 22,7% 0,2% 1,6% 74,3% 100,0% 2001 0,1% 0,0% 0,2% 0,2% 0,6% 22,2% 0,4% 1,8% 74,4% 100,0% 2002 0,0% 0,0% 0,3% 0,4% 1,0% 35,0% 0,7% 1,7% 60,9% 100,0% Province Belluno 3 0 2 21 41 209 6 26 877 1.185 Padova 2 0 28 12 32 2.355 65 120 3.766 6.380 Rovigo 12 2 61 1 41 284 9 26 1.952 2.388 Treviso 2 2 5 20 19 2.370 39 115 2.848 5.420 Venezia 1 3 4 18 60 1.533 21 157 6.709 8.506 Verona 0 0 9 11 65 1.926 26 145 7.287 9.469 Vicenza 19 1 7 18 12 2.125 14 101 5.244 7.541 VENETO 39 8 116 101 270 10.802 180 690 28.683 40.889 Comp. % Belluno 0,3% 0,0% 0,2% 1,8% 3,5% 17,6% 0,5% 2,2% 74,0% 100,0% Padova 0,0% 0,0% 0,4% 0,2% 0,5% 36,9% 1,0% 1,9% 59,0% 100,0% Rovigo 0,5% 0,1% 2,6% 0,0% 1,7% 11,9% 0,4% 1,1% 81,7% 100,0% Treviso 0,0% 0,0% 0,1% 0,4% 0,4% 43,7% 0,7% 2,1% 52,5% 100,0% Venezia 0,0% 0,0% 0,0% 0,2% 0,7% 18,0% 0,2% 1,8% 78,9% 100,0% Verona 0,0% 0,0% 0,1% 0,1% 0,7% 20,3% 0,3% 1,5% 77,0% 100,0% Vicenza 0,3% 0,0% 0,1% 0,2% 0,2% 28,2% 0,2% 1,3% 69,5% 100,0% VENETO 0,1% 0,0% 0,3% 0,2% 0,7% 26,4% 0,4% 1,7% 70,1% 100,0%

Nota: i dati Inps sommati riguardano le aziende DM e quelle agricole. Sono esclusi gli autonomi.

Fonte: ns. elab. su dati della Direzione regionale del Ministero del lavoro e Inps

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I pensionati che lavorano in nero hanno un peso uniforme in tutte le province (attorno

al 2%, tranne Rovigo con l’1%), il che è equivale ad affermare la “strutturalità” del fe-

nomeno visto che non si osserva variabilità tra contesti diversi. Una quota così ridotta

di pensionati può trovare spiegazione con il fatto che essi difficilmente rientrano in

una struttura produttiva quale è l’azienda con dipendenti (principale oggetto di atten-

zione nelle visite ispettive) mentre più facilmente svolgono lavori per artigiani senza

dipendenti (soprattutto in edilizia) o per conto proprio magari per la fornitura di servizi

alle famiglie. Quindi essi possono risultare più “nascosti” nel tessuto produttivo e diffi-

cilmente catturabili dalle attività ispettive.

Un’ultima annotazione è dedicata ai periodi di omissione e alle fasce di età dei lavora-

tori in nero: si tratta di temi indagabili solo con i dati Inps. I periodi di omissione, in

mancanza di elementi probanti riscontrati nell’analisi dei documenti dell’azienda, ven-

gono calcolati dagli ispettori attraverso il colloquio svolto con il lavoratore.

Tab. 5 - Lavoratori in nero presso aziende dell'industria e dei servizi (DM) per periodi di omissione e fasce di età. Anni 2000-2002. Province del Veneto

Periodi di omissione Fasce di età

< 1 mese 1 anno<> 1 mese

> 1 anno Totale fino a 20 anni

21-30 anni

31-40 anni

oltre 40 anni

Totale

Anni 2000 2.140 6.311 1.619 10.070 1.005 5.075 2.704 1.286 10.070 2001 3.315 5.728 1.297 10.340 1.025 5.129 2.518 1.668 10.340 2002 2.880 5.549 710 9.139 1.079 3.906 2.748 1.406 9.139 TOTALE 8.335 17.588 3.626 29.549 3.109 14.110 7.970 4.360 29.549 Comp. % 2000 21,3% 62,7% 16,1% 100,0% 10,0% 50,4% 26,9% 12,8% 100,0% 2001 32,1% 55,4% 12,5% 100,0% 9,9% 49,6% 24,4% 16,1% 100,0% 2002 31,5% 60,7% 7,8% 100,0% 11,8% 42,7% 30,1% 15,4% 100,0% Province Belluno 476 121 37 634 73 212 145 204 634 Padova 1.526 2.860 714 5.100 348 1.922 1.976 854 5.100 Rovigo 642 758 124 1.524 221 625 384 294 1.524 Treviso 997 2.680 589 4.266 330 2.288 1.152 496 4.266 Venezia 1.507 2.946 864 5.317 777 2.656 1.005 879 5.317 Verona 1.775 4.478 588 6.841 957 3.819 1.496 569 6.841 Vicenza 1.412 3.745 710 5.867 403 2.588 1.812 1.064 5.867 VENETO 8.335 17.588 3.626 29.549 3.109 14.110 7.970 4.360 29.549 Comp. % Belluno 75,1% 19,1% 5,8% 100,0% 11,5% 33,4% 22,9% 32,2% 100,0% Padova 29,9% 56,1% 14,0% 100,0% 6,8% 37,7% 38,7% 16,7% 100,0% Rovigo 42,1% 49,7% 8,1% 100,0% 14,5% 41,0% 25,2% 19,3% 100,0% Treviso 23,4% 62,8% 13,8% 100,0% 7,7% 53,6% 27,0% 11,6% 100,0% Venezia 28,3% 55,4% 16,2% 100,0% 14,6% 50,0% 18,9% 16,5% 100,0% Verona 25,9% 65,5% 8,6% 100,0% 14,0% 55,8% 21,9% 8,3% 100,0% Vicenza 24,1% 63,8% 12,1% 100,0% 6,9% 44,1% 30,9% 18,1% 100,0% VENETO 28,2% 59,5% 12,3% 100,0% 10,5% 47,8% 27,0% 14,8% 100,0%

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

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Nei settori dell’industria e dei servizi (aziende DM, tab. 5) l’88% dei lavoratori in nero,

nell’insieme del triennio indagato, risultava in forza da meno di un anno (il 28% da

meno di un mese).

Le quote più rilevanti di durate lunghe di attività in nero sono registrate a Venezia

(16%), Padova e Treviso (14%), mentre Belluno e Rovigo si caratterizzano per

un’elevata incidenza di durate inferiori a un mese (rispettivamente 75% e 42%).

Per quanto riguarda l’età dei lavoratori in nero emerge un dato di un certo interesse

relativo alla maggior quota di giovani, sotto i 20 anni, nelle province di Rovigo, Venezia

e Verona (14-15% del totale).

D’altro canto, i lavoratori in nero con più di 40 anni, che in Veneto pesano per il 15%,

raggiungono punte del 32% a Belluno e del 19% a Rovigo.

Tab. 6 - Lavoratori in nero presso aziende agricole per periodi di omissione e fasce di età. Anni 2000-2002. Province del Veneto

Periodi di omissione Fasce di età

< 1 mese 1 anno<> 1 mese

> 1 anno Totale fino a 20 anni

21-30 anni

31-40 anni

oltre 40 anni

Totale

Anni 2000 270 122 27 419 39 128 91 161 419 2001 444 115 24 583 77 116 112 278 583 2002 226 65 17 308 26 81 53 148 308 TOTALE 940 302 68 1.310 142 325 256 587 1.310 Comp. % 2000 64,4% 29,1% 6,4% 100,0% 9,3% 30,5% 21,7% 38,4% 100,0% 2001 76,2% 19,7% 4,1% 100,0% 13,2% 19,9% 19,2% 47,7% 100,0% 2002 73,4% 21,1% 5,5% 100,0% 8,4% 26,3% 17,2% 48,1% 100,0% Province Belluno 1 0 0 1 1 0 0 0 1 Padova 93 125 12 230 7 63 95 65 230 Rovigo 151 11 5 167 52 29 26 60 167 Treviso 57 33 9 99 7 20 19 53 99 Venezia 29 28 13 70 9 14 11 36 70 Verona 595 50 8 653 61 169 95 328 653 Vicenza 14 55 21 90 5 30 10 45 90 VENETO 940 302 68 1.310 142 325 256 587 1.310 Comp. % Belluno 100,0% 0,0% 0,0% 100,0% 100,0% 0,0% 0,0% 0,0% 100,0% Padova 40,4% 54,3% 5,2% 100,0% 3,0% 27,4% 41,3% 28,3% 100,0% Rovigo 90,4% 6,6% 3,0% 100,0% 31,1% 17,4% 15,6% 35,9% 100,0% Treviso 57,6% 33,3% 9,1% 100,0% 7,1% 20,2% 19,2% 53,5% 100,0% Venezia 41,4% 40,0% 18,6% 100,0% 12,9% 20,0% 15,7% 51,4% 100,0% Verona 91,1% 7,7% 1,2% 100,0% 9,3% 25,9% 14,5% 50,2% 100,0% Vicenza 15,6% 61,1% 23,3% 100,0% 5,6% 33,3% 11,1% 50,0% 100,0% VENETO 71,8% 23,1% 5,2% 100,0% 10,8% 24,8% 19,5% 44,8% 100,0%

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

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Le distribuzioni per età e periodo di omissione mutano nel settore agricolo (aziende di

produzione e di trasformazione) (tab. 6). Come ci si poteva ragionevolmente aspettare,

la stragrande maggioranza, pari al 72% dei lavoratori in nero, fa registrare periodi di

omissione inferiori al mese, che sommati alle durate fino ad un anno rappresentano la

quasi totalità (95%).

Significativamente diversa è anche la distribuzione per classi di età, rispetto a quanto

visto per i settori dell’industria e dei servizi. La differenza rilevante riguarda la fascia di

età oltre i 40 anni: questo segmento rappresenta ben il 45% dei lavoratori in nero agri-

coli contro il ridotto 15% osservato negli altri comparti produttivi. Quindi, il profilo del

lavoratore in nero nel settore agricolo è quello di un lavoratore in età matura, mentre

negli altri settori si tratta soprattutto di giovani con meno di 30 anni (58%).

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Appendice

DOSSIER STATISTICO SUGLI ESITI DELL’ATTIVITÀ DI VIGILANZA DELL’INPS

NEGLI ANNI 2000-2002 IN VENETO

1. Guida alla lettura delle tabelle e note sulla fonte delle visite ispettive

Le tabelle che seguono sono state prodotte con i dati delle visite ispettive dell’Inps. La

fonte è molto ricca di informazioni. Dopo un lavoro di analisi e ricostruzione delle pro-

cedure che danno origine al dato (dai piani regionali a quelli provinciali, dai verbali

all’imputazione dei dati nei vari archivi, fino ad arrivare alle diverse possibilità di inter-

rogazione delle banche dati), lavoro condotto grazie alla collaborazione del personale

dell’Inps regionale Veneto e della sede provinciale di Venezia, si è cercato di organiz-

zare le informazioni disponibili in modo da consentirne una lettura immediata e allo

stesso tempo articolata.

Occorre ribadire, per evitare facili quanto strumentali interpretazioni dei dati riportati,

che le informazioni tratte dalle visite ispettive non possono essere usate come stima

del lavoro nero presente nei diversi contesti territoriali; esse, invece, forniscono pre-

ziosi elementi conoscitivi sulle tipologie e caratteristiche dei lavoratori in nero trovati e

sulle imprese che li hanno utilizzati.

Infatti, va ricordato che l’attività ispettiva non è organizzata come un’indagine campio-

naria sull’universo delle imprese, basandosi essa sui programmi di lavoro dell’istituto,

sulle disponibilità di ispettori in forza (in genere, ma non puntualmente, in numerosità

correlata con la dimensione dell’universo delle imprese presenti sul territorio), sulla

composizione settoriale del tessuto produttivo e, in misura variabile per provincia,

sulle segnalazioni ricevute.

Gli accertamenti svolti dagli ispettori dell’Inps riguardano imprese (artigiane e non) e

lavoratori autonomi. Non sono generalmente oggetto di analisi ispettiva le famiglie in

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qualità di “datori di lavoro” di eventuali prestatori d’opera occasionali o continuativi

per servizi rivolti all’area “domestica”; quindi la registrazione di qualche domestico in

nero - come risulta dai dati riportati - è legata a rari episodi.

Dal punto di vista della vigilanza possiamo ripartire le principali categorie delle im-

prese e dei soggetti “ispezionati” in 4 archivi9:

dell’industria e dei servizi;

delle imprese agricole;

degli autonomi;

dei collaboratori coordinati e continuativi.

La suddivisione delle imprese dell’industria e dei servizi (nella denominazione Inps Ar-

chivio DM) è la seguente:

1. Aziende industriali distinte in:

grandi;

medie;

piccole.

A sua volta distinte in:

metalmeccaniche;

manifatturiere;

chimiche;

edili;

varie.

2. Aziende artigiane suddivise in:

metalmeccaniche;

manifatturiere;

chimiche;

edili;

varie.

3. Aziende commerciali per dimensione.

4. Aziende di credito e assicurazione per dimensione.

5. Aziende della Pubblica amministrazione per dimensione.

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L’archivio delle aziende agricole riporta i dati per dimensione dell’azienda.

L’archivio degli autonomi comprende:

artigiani;

commercianti;

coltivatori diretti;

liberi professionisti;

collaboratori coordinati continuativi professionisti (che hanno un rapporto di

collaborazione con altri liberi professionisti).

Infine, dal 2002 vengono raccolti i dati dei collaboratori coordinati continuativi che

hanno un rapporto di collaborazione con imprese e autonomi non liberi professionisti.

Le statistiche Inps sulla vigilanza usano una propria nomenclatura, che può cambiare

a seconda della procedura utilizzata per l’estrazione. Nel prospetto seguente abbiamo

cercato di rendere accessibile il lessico adottato dall’Inps.

Nomenclatura Inps Nomenclatura tradotta

Accertamenti effettuati Numero aziende/soggetti (soggetti nel caso si tratti di autonomi) visitati

Rapporti di lavoro annullati Numero rapporti di lavoro annullati in quanto non sussistono i requisiti per essere definiti tali (ad esempio nel caso di socio di società)

Accertamenti con recupero Numero aziende/soggetti con verbale di addebito di contributi

Accertamenti senza recupero Numero aziende/soggetti senza addebito di contributi perché non si è verificata ancora la scadenza per versamento contributi e si presume che entro la scadenza essi vengano versati

Accertamenti negativi Numero aziende/soggetti in regola

La somma degli accertamenti con recupero e senza dà il numero aziende/soggetti con irregolarità (include le situazioni in nero)

% Irregolari Percentuale aziende/soggetti con irregolarità sul totale delle visitate

Soggetti/Aziende non iscritti/e Numero aziende/soggetti in nero

Soggetti/Aziende iscritti/e Numero aziende/soggetti iscritti negli archivi Inps (non è detto siano risultati regolari)

9. L’analisi delle fonti è stata svolta sull’organizzazione degli archivi della vigilanza come attualmente vi-

gente, che differisce da quella ante 2000 e tiene conto delle modifiche intervenute nel 2002 per quanto riguarda i collaboratori coordinati continuativi.

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Nelle tabelle del dossier non sono presi in considerazione i rapporti di lavoro annullati

perché ritenuti scarsamente significativi nell’ambito dello studio del lavoro nero.

Nelle analisi dei dati sulle visite ispettive l’attenzione principale è rivolta alle informa-

zioni sui lavoratori in nero. Sono tali coloro che non risultano iscritti al libro paga

dell’azienda visitata a prescindere dalla loro iscrizione negli archivi dell’Inps (magari in

quanto lavoratori in regola presso altra ditta).

Gli archivi della vigilanza offrono una conoscenza piuttosto articolata sulle varie tipo-

logie dei lavoratori in nero che risultano suddivisi in:

stranieri (di cui extracomunitari);

con doppio lavoro;

pensionati;

minorenni;

in Cig;

in maternità;

in disoccupazione (che percepiscono l’indennità di disoccupazione);

in malattia;

in infortuni;

altri non registrati al libro paga.

Dalle statistiche Inps dei lavoratori in nero è possibile conoscere la fascia di età di ap-

partenenza e la durata del rapporto in nero dedotta dagli ispettori in base all’analisi

svolta presso l’azienda.

Negli archivi vengono, inoltre, registrati altri dati (emersi sempre nel corso delle visite)

che pur non riguardando i lavoratori in nero sono di un certo interesse. In particolare

si tratta dei lavoratori in regola che risultano:

subordinati assicurati come autonomi;

iscritti al collocamento;

con fuori busta.

Come abbiamo detto, la fonte in oggetto è una fonte molto ricca, ma va utilizzata con

una certa attenzione soprattutto nel caso di variabili la cui informazione non è rile-

vante direttamente per i fini dei recuperi contributivi e per le quali, quindi, la raccolta

del dato è meno accurata. È questo ad esempio il caso dell’occupazione totale di cia-

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scuna impresa riportata nelle banche dati. Essa risulterebbe di grande interesse nel

calcolo dell’incidenza del lavoro nero sul totale dell’occupazione delle imprese visitate,

ma risulta poco attendibile per la presenza di molti dati mancanti in quanto non sem-

pre nei verbali viene annotata questa informazione.

Nell’intento di chiarire meglio il contenuto dei dati riportati nelle tabelle, ci pare im-

portante dare un’informazione, seppure di massima, sulle procedure di acquisizione e

imputazione dei dati dai verbali compilati dagli ispettori.

Se viene effettuata un’ispezione ad un’azienda che risulta artigiana con lavoratori alle

proprie dipendenze, le registrazioni dei verbali riguarderanno l’archivio DM (sotto la

voce imprese artigiane) sia per l’azienda che per eventuali lavoratori alle dipendenze o

coordinati continuativi irregolari e l’archivio autonomi se il titolare non è iscritto come

autonomo. Se l’azienda non è iscritta all’Inps, risulterà un’azienda irregolare con la

specifica in nero; se iscritta, ma con lavoratori non in regola (irregolari), sarà registrata

tra le aziende irregolari, ma non tra quelle in nero.

Le ultime note di questa guida interessano l’impresa artigiana e la variabile dimensio-

nale con cui vengono classificate le imprese in piccole, medie e grandi.

Un’impresa si definisce artigiana in base all’incrocio tra due criteri che riguardano la

dimensione e il tipo di produzione. In pratica, si tratta di aziende di piccole dimensioni

che non producono in serie o che, se hanno lavorazioni in serie, queste non sono del

tutto automatizzate (L. 443/85).

Si definiscono imprese piccole quelle fino a 9 dipendenti, medie quelle che impiegano

tra i 10 e i 99 dipendenti e quelle da 100 in poi appartengono all’insieme delle grandi.

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124

2. Elenco delle tabelle

Tab. 1a - Aziende dell'industria e dei servizi (DM) visitate, irregolari e lavoratori in

nero suddivise per dimensione dell’azienda. Province del Veneto. Anno 2000

Tab. 1b - Aziende dell'industria e dei servizi (DM) visitate, irregolari e lavoratori in

nero suddivise per dimensione dell’azienda. Province del Veneto. Anno 2001

Tab. 1c - Aziende dell'industria e dei servizi (DM) visitate, irregolari e lavoratori in

nero suddivise per dimensione dell’azienda. Province del Veneto. Anno 2002

Tab. 2a - Aziende dell'industria e dei servizi (DM) visitate, irregolari e lavoratori in

nero per settori. Veneto. Anno 2000

Tab. 2b - Aziende dell'industria e dei servizi (DM) visitate, irregolari e lavoratori in

nero per settori. Veneto. Anno 2001

Tab. 2c - Aziende dell'industria e dei servizi (DM) visitate, irregolari e lavoratori in

nero per settori. Veneto. Anno 2002

Tab. 3a - Aziende agricole visitate, irregolari per dimensione dell’azienda e lavoratori

in nero. Province del Veneto. Anno 2000

Tab. 3b - Aziende agricole visitate, irregolari per dimensione dell’azienda e lavoratori

in nero. Province del Veneto. Anno 2001

Tab. 3c - Aziende agricole visitate, irregolari per dimensione dell’azienda e lavoratori

in nero. Province del Veneto. Anno 2002

Tab. 4a - Autonomi visitati, irregolari e in nero con distinzione tra artigiani e commer-

cianti. Province del Veneto. Anno 2000

Tab. 4b - Autonomi visitati, irregolari e in nero con distinzione tra artigiani e commer-

cianti. Province del Veneto. Anno 2001

Tab. 4c - Autonomi visitati, irregolari e in nero con distinzione tra artigiani e commer-

cianti. Province del Veneto. Anno 2002

Tab. 5a - Lavoratori in nero per tipologia e per settori dell'industria e dei servizi (DM).

Veneto. Anno 2000

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125

Tab. 5b - Lavoratori in nero per tipologia e per settori dell'industria e dei servizi (DM).

Veneto. Anno 2001

Tab. 5c - Lavoratori in nero per tipologia e per settori dell'industria e dei servizi (DM).

Veneto. Anno 2002

Tab. 6a - Lavoratori in nero per tipologia in aziende dell'industria e dei servizi (DM) e

agricole. Province del Veneto. Anno 2000

Tab. 6b - Lavoratori in nero per tipologia in aziende dell'industria e dei servizi (DM) e

agricole. Province del Veneto. Anno 2001

Tab. 6c - Lavoratori in nero per tipologia in aziende dell'industria e dei servizi (DM) e

agricole. Province del Veneto. Anno 2002

Tab. 7a - Lavoratori in nero presso aziende dell'industria e dei servizi (DM) e agricole

per periodi di omissione e fasce di età. Province del Veneto. Anno 2000

Tab. 7b - Lavoratori in nero presso aziende dell'industria e dei servizi (DM) e agricole

per periodi di omissione e fasce di età. Province del Veneto. Anno 2001

Tab. 7c - Lavoratori in nero presso aziende dell'industria e dei servizi (DM) e agricole

per periodi di omissione e fasce di età. Province del Veneto. Anno 2002

Tab. 8c - Collaboratori coordinati e continuativi impiegati in nero presso autonomi e

aziende. Province del Veneto. Anno 2002

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126

Tab. 1a - Aziende dell'industria e dei servizi (DM) visitate, irregolari e lavoratori in nero suddivise per dimensione dell’azienda. Province del Veneto. Anno 2000

Grandi Medie Province Aziende

visitate Aziende irregolari

di cui in nero

Lavoratori in nero

Aziende visitate

Aziende irregolari

di cui in nero

Lavoratori in nero

Belluno 1 1 0 0 38 22 2 43 Padova 13 8 0 61 217 163 1 305 Rovigo 13 3 0 1 91 61 0 125 Treviso 12 11 0 34 139 88 1 295 Venezia 4 4 0 2 124 108 3 169 San Donà 4 1 0 51 72 54 2 254 Totale Venezia 8 5 0 53 196 162 5 423 Verona 3 3 0 3 138 109 5 1.066 Vicenza 6 6 0 74 103 93 2 552 VENETO 56 37 0 226 922 698 16 2.809

Piccole Totale Province Aziende

visitate Aziende irregolari

di cui in nero

Lavoratori in nero

Aziende visitate

Aziende irregolari

di cui in nero

Lavoratori in nero

Belluno 161 112 7 128 200 135 9 171 Padova 1.276 672 60 1.159 1.506 843 61 1.525 Rovigo 300 181 18 223 404 245 18 349 Treviso 900 475 97 1.470 1.051 574 98 1.799 Venezia 495 404 52 675 623 516 55 846 San Donà 289 166 21 464 365 221 23 769 Totale Venezia 784 570 73 1.139 988 737 78 1.615 Verona 1.011 811 100 1.246 1.152 923 105 2.315 Vicenza 916 761 69 1.670 1.025 860 71 2.296 VENETO 5.348 3.582 424 7.035 6.326 4.317 440 10.070

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

Tab. 1b - Aziende dell'industria e dei servizi (DM) visitate, irregolari e lavoratori in nero suddivise per dimensione dell’azienda. Province del Veneto. Anno 2001

Grandi Medie Province Aziende

visitate Aziende irregolari

di cui in nero

Lavoratori in nero

Aziende visitate

Aziende irregolari

di cui in nero

Lavoratori in nero

Belluno 1 1 0 0 73 36 0 115 Padova 14 8 0 223 233 113 1 252 Rovigo 6 2 0 7 90 37 2 138 Treviso 13 10 1 48 167 85 2 349 Venezia 3 2 0 3 88 63 1 192 San Donà 1 1 0 249 49 18 1 527 Totale Venezia 4 3 0 252 137 81 2 719 Verona 10 8 0 513 119 92 8 991 Vicenza 8 8 0 109 86 73 0 354 VENETO 56 40 1 1.152 905 517 15 2.918

Piccole Totale Province Aziende

visitate Aziende irregolari

di cui in nero

Lavoratori in nero

Aziende visitate

Aziende irregolari

di cui in nero

Lavoratori in nero

Belluno 404 160 12 172 478 197 12 287 Padova 1.241 609 83 1.148 1.488 730 84 1.623 Rovigo 612 246 31 420 708 285 33 565 Treviso 1.308 642 134 896 1.488 737 137 1.293 Venezia 1.085 702 74 1.153 1.176 767 75 1.348 San Donà 551 189 28 323 601 208 29 1.099 Totale Venezia 1.636 891 102 1.476 1.777 975 104 2.447 Verona 797 409 90 609 926 509 98 2.113 Vicenza 1.078 616 61 1.549 1.172 697 61 2.012 VENETO 7.076 3.573 513 6.270 8.037 4.130 529 10.340

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

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Tab. 1c - Aziende dell'industria e dei servizi (DM) visitate, irregolari e lavoratori in nero suddivise per dimensione dell’azienda. Province del Veneto. Anno 2002

Grandi Medie Province Aziende

visitate Aziende irregolari

di cui in nero

Lavoratori in nero

Aziende visitate

Aziende irregolari

di cui in nero

Lavoratori in nero

Belluno 0 0 0 0 51 23 0 74 Padova 9 8 0 109 177 113 1 287 Rovigo 1 0 0 0 53 26 0 147 Treviso 7 6 0 112 103 71 1 217 Venezia 1 1 0 77 95 58 0 183 San Donà 0 0 0 0 45 26 0 64 Totale Venezia 1 1 0 77 140 84 0 247 Verona 4 2 0 1.550 65 47 3 212 Vicenza 17 15 0 58 88 67 1 265 VENETO 39 32 0 1.906 677 431 6 1.449

Piccole Totale Province Aziende

visitate Aziende irregolari

di cui in nero

Lavoratori in nero

Aziende visitate

Aziende irregolari

di cui in nero

Lavoratori in nero

Belluno 258 89 14 102 309 112 14 176 Padova 1.115 616 111 1.556 1.301 737 112 1.952 Rovigo 575 267 44 462 629 293 44 609 Treviso 1.239 565 109 843 1.349 642 110 1.172 Venezia 960 492 105 577 1.056 551 105 837 San Donà 547 248 29 348 592 274 29 412 Totale Venezia 1.507 740 134 925 1.648 825 134 1.249 Verona 985 543 98 651 1.054 592 101 2.413 Vicenza 917 562 67 1.236 1.022 644 68 1.559 VENETO 6.596 3.382 577 5.775 7.312 3.845 583 9.130

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

Tab. 2a - Aziende dell'industria e dei servizi (DM) visitate, irregolari e lavoratori in nero per settori. Veneto. Anno 2000

Settori Aziende visitate

Aziende irregolari

di cui in nero

Lavoratori in nero

Industria 1.555 1.114 85 3.374 - Metalmeccaniche 393 265 10 664 - Manifatturiere 502 341 32 1.206 - Chimiche 63 47 0 103 - Edili 414 312 32 620 - Varie 183 149 11 781 Commercio 2.572 1.707 231 4.219 - All'ingrosso e al dettaglio 1.183 679 81 1.241 - Strutture alberghiere 146 118 3 262 - Ristorazione 802 604 97 1.257 - Varie 441 306 50 1.459 Artigianato 2.029 1.405 119 2.428 - Metalmeccaniche 387 239 10 339 - Manifatturiere 798 554 50 1.297 - Chimiche 33 26 0 21 - Edili 595 446 48 629 - Varie 216 140 11 142 Totale altro 170 91 5 49 - Agricole 61 25 3 13 - Datori di lavoratori domestici 62 35 0 32 - Varie 47 31 2 4 TOTALE 6.326 4.317 440 10.070

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

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128

Tab. 2b - Aziende dell'industria e dei servizi (DM) visitate, irregolari e lavoratori in nero per settori. Veneto. Anno 2001

Settori Aziende visitate

Aziende irregolari

di cui in nero

Lavoratori in nero

Industria 1.656 940 71 3.603 - Metalmeccaniche 364 235 5 1.012 - Manifatturiere 503 280 19 361 - Chimiche 41 18 2 61 - Edili 595 299 36 571 - Varie 153 108 9 1.598 Commercio 3.559 1.757 301 4.613 - All'ingrosso e al dettaglio 1.778 730 140 1.250 - Strutture alberghiere 363 156 7 535 - Ristorazione 988 596 112 1.278 - Varie 430 275 42 1.550 Artigianato 2.711 1.379 154 2.092 - Metalmeccaniche 315 194 8 381 - Manifatturiere 970 476 34 796 - Chimiche 24 15 0 27 - Edili 1.043 538 82 738 - Varie 359 156 30 150 Totale altro 111 54 3 32 - Agricole 46 20 2 2 - Datori di lavoratori domestici 31 20 0 18 - Varie 34 14 1 12 TOTALE 8.037 4.130 529 10.340

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

Tab. 2c - Aziende dell'industria e dei servizi (DM) visitate, irregolari e lavoratori in nero per settori. Veneto. Anno 2002

Settori Aziende visitate

Aziende irregolari

di cui in nero

Lavoratori in nero

Industria 1.625 949 72 4.539 - Metalmeccaniche 380 240 8 628 - Manifatturiere 438 283 21 725 - Chimiche 43 25 0 153 - Edili 619 323 35 668 - Varie 145 78 8 2.365 Commercio 3.236 1.658 348 2.582 - All'ingrosso e al dettaglio 1.552 681 164 685 - Strutture alberghiere 178 87 2 128 - Ristorazione 1.003 649 129 1.218 - Varie 503 241 53 551 Artigianato 2.360 1.186 160 1.788 - Metalmeccaniche 313 158 15 227 - Manifatturiere 644 365 43 763 - Chimiche 18 10 0 12 - Edili 966 474 76 608 - Varie 419 179 26 178 Totale altro 92 52 3 221 - Agricole 23 10 2 25 - Datori di lavoratori domestici 33 23 0 24 - Varie 36 19 1 172 TOTALE 7.313 3.845 583 9.130

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

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Tab. 3a - Aziende agricole visitate, irregolari e lavoratori in nero per dimensione dell’azienda. Province del Veneto. Anno 2000

Grandi Medie Province Aziende

visitate Aziende irregolari

di cui in nero

Aziende visitate

Aziende irregolari

di cui in nero

Belluno 0 0 0 0 0 0 Padova 0 0 0 5 3 0 Rovigo 0 0 0 0 0 0 Treviso 0 0 0 0 0 0 Venezia 0 0 0 3 1 1 San Donà 0 0 0 1 0 0 Totale Venezia 0 0 0 4 1 1 Verona 0 0 0 17 12 0 Vicenza 0 0 0 1 1 0 VENETO 0 0 0 27 17 1

Piccole Totale Province Aziende

visitate Aziende irregolari

di cui in nero

Aziende visitate

Aziende irregolari

di cui in nero

Belluno 0 0 0 0 0 0 Padova 30 10 2 35 13 2 Rovigo 71 21 2 71 21 2 Treviso 21 9 0 21 9 0 Venezia 34 13 4 37 14 5 San Donà 18 6 1 19 6 1 Totale Venezia 52 19 5 56 20 6 Verona 148 75 26 165 87 26 Vicenza 35 23 3 36 24 3 VENETO 357 157 38 384 174 39

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

Tab. 3b - Aziende agricole visitate, irregolari e lavoratori in nero per dimensione dell’azienda. Province del Veneto. Anno 2001

Grandi Medie Province Aziende

visitate Aziende irregolari

di cui in nero

Aziende visitate

Aziende irregolari

di cui in nero

Belluno 0 0 0 0 0 0 Padova 0 0 0 14 8 0 Rovigo 0 0 0 6 2 1 Treviso 0 0 0 7 2 0 Venezia 0 0 0 1 0 0 San Donà 1 1 0 0 0 0 Totale Venezia 1 1 0 1 0 0 Verona 1 1 0 4 4 0 Vicenza 0 0 0 2 1 0 VENETO 2 2 0 34 17 1

Piccole Totale Province Aziende

visitate Aziende irregolari

di cui in nero

Aziende visitate

Aziende irregolari

di cui in nero

Belluno 7 2 0 7 2 0 Padova 140 35 3 154 43 3 Rovigo 79 43 12 85 45 13 Treviso 97 37 10 104 39 10 Venezia 14 5 0 15 5 0 San Donà 13 3 0 14 4 0 Totale Venezia 27 8 0 29 9 0 Verona 153 70 13 158 75 13 Vicenza 61 47 24 63 48 24 VENETO 564 242 62 600 261 63

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

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Tab. 3c - Aziende agricole visitate, irregolari e lavoratori in nero per dimensione dell’azienda. Province del Veneto. Anno 2002

Grandi Medie Province Aziende

visitate Aziende irregolari

di cui in nero

Aziende visitate

Aziende irregolari

di cui in nero

Belluno 0 0 0 0 0 0 Padova 0 0 0 0 0 0 Rovigo 0 0 0 3 3 0 Treviso 0 0 0 0 0 0 Venezia 0 0 0 0 0 0 San Donà 0 0 0 1 1 0 Totale Venezia 0 0 0 1 1 0 Verona 0 0 0 10 8 1 Vicenza 0 0 0 0 0 0 VENETO 0 0 0 14 12 1

Piccole Totale Province Aziende

visitate Aziende irregolari

di cui in nero

Aziende visitate

Aziende irregolari

di cui in nero

Belluno 3 0 0 3 0 0 Padova 24 13 1 24 13 1 Rovigo 37 17 1 40 20 1 Treviso 30 15 7 30 15 7 Venezia 32 18 2 32 18 2 San Donà 12 6 3 13 7 3 Totale Venezia 44 24 5 45 25 5 Verona 155 65 19 165 73 20 Vicenza 30 11 1 30 11 1 VENETO 323 145 34 337 157 35

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

Tab. 4a - Autonomi visitati, irregolari e in nero con distinzione tra artigiani e commercianti. Province del Veneto. Anno 2000

Autonomi totale di cui artigiani di cui commercianti Province Soggetti

visitati Soggetti irregolari

di cui in nero

Soggetti visitati

Soggetti irregolari

di cui in nero

Soggetti visitati

Soggetti irregolari

di cui in nero

Belluno 10 10 7 5 5 3 5 5 4 Padova 423 82 28 133 21 4 277 55 19 Rovigo 43 35 3 28 24 1 10 8 2 Treviso 273 144 51 92 48 9 98 62 19 Venezia 66 57 11 17 16 3 37 34 5 San Donà 18 8 3 7 1 0 8 6 2 Totale Venezia 84 65 14 24 17 3 45 40 7 Verona 435 287 182 159 63 20 153 109 47 Vicenza 131 106 31 39 27 4 59 52 15 VENETO 1.399 729 316 480 205 44 647 331 113

Nota: la differenza tra la somma degli artigiani e dei commercianti e il totale degli autonomi va attribuita a categorie residuali degli autonomi (coltivatori diretti, liberi professionisti e collaboratori coordinati e continuativi di liberi professionisti)

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

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Tab. 4b - Autonomi visitati, irregolari e in nero con distinzione tra artigiani e commercianti. Province del Veneto. Anno 2001

Autonomi totale di cui artigiani di cui commercianti Province Soggetti

visitati Soggetti irregolari

di cui in nero

Soggetti visitati

Soggetti irregolari

di cui in nero

Soggetti visitati

Soggetti irregolari

di cui in nero

Belluno 140 43 31 35 4 3 100 37 26 Padova 929 308 227 296 26 10 426 103 52 Rovigo 157 21 14 68 7 4 71 10 9 Treviso 978 253 159 437 56 18 353 90 53 Venezia 219 128 29 71 22 5 123 86 18 San Donà 303 200 159 41 10 6 106 37 13 Totale Venezia 522 328 188 112 32 11 229 123 31 Verona 730 221 102 211 75 22 488 129 65 Vicenza 453 174 58 177 64 10 201 72 25 VENETO 3.909 1.348 779 1.336 264 78 1.868 564 261

Nota: la differenza tra la somma degli artigiani e dei commercianti e il totale degli autonomi va attribuita a categorie residuali degli autonomi (coltivatori diretti, liberi professionisti e collaboratori coordinati e continuativi di liberi professionisti)

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

Tab. 4c - Autonomi visitati, irregolari e in nero con distinzione tra artigiani e commercianti. Province del Veneto. Anno 2002

Autonomi totale di cui artigiani di cui commercianti Province Soggetti

visitati Soggetti irregolari

di cui in nero

Soggetti visitati

Soggetti irregolari

di cui in nero

Soggetti visitati

Soggetti irregolari

di cui in nero

Belluno 235 46 29 110 15 10 119 30 19 Padova 1.082 256 136 345 62 29 717 187 106 Rovigo 450 72 39 235 32 15 163 36 21 Treviso 1.314 196 109 641 73 34 571 105 62 Venezia 378 192 93 138 48 22 233 141 69 San Donà 239 101 55 59 13 7 168 84 46 Totale Venezia 617 293 148 197 61 29 401 225 115 Verona 1.139 392 202 415 113 45 707 270 151 Vicenza 546 114 35 333 48 9 193 54 22 VENETO 5.383 1.369 698 2.276 404 171 2.871 907 496

Nota: la differenza tra la somma degli artigiani e dei commercianti e il totale degli autonomi va attribuita a categorie residuali degli autonomi (coltivatori diretti, liberi professionisti e collaboratori coordinati e continuativi di liberi professionisti)

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

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Tab. 5a - Lavoratori in nero per tipologia e per settori dell'industria e dei servizi (DM). Veneto. Anno 2000

Lavoratori in nero Settori Cig Malattia,

maternità e infortuni

Lavoratori in disoc-

cupazione

Doppio lavoro

Minori Stranieri di cui extraco-munitari

Studenti Pensionati Altri non registrati

libro paga

TOTALE

Totale industria 18 0 13 2 1 862 817 0 28 2.450 3.374 - Metalmeccaniche 0 0 0 0 0 158 149 0 7 499 664 - Manifatturiere 6 0 9 0 0 546 511 0 11 634 1.206 - Chimiche 0 0 0 0 0 17 17 0 0 86 103 - Edili 12 0 4 0 1 96 95 0 6 501 620 - Varie 0 0 0 2 0 45 45 0 4 730 781 Totale commercio 0 1 2 10 2 201 159 22 102 3.879 4.219 - All'ingrosso e al dettaglio 0 1 0 0 0 36 22 0 19 1.185 1.241 - Strutture alberghiere 0 0 2 1 1 29 24 0 8 221 262 - Ristorazione 0 0 0 8 1 104 82 18 8 1.118 1.257 - Varie 0 0 0 1 0 32 31 4 67 1.355 1.459 Totale artigianato 2 1 30 4 4 918 864 10 53 1.406 2.428 - Metalmeccaniche 0 0 3 0 0 124 114 1 5 206 339 - Manifatturiere 0 0 17 2 4 643 625 9 18 604 1.297 - Chimiche 0 0 0 0 0 1 1 0 1 19 21 - Edili 1 1 10 0 0 139 117 0 20 458 629 - Varie 1 0 0 2 0 11 7 0 9 119 142 Totale altro 0 0 0 0 0 8 8 0 0 41 49 - Agricole 0 0 0 0 0 0 0 0 0 13 13 - Datori di lav. domestici 0 0 0 0 0 8 8 0 0 24 32 - Varie 0 0 0 0 0 0 0 0 0 4 4 TOTALE 20 2 45 16 7 1.989 1.848 32 183 7.776 10.070

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

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Tab. 5b - Lavoratori in nero per tipologia e settori dell'industria e dei servizi (DM). Veneto. Anno 2001

Lavoratori in nero Settori Cig Malattia,

maternità e infortuni

Lavoratori in disoc-

cupazione

Doppio lavoro

Minori Stranieri di cui extraco-munitari

Studenti Pensionati Altri non registrati

libro paga

TOTALE

Totale industria 15 1 26 2 0 1.114 1.005 8 45 2.392 3.603 - Metalmeccaniche 0 1 0 0 0 522 497 0 14 475 1.012 - Manifatturiere 14 0 26 0 0 146 140 0 13 162 361 - Chimiche 0 0 0 0 0 30 7 0 0 31 61 - Edili 1 0 0 2 0 129 118 0 18 421 571 - Varie 0 0 0 0 0 287 243 8 0 1.303 1.598 Totale commercio 0 3 3 22 6 318 242 35 41 4.185 4.613 - All'ingrosso e al dettaglio 0 0 1 4 0 77 36 14 23 1.131 1.250 - Strutture alberghiere 0 0 2 0 1 47 44 0 8 477 535 - Ristorazione 0 2 0 3 5 132 107 21 10 1.105 1.278 - Varie 0 1 0 15 0 62 55 0 0 1.472 1.550 Totale artigianato 2 1 2 5 6 767 736 7 80 1.222 2.092 - Metalmeccaniche 0 0 0 0 0 103 98 0 9 269 381 - Manifatturiere 2 0 2 1 4 344 334 5 34 404 796 - Chimiche 0 0 0 0 0 6 5 0 0 21 27 - Edili 0 1 0 4 2 302 287 0 34 395 738 - Varie 0 0 0 0 0 12 12 2 3 133 150 Totale altro 0 0 0 0 0 9 8 0 0 23 32 - Agricole 0 0 0 0 0 0 0 0 0 2 2 - Datori di lav. domestici 0 0 0 0 0 7 6 0 0 11 18 - Varie 0 0 0 0 0 2 2 0 0 10 12 TOTALE 17 5 31 29 12 2.208 1.991 50 166 7.822 10.340

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

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Tab. 5c - Lavoratori in nero per tipologia e settori dell'industria e dei servizi (DM). Veneto. Anno 2002

Lavoratori in nero Settori Cig Malattia,

maternità e infortuni

Lavoratori in disoc-

cupazione

Doppio lavoro

Minori Stranieri di cui extraco-munitari

Studenti Pensionati Altri non registrati

libro paga

TOTALE

Totale industria 2 1 7 5 3 1.738 1.692 3 48 2.732 4.539 - Metalmeccaniche 0 0 3 0 0 113 101 0 12 500 628 - Manifatturiere 0 0 4 0 2 238 218 0 8 473 725 - Chimiche 0 0 0 0 0 28 24 0 2 123 153 - Edili 2 1 0 1 1 305 303 0 16 342 668 - Varie 0 0 0 4 0 1.054 1.046 3 10 1.294 2.365 Totale commercio 0 0 4 32 11 456 418 73 45 1.961 2.582 - All'ingrosso e al dettaglio 0 0 2 3 0 72 50 13 22 573 685 - Strutture alberghiere 0 0 0 1 4 12 11 1 3 107 128 - Ristorazione 0 0 1 27 7 173 158 58 12 940 1.218 - Varie 0 0 1 1 0 199 199 1 8 341 551 Totale artigianato 0 0 5 6 21 813 788 7 73 863 1.788 - Metalmeccaniche 0 0 0 0 2 91 91 0 6 128 227 - Manifatturiere 0 0 3 2 2 435 420 6 16 299 763 - Chimiche 0 0 0 0 0 0 0 0 0 12 12 - Edili 0 0 2 3 3 267 261 0 44 289 608 - Varie 0 0 0 1 14 20 16 1 7 135 178 Totale altro 0 0 22 0 0 10 9 0 3 186 221 - Agricole 0 0 22 0 0 0 0 0 1 2 25 - Datori di lav. domestici 0 0 0 0 0 10 9 0 0 14 24 - Varie 0 0 0 0 0 0 0 0 2 170 172 TOTALE 2 1 38 43 35 3.017 2.907 83 169 5.742 9.130

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

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Tab. 6a - Lavoratori in nero per tipologia in aziende dell'industria e dei servizi (DM) e agricole. Province del Veneto. Anno 2000

Lavoratori in nero Settori Cig Malattia,

maternità e infortuni

Lavoratori in disoc-

cupazione

Doppio lavoro

Minori Stranieri di cui extraco-munitari

Studenti Pensionati Altri non registrati

libro paga

TOTALE

Aziende DM Belluno 0 0 1 0 2 51 16 0 10 107 171 Padova 2 0 17 9 2 433 398 15 35 1.012 1.525 Rovigo 12 1 19 1 1 24 17 0 3 288 349 Treviso 0 1 0 0 0 894 854 11 6 887 1.799 Venezia 1 0 1 2 0 28 27 0 12 802 846 San Donà 0 0 0 1 1 12 10 2 5 748 769 Totale Venezia 1 0 1 3 1 40 37 2 17 1.550 1.615 Verona 0 0 1 1 1 88 77 1 84 2.139 2.315 Vicenza 5 0 6 2 0 459 449 3 28 1.793 2.296 VENETO 20 2 45 16 7 1.989 1.848 32 183 7.776 10.070 Aziende agricole Belluno 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 Padova 0 0 0 0 0 10 10 0 1 79 90 Rovigo 0 0 0 0 0 7 6 0 0 10 17 Treviso 0 0 0 0 0 2 2 0 0 1 3 Venezia 0 0 0 0 0 0 0 0 0 8 8 San Donà 0 0 0 0 0 0 0 0 4 3 7 Totale Venezia 0 0 0 0 0 0 0 0 4 11 15 Verona 0 0 0 0 0 66 66 0 11 188 265 Vicenza 0 0 0 0 0 4 4 0 3 22 29 VENETO 0 0 0 0 0 89 88 0 19 311 419

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

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Tab. 6b - Lavoratori in nero per tipologia in aziende dell'industria e dei servizi (DM) e agricole. Province del Veneto. Anno 2001

Lavoratori in nero Settori Cig Malattia,

maternità e infortuni

Lavoratori in disoc-

cupazione

Doppio lavoro

Minori Stranieri di cui extraco-munitari

Studenti Pensionati Altri non registrati

libro paga

TOTALE

Aziende DM Belluno 1 0 1 15 1 11 6 1 6 251 287 Padova 0 0 8 0 1 356 330 20 43 1.195 1.623 Rovigo 0 1 20 0 3 48 27 1 7 485 565 Treviso 2 1 1 5 1 449 423 10 27 797 1.293 Venezia 0 1 1 4 5 366 363 6 40 925 1.348 San Donà 0 2 0 0 0 71 64 1 14 1.011 1.099 Totale Venezia 0 3 1 4 5 437 427 7 54 1.936 2.447 Verona 0 0 0 0 0 362 303 10 4 1.737 2.113 Vicenza 14 0 0 5 1 545 475 1 25 1.421 2.012 VENETO 17 5 31 29 12 2.208 1.991 50 166 7.822 10.340 Aziende agricole Belluno 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1 Padova 0 0 0 0 0 6 4 0 5 96 107 Rovigo 0 0 0 0 0 3 3 0 0 113 116 Treviso 0 0 0 3 7 21 6 2 20 12 65 Venezia 0 0 0 0 0 0 0 0 2 0 2 San Donà 0 0 0 0 0 0 0 0 0 9 9 Totale Venezia 0 0 0 0 0 0 0 0 2 9 11 Verona 0 0 0 0 0 40 38 1 20 166 227 Vicenza 0 0 0 0 0 2 2 0 15 39 56 VENETO 0 0 0 3 7 72 53 4 62 435 583

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

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Tab. 6c - Lavoratori in nero per tipologia in aziende dell'industria e dei servizi (DM) e agricole. Province del Veneto. Anno 2002

Lavoratori in nero Settori Cig Malattia,

maternità e infortuni

Lavoratori in disoc-

cupazione

Doppio lavoro

Minori Stranieri di cui extraco-munitari

Studenti Pensionati Altri non registrati

libro paga

TOTALE

Aziende DM Belluno 2 0 0 3 0 8 8 4 3 156 176 Padova 0 0 1 1 2 1.188 1.182 26 28 706 1.952 Rovigo 0 0 22 0 2 70 70 8 10 497 609 Treviso 0 0 4 9 9 546 472 13 30 561 1.172 Venezia 0 0 2 7 4 123 115 6 48 647 837 San Donà 0 0 0 3 4 89 82 5 9 302 412 Totale Venezia 0 0 2 10 8 212 197 11 57 949 1.249 Verona 0 0 8 10 10 579 568 11 19 1.776 2.413 Vicenza 0 1 1 10 4 414 410 10 22 1.097 1.559 VENETO 2 1 38 43 35 3.017 2.907 83 169 5.742 9.130 Aziende agricole Belluno 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 Padova 0 0 0 0 0 20 20 0 0 13 33 Rovigo 0 0 0 0 0 8 8 0 3 23 34 Treviso 0 0 0 0 0 4 4 0 0 27 31 Venezia 0 0 0 0 0 7 7 0 6 21 34 San Donà 0 0 0 1 0 2 2 1 0 6 10 Totale Venezia 0 0 0 1 0 9 9 1 6 27 44 Verona 0 0 0 0 0 102 91 0 2 57 161 Vicenza 0 0 0 0 0 0 0 0 1 4 5 VENETO 0 0 0 1 0 143 132 1 12 151 308

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

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Tab. 7a - Lavoratori in nero presso aziende dell'industria e dei servizi (DM) e agricole per periodi di omissione e fasce di età. Province del Veneto. Anno 2000

Periodi di omissione Fasce di età Province < 1 mese 1 anno

<>1 mese > 1 anno Totale fino a 20

anni 21-30 anni

31-40 anni

oltre 40 anni

Totale

Aziende DM Belluno 141 22 8 171 22 62 40 47 171 Padova 336 862 327 1.525 130 713 480 202 1.525 Rovigo 88 220 41 349 51 159 93 46 349 Treviso 362 1.178 259 1.799 130 992 476 201 1.799 Venezia 29 662 155 846 191 331 190 134 846 San Donà 198 398 173 769 101 438 160 70 769 Totale Venezia 227 1.060 328 1.615 292 769 350 204 1.615 Verona 767 1.207 341 2.315 199 1.301 543 272 2.315 Vicenza 219 1.762 315 2.296 181 1.079 722 314 2.296 VENETO 2.140 6.311 1.619 10.070 1.005 5.075 2.704 1.286 10.070 Aziende agricole Belluno 0 0 0 0 0 0 0 0 0 Padova 3 82 5 90 1 42 40 7 90 Rovigo 11 1 5 17 3 5 6 3 17 Treviso 1 2 0 3 0 0 2 1 3 Venezia 0 7 1 8 0 0 1 7 8 San Donà 0 4 3 7 0 1 0 6 7 Totale Venezia 0 11 4 15 0 1 1 13 15 Verona 255 9 1 265 34 69 35 127 265 Vicenza 0 17 12 29 1 11 7 10 29 VENETO 270 122 27 419 39 128 91 161 419

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

Tab. 7b - Lavoratori in nero presso aziende dell'industria e dei servizi (DM) e agricole per periodi di omissione e fasce di età. Province del Veneto. Anno 2001

Periodi di omissione Fasce di età Province < 1 mese 1 anno

<>1 mese > 1 anno Totale fino a 20

anni 21-30 anni

31-40 anni

oltre 40 anni

Totale

Aziende DM Belluno 243 24 20 287 35 93 60 99 287 Padova 673 695 255 1.623 121 698 442 362 1.623 Rovigo 264 250 51 565 95 209 152 109 565 Treviso 349 806 138 1.293 69 685 405 134 1.293 Venezia 258 979 111 1.348 151 790 176 231 1.348 San Donà 275 496 328 1.099 160 664 166 109 1.099 Totale Venezia 533 1.475 439 2.447 311 1.454 342 340 2.447 Verona 644 1.314 155 2.113 295 1.201 469 148 2.113 Vicenza 609 1.164 239 2.012 99 789 648 476 2.012 VENETO 3.315 5.728 1.297 10.340 1.025 5.129 2.518 1.668 10.340 Aziende agricole Belluno 1 0 0 1 1 0 0 0 1 Padova 75 27 5 107 3 15 54 35 107 Rovigo 112 4 0 116 44 21 14 37 116 Treviso 54 9 2 65 4 10 7 44 65 Venezia 0 2 0 2 0 0 0 2 2 San Donà 0 3 6 9 6 0 2 1 9 Totale Venezia 0 5 6 11 6 0 2 3 11 Verona 190 34 3 227 15 54 33 125 227 Vicenza 12 36 8 56 4 16 2 34 56 VENETO 444 115 24 583 77 116 112 278 583

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

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Tab. 7c - Lavoratori in nero presso aziende dell'industria e dei servizi (DM) e agricole per periodi di omissione e fasce di età. Province del Veneto. Anno 2002

Periodi di omissione Fasce di età Province < 1 mese 1 anno

<>1 mese > 1 anno Totale fino a 20

anni 21-30 anni

31-40 anni

oltre 40 anni

Totale

Aziende DM Belluno 92 75 9 176 16 57 45 58 176 Padova 517 1.303 132 1.952 97 511 1.054 290 1.952 Rovigo 290 288 32 610 75 257 139 139 610 Treviso 286 696 192 1.174 131 611 271 161 1.174 Venezia 503 270 69 842 118 289 192 243 842 San Donà 244 141 28 413 56 144 121 92 413 Totale Venezia 747 411 97 1.255 174 433 313 335 1.255 Verona 364 1.957 92 2.413 463 1.317 484 149 2.413 Vicenza 584 819 156 1.559 123 720 442 274 1.559 VENETO 2.880 5.549 710 9.139 1.079 3.906 2.748 1.406 9.139 Aziende agricole Belluno 0 0 0 0 0 0 0 0 0 Padova 15 16 2 33 3 6 1 23 33 Rovigo 28 6 0 34 5 3 6 20 34 Treviso 2 22 7 31 3 10 10 8 31 Venezia 23 8 3 34 3 9 7 15 34 San Donà 6 4 0 10 0 4 1 5 10 Totale Venezia 29 12 3 44 3 13 8 20 44 Verona 150 7 4 161 12 46 27 76 161 Vicenza 2 2 1 5 0 3 1 1 5 VENETO 226 65 17 308 26 81 53 148 308

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

Tab. 8c - Collaboratori coordinati continuativi impiegati in nero presso autonomi e aziende. Province del Veneto. Anno 2002

Impiegati presso autonomi

Impiegati presso aziende dell'industria e

dei servizi (DM)

Impiegati presso aziende agricole

Totale

Belluno 0 10 0 10 Padova 0 335 0 335 Rovigo 0 2 0 2 Treviso 2 77 1 80 Venezia 0 20 0 20 San Donà 1 0 0 1 Totale Venezia 1 20 0 21 Verona 0 17 0 17 Vicenza 0 12 0 12 VENETO 3 473 1 477

Nota: non sono considerati i collaboratori coordinati e continuativi che hanno un rapporto di lavoro

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive Inps

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PARTE SECONDA:

LE POLITICHE

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Capitolo 4°

IL LAVORO NERO SECONDO GLI ISPETTORI: EVOLUZIONE DEL FENOMENO

ED IMPATTO DELL’ATTIVITÀ ISPETTIVA

4.1 Introduzione

Nel raccogliere elementi utili per cercare di tratteggiare un quadro1 dei caratteri sa-

lienti e qualificanti del fenomeno del lavoro sommerso2 è sembrato non potesse man-

care il contributo degli addetti all’attività ispettiva dei vari Enti interessati, di coloro

cioè che per professione sono impegnati a contrastarlo direttamente sul territorio.

Nel nostro Paese, in effetti, i soggetti istituzionali che a vario titolo sono impegnati nel

perseguire le violazioni alle norme che regolano le prestazioni lavorative e gli obblighi

contributivi e fiscali ad esse collegati sono una pluralità3: da parte nostra si è deciso di

coinvolgere nell’indagine gli appartenenti all’Inps, all’Inail, agli Ispettorati del lavoro e

all’Agenzia delle entrate con un criterio basato principalmente sulla considerazione del

ruolo storicamente svolto, di quello attualmente rivestito, nonché sul numero di per-

sone assegnate all’attività di contrasto.

È stata un’indagine tipicamente esplorativa, che ha inteso sfruttare al massimo la

condizione di “attori partecipanti” che compete ai soggetti coinvolti, “drenando” da loro

la maggior quantità di informazioni possibili. Non avendo finalità di proiezione quan-

titativa non ci si è posti problemi di rappresentatività degli intervistati, se non quella

territoriale.

1. Per sua natura questa è una realtà che difficilmente si può riuscire a “fotografare”: bisogna acconten-tarsi di un minor livello di precisione, cercando egualmente di raggiungere un elevato effetto di vero-simiglianza.

2. Si tralascia qui qualsiasi impegno di definizione puntuale del termine (questioni affrontate in altra parte del Rapporto) attribuendogli semplicemente un significato residuale: tutto quello che non è re-golare.

3. A vario titolo investiti del ruolo (e con poteri differenti) sono, oltre i già citati Inps, Inail, Ispettorato del lavoro, Agenzia delle entrate, anche l’Enpals, l’Enasarco, le Asl, la Guardia di Finanza, la Task Force del Ministero del Lavoro.

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Sono state effettuate ventuno interviste semi-strutturate nell’arco di sei settimane, con

una selezione degli ispettori non casuale, che tenesse conto dell’esperienza maturata,

della conoscenza del territorio e delle problematiche socio-economiche che lo interes-

sano.4 I colloqui,5 pur essendosi svolti in forma molto libera, hanno ruotato attorno ad

una serie di temi precedentemente individuati, riconducibili essenzialmente a:

una biografia professionale individuale per ricostruire sinteticamente il percorso

formativo e la storia lavorativa, le ragioni e le motivazioni delle scelte fatte, il grado

di soddisfazione attuale rispetto alle condizioni di lavoro, gli eventuali problemi e

difficoltà incontrate;

una relazione particolareggiata sulla percezione del lavoro nero, sulle ragioni della

sua esistenza, sull’evoluzione nel tempo, sul grado di diffusione, sulle caratterizza-

zioni settoriali ed aziendali, sulle tipologie dei lavoratori coinvolti, sulle norme più

frequentemente violate;

una ricostruzione dell’azione di contrasto, del suo mutare nel tempo, delle funzioni

e dell’efficacia della repressione, dei mutamenti normativi avvenuti e della loro coe-

renza con le esigenze presenti;

una descrizione delle modalità di lavoro, dell’organizzazione, della programma-

zione, delle determinanti nell’azione, dell’articolazione della funzione ispettiva, del

coordinamento interistituzionale, del supporto sociale all’attività di contrasto;

una valutazione delle politiche per l’emersione e dei mezzi a disposizione per in-

tervenire efficacemente;

una richiesta di esplicitare in maniera propositiva quali interventi siano necessari

al sistema per ridurre l’irregolarità.

L’impressione che si è tratta dal complesso delle interviste è stata quella di trovarsi di

fronte ad un insieme di operatori sicuramente molto competente e, nella grande mag-

gioranza dei casi, anche molto motivato: rispetto alla vulgata comune, questi dipen-

denti pubblici appaiono sorprendentemente pieni di passione nei riguardi del proprio

lavoro, al quale attribuiscono un elevato significato sociale.

Non era qui previsto di quantificare l’attività svolta né da ciascun soggetto né dalle ri-

spettive strutture di appartenenza,6 ma bensì di disvelare e socializzare pratiche, mec-

4. La selezione è stata effettuata dai dirigenti delle rispettive strutture di appartenenza. 5. Le conversazioni (condotte per la quasi totalità con la presenza contemporanea di due intervistatori),

per scelta ponderata, non sono mai state registrate su supporto magnetico. La formalizzazione degli appunti raccolti è stata fatta subito dopo la conclusione dell’intervista stessa. Le affermazioni attri-buite agli ispettori, e graficamente differenziate, non possono essere a rigore definite “testuali”.

6. L’attività ispettiva è in altra parte del Rapporto monitorata.

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canismi, ricorrenze che caratterizzano, secondo l’esperienza di ciascuno degli intervi-

stati, la realtà del lavoro nero. Sicuramente gli addetti all’attività ispettiva sono tra

coloro che più sanno di questo universo produttivo parallelo, che quotidianamente fre-

quentano, e possono aiutare ad evitare di leggerlo attraverso banali stereotipi spesso

fuorvianti per un’analisi corretta che voglia portare a intervenire adeguatamente sulle

situazioni ai margini o al di fuori dalla legalità.

Gli elementi emersi dall’indagine appaiono non privi di originalità e di sicura utilità sia

per un inquadramento metodologico della tematica sia per l’individuazione delle criticità.

4.2 Gli ispettori

Sono stati intervistati tre ispettori del lavoro dipendenti dalle Direzioni provinciali del

lavoro, dodici ispettori dell’Inps più un dirigente ispettivo provinciale ed uno regionale

del medesimo istituto, tre ispettori dell’Inail, un dirigente regionale del settore accer-

tamento dell’Agenzia delle entrate: gli effettivamente operativi “sul campo” sono quindi

risultati diciotto.

Tutte le province sono risultate rappresentate, con una massima copertura per Vi-

cenza (5) ed una minima per Belluno (1); nel complesso le donne sono sei, presenti per

tutti gli organismi, eccezion fatta per l’Agenzia delle entrate.

Anche in funzione delle caratteristiche inizialmente richieste, gli ispettori risultano

avere un’anzianità di servizio piuttosto elevata (oltre quindici anni di media, con un

solo soggetto con meno di 10 anni di servizio in qualità di ispettore). Nella maggio-

ranza dei casi l’attività ispettiva è stata preceduta da una più o meno lunga perma-

nenza in altra posizione lavorativa all’interno dei rispettivi enti. Il cambiamento poi è

avvenuto tramite percorsi diversi, in funzione dell’anzianità e della provenienza: per

alcuni si è trattato di un’indicazione da parte di un dirigente, per altri di una richiesta

di partecipazione ad una selezione interna, per altri ancora di un’assegnazione avve-

nuta a seguito dell’assorbimento di un altro Ente presso il quale svolgevano funzione

analoga. Solo per alcuni giovanissimi (un caso tra gli intervistati) il reclutamento av-

viene in base ad un concorso pubblico ad hoc, per partecipare al quale è ora previsto il

possesso della laurea (un tempo bastava il diploma).

“Un tempo gli ispettori erano scelti dal direttore, oggi ci sono i test e ci si muove su richiesta individuale”(Int. 3).

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“La selezione per essere avviati al ruolo avveniva principalmente per indicazione del dirigente che cercava soprattutto una persona equilibrata ed affidabile. Veniva data molta importanza alla preparazione giuridica, cosa che oggi non viene più fatta, con perdita di competenza”(Int. 10).

La funzione di ispettore è stata cercata, o è stata ben accetta quando proposta, sulla

base di motivazioni abbastanza diffuse che in qualche modo servono anche a descri-

vere le caratteristiche salienti del ruolo, così come percepito da chi lo riveste:

“Aspiravo alla discreta autonomia che garantisce questo lavoro. Io poi ho un forte interesse per il lavoro d’indagine, sono un po’ come un detective che conduce in-chieste” (Int. 1).

“Poi ho fatto domanda per partecipare al concorso perché ero stufo del lavoro d’ufficio e della mancanza di rapporto con altri colleghi e con la gente” (Int. 4).

“La scelta di questa attività per quanto mi riguarda è stata motivata da un biso-gno di varietà e di autonomia” (Int. 5).

“Ho cercato questo lavoro perché volevo qualche cosa di più e di diverso: responsabilità, autonomia, interessi. Ho trovato quello che cercavo, anche se il la-voro si è dimostrato essere del tutto diverso da quello che immaginavo dovesse essere. C’è molta meno avventura e più necessità di meticolosità, di duro lavoro, di pazienza, di saper, anche qui, affrontare la routine” (Int. 6).

“Il lavoro di ispettore mi piace, l’ho scelto perché dà una certa visibilità, sia dentro che fuori dall’Ente. È un posto di responsabilità ed autonomia, che magari manca di incentivazione economica, ma che viene scelto quando interessa a livello indivi-duale” (Int. 7).

“Si fa questo lavoro solo quando ci sono le motivazioni adeguate per farlo con inte-resse. Del resto quando si esce si espone la propria faccia, non è come in ufficio” (Int. 11).

“Per il resto l’agire dell’ispettore si basa su una motivazione propria, per il senso di utilità nei confronti della collettività, dei lavoratori: non agisce certo la motiva-zione economica” (Int. 16).

Autonomia, responsabilità, visibilità (“Cosa vi hanno detto di noi, qui all’Istituto? Che

siamo le prime-donne? Lo sappiamo che dicono così”(Int. 5), bisogno di un lavoro che

proietti al di fuori delle mura dell’ufficio. Certo non ci sono solo aspetti positivi, il la-

voro d’indagine non è solo azione, ma anche meticoloso studio delle carte, ricerca negli

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archivi informatici, analisi delle normative. Ma se la motivazione che spinge è suffi-

cientemente forte anche gli aspetti meno entusiasmanti si possono accettare.

In tutti i casi per l’accesso alla professione sono previsti percorsi formativi, di lun-

ghezza molto variabile a seconda dell’Ente e dell’epoca, che recentemente si stanno ac-

corciando in tutte le realtà, quasi che la necessità di avere a disposizione personale

immediatamente operativo abbia la prevalenza su quella di una preventiva qualifica-

zione. Se ne lamentano gli ispettori intervistati (che, per età, hanno partecipato a

quelli lunghi, di durata attorno agli otto-nove mesi, di cui ricordano l’utilità e la vali-

dità intrinseca) che oggi in non pochi casi sono tra i “docenti” che formano le nuove

leve e che vedono un forte limite nella brevità dei tempi concessi (attorno ai tre mesi),

nel mentre per operare con efficacia oggi servirebbero più competenze di un tempo.

Ma ispettori, a loro giudizio unanime, si diventa per gradi, con il lavoro sul campo, im-

parando da coloro che hanno più esperienza e che ti affiancano nei primi periodi di

attività. È un lavoro che richiede anche una certa predisposizione, delle qualità di ca-

rattere particolari perché oggettivamente non facile, a partire dal tipo di rapporto che

si viene ad instaurare con “l’utenza” che spesso non è particolarmente ben disposta

verso chi ha pur sempre una funzione di controllo e, se del caso, di repressione.

“Manca oggi un percorso di formazione che prepari all’attività vera e propria, an-che se poi, al momento dell’inserimento, si è affiancati ad un collega esperto che ti consente di imparare”(Int. 1).

“La formazione, per quanto accurata, non è certo sufficiente a fare un buon ispet-tore: è un primo passo, un modo per fornire strumenti utili ad orientare i succes-sivi momenti di apprendimento. Il lavoro sul campo è la vera palestra” (Int. 3).

“Dopo un buon corso di circa 9 mesi sono diventato ispettore. Il percorso di forma-zione però è una cosa che continua nel tempo” (Int. 4).

“Ho fatto un corso di circa 8 mesi che mi è parso, anche alla luce del poi, molto buono: adesso i corsi sono più brevi” (Int. 6).

“La gente normale non è abituata a mentire, se sai parlare con loro, sai distin-guere il momento di rabbia dal vero intento di offendere…se sei una persona pa-ziente e sai come prendere le cose, vieni a capo di tutto. Bisogna anche capire lo stato d’animo di chi ti sta davanti, come lui ti può vedere”(Int. 7).

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“Si viene a contatto con realtà non sempre facili, spesso molto prossime alla delin-quenza vera e propria. Bisogna saper valutare come comportarsi. Ed è una cosa che si può anche imparare, se si ha un buon maestro”(Int. 9).

L’attività esterna è svolta all’Inps sempre in coppia, mentre nelle altre strutture gli or-

ganici non riescono a garantire costantemente questa modalità operativa che pure è

molto apprezzata dagli operatori sia per la migliore efficacia d’azione negli “accessi”,7

sia per il reciproco sostegno che gli ispettori vicendevolmente si possono scambiare,

sia perché rende più difficile la messa in atto di pratiche volte ad esercitare pressioni

indebite da parte degli “ispezionati”. Frequentemente gli ispettori si vedono costretti ad

operare chiedendo il sostegno delle forze dell’ordine perché i loro poteri,8 limitati per

legge, impediscono l’attuazione di un’efficace strategia di contrasto. Recentemente è

invalsa anche la modalità d’azione “dell’ispezione congiunta”, effettuata cioè contem-

poraneamente da appartenenti ad Istituti diversi, che ha permesso, al di là delle prati-

che di coordinamento, di conoscere, valutare ed apprezzare anche il modo di operare

degli “altri” addetti all’attività ispettiva.

L’obiettivo principale dell’Inps è il controllo dell’unità locale per valutare la regolarità

dei pagamenti dei contributi e la verifica della correttezza della posizione contributiva

in merito alla situazione del carico contributivo e della sua corrispondenza con

l’effettiva posizione lavorativa; l’Inail è interessato alle condizioni lavorative dei singoli

addetti valutando la loro posizione assicurativa in funzione del rischio cui sono real-

mente esposti. Gli ispettori di questi due istituti non svolgono funzioni di polizia giudi-

ziaria, ma solo di polizia amministrativa. L’Ispettorato del lavoro rileva tutti i tipi di ir-

regolarità, sia delle attività completamente sommerse che le irregolarità parziali (casi

in cui alcuni tipi di contratti nascondono rapporti lavorativi di altra natura al fine di

risparmiare sui contributi e sulle imposte) ed i suoi ispettori hanno poteri di polizia

giudiziaria e possono operare con i militi in servizio presso il Comando Carabinieri

dell’Ispettorato del Lavoro. L’Agenzia per le entrate si occupa dell’evasione fiscale e può

avvalersi dell’opera della Guardia di Finanza.

È evidente che questa pluralità di attori, la cui attività si dispiega in spazi contigui ma

non perfettamente sovrapponibili, per massimizzare l’efficacia degli interventi ha una

7. È il termine con il quale si definisce un’ispezione in un luogo di lavoro, per effettuare la quale è ap-punto garantito il potere di accesso “ai locali delle aziende, agli stabilimenti, ai laboratori, ai cantieri e a qualsiasi altro luogo di lavoro come negozi, esercizi pubblici, studi professionali ed ai locali nei quali viene svolta un’attività lavorativa assoggettabile alle norme di legge sull’assicurazione obbliga-toria” (art. 3, comma 1 lett. a, l. 638/1983).

8. “Gli ispettori non sono poliziotti. Né lo vogliono diventare” (Int. 13).

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sicura necessità di reciproca conoscenza e confronto, cosa che sta cominciando ad av-

venire e che trova il consenso degli intervistati. Sul tema dei poteri conferiti non si è

colto nessun atteggiamento tendente ad esplicitare la necessità di un loro rafforza-

mento, con una responsabile valutazione degli oneri e responsabilità che ogni allarga-

mento in questo campo comporterebbe. Sostanzialmente “il gioco delle parti” è accet-

tato così com’è attualmente configurato. Piuttosto su altri versanti si dispiega la ri-

chiesta di cambiamento.

“Pur riconoscendo il miglioramento della dotazione tecnologica in uso, devo dire che i mezzi messi a disposizione dovrebbero essere ulteriormente potenziati” (Int. 1).

“Oggi quello che serve è un analista, che sappia correlare le informazioni, ge-stendo le banche dati e che poi sappia fare comunicazione. Comunicare con l’utenza è importantissimo, come muoversi con dati certi alle spalle. La vigilanza all’esterno dovrebbe rappresentare non più del 10% del lavoro e dovrebbe essere fatta a colpo sicuro”(Int. 13).

“Le differenze di trattamento tra persone che fanno la stessa cosa sono molto rile-vanti (lo sappiamo e poi li vediamo quando facciamo insieme le congiunte) e non è solo questione di trattamento economico ma anche di dotazione strumentale, della disponibilità di mezzi e informazioni” (Int. 16).

“Così come siamo organizzati contrattualmente conviene fare ispezioni all’esterno piuttosto che lavorare in ufficio facendo ricerche e confrontando dati. Il lavoro di indagine a tavolino è penalizzante sul piano economico, frutta di più fare un’ispe-zione a vuoto. Bisogna cambiare se si vuole essere efficaci” (Int. 18).

Va anche detto che gli operatori, indipendentemente da dove lavorano, riconoscono le

differenze esistenti nella dotazione di supporto fornita all’attività ispettiva e comune-

mente giudicano l’Inps come l’istituto che più ha fatto su questo versante. Ma nono-

stante questo:

“Del resto sulla nostra preparazione non si discute, siamo noi che facciamo i con-sulenti ai consulenti del lavoro, ai sindacalisti. E poi la tradizione degli ispettori è grandissima. Nessuno di noi cambierebbe per passare all’Inps, anche se lì sono trattati meglio e hanno più mezzi, perché la tradizione è diversa, diverso lo spirito che ci muove. Il nostro interesse è la sicurezza complessiva dei lavoratori, non solo il versante economico della faccenda” (Int. 16).

C’è comunque uno spirito di appartenenza forte, un’identificazione col proprio istituto

di appartenenza, che magari in certi casi potrà anche essere patrigno, ma che ha con-

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corso significativamente nella costruzione dell’identità professionale, inoculando al-

cune specificità.

Nella grande generalità gli ispettori hanno lavorato con grande continuità nella stessa

sede operativa, maturando una conoscenza profonda del territorio. Non pochi però de-

gli intervistati appartenenti all’Inps sono stati coinvolti in esperienze temporanee di la-

voro al sud, su progetti di intervento mirato (ad esempio quello sull’ indennità di ma-

ternità.9 In questi casi l’Istituto mobilita al Nord un certo numero di ispettori per delle

campagne di repressione di comportamenti fraudolenti attuati su vasta scala in alcune

regioni del meridione d’Italia. Sono state esperienze interessanti che hanno giovato agli

ispettori, facendo loro conoscere delle realtà lavorative ben diversamente connotate.

“Anch’io ho fatto esperienze a Catania e Taranto, delle quali ricordo soprattutto il clima sociale diverso. Un mondo fatto di persone generalmente ingenue, molto meno smaliziate di quelle che si incontrano qui. Ho fatto esperienza dell’indennità di maternità, che le donne percepivano come cosa dovuta e non come una frode. Non cercavano neppure di nascondere la loro estraneità al mondo agricolo oppure mentivano davvero ingenuamente. Se avessi domandato loro se usavano la scala per raccogliere le patate mi avrebbero risposto di sì” (Int. 5).

“Ho fatto una breve esperienza di lavoro a Caltanisetta: è impossibile fare l’ispettore in quel clima sociale. Capisco i colleghi che lì ci abitano” (Int. 1).

“Ho sempre lavorato qui, pur con 3 esperienze di tre mesi ciascuna al sud: Ta-ranto, Brindisi, Ragusa. Tutte molto belle e formative, bella gente”(Int. 4).

Sono persone generalmente contente del lavoro che fanno; conoscono non solo a livello

specialistico la realtà che trattano e possiedono una visione d’insieme che conferisce

loro una giusta dose di distacco tale da poter capire anche le ragioni degli altri, com-

presi quelli che poi alla fine perseguono.

“Sono soddisfatta del lavoro che faccio, non ho particolari problemi con i colleghi, forse qualcuno in più con la famiglia per i sacrifici di tempo che sono costretta a fare e che poi ricadono su di essa” (Int. 11) .

9. Era essenzialmente una frode ai danni dell’Inps perpetrata facendo risultare come addette all’agricol-tura delle donne (quando incinte) che quell’attività non avevano mai praticato, con il fine di poter far fruire loro l’indennità di maternità. La pratica era talmente diffusa che la percezione sociale era quella che il “premio” fosse dovuto per il semplice fatto di attendere/avere un figlio.

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Quelli intervistati hanno dimostrato una conoscenza del mondo del lavoro e delle que-

stioni connesse molto approfondita, che li immunizza da una visione manichea dei

problemi.

“Servirebbe un’anagrafe delle sanzioni amministrative: buoni con la prima infra-zione e poi intransigenti facendo cumulare anche il pregresso”(Int. 13).

“Le cose non sono mai tutte bianche o tutte nere. Non sempre c’è la volontà di fro-dare. In tanti casi le persone sono messe nelle condizioni di non poter fare diver-samente. Bisogna capirle, far vedere loro che esistono delle strade diverse, dar loro una possibilità”(Int. 14).

4.3 La struttura organizzativo/operativa locale

Gli stili di lavoro sono molto diversificati non solo in funzione dell’Istituto di apparte-

nenza, ma anche tra sedi territoriali. Così accanto a chi si muove quasi esclusiva-

mente a seguito di denuncia, c’è chi opera prevalentemente seguendo i piani e le stra-

tegie decisi a livello centrale e chi prevalentemente a livello periferico; ci sono poi co-

loro che strutturano dei piani settoriali redatti localmente e c’è chi opera a “vista”10

occasionalmente e chi più sistematicamente. Altrettanta diversità esiste sul versante

dell’indagine preparatoria che precede l’uscita: può essere molto lunga ed articolata,

con un esame meticoloso di documenti e dati statistici, come pure essenziale e poco

probante. Quasi sempre le due pratiche sono legate alle contingenze, non assurgono a

metodo (né in un caso né nell’altro), ma sono effetto della necessità.

“L’attività si muove molto sulle denunce che giungono dall’esterno e grazie anche alla buona collaborazione con gli altri Enti, in particolare con la Finanza, in fun-zione dei rapporti instaurati dal nostro coordinatore, che ci consentono di effet-tuare delle buone uscite”(Int. 4).

“L’attività gira attorno alle denunce, che nel 90% sono anonime, ma circostanziate e hanno consentito buoni riscontri. Le fanno per i motivi più vari: concorrenza sle-ale, invidia”(Int. 5).

10. Si intende con questa espressione una modalità di ispezione particolarmente adatta per i cantieri edili (ma non sono esclusi i capannoni industriali) che muove dal presupposto che l’obiettivo sia ini-zialmente sconosciuto e che venga individuato perché “visto”: ad esempio girando in auto si nota una gru e quindi si ispeziona il connesso cantiere.

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“Il lavoro di indagine è fondamentale per poi fare ispezioni con risultato: così si sono trovati 150 laboratori di cinesi senza fare troppi buchi”(Int. 11).

“Lavoriamo molto su segnalazione dell’Area Premi del nostro Istituto, ma anche su progetti di iniziativa nei quali si individuano aree di intervento (ad esempio le im-prese mai visitate). Oppure si opera a vista selezionando un territorio. Nel fare la selezione si guarda a diversi fattori: quelli conosciuti come focolai di evasione (edi-lizia, pubblici esercizi), i comparti che stanno conoscendo un trend economico posi-tivo e che sono quindi in forte espansione di manodopera. L’attività è molto spesso d’indagine: si controllano le bolle, le fatture, si diventa poliziotti che in base ad in-dizi ricostruiscono le vicende” (Int. 12).

“Non c’è una strumentazione che consenta la socializzazione delle conoscenze: certi fenomeni andrebbero previsti. Quando la manodopera specializzata di Gela è stata messa in cassa integrazione proprio in un momento in cui le stesse profes-sionalità erano richieste come il pane in carestia in questa zona, era da prevedersi che si sarebbe installato un circolo peccaminoso. Come poi è accaduto. Bisogna perciò arrivare ad invertire l’ordine dei comportamenti: prima indagare e poi uscire. L’uscita dovrebbe essere quasi certa, oggi non è così” (Int. 13).

“L’attività dell’Ispettorato è mossa in gran parte da denuncia: singoli lavoratori, sindacati, altri privati”(Int. 14).

“Molte sono le denunce che ci pervengono, ma ci si muove anche su iniziativa: a monte c’è la tradizione d’azione in funzione della sicurezza complessiva del lavoratore”(Int. 16).

La rete di rapporti (sia sul piano istituzionale che no) è comunque fondamentale per

riuscire ad operare con efficacia. Quasi tutti preferirebbero che esistesse un certo li-

vello di strutturazione delle relazioni tra organi ispettivi, ma si accontentano quando

almeno sul piano personale i rapporti esistenti consentono di operare con maggiori

possibilità di successo.

Un vero coordinamento operativo, al di là di quello formalmente già esistente e posto

in capo all’Ispettorato del lavoro, ancora non c’è. Qualche passo in avanti si è fatto an-

che recentemente con la nuova campagna contro il sommerso (molto orientata ad

un’azione di induzione all’emersione più che alla repressione, un’opera da “promoter”

come è stato riferito), che ha consentito almeno di capire come operano “gli altri” e

quali sono le loro necessità per adempiere ai propri compiti.

“Io vedo come una primaria necessità operativa un forte collegamento con tutti co-loro che operano nello stesso campo: per massimizzare i risultati e non disperdere le energie. Ma il clima di collaborazione non sempre è buono. Neppure fra tutti gli

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attori istituzionali: spesso noi socializziamo i nostri rapporti di ispezione, ma non ne riceviamo quasi mai. Per il resto fondamentali sono i rapporti con la Guardia di finanza che ha una conoscenza del territorio, una possibilità d’azione e un pos-sesso d’informazioni veramente importante; con i Comuni, che attraversi i vigili sanno tutto; con i consulenti del lavoro con i quali è giocoforza confrontarsi conti-nuamente. Ma con tutti questi i rapporti sono essenzialmente di tipo personale” (Int. 1).

“Vedo come auspicabile una certa unificazione degli organi ispettivi, o almeno un loro coordinamento reale, pur conservando ciascuno le proprie specificità” (Int. 2).

“Diverso è il discorso su come bisogna operare sul campo per fare risultati. Sul ter-ritorio vigili e carabinieri sono quelli meglio informati (soprattutto gli ultimi), nei pic-coli centri sanno veramente tutto di tutti. La collaborazione con gli altri enti è buona anche se si scontra con i limiti giuridici (le diverse competenze assegnate, i diversi poteri) e con i difetti, chiamiamoli di comunicazione” (Int. 7).

“Qui non ci sono molte segnalazioni dall’esterno, quelle che vengono fatte sono sempre evase. I rapporti con gli altri enti di vigilanza sono sempre di tipo perso-nale. Anche con la Finanza, dipende da chi si trova. Nell’organizzazione del lavoro servirebbe che le attività straordinarie almeno andassero di pari passo con quelle ordinarie, non che soffocassero queste ultime” (Int. 9).

Un passaggio a parte merita l’evidenziazione dei rapporti con il sindacato, molto diver-

samente percepiti dai vari interlocutori (in positivo come in negativo).

“Il sindacato localmente non è molto collaborativo: segnala solo dove gli conviene” (Int. 3).

“Nel territorio non si può dire che gli ispettori siano ben visti (si preferisce la visita di qualcun altro al posto nostro), ma la collaborazione è buona, anche con il sinda-cato, come con i consulenti del lavoro” (Int. 4).

“Nelle realtà industriali c’è ancora un sindacato che fa il suo mestiere, c’è una cul-tura che tollera meno le irregolarità” (Int. 10).

“Forse unici nel nostro genere riceviamo anche i verbali di conciliazione fatti dal sindacato davanti all’Ispettorato” (Int. 17).

“Il sindacato in certi settori ha proprio mollato, lascia che facciano quello che vo-gliono, ha rinunciato al proprio mestiere di tutela del lavoro” (Int. 8).

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Si è molto attenti nell’azione a differenziare tra le violazioni di forma e quelle di so-

stanza. Se si bada molto al numero di accessi complessivamente fatti per forza di cose

allora si sarà meno accurati nell’ispezione, se si accentra l’interesse sul lavoro nero si

sarà maggiormente pronti a sorvolare su altre violazioni. Comunque l’attività di vigi-

lanza si gioca anche molto sulla visibilità nel territorio: percepire come reale il rischio

di incappare in un controllo spinge sicuramente ad adottare comportamenti virtuosi.

Gli ispettori sembrano convinti di questo ed ispirano spesso a questa filosofia anche la

loro strategia d’azione. La preoccupazione sembra essere essenzialmente quella di riuscire a stabilire un rap-

porto di fiducia con le aziende e ciò non può essere ottenuto prescindendo da una coe-

renza di fondo nelle azioni intraprese. Ciò che è accaduto con il sommerso del resto

sembra ora ripetersi con la sequela dei condoni anche nei confronti della totalità dei

cittadini. La certezza dell’applicazione della norma come pure della sanzione ad essa

collegata sono alla base di un corretto rapporto tra Stato e cittadino e chi è chiamato

ad esporre la propria faccia per conto dello Stato vorrebbe potersi presentare senza

esibire comportamenti schizofrenici.

“Si sta bene attenti a distinguere le piccolezze, i piccoli errori formali, si bada alla sostanza delle cose” (Int. 6).

“Rispetto ad un tempo il fuoco dell’azione mira soprattutto a renderci visibili sul territorio, compiendo un’azione di induzione alla regolarizzazione. Le nostre ispe-zioni sono molto più veloci, non sono complete, mirano ad accertare solo poche cose: si vuol far vedere che ci siamo e si è costretti a trascurare molto” (Int. 9).

“La presenza sul territorio, la visibilità, funge essa stessa da deterrente” (Int. 16).

“Una cosa importante nell’azione di contrasto al lavoro nero è rappresentata spesso solo dalla presenza sul territorio, dalla visibilità presso i soggetti: in questo modo si innescano catene di comportamenti virtuosi” (Int. 21).

Un problema molto sentito nell’articolare l’azione è quello della mentalità diffusa, di

come ci si sente percepiti dall’ambiente sociale in cui si opera, di come viene vissuta

l’illegalità, o ancora di cosa venga avvertito come illegale. Diverse sono le strategie che

bisogna adottare se ci si muove in un ambiente omertoso piuttosto che collaborativo,

diverso è se un comportamento è vissuto come sanzionabile o invece giustificabile11.

11. L’esempio dell’indennità di maternità sopra menzionata è chiarificatore.

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“La cultura locale è ancora sana, viola per necessità! Anche se le cose cambiano. Una volta era più facile il tentativo di corruzione, oggi no, oggi c’è la minac-cia”(Int. 3).

“La gente normale non è abituata a mentire, se sai parlare con loro ti rivelano le cose per quello che sono: il miglior informatore è l’imprenditore stesso. Non sempre il lavoro è semplice, la Finanza è agevolata perché ha più poteri. Non sempre ci si comporta come tra guardie e ladri leali, come in quell’impresa dove sopra un ar-madio c’era un faldone con l’indicazione ‘ore in nero operai’, io lo chiesi all’impiegata e lei gentilmente me lo fornì” (Int. 6).

“La mentalità che si sta diffondendo è quella che dice: chissà se andrò mai in pensione, quindi mi conviene prendere il più possibile oggi e non preoccuparmi della sicurezza di domani. Così si giustifica la forte propensione allo straordinario fuori busta, ecc.” (Int. 7).

“Ma è la cultura della legalità nel suo complesso che accusa delle falle”(Int. 10).

“Nei pubblici esercizi è una caccia inutile: scoperti i lavoratori in nero li regolariz-zano e poi li tornano a licenziare. Molte delle commesse dei negozi e boutiques chic del centro di Padova sono sicuramente in nero, sembra quasi che debbano es-sere loro a pagare per la fortuna che hanno di lavorare in un posto così” (Int. 18).

“In alcuni casi ci si sente in difficoltà a dover operare sul versante repressivo dato che evidenti sono le strettoie nelle quali molti operatori sono costretti” (Int. 21).

Cosa si potrebbe fare, senza cambiare norme, agendo solo localmente, per migliorare

la situazione operativa ed organizzativa (oltre alle cose che già sono emerse e che sono

state sottolineate)?

Gli ispettori si richiamano essenzialmente a due ordini di interventi: da un lato una ri-

chiesta di specializzazione (diversamente formulata), dall’altra la possibilità di struttu-

rare momenti di riflessione collettiva, di socializzazione delle esperienze e conoscenze.

“Trovo che sarebbe auspicabile una maggiore specializzazione territoriale degli operatori, tale da garantire una più capillare conoscenza del territorio, come suc-cede del resto per la Guardia di Finanza” (Int. 1).

“Vedrei come una necessità una certa specializzazione degli ispettori in funzione dei settori produttivi, per favorire una conoscenza contrattuale più precisa” (Int. 2).

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“Non esistono momenti di riflessione, di sistematizzazione dell’azione e delle cono-scenze al nostro interno: se ne sente la mancanza, ma non c’è il tempo, schiacciati dalla necessità di raggiungere i risultati operativi predeterminati” (Int. 4).

“Nell’organizzazione del lavoro manca un momento di riflessione che serva anche per programmare l’attività con maggiore puntualità, facendo anche tesoro delle esperienze condotte. Anche un’organizzazione con specializzazione territoriale più ristretta agevolerebbe le operazioni e la capacità di indagine” (Int. 7).

“Nel lavoro complessivo sento molto la necessità di momenti comuni di riflessione e di approfondimento, anche per la banale interpretazione della normativa” (Int. 11).

Come già sottolineato non emerge un’evidenziazione di limiti operativi particolarmente

legati ai poteri di intervento posseduti, quanto piuttosto la percezione della centralità

del coordinamento come momento che consente un reale passo in avanti nel miglio-

ramento dell’azione, coordinamento che non deve per forza coincidere con la creazione

di un unico corpo ispettivo, ma che almeno deve garantire scambio e conoscenza reci-

proca. Forte è anche il bisogno di spazi di riflessione e di condivisione, per poter far

crescere la propria professionalità, per sentirsi confortati nelle proprie decisioni, per

poter agire a seguito di una strategia pianificata.

4.4 L’azione di contrasto

L’azione sul campo degli addetti all’attività ispettiva si richiama sicuramente ad una

molteplicità di funzioni, dipendenti in parte dalle specificità imputabili ai compiti pro-

pri degli Istituti di appartenenza, in parte dalle priorità definite a livello governativo.

Così accanto alla verifica delle condizioni che garantiscono la sicurezza sul lavoro, di

quelle volte ad assicurare il rispetto dei diritti dei lavoratori e di quelle volte al recu-

pero di gettito sul versante contributivo-finanziario, si affiancano quelle di promozione

delle nuove normative volte a facilitare l’emersione delle attività sommerse.

Se l’attività ispettiva indirizzata ad assicurare l’osservanza delle disposizioni in materia

di lavoro e di previdenza sociale viene espletata in Italia da lungo tempo, è novità degli

ultimi anni l’ attenzione posta ad una funzione di prevenzione e controllo nella diffu-

sione di forme irregolari di lavoro e, più in generale, alle forme dell’economia som-

mersa. L’attività ispettiva va configurandosi sempre più, e non senza contraddizioni,

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con caratteri di prevenzione piuttosto che sanzionatori, con un’evoluzione quasi con-

sulenziale del ruolo degli ispettori.

“A seguito della legge sull’emersione stiamo operando come dei promoter che vanno nelle aziende non per reprimere, ma per ventilare la possibilità di sanare la condizione irregolare. Certo è una cosa un po’ strana, poi una volta che li hai indi-viduati non è che hanno tante possibilità di sottrarsi. È un ravvedimento che av-viene quando ormai sono sotto scacco” (Int. 6).

“Non ha senso operare in questo modo, la legge c’è, chi vuole emergere lo faccia. Se dopo l’attività di accertamento ti scopro allora ti sanziono. Punto e basta” (Int. 7).

“È chiaro che l’Istituto ha interesse ad avere come interlocutrice un’azienda viva piuttosto che una morta (che non è più in grado di pagare niente) e che quindi l’azione sanzionatoria deve tener conto delle condizioni oggettive, però quello che ci viene chiesto adesso, facendo i promoter della legge sull’emersione, è tutta un’altra cosa”(Int. 16).

Ma contrastare le pratiche irregolari, oltre a produrre un beneficio economico per la

collettività, assume anche un significato più generale, di validità per il mercato.

“L’azione di controllo svolge la fondamentale funzione di mantenere in equilibrio il mercato che altrimenti risulterebbe drogato dai comportamenti scorretti. Ma è una percezione che pochi hanno, anche se si sta diffondendo, a seguito ad esempio dell’invasione dei Cinesi che provocano danni incalcolabili ai concorrenti. Il territo-rio è la chiave di volta, Comuni e Province, che hanno le conoscenze per individua-re i fenomeni (e che sono inoltre penalizzati dai mancati gettiti), non hanno ancora compreso che dovrebbero fornirci il massimo dell’appoggio, proprio per il benesse-re dei loro territori e dei loro cittadini, con un ritorno anche per loro. Potrebbero far pagare meno tasse, aver più introiti. Sono bloccati (oltre che dall’insipienza) dal non saper gestire i rapporti a livello locale”(Int. 13).

Ma l’attività di contrasto, che essa venga svolta con intento repressivo o piuttosto di

moral suasion, riesce ad incidere sul fenomeno del nero totale oppure no?

“Noi, con il nostro lavoro, in realtà riusciamo a prendere solo i più ingenui, gli altri resistono e ci fregano. Forse siamo anche noi deboli numericamente e professio-nalmente”(Int. 18).

“Si fa nero perché è la condizione di sopravvivenza sul mercato o perché si è delin-quenti. In tutti e due i casi è difficile cambiare la situazione”(Int. 9).

“Le condizioni sono molto diverse da luogo a luogo. Qui da noi il nero completo è poco, si può anche pensare di colpirlo efficacemente. Ma quando sono stato in Me-

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ridione mi son fatto l’idea che le cose vanno diversamente, che la posta in gioco è diversa. Per la vastità del problema e per il clima sociale”(Int. 4).

“In molti casi il trovare irregolarità per l’Inps si traduce in un costo, non in un van-taggio (ad esempio documentare i versamenti spettanti a lavoratori di imprese sparite costringe poi a completare le posizioni contributive dei lavoratori medesimi aventi diritto con i soldi del Fondo)” (Int. 1).

“La catena di società legate da emissioni di fatture false rende molto dubbia la possibilità per l’Istituto di rivalersi, perciò trovare non sempre si trasforma in un guadagno. Il lavoro di ispezione è sempre più difficile, richiede sempre maggiore preparazione: in provincia di Treviso ci sono forse i migliori consulenti del lavoro e i migliori commercialisti, forse ci sono anche i migliori ispettori. È li gioco delle parti che genera una crescita comune” (Int. 3).

“Qui ci si muove in un’ottica che porta a formalizzare solo azioni che hanno possi-bilità di successo (che sono cioè degnamente supportate da prove). In questo biso-gna tener conto anche degli orientamenti della magistratura che ad esempio ri-spetto ai nuovi contratti tende comunque a salvaguardare la volontà espressa dalle parti: non bisogna lottare contro i mulini a vento” (Int. 4).

“È il clima generale che è cambiato: chi oggi viene beccato tende a resistere in giu-dizio, non accetta di venire scoperto e di dover pagare. C’è una maggiore cono-scenza delle regole e un minor rispetto per l’autorità. Il risultato è una minore effi-cacia dell’azione. Certo, sta anche a noi migliorare”(Int. 5).

“Manca la possibilità di correlare l’eccessiva produzione e l’approvvigionamento di materie prime con il numero di dipendenti: il giudice non si accontenta di una di-mostrazione di questo genere. Vuole i nomi dei dipendenti12. Non vale la presun-zione come per la Finanza” (Int. 12).

Nel tempo pure il modo di operare è cambiato, perché nuovi sono gli strumenti a di-

sposizione e perché diverse sono le forme organizzative adottate dagli Istituti. Come in

altra parte già è stato accennato, non per tutti la dotazione strumentale è identica, la

“valigetta informatica” assegnata agli Ispettori dell’Inps non è ad esempio patrimonio

anche degli operatori dell’Ispettorato del Lavoro. Ma ovviamente non si può restringere

la questione solo a questo, c’è proprio un discorso che riguarda le priorità ed il modo

12. Il riferimento è ad una sentenza della Cassazione che giudicherebbe non esigibili i contributi relativi a prestazioni da parte di lavoratori non identificati. Sul tema le interpretazioni non sono certo univo-che. A tale proposito si veda anche la rivista dell’Associazione degli ispettori L’Ispettore e la Società, anno 21°, n. 1, Gennaio-Febbraio 2002.

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con il quale si lavora, anche sfruttando le nuove tecnologie. Poi, anche su questi ver-

santi le idee non sono concordi.

“Oggi c’è ad esempio una maggiore concentrazione dell’azione di repressione del nero totale rispetto ad altri tipi di evasione contributiva parziale, e questo cambia anche il modo di lavorare. Trovare attività completamente sommerse non consente grandi giochi sulle banche dati” (Int. 1).

“Il lavoro è cambiato nel tempo in maniera molto intensa: il salto è avvenuto con l’informatizzazione ed è stato un salto nel peggio. Perché? Perché il modo di lavo-rare è cambiato, togliendo ruolo all’individuo che un tempo era molto più responsabilizzato: ogni impiegato della sezione ditte seguiva un certo numero di imprese, verificava i loro comportamenti di mese in mese, l’arretrato contributivo non veniva mai lasciato accumulare senza una spiegazione. Con i computer il la-voro si articola attorno alla fase di imputazione e nessuno verifica più la con-gruenza delle informazioni digitate. Ad esempio questa campagna sull’emersione, condotta in modo inadeguato partendo da informazioni inattendibili, è il segno dell’errore”(Int. 10).

“Con tutto quello che possono pensare magari i colleghi anziani, il lavoro sulle banche dati è destinato a rafforzare la nostra attività. Ci possiamo muovere con maggiore certezza, impostando le azioni con maggiore precisione. È ovvio che non si può pensare che tutto venga fuori dai computer”(Int. 11).

“Dovremo cambiare il modo di lavorare, uscire praticamente a colpo sicuro, docu-mentati e quasi certi del successo. Bisognerà lavorare ancora molto, ma la strada è questa. Oggi per me su questo tema il miglior interlocutore è Lucio Stanca, il Ministro dell’innovazione: a lui dovrebbe essere chiesto di mettere in rete le risorse conoscitive esistenti per poi far fruttare le indagini” (Int. 13).

“Si lavora come si può, certo è che bisogna essere più preparati visto che ci si con-fronta con persone più preparate. Bisogna aver più strumenti perché anche chi froda usa più strumenti” (Int. 15).

L’informatica sembra essere ancora oggetto di dibattito, ma l’atteggiamento di fondo è

equilibrato: non attese messianiche né demonizzazione preconcetta. Forse in questa

fase sembra di cogliere che la maggiore utilità dallo sfruttamento delle diverse banche

dati sia attesa sul versante del contrasto “individuale”, cioè per la focalizzazione della

condizione del singolo evasore/trasgressore più che per la possibilità di cogliere indi-

cazioni di fondo in grado di spiegare da sole particolarità settoriali o territoriali.

Più volte è entrata nella discussione la nuova normativa sull’emersione. La strategia

italiana per la lotta all’emersione si articola attorno a due misure specificatamente de-

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dicate: i contratti di riallineamento ed il cosiddetto “Programma di riemersione”.

L’obiettivo dei contratti di riallineamento è quello di favorire l’emersione delle imprese

irregolari attraverso uno scambio triangolare in cui aziende, sindacati e attori pubblici

si impegnano in un programma comune di graduale fuoriuscita dalla condizione di il-

legalità fiscale e giuslavoristica delle prime. Con i contratti di riallineamento si giunge

all’applicazione del Contratto collettivo nazionale di lavoro attraverso aumenti retribu-

tivi scaglionati lungo un determinato periodo di tempo. Parallelamente vengono predi-

sposte norme legislative che garantiscono sgravi contributivi e fiscalizzazione degli

oneri sociali. I contratti di riallineamento sono nati spontaneamente come accordo pri-

vato tra le parti sociali e solo in seguito regolamentati per legge.

Il Programma di emersione è invece un provvedimento legislativo rivolto direttamente

all’imprenditore ed al lavoratore (l. 383/2001). Esso rappresenta una sorta di ravve-

dimento, supportato da facilitazioni fiscali e contributive sia per gli imprenditori che

per i lavoratori, che porta alla sistemazione di una serie di pendenze. Spetta alle

aziende emergere, tramite un’apposita dichiarazione, mentre i lavoratori possono ade-

rire solo quando lo ha fatto l’azienda.

Per supportare l’attuazione della legge è stato predisposto un piano straordinario di

accertamento che ha coinvolto anche gli ispettori da noi intervistati. Nel periodo di

svolgimento delle interviste era operativo anche il provvedimento di regolarizzazione

degli stranieri, lavoratori dipendenti, colf e badanti, che è sicuramente da ascriversi

alle politiche di emersione del lavoro nero, vincolato com’era all’esistenza di un rap-

porto di lavoro e alla volontà del datore di lavoro.

“L’emersione non sarà una gran cosa. Forse avrà successo più la regolarizza-zione e solo per quanto riguarda le badanti” (Int. 4).

“Le regolarizzazioni avranno successo con le badanti; l’emersione è troppo co-stosa, anche se il nero è oggi molto rischioso con le multe che possono essere ap-plicate” (Int. 5).

“Rispetto alla legge sento di poter essere molto critico: mal fatta tecnicamente, piena di contraddizioni, con una scansione temporale inadeguata. La possibilità del riscatto volontario da parte del lavoratore solo in continuità di prestazione viola l’inalienabilità del diritto. Secondo me non produrrà molto in termini di risul-tato. La domanda da farsi è: perché emergere? Il nero totale esiste perché altri-menti ci si troverebbe nella condizione di andare fuori mercato. Il grigio trova la convenienza da entrambe le parti e quindi continuerà. La sanatoria attuale non darà grossi risultati, neanche per le colf, data l’esosità. Meglio forse con le ba-danti” (Int. 6).

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“La legislazione sull’emersione è molto carente, presenta profili di incostituziona-lità, non porterà a grandi risultati. Meglio quella per gli extracomunitari” (Int. 7) .

“Anche questa azione sull’emersione non produrrà nulla, il costo è troppo elevato: se ci fosse una riduzione delle sanzioni forse molti al posto di resistere conciliereb-bero, ma certe spese sono sufficienti ad uccidere un’azienda (piccola e in condi-zioni di stentata sopravvivenza). Anche le regolarizzazioni degli extracomunitari ri-schiano di andare male: è il tempo indeterminato che fa paura, la gente non sa che per il lavoro domestico si può licenziare quando si vuole” (Int. 9).

“Quella sull’emersione è una legge di difficile applicabilità, quella sulla regolarizzazione è positiva, più immediata, più facile” (Int. 11).

“La legge sull’emersione è complicata e pericolosa nei suoi incerti contenuti, sarà difficile che trovi un rilevante consenso. Sarebbe stato preferibile un meccanismo del tipo da oggi in poi, come quello adottato nella regolarizzazione degli stranieri, non lasciare un’incertezza sul passato che non consente una pre-valutazione dei costi. L’esperienza della legge sull’emersione ha fatto però costituire un vero coor-dinamento tra i 5 soggetti preposti che in qualche modo ha funzionato: ha dato modo ai diversi operatori di conoscere il lavoro degli altri, di socializzare il proprio modo di lavorare” (Int. 21).

Sono giudizi articolati, abbastanza uniformemente orientati, anche abbastanza severi

in alcuni casi, ma non preconcetti e a riprova di ciò basta osservare come mutino tra

legge e legge. I riscontri empirici sembrano comunque dar loro ragione, sia su un ver-

sante che sull’altro.

4.5 La percezione del fenomeno “sommerso” da parte degli ispettori

Il quadro che scaturisce dalle descrizioni degli ispettori è assai variegato, puntuale

nell’individuazione delle fattispecie e delle caratteristiche di fondo del fenomeno, molto

più articolato, spesso discrepante nelle valutazioni quantitative.

Come descrivono la realtà del lavoro nero? Intanto rilevano che c’è, anche se in minor

misura rispetto ad un’area diffusissima di grigio.

Il relativamente poco sommerso totale:

è soprattutto in edilizia, in agricoltura, nei pubblici esercizi e nel contoterzismo del

manifatturiero;

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nelle realtà industriali riguarda quasi esclusivamente le piccole e piccolissime im-

prese (spesso usate in outsourcing dalle grandi);

è un modo di lavorare che coinvolge, in questa fase, in larga misura i cittadini

extracomunitari ed è strettamente collegato alla loro presenza più o meno regolare

sul nostro territorio13;

vede giocare un ruolo assai diversificato dalle cooperative (tali solo nella forma,

perché in realtà vere aziende con un padrone ben individuabile): da forme spurie

di caporalato ad anelli essenziali di catene di sub-appalto, da funzioni conclamate

di agenzie interinali (non autorizzate) a fornitrici di manodopera da impiegare a

costo ridotto all’interno di altre imprese14;

come fenomeni emergenti, e in certo senso del tutto particolari, si segnalano le

attività gestite dai Cinesi e la nuova articolazione che sta assumendo l’irregolarità

nel settore dei trasporti;

il sommerso è responsabile di una non trascurabile mobilità sud-nord (anche qui

collegata al discorso degli appalti e alle “catene” attivate dagli stessi).

Il “grigio” (in un’accezione assai larga) è soprattutto frutto di:

un uso improprio delle nuove e diffusissime forme contrattuali (co.co.co., associa-

zioni in partecipazione);

fittizie costituzioni in azienda da parte di individui che di altro non dispongono se

non delle proprie braccia (nessun bene strumentale);

lavori svolti da pensionati, studenti, doppiolavoristi al di fuori di ogni regola;

straordinari che non rientrano in nessuna contabilità.

Vediamo ora di analizzare un po’ più in dettaglio.

Era ovvio che chiedere agli ispettori un dimensionamento della realtà del lavoro nero (è

tanto, è poco, rispetto al passato sta crescendo o diminuendo) avrebbe prodotto una

serie di valutazioni molto soggettive, che poco sarebbero servite ai fini di una qualsiasi

misurazione, ma che in qualche modo ci avrebbero aiutato a capire l’atmosfera entro la

quale ciascuno di loro si sente chiamato ad operare. E i risultati sono stati in linea con

le aspettative, mostrando quanto la realtà che ci circonda sia effettivamente una co-

13. Vedi in proposito, sempre in questo Rapporto, i risultati dell’indagine condotta proprio su questo tema.

14. Su questo tema interessante è la lettura di: Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali Comando Carabinieri Ispettorato del Lavoro, Rilevazione attività ispettiva. Anno 2002. Reperibile all’indirizzo internet: http://www.minwelfare.it/News/Rapporto+Carabinieri+03.htm

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struzione sociale e che la percezione che di rimando abbiamo di essa sia condizionata

da ciò che noi siamo: cultura, esperienza, convinzioni, conoscenze e quanto altro.

Giudizi molto diversi vengono espressi da soggetti che operano nelle stesse aree terri-

toriali, magari da tempi diversi o con specializzazioni differenti.

“C’è sicuramente una presenza diffusa di lavoro nero, sia integrale che parziale, accresciutasi nel corso degli anni e accentuatasi dal ’98 ad oggi, a causa dell’intensificarsi del fenomeno migratorio e del ridotto controllo/potere sindacale in azienda” (Int. 2).

“Nel corso degli anni il lavoro nero è aumentato ed è cambiato: un tempo erano i nostri lavoratori che si muovevano nell’irregolare, magari per pochi mesi, all’inizio dei contratti, nelle more di un’autorizzazione per Cfl, oggi sono soprattutto stra-nieri e giovani pensionati. Vi sono vere organizzazioni che lo gestiscono, non è più solo l’agire di un singolo datore di lavoro o di un lavoratore”(Int. 3).

“In provincia il nero totale è poca cosa, anche tra gli extracomunitari. Molto invece il grigio. Il nero soprattutto in edilizia, nei trasporti (aziende con sede all’estero), nei pubblici esercizi. Molto lavoro grigio: sicuramente straordinario, co.co.co. che mascherano il lavoro subordinato vero e proprio. Anche gli stranieri sono in regola nelle grandi imprese, non sempre nelle piccole”(Int. 4).

“Dove il nero c’è, è generato dalla spinta della concorrenza, dal vortice degli ap-palti che riduce i margini di guadagno fino a poco più della sopravvivenza. In pro-vincia i lavoratori in nero non sono tanti, molti pensionati. In agricoltura si cerca di barare magari sul numero di giornate, in edilizia sull’orario o sulla cassa integra-zione (oggi, tra l’altro, controlliamo anche le condizioni del tempo denunciate fa-cendo uso dei servizi meteorologici. Così vediamo se nel dato posto, a quella data ora, veramente pioveva)” (Int. 5).

“Il nero è in aumento, almeno come sensazione, per una serie di fattori particolari: l’immigrazione, la mentalità, la minore presenza sul territorio del sindacato che ri-nuncia, in alcuni settori difficili come l’agricoltura, a far valere i diritti dei lavora-tori” (Int. 6).

“In provincia il nero è presente nelle piccole imprese, altrimenti è una questione di prestazioni spot, tipo lavoro domenicale o di tipo stagionale. Nelle grandi imprese non facciamo quasi più ispezioni, dato che in quelle degli anni precedenti non si trovavano più situazioni irregolari”(Int. 7).

“Il problema nel territorio è il reperimento della manodopera. Per il turismo, ad esempio, neanche gli studenti sono più disponibili con la classica flessibilità di un tempo, così nasce la necessità del ricorso agli extracomunitari ed in molti casi al

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nero completo, quando i documenti non ci sono. Altrimenti, per stare sul mercato, si regolarizza solo una parte del salario, quella dovuta contrattualmente, mentre tutti sanno che i salari sono di ben altra entità. Ma il nero assoluto si fa solo quando costretti, anche perché non conviene sotto nessun punto di vista. Per il gri-gio invece è una questione di mercato, la richiesta parte dai lavoratori, è la ca-renza di manodopera a dettare le regole: o mi dai gli straordinari in nero o non vengo. In alcuni settori del manifatturiero sono i grandi fornitori a dettare le regole e a impiccare i contoterzisti, generando dei mercati drogati: si scrive in busta paga di più di quello che realmente si dà. È una situazione contraddittoria che esiste solo perché i mercati del lavoro sono molto segmentati” (Int. 8).

“Il fenomeno per me è in crescita: nel ’90 si faceva fatica a trovare qualche lavora-tore in nero, oggi sono moltissimi. E poi aumentano le violazioni parziali: il 70-80% degli straordinari è in nero”(Int. 12).

“La presenza di contratti atipici ha permesso l’emersione (magari parziale) di fi-gure un tempo relegate al nero completo, con un miglioramento in effetti, e con-temporaneamente ha rappresentato anche un arretramento per certe altre posi-zioni lavorative, le cui garanzie si sono affievolite” (Int. 14).

“Fino a 10 o 15 anni fa c’erano lavoratori in nero anche tra i locali, oggi sono solo gli extracomunitari quando sono clandestini. Magari ci sono più contratti strani e periodi di prova molto allungati”(Int. 16).

Sulla diffusione settoriale l’accordo è invece molto più elevato, anche se con ovvie ca-

ratterizzazioni locali.

“I settori più esposti sono quelli dell’edilizia, del manifatturiero, degli esercizi pub-blici, del contoterzismo in generale. Emergente è il terziario in funzione soprattutto delle forme contrattuali adottate per ridurre gli oneri contributivi” (Int. 1).

“La provincia si trova in una condizione di pieno impiego e di ulteriore espansione della produzione, con un disperato bisogno di manodopera (manovalanza e spe-cializzati): questo genera situazioni che indubbiamente spingono all’irregolarità, soprattutto rispetto ai lavoratori extracomunitari. Saldatori, carpentieri, lavoratori in genere dell’edilizia sono di difficile reperimento: qui compaiono stranieri e meri-dionali. In entrambi i casi vi è propensione al nero, i primi perché privi del per-messo di soggiorno, i secondi per la convenienza di poter guadagnare di più in meno tempo, sommando magari anche i vantaggi dei sussidi percepiti. Questi tipi di lavoratori sono spesso inquadrati da gruppi organizzati che li gestiscono (capo-ralato, spesso intrallazzato con la malavita), con grande frequenza in edilizia, dove diventa la norma il subappalto e la falsa fatturazione, ma anche nell’industria all’interno della quale la manodopera specializzata viene gestita (in nero) come se fosse interinale. In alcuni casi l’utilizzatore finale può addirittura

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essere in buona fede, può esibire una documentazione, falsa, che lo ha convinto della regolarità della propria posizione”(Int. 3).

“Il nero è soprattutto in edilizia, nei trasporti (aziende con sede all’estero), nei pub-blici esercizi. Dagli orafi non so, non si entra: hanno doppi cancelli, qualche col-lega è rimasto tra i due per un sacco di tempo”(Int. 4).

“I settori più a rischio sono quelli dell’edilizia e del trasporto, con le ditte con sede all’estero”(Int. 5).

“Settori importanti sono il marmo, l’edilizia, l’agricoltura: tutte attività dove i nostri lavoratori non vogliono più andare, per la rischiosità, per la fatica, ecc., così diven-tano zone d’impiego di extracomunitari e quindi (seppur non necessariamente) di lavoro nero” (Int. 7).

“Non poco nero si ritrova nei servizi, nei ristoranti, negli alberghi, con non pochi ri-schi per la salute dei consumatori. Dopo quello che ho visto io non mangio quasi mai in ristorante. Del resto poi le Asl non effettuano più controlli relativamente ai libretti sanitari. Eppure quello sarebbe uno strumento efficace di intervento perché prevede la chiusura del locale, quindi con un rischio elevato di mancato guadagno per chi gestisce”(Int. 11).

Sull’evidenziazione di queste nuove forme di aggiramento della normativa attraverso

un uso improprio delle forme contrattuali del para-subordinato o dell’associazione in

partecipazione, già molte affermazioni sono state riportate, comprese alcune che evi-

denziano come tramite esse una certa parte di nero è forse pure emersa. Su questo

versante gli ispettori sembrano preoccupati della negazione di diritti ai lavoratori quasi

quanto del danno causato agli Istituti per la ridotta, o assente, riscossione di tributi. È

un problema di razionalizzazione e di giustizia contributiva, che dipende in maniera

quasi esclusiva dal legislatore.

“Vi è l’uso improprio delle co.co.co. che con una campagna mirata potrebbe essere stroncato, è una questione di volontà e di insistenza. Vale la strategia che fu at-tuata a suo tempo con la l. 223, quando tutti coloro che vi potevano ricorrere lo fe-cero, cambiando denominazione e riassumendosi i loro lavoratori con tutti gli sgravi (e con il sindacato che contrattava). Questo fu la legge in Polesine. Ma con un’azione intensa la pratica fu stroncata ed oggi si potrebbe fare altrettanto con le collaborazioni”(Int. 9).

“Le co.co.co. sono ormai ovunque, anche in agricoltura!”(Int. 12).

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“Le associazioni in partecipazione si trovano anche nei servizi di ambulanza dei privati”(Int. 18).

Il fenomeno migratorio in entrata, che ha interessato in questo ultimo decennio in

maniera intensa il Veneto, gioca un ruolo non secondario rispetto al sommerso. Lo fa

soprattutto in relazione alla congiuntura economica, ai trend demografici della re-

gione, alla connotazione produttiva del Nord-est, ai livelli di benessere raggiunti, alla

ormai strutturale carenza di manodopera che le imprese denunciano, ai meccanismi

burocratici che regolano l’ingresso di stranieri non comunitari nel nostro Paese.

L’insieme di tutti questi fattori genera situazioni che predispongono all’irregolarità la-

vorativa, quasi costringono ad essa, mentre intanto altri soggetti, pronti a cogliere le

occasioni, approfittano del momento e si innestano nel gestire l’illegalità.

“Il fenomeno migratorio rappresenta un grande serbatoio di nero: per la presenza di interessi comuni tra le parti, per una mentalità che non riconosce obblighi verso lo Stato, per la necessità di fare soldi il più presto possibile data la brevità del pro-getto migratorio (in questo senso i ricongiungimenti familiari portano una maggiore propensione all’integrazione). Vi è quindi una differenza anche in funzione della nazionalità d’origine che genera un diverso comportamento condizionato dalla di-stanza del luogo d’origine, della possibilità quindi anche di farvi ritorni periodici (basta pensare alla differenza tra uno slavo e un senegalese). L’essere disponibile al lavoro irregolare non è una condizione legata solo all’eventuale stato di clande-stinità, ma dipende anche dal progetto migratorio, dalla possibilità/volontà di massimizzare il guadagno immediato”(Int. 1).

“Esiste sicuramente un collegamento tra l’etnia ed il settore produttivo di lavoro, ad esempio i serbi ed i croati sono presenti nell’edilizia e nel metalmeccanico, i senegalesi nell’industria in genere, ma mai in edilizia, i cingalesi nei lavori di ser-vizio. C’è anche una certa diversa propensione al nero. E poi attenzione ai grandi numeri di aziende aperte da extracomunitari: spesso sono solo o scatole vuote o singoli individui costretti ad aprire partita Iva per poi lavorare come dipen-denti”(Int. 3).

“L’atteggiamento legalitario (e la paura dei rischi da assumere violando la legge) permea il clima sociale, che influenza anche le nuove comunità che vi si inse-diano: anche gli extracomunitari sono largamente regolari (eccezion fatta per le badanti). Qui anche i cinesi quasi assenti, non hanno attecchito”(Int. 2).

“Ci sono datori di lavoro che sarebbero pronti subito a metterli in regola, ma non possono. Hanno magari già fatto tutta la trafila per il permesso di soggiorno, ma sono restati fuori dalla quota. Ormai si conoscono, ti chiedono cosa fare”(Int. 7).

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“C’è chi era convinto di aver assunto un lavoratore interinale, invece erano tutte carte false, dal permesso di soggiorno alla documentazione della società pseudo-interinale”(Int. 10).

“Nell’edilizia moltissimi provengono dal sud. Vengono con i pulmini, si fermano due settimane e poi tornano a casa per un week end lungo. Stanno in albergo, mangiano fuori. Tutto pagato in nero, da aziende di sub appalto che non riesci mai a chiudere in un angolo. Magari l’ultima ditta della catena non ha nessun di-pendente ed è intestata ad un insegnante in pensione che non sa niente”(Int. 13).

“L’organizzazione del lavoro nero diventa sempre più articolata: grandi numeri di aziende artigiane fittizie, create per generare fatture false o per nascondere lavoratori individuali che altro non vendono se non la loro stessa prestazione. In edilizia aziende meridionali che assumono lavoratori extracomunitari, giochi al ri-basso sugli appalti che evidenziano il nero, corsa agli acquisti di immobili per im-piegare denaro sporco”(Int. 18).

“Certo ci sono anche situazioni penose, dove si vede proprio lo sfruttamento, per-sone tenute sulla corda, pagate poco, senza diritti, solo perché manca un pezzo di carta che gli consenta di dire ‘anch’io ho diritto’. Ce ne sono, ce ne sono”(Int. 12).

E poi viene sottolineata la realtà dell’immigrazione cinese, particolare in tutti i suoi

modi di organizzarsi, di ramificarsi sul territorio, di gestire le attività economiche.

“Un capitolo a parte sono i cinesi con la loro organizzazione sul territorio, con i la-boratori che si spostano velocemente ed i lavoratori che vengono spostati. Lavo-rano nelle confezioni e nelle scarpe. Su 250 lavoratori trovati 180 erano irregolari e gli altri con versamenti per poche ore. Per loro e per gli esercizi pubblici an-drebbe bene un collegamento tra prestazione lavorativa e libretto sanitario (oggi inesistente) che consentirebbe dei controlli incrociati”(Int. 7).

“La concorrenza dei cinesi spiazza i piccoli laboratori, precipitandoli ancora di più verso l’illegalità”(Int. 9).

“I cinesi soprattutto, che sono veramente un mondo a parte, ma che alle spalle hanno sempre come committenti aziende nazionali che li sfruttano e mandano fuori mercato i concorrenti (pelletterie e confezioni)”(Int. 10).

“I cinesi sono un vero fenomeno a parte: impegnano i soldi ricavati nell’acquistare immobili, ristoranti e bar. Circa il 60% del lavoro nel tessile in provincia di Padova è fatto da loro, con laboratori molto mobili e manodopera altrettanto. Sono molto ben istruiti dai consulenti del lavoro e sanno come rispondere (o non rispondere) durante le ispezioni. Hanno una rete che interessa l’intero Triveneto, Bologna, Prato e Milano” (Int. 11).

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“I cinesi sono un esempio, con assenza di orario, vivono e lavorano nello stesso luogo, sfruttano i bambini, sottraggono i documenti ai lavoranti” (Int. 16).

“Invece i cinesi entrano nei settori destinati a scomparire per il troppo elevato co-sto del lavoro: rappresentano un’alternativa al decentramento produttivo (anche perché utilizzano capitale fisso a basso costo e manodopera a costo praticamente zero). Sono visti bene dagli imprenditori che sarebbero destinati a sparire e non saprebbero a chi vendere l’attività; dai terzisti che non si vedono costretti a mon-tare catene di lavoro all’estero; da chi vende immobili ed attività commerciali an-che al doppio del loro valore (perché loro hanno necessità di impegnare i capitali accumulati). La gente comune non li vede, non li teme, non li percepisce come im-pegnati in attività malavitose. Chi subisce il danno sono i concorrenti buttati fuori dal mercato e la comunità nel suo insieme che si vede sottrarre risorse” (Int. 21).

E tra gli strumenti organizzati di gestione del nero compaiono le cooperative o, meglio,

pseudo-cooperative.

“C’è un giro di manodopera straniera enorme, gestito da una cooperativa fittizia, il cui vero capo crediamo di avere individuato. È un pregiudicato, vive come un pa-scià, sembra irraggiungibile dalla legge. Ed è una truffa costruita con molti docu-menti falsi e con numeri di persone attorno al migliaio”(Int. 1).

“Anche il mondo della cooperazione svolge un ruolo non indifferente nel som-merso: cooperative solo formali, nella sostanza con un “padrone”; cooperative che agiscono all’interno di aziende senza vero appalto di attività; cooperative fittizie create per comodo e fornite di documentazione falsa. Sono spesso organizzazioni articolate, con base magari in meridione, con giri di denaro estremamente elevati che riescono ad agire soprattutto per la strutturale carenza di manodopera dei nostri territori”(Int. 4).

“Le cooperative sono molto seguite dagli ispettori: partecipano al fenomeno agendo all’interno delle aziende, dove non potrebbero”(Int. 5).

“Abbiamo documentato un enorme affare legato alle cooperative che nascevano e morivano nel giro di niente, sempre con gli stessi intestatari. È stato difficile per-ché operavano in mezza Italia, rendendo difficile anche seguirle”(Int. 16).

Ma il nero non riguarda l’estero solo in funzione dei lavoratori che qui vengono a lavo-

rare, ma anche per un diverso tipo di flussi.

“Nell'ampia fenomenologia della categoria lavoro sommerso soffermerei l'atten-zione su una sua forma particolare, specifica al mercato dell'autotrasporto di merci in conto terzi. Fenomeno a cui va posta particolare attenzione vista l'invasi-vità nel settore, con le allarmate denunce delle categorie sociali e delle autorità di polizia. Il meccanismo ideato prevede che l’imprenditore dell'autotrasporto cloni la

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propria impresa nei paesi dell'Est, ovvero nei Balcani, costituendo società di capi-tali di cui risulta intestatario. A questa società clonata è affittato il ramo di azienda costituito dal trasporto merci dell'impresa italiana ed inoltre vengono ad essa girati i contratti di leasing relativi ai mezzi. Il risultato è nei fatti. Su 20 aziende di autotrasporti accertate nel 2002 dall'Inps di Vicenza, le 12 di media grandezza che possiamo considerare significative (da 15 a 100 mezzi) hanno in forza al massimo 1 dipendente che coordina il traffico nazionale e/o internazio-nale, mentre la forza lavoro è costituta dagli autisti che risultano dipendenti(?) dell'impresa estera clonata. Gli effetti di tali operazioni sono evidenti: l' impresa clonata con i suoi autisti svolge attività di autotrasporto garantendo i contratti del-l'impresa italiana senza peraltro rispettare le norme in materia di lavoro, previ-denza, contratti di lavoro, circolazione stradale. Secondo le associazioni di catego-ria intervenute nel dibattito in corso invocando la concorrenza sleale, questo fe-nomeno è il frutto della multilocalizzazione a rete delle imprese del Nord Est. In-fatti queste imprese clonate si localizzano nei distretti industriali esteri ove le im-prese vicentine e trevigiane si sono insediate e operano da cerniera per gli ap-provvigionamenti di materie prime in Italia e da rifornitori del mercato europeo. L'innesco della nostra attenzione è stato determinato da una serie di incidenti au-tostradali che hanno coinvolto autotreni di passaggio dopo aver caricato materie prime a Vicenza. La Polstrada si è coordinata con l'Inps e l'Ufficio Stranieri della Questura per controllare questi flussi di manodopera in violazione delle leggi sul-l'immigrazione. Vedremo come si svilupperanno le indagini” (Int. 17).

Insieme a tante considerazioni fattuali, ad esiti di interventi, a risultati di indagini, a

descrizione di fenomeni ormai più volte riscontrati, emergono anche alcune considera-

zioni maggiormente relative ad impressioni, o meglio, a riflessioni che seguono una

pratica giornaliera.

“Rispetto ad un tempo c’è più nero: è cresciuta l’intermediazione e ciò genera ille-galità. Di fronte agli esiti di un’ispezione sono le aziende più grandi a fare la mag-giore resistenza. I piccoli, invece, molto spesso fanno scelte dettate loro dai consu-lenti del lavoro, non sanno neppure bene cosa gli conviene, si affidano” (Int. 9).

“C’è una mentalità di diffusa illegalità, condita con la sfiducia nel sistema pensio-nistico: prendo oggi quello che viene e poi si vedrà” (Int. 11).

“C’è una perdita di coscienza, una mancanza di fiducia nel sistema previdenziale che porta a comportamenti che si credevano superati da parte dei lavoratori. Il contenzioso poi, da parte delle aziende, è aumentato moltissimo, forse dell’80%” (Int. 14).

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4.6 Conclusioni

Non è questo un capitolo di conclusioni nel senso comune del termine, quello cioè

dove sommariamente si tirano le fila di quello che è stato l’esito della ricerca. Questa

indagine in fondo non mirava ad arrivare a qualche risultato specifico, ma, come si di-

ceva all’inizio, a raccogliere quanti più elementi possibili che potessero essere utili ad

inquadrare il fenomeno del sommerso nella realtà veneta, partendo dall’osservazione

di chi è istituzionalmente deputato a combatterlo.

Il capitolo conclusivo non può allora che essere quello nel quale vengono proposte le

riflessioni prospettiche degli ispettori, le mutazioni auspicate perché le cose, dal loro

punto di vista, possano migliorare; dal versante del contrasto, certamente, ma anche

da quello delle condizioni strutturali, perché il sommerso non debba verificarsi (o al-

meno in maniera minore).

Ovviamente una certa attenzione è da loro posta anche all’interno delle organizzazioni di

appartenenza, ai possibili mutamenti operativi che potrebbero agevolare il miglioramento.

“Vedo un’evoluzione dell’attività volta sempre più a percepire l’impresa come un cliente, al quale si offrono servizi. Solo dopo, se del caso, viene l’azione repressiva che, per essere efficace, dovrebbe avere maggiori strumenti di deterrenza, non solo multe irrisorie. Importante è comunque agire prima che le situazioni di nero si stabilizzino e perciò visitare presto le aziende nuove, i clienti, per offrire da subito i servizi. L’Inps ha interesse che l’azienda sia viva e in buona salute per contri-buire cospicuamente, non che venga stroncata dagli esiti dell’ispezione”(Int. 1).

“Il contrasto dovrebbe avvenire in forma unificata per essere più efficace e per dare una migliore immagine di sé (non andare in 8 a fare un’ispezione, non an-darci da uffici diversi a pochi giorni di distanza). Billia aveva molto puntato sulla qualificazione del personale, sulla sua capacità di creare cultura all’esterno. Oggi questa politica sembra un po’ tramontata”(Int. 3).

“Molto si giocherà sulla nostra preparazione, dobbiamo essere messi nelle condi-zioni di essere aggiornati e competenti”(Int. 9).

“Non è vero che la magistratura ha assunto diversi atteggiamenti: sono gli ispet-tori che devono metterla in condizione di giudicare in base alle prove raccolte. Quando un rapporto è fatto male non si può vincere. Non è il magistrato, è l’ispettore che non sa lavorare. Su questo versante noi dobbiamo migliorare. E poi serve un coordinamento reale, che oggi, diciamolo, non esiste. Certo ci sono pro-blemi di specificità, anche di gelosie. I soliti problemi legati alla vita delle organiz-zazioni complesse. Forse si andrà verso un’Agenzia unica dell’attività ispettiva” (Int. 20).

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Non è a voler sottolineare continuamente questo aspetto, ma ancora una volta non

viene fatta menzione della necessità di un aumento di poteri, piuttosto si ribadisce il

bisogno di coordinamento, questa volta disvelando anche possibili origini di resistenze

e reticenze. Sentita in egual misura è la necessità di veder crescere la propria profes-

sionalità per restare al passo con i cambiamenti che stanno avvenendo.

Anche sul versante legislativo le idee si dimostrano chiare.

“Esiste un grigio fatto da pensionati che una volta usciti dalle imprese, data la loro specializzazione, risultano difficilmente sostituibili: l’abolizione del divieto di cumulo agevolerebbe la regolarità dei rapporti. In sostanza, interventi miranti a ri-durre il nero devono cercare di rendere possibile il regolare: chi assume deve poter regolarizzare i lavoratori stranieri senza dover attendere anni e senza trafile buro-cratiche”(Int. 3).

“Una cosa che servirebbe sarebbe un testo unico sulla legislazione del lavoro, or-mai assolutamente necessario”(Int. 7).

“Le nuove forme contrattuali agevolano lo scivolamento nella perdita dei diritti: co-stano meno anche se le attività vere e proprie non sono distinguibili dal semplice lavoro subordinato. Tutte le commesse in associazione in partecipazione, tutte quelle co.co.co.: basterebbe un uguale livello contributivo e sparirebbero. Si dice che gli ammortizzatori sociali consentono sempre un uso improprio15, è vero, ma commercianti e artigiani spremono pensioni per i loro collaboratori versando un niente. È un sistema iniquo nel suo insieme”(Int. 10).

“È essenziale una semplificazione normativa: non si possono addebitare all’impresa dei costi di gestione tanto elevati; se fare la busta paga di un part-time costa di più che fare quella di un dipendente a tempo pieno (dati contabili dei con-sulenti del lavoro giustificati con la ragione che la complicazione normativa fa im-piegare più tempo) vuol dire che non ci siamo. Servirebbe poi parificare tutti i tipi di versamento con uguali aliquote per qualsiasi posizione e poi una seria detra-zione d’imposta sul lavoro domestico”(Int. 13).

“Ad esempio i Pubblici esercizi, è un’attività ad alta imprevedibilità nell’utilizzo di manodopera. L’assunzione di singoli lavoratori per poche ore è attività troppo complessa e costosa. Il vaucher (paga globale) sarebbe un’ottima soluzione. Un’aliquota unica per tutto il lavoro, autonomo e dipendente, sarebbe una semplificazione utilissima e logica“(Int. 19).

15. Si veda in proposito, ad esempio, dal Rapporto 1999/2001 dell’Inps in Sistema Previdenza, anno XVIII, n.204/205, pg. 92.

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“Non serve una grande complessità: abbassare le aliquote e portare tutti i tratta-menti ad un livello unico. Basterebbe questo”(Int. 20).

“Molto è dovuto ad una normativa assolutamente inadeguata (ad esempio per quanto riguarda i flussi migratori) o ancora non molto conosciuta (sui contratti ati-pici, riguardo ai giornalieri). C’è poi la partita dei familiari dei lavoratori autonomi: moltissimo nero. Anche qui ci vorrebbe un intervento legislativo ad hoc che spia-nasse la strada a strumenti semplici di regolarità lavorativa in queste fattispecie” (Int. 21).

Semplificazione, equità, trasparenza: poche regole uguali per tutti, togliendo alibi al-

l’illegalità e cercando una più ampia condivisione delle leggi fondamentali. Più di tanti

nuovi strumenti di controllo, di azioni promozionali, un’azione decisa sulle norme.

Non sembra un giudizio affrettato né un’eccessiva semplificazione, quanto piuttosto

un orientamento che mira alla radice del problema, riconoscendo anche le ragioni di

chi si pone in condizioni di oggettiva illegalità quasi costretto da fattori esterni, ma cer-

cando anche di limitare gli spazi d’azione per coloro che volontariamente cercano in tutti

i modi di sfruttare l’intrigo della giungla normativa per sottrarsi a qualsiasi obbligo.

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Capitolo 5°

PER UNO SVILUPPO ... “IN REGOLA”: IL VENETO E LE POLITICHE DI EMERSIONE

DELL’ECONOMIA IRREGOLARE

5.1 Introduzione

Nel corso degli ultimi quindici anni si è assistito ad un significativo cambiamento nel

modo di guardare al fenomeno dell’economia sommersa. In particolare si è cominciato

a comprendere che fare luce su quella grande parte nascosta dell’economia significa

fare emergere una nuova “ricchezza”. Da un lato palesare il lavorio nascosto di molta

imprenditoria meridionale e di certe aree del centro e del nord significa attribuirvi un

nuovo valore e forse anche nuove identità, dall’altro “mettere in regola” l’attività di

molte aree iper-sviluppate del Paese significa fare uno sforzo collettivo di riequilibrio,

di sostenibilità, più che mai opportuno in un’epoca in cui si parla di risorse finite e

vincoli di bilancio per la finanza pubblica. In altre parole: se l’irregolarità è tollerata in

Paesi in economie di sviluppo, diventa intollerabile in società come la nostra, che deve

essere in grado di mantenere i servizi adeguati al livello di civiltà conquistato.

La preoccupazione, in ordine al fenomeno, è crescente ed è la stessa Comunità Euro-

pea che dal 2000 sta progressivamente introducendo, nelle “Linee guida” impartite dal

Consiglio della CE, su proposta della Commissione, indicazioni sulla questione, defi-

nita una delle maggiori preoccupazioni per “la serie di ripercussioni sulle finanze pub-

bliche, sulla competitività delle imprese nonché sulla coesione sociale”.1 Da uno studio

del 20012 proviene l’indicazione di adottare non solo misure repressive ma un mix di

politiche normative e di incentivo fiscale e contributivo, nell’ambito di una strategia di

accordo tra le parti sociali. L’approccio indicato comprende sanzioni e azioni preven-

1. Commissione Europea, Supporting Document for Joint Employment Report 2001, Commission Services Paper, draft 13/6/2001.

2. Mateman S., Renooy P. H., Undeclared labour in Europe. Towards an integrated approach of combating undeclared labour, Amsterdam, October 2001, studio della Commissione Europea. http://www.europa. eu.int/comm/employment_social/docs/undeclared_labour.pdf

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tive quali la semplificazione delle procedure e della legislazione, maggiore sensibilizza-

zione del pubblico ai possibili effetti negativi del lavoro irregolare e dell’economia del

sommerso, scambi di informazioni e maggiore comunicazione, cooperazione fra le au-

torità, riduzione degli oneri fiscali sul lavoro, facilitazione dell’accesso all’economia for-

male per coloro che desiderano esservi integrati.

Ogni Paese europeo, Italia compresa, ha intrapreso la ricerca di altre misure “positive”

mirate a non indurre comportamenti irregolari e a contenere sia l’irregolarità fiscale

che quella contributiva di tutela dei lavoratori stessi. Sono stati introdotti in via spe-

rimentale nuovi strumenti diretti ad accompagnare l’emersione nel mercato regolare di

lavoratori e di imprese e istituito uno specifico organo tecnico dedicato al problema, il

Comitato per l’emersione del lavoro non regolare presso la Presidenza del Consiglio dei

Ministri, impegnato in un’attività reticolare su tutto il territorio nazionale.

Nello stesso tempo, a livello locale, gli strumenti di contrattazione locale e di pro-

grammazione negoziata hanno agito direttamente (con misure specifiche) e indiretta-

mente (come conseguenza della relazione orizzontale promossa da questi nuovi modelli

di relazioni industriali) per contrastare il fenomeno del lavoro irregolare.

L’Osservatorio Inps costituito in partenariato con Regione e Parti Sociali testimonia

che il Veneto è attento e sensibile al fenomeno. Nel corso del 2002 il livello di atten-

zione verso il fenomeno è divenuto progressivamente più alto: “l’onda” della Campa-

gna per l’emersione in attuazione della l. 383/2001 e la rete del Comitato (giunta in re-

gione con la nomina dei tutori) hanno mobilitato come mai prima istituzioni e soggetti

del territorio, svelando un interesse sincero da parte di molti ad affrontarle il pro-

blema, ammettendo implicitamente che l’economia sommersa non è comunque conve-

niente, al di là dell’apparenza.

5.2 I provvedimenti di politica nazionale e locale per l’emersione

Per politica intendiamo l’insieme delle misure orientate a risolvere un problema di in-

teresse pubblico. Nel caso dell’economia sommersa i soggetti istituzionali impegnati da

sempre nel contrastare il fenomeno sono Direzioni per il Lavoro (Ministero del Welfare),

Inps, Inail, Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza, prevalentemente con funzioni di

controllo delle norme che regolano le prestazioni lavorative e gli oneri contributivi e fi-

scali. Oltre a questi, anche soggetti “privati” quali le Parti Sociali hanno sempre svolto

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un ruolo importante, oltre che di stimolo nella lotta al lavoro nero in generale, di tutela

dei lavoratori e di contrasto alla concorrenza sleale.

Dalla fine degli anni ottanta si è cominciato però a prendere in considerazione il feno-

meno anche da un altro punto di vista. Il legislatore ha cominciato ad “andare incon-

tro” a quella grande parte di soggetti economici che, nonostante una notevole vitalità,

non riesce a stare “regolarmente” nel mercato. Sono state varati da allora diversi prov-

vedimenti rispondenti a logiche diverse e nuove.

I primi provvedimenti diretti sono stati i contratti di riallineamento salariale e la di-

chiarazione di emersione, automatica e progressiva. Si è trattato di strumenti limitati

nel tempo che avevano l’obiettivo di creare percorsi di progressiva regolarizzazione con

la riduzione fiscale e previdenziale prevista nei primi anni dopo l’emersione. Si può

parlare d’interventi sperimentali perché, come vedremo in seguito, fin dalla loro origine

hanno subito ripetuti e successivi affinamenti al fine di cogliere la varietà e le diversità

settoriali e territoriali. Entrambi questi strumenti non hanno avuto gli esiti diretti at-

tesi3, rivelando molte più potenzialità in termini di strumenti di ricerca piuttosto che

di intervento. Nel tentare, infatti, di far emergere le irregolarità, hanno consentito di

avvicinarsi maggiormente al fenomeno, scoprendolo - oltre che riluttante a farsi sco-

prire - anche più complesso e articolato di quanto non si potesse immaginare. Il

grande pregio, comunque, di questi provvedimenti è quello di aver offerto una ribalta

ad un problema esso stesso sommerso e definitivamente sancito e confermato l’econo-

mia sommersa come un problema da mettere in agenda politica.

L’evidente difficoltà di porvi rimedio con interventi di tipo agevolativo e congiunturale e

l’importanza crescente assunta dal problema del sommerso, hanno portato alla costi-

tuzione del Comitato per l’emersione del lavoro non regolare (legge 448/1998). Con

l’istituzione della rete del Comitato, delle Commissioni Provinciali e Regionali e dei Tu-

tori per l’emersione si sono gettate le basi per un sistema territoriale a composizione

mista, pubblica e privata, completamente dedicato al tema. La strategia è del tutto di-

versa da quella dei precedenti provvedimenti. Il fenomeno dell’economia irregolare è

osservato nelle specificità locali e l’impianto della rete è finalizzato a trovare strategie

puntuali, adatte alle esigenze particolari di quei contesti sociali. La rete del Comitato

suggerisce a sua volta un’azione locale articolata, fatta di misure diverse, dirette

all’emersione o al sostegno in generale dell’economia regolare, che hanno effetti indi-

3. Per quanto riguarda la dichiarazione di emersione progressiva è ancora presto per dirlo, dato che i la-vori sono ancora in corso (termine di presentazione è il 28 febbraio 2003), ma c’è ragione di ritenere che i risultati in termine di domande di emersione saranno molto inferiori a quanto auspicato.

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retti di regolarizzazione. È lo stesso Comitato che rileva, attraverso osservazioni su

campo, gli effetti indiretti sull’occupazione e sull’emersione, di interventi di altra na-

tura, come gli sgravi fiscali per le ristrutturazioni edilizie, gli studi di settore, il credito

d’imposta, gli interventi di riforma del mercato del lavoro e la riduzione del divieto di

cumulo tra pensioni e redditi.

5.3 Le misure locali: contrattazione e concertazione

Vediamo in maniera ravvicinata come il Veneto si sta muovendo nei confronti dell’eco-

nomia irregolare. Come insegnano le esperienze di approfondimento e gli studi sul

campo compiuti dal Comitato nazionale, per quanto i provvedimenti ad hoc per l’emer-

sione siano di grande valore in termini di comunicazione (portano attenzione su un

problema più negato e tollerato dal senso comune che affrontato), non c’è molto da

aspettarsi in termini di out-put meccanicamente conseguente. Accade invece che altri

strumenti di tipo occupazionale, fiscale, contributivo hanno effetti indiretti anche di

emersione, contribuendo maggiormente a creare quel clima di favore che induce a ren-

dere palesi le proprie attività.

A parere di alcuni addetti ai lavori, il credito di imposta e gli studi di settore, in ma-

niera diversa hanno agito da regolarizzatori. Il primo consentendo l’assunzione a

tempo indeterminato di lavoratori prima inquadrati come atipici. Nel secondo caso i

primi risultati si sono avuti nel 2001 e hanno sicuramente portato, oltre che ad alcuni

cambiamenti di stile ed efficacia delle ispezione da parte dell’Agenzia delle entrate, an-

che ad un fondamentale coinvolgimento dei rappresentanti delle organizzazioni di ca-

tegoria per l’approvazione dei parametri settoriali sintetizzati statisticamente dai dati

dichiarati nei modelli compilati per gli studi di settore.

Gli anni Novanta hanno visto poi una particolare diffusione della dimensione territo-

riale nelle forme di regolazione delle relazioni industriali. Questo è avvenuto in due

modalità: la prima è la contrattazione territoriale con effetti interessanti in particolare

nei settori di piccole imprese; la seconda è la diffusione di prassi di concertazione lo-

cale, tipicamente definite come “programmazione negoziata”.

Il doppio livello negoziale per la contrattazione (ribadito nel Protocollo sulla politica dei

redditi e dell’occupazione, firmato il 23 luglio 1993 tra Governo e parti sociali), la co-

stituzione degli Enti bilaterali e le forme di programmazione negoziata sono strumenti

che hanno come riferimento un modello di relazione che riafferma l’importanza della

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dimensione locale e della specificità del territorio e crea le premesse per innescare e

formalizzare circuiti di relazioni tra soggetti pubblici e privati locali.

In Veneto ci sono alcuni casi in cui la contrattazione ha assunto comportamenti di

tipo concertativo (es. Patto della Riviera del Brenta) ed altri casi in cui la concertazione

ha ispirato la contrattazione sui temi degli interventi da attuare per il lavoro debole

(es. Patto Veneto Orientale). In ogni caso si è verificato un intrecciarsi di iniziative con

effetti sinergici, che hanno indotto a comportamenti di tipo cooperativo. In questa sede

gli strumenti per le relazioni industriali e la programmazione territoriale sono stati

analizzati alla luce della capacità di proporre iniziative per contrastare forme ricono-

sciute di irregolarità dell’economia, attraverso l’implementazione di strumenti con ef-

fetti diretti e indiretti sui processi di regolarizzazione di alcuni segmenti del mercato

del lavoro.

Con questo contributo intendiamo restituire un quadro il più possibile esauriente in

ordine ai diversi provvedimenti nazionali e strumenti locali che stanno costruendo

quella serie di azioni e progetti che costruiscono insieme una politica pubblica. Ciò che

riportiamo è frutto dell’attività di ricerca e intervento svolta in qualità di Tutori per

l’emersione nel corso dell’ultimo anno in questa regione. Si tratta di una breve rasse-

gna che non ha pretese di entrare nel merito dell’efficacia di queste azioni, lasciando a

studi successivi il compito di stabilirlo.

5.4 La prima misura diretta: i contratti di riallineamento

La prima iniziativa legislativa è stata realizzata con la legge 389/1989. Attraverso que-

sta legge viene offerta l’opportunità alle imprese operanti nei territori indicati per gli

interventi sul Mezzogiorno di usufruire dei benefici della fiscalizzazione e degli sgravi

contributivi anche nelle situazioni in cui non è applicata la retribuzione prevista dai

Contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base

nazionale, a condizione di aderire ad un programma graduale di riallineamento ai Ccnl

(Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro).

Questo primo intervento ha avuto il grosso merito di formalizzare nella legislazione,

per la prima volta, una volontà di affrontare il sommerso anche per incentivazione.

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Inoltre, ha offerto l’opportunità di definire le forme di irregolarità utili ai fini dell’attua-

zione di questa nuova procedura di regolarizzazione del lavoro.4

L’articolo 2-bis della legge 210/1990, è la prima vera legge che disciplina la procedura

per accedere all’emersione. Con questo provvedimento si introducono l’accordo provin-

ciale (stipulato dalle associazioni imprenditoriali ed organizzazioni sindacali locali ade-

renti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, il cui

compito è quello di attuare, in forme e tempi prestabiliti, programmi di graduale rialli-

neamento dei trattamenti economici dei lavoratori ai livelli previsti dai predetti accordi

nazionali) e il verbale di recepimento (sottoscritto dall’impresa e dalle parti che

hanno stipulato l’accordo provinciale. Ciò è indispensabile perché si possa go-

dere della sospensione della condizione di regolare applicazione contrattuale

per accedere alla fiscalizzazione e agli sgravi).

Un terzo passaggio legislativo è quello che si realizza con l’articolo 5 della legge

608/1996, dove per la prima volta si affronta il problema delle situazioni pregresse, che

si era dimostrato un grave limite all’efficacia dello strumento. Inoltre, si precisano vali-

dità e funzionamento del meccanismo della gradualità, introducendo anche a livello legi-

slativo la prassi già in atto delle possibili variazioni nel programma di riallineamento.5

All’accordo per il lavoro del 24 Settembre 1996 e all’articolo 23 della legge 196/1997 (Pac-

chetto Treu) si possono attribuire l’avvio di una fase in cui si riconosce nel riallineamento

lo strumento trainante di un’azione diffusa per intervenire sul sommerso.

4. All’articolo 6 comma 9, si delineano le forme di evasione che precludono l’opportunità di usufruire degli incentivi pubblici previsti per il Sud e di conseguenza le forme di irregolarità che possono accedere al riallineamento. Fiscalizzazione e sgravi non spettano infatti per i lavoratori che a) non siano stati denun-ciati agli istituti previdenziali, b) siano stati denunciati con orari o giornate di lavoro inferiori a quelle ef-fettivamente svolte; c) siano stati retribuiti con retribuzioni inferiori a quelle stabilite da leggi, regola-menti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale.

5. I principali argomenti introdotti dalla legge possono essere ricondotti ai seguenti punti:

a. obbligo per gli accordi provinciali di esplicitare base salariale, forme e tempi dell’allineamento retribu-tivo ai contratti collettivi nazionali di lavoro;

b. riconoscimento all’accordo provinciale di validità pari a quella attribuita ai contratti collettivi nazionali di lavoro;

c. sanatoria anche per i periodi pregressi per le pendenze contributive a condizione che venga sottoscritto e depositato l’apposito verbale aziendale di recepimento;

d. introduzione della possibilità di variare tempi e percentuali dei programmi purché tali modifiche si giu-stifichino con nuovi eventi non previsti alla stipula del primo accordo, e siano condivise e sottoscritte dalle stesse parti;

e. introduzione di un limite temporale, pari a 12 mesi dalla data di approvazione della legge, alla scelta di adesione e quindi di godimento dei benefici previsti dallo strumento;

f. inserimento di un’ipotesi di commissione provinciale tra le parti sociali per l’emersione, che, quando istituita, dev’essere consultata per una miglior organizzazione dell’attività ispettiva.

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Accordo per il lavoro del 24 Settembre 1996

Capitolo: Emersione del lavoro sommerso.

Considerando i risultati positivi che si cominciano a registrare in conseguenza del-l’applicazione delle norme contenute nel decreto legge 405/1996, relative alla defini-zione dei contratti di gradualità per favorire la regolarizzazione del lavoro sommerso, si conviene sulla utilità di allargare l’applicazione contrattuale delle norme ad altri settori e di rafforzare l’iniziativa di categoria nel territorio per estendere le speri-mentazioni richiamate. Al fine di incentivare ulteriormente la sottoscrizione delle in-tese di gradualità da parte delle imprese, si conviene sull’opportunità di considerare l’occupazione emersa alla stregua di una nuova occupazione alla data della completa applicazione dei contratti collettivi. Ciò determinerà il diritto di accesso agli incentivi per la nuova occupazione alla data della completa attuazione degli accordi, nelle mi-sure in quel momento vigenti.

Il contratto di riallineamento retributivo è il presupposto per la regolarizzazione della

posizione assicurativa e previdenziale dei lavoratori irregolarmente assunti, senza per

questo incorrere nelle sanzioni previste dalla legge per le violazioni commesse. La pos-

sibilità di accedervi è stata generalizzata a tutte le imprese, comprese quelle del settore

terziario operanti nelle aree svantaggiate individuate dall’articolo 1 della legge

64/1986 in materia di interventi per lo sviluppo del Mezzogiorno.

Inoltre, si attribuisce allo strumento, per la prima volta, la possibilità di usufruire dei

vantaggi del riallineamento alle aziende agricole che avevano già avuto dalla contratta-

zione collettiva la possibilità di avvalersene, anche se solo a fini meramente retributivi.

Il percorso tracciato prevede l’arrivo alla legalità in tempi sufficientemente lunghi e co-

sti piuttosto ridotti. In particolare, il primo passaggio che mette in moto il processo di

emersione, è l’accordo di riallineamento stipulato fra azienda e sindacato, oppure fatto

per un’area territoriale a cui poi le singole imprese possono aderire. L’accordo, che re-

gola i costi contrattuali diluendoli su un arco temporale ben definito, contiene

un’“autodenuncia” congiunta del datore di lavoro e del lavoratore, in cui viene indicato

il periodo del sommerso ed i lavoratori coinvolti.

Questa “autocertificazione” diventa il pregresso da sanare, per evitare che le somme da

condonare siano di tale entità da non rendere conveniente l’emersione, gli importi

sono determinati non con riferimento alle somme effettivamente erogate come retribu-

zioni, ovvero al minimale contributivo, ma nella misura del 25% di quest’ultimo o della

retribuzione stabilita nel primo anno del periodo di riallineamento.

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Stipulato l’accordo, esso durerà 4 anni, durante i quali le retribuzioni dei lavoratori re-

golarizzati verranno gradualmente portate al livello dei minimi stabiliti dai Contratti

nazionali di lavoro: in genere si partirà il primo anno con il 60-65% per arrivare al

quarto anno al 100%.

Il provvedimento prevede, in ogni caso, anche l’istituzione di una Commissione di vigi-

lanza e monitoraggio, e la creazione di Comitati regionali e provinciali con sede presso

le Camere di Commercio, composti anche dalle parti sociali, con funzioni di promozio-

ne dell’emersione e tutoraggio per le imprese che intendono emergere.6

5.5 Un organo tecnico presso la Presidenza del consiglio: il Comitato per

l’emersione del lavoro non regolare

La svolta alle politiche d’intervento e contrasto al sommerso si è avuta con la consape-

volezza della necessità di un intervento sistemico e strutturale. In linea con le recenti

indicazioni della Commissione europea, che sostiene l’adozione di un mix fatto di in-

terventi specifici, di azioni di carattere preventivo e di sanzioni per ottenere un effetto

sinergico complessivo, viene messa a punto un’ipotesi anch’essa sperimentale, ma che

possiede al suo interno meccanismi di adattabilità e correzione fondamentali per affron-

tare un problema così articolato e composito come è quello dell’economia irregolare.

In questa prospettiva vanno analizzati i contenuti degli articoli 78 e 79 della legge

448/98 che prevedono, tra l’altro, la costituzione della rete del Comitato, delle Com-

missioni e dei Tutori per l’emersione del lavoro irregolare. La rete costituita dal Comi-

6. Le procedure principali previste quindi dall’articolo 23 della legge 196/1997 sono:

- accordo provinciale di riallineamento retributivo, in forme e tempi prestabiliti, dei trattamenti econo-mici ai livelli previsti nei corrispondenti contratti collettivi nazionali di lavoro;

- verbale aziendale di recepimento dell’accordo provinciale sottoscritto dall’impresa e dalle organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo provinciale;

- deposito dell’accordo territoriale presso la Direzione provinciale del Lavoro entro 30 giorni dalla stipula-zione (articolo 5 della legge 608/1996);

- deposito dell’accordo aziendale presso la sede Inps competente per sede legale entro 30 giorni dalla stipulazione (articolo 5 della legge 608/1996);

- per calcolare il dovuto si potrà fare riferimento al 25% del minimale contributivo annuo, cioè circa cin-que milioni, e su questo si applicherà la normale aliquota del 32,7%;

- l’azienda che emerge dovrà allineare entro quattro anni la retribuzione dei dipendenti ai minimi stabiliti dai contratti nazionali di lavoro;

- l’operazione sarà accompagnata da una sanatoria fiscale.

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tato nazionale7, dalle Commissioni Regionali e Provinciali e dai Tutori per l’emersione

del lavoro non regolare (art. 78, legge 448/1998) è il primo organismo tecnico predispo-

sto ad occuparsi della questione in maniera del tutto diversa rispetto al passato.

Con le Commissioni provinciali e regionali si compie una sorta di rivoluzione coperni-

cana nel modo di concettualizzare il problema. A fianco dei “soliti” soggetti - i diversi

Istituti di vigilanza (Direzione regionale per il lavoro, Inps, Inail, oltre che ovviamente

l’Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza, Carabinieri) e le Parti sociali - sono indi-

cate le stesse istituzioni di governo locale e regionale che insieme a questi dovrebbero

mettere a punto azioni di policy che inducano alla regolarizzazione e quindi all’emer-

sione dal sommerso. Nel contempo anche i tradizionali attori della lotta al lavoro nero

tornano in campo con un mandato ed una modalità di azione rinnovati, braccio di una

politica per l’emersione completa di azioni di induzione all’emersione da un lato, e di

controllo dall’altro.8

Secondo le indicazioni della legge, il Comitato nazionale è collocato presso la Presi-

denza del Consiglio dei Ministri, ad indicare la sua centralità e trasversalità rispetto

alle problematiche dei diversi ministeri, ed è attualmente composto da rappresentanti

del Ministero dell’Economia e delle Finanze, del Ministero del Lavoro e delle Politiche

Sociali, del Ministero per le Politiche Agricole, del Ministero dell’Interno,9 dell’Agenzia

delle Entrate, dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (Inps), dell’Istituto Naziona-

le per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (Inail), dell’Unioncamere, dell’Anci.

Le Commissioni provinciali e regionali ripropongono a livello decentrato la medesima

composizione trasversale completata dalla presenza delle Parti Sociali.10 I compiti indi-

cati dalla legge sono sufficientemente vaghi per essere specificati secondo le esigenze

locali, ma si incardinano comunque attorno all’analisi dell’economia irregolare e pro-

mozione di misure specifiche per contrastarla. L’idea forza sostenuta dal Comitato e

dal suo Presidente, è che le Commissioni regionali e provinciali11 debbano quanto più

7. Il Comitato per l’emersione del lavoro non regolare, è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Mi-nistri. Il Presidente del Comitato è il Prof. Luca Meldolesi. Per approfondimenti sull’attività del Comi-tato, delle Commissioni e dei Tutori vedi http://www.governo.it/sez_presidenza/lavoro/index.htm.

8. Inps e Inail sono presenti anche nelle Commissioni per l’emersione che si occupano di induzione. L’art. 79 della 448/98 prevede un coordinamento tra il braccio dell’induzione della politica per l’emersione, costi-tuito dalle commissioni, e quello della vigilanza, costituito dall’azione coordinata degli Istituti.

9. Il rappresentate del Ministero dell’Interno è designato come invitato permanente.

10. Composte da quindici membri, sette designati dalle amministrazioni pubbliche aventi competenza in materia, e otto designati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori a cui si ag-giungono tutti i referenti locali dei firmatari dell’Avviso comune di luglio 2002.

11. Dal 1998 ad oggi (febbraio 2003) sono state istituite in Italia circa 90 Commissioni (cfr. il sito già citato del Comitato nazionale).

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possibile lavorare in sistema con le altre Commissioni sul territorio nazionale, al fine

di risultare un sistema unico, capillare nel territorio, in relazione virtuosa con il Co-

mitato nazionale e le Amministrazioni a questo referenti, centrali e locali.

I tutori per l’emersione sono incaricati per un tempo determinato, funzionali a suppor-

tare l’attività dei soggetti locali a mobilitarsi rispetto al problema, apportando compe-

tenze, conoscenze e facilitando la comunicazione, sia in ambito di sussidiarietà verti-

cale che orizzontale, all’interno del territorio regionale o provinciale, e tra i vari territori

del paese. Nominati dalle Commissioni regionali o provinciali in accordo con il Presi-

dente del Comitato nazionale (o dal Presidente stesso in caso di assenza degli organi-

smi territoriali) sono, di fatto, una risorsa per avviare e, in seguito, supportare, l’opera-

tività locale delle Commissioni.

L’attività locale svolta dalle Commissioni, o dai tutori da soli quando nominati a livello

centrale per assenza di commissioni, è finalizzata a mobilitare i soggetti di governance

locale ad occuparsi del problema, dapprima imparando a comprenderlo nelle sue nu-

merose declinazioni e quindi ad affrontarlo nei modi e con le risorse già a disposizione.

La progettazione e l’implementazione di politiche per l’emersione non si ritiene, infatti,

facciano parte di un nuovo capitolo di spesa, ma devono entrare negli obiettivi delle

politiche di governo già finanziate.

Le diverse realtà regionali e provinciali danno luogo ad attività delle Commissioni an-

che molto diverse. È nella filosofia della rete che ogni territorio si esprima nei modi più

adeguati per il proprio territorio, accogliendo le indicazioni del Comitato e, allo stesso

tempo, insegnando al resto della rete possibili attività o modalità di azione.12

5.6 La legge 383/2001

La legge 383 del 2001 (Norme per incentivare l’emersione dall’economia sommersa) è un

provvedimento di carattere straordinario che offre l’opportunità di regolarizzare sia i

rapporti di lavoro sia l’attività produttiva e tutti gli aspetti connessi.

12. Per una rassegna ragionata di tali iniziative, vedi, sul sito del Comitato, Simona Boselli e Serafino Ce-lano, Guida alla lettura delle esperienze, nota aggiuntiva alla VII Relazione del Presidente, Allegato A, giugno 2002.

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Ha subito nel corso dell’anno diversi emendamenti ed è stata soggetta a continue pre-

cisazioni.13 I passaggi che qui vogliamo rilevare sono:

lo sdoppiamento dei percorsi di emersione, che da sola automatica, come prevista

dal testo originario diventa anche progressiva, che prevede la presentazione al

Sindaco dei Piani di Emersione (legge 73/02);

la costituzione dei Comitati per il Lavoro e l’Emersione del Sommerso (Cles) in ogni

capoluogo di provincia, presieduti dalle Direzioni Provinciali del Lavoro che, in

luogo dei Sindaci, devono valutare, approvare o respingere i piani di emersione.

5.6.1 Comitati per il Lavoro e l’Emersione del Sommerso (Cles)

Con nomina prefettizia, sono composti da 16 membri, otto dei quali sono designati ri-

spettivamente dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, dal Ministero dell’Am-

biente, dall’Inps, dall’Inail, dalla Asl, dal Comune, dalla Regione e dalla Prefettura-Uffi-

cio territoriale del Governo, e otto designati in maniera paritetica dalle organizzazioni

sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale dei datori di la-

voro e dei prestatori di lavoro. Il componente designato dal Ministero del lavoro e delle

politiche sociali assume le funzioni di presidente (d.l. 25 settembre 2002, n. 210, con-

vertito in legge 266/2002). La legge prevede che, in alternativa alla procedura di di-

chiarazione diretta prevista dall’articolo 1 della 383/01, gli imprenditori presentano al

Cles, competente per il territorio dove ha sede l’unità produttiva, un piano individuale

di emersione contenente le proposte per la progressiva regolarizzazione e l’adeguamen-

to agli obblighi previsti dalla normativa vigente per l’esercizio dell’attività, relativamen-

te a materie diverse da quella fiscale e contributiva e dai Contratti collettivi nazionali

di lavoro in materia di trattamento economico, in un periodo non superiore a diciotto

mesi, eventualmente prorogabile a ventiquattro mesi in caso di motivate esigenze. Il

D.l. 210/2002 prevede inoltre che i Cles siano integrati dai Comitati provinciali per

l’emersione istituiti ai sensi dell’articolo 78, comma 4, della legge 23 dicembre 1998, n.

448. La procedura prevede che il Piano per l’emersione venga prima visto e approvato

13. Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 88/E dell’11.10.2001; Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 15.11.2001; Delibera del Cipe del 15.11.2001; Art.21 della Legge 409/2001; Art. 9 co.15 della Legge 448/2001; Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 17/E dell’11.02.2002; Circolare Inps n. 49 del 13.3.2002; L.73/2002, L.266/2002.

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dal Sindaco territorialmente competente e quindi inviato alle Direzioni provinciali del

lavoro territorialmente competenti. I Comitati hanno il compito di valutare le proposte

e il progressivo adeguamento agli obblighi di legge, diversi da quelli fiscali e previden-

ziali, formulando eventuali proposte di modifica. Il Cles infine approva o respinge il

piano individuale di emersione. Con l’approvazione si ha:

l’estinzione dei reati contravvenzionali e delle sanzioni connesse alla violazione;

la sospensione di eventuali ispezioni e verifiche da parte degli organi di controllo e

vigilanza nei confronti del datore del lavoro che ha presentato il piano, esclusiva-

mente per le violazioni oggetto di regolarizzazione;

l’esclusione dalle gare di appalto, fino alla conclusione del periodo di emersione,

per i soggetti che si avvalgono dei Piani individuali di emersione.

Gli imprenditori possono conservare l’anonimato avvalendosi delle organizzazioni sin-

dacali dei datori di lavoro o dei professionisti iscritti agli albi professionali.

5.6.2 Un primo, sommario, bilancio

La Campagna per l’emersione lanciata dalla 383/2001 non ha dato i risultati sperati

in termini di domande di emersione presentate. I dati provvisori registrano quasi 1.800

domande di emersione automatica a livello nazionale e 122 per il Veneto, mentre le

domande di emersione progressiva sono circa 876 di cui 2 a livello regionale.

È però riconosciuto che il provvedimento e soprattutto la campagna d’informazione

hanno cominciato ad illuminare il fenomeno come un problema prioritario.

Con il Piano di Accertamento Straordinario degli organi della vigilanza per incentivare

il ricorso ai vantaggi della legge 383 si sono ottenuti alcuni effetti importanti. I princi-

pali sono:

a. una spinta ulteriore all’emersione degli extra-comunitari con la regolarizzazione

prevista dalla legge Bossi-Fini, in quanto la fase più intensa dei controlli è coincisa

con le “finestre” per la regolarizzazione previste dal provvedimento;

b. con la circolare interamministrativa n. 64/2002, la prima in assoluto del genere, si

è fatto un altro passo verso l’integrazione delle attività degli organi di controllo;

c. infine, con i Cles sono sorti organismi tecnici che vedono intensificato il confronto

tecnico tra organismi della vigilanza e parti sociali, avviando un auspicato dialogo

tra società economica e organismi dello Stato deputati a controllare, a presidiare le

regole e quindi i limiti di comportamento consentiti.

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Tuttavia le mancate dichiarazioni testimoniano una certa diffidenza degli imprenditori

nei riguardi dello Stato. L’esperienza diretta dei tutori soprattutto nelle regioni meri-

dionali è che essi, a fronte della possibilità di regolarizzazione con il Piano di emer-

sione, hanno preferito mettersi in regola “silenziosamente”. I modi per mettersi in re-

gola sono diversi. Dalle attività sul campo svolte da esperti del Comitato esse possono

essere l’assunzione o l’apertura di una posizione di impresa, ma anche:

l’abbandono di attività irregolari giudicate poco convenienti o troppo pericolose (e

la migrazione verso altre fonti di reddito);

l’esternalizzazione (in Italia o all’estero) di alcune lavorazioni svolte da lavoro

irregolare;

la chiusura di attività irregolari e la loro riapertura sotto altra veste;

il ricorso a fonti di finanziamento (come la 488, il prestito d’onore, il credito d’im-

posta per l’occupazione, i bandi locali ecc.).

5.7 I contesti della regolarizzazione: Enti Bilaterali

A fine anni ’80, nasce un modello delle relazioni industriali, comune a tutti i settori

con consistente presenza di piccola impresa, in cui “fare sistema” diventa una que-

stione strategica per le parti sociali: tanto per il sindacato quanto per le associazioni di

rappresentanza.

Le prime a intuire la necessità di innovare le relazioni industriali sono state le Confe-

derazioni artigiane e le Confederazioni sindacali, che hanno comunemente deciso di

fare della bilateralità uno dei fattori strategici delle loro relazioni, confermando e riba-

dendo il ruolo fondamentale e propulsivo della contrattazione. Nell’ambito di tali rela-

zioni, che si sviluppano da oltre un decennio, le parti hanno costruito strumenti bila-

terali per la gestione di particolari aspetti della vita delle imprese artigiane e la tutela

dei lavoratori in esse occupati. Tale costruzione ha avuto momenti fondamentali a li-

vello regionale con particolare riferimento alle rappresentanze sindacali, al sostegno al

reddito dei lavoratori dipendenti e ad interventi a favore delle imprese e del loro svi-

luppo, nonché alla formazione (specificatamente ai contratti di formazione lavoro) e

alla sicurezza.

Diventa interessante presentare e descrivere di seguito il caso dell’Ente Bilaterale

dell’Artigianato Veneto (in seguito Ebav). Infatti, il sistema regolativo artigiano, imple-

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mentato nella prima metà degli anni ’90, costituisce il modello di riferimento14: non è

più un soggetto di amministrazione di istituti contrattuali rivolti a tutti i lavoratori

versanti, ma presta servizi su domanda individuale a lavoratori e imprese. Diventa cioè

un soggetto snello, con un’incidenza sul costo del lavoro tutto sommato contenuta,

che eroga servizi che hanno un forte impatto sistemico e che rimediano ad alcuni limiti

strutturali delle singole imprese, per prestazioni di welfare, formazione professionale e

politica dell’innovazione.

5.7.1 Il caso Ebav

In un’economia come quella veneta, che si caratterizza per il rilievo della piccola im-

presa artigianale (il 37% delle 344.102 unità locali registrate del Censimento Interme-

dio - Istat del 1996 è a carattere artigiano) non meraviglia che proprio dall’artigianato

siano nate le innovazioni nei modelli di relazioni industriali per la piccola impresa.

La premessa per ciò che è avvenuto nel Veneto è stato l’accordo nazionale inter-

confederale del 1988, che prevede la costituzione di una rete di enti bilaterali regionali

per la gestione sia della sospensione dal lavoro in caso di calamità naturale sia dei di-

ritti sindacali.

L’Ebav viene costituito a fine 1991 e registra una crescente partecipazione: al 2001 le

imprese iscritte sono 38.523 e rappresentano circa il 90% dell’intero universo delle im-

prese artigiane con dipendenti presenti in Veneto mentre i lavoratori coinvolti sono

168.508.

L’Ebav ha lo scopo di rendere operative le intese fra le parti costituenti, finalizzate al

miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro degli imprenditori artigiani e dei loro

lavoratori dipendenti. Nei primi dieci anni di attività l’Ebav ha erogato 76 milioni di

euro, di cui circa la metà (53%) per finanziare servizi alle imprese (sostegno al credito,

ambiente e sicurezza, partecipazioni a fiere, sistema qualità, innovazione tecnologica,

formazione, lavoratori disabili e apprendisti) e il resto per finanziare servizi ai lavora-

tori dipendenti (licenziamenti, sospensioni dal lavoro, sussidi assistenziali e consoli-

damento della professionalità)

14. Giaccone Mario, Un decennio di bilateralità nei servizi: un bilancio dell’esperienza veneta, Filcams Veneto, Venezia, 2002.

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Dall’accordo prende forma un nuovo modello di relazioni sindacali esterne all’impresa,

gestite dalle strutture territoriali delle organizzazioni stipulanti, che si finanzia con i

contributi di imprese e lavoratori aderenti all’ente.

Nel frattempo la contrattazione integrativa a livello regionale s’intensifica a partire dal

1995 e si concentra sulla regolazione dei seguenti temi: aumenti salariali; integrazioni

delle prestazioni e dei contributi di Ebav per alcuni settori; elementi di flessibilità nella

gestione dei permessi per la riduzione dell’orario di lavoro; aggancio degli aumenti

retributivi ad indicatori di andamento congiunturale (consumo di energia elettrica in

settori energy-intensive).

Si tratta di elementi a sostegno della flessibilità delle imprese artigiane, che vanno ad

incontrare e sostenere la funzione che esse assumono nel sistema produttivo Veneto,

dove mantengono un ruolo fondamentale (e non solo per la rete di subfornitura). Le

dimensioni particolarmente ridotte, l’elevato turn-over e la forza contrattuale nelle

relazioni con le imprese committenti, dovute alla posizione ricoperta nella filiera pro-

duttiva, sono tutte caratteristiche che possono indurre delle forme di flessibilità non

“registrata” e irregolare per far fronte alle fluttuazioni della domanda del mercato.

Con la costituzione degli Enti bilaterali si introduce un potenziale strumento di regola-

zione del mercato di lavoro e disincentivo a forme di flessibilità fatta in casa delle pic-

colissime e piccole imprese, in quanto l’adesione e la regolarità dell’impresa e dei

lavoratori sono il presupposto per l’attivazione di ammortizzatori sociali (ad esempio il

sostegno alle sospensioni), che rappresentano un sistema di welfare settoriale e terri-

toriale tale da rendere “in forma esplicita una cintura protettiva intorno alle imprese

artigiane in cambio di una politica di indirizzo congiunto che possa stabilizzare il com-

parto e facilitare l’agibilità sindacale per i diritti convenzionali e la sindacalizzazione”.15

5.8 I contesti della regolarizzazione: contrattazione territoriale e doppio

livello negoziale

Il doppio livello negoziale della contrattazione (contratto collettivo nazionale di lavoro

di categoria e contrattazione locale aziendale o territoriale) ha avvicinato la contratta-

zione alle peculiarità locali. La contrattazione provinciale è diventata, in alcuni casi, la

15. Giaccone Mario, Un modello di concertazione pluralista? Il caso Veneto, relazione presentata al Convegno Ais-elo, Trento, 24-25 gennaio 2002.

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sede dove sono stati affermati obiettivi di lotta al lavoro nero, di prevenzione e messa

in sicurezza del luogo del lavoro e di sostegno attraverso incentivi economici atti a ri-

durre i vantaggi di svolgere attività in modo irregolare.

Un settore economico dove i rappresentanti delle parti sociali hanno esplicitato inizia-

tive dirette per combattere il lavoro nero è quello dell’edilizia. Dall’analisi di tutte le

piattaforme integrative per il rinnovo dei Contratti provinciali e regionale emerge che la

presenza di iniziative per la lotta al lavoro irregolare e alla concorrenza sleale e la sen-

sibilizzazione sui temi della sicurezza del lavoro sono tra gli obiettivi prioritari.

Gli strumenti ritrovati per contrastare il sommerso si possono riassumere nelle se-

guenti proposte:

Osservatorio sulla regolarità del lavoro (piattaforma del contratto integrativo

provinciale di Belluno),

Osservatorio degli appalti dei lavori pubblici (piattaforma del contratto integrativo

provinciale di Verona),

incentivazione della funzione di certificazione di regolarità degli Enti paritetici

(casse edili),

Protocolli d’intesa tra parti sociali e enti appaltanti pubblici per il controllo della

regolarità nelle fasi operative e la puntuale applicazione delle norme di sicurezza

riconducendo a sistema il tutto attraverso il documento unico di regolarità contri-

butiva,

messa in rete delle Casse edili (piattaforma del contratto integrativo provinciale di

Padova),

valorizzazione del ruolo di certificazione della regolarità del Comitato Paritetico

Territoriale e Sicurezza.

Un altro esempio di contrattazione di secondo livello con contenuti innovativi ed effetti

indiretti sul lavoro irregolare è rappresentato dal premio di produzione esteso ai lavo-

ratori a domicilio del distretto del Brenta previsto dalla piattaforma contrattuale fir-

mata nel 2001.

In conclusione, la contrattazione territoriale è diventa l’occasione per precisare con

maggiore attenzione le peculiarità locali che gli aspetti normativi di carattere generale

non considerano. Inoltre la territorialità ha aiutato la costruzione di nuovi e originali

modelli di relazioni industriali per lo sviluppo di un’economia attiva e regolare trasferi-

bili, con i necessari adeguamenti, in altre realtà.

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5.8.1 Il caso della Riviera del Brenta

Il caso della Riviera del Brenta è testimonianza di come l’istituto della contrattazione

abbia assunto finalità concertative, a seguito di una consolidata tradizione di relazioni

e contrattazioni sindacali dell’area che hanno origine fin dagli anni ’60, nonché del

riconoscimento delle relazioni industriali improntate alla logica della concertazione da

parte delle parti sociali.

In un contesto di relazioni industriali di tipo cooperativo e di impegno da parte di al-

cuni enti locali attenti all’evoluzione del mercato del lavoro locale del distretto della

calzatura, la formalizzazione della programmazione negoziata è un passaggio natu-

rale che avviene con il Protocollo d’intesa per il Patto territoriale nel 1999, che vede

coinvolti dieci comuni16 dell’area della Riviera del Brenta.

I soggetti promotori del Patto s’impegnano ad utilizzare il metodo della concertazione

per il confronto, anche al fine di migliorare la qualità delle relazioni industriali, azien-

dali e territoriali. Per quanto riguarda i problemi dell’economia irregolare, tra gli

obbiettivi del Patto riportiamo l’impegno da parte dei Comuni di promuovere protocolli

d’intesa per regolare gli appalti pubblici con lo scopo di favorire l’affermarsi di una im-

prenditoria “sana”, di tutelare i lavoratori e impedire gli effetti del ricorso al lavoro ir-

regolare per l’aggiudicazione dell’appalto secondo la modalità del massimo ribasso. In-

vece le parti sociali s’impegnano al sostegno del cosiddetto lavoro debole, di sicurezza

del lavoro e contrasto delle irregolarità ambientali.

Gli impegni generali dei soggetti pubblici e privati trovano, in parte, maggiore formaliz-

zazione nelle linee guida d’intervento del “Progetto per il settore calzaturiero”. Il pro-

getto prevede l’estensione della formazione ai lavoratori a domicilio e l’utilizzo delle

pause produttive (cig) per riqualificare le maestranze del settore.

Infine, un’esperienza contrattuale, che ha potenziali effetti indiretti sul sommerso, è la

piattaforma contrattuale integrativa per i lavoratori a domicilio nel settore del calzatu-

riero della provincia di Venezia, che interessa i lavoratori del distretto calzaturiero

della Riviera del Brenta e rappresenta probabilmente l’unica esperienza di contratta-

zione territoriale del calzaturiero in Italia.

Nel contratto firmato nel 2001 è prevista l’estensione del premio di risultato al lavoro a

domicilio, riconoscendo quindi come parte della produzione, svolta in continuità con il

16. Campagna Lupia, Campolongo Maggiore, Camponogara, Dolo, Fiesso d’Artico, Fossò, Mira, Pianiga, Strà e Vigonovo.

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lavoro in fabbrica, l’operato di chi fa le scarpe in modo invisibile a casa propria.

L’accordo intende valorizzare l’apporto del lavoro a domicilio in termini partecipativi al

conseguimento dei miglioramenti delle performance aziendali e stabilisce di ricono-

scere un premio di vantaggio ai singoli lavoratori rapportato agli indici di resa azien-

dali. L’attuale legislazione riconosce al lavoro a domicilio carattere di subordinazione,

ma il vincolo della subordinazione ha aspetti ambigui perché il lavoratore non è fisi-

camente in azienda. Per questo il riconoscimento del premio ai lavoratori (sono poco

meno di un migliaio in Riviera) introduce una novità nella regolazione di ambiti del

mercato del lavoro non tradizionali e controllabili, con possibili effetti deterrenti sulle

distorsioni di forme di negoziazione individuali. Il premio di vantaggio ai lavoratori a

domicilio rappresenta senza dubbio un’estensione dei diritti dei lavoratori, ma bisogna

valutarne la reale applicabilità in mancanza di un tariffario di cottimo condiviso da

parte dei lavoratori a domicilio, che preferiscono agire nella contrattazione come sog-

getti singoli che come categoria associata. Infine l’incentivo economico del premio di

vantaggio non è sufficiente per la dichiarazione di tutto il cottimo realizzato.

L’intesa del 2001 prevede inoltre la costituzione di una sede formale di confronto (Con-

sulta di distretto ad oggi non ancora operativa), che in modo paritetico svilupperà

azioni di monitoraggio, di analisi e di valutazione, anche attraverso un apposito osser-

vatorio, per una migliore conoscenza della realtà esistente e della realtà in divenire,

sviluppando anche azioni di proposta, suggerimento e indirizzo nei confronti di tutti gli

organismi competenti. Gli ambiti di azione proposti per la Consulta sono: ricerca dì

modalità e strumenti per costruire una valida informazione a livello territoriale; pro-

mozione di un tavolo della moda regionale; diffusione e valorizzazione del codice mo-

rale di cui al protocollo 12 annesso al Ccnl; formazione, orientamento scolastico e at-

tenzione ai portatori di handicap.

5.9 I contesti della regolarizzazione: i Patti territoriali

La caratteristica dei Patti territoriali è di aver introdotto elementi di innovazione nelle

modalità di sostegno e finanziamento delle politiche di sviluppo del territorio.

Un primo elemento è l’incentivo alle nuove forme di cooperazione orizzontale tra sog-

getti pubblici e privati del territorio, promuovendo progetti di sviluppo integrati pensati

per le esigenze specifiche locali.

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Nel tentare di rafforzare i meccanismi collaborativi, da non confondere con collusivi,

per la riuscita del Patto, il legislatore ha previsto che l’istruttoria di approvazione da

parte del Ministero del Tesoro debba tener conto della validità economica del progetto

di sviluppo e della presenza di Protocolli d’intesa dove emerga la volontà dei soggetti

locali di operare congiuntamente. Si evince che si è voluto evitare che la procedura

istituzionale di genesi del Patto si limitasse ad una funzione solamente di start-up.

Piuttosto, con la fase istruttoria per la ricerca della cooperazione, si è voluto introdurre

un nuovo modello permanente di relazioni e azione territoriale.

La programmazione concertata del Patto territoriale costituisce un luogo di proposta e

implementazione di politiche e strumenti atti a rimuovere gli ostacoli allo sviluppo del

territorio e a fornire soluzioni alle possibili forme di distorsione delle relazioni econo-

miche quali, ad es., i rapporti di lavoro e le attività d’impresa irregolari, in quanto

esempi di prevalenza di interessi speculativi e di slealtà nei confronti dei soggetti ap-

partenenti al mercato locale.

Tra i vantaggi segnalati dal Cnel17, dovuti all’istituirsi dei Patti, vi sono l’emersione del

lavoro sommerso, il controllo del territorio e l’avvicinamento dei soggetti sociali alla di-

mensione del cambiamento e della innovazione. In alcuni casi il nuovo clima di rela-

zione dei soggetti sul territorio ha innescato un effetto sinergico tra contrattazione per

la negoziazione e concertazione territoriale del Patto.

L’esperienza dei Patti territoriali nel Veneto contempla alcuni esempi interessanti di

accordo tra attori pubblici e privati per promuovere lo sviluppo locale regolare. La na-

tura stessa del Patto invita i soggetti a ridefinire le identità e gli interessi di cui sono

portatori. L’iterazione ripetuta e la concertazione creano le premesse per lo svilupparsi

di fiducia e reti di relazioni, che attivano una visione sistemica della crescita locale. In

un contesto in cui gli interessi delle parti hanno valenza se sono coerenti con il patto

stabilito, la lealtà nei comportamenti e l’interpretazione corretta del ruolo assegnato

dal Patto diventano una condizione indispensabile per il funzionamento dell’accordo.

17. Cfr. Europass, I patti territoriali, Roma, 1998.

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5.9.1 Il caso del Patto del Veneto orientale

L’adozione della programmazione negoziata ha permesso di riunire attorno al tavolo di

concertazione gli Amministratori dei venti comuni18 dell’area, la Regione, la Provincia,

le Associazioni di categoria e del lavoro e gli imprenditori locali con lo scopo di pro-

grammare e realizzare lo sviluppo produttivo, economico, occupazionale regolare e so-

ciale del territorio.

Il Veneto Orientale è un’area con vocazioni agricole e turistiche balneari. Si tratta di

settori ad alta stagionalità che registrano forte domanda di manodopera in determinati

periodi dell’anno, mentre nel resto dell’anno la stabilità occupazionale e la qualità del

lavoro si deteriora. Alcuni eventi (calo delle presenze turistiche agli inizi degli anni no-

vanta) hanno messo in parte in crisi il modello di sviluppo storico dell’area innescando

un processo di riflessione da parte dei soggetti pubblici e privati locali su quale mo-

dello di sviluppo sostenere in futuro.

Il coronamento di questo sforzo di ripensamento delle vocazioni e dei limiti dello svi-

luppo locale dell’area si concretizza con la sottoscrizione nel 1997 del Patto territoriale,

cui seguirà il Patto per il lavoro, per il verde e per il sociale.

Nel Patto per il lavoro si enunciano le strategie per mantenere o migliorare la compe-

titività delle imprese dell’area e per attrarre in essa nuovi investimenti attraverso

l’introduzione di elementi di maggiore flessibilità che consentano alle imprese locali di

cogliere ogni opportunità offerta dal mercato e di far fronte alle fluttuazioni della do-

manda dipendenti dalla stagionalità o da altri diversi fattori.

Il Patto prevede che gli imprenditori, intenzionati a sviluppare un progetto di insedia-

mento o di ampliamento che interessi l’area, producano un documento ove siano pre-

cisati i principali connotati del progetto stesso, i riflessi positivi per l’occupazione e gli

strumenti idonei al perseguimento degli obiettivi delineati. La Direzione dell’impresa,

l’Associazione datoriale a cui la stessa aderisce o conferisce mandato e le Organizza-

zioni sindacali territoriali e di categoria effettueranno una verifica congiunta sugli

strumenti organizzativi del lavoro che l’impresa adopererà per realizzare il proprio pro-

getto. Le imprese potranno adottare modelli contrattuali facenti riferimento alla defini-

zione di orari multiperiodali (plurisettimanali, mensili, annuali) introducendo elementi

18. Si tratta di: Annone Veneto, Caorle, Ceggia, Cinto Caomaggiore, Concordia Sagittaria, Eraclea, Fossalta di Piave, Fossalta di Portogruaro, Gruaro, Jesolo, Meolo, Musile di Piave, Noventa di Piave, Portogruaro, Pramaggiore, San Donà di Piave, San Michele al Tagliamento, San Stino di Livenza, Teglio Veneto e Torre di Mosto.

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di elasticità in rapporti di lavoro ad orario ridotto, a sviluppo verticale e ciclico. In que-

sto modo si potrà far ricorso al lavoro a tempo parziale con distribuzione ciclica del-

l’orario e con elasticità nella collocazione della prestazione entro un arco di tempo più

ampio. Andrà promosso l’utilizzo di rapporti di lavoro a tempo parziale definendo il

piano degli orari su base settimanale, mensile o annuale in modo da consentire l’im-

piego di tale rapporto anche nelle lavorazioni a turno. Le imprese che con il proprio

piano aspirino ad un consolidamento dell’occupazione, non potendo prevederne un in-

cremento, potranno comunque godere di modelli organizzativi agili e forme di sostegno.

Il mercato del lavoro, con una forte componente stagionale legata al turismo, spinge,

nei periodi di bassa stagione al forte incremento del lavoro irregolare (riguardante ad

esempio lavoratori con indennità di disoccupazione che svolgono la stagione turistica a

Venezia o in altri settori dell’area). La consapevolezza della diffusione di queste forme

di irregolarità lavorativa spinge i soggetti del Patto ad avviare un confronto con il Mini-

stero del lavoro per verificare quali strumenti siano più idonei per promuovere

l’inserimento lavorativo degli extra comunitari e per far emergere eventuali situazioni

di lavoro irregolari. Una proposta interessante, non ancora diffusamente attuata, è il

sostegno del prolungamento della stagione turistica per oltre due mesi con il mante-

nimento dell’apertura degli esercizi turistici, attraverso la creazione di meccanismi di

sostegno finanziari alle imprese interessate come, ad esempio, un alleggerimento dei

contributi da versare limitandosi solo a quelli figurativi, con un risparmio di risorse

altrimenti impiegate per gli armonizzatori attivati per i lavoratori al termine dei con-

tratti a seguito della chiusura della stagione turistica.

5.10 I contesti della regolarizzazione: la concertazione territoriale

Oltre ai Patti territoriali la legislazione ha messo a disposizione una pluralità di stru-

menti di programmazione negoziata pensati per una varietà di esigenze quali:

l’Accordo di programma per interventi sul sistema delle infrastrutture;

il Contratto d’area per introdurre misure di risoluzione dei problemi della deindu-

strializzazione;

il Contratto di programma per la rilocalizzazione e partnership da parte di im-

prese medio grandi o consorzi di piccole imprese ai fini del riequilibrio economico

ed occupazionale del territorio.

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Inoltre, con la delibera Cipe del 21 marzo del 1997, si incentiva l’attivazione di altre

nuove forme di tipologie negoziali, anche al di fuori di quelle previste dalla legge, per

rispondere alle necessità locali.

In un contesto di abbondanza di formule per la contrattazione, la Regione Veneto ha

avviato un’esperienza interessante di programmazione negoziata, formalizzando un

Protocollo di intesa tra Ente Regionale, Parti Sociali e Autonomie funzionali per la Con-

certazione e la Coesione nel luglio 1997.

La Regione e le parti sociali individuano delle aree strategiche per lo sviluppo locale; è

previsto un tavolo di concertazione per l’area risorse umane, formazione e mercato del

lavoro, dove Regione e parti sociali s’impegnano anche a sostenere il ruolo degli Enti

bilaterali, dei Patti territoriali e del lavoro debole.

In tale sede, nel luglio del 1999, si è convenuta un’iniziativa al fine di definire nuove

regole per gli appalti pubblici, per opere e servizi con adeguati standard qualitativi e il

rispetto delle norme contrattuali. Le parti sociali hanno invitato la Regione ad assu-

mere l’iniziativa per determinare indirizzi e norme di comportamento omogeneo in

tema di appalti nel settore dei servizi di pulimento, al fine di contrastare pratiche di

lavoro nero e concorrenza sleale, e garantire trasparenza di procedure per il rispetto di

norme in materie di lavoro, con particolare riferimento alla sicurezza, ai trattamenti

retributivi ed agli oneri previdenziali. Al fine di porre rimedio alle distorsioni delle gare

d’appalto, si costituisce una Commissione tecnica che ha il compito di preparare uno

schema di capitolato per il servizio di pulizia degli uffici dell’amministrazione. La bozza

definitiva per il capitolato d’appalto tipo presenta alcuni passaggi interessanti che ten-

tano di ovviare agli effetti delle gare al massimo ribasso. L’introduzione di una serie di

norme (per esempio: sulla non ammissibilità di offerte economiche per l’aggiudicazione

dell’appalto nelle quali il costo del lavoro previsto sia inferiore al costo stabilito dal

contratto collettivo nazionale delle imprese di pulizia e dagli accordi integrativi territo-

riali, sulla certificazione mensile dell’avvenuto pagamento dei contributi e previden-

ziali, sul divieto del subappalto), ha un effetto deterrente per le imprese che spesso

sono spinte ad utilizzare lavoro irregolare per garantire l’equilibrio economico tra servi-

zio da fornire e offerta economica aggiudicante.

La collaborazione trasversale tra le Parti sociali per porre rimedio ad un problema di

efficienza e slealtà economica è un esempio di come il clima cooperativo, ispirato dagli

strumenti della concertazione, possa avere effetti significativi ed importanti.

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5.11 Conclusione: le politiche per l’emersione in Veneto

In generale il Veneto è ritenuto una regione con bassa presenza di lavoro irregolare e

di evasione fiscale (relativamente almeno ad altre regioni italiane). Tuttavia il lavoro ir-

regolare, come si evince dagli altri contributi di questo “Rapporto”, e altri aspetti di ir-

regolarità hanno una propria consistenza.

Le azioni puntuali locali e le reazioni alle iniziative nazionali, dimostrano che il feno-

meno, oltre ad esistere, è anche percepito come problema. In rapida sintesi, dalle nu-

merose interviste e incontri avuti si ritiene di poter dire che il problema del lavoro irre-

golare è un problema complesso che intreccia ragioni di costo del lavoro, di eccesso di

tassazione, di etica nei confronti dello Stato e dei suoi organismi ed istituzioni (in primis

Enti previdenziali), di non conoscenza di formule contrattuali adeguate, di insufficienza

dei flussi di ingresso per lavoratori stranieri. Spesso vengono enfatizzate singole que-

stioni - quali l’immigrazione irregolare, la mancanza di manodopera, gli infortuni sul

lavoro etc. - ma si contano ancora sulle dita (ma occorre rilevare che ci sono) iniziative

che provino a trattare l’economia irregolare come un problema sociale di ampio respiro.

Tra gli addetti ai lavori si coglie che il problema dell’economia irregolare è diventato

“un problema da trattare”, su cui forse è possibile intervenire se si è tutti d’accordo. La

novità di questi ultimi tempi sta nel fatto che l’azione nazionale e le politiche locali co-

minciano a dialogare, a lavorare insieme nella stessa direzione.

5.11.1 I protagonisti dell’azione di policy

Parti sociali che, sia per mission delle organizzazioni stesse, sia nel quadro della

contrattazione locale e in ambito di programmazione negoziata, da anni, soprat-

tutto a livello provinciale o degli enti locali, sono impegnate nel mettere a punto

misure che rispondano al fenomeno. Abbiamo visto come le caratteristiche di al-

cuni istituti negoziali e di contrattazione utilizzati in Veneto hanno un potenziale

effetto sui processi di regolazione e regolarizzazione dell’economia locale. Senza la

pretesa di valutare gli effetti delle singole proposte, ci preme qui evidenziare come

gli strumenti per l’emersione trovino sede, spesso, nelle nuove forme di governo

orizzontale e nelle architetture della contrattazione territoriale, vedendo diventare

la questione “economia irregolare” un problema da mettere nell’agenda delle politi-

che ordinarie di governo del territorio.

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Gli organismi della vigilanza (Agenzia delle Entrate, Inps, Inail, Ispettorato del La-

voro e Guardia di Finanza) mobilitati in una progressiva azione congiunta sul ter-

ritorio che, in virtù di un obiettivo comune, va in direzione di comunicare ai citta-

dini la presenza di uno Stato che sa essere coerente, in una certa misura “amico”,

che fa il possibile per facilitare la regolarizzazione. Il Piano di accertamento straor-

dinario, previsto per la campagna della l. 383/2001 e coordinato dalla Agenzia del-

le entrate, ha messo alla prova una modalità congiunta di svolgere ispezioni, già

più volte sperimentata con relativo successo.

L’Osservatorio Inps, istituito a seguito di un Protocollo di intesa tra parti sociali e

soggetti istituzionali, il cui avvio ha reso manifesta la volontà e l’interesse dei

principali attori locali a “lavorare” sul problema del sommerso, utilizzando a tal

fine il contributo di esperti e ricercatori.

Gli Enti locali progressivamente più coinvolti ad occuparsi del problema soprat-

tutto nel quadro della programmazione negoziata; strategico è il loro ruolo in par-

ticolare rispetto alle irregolarità ambientali.

I tutori che, pur nella provvisorietà della loro azione, hanno stimolato e favorito in

alcuni interlocutori la presa d’atto che al centro “stanno facendo sul serio” mentre

in altri casi hanno funzionato da sostegno alle iniziative intraprese.

La Regione e le Province che, con l’istituzione delle Commissioni regionali e provin-

ciali, si avviano ad esercitare un ruolo di riferimento per le politiche locali per

l’emersione. Insieme alle parti sociali ed ad altre istituzioni dovrebbero diventare

promotrici di politiche atte all’induzione dell’emersione.

I Cles, nuovi organismi tecnici che vedono dialogare Parti sociali e Istituti di vigi-

lanza a proposito delle regole e del loro rispetto e rappresentano le “prove tecniche”

per le future Commissioni. È un’occasione importante per costruire relazioni vir-

tuose tra lo Stato che fa, e fa rispettare le regole, e chi agisce nel territorio.

Dopo alcuni anni importanti di sperimentazioni di misure, di dichiarazioni di intenti e

di occasionali scoperte, gli strumenti di politica nazionale hanno, in un certo senso,

cominciato a “suonare tutti assieme” con il medesimo fine. La “tastiera” degli stru-

menti diretti e indiretti, nazionali e locali, comincia ad essere a disposizione di tutti i

soggetti di governo del territorio. La rete Comitato-Commissioni-Tutori è la rete che

tenta di connettere le persone e le istituzioni pubbliche allo scopo di costruire istitu-

zioni impegnate per l’emersione del lavoro irregolare e il superamento di tutte quelle

irregolarità che connotano lo sviluppo veneto con costi troppo alti in termini di rischio

ambientale e discriminazione.

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Appendice

TESTO DELL’ART. 78 DELLA LEGGE 23 DICEMBRE 1998, N. 448, "MISURE DI FINANZA PUBBLICA PER

LA STABILIZZAZIONE E LO SVILUPPO", INTEGRATO CON IL COMMA 7

DELL’ART. 116 FINANZIARIA 2001

Art. 78 (Misure organizzative a favore dei processi di emersione) 1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è istituito presso la Presidenza

del Consiglio dei ministri un Comitato per l’emersione del lavoro non regolare con fun-

zioni di analisi e di coordinamento delle iniziative.

A tal fine il Comitato, che riceve direttive dal Presidente del Consiglio dei ministri cui

risponde e riferisce:

a) attua tutte le iniziative ritenute utili a conseguire una progressiva emersione del la-

voro irregolare, anche attraverso campagne di sensibilizzazione e di informazione tra-

mite i mezzi di comunicazione e nelle scuole;

b) valuta periodicamente i risultati delle attività degli organismi locali di cui al comma 4;

c) esamina le proposte contrattuali di emersione istruite dalle commissioni locali per la

successiva trasmissione al Cipe per le deliberazioni del caso.

2. Le amministrazioni pubbliche appartenenti al Sistema statistico nazionale (Sistan),

ivi comprese le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, sono tenute

a fornire al Comitato, nel rispetto degli obblighi di riservatezza, le informazioni statisti-

che richieste in loro possesso.

3. Il Comitato è composto da dieci membri nominati con decreto del Presidente del

Consiglio dei ministri, designati, rispettivamente, dal Presidente del Consiglio dei mi-

nistri, dal Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica due, dal

Ministro del lavoro e della previdenza sociale, dal Ministro delle finanze, dal Ministro

per le politiche agricole, dal presidente dell’Inps, dal presidente dell’Istituto nazionale

per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail), dal presidente dell’Unione ita-

liana delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (Unioncamere) e

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dalla Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.

281. Il componente designato dal Presidente del Consiglio dei ministri svolge le fun-

zioni di presidente. Per assicurarne il funzionamento, presso il Comitato può essere

comandato o distaccato, nel numero massimo di 20 unità, personale tecnico ed am-

ministrativo della pubblica amministrazione e degli enti pubblici economici. Il perso-

nale di cui al presente comma mantiene il trattamento economico fondamentale e ac-

cessorio delle amministrazioni ed enti di appartenenza. Per il funzionamento del Co-

mitato è autorizzata la spesa di lire 1000 milioni a decorrere dall’anno 2001

4. A livello regionale e provinciale sono istituite, presso le camere di commercio, indu-

stria, artigianato e agricoltura, commissioni con compiti di analisi del lavoro irregolare

a livello territoriale, di promozione, di collaborazioni ed intese istituzionali, di assi-

stenza alle imprese, finalizzata in particolare all’accesso al credito agevolato, alla for-

mazione ovvero alla predisposizione di aree attrezzate, che stipulano contratti di rialli-

neamento retributivo anche attraverso la presenza di un apposito tutore. A tale fine le

commissioni possono affidare l’incarico di durata non superiore a quindici mesi, rin-

novabile una sola volta per una durata non superiore a quella iniziale e comunque

non oltre il 31 dicembre 2003, a soggetto dotato di idonea professionalità, previo pa-

rere favorevole espresso dal Comitato di cui al comma 3 che provvede, altresì a verifi-

care e valutare periodicamente l’attività svolta dal tutore, segnalandone l’esito alla ri-

spettiva commissione per l’adozione delle conseguenti determinazioni; per la relativa

attività è autorizzata la spesa di lire 5 miliardi per ciascuno degli anni 2001, 2002 e

2003; qualora la commissione non sia costituita od operante, all’affidamento dell’inca-

rico e all’adozione di ogni altra relativa determinazione provvede direttamente il Co-

mitato di cui al comma 3. Le commissioni sono composte da quindici membri: sette,

dei quali sono con funzioni di presidente, designati dalle amministrazioni pubbliche

aventi competenza in materia, e otto designati, in maniera paritetica, dalle organizza-

zioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresenta-

tive sul piano nazionale. Le commissioni, nominate dal competente organo regionale,

possono avvalersi di esperti e coordinarsi, per quanto concerne il lavoro irregolare, con

le direzioni provinciali del lavoro, tenendo conto delle disposizioni di cui all’articolo 5

della legge 22 luglio 1961, n. 628, e dell’articolo 3 del decreto-legge 12 settembre

1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638.

5. Le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura mettono a disposizione

una sede in modo da consentire alla commissione di espletare le sue funzioni. Presso

la commissione, per assicurarne il funzionamento, può essere comandato personale

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della pubblica amministrazione, ivi compresi i ricercatori universitari, restando i rela-

tivi oneri a carico delle amministrazioni di provenienza.

5-bis. All’onere per il funzionamento del Comitato di cui al comma 3 e a quello relativo

agli incarichi di tutore di cui al comma 4 si provvede mediante riduzione dell’autoriz-

zazione di spesa di cui all’articolo 66, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144. Le

somme occorrenti sono attribuite in conformità agli indirizzi e criteri determinati dal

Ministro del lavoro e della previdenza sociale.

Art. 79.

(Misure organizzative intese alla repressione del lavoro non regolare e sommerso)

1. Al fine di intensificare l’azione di controllo contro il fenomeno del lavoro non rego-

lare, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, il Ministero delle finanze, l’Inps,

l’Inail e le aziende unità sanitarie locali coordinano le loro attività in materia ispettiva

e di controllo degli adempimenti fiscali e contributivi, anche attraverso la predisposi-

zione di appositi programmi mirati, di specifiche iniziative formative comuni del perso-

nale addetto ai predetti compiti, nonché l’istituzione di unità operative integrate. Tali

attività, assunte su iniziative del Ministero del lavoro e della previdenza sociale in sede

nazionale e dalla regione, in raccordo con le direzioni regionali e provinciali del mede-

simo Ministero, in sede locale, si espletano, in particolare, nelle aree territoriali ovvero

nei settori di attività in cui il fenomeno risulta maggiormente diffuso, anche sulla base

delle attività di analisi e di coordinamento espletate dal Comitato di cui all’articolo 78,

comma 1, nonché delle attività espletate dalle commissioni regionali e provinciali di

cui al comma 4 del medesimo articolo. Le attività predette si raccordano, ai fini della

sicurezza e dell’igiene nei luoghi di lavoro, con i comitati di coordinamento istituiti

dalle regioni ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicem-

bre 1997 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 29 del 5 febbraio 1998.

2. Al medesimo fine di cui al comma 1, una quota pari al 10 per cento dell’importo

delle sanzioni amministrative relative alle omissioni contributive accertate e riscosse

dalle direzioni provinciali del lavoro - servizio ispezione del lavoro è destinata a corsi di

formazione e di aggiornamento del personale addetto e da assegnare al predetto servi-

zio e per l’acquisto dei dispositivi di protezione individuali, delle attrezzature, degli

strumenti ed apparecchi indispensabili per lo svolgimento dell’attività ispettiva e delle

relative procedure ad essa connesse. Con decreto del Ministro del lavoro e della previ-

denza sociale sono stabilite le modalità di assegnazione e di utilizzo delle somme di cui

al presente comma.

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Capitolo 6°

LE POLITICHE PER COMBATTERE IL LAVORO NERO SECONDO LE VALUTAZIONI DELLE ASSOCIAZIONI IMPRENDITORIALI,

SINDACALI E PROFESSIONALI

6.1 Introduzione

Il lavoro nero esiste: problema per alcuni, vantaggio per altri, è comunque riconosciuto

come un fenomeno che va contrastato. Il vero quesito è come: intensificazione dei con-

trolli, abbattimento dei costi fiscali, creazione di strumenti di maggiore flessibilità nel

mercato del lavoro, sono alcune delle proposte e dei temi principali che ruotano attorno

alle politiche di lotta al lavoro nero. Politiche che per essere efficaci richiedono un ampio

sostegno sociale.

Per questo abbiamo voluto approfondire la questione relativa alle misure/strumenti di

lotta al lavoro nero chiedendo ad un gruppo selezionato di interlocutori veneti di espri-

mere i loro pareri su alcune proposte concrete che il Comitato nazionale per l’emersione

del lavoro non regolare (d’ora in poi: Comitato nazionale) ha sintetizzato in 28 punti.1 Tra il mese di settembre 2002 e il mese di gennaio 2003 è stata quindi condotta in Vene-

to un’indagine approfondita intervistando numerosi testimoni privilegiati scelti tra quan-

ti, per finalità istituzionale o per ruoli di rappresentanza, avessero maturato una spe-

cifica conoscenza e fossero in grado di fornire indicazioni sulle modalità più opportune e

sugli strumenti più efficaci per condurre l’azione di contrasto al lavoro non regolare.

La richiesta di aderire all’iniziativa è stata, così, rivolta ai responsabili regionali di ordini

professionali, associazioni di categoria, organizzazioni sindacali ed enti pubblici specifi-

camente legati, per finalità istituzionale, ai temi del lavoro.

Le modalità di conduzione dell’indagine sono esposte nel paragrafo 6.2. La scelta di ba-

sarci su un approccio qualitativo, somministrando un questionario con domande aper-

te, è legata alla volontà di far leva sulla “sensibilità” degli interlocutori prescelti, creando

1. I 28 punti sono riportati nella relazione del Comitato nazionale del settembre 2001 (si veda la sezione dedicata al Comitato nel sito www.governo.it); essi costituiscono una lista di misure/proposte avanzate da vari soggetti economici, istituzionali e non, per la lotta al lavoro nero.

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un contesto in grado di far emergere la loro conoscenza e la loro percezione del

fenomeno “economia sommersa”. La stessa “particolarità” del tema d’indagine - il suo

proporre intrecci di luci e ombre ad ogni svolta tematica e la sua irriducibilità a dimen-

sioni quantitative - ha suggerito un approccio “narrativo” al problema. Solo in una se-

conda fase ci siamo inoltrati nel terreno quantitativo somministrando un questionario

con il quale ci si proponeva di sintetizzare, attraverso l’uso di appositi indicatori misu-

rabili, le considerazioni raccolte nel corso degli incontri. Il vantaggio di un approccio di

questo tipo sta nel fatto che la realizzazione della seconda parte dell’indagine, quella

quantitativa, è mediato da una buona chiarificazione degli argomenti, intervenuta nel

corso delle interviste della prima fase, così da ridurre le possibilità di equivoco intorno ai

temi sui quali si è chiesto un pronunciamento.

Crediamo che il metodo d’indagine prescelto abbia dato buoni esiti non solo per la con-

vergenza dei risultati ottenuti nelle due fasi dell’indagine, ma anche per il fatto che in

questa maniera è stato possibile ottenere, dagli intervistati, ulteriori proposte da sotto-

porre al vaglio degli altri testimoni. Nel corso delle interviste qualitative, infatti, lo sti-

molo reciproco, tra domande e risposte, ha permesso l’affiorare di temi altrimenti latenti

e il parallelo abbandono di nuclei tematici di scarso rilievo secondo il giudizio dei più.

La disponibilità incontrata e la generale attenzione riservata all’iniziativa testimoniano

di una diffusa volontà di costruire ipotesi praticabili e condivise di uscita dalle pratiche

non regolari del lavoro, nella consapevolezza che il sommerso rischia di trainare verso il

basso quei risultati di eccellenza che l’economia veneta è riuscita a raggiungere e che,

per consolidare ulteriormente, deve riuscire ad organizzare con il massimo della visibi-

lità possibile.

Gli esiti dell’indagine sono riportati nel paragrafo 6.3 dove ampi stralci delle interviste,

direttamente riportati, rendono chiare le diverse posizioni assunte dai nostri interlocu-

tori in merito alle proposte di lotta al lavoro nero.

I risultati ottenuti nella seconda fase dell’indagine, condotta allo scopo di pervenire ad

una misurazione sintetica delle valutazioni sull’efficacia, sulla fattibilità (tecnica e poli-

tica) e sui costi complessivi che la messa in atto delle misure suggerite comporterebbe,

sono oggetto del paragrafo 6.4.

Infine, ad una sintesi conclusiva sia degli elementi principali emersi dalle interviste sia

delle priorità da assegnare alle misure di contrasto, é dedicato l’ultimo paragrafo (6.5).

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6.2 La metodologia dell’indagine

Nella prima fase dell’indagine, a partire dai 28 punti stilati dal Comitato nazionale, si

sono selezionate le misure/proposte (items) che risultavano a priori più interessanti da

indagare nel nostro contesto territoriale rielaborando, in alcuni casi, i testi in modo da

tradurli in domande chiare da rivolgere poi alla lista di interlocutori prescelti per l’inda-

gine. Le domande sono state organizzate per nuclei tematici (Allegato 1) comprendenti,

nell’ordine, misure di carattere fiscale, misure di carattere organizzativo/repressivo,

misure di liberalizzazione/flessibilizzazione, azioni di riordino degli ammortizzatori so-

ciali; infine, una sezione denominata “opinioni di quadro” raccoglieva due domande non

presenti nei 28 punti stilati dal Comitato per l’emersione.

Nella costruzione della lista delle organizzazioni e degli interlocutori da intervistare (Al-

legato 2) si è prestata particolare attenzione ad includere2, oltre a tutti i soggetti sociali

aderenti all’Osservatorio, un’ampia platea di soggetti sensibili, per vocazione professio-

nale o finalità istituzionali, al tema del lavoro non regolare.

Dopo l’invio agli interlocutori prescelti del materiale di presentazione e del questionario,

tramite e-mail o fax, si sono fissati gli appuntamenti per l’effettuazione delle interviste.

Dei 40 soggetti inizialmente individuati, 37 hanno risposto all’appello, mentre in tre casi

non è stato possibile stabilire un proficuo contatto.

Le interviste hanno avuto una durata media di un’ora e mezza con punte di tre ore e so-

no state trascritte optando per la tecnica degli appunti estesi, escludendo così l’utilizzo -

nel corso dell’intervista stessa – di supporti magnetici che presentano il difetto di inibire

talvolta la spontaneità di chi rilascia l’intervista. Dopo la trascrizione delle interviste si è

proceduto ad un’attenta analisi delle risposte e delle osservazioni collaterali emerse.

La trascrizione3 delle interviste è stata effettuata adottando i seguenti criteri:

1. le risposte sono state sintetizzate al minimum necessario rispetto all’articolazione

proposta dall’interlocutore;

2. gli esempi utilizzati dall’interlocutore sono stati inseriti nel testo solo quando ne-

cessari alla comprensione delle risposte, ovvero quando esprimevano determinate

sfumature o riportavano informazioni utili alla comprensione del contesto;

2 Oltre ovviamente a tutti soggetti sociali aderenti all’Osservatorio. 3. Di cui ampie estrapolazioni sono utilizzate nel paragrafo 6.3.

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3. nel caso di contraddizione tra due risposte, essa è stata segnalata in sede di inter-

vista: se riconosciuta dall’intervistato, la parte contraddittoria non è stata tenuta

in conto nella trascrizione;

4. le domande “intermedie”, poste nell’intervista durante le risposte degli interlocu-

tori, non sono state riportate nel testo; sono state riportate invece tutte le risposte

conseguenti a tali domande “intermedie” qualora ritenute determinanti per la com-

prensione della posizione dell’intervistato;

5. si è cercato, per quanto possibile, di rendere il “tono” delle risposte e a questo sco-

po si è optato per una trascrizione discorsiva che riuscisse nell’intento di rendere

l’atmosfera semantica dell’intervista;

6. nelle risposte fornite i giudizi, positivi o negativi, vanno sempre intesi in relazione

all’efficacia circa la lotta al sommerso, anche quando non appare immediatamente.

Ad esempio, se una risposta suona: “sì, credo sia giusto esentare le imprese che

assumono dal pagamento dell’Irap”, si deve intendere che è giusto in relazione alla

volontà di far emergere il sommerso. Quando si intendeva esprimere un giudizio,

positivo o negativo, sganciato dall’efficacia della misura in relazione alla lotta al

sommerso, lo si è sempre esplicitamente sottolineato.

Nella seconda fase dell’indagine si è provveduto a definire ulteriormente il novero dei te-

mi trattati eliminando alcuni items risultati poco significativi o poco pertinenti ai fini

della lotta al lavoro nero in Veneto, e inserendo proposte avanzate dagli interlocutori nel

corso delle interviste realizzate per la prima parte dell’indagine. Come risultato abbiamo

ottenuto una batteria di 23 proposte/misure (Allegato 3), trasmesse ai 37 interlocutori

della prima fase4 via e-mail o fax, sulle quali si chiedeva di attribuire un punteggio

numerico, con range 1-105, sotto quattro diversi profili: fattibilità tecnica, fattibilità poli-

tica, costi diretti e indiretti ed efficacia rispetto alla lotta al lavoro non regolare.

Per fattibilità tecnica si intende l’effettiva possibilità di porre in essere la misura, la sua

concreta possibilità di essere applicata.

Per fattibilità politica si intende la possibilità che la misura in oggetto ottenga il con-

senso politico necessario per essere varata.

4. Sono stati restituiti 26 questionari compilati. 5. I punteggi da 1 a 10 vanno intesi in senso crescente di efficacia, fattibilità e costi. Quindi, ad esempio,

un punteggio 10 in termini di efficacia sta ad indicare la massima efficacia in relazione alla lotta al sommerso e un punteggio 1 sta ad indicare la minima efficacia.

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Per costi diretti e indiretti si intendono i costi complessivi, economici e organizzativi, che

il sistema deve sopportare per dare attuazione alla misura contemplata.

Per efficacia si intende la capacità della misura di ridurre il fenomeno del lavoro som-

merso.6

L’obiettivo di questa seconda fase è stato quello di provare ad individuare, anche ricor-

rendo a misure quantitative, le proposte ritenute in Veneto più efficaci per la lotta al la-

voro nero, più fattibili e meno costose (per il sistema) dal punto di vista della loro messa

in atto.

6.3 I risultati delle interviste

Di seguito presentiamo i risultati delle 37 interviste effettuate, seguendo l’ordine del

questionario mantenendo l’originaria suddivisione in blocchi tematici. Procederemo do-

manda per domanda con lo scopo di illustrare l’intero spettro delle posizioni emerse. La-

sceremo parlare direttamente i nostri interlocutori proponendo, alla fine di ogni blocco

tematico, un commento conclusivo.

Ricordiamo che il questionario si suddivideva in 4 blocchi tematici più un’ultima sezione

denominata “Opinioni di quadro”, tendente a rilevare opinioni generali sul tema del la-

voro non regolare.

6.3.1 Misure di carattere fiscale

Le domande proposte nel primo blocco del questionario avevano per oggetto il varo di

incentivi fiscali.

Alcuni di questi incentivi erano posti in relazione a una contropartita da parte delle im-

prese (ad esempio la proposta di applicare un credito d’imposta in cambio di una stabi-

lizzazione del rapporto di lavoro nella forma del part-time verticale, oppure l’esenzione

dall’Irap in presenza di occupazione addizionale); altri erano misure di puro incentivo

senza la previsione di una contropartita (ad esempio la defiscalizzazione parziale dello

6. Segnaliamo che alcune misure sono state sottoposte al giudizio degli intervistati anche se erano già state, nel frattempo, recepite dall’ordinamento giuridico o erano in procinto di esserlo.

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straordinario, oppure il forfait per gli oneri fiscali dei piccolissimi). Un’ultima misura -

che ha ottenuto un quasi unanime consenso - proponeva l’istituzione di un conflitto di

interessi sistematico e strutturale tra chi vende e chi acquista un determinato bene o

servizio.

Iniziamo dalla prima misura proposta. La domanda era la seguente:

1. Nei settori caratterizzati da lavoro a termine, dal turismo stagionale all’agricol-tura e all’edilizia,7 pensa possa essere utile l’applicazione di un credito d’imposta per il part-time verticale?

Il credito d’imposta è uno strumento da tutti (o quasi) considerato con favore. I problemi

sorgono quando lo si pone in relazione con il part-time verticale, generalmente definito

come uno strumento contrattuale troppo rigido per le specifiche esigenze produttive dei

settori menzionati nella domanda. La grande maggioranza degli intervistati, quindi, tro-

va poco significativa la relazione credito d’imposta / part-time verticale.

Vediamo, in ordine decrescente di preferenze, le posizioni più diffuse.

“…Il credito d’imposta va bene come va bene ogni incentivo, temo però che non venga colta un’opportunità che agevola in cambio di una certa rigidità contrat-tuale. Il part-time è pur sempre una forma contrattualistica a tempo indeterminato e si sa che le imprese (a meno che non siano grandi imprese) preferiscono con-tratti a tempo determinato”.

Alcuni intervistati mettono in secondo piano l’obiezione alla rigidità degli strumenti con-

trattualistici per lasciar spazio alla preoccupazione che gli interventi siano limitati nel

tempo, preoccupazione che è molto diffusa e che ritroveremo in molte altre risposte.

“Sono generalmente favorevole al part-time e tanto meglio se vi si associa un cre-dito d’imposta. Il problema è che non si combatte il sommerso con interventi spot…il rischio è che si capitalizzi gli incentivi e poi si torni a vecchie abitudini… il sommerso è legato essenzialmente alla rigidità contrattuale e, infatti, man mano che sono apparsi sulla scena strumenti più flessibili il sommerso si è ridotto”.

La preoccupazione per la limitatezza nel tempo degli interventi è, dicevamo, una posi-

zione condivisa che questo interlocutore esprime in forma radicale:

“Non interessa niente a nessuno…il problema non è questo o quell’intervento, il problema è l’eccessiva pressione fiscale!…l’eccessivo livello di contributi!…Quindi se non si mette mano alla pressione fiscale si mettono solo delle pezze qua e

7. In realtà l’edilizia è considerabile come un settore caratterizzato soprattutto da lavoro su commessa, commessa che ha una durata minima di 6-7 mesi.

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là…In tutti i settori caratterizzati da lavoro a termine si deve adottare un regime fiscale incentrato su un’aliquota fiscale bassa (15%) con esenzione dalla quota contributiva… ma pensiamo agli extracomunitari in agricoltura!…cosa gliene frega a loro della pensione se poi tornano a casa?…”

D’altro canto ci sono autorevoli pareri che non credono nemmeno al più radicale degli

interventi poiché:

“Il punto è: perché dovrei emergere se posso e riesco ad operare in nero? …Laddove c’è la reale capacità di pagare in nero non credo ci siano misure idonee a indurre l’emersione”.

Parere raccolto e rilanciato da un altro interlocutore:

“Temo che nei settori citati e in particolar modo nell’edilizia il sommerso sia così radicato che è molto difficile da far emergere”.

Ci soffermeremo nelle conclusioni di questo blocco tematico sulla percezione del “nero”

come evento culturale di difficile estirpazione. È, infatti, un tema cruciale per gettar luce

sulle stesse modalità che vengono proposte per combattere il fenomeno.

Un’ulteriore obiezione avanzata da alcuni interlocutori si riferisce, al di là della capacità

intrinseca di questi strumenti di risolvere il problema del sommerso, all’opportunità di

applicare nell’attuale contingenza misure incentivanti di carattere fiscale:

“Al di là dell’efficacia della proposta in ordine alla lotta al lavoro sommerso occor-re dire che nell’attuale congiuntura (calo delle entrate pari al 2,4%) risulta impos-sibile l’applicazione di un credito d’imposta”…

E un altro:

“Credo sia sufficiente ricordare che il credito d’imposta per le assunzioni, applica-bile anche al part-time, è stato troncato a metà del triennio previsto per mancanza di fondi”…

C’è, infine, chi sostiene che non servono incentivi di alcun tipo poiché esistono già

strumenti contrattuali flessibili, solo che gli imprenditori preferiscono agire fuori dal

controllo:

“Si tratta semplicemente di applicare gli istituti contrattuali esistenti, ma il pro-blema è che gli imprenditori non li applicano perché non hanno interesse a far emergere il sommerso, o meglio, perché hanno interesse, quando possono, a lavo-rare in nero”.

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Nel complesso, quindi, le opinioni oscillano tra una generica approvazione degli incentivi

fiscali e specifiche perplessità intorno alla contropartita prevista, vale a dire l’applicazio-

ne del part-time verticale. Le critiche all’utilizzo di strumenti contrattuali percepiti come

troppo rigidi è il punto cruciale che mette d’accordo la grande maggioranza degli intervi-

stati. Lo sfondo dell’obiezione è l’eccessivo carico fiscale che giustifica sia la critica agli

“interventi tampone” sia il dubbio (come vedremo nelle conclusioni) che il nero sia un fe-

nomeno inestirpabile.

Veniamo alla seconda domanda:

2. Per problemi di irregolarità parziali quali lo straordinario fuori busta nel settore privato, lei pensa che misure quali la defiscalizzazione8 dello stesso possano con-tribuire all’emersione? Inoltre, ritiene che se avvenisse l’emersione del fuori busta ciò comporterebbe l’emersione della sotto fatturazione corrispondente con un con-seguente maggior gettito d’entrate per lo Stato?

I pareri raccolti sono risultati organizzati attorno a due posizioni egemoni con, al loro in-

terno, alcune parziali differenziazioni. Le due posizioni sono essenzialmente le seguenti:

la prima (maggioritaria) sostiene che le azioni di defiscalizzazione e di decontribuzione

sortirebbero effetti positivi; la seconda sostiene che, in linea di principio, la misura è

condivisibile ma il problema è rappresentato dai lavoratori che non sono affatto interes-

sati a collocare in busta i compensi derivanti da prestazioni straordinarie, così che la

proposta viene a perdere di appeal.

Vediamo alcuni stralci delle due posizioni. Per la prima:

“Si, credo che agire su queste due leve (contributi e fisco) possa sortire degli ef-fetti, anche se la riduzione deve essere sostanziale altrimenti non li fa nessuno gli straordinari, almeno non li farebbe un operaio specializzato”.

Oppure:

“Va bene il concetto del conflitto di interessi anche perché non vedo chi possa es-sere interessato a fare degli straordinari per lasciarci giù il 50%. Sia la defiscaliz-zazione che la decontribuzione devono essere consistenti”.

Altri sostengono la bontà della misura indicando il suo fondamento nel rapporto co-

sti/benefici:

8. Per defiscalizzazione si intende una riduzione dell’aliquota fiscale e non la sua completa eliminazione. Inoltre nel corso delle interviste veniva proposto agli intervistati di valutare l’ipotesi di una riduzione della quota contributiva a carico dell’impresa.

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“Defiscalizzazione e decontribuzione parziali sono strumenti idonei per quanto ri-guarda il nero parziale. Oggi, con un costo del lavoro elevato e con oneri fiscali e contributivi che pesano enormemente, é chiaro che si rischia volentieri, direi quasi che è necessario rischiare. Ma se mi si dice che su quell’ora di straordinario pago il 10% di Irpef allora il rischio non è più proporzionale al costo della regolarizza-zione”.

Vediamo ora alcuni pareri per la seconda posizione:

“A mio avviso non serve incentivare l’azienda con la decontribuzione perché il vero problema sono i lavoratori. Sono loro a non volere il pagamento in chiaro perché é molto penalizzante. Le imprese sarebbero felici di poter scaricare il costo del la-voro”.

E ancora:

“Il fuori busta è dovuto al fatto che il lavoratore non vuole fare straordinari pa-gandoci sopra le tasse. Non è il datore di lavoro il problema”.

“In un sistema di piena occupazione il potere del lavoratore è quasi pari a quello del datore di lavoro…quindi il nero non è certo un’imposizione del datore di lavoro…”

“Le imprese sono già soddisfatte della possibilità di poter utilizzare lo straordina-rio e lo sarebbero ancor di più se potessero scaricare il costo relativo. Il problema è il lavoratore, è lui che non ha interesse a farlo emergere…”

“…Il problema è sempre lo stesso: perché il lavoratore dovrebbe volere in busta ciò che riesce a percepire in nero?…”

Le altre posizioni si costituiscono o come radicalizzazione delle prime due (ad esempio:

“Bisogna defiscalizzare lo straordinario e non cumularlo con il rimanente reddito”), o come

dubbi intorno ai rischi di varia natura potrebbero insorgere, rischi che vanno dallo

sfruttamento dei lavoratori all’inefficacia stessa della misura:

“Questa misura potrebbe generare episodi di sfruttamento dei lavoratori interes-sati, nei confronti dei quali i rischi di infortunio sul lavoro sarebbero notevolmente accresciuti”.

“Misure di questo tipo potrebbero stimolare parte degli imprenditori a dichiarare gli straordinari anche se poi si pone il problema dell’aumento del costo della ma-nodopera presente in bilancio e quindi di un’Irap superiore. Bisogna stare attenti a non dare con una mano e a togliere con l’altra”.

Infine segnaliamo un’ultima posizione che, pur non raccogliendo molti favori, non si

presenta del tutto isolata, posizione che esprime un no secco alla proposta:

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“I contratti esistenti prevedono che l’imprenditore possa utilizzare un monte ore di straordinario, quindi si tratta solo di applicare i contratti esistenti…il punto è che già oggi le forme di pagamento in nero dello straordinario o altro sono diffuse e sono uno strumento in mano solo alle imprese che non vogliono emergere…”

Entrambe le posizioni dominanti descritte in apertura di paragrafo sono comunque ac-

comunate dalla persuasione che la defiscalizzazione dovrebbe essere consistente per

avere una qualche forza. Ciò pone il problema del senso economico della proposta poi-

ché i vantaggi, in termini di maggior gettito fiscale per lo Stato, rischiano di venir an-

nullati da aliquote fiscali eccessivamente contenute.

Infine segnaliamo le opinioni intorno all’ultima parte della domanda, quella relativa al-

l’eventuale emersione della sottofatturazione corrispondente.

Per la maggioranza degli intervistati l’eventuale emersione dello straordinario fuori bu-

sta non comporterebbe un’emersione della corrispondente sottofatturazione. Per una

minoranza degli intervistati, invece, emergerebbe solo una quota percentuale del fuori-

busta emerso. Infine, un’ultima posizione (minoritaria) sostiene che emergerebbe in toto

la corrispondente sottofatturazione.

Sostanzialmente, su quest’ultimo aspetto, sono piuttosto concordi le opinioni di fondo,

che consistono nel separare i problemi del fuoribusta da quelli della sottofatturazione,

come sostiene questo interlocutore:

“…l’emersione del fuori busta nulla toglie e nulla aggiunge all’altro fattore fiscal-mente patologico della sottofatturazione, in quanto la medesima incrocia opera-zioni specificamente rilevanti ai fini del pagamento Iva”.

Veniamo alla terza domanda del questionario. La domanda era la seguente:

3. Pensa possa essere una misura efficace l’ampliamento del forfait per gli oneri fiscali dei piccolissimi (orientativamente 20-25.000 € di fatturato)?

Gli intervistati si sono autocollocati in tre gruppi:

a. chi è favorevole senza esitazioni (“Andrebbe fatto e basta. Costa di più occu-parsene”)

b. chi è favorevole purché si accompagni la misura con semplificazioni procedu-rali relative ai diversi adempimenti delle imprese (“Deve unirsi il regime forfetario alle semplificazioni di carattere procedurale. Le due cose devono andare insieme”)

c. chi è decisamente in disaccordo, poiché si creerebbe una sorta di zona franca sopra la quale si evaderebbe comunque (“Assolutamente no. Andrebbe a finire che

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chi supera tale fatturato si terrebbe formalmente nei limiti della “no tax area” ed evaderebbe per il resto”).

Nel complesso però questa non è stata una proposto che abbia riscosso particolare in-

teresse, perché ritenuta poco congruente ai fini del problema emersione. Si è ritenuto

che, per un verso o per un altro, occuparsi di soggetti economici di così scarso rilievo

non meritasse eccessiva attenzione.

Veniamo alla quarta domanda:

4. Pensa che l’esenzione dell’Irap per un tempo determinato, collegata all’occu-pazione addizionale, sia uno strumento che favorirebbe l’emersione del lavoro irregolare?

I pareri sono risultati sostanzialmente negativi e per varie ragioni che proviamo a rias-

sumere:

1. È solo uno dei tanti centri di costo

2. Rischia di compromettere gli equilibri territoriali in ordine alle risorse disponibili

3. È troppo poco un’esenzione del 4,25%

4. Non ha senso una misura limitata nel tempo

Trasversali a queste risposte negative vi è una diffusa repulsione per quest’imposta che

“tassa gli investimenti o, peggio ancora, le perdite”, ragion per cui per molti è un’impo-

sta che andrebbe abrogata e basta:

“L’Irap andrebbe abolita e basta. È una tassa odiosa, percepita come un ulteriore centro di costo che penalizza soprattutto i più piccoli. Il fatto che la si debba paga-re per la manodopera e per gli oneri finanziari la rende non solo odiosa ma incom-prensibile. Io credo che il fatto di toglierla verrebbe percepito come un gesto dovuto e non produrrebbe alcunché”.

Anche in questo caso tornano comunque le perplessità legate alla limitatezza nel tempo

della misura. Tali critiche sono irrobustite dal fatto che l’incentivo è legato ad un’assun-

zione a tempo indeterminato:

“…Va peraltro sottolineato che le agevolazioni a tempo determinato, una volta chiuso il periodo agevolato, costringono i beneficiari ad affrontare la normalità e, visto lo scarsissimo successo di provvedimenti di questo tipo, ciò non sembra inte-ressare”.

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Altre perplessità emerse sono relative al senso che si vuole attribuire al concetto di oc-

cupazione addizionale:

“Può andar bene, a patto che si definisca che cos’è occupazione addizionale. In Veneto l’occupazione media delle imprese edili, ad esempio, è di 2,3 addetti per impresa. Aumentare anche di una sola unità significherebbe un aumento del 30%, il che è troppo. Bisognerebbe pensare ad un numero addizionale di ore allora, for-se, qualche incentivo lo rappresenterebbe”.

“…con l’avvertenza che non si deve considerare come occupazione addizionale solo una persona a tempo indeterminato…”

Vi è, comunque, anche qualche parere positivo:

“Si, sono favorevole. Bisogna dare il segnale che se assumi (o fai emergere chi la-vorava in nero) sei premiato”.

“Si, va fatto. Oggi più assumo e più Irap devo pagare; se si cominciasse a incenti-vare le assunzioni è chiaro che si riuscirebbe anche a far emergere una certa quantità di nero”.

La domanda sull’Irap ha fatto emergere una grande distinzione di fondo riguardante le

norme premiali da un lato e le norme punitive dall’altro. Fondamentalmente gli intervi-

stati si dividono tra quanti preferiscono gli incentivi che premiano un comportamento

positivo e quanti sono favorevoli ad incentivi indiscriminati, non posti in relazione ad al-

cun comportamento attivo. In sostanza i primi dicono: “diamo denaro a chi adotta certi

comportamenti”, mentre i secondi dicono: “se diamo denaro, incentivi a tutti preveniamo

l’insorgere di determinati comportamenti”. La questione Irap ha messo d’accordo gran

parte dei due schieramenti poiché, concependo tutti tale imposta come una punizione

ingiustificata, non si scorge, abolendola, né la possibilità di premiare né la possibilità di

far sorgere comportamenti positivi. Quindi la posizione di fondo può essere così definita:

se non si eliminano imposte come l’Irap non si creano le condizioni sufficienti e necessa-

rie per il manifestarsi di comportamenti efficaci in relazione alla lotta al sommerso.

Veniamo all’ultima domanda di questa sezione:

5. Ritiene che misure ad hoc quali la possibilità per il consumatore finale di por-tare l’Iva in detrazione possono indurre l’emersione in settori ad alto rischio di ir-regolarità?9

9. Nella domanda presente nel questionario somministrato si faceva riferimento a palestre, condomini, animazione etc. assunti come esempi di servizi alle persone e alle famiglie.

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Questa è in assoluto, indipendentemente dalle misure contemplate, la proposta che ha

ottenuto il più vasto consenso tra tutte quelle somministrate. Il consenso è indirizzato

sia alla misura in sé sia, e forse soprattutto, al concetto che la sottende: la creazione di

un conflitto di interessi tra che vende e chi acquista. Questo aspetto conflittuale è stato

proposto da molti intervistati anche per altre tipologie di misure presenti nel questiona-

rio, tanto che può essere assunto a paradigma operativo per la lotta al sommerso.

Nel concreto le risposte vedono una sensibile preponderanza di quanti sono senza con-

dizioni favorevoli alla misura:

“Questa sarebbe una misura assolutamente positiva…Bisogna mettere in contra-sto gli interessi di che vende e di chi compra. Un’Iva agevolata più la detrazione fiscale per il consumatore finale che deve lasciar traccia dell’operazione… allarga-re il panel dei beni e dei servizi detraibili…”

“Assolutamente favorevole. Bisogna allargare il novero dei beni e servizi detraibili nella misura maggiore consentita dagli equilibri economici generali. Questo è uno dei modi più efficaci per far emergere il sommerso”.

Un altro gruppo di favorevoli alla proposta ritiene che consentire la detrazione solamen-

te dell’Iva sarebbe troppo poco e che bisognerebbe, in aggiunta, considerare detraibile

anche una parte del costo del bene/servizio:

“È la più efficace delle cinque proposte inerenti misure di carattere fiscale, anche se la sola detraibilità dell’Iva potrebbe non essere sufficiente per indurre i consu-matori a chiedere l’emissione di una fattura…Si dovrebbe arrivare ad una, sia pur parziale, detraibilità del costo sostenuto dal consumatore”.

C’è, infine, chi sostiene che la proposta non avrebbe effetto poiché:

“Il cittadino non si mette ad accumular carte, meglio uno sconto subito che una detrazione domani”.

Commento alle risposte ottenute circa le misure di carattere fiscale proposte

Le principali indicazioni emerse in questo primo blocco tematico possono essere così

riassunte:

la pressione fiscale è troppo elevata; questo, oltre ad essere un problema di per sé,

rende insufficienti manovre isolate e determinate nel tempo, rischiando, inoltre, di

vanificarne l’effetto;

la platea degli interlocutori si divide su due modalità d’approccio alle misure di

incentivo fiscale: c’è chi sostiene che bisogna fornire incentivi per ottenere compor-

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tamenti positivi dal punto di vista dell’emersione e chi sostiene, invece, che bisogna

premiare solo chi produce comportamenti positivi dal punto di vista del contrasto al

sommerso;

in una congiuntura economica come l’attuale non si può pensare di recuperare de-

naro per incentivare comportamenti efficienti per la lotta al sommerso. L’attenzione,

quindi, va posta sulla natura flessibile degli strumenti contrattuali, la rigidità dei

quali, come vedremo meglio nel prossimo paragrafo, è responsabile, secondo la

grande maggioranza degli intervistati, del ricorso al sommerso e, in generale, di un

ritardo di competitività del nostro Paese. Il fenomeno del sommerso viene legato ad

una difesa che l’imprenditore opera in due direzioni: l’elevata pressione fiscale e la

rigidità delle forme contrattuali esistenti. L’esplosione delle forme para-subordinate

nei rapporti di lavoro così come il successo delle agenzie interinali vengono spiegati

da più parti come tentativi di emersione.

Analizzando il ventaglio delle risposte fornite a questo primo blocco tematico è possibile

scorgere alcune sottostanti ipotesi di fondo alla varietà delle posizioni emerse. L’occulta-

mento delle attività economiche ai fini fiscali e previdenziali può germogliare su due ter-

reni diversi: può generarsi in situazioni di strutturale debolezza dell’economia e delle ini-

ziative imprenditoriali oppure in contesti di successo economico diffuso, con forte voca-

zione imprenditoriale e rilevante valorizzazione del lavoro. Il Veneto attuale rientra,

prevalentemente, nella seconda tipologia. Ciò implica che, dato che da queste parti il la-

voro è un valore, allora esso sarà comunque un valore, indipendentemente dalle forme in

cui si manifesta. “Lavorare in nero” non è, quindi, percepito come un immediato disva-

lore poiché priva la comunità di risorse fondamentali, ma è o un tentativo di appro-

priarsi di un maggior valore aggiunto10 o una difesa contro chi (istituzioni, apparati bu-

rocratici e quant’altro) questa preminenza assoluta del lavoro non la riconosce e, anzi,

ne rallenta l’incedere. Per poter esplicare pienamente la “vocazione al lavoro e all’intra-

presa” (e qui intendiamo il lavoro in quanto tale, indipendentemente dalle forme in cui si

esercita) non bisogna essere ostacolati. Ecco, quindi, che al primo posto della gra-

duatoria delle attese si colloca la flessibilità degli strumenti a disposizione. Tanto è forte

questa propensione alla flessibilità che si arriva a considerare come inutili gli incentivi

fiscali laddove non sono accompagnati da adeguatamente elastici strumenti operativi.

10. Tale tentativo è legittimato dal fatto che comunque si tratta del “mio” lavoro, del frutto dei “miei” sacri-fici. Tale legittimazione discende quindi da un’attribuzione di valore assoluta (e individualista) al lavoro.

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Qui arriviamo al secondo passaggio. Contrastare il sommerso richiede, nell’analisi dei

nostri interlocutori, interventi strutturali che riescano a permeare la cultura diffusa, la

mentalità e le coscienze, ad avere una forza d’urto all’altezza del problema che si deve

affrontare, anzi, all’altezza della profondità in cui il problema del sommerso si colloca.

Quindi gli interventi una tantum non servono a nulla, e non servono a nulla perché oc-

corrono azioni forti e permanenti in grado di incidere profondamente sulla coscienza de-

gli attori. Ben vengano, dunque, gli incentivi ma, da soli, servono a poco. Ciò che si re-

clama a gran voce è una cospicua riduzione della pressione fiscale, non tanto nelle for-

me di incentivo (tipo sgravio più o meno contingente e parziale), quanto come ridefinizio-

ne del “terreno di gioco”, con un sostanziale abbassamento degli “ostacoli strutturali” al

dispiegamento dell’iniziativa imprenditoriale e della valorizzazione del lavoro.

Lo stesso privilegio accordato, in tono quasi unanime, alla creazione di un sistematico

conflitto di interessi tra venditori e acquirenti si lega direttamente alla consapevolezza del-

l’altrimenti inevitabile fenomeno del sommerso. Prendendo atto che la possibilità tecnica

di operare in nero esiste e non incontra scrupoli né da parte di chi compra né da parte di

chi vende, allora occorre rendere difficile il realizzarsi di tale possibilità attraverso, appun-

to, un forte conflitto di interessi tra venditori e acquirenti. In sostanza si individua nella

creazione di una “barriera” posta a protezione della regolarità dell’operare una via alla co-

struzione di condizioni strutturali che rendano più difficile il ricorso al sommerso e, su

questa base, consentano di modificare la stessa consapevolezza del fenomeno.

6.3.2 Misure di carattere organizzativo/repressivo

Controllare e reprimere è il secondo versante concettuale del questionario, nel senso che

per organizzazione si intendeva, essenzialmente, il riassetto delle pratiche e dei proto-

colli di verifica inerenti l’operatività delle imprese. La parte più consistente di questo

riordino delle procedure di controllo interessa le commesse pubbliche, anche se non si è

omesso, in sede di intervista, di verificare le opinioni degli intervistati sull’efficacia e il

senso del controllo nel più ampio scenario dell’economia includendo, quindi, anche le

relazioni tra imprese private.

La prima domanda verteva sull’opportunità di procedere con controlli unificati per

l’edilizia su commessa pubblica. Per controlli unificati si intende l’accorpamento in un

unico momento ispettivo di più funzioni. La domanda presentava anche la possibilità di

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essere intesa in altro modo, vale a dire la compresenza di più funzionari con diverse

funzioni ispettive.11 Precisando il primo senso agli intervistati si è lasciata però la

possibilità anche di discutere la seconda opzione.

Il testo della domanda era il seguente:

6. Cosa ne pensa circa l’utilità di procedere ad un controllo unificato (Inps, Inail e Cassa Edile) per l’edilizia su commessa pubblica?

Le risposte si ripartiscono in tre gruppi principali di equivalente dimensione.

Un primo gruppo sostiene l’improponibilità della misura attribuendola ad un’inabilità

organizzativa di chi i controlli li dovrebbe effettuare e ad una sostanziale inutilità dei

controlli se non si rimuovono le cause di fondo.

“Inutile. Nelle tre banche dati ci sono i regolari…chi fa denuncia di un nuovo la-voro è in regola nella grande maggioranza dei casi…nemmeno un incrocio dei dati produrrebbe dei risultati”.

“I controlli sono utili ma non sufficienti. Credo di più ad operazioni strutturali che vadano alla radice del problema. Bisogna creare le condizioni per cui si può tran-quillamente operare in chiaro e poi controllare. Controllare, in situazioni come que-ste, potrebbe essere anche controproducente”.

Un secondo gruppo sostiene, invece, la necessità di controlli unificati con più persone

che effettuano un’unica ispezione:

“(Gli Enti di controllo) dovrebbero lavorare insieme, fare la stessa cosa. Non si può lesinare sugli ispettori…”

“Non solo è utile ma è necessario e ineludibile porre in essere il controllo unificato per l’edilizia su commessa pubblica…bisogna però dire che le “incomprensioni” tra Inps e Inail sono ancora robuste e c’è un bel lavoro da fare sotto il profilo politico”.

Un terzo gruppo è favorevole al controllo unificato e alla creazione di uno sportello unico:

“…unificare le procedure in modo che se io apro una posizione Inps il dato venga trasmesso all’Inail e alla Cassa Edile. Se il problema è tecnicamente risolvibile a monte perché portarci a valle con la rete dei controlli?”

Segnaliamo, infine, un’ultima posizione relativa a dei dubbi sull’opportunità di confon-

dere un momento istituzionale come l’Inps con un ente privatistico come la Cassa Edile:

11. In sostanza nel primo caso si intende l’effettuazione di un’unica ispezione per più funzioni, nel secondo caso si intende l’effettuazione di più ispezioni per più funzioni. In entrambi i casi le ispezioni si inten-dono svolte nello stesso momento temporale.

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“Qualsiasi unificazione delle procedure va bene, ma mettere insieme Cassa Edile, Inps e Inail significa snaturare il senso privatistico della prima”.

“Esprimo perplessità circa l’ipotesi di attribuire alla Cassa Edile (con il rischio che qualcuno trasli il concetto sugli enti bilaterali) compiti ispettivi”.

La seconda domanda di questo blocco non contemplava una misura specifica per la

lotta al sommerso, bensì richiedeva un’opinione circa l’utilità degli studi di settore per la

lotta al sommerso. Il testo era il seguente:

7. A suo avviso gli studi di settore sono uno strumento utile per l’individuazione del sommerso?

La stragrande maggioranza degli intervistati considera gli Studi di Settore uno strumen-

to efficace per l’individuazione e la lotta al sommerso. Se a questo primo gruppo associa-

mo un secondo gruppo di “scettici” che pur esprime un parere positivo sebbene con

alcune riserve, abbiamo compreso circa il 90% degli intervistati. Resta fuori una piccola

parte che esprime un parere decisamente negativo. Vediamo alcune risposte rappresen-

tative delle tre posizioni menzionate.

“Tra i nostri iscritti, all’inizio del varo degli studi di settore, molti si rifiutavano di considerare i parametri, non li ritenevano una cosa importante. Ora constatiamo che sono pochi quelli che li ignorano. Evidentemente hanno contribuito a diffonde-re una cultura della legalità”.

Uno degli aspetti più citati è relativo ad una sorta di “stimolo psicologico alla legalità”, in

quanto il livello di congruità funziona da deterrente:

“È fuori discussione la loro validità, anche e soprattutto dal punto di vista psicolo-gico. La leva degli studi di settore sul medio lungo periodo sarà enorme”.

Le difficoltà legate al contenzioso e il fatto che siano strumenti non ben tarati introduce

le ragioni del gruppo degli “scettici”:

“Non ci credo molto. Un sistema di questo tipo è in equilibrio se non produce troppe strozzature nel sistema, se non crea troppi contenziosi”.

“È uno strumento utile ma mal tarato, rozzo…C’è chi paga per colpe che non ha e chi guadagna approfittando di un impreciso livello di congruità”.

L’ultimo gruppo, quello che non si trova d’accordo con l’impianto degli studi, è ben

esemplificato da questa posizione:

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“È tutto sbagliato. Proprio da un punto di vista della metodologia statistica. Ab-biamo interpellato oltre 25 docenti di statistica di varie Università e tutti hanno espresso parere concorde con le nostre critiche alla metodologia. Cristallizzano il reddito andando contro il principio di progressione dello stesso.”

Veniamo alla terza domanda. Il testo era il seguente:

8. Pensa che, in generale, l’unificazione e la semplificazione delle procedure per gli adempimenti delle imprese possano essere azioni che, per via indiretta, favori-scono l’emersione?

Accanto alla proposta sulla detraibilità dell’Iva, questa è la proposta che ha fatto regi-

strare il maggior grado di consensi. Tre sono comunque le posizioni:

a. una piccola minoranza non vede relazioni tra complessità burocratiche negli adem-

pimenti delle imprese e sommerso e sostiene che, anche se si arrivasse ad una semplifi-

cazione delle procedure, le imprese sarebbero comunque costrette a farsi assistere e

quindi la situazione non cambierebbe;

“No. Le piccole imprese devono comunque farsi assistere, anche per un semplice problema di computo. Ciò significa che tutto si traduce in un costo e il problema, alla fine, è sempre lo stesso: l’eccessiva pressione fiscale”.

b. passando sul versante di chi scorge una relazione tra sommerso e complessità delle

procedure troviamo un primo sottogruppo, minoritario, che sostiene:

“È chiaro che la semplificazione è la” conditio sine qua non” per poter iniziare a trattare il problema dell’irregolarità. Direi che non ha nemmeno senso chiedersi se la semplificazione può aiutare l’emersione poiché essa è la premessa necessaria per qualsiasi misura contro il sommerso”.

c. infine, il parere della grande maggioranza degli interpellati è che c’è un forte legame

tra sommerso e complessità delle procedure. All’interno di questo schieramento vi sono

posizioni divergenti, ad esempio, sulla quantità di sommerso che verrebbe trainato alla

luce, oppure su alcuni rischi che la semplificazione può produrre, come afferma questo

interlocutore:

“Sono d’accordo con un’unica avvertenza: non si devono omettere parti documen-tali che potrebbero sottrarre alla P.A. informazioni preziose. Vale a dire che la semplificazione non deve essere una sottrazione”.

Relativamente all’unificazione delle procedure il consenso è, se possibile, ancora più

ampio.

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“Un unico adempimento per Inps e Inail renderebbe immediatamente riscontrabili eventuali incongruenze. Un unico imponibile per imprese nazionali, regionali e co-munali permetterebbe un tax planning anche ad imprenditori piccoli e meno esper-ti. La pletora di agevolazioni, anche con meccanismi particolarmente complessi, danneggia soprattutto il piccolo imprenditore spingendolo all’evasione perché non riesce ad approfittare, come il grande, delle agevolazioni”.

Qui si presenta una lettura piuttosto condivisa dagli intervistati e che suona così: una

grande impresa non teme molto la complessità procedurale a cui deve sottostare anche

se, beninteso, non disprezzerebbe una semplificazione radicale. Quindi una grande im-

presa è più sensibile ad agevolazioni ed incentivi di natura economica, soprattutto se ta-

li agevolazioni si collocano all’interno di una generale complessità del sistema e all’inter-

no di tale complessità vanno reperite. Le piccole imprese, di converso, molte volte non

riescono ad usufruire delle agevolazioni proprio perché queste si nascondono nei mean-

dri delle leggi e dei regolamenti attuativi delle varie norme, ragion per cui le piccole im-

prese sono più sensibili a drastiche semplificazioni delle procedure. Qualcuno è arrivato

a proporre una sorta di esenzione totale, fiscale e procedurale, per la fase di start up, in

modo da consentire un ingresso graduale nelle regole del gioco.

La quarta domanda recitava così:

9. Crede che una riforma del contatore Inail che faccia gravare molto sulle imprese i costi dei c.d. “incidenti del primo o secondo giorno” possa essere un’efficace mi-sura contro il lavoro irregolare?

Su questo tema registriamo posizioni variegate sia dal punto di vista della diagnosi del

fenomeno sia per quanto riguarda le soluzioni possibili.

La maggioranza, anche se non schiacciante, sostiene che il c.d. picco dei primi due

giorni è dovuto ad incuria del lavoratore e del datore di lavoro e, quindi, che il problema

va legato alla sicurezza sul lavoro, alla formazione che se non effettuata espone il neo-

assunto a rischi elevati nei primi giorni di lavoro. Il picco, secondo questa diagnosi, è

dovuto in gran parte agli incidenti in itinere.

“Gli incidenti del primo e secondo giorno sono dovuti ad incuria del lavoratore, nel senso che si tratta di omissione di procedure di sicurezza. Proposta: chi mostra di ottemperare alle disposizioni della 626 venga sgravato di determinati costi”.

“Escluderei una qualsiasi riforma del contatore Inail, mentre suggerirei di dare una seria forza operativa alla collaborazione tra Inail e Organismo bilaterale na-zionale costituito da Cgil, Cils, Uil e Confindustria. Da tale collaborazione dovreb-

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bero scaturire finanziamenti agevolati a quelle imprese che si impegnano a soste-nere i costi per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”.

Abbiamo poi la posizione di chi sostiene che il fenomeno del picco nasconde un som-

merso e che la riforma proposta del contatore è corretta.

“Si, credo sia corretto. È una sorta di responsabilità oggettiva del cui costo le aziende devono assumersi il carico”.

Un altro gruppo, sostanzialmente simile per consistenza al precedente, condivide

l’opinione che il picco nasconda sommerso ma non è d’accordo con la contromisura per-

ché finirebbe con il danneggiare anche le imprese serie, dove l’incidente del primo giorno

è veramente un incidente del primo giorno.

“Un maggior costo posto a carico di chi si comporta scorrettamente può senz’altro costituire un deterrente all’intempestiva regolarizzazione di un lavoratore da parte dell’impresa. Tuttavia in questo modo si può colpire anche chi si comporta regolar-mente e questo non va assolutamente bene (anche se gli interessati fossero pochi) perché indurrebbe a ritenere tale provvedimento ingiusto e quindi da contrastare”.

Una posizione diversa da chi sostiene che i primi giorni ci si fa male per mancato rispet-

to delle procedure, anche se in parte assimilabile, è quella di chi afferma che il problema

è strutturale, che ci si fa male di più i primi giorni come ci si fa male di più il lunedì o al

rientro dalle ferie.

“Nei primi giorni il rischio è certamente maggiore. Il picco tra il primo e il secondo giorno è strutturale e far pagare alle imprese questa strutturalità non verrebbe capito”.

Segnaliamo, infine, la proposta di un intervistato che si muove nella logica del concetto

assicurativo che ispira la domanda, con una sostanziale differenza:

“La strada da perseguire è quella della riduzione dei premi per le imprese che hanno un più basso tasso di infortuni secondo la logica del bonus malus. Il conta-tore Inail va invece riformato nel senso di attenuare gli oneri amministrativi per le imprese”.

Veniamo alla quinta domanda. Il testo era il seguente:

10. Che ne pensa dell’istituzione di una procedura di dichiarazione di regolarità dell’occupazione da parte delle imprese, strumento che darebbe diritto ad un pun-teggio nelle graduatorie POR e che sarebbe contestabile da parte delle imprese concorrenti?

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Questa dell’autocertificazione è una proposta controversa, in particolar modo per quel

che concerne il controllo reciproco sul territorio da parte delle imprese. Il fronte dei favo-

revoli è preponderante ma la differenziazione delle posizioni al suo interno è piuttosto

ampia. Da un lato si sostiene che esiste già tutta una serie di dichiarazioni per chi par-

tecipa a gare d’appalto, dall’altro si afferma che, comunque, l’autocertificazione espone

l’azienda ad una “notorietà” e ciò può produrre degli effetti positivi.

Ciò che emerge come sfondo problematico della questione è la modalità con cui viene

gestito il subappalto. Da due interlocutori viene segnalato il problema delle gare pubbli-

che al ribasso.

Vediamo di illustrare, attraverso alcune dichiarazioni, l’oscillazione delle opinioni.

“Sono favorevole. Autocertificare e poi punire chi afferma il falso. Credo anche nel controllo del territorio. Il mercato è come una guerra e bisogna dotarsi di strumenti all’altezza e anche la vigilanza degli attori coinvolti è una buona arma: chi ha più interesse di me, impresa, a controllare l’operato delle altre, perché non mi facciano concorrenza sleale?”.

“Sono d’accordo. È una scelta obbligata, anche se non so quanto possa essere utile. Con il meccanismo dei subappalti e con le gare che si vincono al ribasso si è creato un circolo vizioso che va spezzato. Ritengo che più che una dichiarazione di regolarità dell’occupazione bisogna porre maggior attenzione alla regolarità delle contribuzioni che l’Inps deve accertare e alla congruità dell’offerta per quanto ri-guarda il capitolato del costo del lavoro”.

“L’autocertificazione è una buona via poiché costringe i soggetti ad assumersi pre-cise responsabilità e, quindi, la via per accertare e, eventualmente, punire è più celere. Dopodiché le sanzioni devono essere salate ma affrontabili”.

“Più che un’autocertificazione credo sia necessario un controllo preventivo sull’affi-dabilità dell’impresa, una sorta di certificazione della sua abilità ad operare. Quindi: un sistema di certificazioni rilasciato da un organismo terzo e una certa dotazione di competenze che oggi non c’è”.

“Ci sono diversi ordini di problemi. Da un lato il fenomeno degli appalti non è molto controllabile e non lo è perché non esiste una disciplina efficace al proposito. Biso-gnerebbe far in modo che chi vince un appalto debba sviluppare una percentuale elevata dei lavori in oggetto. Quindi possono anche andar bene certificazioni e auto-certificazioni ma a patto che le responsabilità facciano capo ad un unico soggetto”.

“Sono cose che servono a poco. Bisogna controllare con altri strumenti. Io dichiaro di essere in regola e poi aspetto che qualcuno contesti la mia dichiarazione? Non ci credo…se persino gli enti pubblici fanno così! E in calce al contratto c’è scritto chiaro e tondo: dichiaro di essere in regola…Gli stessi enti pubblici sono i primi a

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costringerti indirettamente al nero con la regola del massimo ribasso. Bisogna pri-ma permettere alle aziende di lavorare con margini accettabili e dopo controllare”.

L’ultima domanda di questa sezione tematica, sempre relativa alla questione delle gare

d’appalto, proponeva l’istituzione di una certificazione contributiva rilasciata dall’Inps:

11. Ritiene che una puntuale applicazione della 327/2000 sui costi del lavoro e la sicurezza nelle gare d’appalto possa essere un utile strumento contro il lavoro ir-regolare? Nella stessa ottica ritiene che l’introduzione di una certificazione contri-butiva per i vincitori di una gara d’appalto sortirebbe effetti positivi dal punto di vista dell’emersione?

Anche con questa domanda si ripropongono i temi e le questioni esaminate nella prece-

dente. La puntuale applicazione della l. 327/2000 trova ampi consensi. L’unica preoc-

cupazione è in ordine al rischio di un eccessivo carico burocratico da espletare, preoccu-

pazione che si estende anche alla certificazione Inps, considerata di difficile ottenimento.

Non mancano le proposte.

“La seria applicazione della l. 327/2000 è senza dubbio uno strumento efficacis-simo contro il lavoro irregolare, tanto efficace che la puntuale applicazione della stessa renderebbe inutile la previsione di una certificazione contributiva per il vin-citore di una gara d’appalto”.

“Il rilascio di una certificazione contributiva dovrebbe essere un pezzo di una di-chiarazione di abilità ad operare più ampia. L’applicazione delle tabelle ministe-riali potrebbe essere ovviata da un nulla osta rilasciato a priori da un organismo terzo e da un controllo a cantiere sulla corrispondenza tra le indicazioni presenti sul capitolato e la realtà esistente”.

“Si potrebbe pensare ad una soluzione in due fasi, con un primo grado in cui vale l’autocertificazione, la quale dà accesso a determinati diritti ed una seconda fase che prevede il rilascio di una certificazione esterna che dà diritto ad una più am-pia gamma di agevolazioni”.

“Le tabelle ministeriali relative alla l. 327 sono utili e vanno applicate con rigore. Bisogna stabilire una soglia minima sotto la quale non si scende e individuare al-tri parametri che premino l’impresa, perché la logica del ribasso è la tomba della trasparenza. Le stesse catene di subappalti sono alimentate da questa logica”.

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Commento alle misure di carattere organizzativo/repressivo

Il concetto di repressione è generalmente mal visto, non perché si pensi che non sia giu-

sto di per sé reprimere, ma perché si ritiene che la repressione può colpire, in molti casi,

chi non è regolare per necessità. È per questo motivo che spesso si sostiene che repri-

mere potrebbe essere controproducente e per di più aumenterebbe la distanza tra istitu-

zioni e cittadini/imprese, colpevoli, le prime, di non aver coscienza piena del fenomeno.

Reprimere è concepito come una presa di posizione da parte delle istituzioni che dichia-

rano la loro indisponibilità a considerare le ragioni di chi opera in maniera irregolare.

D’altro canto non a caso anche quanti sostengono la necessità di controllare e reprimere

si affrettano ad aggiungere che la repressione deve essere accompagnata da un’operazio-

ne strutturale e ben comunicata di riorganizzazione del sistema fiscale e delle regole che

sovrintendono al mondo del lavoro.

Un discorso a parte meritano le proposte di lotta all’emersione condotte con lo stru-

mento delle certificazioni. La tesi di partenza è la seguente: per emergere bisogna farsi

vedere; farsi vedere deve essere un’azione autonoma che, una volta prodotta, va pre-

miata con la disponibilità, per l’azienda emersa, di una serie di agevolazioni, di possibi-

lità addizionali. Lo scopo è quello di produrre una differenza marginale tra imprese

emerse, e quindi certificate, e imprese sommerse,12 non certificate.

In definitiva, il tema del controllo ci permette di fare un passo nella direzione di assunti

propositivi in relazione al problema dell’economia sommersa. Controllare significa rile-

vare comportamenti illeciti a vario titolo e sanzionarli. Se questi comportamenti illeciti

non sono condivisi come tali da una popolazione (di imprese, di lavoratori), allora il

controllo sarà ostacolato in tutte le maniere possibili, il che significa che produrre con-

trollo in queste condizioni equivale a produrre sommerso (sommerso = rimedi escogitati

per evitare il controllo). In una cultura dove manca la condivisione di fondo su che cosa

costituisce illecito13 le forme del controllo non si costituiscono in forma chiara e lineare

ma soffrono, invece, di una sorta di bizantinismo che i nostri interlocutori denunciano

in varie forme (complessità procedurale negli adempimenti etc.). Eliminare questa com-

plessità deve andare, quindi, di pari passo con la chiarificazione delle forme e dei metodi

condivisi di operare. In fondo, l’ossessiva ostinazione con cui si indica l’eccessiva pres-

12. È già chiaro che il termine sommerso, in questo contesto, è più ampio di quello normalmente utilizzato in letteratura e nelle precedenti pagine di questo stesso rapporto, venendo a qualificare quelle imprese che non hanno “visibilità certificata”. Tra queste imprese si trovano anche quelle sommerse in senso stretto.

13. E’ chiaro che qui stiamo parlando di un preciso contesto sociologico e non di un complesso di valori.

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sione fiscale come principe degli ostacoli va intesa come necessità di delineare in ma-

niera partecipata il campo di gioco. Abbassare la pressione fiscale significa riscrivere le

regole entro cui, poi, sono possibili pratiche di controllo.

Ciò che da più parti si rimprovera all’amministrazione pubblica è piuttosto di muoversi

come se le regole fossero chiare e condivise, come se l’infrazione rilevata fosse tale agli

occhi di tutti.

Nonostante questo approccio fortemente critico dello status quo non mancano le propo-

ste per uscire dall’impasse, fermo restando che la cosa migliore sarebbe mettere mano

ai problemi di fondo. Si riconosce che operare in circostanze illegali, in particolar modo

in un’economia sviluppata come quella del Nord est d’Italia, è faticoso e costringe a

“sprecare” energie per occultare parti della propria attività: ogni imprenditore che meriti

questo nome vorrebbe occuparsi esclusivamente della crescita della propria impresa

senza dover stare all’erta per sfuggire alla rete dei controlli. A fronte di questo stato di

cose bisogna creare le condizioni per cui chi emerge è nelle condizioni di essere mag-

giormente “premiato”, rendendo remunerativa la visibilità. Il sistema delle certificazioni

dovrebbe assurgere a prospettica sistematica. Ogni azienda dovrebbe ricavare parte del

proprio valore aggiunto dal fatto di essere riconosciuta da un sistema di attribuzione di

abilità ad operare. Ogni azienda dovrebbe poter ricavare prestazioni economiche sup-

pletive da un’esposizione completa agli occhi del mercato. Non è solo il problema,

quindi, di una trasparenza ai controlli, ma di una trasparenza agli occhi interroganti del

consumatore che deve essere chiamato dalla stessa azienda a certificare la bontà del

proprio operare. In sostanza si intravede nell’interesse alla visibilità una delle chiavi per

scoraggiare il ricorso al sommerso. Non tanto quindi punire chi opera in nero ma ren-

dere più remunerativo l’operare in chiaro.

6.3.3 Misure di liberalizzazione/flessibilizzazione

Questo terzo blocco tematico introduce un grappolo di argomenti che, per certi versi,

mostra affinità con il primo blocco tematico. L’affinità va intesa nel senso di una vici-

nanza semantica tra le agevolazioni (fiscali) del primo blocco e le agevolazioni (procedu-

rali e/o contrattuali) di questa sezione.

La prima domanda verteva intorno all’utilizzo dell’istituto contrattuale dell’apprendistato

e, nello specifico, dell’apprendistato dei maggiorenni attivi in settori caratterizzati da la-

voro notturno:

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12. Cosa ne pensa dell’eliminazione del divieto di lavoro notturno per gli appren-disti maggiorenni che operano in settori essenzialmente legati al lavoro notturno (panettieri, ad esempio)? Pensa potrebbe essere utile estendere questa misura agli apprendisti maggiorenni in genere?

Su questo tema registriamo un generale consenso, che va dalla radicale critica ad un

istituto contrattuale che risale, nel suo impianto, al 1955 ad un più moderato consenso

all’eliminazione del divieto accompagnato da proposte di salvaguardia del senso di que-

sto contratto a causa mista.

Un esempio di critica radicale è costituito da questa risposta:

“Si, assolutamente d’accordo. Mi pare ovvio che chi deve lavorare di notte non possa che imparare quando lavorano gli altri suoi colleghi, di notte appunto. Non so neanche come venga in mente una cosa del genere”.

Un altro intervistato, invece, pur mostrandosi d’accordo con l’eliminazione del divieto, si

tiene più cauto circa le finalità dell’apprendistato, esprimendo perplessità circa la possi-

bilità che, comunque, la misura proposta possa aver effetti sull’emersione.

“L’istituto dell’apprendistato ha una sua finalità che va mantenuta, magari ag-giornandone alcuni aspetti. Non credo che una misura come questa farebbe emer-gere il sommerso. Si tratta più che altro di andare incontro alle esigenze di flessibi-lità delle imprese approntando rimedi che non snaturino il senso di alcuni istituti”.

Sulla scia di questa perplessità si pone anche l’unico giudizio negativo sulla misura

proposta:

“No. Le cose stanno bene come stanno. Un apprendista deve apprendere un me-stiere e come fa ad apprenderlo se viene buttato nella mischia? se opera in condi-zioni di rischio? Al limite si preveda un periodo di rodaggio, durante il quale si fanno un paio di notti alla settimana…ma non si può correre il rischio di aumen-tare la pericolosità”.

Veniamo alla seconda domanda di questa sezione il cui testo era il seguente:

13. Cosa ne pensa dell’eliminazione del divieto di cumulo tra pensione e reddito? Ritiene che per rendere più efficace il provvedimento si dovrebbe pensare ad una tassazione separata di redditi e pensioni? Tale misura dovrebbe essere generaliz-zata o limitata ad alcune tipologie di pensione (vecchiaia piuttosto che anzianità)?

Scontato l’ampio grado di consenso intorno alla misura, peraltro oramai recepita, il no-

do della questione non era tanto il divieto di cumulo o la tassazione separata quanto i

dubbi che l’estensione della misura alle pensioni di anzianità rischiasse di compromet-

tere il già fragile equilibrio del sistema pensionistico. Di problema si tratta proprio per-

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ché è nelle pensioni di anzianità che si annida il lavoro non regolare e l’intera misura, se

non pensata per le pensioni di anzianità, perderebbe il suo senso specifico per diventare

una misura economica più generale.

“All’eliminazione del divieto di cumulo rispondiamo di sì. E di sì rispondiamo an-che alla tassazione separata tra redditi da lavoro e redditi da pensione. Sul fatto di estendere l’eliminazione del divieto di cumulo anche alle pensioni di anzianità bisogna stare attenti a che non diventi un incentivo per andare in pensione troppo presto. Saremmo favorevoli ad un’unica aliquota Irpef (12%) per le pensioni”.

“Le pensioni andrebbero tassate come i Bot, il che non porrebbe il problema della tassazione separata. Si deve iniziare da quelle di vecchiaia per non far saltare il sistema e, progressivamente, estendere la misura a quelle di anzianità”.

“Siamo favorevoli al cumulo e alla tassazione separata. La misura deve essere estesa anche alle pensioni di anzianità che sono quelle che nascondono il lavoro nero. Non vediamo rischi per il sistema previdenziale perché continuando a lavo-rare si continuano a versare i contributi. Altra cosa da fare è alzare l’età pensio-nabile”.

Ottimismo, questo, non condiviso da quest’altro interlocutore:

“La gradualità dell’eliminazione del divieto di cumulo tra pensione e reddito costi-tuisce oggi una scelta prudenziale rispetto alle inquietanti condizioni del nostro debito pubblico e agli incerti riflessi sulle clausole di stabilità per l’Euro. Ad ogni modo la misura deve essere realizzata a pieno solo nel momento in cui cesse-ranno le liquidazioni dei trattamenti pensionistici di anzianità.”

C’è, comunque, chi è d’accordo su tutta la linea.

“Assolutamente d’accordo. Bisogna estendere l’eliminazione del divieto di cumulo a tutte le pensioni e porre delle aliquote incentivanti dopo il 35° anno di contributi versati”.

Un’altra posizione rilevante è costituita da quanti sono d’accordo sull’eliminazione del

divieto di cumulo ma non sulla tassazione separata.

“Sicuramente sì al cumulo. Se dopo 35 anni di contributi versati decido di continua-re a lavorare devo poter cumulare i due redditi altrimenti si crea un conflitto che è all’origine del sommerso. Per la tassazione separata non ne vedo la necessità”.

“Va bene la possibilità di cumulo ma non la tassazione separata. Si deve, inoltre, continuare a versare i contributi ed operare poi un ricalcolo della pensione. Ovvio che il provvedimento deve potersi estendere alle pensioni di anzianità. Bisogna, inoltre, stimolare la permanenza al lavoro per coloro che scelgono di farlo introdu-cendo delle agevolazioni per i lavoratori chiamati a svolgere mansioni usuranti”.

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La necessità, per così dire, storico-geografica di questa misura è espressa lucidamente

da questo interlocutore:

“In Veneto il problema non è tanto quello delle imprese irregolari ma di imprese re-golari che utilizzano lavoro irregolare. In un contesto di piena occupazione è chiaro che chi è in pensione a 55 anni continua a lavorare. Quindi sì al cumulo, anche per le pensioni di anzianità, e poi un’aliquota Irpef che non sia eccessivamente penalizzante”.

Vediamo un altro parere che afferma una sorta di pessimismo antropologico circa l’effi-

cacia della misura in relazione al sommerso:

“Eliminare il divieto di cumulo mi pare una misura ovvia, nel senso che non si ve-de la ratio del divieto, ma altra cosa è l’efficacia rispetto alla lotta al sommerso. Il pensionato direbbe: se posso non pagare perché devo pagare anche poco?…È un problema di mentalità…soprattutto da queste parti”.

Chiudiamo con una proposta:

“Penso all’istituzione di un Albo dei lavori a cui si può accedere con forti sconti contributivi per tutti quei lavori di cui committente è la famiglia. In sostanza chi esegue un lavoro viene pagato in ticket con una minima quota contributiva”.

Veniamo alla terza domanda.

14. Lei ritiene che favorire il secondo lavoro in chiaro (anche per il pubblico impie-go) possa essere un incentivo efficace per l’emersione del lavoro irregolare?

Anche su questo tema non vi sono rilevanti obiezioni. Queste ultime si costituiscono al-

l’interno di un sostanziale consenso. Con qualche eccezione.

“Si siamo favorevoli, però si deve ridurre la pressione fiscale altrimenti aumentan-do complessivamente il reddito e lo scaglione di riferimento non diventa più conve-niente dichiarare il secondo lavoro”.

Una delle preoccupazioni espresse risulta dovuta al temuto costituirsi di un conflitto di

interessi tra pubblico e privato, seguita dal rischio che un lavoro vada a scapito dell’altro:

“Il secondo lavoro è fatto a discapito del primo. Se sono un dipendente pubblico devo fare quello e basta. Qui non mi pongo nemmeno il problema di che incidenza avrebbe sul sommerso perché i danni che provocherebbe sarebbero elevatissimi”.

Questo rischio può essere risolto, a parere di molti, dalla stessa struttura produttiva che

si va imponendo anche nel pubblico impiego. In genere dunque i consensi alla misura

sono espliciti e senza riserve.

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“Si, sono d’accordo. Il problema del secondo lavoro che può andare a discapito del primo lo si risolve con i controlli e con un’organizzazione del lavoro che si regga su obiettivi da raggiungere. Il nero dei dipendenti pubblici si elimina con il secondo lavoro in chiaro. Punto e basta”.

La quarta domanda verteva sulla liberalizzazione dei mestieri contingentati.

15. Cosa ne pensa della liberalizzazione delle licenze per i mestieri contingentati?

Il fronte dei favorevoli è assolutamente maggioritario anche se ciò non significa che la

misura sia ritenuta idonea all’emersione del lavoro non regolare. È più che altro un atto

di fiducia nei principi liberisti accompagnati da strutture di controllo a tutela della qua-

lità del servizio offerto.

“Si, l’unica contromisura è un sistema di rilascio delle licenze molto accurato, per il resto si liberalizzi tutto”.

I favorevoli alla liberalizzazione delle licenze che, nel contempo, ritengono questa misura

efficace per la lotta al sommerso, sono una minoranza.

“Abolirei tutte le licenze e gli ordini. Criteri selettivi all’ingresso e quote adeguate alla popolazione. Basta con queste posizioni di rendita che producono, inoltre, ne-ro in abbondanza”.

“Se ci sono dei tassisti che lavorano in nero vuol dire che c’è una domanda che supera l’offerta. Il problema, quindi, è di far combaciare le due cose…In sostanza se si offre meno di ciò che viene chiesto qualcuno lo offrirà in nero”.

C’è tuttavia chi sostiene che la liberalizzazione produrrebbe guasti maggiori.

“Assolutamente contrari. Introdurrebbe troppa concorrenza e il reddito pro capite scenderebbe di molto. A questo punto ci troveremo con diffuse situazioni di nero parziale…”

“È una questione spinosa. È opportuna [la liberalizzazione] per certi mestieri, co-me il barbiere o il tassista ma certe ragioni per il contingentamento dei pubblici esercizi ci sono e a ragione. Ci sono esigenze di tutela della qualità e della redditi-vità di impresa”.

La quinta domanda non era legata direttamente a misure per combattere il sommerso,

ma chiedeva di esprimere un parere sull’utilità indiretta di alcuni strumenti di flessibi-

lità introdotti nel mercato del lavoro.

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16. Pensa che determinati strumenti nati in vista di una flessibilizzazione del mer-cato del lavoro (agenzie interinali etc.) possano indirettamente concorrere all’emer-sione del lavoro irregolare?

Le ragioni addotte a favore delle agenzie interinali sono in gran parte legate alla natura

flessibile dello strumento. Tra i vantaggi elencati dagli intervistati vi è la possibilità di

utilizzare un periodo di prova molto più lungo di quello consentito dai vari contratti di

lavoro esistenti scongiurando quindi il rischio di assumere una persona non sufficien-

temente “testata”. Un secondo vantaggio è costituito dall’esonero relativo alle pratiche

di assunzione.

“Credo che indirettamente le agenzie concorrano a combattere il nero. Io stesso ho assunto una persona attraverso un’agenzia interinale. Senza questo tipo di servi-zio sarei dovuto ricorrere ad un escamotage, dato il breve periodo di tempo del rapporto di lavoro”.

“Si sicuramente per i lavori a termine ha scongiurato in qualche misura il ricorso al nero per la semplice ragione che evita all’imprenditore le procedure eccessive rispetto al contratto posto in essere”.

“È la flessibilità che produce emersione. Le agenzie interinali hanno consentito di “testare” un lavoratore ben oltre i limiti consentiti dai contratti vigenti e questo è un elemento di flessibilità. La controprova di ciò è fornita dall’ampio numero di conversioni a tempo indeterminato delle assunzioni per via interinale. La legge sull’introduzione dell’interinale come la modifica normativa sul parasubordinato sono stati due segnali fortemente innovativi”.

C’è tuttavia, chi, pur apprezzando il ruolo delle agenzie interinali, non ne vede una rela-

zione con la lotta al sommerso.

“Le agenzie interinali hanno favorito e favoriscono l’incontro tra domanda e offerta ma non hanno effetti sul lavoro nero. Chi ricorre alle agenzie è la media e la gran-de impresa, dove non c’è lavoro nero. Lo stesso elevato costo dell’intermediazione rende il ricorso alle agenzie interinali poco conveniente”.

Il fronte dei contrari è largamente minoritario ed esprime così il proprio dissenso:

“Può anche darsi [che le agenzie interinali producano emersione] ma io non sono favorevole all’intermediazione del lavoro. Questi non devono fare collocamento. Quando avranno in mano l’80% del mercato del lavoro vedrà che costi avrà la ma-nodopera…allora sì che il nero diventerà necessario. Le agenzie interinali creeran-no più problemi di quei pochi che hanno risolto”.

L’ultima domanda era la seguente:

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17. Pensa che la liberalizzazione14 delle quote di immigrazione possa concorrere alla limitazione del ricorso al sommerso?

Su questo tema le posizioni sono variegate. La maggioranza degli intervistati è favorevole

all’aumento delle quote anche se le motivazioni sono diverse. In chi si mostra contrario

prevalgono le questioni di ordine pubblico. Non mancano posizioni isolate. Vediamo l’in-

tero spettro delle risposte esemplificato da quelle più significative. Iniziamo con i pareri

negativi.

“Certamente da queste parti il ricorso al nero, anche e soprattutto tra gli extraco-munitari, è elevato. Bisogna però tener presente i problemi di ordine pubblico e l’impatto che una liberalizzazione avrebbe sul tessuto sociale. Io credo che le quo-te vadano mantenute. Semmai bisogna trovare il modo di cercare manodopera nelle regioni italiane dove la disoccupazione è maggiore”.

“Non credo si debbano liberalizzare le quote. I lavoratori extracomunitari, anche se regolarizzati, non sono in una posizione di forza (mancata specializzazione, ad esempio) e quindi sono facilmente ricattabili, senza contare l’impatto sociale della questione. Non si può dare in pasto alle aziende la questione immigrazione”.

Passando al fronte dei favorevoli queste sono le posizioni.

“Direi che si devono adeguare le quote alle necessità delle imprese. In settori quali il turismo sarebbe un toccasana. Ci sono alberghi che hanno dovuto scegliere tra allontanare i clienti o assumere in nero”.

“Assolutamente si, che la smettano di rompere le scatole! Devono entrare tanti im-migrati quanti ne servono. E bisogna dirottare i fondi per i sussidi, che qui in Ve-neto non servono a nessuno, a creare infrastrutture per l’accoglienza”.

C’è chi sostiene che gli extracomunitari devono poter entrare ma ciò non è in relazione

con il sommerso.

“Sia la Regione a stabilire, assieme alle Associazioni di categoria, quali sono le quote di anno in anno, secondo i fabbisogni. Ma bisogna sapere che per quanto si aumentino gli ingressi questi non incideranno sul numero di clandestini presenti. L’immigrato che lavora in nero fa comodo in quanto immigrato che lavora in nero”.

C’è, poi, chi sostiene la necessità di una programmazione, di un governo del problema.

14. Nel corso dell’intervista si spiegava che per liberalizzazione si doveva intendere l’adeguamento delle quote di ingresso di extracomunitari alla domanda del territorio.

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“Il problema del rapporto tra extracomunitari e richiesta di manodopera si affronta partendo dalla collaborazione tra Paesi. Bisogna costruire un sistema che preveda Uffici di collocamento nel paese di provenienza con momenti di selezione e quindi di formazione del personale. La lotta all’emersione si fa con percorsi certificati”.

“Sono favorevole ad una revisione delle quote di ingresso e ad una maggiore cen-tralità della Regione e delle parti sociali nella gestione dell’immigrazione. Non c’è dubbio che, anche per i problemi legati all’ordine pubblico, non c’è strada migliore che quella della preventiva formazione e di un ingresso regolare e che, quindi, la-scia traccia. Se si allargassero le quote il sommerso verrebbe sicuramente intacca-to perché su di un clandestino non è possibile operare alcun investimento, non è manodopera che può fruttare: la si può solo sfruttare”.

C’è, infine, chi sostiene che si dovrebbe permettere a chiunque ne fa richiesta di regola-

rizzarsi, e non è una posizione isolata.

“Diamo la possibilità a chi vuole regolarizzarsi di farlo. Il problema è che chi lo vuole (tutti quelli che lo vogliono) non lo può fare…Se permettiamo la regolarizza-zione a tutti quelli che lo vogliono…monitoriamo meglio il territorio e risolviamo gran parte del problema”.

“Credo che chi vuole regolarizzarsi deve poterlo fare. C’è poco da fare: se io ho forti motivazioni e per di più so di poter trovare lavoro e non me lo si permette allo-ra troverò altre strade. Non si devono confondere le ragioni dell’ordine pubblico con le molteplici esigenze del territorio. Bisogna anche permettere il ricongiungi-mento familiare perché altrimenti queste [parlava delle mogli] vengono lo stesso e rimangono occulte alla legge e al fisco”.

Commenti alle misure di liberalizzazione/flessibilizzazione

Sulla flessibilizzazione ci siamo già soffermati, identificando la flessibilità degli strumenti

a disposizione delle imprese come uno degli approcci più graditi dai nostri interlocutori.

La liberalizzazione non è intesa nella sua accezione marcatamente liberista, non è una

volontà pesantemente condizionata da intenzioni ideologiche di lasciar libere le mani

dalle pastoie burocratiche e da freni di natura politica. Ciò che emerge non è il sogno di

smantellare un sistema di garanzie poste a difesa dagli effetti indesiderati dell’operare

economico. Ciò che si contesta sono tutte quelle forme di tutela che costituiscono un in-

giustificato rallentamento della capacità produttiva, ed è importante cogliere il fatto che

al centro di questa volontà di flessibilizzazione e liberalizzazione non c’è solo il profitto

ma anche l’immagine del lavoro (in senso assai vasto) inteso come strumento principe

della propria realizzazione personale. L’identità, da queste parti, è spesso ritagliata sui

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profili professionali. Ecco quindi che ciò che emerge al cuore di tutti i commenti è il

contrasto tra le preoccupazioni per le condizioni generali del sistema economico e la vo-

lontà, certamente più robusta delle preoccupazioni, di togliere impedimenti al lavoro. Il

tema delle pensioni, ad esempio, costituisce un ottimo esempio per leggere la relazione

tra lavoro e identità, dato che in un quadro di condizioni generali di benessere a 55

anni si continua facilmente a lavorare. E, in una terra in cui domina il culto del lavoro,

lo stesso immigrato a volte è accettato o rifiutato non per le sue specifiche caratteristi-

che culturali e tanto meno per il colore della pelle ma per il fatto che si dia o meno da

fare, che mostri, cioè, di essere in grado di omologare la sua scala di valori a quella di

chi quel territorio abita da sempre.

In un contesto come questo la stessa risoluzione dei conflitti (tra impresa e lavoratori,

tra imprese etc.) è sempre più affidata allo sviluppo di strumenti in grado di aggredire il

problema, e ciò secondo modalità e forme sempre più distanti da coloriture ideologiche.

In questo senso va inteso l’accento posto sulla flessibilità degli strumenti e sulla libera-

lizzazione delle pratiche. Liberalizzare, quindi, significa credere nelle capacità tecniche

di regolazione dei conflitti. È in quest’ottica che si capisce, ad esempio, il favore di cui

godono le agenzie interinali pur in un quadro che rivela qualche diffidenza verso le me-

desime: esse hanno rappresentato l’espediente tecnico che ha effettivamente risolto al-

cuni problemi. Le agenzie interinali hanno liberato l’imprenditore dalle regole che limi-

tano la possibilità di operare. Un altro terreno eminente per la comprensione del senso

che va assumendo il concetto di liberalizzazione tra ideologia e tecnica è quello relativo

alle quote di ingresso di extracomunitari. Il problema degli extra comunitari si risolve

controllando, si dice. E che cosa vuol dire ciò? Vuol dire che le ragioni dell’ideologia ven-

gono coniugate a quelle dell’economia trasformando quella che, per diverse forze sociali,

è una questione culturale in un mero problema tecnico. Ecco quindi che si propende per

una “liberalizzazione” delle quote di ingresso perché ciò che è visibile è controllabile.

In sintesi si propone di:

1. Ridurre le tutele quando queste ostacolano la possibilità di sviluppo del sistema.

Le tutele devono essere orientate all’accrescimento delle specifiche abilità produt-

tive del soggetto interessato. Così, ad esempio, il disoccupato non deve essere assi-

stito/tutelato in quanto soggetto debole, ma la tutela deve proteggere l’accresci-

mento delle competenze dello stesso disoccupato. L’eclissi delle pratiche assisten-

zialistiche in campo lavorativo è una pura constatazione dell’improduttività delle

stesse.

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2. Liberalizzare governando. Questo vale sia per le licenze dei mestieri contingentati sia

per le quote di ingresso degli extracomunitari, a testimonianza del fatto che l’ideolo-

gia declina a favore dell’intenzione della tecnica che vede dinnanzi a sé solo proble-

mi da risolvere.

6.3.4 Azioni di riordino degli ammortizzatori sociali

Si tratta del blocco tematico che ha riscosso il minor interesse da parte degli intervistati.

In effetti questa parte del questionario conservava più marcati i tratti delle proposte del

Comitato nazionale decisamente orientate al Mezzogiorno del Paese. Le profonde diffe-

renze dei livelli occupazionali tra nord e sud d’Italia segnano buona parte delle cinque

proposte di questo blocco, che si rivelano di scarso interesse per territori come il Veneto

dove la disoccupazione è a livelli molto contenuti e in alcune zone (da Treviso a Vicenza)

si ha addirittura il problema opposto, ovvero la mancanza di manodopera. Questa è an-

che la ragione per cui molti interlocutori hanno voluto rispondere complessivamente alle

cinque proposte, senza entrare nel merito delle questioni specifiche.

Proporremo, quindi, una rapida carrellata delle divergenze rilevate.

La prima domanda era la seguente:

18. Nell’ottica di favorire le politiche attive relativamente ai sussidi di disoccupa-zione si è pensato di sostenere l’integrazione locale agli stessi, così da esercitare, nel contempo, un maggior controllo territoriale. Che ne pensa di tale prospettiva?

Questo era forse il tema più interessante tra i cinque proposti, forse perché si distaccava

parzialmente da considerazioni esclusive circa il ruolo degli ammortizzatori sociali per

lasciar intravedere un tema che sta molto più a cuore agli intervistati: quello del federa-

lismo e, in genere, dei rapporti tra centro e periferia nella gestione delle politiche locali.

Scontata l’adesione alle politiche attive versus assistenzialismo, meno scontate sono le

opinioni circa il peso del localismo nel governo del territorio.

“Le politiche attive sono essenziali. Occorre una svolta concettuale che miri non ad associare al disoccupato dei diritti ma ad incentivare l’esodo dalle liste, ad accor-ciarne i tempi di permanenza. Se dal centro o dalla periferia non mi pare un gran problema. L’essenziale sono gli strumenti”.

Sull’equilibrio del rapporto tra centro e periferia si esprime questo interlocutore:

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“È sempre opportuno avvicinare gli interventi e le decisioni di natura economica e normativa alla realtà territoriale, stabilendo però dei limiti e dei criteri entro fasce che siano valide per tutto il territorio nazionale e sostenibili finanziariamente”.

Una radicale avversione alle deleghe territoriali trova, in questo intervento, una chiara

manifestazione.

“No, sono contrario. Localmente non si può controllare…non si possono prendere decisioni impopolari. Pensi ai disoccupati che occupano il Comune di Napoli…il sindaco vive anche dei loro voti…le autorità locali sono, in qualche modo, ostaggio dei cittadini. Bisogna allora far sì che il controllo venga esercitato da una qualche distanza”.

C’è anche chi avanza dubbi di rilevanza costituzionale.

“La tutela dei lavoratori disoccupati rientra, in forza di direttive costituzionali, nelle funzioni attribuite direttamente allo Stato, per cui soltanto il controllo succes-sivo delle inerenti prestazioni previdenziali erogate potrebbe costituire un profilo legittimo delle politiche attive al riguardo”.

La logica del territorialismo porta alla luce ragioni complesse che dovrebbero reggere o

integrare le politiche attive.

“Direi di si [alle politiche attive sul territorio], ma all’interno di una logica diversa. Faccio un esempio. Quando qualcuno viene licenziato il sussidio viene erogato al-l’oscuro di quali siano le ragioni di quel licenziamento. Vale a dire che se le ragioni produttive che hanno dato luogo a quell’esubero sono venute meno, deve venir meno anche la ragione di quel sussidio. Vale a dire che un dato territorio come espelle manodopera deve anche essere in grado di riassorbirla e, in questo senso, una delocalizzazione delle politiche può aiutare”.

Oltre a questi aspetti critici che crescono sull’intersezione tra politiche attive e loro delo-

calizzazione, vi sono altri due aspetti, relativi a questa prima domanda, che vale la pena

illustrare. Il primo è relativo alla separazione delle funzioni tra chi eroga i sussidi di di-

soccupazione e chi controlla il processo a valle.

“Bisogna ricomporre in un’unica figura chi eroga e chi controlla, non importa a quale livello, se centrale o periferico. Solo così si riesce a scovare chi approfitta dei sussidi ed ha un lavoro in nero”.

“I sussidi deve erogarli un unico ente…Poi se il sussidio viene erogato dal centro o dalla periferia non ha importanza.”

In modo più articolato questa opinione è condivisa anche da questo intervistato.

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“Siamo l’unico Paese che ha scisso chi eroga i sussidi da chi controlla. Se si vuole che i due soggetti siano separati si faccia almeno in modo che dialoghino! Noi ab-biamo fatto sì che essere disoccupati equivalga ad una certificazione amministra-tiva e basta. Bisogna ribaltare la logica: è il lavoratore che deve dimostrare l’effet-tiva volontà di essere alla ricerca di un’occupazione. Ci vuole quindi un sistema che possa verificare e certificare ciò. Forse delocalizzando ci si riesce meglio ma non è una condizione necessaria”.

Il secondo aspetto, peraltro già emerso tra le pieghe dei ragionamenti precedenti, è rela-

tivo al concetto di controprestazione in capo al disoccupato.

“Il concetto è: io ti dò il sussidio se tu mi dai qualcosa in cambio…ti formi, fai dei lavori utili…Essere disoccupati non deve essere una situazione che dà luogo a dei diritti, ma è la richiesta oggettiva di un sostegno per trovare un lavoro…Se l’opera-zione funzioni meglio dal centro o dalla periferia non lo so…”

“…Deve esserci reciprocità…se tu sei senza lavoro io ti assisto ma tu mi restituisci formazione o altro. Solo in una dinamica bilaterale si può risolvere il problema”.

Il disoccupato smette i panni di un soggetto debole con forte impatto etico per diven-

tare (soprattutto) semplice problema da risolvere. Terminiamo questo excursus con

una proposta.

“Qualunque politica attiva prevede un ottimo rapporto tra pubblico e privato. I Centri per l’impiego devono funzionare altrimenti le politiche attive sono solo chiacchiere. Si è proposto, e noi già lo facciamo, che gli Enti Bilaterali integrino i sussidi nella misura di un 30% (da sommare al 60% esistente). In tal modo si po-trebbero implementare percorsi di formazione, stage a tempo pieno, riqualifica-zione dei lavoratori. Questo è per me politica attiva. A questo punto è chiaro che se i soldi te li dò io controllo pure dove vanno a finire”.

La seconda e la terza domanda del quarto blocco erano le seguenti:

19. Che cosa ne pensa dell’istituzione di un divieto di cumulo tra sussidi prove-nienti da vari settori caratterizzati da lavoro a termine?

20. Cosa ne pensa della proposta di un’alternativa secca tra un vero lavoro e una somma di denaro per i lavoratori socialmente utili et similia?

La prima domanda ha ottenuto un quasi unanime coro di risposte favorevoli all’elimina-

zione di questa possibilità di slalom tra la giungla dei sussidi, tanto che riteniamo di

non doverne nemmeno dar conto. Per quanto riguarda i lavoro socialmente utili (Lsu) la

domanda prendeva spunto dalla realtà siciliana dove su 50 lavoratori socialmente utili

ai quali era stata offerta una somma di 70 milioni di vecchie lire per uscire dal contratto

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solo due avevano accettato; da qui il legittimo sospetto che gli altri avessero un’attività

in nero. Nel Veneto i numeri coinvolti sono decisamente bassi e la domanda non ha su-

scitato grande interesse. È prevalso, quindi, un atteggiamento sbrigativo che possiamo

riassumere in questi due interventi.

“Bisogna eliminare l’istituto dei Lsu che è un dramma sociale. Gli enti che possono trasformarlo in un tempo indeterminato lo facciano e si dismetta il resto”.

“Per i Lsu si paghino i contributi mancanti a chi è vicino alla pensione e si collo-chino i rimanenti nelle normali liste di disoccupazione”.

La quarta domanda era la seguente:

21. Lei ritiene che recidere il legame tra certificazione della presenza nelle liste di disoccupazione e diritti conseguenti sia una misura che può favorire l’emersione? In altre parole, ritiene che non poter godere di alcuni diritti per il proprio status di disoccupato renda poco conveniente mantenersi in una situazione irregolare nel-l’attesa di poter godere di questi diritti?

La grande maggioranza degli intervistati si è espressa a favore della rescissione del le-

game tra status di disoccupato e complessi di diritti derivanti dal medesimo status. Il

pensiero dominante si definisce come una volontà di distinguere tra bisognosi e disoc-

cupati, svincolando la fruizione di diritti dalla condizione di disoccupazione. In primis si

vorrebbe garantita la preminenza delle capacità professionali su tutte le altre variabili

nell’instaurazione di un rapporto di lavoro con la Pubblica amministrazione: perciò l’an-

zianità di disoccupazione è una di quelle variabili che non dovrebbe condizionare l’as-

sunzione nella Pubblica amministrazione.

“Nell’ultima tornata di avviamenti per gli enti pubblici derivanti dall’art. 16 della legge 56, su 66 posti di bidello 55 sono stati assegnati a gente proveniente dal Sud Italia per il fatto che hanno 20 anni di disoccupazione. È chiaro che meccani-smi di questo tipo alimentano il lavoro nero…La legge dovrebbe far pesare sul punteggio non la mera disoccupazione pregressa ma il carico familiare o altri fat-tori che non possono essere frutto di furberie di vario genere”.

Il concetto è che non si deve premiare la disoccupazione.

“Sono d’accordo…non va premiata la disoccupazione. Chi ha perso un lavoro deve essere aiutato a trovarne un altro, ma se io ti dico: più a lungo sarai disoccupato e più avanzi nelle liste di avviamento è chiaro che uno rimane in nero. Non pense-remo davvero che ci sia gente disoccupata da vent’anni?”.

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L’operazione di occultamento della propria condizione lavorativa per mantenere i privi-

legi derivanti dallo stato di disoccupazione sarebbe frequente anche in un’economia di

piena occupazione come quella veneta.

“Nonostante la piena occupazione anche da noi c’è chi si mantiene in nero nell’attesa di godere di alcuni diritti garantiti dallo status di disoccupato…sa, le condizioni di lavoro nelle piccole imprese non è che siano il massimo…penso che sarebbe giusto recidere questo legame…”

Chiudiamo con una proposta che riassume il tono generale di queste risposte.

“Bisogna far sì che non ci sia nessun legame tra disoccupato e status. Bisogna le-gare il concetto di assistenza a chi non ha reddito. Quindi: ti dò la casa non per-ché sei disoccupato ma perché non hai denaro”.

La quinta ed ultima domanda di questa sezione era la seguente:

22. Cosa ne pensa della proposta di capitalizzazione dei sussidi (dalle pensioni ai sussidi di disoccupazione) per permettere l’inizio di un’attività convenzionata? In genere, ritiene che l’incentivazione del lavoro autonomo contrasti efficacemente il lavoro irregolare?

Premettendo che forme di capitalizzazione dei sussidi sono già possibili (ad esempio per

i lavoratori in lista di mobilità), abbiamo concepito la domanda come estesa ad ogni

forma di sussidio, proponendo il lavoro autonomo (attività convenzionata) come stru-

mento per combattere il sommerso. Le opinioni raccolte oscillano tra una blanda fiducia

nella possibilità che forme convenzionate di attività autonoma possano contrastare effi-

cacemente il sommerso e la denuncia dei fallimenti di operazioni analoghe già in atto.

Complessivamente è una di quelle domande che ha lasciato freddi i nostri interlocutori i

quali, tra le righe, obiettavano che non è che ci sia un gran bisogno di incentivare il la-

voro autonomo in Veneto. Ad ogni modo anche i favorevoli alla proposta mettevano in

guardia dal rischio di buttare i soldi dalla finestra.

“È una bella misura ma bisogna vigilare perché se il progetto non va a buon fine si sono spesi dei soldi e il soggetto torna a chiedere assistenza”.

Commento alle azioni di riordino degli ammortizzatori sociali

Quanto abbiamo detto nei commenti precedenti a proposito della tecnica come sfondo

sempre più ampio assume una forma paradigmatica nella nuova rappresentazione del

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disoccupato, che non è più colui che va difeso perché si trova in condizioni sfavorevoli

ma un problema che va risolto per il buon funzionamento del sistema. Ciò si concretizza

mediante la comparsa, all’interno delle politiche attive, del concetto di disoccupato come

nodo ove si intersecano prestazioni e controprestazioni. Il legame tra status di disoccupa-

to e diritti che derivano dalla permanenza nelle liste di disoccupazione è contestato dalla

quasi totalità dei nostri interlocutori proprio perché le tutele impediscono lo sviluppo di

una dinamica bilaterale e trasparente tra Pubblica Amministrazione e disoccupato.

La stessa intenzione anima gli atteggiamenti nei confronti dei lavoratori socialmente utili,

comunemente percepiti come un’anomalia da eliminare, a volte con metodi sbrigativi.

In sostanza prevale un atteggiamento che, nella sostanziale freddezza verso questo bloc-

co di argomenti, non contempla la necessità di situazioni “protette” o di forme di incenti-

vazioni (la capitalizzazione dei sussidi) una tantum slegate da azioni strutturali e mirate

su comportamenti attivi.

6.3.5 Opinioni di quadro

L’ultimo blocco tematico prevedeva due domande non previste nei 28 punti del Comitato

nazionale. Non si tratta di proposte ma, appunto, di questioni generali a proposito del

fenomeno dell’economia sommersa. Per tale ragione riteniamo di non dover commentare

il blocco affidando piuttosto il commento alla stessa esposizione del testo delle risposte.

La prima delle due domande era la seguente:

23. Secondo lei esistono situazioni di irregolarità strutturalmente insanabili? Vale a dire, esistono imprese che se emergessero sarebbero estromesse dal mercato?

La domanda si proponeva di verificare se avesse corpo l’opinione che certe sacche di

economia sommersa non possono essere estirpate per il semplice fatto che, in determi-

nate circostanze storico-geografiche, il sommerso ha carattere strutturale. (In alcuni ca-

si si era già accennato alla funzionalità di alcuni segmenti della filiera produttiva all’in-

tera economia di un settore: ad esempio per il settore edile si è da più parti sottolineato

che l’operare in nero di molte microimprese è coessenziale al regredire e progredire, in

termini di produttività, delle grandi commesse rivolte alle grandi imprese o, comunque,

all’attività complessiva del comparto).

Abbiamo registrato tre tipologie diverse di opinione:

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a. c’è chi sostiene che il fenomeno esiste, che vi sono molte imprese che se emergesse-

ro alle condizioni delle altre imprese verrebbero spazzate via e che, proprio per que-

sta loro incapacità di reggere le regole del sistema, è giusto che siano spazzate via;

b. c’è poi chi sostiene che il fenomeno non esiste, vale a dire che chi opera nel som-

merso lo fa unicamente per appropriarsi di un maggior valore aggiunto e, a maggior

ragione, andrebbe contrastato;

c. una terza posizione mette in rilievo l’esistenza di micro realtà produttive che assol-

vono ad un ruolo di supporto ai soggetti deboli dei fenomeni di trasformazione urba-

na e commerciale. L’esempio classico è il negozio di un quartiere scarsamente popo-

lato o il piccolo artigiano che ripara le scarpe in un rione di Venezia abitato da an-

ziani. In questo caso i suggerimenti vanno da un rassegnato allargar le braccia ad

una volontà di sostenere in qualche misura la funzionalità sociale di queste realtà

marginali.

Vediamo una carrellata di opinioni.

“Si esistono, anche e soprattutto in edilizia. Questa marginalità è funzionale ai momenti di crescita del sistema e si contrae quando c’è crisi. Bisogna trovare una soluzione e credo che la logica dovrebbe essere quella di forfettizzare gli oneri considerando, appunto, l’utilità funzionale che hanno questo tipo di imprese”.

“Nel Nord sono poche queste realtà. Posto che vi siano, si adotti una cedolare secca e se non vuoi pagare neanche il 15% allora sì che, se ti prendo, non hai più scuse”.

“Si esistono realtà di questo tipo. Noi sosteniamo che si debbano sostenere i red-diti marginali, le piccole realtà che possono avere una loro utilità sociale comples-siva, ma tutto ciò deve avvenire nel quadro di una razionalizzazione del mercato”.

“No, non esistono realtà produttive che se emergessero non sarebbero in grado di reggersi. Questo vale più che altro per chi inizia un’attività, ma se la cosa diventa cronica allora vuol dire che non si è in grado di fare attività di impresa”.

“Se si fa riferimento a realtà marginali perché soffrono di scarsa domanda ma as-solvono ad una funzione sociale (il panettiere in un quartiere a scarsa densità abi-tativa) allora vanno aiutate, ma se si opera in un mercato dove altri competitors vivono allora è il mercato a dover selezionare”.

Altri interlocutori pongono l’accento su una questione assai complessa, quella relativa

alla stessa struttura produttiva di un comparto che, diversamente regolata valorizzando tanto il processo che il prodotto di tali aziende, sarebbe in grado di garantire - a costo

zero per il sistema - una tale valorizzazione da rendere estremamente vantaggioso il di-

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chiararsi in quanto direttamente proporzionale all’incremento di redditività conseguibile,

sbaragliando anche quelle forme di concorrenza sleale che basano il loro vantaggio sul-

l’abbattimento dei costi (soprattutto lavoro) di produzione.

“Si. Esistono imprese che se agissero in bianco scomparirebbero. Il problema è: che fare con loro? Le tuteliamo? Non è un problema semplice perché ci sono forti interessi a che esistano aziende di questo tipo. Volete una verità scottante? È la grande distribuzione ad opporsi con forza alla certificazione di provenienza del prodotto, è lei che non vuole che si scopra tutta la filiera… provate a guardare su un vaso d’olio se c’è scritto da dove provengono le olive! È chiaro che se tu che mi fornisci le olive non compari sull’etichetta allora sei meno di niente perché il con-sumatore non potrà mai chiedermi se ho cambiato fornitore. Chiaro che in questo modo la grande distribuzione ha un enorme potere sui piccoli fornitori e, tanto per cominciare, può decidere il prezzo, può costringere direttamente o indirettamente ad operare in situazioni di parziale sommerso per poter contare su margini di guadagno accettabili”.

La seconda e ultima domanda era la seguente:

24. Che ne pensa dell’ipotesi di diffondere la figura dei mediatori culturali per vei-colare la conoscenza di regole e valori poco conosciuti? Pensa che ciò sia un pro-blema essenzialmente legato agli extracomunitari?

Lo scopo di quest’ultima domanda era di verificare l’esigenza di una figura (definita, in

maniera un po’ ambigua, “mediatore culturale”) che facesse da ponte tra Pubblica Am-

ministrazione e Associazioni di rappresentanza degli attori economici (dalle associazioni

di categoria agli ordini professionali). Si partiva dall’assunto che, per determinate mate-

rie - e la normativa sull’emersione è una di queste - ci potesse essere l’esigenza diffusa

di una esplicitazione puntuale dei contenuti voluti dal legislatore, in parte per il fatto

che non sempre gli operatori (dai responsabili delle varie associazioni fino ai commer-

cialisti) sono in grado di maturare una conoscenza precisa su tutti gli argomenti oggetto

della loro attività, in parte perché non sempre sono in grado di farlo tempestivamente,

perdendo così importanti opportunità. Già in occasione di un convegno sulle tematiche

dell’emersione, infatti, un professionista incaricato della relazione sui benefici derivanti

dalla nuova legge ebbe modo di confessare l’ignoranza di tali benefici da parte di un

buon numero di suoi colleghi. Si voleva così testare la percezione del fabbisogno di un

servizio di assistenza mediata da parte delle istituzioni, assistenza che per l’appunto po-

trebbe essere fornita da queste nuove figure. L’impegno dei mediatori culturali nell’inte-

grazione degli extracomunitari era solo una piccola parte, un esempio della possibilità di

azione di queste figure.

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L’accoglienza riservata dai nostri interlocutori a questa proposta è stata tutto sommato

tiepida, pur in presenza di una maggioranza di pareri positivi. La gran parte degli inter-

vistati ha indicato nelle Associazioni di categoria il necessario perno di eventuali politi-

che di questa natura, adducendo a supporto la stabile e potente ramificazione territoria-

le delle stesse. Il mediatore culturale, quindi, dovrebbe affiancare le associazioni di cate-

goria e non sostituirle.

“I mediatori culturali dovrebbero essere affiancati, quanto meno, dalle associazio-ni di categoria, costruendo una continuità rispetto all’operare dello Stato. La loro attività dovrebbe essere indirizzata a 360 gradi (professionisti, imprenditori, lavo-ratori) e costituire una sorta di esplicitazione della produzione legislativa”.

Qualcuno limita il consenso ad una funzione di appoggio agli extracomunitari:

“Credo che figure come questa vadano legate soprattutto agli extracomunitari per favorirne l’integrazione. Per il resto le regole sono conosciute e anche ben veicolate”.

Infine c’è che esprime un netto dissenso.

“In Veneto c’è una forte e ben radicata rete di associazioni. Il 70% delle imprese ne fa parte e le informazioni arrivano. Sono contrario ai guru mediatori ma dobbia-mo incentivare il ruolo delle associazioni di categoria”.

6.4 Dalle osservazioni alle valutazioni

6.4.1 Introduzione

Come già anticipato nel paragrafo dedicato alla metodologia, al termine delle interviste

qualitative abbiamo sottoposto ai nostri interlocutori un secondo questionario composto

da 23 items che, ricordiamo, sono stati ottenuti integrando il precedente questionario

con questioni/proposte emerse nel corso delle interviste grazie ad osservazioni avanzate

dagli stessi intervistati ed eliminando le questioni ritenute dalla maggioranza degli inter-

vistati non rilevanti ai fini dell’identificazione degli strumenti idonei alla lotta al lavoro

nero in Veneto.

In questo secondo questionario, inoltre, sono state escluse le domande non direttamente

pertinenti alla lotta al sommerso, in quanto non aveva senso sottoporle ad un giudizio di

efficacia o di fattibilità tecnica.

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Il questionario è risultato formato da 4 blocchi tematici, gli stessi del questionario qua-

litativo (senza però la sezione finale relativa alle opinioni di quadro).

Per ognuna delle proposizioni presentate si è chiesto di esprimere un voto da 1 a 10 per

quattro diversi indicatori: fattibilità politica, fattibilità tecnica, costi diretti e indiretti ed

efficacia della misura in ordine alla lotta al lavoro sommerso.

Di 37 questionari inviati abbiamo ottenuto la restituzione di 26 questionari compilati, il

70% del totale.

Vista la non elevata numerosità dei questionari compilati e data la notevole variabilità

registrata nelle risposte (con elevati valori dello scarto quadratico medio) si è concentra-

ta l’attenzione sulle frequenze relative nella scala dei punteggi. Dopo aver riclassificato

la scala in quintili (ai fini di evitare inutili parcelizzazioni), è stato calcolato il rapporto

tra la somma di coloro che hanno votato nel quintile e il totale dei rispondenti. Le fre-

quenze relative hanno il pregio di restituire i risultati in modo trasparente e facilmente

comprensibile.

La valutazione espressa per ogni item e per i diversi indicatori è stata giudicata conside-

rando le percentuali degli ultimi 2 quintili (classi) delle scale e, qualora fossero rilevanti

ai fini dell’analisi, le percentuali dei primi 2. Le ultime classi sono state ritenute espres-

sione di un giudizio positivo nel caso si trattasse di valutare l’efficacia e la fattibilità, di

un livello elevato allorché la valutazione riguardava i costi dell’applicazione della misura.

I primi 2 quintili concentrano, invece, le risposte di coloro che danno giudizi negativi in

merito all’efficacia e alla fattibilità, giudizi positivi se la scala misura i costi. Le posizioni

intermedie sono rappresentate dalle classi centrali delle scale.

Nei paragrafi successivi commenteremo i dati indicatore per indicatore cominciando da

quello che riteniamo essere il più importante dei 4: l’efficacia. A tale indicatore daremo

anche lo spazio preponderante in sede di commento.

6.4.2 La valutazione dell’efficacia

Misure di carattere fiscale

Come abbiamo già anticipato, una delle misure più apprezzate in termini efficacia è

quella relativa alla possibilità per il consumatore finale di portare l’Iva in detrazione nel-

la propria dichiarazione dei redditi. Lo stesso giudizio positivo si ha per la misura, non

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contemplata nel questionario delle interviste qualitative, che prevede la detraibilità, oltre

che dell’Iva, anche di parte del costo del bene/servizio acquistato (tab. 1).

La prima misura è stata votata dal 31% dei rispondenti nella classe 9-10 (quinto quin-

tile), mentre la seconda misura ha ottenuto, nella stessa classe, il 29%. Sommando i

voti ricevuti in questa classe a quelli ricevuti nella classe immediatamente precedente

(7-8) si arriva al 58% per la prima proposta e al 62% per la seconda. Il fatto che la de-

traibilità della sola Iva raggiunga una più alta percentuale nella parte alta della scala,

mentre la detraibilità dell’Iva più parte del costo del bene-servizio raggiunga valori più

elevati nella classe 7-8, si può spiegare con la cautela degli intervistati circa i rischi di

impatto economico generale di una misura che sottragga una parte consistente di en-

trate fiscali allo Stato. In linea di massima, infatti, una misura che permetta di detrarre

anche parte dei costi è più efficace di una misura che permette la detraibilità della sola

Iva. Ciò che “frena” una valutazione totalmente positiva potrebbe essere proprio il ti-

more che, con la detraibilità anche di parte dei costi, il minor gettito per le casse dello

Stato comprometterebbe il senso stesso della manovra.

Per le misure di carattere fiscale le più basse percentuali di giudizio positivo si regi-

strano a proposito dell’applicazione di un credito d’imposta per il part-time verticale nei

settori caratterizzati da stagionalità, con una percentuale nell’ultimo quintile pari al

12%. Tale proposta registra anche la percentuale più bassa nella classe aggregata 7-10.

Tra le altre proposte merita evidenziare da un lato come la misura tradizionalmente pro-

pugnata relativa alla riduzione del prelievo fiscale sia giudicata ai fini dell’efficacia in

modo più positivo (54%) di un meccanismo innovatore individuato nel “buono pre-pa-

gato” (44%).

Misure di carattere organizzativo/repressivo

La proposta di maggior successo è stata quella relativa all’intensificazione delle verifiche

preventive (legge 327/2000) sul costo del lavoro per le imprese vincitrici di una gara

d’appalto. I voti più alti (classi 7-10) sono segnalati dal 68% degli interlocutori.

Analizzando i giudizi espressi sugli items di questo blocco tematico si osserva che quat-

tro proposte raccolgono i giudizi positivi più accentuati; oltre a quella già citata troviamo

le seguenti tre: istituire autocertificazioni di regolarità dell’occupazione per le imprese

che partecipano a gare d’appalto; procedere a controlli unificati da parte di Inps, Inail e

Cassa Edile per l’edilizia su commessa pubblica; procedere ad una riforma normativa

sulla comunicazione di assunzione all’Inail in modo che i c.d. incidenti del primo giorno

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costino all’impresa molto più degli incidenti occorsi (ad esempio) nel quarto giorno di la-

voro. La differenza in termini percentuali tra la prima e l’ultima è di 7 punti percentuali

(57% per la prima e 50% per l’ultima).

È interessante notare il giudizio ottenuto dalla misura relativa all’istituzione di una cer-

tificazione dell’impresa rilasciata da un organismo specifico per la partecipazione a gare

d’appalto. Tale proposta ha ottenuto, unitamente alla proposta di rendere obbligatoria la

certificazione di impianti domestici per costringere alla relativa emissione di una fattura,

il più basso giudizio positivo con il 39% dei voti nelle ultime due classi. La particolarità è

costituita dal fatto che nella classe aggregata 1- 4 tale proposta ha ottenuto valori para-

gonabili alle proposte con maggior appeal (vale a dire valori bassi) e che, soprattutto, ha

ottenuto il valore più elevato (42%) nella classe 5-6, e un consenso comunque alto (35%)

nella classe immediatamente successiva (7-8). Il crollo avviene nell’ultimo quintile: 4%.

La dualità tra le opposte posizioni della scala è compensata dalla crescita dei voti nelle

classi centrali; ciò sarebbe in linea con quanto rilevato in sede di commento delle inter-

viste qualitative dove si segnalava la “tendenza” (processi di opinione in divenire) a con-

siderare la proposta come la chiave di volta per creare una differenza tra imprese som-

merse e imprese regolari.

Misure di liberalizzazione/flessibilizzazione

A conferma di quanto è emerso dalle interviste qualitative a proposito della forte atten-

zione dedicata dai nostri interlocutori alla flessibilità degli strumenti contrattuali e, in

generale, alla flessibilizzazione degli strumenti con cui si opera nel mercato del lavoro,

notiamo come in questo blocco tematico vi siano le risposte che hanno ottenuto i giudizi

positivi più elevati tra tutte le proposte contenute nel questionario. Il tema delle pen-

sioni è al vertice. L’eliminazione del divieto di cumulo tra pensioni e redditi da lavoro e la

relativa tassazione separata catturano entrambe il 77% dei votanti nelle due ultime

classi. L’eliminazione di ogni divieto di cumulo raggiunge il 31% nella classe 9-10 (con-

tro il 15% della tassazione separata) e cattura il 46% dei rispondenti nel quintile imme-

diatamente inferiore dove invece la tassazione separata dei redditi arriva al 62%. Sem-

brerebbe che i nostri interlocutori diano per scontato, e vogliano fortemente, innanzi-

tutto l’eliminazione del divieto di cumulo, poiché questa è la misura effettivamente ido-

nea e necessaria per la lotta al sommerso, mentre la tassazione separata dei redditi è

considerata un’opzione aggiuntiva, non immediatamente legata all’emersione del lavoro

irregolare.

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Particolare attenzione merita il dato relativo all’aumento delle quote di immigrazione

considerato misura efficace con votazioni dal 7 in poi dal 69% degli interlocutori, il valo-

re più elevato di tutte le misure contenute nel questionario a parte le ultime due appena

commentate. Pensionati ed immigrati sono quindi le due “popolazioni target” su cui gli

strumenti di lotta al lavoro nero devono concentrarsi. Meno importanti invece appaiono

le altre misure (liberalizzazione delle licenze, cumulabilità dei redditi da doppio lavoro ed

eliminazione del divieto di lavoro notturno per apprendisti maggiorenni) per le quali si

registrano valori tra il 46 e il 48% nei due ultimi quintili della scala.

Azioni di riordino degli ammortizzatori sociali

Le tre proposte presenti nel blocco hanno ottenuto giudizi positivi con percentuali simili.

I risultati sono in linea con quanto emerso nelle interviste: queste misure seppure non

siano ritenute tra le più rilevanti per l’abbattimento del lavoro sommerso, rivestono co-

munque una certa importanza se più del 50% (percentuali dal 54 al 58%) degli intervi-

stati esprime giudizi positivi in merito alla loro efficacia.

6.4.3 La valutazione della fattibilità tecnica

Misure di carattere fiscale

Si nota un generale elevato livello di giudizio positivo sulla fattibilità tecnica (tab..2); un

risultato atteso più di altri visto che si trattava di dare punteggi all’applicabilità tecnica

di misure di carattere fiscale. L’unica eccezione è, non a caso, rappresentata dalla misu-

ra che prevede l’istituzione di un “buono pre-pagato” da utilizzare per impieghi di lavora-

tori occasionali. In questa misura sono presenti, infatti, aspetti di carattere organizzati-

vo che ne rendono più complessa la realizzabilità: il 32% (somma delle percentuali delle

prime due classi) dei rispondenti la considera una misura poco fattibile e solo il 36% dà

un giudizio positivo di fattibilità (somma delle percentuali dei due ultimi quintili), il più

basso livello tra tutte le misure.

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Misure di carattere organizzativo/repressivo

Si osservano percentuali molto elevate di giudizio positivo sulla fattibilità tecnica per

quasi tutte le proposte di questo blocco tematico, con punte plebiscitarie (92% negli ul-

timi due quintili) nel caso dell’istituzione di autocertificazioni di regolarità dell’occupa-

zione per imprese che partecipano a gare d’appalto. Basse o nulle le percentuali nelle

classi inferiori a testimonianza del fatto che non si vedono grossi ostacoli tecnici in ordi-

ne alle misure di organizzazione e repressione degli illeciti. L’unica eccezione riguarda la

proposta di istituire un sistema di certificazione dell’impresa da parte di un organismo

specifico: tale proposta ottiene un basso giudizio positivo di fattibilità tecnica (44%) e re-

gistra una percentuale pari al 32% di intervistati che ritengono poco o per nulla fattibile

tale proposta. In generale notiamo come, a parte l’autocertificazione di cui abbiamo par-

lato, sono le forme di certificazione da parte di un organismo terzo, sia esso l’Inps o un

organismo da costituirsi, a registrare il minor grado di consenso; segno, forse, di una

scarsa fiducia verso nuove forme di controllo che vengono viste come ulteriori burocra-

tizzazioni delle procedure. Conferme di quanto qui emerso verranno anche dai giudizi

sulla fattibilità politica, che vedremo tra poco, che sono assai poco positivi al riguardo

delle proposte di certificazione delle imprese da parte di un organismo terzo.

Misure di liberalizzazione/flessibilizzazione

Sostanzialmente simili le percentuali relative alle proposte incluse in questo blocco. Si

va da un minimo del 72% ad un massimo del 92% delle percentuali registrate come giu-

dizi positivi di fattibilità tecnica. Ciò è dovuto, da un lato, al fatto che si tratta di misure

che per essere realizzate non richiedono che l’emanazione di norme e dall’altro al fatto

che alcune di queste misure, come l’eliminazione del divieto di cumulo tra redditi da

pensioni e redditi di altra natura, sono già state approvate dal Parlamento o erano in via

di approvazione al momento della compilazione del questionario.

Azioni proposte di riordino degli ammortizzatori sociali

Seppure a livelli superiori al 50% i giudizi positivi sulla fattibilità tecnica delle misure

qui previste non sono così elevati come è emerso in genere per le altre misure, ma è al-

trettanto vero che nessuno dei rispondenti ha segnalato una grande difficoltà tecnica di

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attuazione. Come dire che si tratta di proposte che si possono realizzare con maggiori

difficoltà rispetto ad altre misure, ma comunque difficoltà superabili.

6.4.4 La valutazione della fattibilità politica

I giudizi positivi espressi intorno alla fattibilità politica, vale a dire alla possibilità di rag-

giungere un ampio grado di accordo, almeno quello sufficiente all’approvazione delle

norme relative, sono complessivamente meno elevati di quelli registrati per la fattibilità

tecnica (tab. 3). Per comprendere il senso di questo indicatore si devono tener presenti

due dimensioni ad esso relative. Da un lato, per fattibilità politica si intende la possibili-

tà che si dia luogo all’approvazione di norme, quindi che il Parlamento coalizzi la mag-

gioranza di voti intorno ad una data proposta; dall’altro lato si intende riferirsi ad un più

ampio grado di consenso, vale a dire alla convergenza della volontà delle parti sociali in-

torno alle proposte stesse. La bassa percentuale di giudizi positivi intorno alla realizza-

bilità politica di diverse proposte potrebbe voler dire che i nostri interlocutori non ri-

tengono che ci sia condivisione di vedute in sede politica, istituzionale e “sociale” sulle

diverse proposte qui avanzate; ritengono cioè che su molte misure vi sia una divergenza

di valutazioni (e di interessi).

Misure di carattere fiscale

Molto tiepidi risultano i giudizi positivi in questo ambito di misure: il 50% dà un giudizio

positivo all’applicazione del credito d’imposta per il part-time verticale e alla detraibilità

dell’Iva per il consumatore finale. Queste due proposte però si differenziano per le per-

centuali ottenute nelle classi inferiori (1-4); infatti, mentre l’applicazione del credito

d’imposta per il part-time verticale ha il 12% dei rispondenti nelle prime due classi, la

detraibilità dell’Iva per il consumatore finale registra il 27%. Ciò significa che pur rag-

giungendo lo stesso livello di giudizio positivo ci sono più intervistati che si polarizzano

su una posizione di giudizio negativo circa la fattibilità politica della detraibilità dell’Iva

per il consumatore finale.

Per quanto riguarda le altre misure, che registrano giudizi positivi inferiori al 50% dei

casi, vale la pena richiamare la scarsa fiducia assegnata alla fattibilità politica della

proposta relativa al “buono pre-pagato”: il 40% degli interlocutori ha votato i punteggi

da 1 a 4, mentre solo il 36% ha segnato le due classi di punteggio più alte.

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Misure di carattere organizzativo/repressivo

La proposta che ha ottenuto il maggior numero di giudizi positivi è quella relativa all’isti-

tuzione di un’autocertificazione di regolarità dell’occupazione, con una percentuale pari

all’81%. Tutte le altre proposte hanno ottenuto percentuali sensibilmente più basse an-

che se va segnalato il 60% registrato dall’intensificazione delle verifiche preventive della

congruità dell'offerta e dalla certificazione contributiva rilasciata dall’Inps per le imprese

che partecipano a gare d’appalto. Il minimo del giudizio positivo è stato raggiunto dalla

proposta di istituire un sistema di certificazioni per le imprese che partecipano a gare

d’appalto da parte di un organismo specifico: tale proposta ha ottenuto il 36% di giudizi

positivi e ben il 40% di giudizi negativi (somma delle percentuali delle prime due classi).

Misure di liberalizzazione/flessibilizzazione

Notiamo due blocchi distinti. Il primo è composto dalle tre proposte: eliminazione del di-

vieto di lavoro notturno per gli apprendisti maggiorenni, eliminazione del divieto di cu-

mulo tra redditi da pensione e redditi da lavoro, tassazione separata per redditi da la-

voro e redditi da pensione. Queste proposte hanno ottenuto rispettivamente il 65, il 64 e

il 58% delle risposte nei valori della scala più elevati.

Il secondo blocco è composto dalle restanti tre proposte: rendere possibile per il dipen-

dente pubblico e privato la cumulabilità con redditi da doppi lavori anche se da libere

professioni, liberalizzare il numero di licenze per i mestieri contingentati e aumentare le

quote di immigrazione. Tali proposte hanno ottenuto giudizi positivi solo per il 28% le

prime due e per il 19% la terza. Su quest’ultima proposta si evidenzia la consapevolezza

della difficoltà di conciliare posizione diversificate sulla questione immigrazione.

Azioni di riordino degli ammortizzatori sociali

Nessuna delle misure proposte raggiunge il 50% dei giudizi positivi. Maggiore conver-

genza sulla fattibilità politica viene espressa dagli interlocutori in merito alle pratiche di

controllo dei disoccupati (43%), mentre si attendono scarsa convergenza per le rima-

nenti due proposte, vale a dire recidere il legame tra status di disoccupato e diritti ac-

quisiti e divieto di cumulo per sussidi provenienti da diversi settori, che raggiungono ri-

spettivamente il 23 e il 31% in termini di giudizi positivi. Da notare che nessuna di que-

ste due proposte ha ottenuto voti nella classe superiore 9-10.

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6.4.5 La valutazione dei costi diretti e indiretti

Misure di carattere fiscale

A conferma di quanto osservato nel paragrafo dedicato alla valutazione dell’efficacia, i

nostri interlocutori ritengono che la manovra più costosa sia quella legata alla detraibi-

lità dell’Iva più parte del costo (il 59% dei votanti ha indicato i punteggi dei due ultimi

quintili) (tab. 4). Subito dopo viene la proposta che prevede la detraibilità della sola Iva

(54%). Al terzo posto si colloca la proposta che prevede la possibilità di un’esenzione

temporanea dell’Irap a fronte di nuove assunzioni (50%): tale proposta ha registrato il

46% nella penultima classe, ma solo il 4% l’ha indicata ai livelli massimi di costo (9-10).

Le due proposte per le quali si osservano giudizi di basso costo sono l’introduzione di

una tassazione alla fonte (28% nelle ultime due classi), la concessione di un credito

d’imposta per il part-time verticale nei settori caratterizzati da forte stagionalità (31%) e

l’istituzione di un “buono pre-pagato” da utilizzare per impieghi di lavoratori occasionali

(32%). Per quest’ultimo, tra l’altro, si registrano valori elevati nelle prime due classi dove

si addensa il 40% delle risposte; quindi si prevede che l’istituzione di un buono non

debba comportare costi elevati.

Infine, la riduzione del prelievo fiscale per i lavoratori e contributivo per le imprese è una

misura che si ritiene comporti un certo costo per il sistema dato che il 47% dei rispon-

denti si concentra nelle due ultime classi.

Misure di carattere organizzativo/repressivo

La misura più costosa è ritenuta la creazione di un organismo specifico con il compito di

certificare le imprese che partecipano a gare d’appalto (50% delle risposte nelle due ul-

time classi), mentre la proposta ritenuta meno onerosa è quella che prevede l’istituzione

di autocertificazioni di regolarità dell’occupazione, dove ben il 62% (somma delle per-

centuali delle prime due classi) degli intervistati ritiene si tratti di una misura per nulla

o poco costosa.

Per le restanti misure contemplate non emergono indicazioni chiare né in un senso

(basso costo) né nell’altro (alto costo): sono proposte che implicherebbero, secondo gli

intervistati, costi di realizzazione “intermedi”, espressione che forse potrebbe tradursi in

“accettabili per il sistema”.

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Misure di liberalizzazione/flessibilizzazione

Qui vale la pena richiamare l’attenzione su quattro proposte di cui solo una è conside-

rata ad alto costo dalla metà degli intervistati (50% dei voti nelle due ultime classi): e si

tratta dell’aumento delle quote di immigrazione. Come è risultato anche dalle interviste

qualitative non vi è la semplice constatazione del fabbisogno di manodopera, magari re-

cuperabile a bassi costi e senza troppi sforzi organizzativi; gli interlocutori hanno anche

in mente i costi che un sistema deve sostenere per l’inserimento degli immigrati nelle

comunità di arrivo: creazione di infrastrutture per l’accoglienza, definizione di nuovi ser-

vizi, promozione e realizzazione di momenti formativi nei Paesi d’origine. Si tratta di tut-

ta una serie di attività che non possono non avere un peso economico e organizzativo

considerevole. Le proposte a più basso costo risultano il divieto di cumulo dei redditi da

doppio lavoro (56% nei primi due quintili), la liberalizzazione delle licenze (64%) dei me-

stieri contingentati e, infine, giudizi positivi sui costi riguardano anche l’eliminazione del

divieto del lavoro notturno per gli apprendisti maggiorenni (54%).

Azioni di riordino degli ammortizzatori sociali

Mettere in atto le misure previste nell’ambito degli ammortizzatori sociali non prevede

costi elevati se non per le pratiche di controllo sull’occupazione dei disoccupati. L’appli-

cazione delle altre misure, invece, non dovrebbe incontrare ostacoli dal punto di vista

della sostenibilità dei costi.

6.5 Note riassuntive

Ci poniamo ora l’obiettivo di sintetizzare quanto è emerso dall’indagine con una ricogni-

zione dei principali temi affiorati così da ricavarne una lista organizzata delle priorità in

tema di interventi/misure/politiche di lotta al lavoro nero in Veneto.

Partiremo dalle principali indicazioni avute nel corso dei colloqui con gli intervistati evi-

denziando quegli elementi strutturali che sembrano caratterizzare il sistema economico-

sociale in cui trova spazio il lavoro nero.

Sinteticamente possiamo raggruppare le opinioni di fondo espresse dagli interlocutori

negli 8 punti di seguito esplicitati.

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1. La relazione tra un incentivo fiscale (aspetto positivo) e un elemento di rigidità, sia

esso di natura contrattuale o di natura fiscale, produce un esito negativo o insoddi-

sfacente. La flessibilità degli strumenti messi a disposizione dell’impresa è conside-

rata una priorità, in particolar modo la flessibilità degli strumenti di natura con-

trattuale. Tale flessibilità incrocia il tema delle competenze professionali. Flessibilità

non significa, tout court, possibilità di espellere manodopera o di impiegarla in con-

dizioni di precarietà; significa piuttosto possibilità di differenziare l’utilizzo della

stessa per soglie di professionalità e possibilità di operare puntuali verifiche in or-

dine all’affidabilità, soprattutto per profili professionali elevati.

2. Accanto alla rigidità degli strumenti, o come suo prolungamento, si colloca il proble-

ma della complessità delle procedure. La complessità delle procedure è percepita co-

me un meccanismo attraverso il quale l’apparato amministrativo difende le proprie po-

sizioni di controllo sul sistema produttivo. L’elemento negativo è costituito dal fatto che

se chi produce non solo non é agevolato ma é ostacolato nella sua azione dalla com-

plessità delle procedure richieste, allora il ricorso al sommerso è considerato legittimo.

3. Interventi anche apprezzabili ma limitati nel tempo sono accolti con evidente scettici-

smo. La preferenza è nettamente accordata ad operazioni strutturali, poiché si ha co-

scienza che il problema del sommerso non ha a che vedere con falle più o meno am-

pie del sistema ma riguarda lo stesso principio di funzionamento del sistema.

4. Al di là delle ragioni storiche e tecniche, interrogando le quali si possono reperire

soluzioni più o meno efficaci, è opinione largamente diffusa che l’elevata pressione

fiscale e l’elevato costo del lavoro, unitamente a troppo rigide forme di tutela, gene-

rano una parte cospicua del ricorso al sommerso. Il ruolo centrale che giocano le

Pmi in Veneto accentua il ricorso al sommerso.

5. In un sistema largamente compromesso da gravi deficit strutturali bisogna comin-

ciare ad agire inserendo elementi di riforma strutturale. Così come se si debilita il

sistema immunitario di un organismo non si agirà sugli organi malati ma si pen-

serà, ad esempio, ad una terapia genica. Un importante elemento emerso e valutato

con favore è quello relativo alla costituzione di un sistematico conflitto di interessi

tra chi vende e chi acquista un determinato bene e/o servizio.

6. Accanto a manovre strutturali si richiedono alcune soluzioni ad hoc che ricavano la

loro ragion d’essere dalle “contingenze” introdotte dagli scenari dell’economia glo-

bale. La visibilità come modalità di recupero efficiente di valore aggiunto è una di

queste soluzioni. A partire dall’assunto visibilità = maggior quota di mercato e mag-

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gior valore aggiunto, si pensa all’istituzione di un sistema di certificazioni che renda,

appunto, visibile e quindi affidabile l’operato dell’azienda. Tale sistema di certifica-

zioni deve scaturire dalla stessa coscienza dell’imprenditore e non da obblighi di

legge, i quali rischierebbero di omologare l’immagine delle imprese certificate poiché

il legislatore dovrebbe porsi il problema di rendere disponibili a tutti tali opportu-

nità. La certificazione, quindi, dovrebbe essere frutto di comportamenti autonoma-

mente posti in essere dall’impresa.

7. Lo stesso concetto di visibilità legato alle imprese può essere traslato dal lato della

forza lavoro. Il problema dell’immigrazione, e il sostanziale favore che incontra la

proposta di allargare le quote di ingresso, evidenzia come la professionalità della

manodopera sia una questione cruciale. Perché un lavoratore possa fruttare bisogna

investire su di esso. Ogni clandestino, ogni lavoratore non regolare rende impossi-

bile l’attuazione di investimenti di qualsiasi tipo sullo stesso. Tale tipo di manodo-

pera può solo essere s-fruttata. Quindi è utile far leva sul bisogno di professionalità

del sistema per rendere meno appetibile il ricorso al sommerso.

8. Il concetto di professionalità viene traslato anche sulla figura del disoccupato, che

non è più inteso come soggetto debole da tutelare ma come soggetto in cui si adden-

sano richieste di crescita delle competenze. Ciò significa possibilità di investire

all’interno di una logica di politiche attive.

Per quanto riguarda le valutazioni sulle misure, riportiamo quelle a cui è stato asse-

gnato dalla maggioranza degli intervistati un giudizio positivo in termini di efficacia che

riteniamo essere l’indicatore più rilevante da considerare in fase conclusiva.

Per quanto riguarda le misure di carattere fiscale le proposte più efficaci per la lotta al

lavoro nero in Veneto sono risultate essere:

1. Permettere al consumatore finale di portare in detrazione l’Iva e parte dei costi nella propria dichiarazione dei redditi per prestazioni profes-sionali rivolte alle famiglie

62%

2. Permettere al consumatore finale di portare in detrazione nella propria dichiarazione dei redditi l’Iva relativamente a prestazioni professionali rivolte alle famiglie

58%

3. Per gli straordinari e i super minimi pagati in nero nel settore privato, forte riduzione del prelievo fiscale per il lavoratore e forte riduzione dei versamenti contributivi per l’impresa

54%

4. Introduzione di una tassazione alla fonte (15%) senza versamento di contributi per tutti i lavori occasionali/temporanei

50%

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Le priorità per le misure di carattere organizzativo/repressivo sono:

1. Intensificazione delle verifiche preventive della congruità dell’offerta, relativamente al costo del lavoro (l. 327/2000), per le imprese vincitrici di una gara d’appalto

68%

2. Istituzione di autocertificazioni di regolarità dell’occupazione per le im-prese che partecipano a gare d’appalto

57%

3. Procedere a controlli unificati da parte di Inps, Inail e Cassa Edile per l’edilizia su commessa pubblica

56%

4. Procedere ad una riforma della normativa sulla comunicazione di as-sunzione all’Inail in modo che i cosiddetti incidenti del primo giorno co-stino all’impresa molto più di un incidente occorso (ad esempio) nel quarto giorno di lavoro

50%

Le priorità per le misure di liberalizzazione/flessibilizzazione risultano:

1. Eliminazione di ogni divieto di cumulo tra redditi da pensione (sia di vecchiaia che di anzianità) e redditi di altra natura

77%

2. Procedere ad una tassazione separata tra i redditi da pensione (sia di vecchiaia che di anzianità) e redditi di altra natura

77%

3. Aumento delle quote di immigrazione per meglio rispondere alle richie-ste del territorio

69%

Infine, tutte le azioni di riordino degli ammortizzatori sociali proposte agli interlocutori

sono state considerate misure efficaci dagli intervistati:

1. Avvio di pratiche di controllo - una volta messe in atto politiche attive efficaci sulla ri-occupazione - delegate sul territorio, per evitare il som-merso tra i disoccupati

58%

2. Recidere il legame tra status di disoccupato e acquisizione di altri diritti (ad es. per inserimento in graduatorie di edilizia residenziale pubblica, esenzione ticket sanitari, etc.)

54%

3. Istituire e/o ampliare il divieto di cumulo per sussidi con adeguati siste-mi di verifica

54%

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Allegato 1

QUESTIONARIO UTILIZZATO PER LE INTERVISTE QUALITATIVE (PRIMA FASE DELL’INDAGINE)

Misure di carattere fiscale

1. Nei settori caratterizzati da lavoro a termine, dal turismo stagionale all’agricoltura e

all’edilizia, pensa possa essere utile l’applicazione di un credito d’imposta per il part

time verticale?

2. Per problemi di irregolarità parziali quali lo straordinario fuori busta nel settore pri-

vato, lei pensa che misure quali la defiscalizzazione dello stesso fuori busta possano

contribuire all’emersione? Inoltre, ritiene che se avvenisse l’emersione del fuori bu-

sta questo comporterebbe anche l’emersione della sotto fatturazione corrispondente

con un conseguente maggior gettito d’entrate per lo stato?

3. Pensa possa essere una misura efficace l’ampliamento del forfait per gli oneri fiscali

dei piccolissimi (orientativamente 20-25 mila € di fatturato)?

4. Pensa che un’esenzione dell’Irap, per un tempo determinato, collegata all’occupazio-

ne addizionale sia uno strumento che favorirebbe l’emersione del lavoro irregolare?

5. Ritiene che misure ad hoc quali la possibilità per il consumatore finale di portare

l’Iva in detrazione possano indurre l’emersione in settori ad alto rischio di irregola-

rità (palestre, condomini, animazione…)?

Misure di carattere organizzativo/repressivo

6. Cosa ne pensa circa l’utilità di procedere ad un controllo unificato (Inps, Inail e Cas-

sa Edile) per l’edilizia su commessa pubblica?

7. A suo avviso gli studi di settore sono uno strumento utile per l’individuazione del

sommerso?

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8. Pensa che, in generale, l’unificazione e la semplificazione delle procedure per gli

adempimenti delle imprese possano essere uno strumento che, per via indiretta, fa-

vorisce l’emersione?

9. Crede che una riforma del “contatore” INAIL che faccia gravare molto sulle imprese i

costi dei c.d. incidenti del primo o secondo giorno, possa essere un’efficace misura

contro il lavoro irregolare?

10. Cosa ne pensa dell’istituzione di una procedura di dichiarazione di regolarità dell’oc-

cupazione da parte delle imprese, strumento che darebbe diritto ad un punteggio nel-

le graduatorie POR e che sarebbe contestabile da parte delle imprese concorrenti?

11. Ritiene che una puntuale applicazione della 327/2000 sui costi del lavoro e la sicu-

rezza nelle gare d’appalto possa essere un utile strumento contro il lavoro irrego-

lare? Nella stessa ottica, ritiene che l’introduzione di una certificazione contributiva

per i vincitori di una gara d’appalto sortirebbe effetti positivi dal punto di vista

dell’emersione?

Misure di liberalizzazione/flessibilizzazione

12. Cosa ne pensa dell’eliminazione del divieto di lavoro notturno per gli apprendisti

maggiorenni che operano in settori essenzialmente legati al lavoro notturno (panet-

tieri, ad esempio)? Pensa potrebbe essere utile estendere questa misura agli ap-

prendisti maggiorenni in genere?

13. Cosa ne pensa dell’eliminazione del divieto di cumulo tra pensione e reddito? Ritiene

che per rendere più efficace il provvedimento si dovrebbe pensare ad una tassazione

separata di redditi e pensioni? Tale misura dovrebbe essere generalizzata o limitata

ad alcune tipologie di pensione (anzianità piuttosto che vecchiaia)?

14. Lei ritiene che favorire il secondo lavoro in chiaro (anche per il pubblico impiego)

possa essere un incentivo efficace per l’emersione del lavoro irregolare?

15. Cosa ne pensa della liberalizzazione delle licenze per i mestieri contingentati?

16. Pensa che determinati strumenti nati in vista di una flessibilizzazione del mercato

del lavoro (agenzie interinali, ad esempio) possano indirettamente concorrere

all’emersione del lavoro irregolare?

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17. Pensa che la liberalizzazione delle quote di immigrazione possa concorrere alla

limitazione del ricorso al sommerso?

Azioni di riordino degli ammortizzatori sociali

18. Nell’ottica di favorire le politiche attive relativamente ai sussidi di disoccupazione si

è pensato di sostenere l’integrazione locale agli stessi, così da esercitare, nel con-

tempo, un maggior controllo territoriale. Che ne pensa di tale prospettiva?

19. Cosa ne pensa dell’istituzione di un divieto di cumulo tra sussidi provenienti da vari

settori caratterizzati da lavoro a termine?

20. Cosa ne pensa di proporre un’alternativa secca tra un vero lavoro e una somma di

denaro per i lavoratori socialmente utili et similia?

21. Lei ritiene che recidere il legame tra certificazione della presenza nelle liste di di-

soccupazione e diritti conseguenti sia una misura che può favorire l’emersione? In

altre parole, ritiene che non poter godere di alcuni diritti per il proprio status di di-

soccupato renda poco conveniente mantenersi in una situazione irregolare

nell’attesa di poter godere di questi diritti?

22. Cosa ne pensa della proposta di capitalizzazione dei sussidi (dalle pensioni ai sus-

sidi di disoccupazione) per permettere l’inizio di una attività convenzionata? In ge-

nere, ritiene che l’incentivazione del lavoro autonomo contrasti efficacemente il la-

voro irregolare?

Opinioni di quadro

23. Secondo lei esistono situazioni di irregolarità che sono strutturalmente insanabili?

Vale a dire, esistono imprese che se emergessero sarebbero estromesse dal mercato?

24. Che ne pensa dell’ipotesi di diffondere la figura dei mediatori culturali per veicolare

la conoscenza di regole e valori poco conosciuti? Pensa che ciò sia un problema es-

senzialmente legato agli extra comunitari?

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Allegato 2

ELENCO DELLE PERSONE INTERVISTATE COME RAPPRESENTANTI DELLE ORGANIZZAZIONI LISTATE

1. Anci Veneto Letterio Turiaco

2. Camera di Commercio di Vicenza Dino Menarin

3. Casa Feno Giuliato, Salvatore D’Aliberti, Daniele Zottin

4. Ceav Lucio Martignago

5. Cenasca Guerrino Tagliaro

6. Ceva Maurizio Scomparcini

7. Cgia Giuseppe Bortolussi

8. Cgil Pierino Bettineschi (Dipartimento mercato del lavoro), Fabrizio Maritan, Sergio Franceschini, Danilo Lovadina (Caf Nord est), Lucia Basso, Stefano Cecconi (Segreteria confederale), Michele Carpinetti (Fillea)

9. Cida Giancarlo Locatelli

10. Cisal Bona Majer

11. Cisl Franco Lorenzon

12. Cna Veneto Luigi Fiorot

13. Confcommercio Veneto Massimo Albonetti

14. Confcooperative Veneto Francesco Brunello, Roberto Pezzi

15. Confesercenti Veneto Maurizio Franceschi

16. Consiglio regionale geometri Livio Guadagnini

17. Direzione regionale del lavoro Giovanni Ghezzo

18. Federalberghi Veneto Alessandro Peruch

19. Federazione regionale agricoltori Adolfo Andrighetti

20. Federazione regionale coltivatori diretti Federico Borgoni

21. Federazione regionale industriali Alessandro Riello

22. Federveneto API Giorgio Tamaro

23. Fiaip Francesco Marchetti

24. Frav Francesco Rizzardo

25. Inail Alessandro Crisci

26. Lega Cooperative Nicola Comunello

27. Ordine architetti Gianfranco Vecchiato, Francesco Paolo Rossi

28. Ordine consulenti del lavoro Gino Fior, Marco Degan

29. Ordine dottori commercialisti Marco Sambo

30. Ordine giornalisti Maurizio Paglialunga

31. Ordine ingegneri Antonio Ivan Ceola

32. Ugl Luca Dei Rossi

33. Uil Roberto Michieletti

34. Unci Giuseppe Benvenuto, Michele Moro

35. Unione collegi ragionieri e commercialisti Marcello Ferrante

36. Urpv Gabriella Faoro

37. Veneto Lavoro Sergio Rosato

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258

Allegato 3

QUESTIONARIO PER SOTTOPORRE A VALUTAZIONE LE MISURE SOTTO I PROFILI DELL’EFFICACIA, DELLA FATTIBILITÀ TECNICA E POLITICA, E DEI COSTI COMPLESSIVI (DIRETTI E INDIRETTI) PER LA LORO REALIZZAZIONE

(FASE 2 DELL’INDAGINE)

Misure di carattere fiscale

1. Per i settori caratterizzati da una forte stagionalità (in particolare turismo e agricoltura) applicazione di un credito di imposta per le imprese che stabilizzano il rapporto di lavoro nella forma del part-time verticale

2. Per gli straordinari e i super minimi pagati in nero nel settore privato, forte riduzione del prelievo fiscale per il lavoratore e forte riduzione dei versamenti contributivi per l’impresa

3. Esenzione dell’IRAP, per un tempo determinato, a fronte di nuove assunzioni

4. Permettere al consumatore finale di portare in detrazione nella propria dichiarazione dei redditi l’IVA relativamente a prestazioni professionali rivolte alle famiglie

5. Permettere al consumatore finale di portare in detrazione l’IVA e parte dei costi nella propria dichiarazione dei redditi per prestazioni professionali rivolte alle famiglie

6. Introduzione di una tassazione alla fonte (15%) senza versamento di contributi per tutti i lavori occasionali

7. Istituzione di un buono – facilmente acquisibile presso rivenditori autorizzati (esempio tabaccherie) - di varie taglie comprensivo dei costi accessori del salario netto (contributi e oneri fiscali) da utilizzare per impieghi di lavoratori occasionali ai quali verrà intestato il buono

Misure di carattere organizzativo/repressivo

8. Procedere a controlli unificati da parte di INPS, INAIL e Cassa Edile per l’edilizia su commessa pubblica

9. Procedere ad una riforma della normativa sulla comunicazione di assunzione all’INAIL in modo che i cosiddetti incidenti del primo giorno costino all’impresa molto più di un incidente occorso (ad esempio) nel quarto giorno di lavoro

10. Istituzione di autocertificazioni di regolarità dell’occupazione per le imprese che partecipano a gare d’appalto

11. Intensificazione delle verifiche preventive della congruità dell’offerta, relativamente al costo del lavoro (l. 327/2000), per le imprese vincitrici di una gara d’appalto

12. Istituzione di una certificazione contributiva rilasciata dall’INPS per le imprese che partecipano a gare d’appalto

13. Rendere obbligatoria la certificazione di impianti domestici per costringere alla relativa emissione di una fattura

14. Istituire un sistema di certificazione dell’impresa rilasciata da un organismo specifico per la partecipazione a gare d’appalto

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Misure di liberalizzazione/flessibilizzazione

15. Eliminazione del divieto di lavoro notturno per gli apprendisti maggiorenni

16. Eliminazione di ogni divieto di cumulo tra redditi da pensione (sia di vecchiaia che di anzianità) e redditi di altra natura

17. Procedere ad una tassazione separata tra i redditi da pensione (sia di vecchiaia che di anzianità) e redditi di altra natura

18. Rendere possibile ai dipendenti pubblici e privati la cumulabilità con redditi da doppi lavori anche se da libere professioni

19. Liberalizzare il numero di licenze per i mestieri attualmente contingentati

20. Aumento delle quote di immigrazione per meglio rispondere alle richieste del territorio

Azioni di riordino degli ammortizzatori sociali

21. Recidere il legame tra status di disoccupato e acquisizione di altri diritti (ad esempio per inserimento in gra-duatorie di Edilizia Residenziale Pubblica, esenzione ticket sanitario, etc.)

22. Avvio di pratiche di controllo - una volta messe in atto politiche attive efficaci sulla ri-occupazione - delegate sul territorio, per evitare il sommerso tra i disoccupati

23. Istituire e/o ampliare il divieto di cumulo per sussidi con adeguati sistemi di verifica

Nota: i punteggi da attribuire sono compresi in una scala da 1 a 10.

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Tab. 1 – Le valutazioni espresse sull’efficacia delle misure (n. casi 26)

1-2

3-4 5-6 7-8 9-10

A. Misure di carattere fiscale 1. Per i settori caratterizzati da una forte stagionalità (in particolare turismo e agricoltura)

applicazione di un credito di imposta per le imprese che stabilizzano il rapporto di lavoro nella forma del part-time verticale

12% 8% 42% 27% 12%

2. Per gli straordinari e i super minimi pagati in nero nel settore privato, forte riduzione del prelievo fiscale per il lavoratore e forte riduzione dei versamenti contributivi per l’impresa

8% 8% 31% 35% 19%

3. Esenzione dell’Irap, per un tempo determinato, a fronte di nuove assunzioni 15% 38% 46% 15% 4. Permettere al consumatore finale di portare in detrazione nella propria dichiarazione dei

redditi l’Iva relativamente a prestazioni professionali rivolte alle famiglie 12% 8% 23% 27% 31%

5. Permettere al consumatore finale di portare in detrazione l’Iva e parte dei costi nella propria dichiarazione dei redditi per prestazioni professionali rivolte alle famiglie

13% 8% 17% 33% 29%

6. Introduzione di una tassazione alla fonte (15%) senza versamento di contributi per tutti i lavori occasionali

4% 12% 35% 35% 15%

7. Istituzione di un buono – facilmente acquisibile presso rivenditori autorizzati (esempio tabaccherie) - di varie taglie comprensivo dei costi accessori del salario netto (contributi e oneri fiscali) da utilizzare per impieghi di lavoratori occasionali ai quali verrà intestato il buono

12% 20% 24% 36% 8%

B. Misure di carattere organizzativo/repressivo 8. Procedere a controlli unificati da parte di Inps, Inail e Cassa Edile per l’edilizia su

commessa pubblica 4% 40% 36% 20%

9. Procedere ad una riforma della normativa sulla comunicazione di assunzione all’Inail in modo che i cosiddetti incidenti del primo giorno costino all’impresa molto più di un incidente occorso (ad esempio) nel quarto giorno di lavoro

15% 12% 23% 27% 23%

10. Istituzione di autocertificazioni di regolarità dell’occupazione per le imprese che partecipano a gare d’appalto

4% 15% 23% 42% 15%

11. Intensificazione delle verifiche preventive della congruità dell’offerta, relativamente al costo del lavoro (l. 327/2000), per le imprese vincitrici di una gara d’appalto

4% 28% 44% 24%

12. Istituzione di una certificazione contributiva rilasciata dall’Inps per le imprese che partecipano a gare d’appalto

12% 12% 32% 24% 20%

13. Rendere obbligatoria la certificazione di impianti domestici per costringere alla relativa emissione di una fattura

15% 19% 27% 31% 8%

14. Istituire un sistema di certificazione dell’impresa rilasciata da un organismo specifico per la partecipazione a gare d’appalto

4% 15% 42% 35% 4%

C. Misure di liberalizzazione/flessibilizzazione 15. Eliminazione del divieto di lavoro notturno per gli apprendisti maggiorenni 8% 15% 31% 27% 19% 16. Eliminazione di ogni divieto di cumulo tra redditi da pensione (sia di vecchiaia che di

anzianità) e redditi di altra natura 4% 19% 46% 31%

17. Procedere ad una tassazione separata tra i redditi da pensione (sia di vecchiaia che di anzianità) e redditi di altra natura

4% 4% 15% 62% 15%

18. Rendere possibile ai dipendenti pubblici e privati la cumulabilità con redditi da doppi lavori anche se da libere professioni

4% 4% 44% 36% 12%

19. Liberalizzare il numero di licenze per i mestieri attualmente contingentati 8% 12% 32% 40% 8% 20. Aumento delle quote di immigrazione per meglio rispondere alle richieste del territorio 8% 8% 15% 50% 19% D. Azioni di riordino degli ammortizzatori sociali 21. Recidere il legame tra status di disoccupato e acquisizione di altri diritti (ad esempio per

inserimento in graduatorie di Edilizia Residenziale Pubblica, esenzione ticket sanitario, etc.)

8% 12% 27% 31% 23%

22. Avvio di pratiche di controllo - una volta messe in atto politiche attive efficaci sulla ri-occupazione - delegate sul territorio, per evitare il sommerso tra i disoccupati

12% 31% 35% 23%

23. Istituire e/o ampliare il divieto di cumulo per sussidi con adeguati sistemi di verifica 4% 23% 19% 50% 4% Fonte: ns. elab. su indagine diretta

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Tab. 2 – Le valutazioni espresse sulla fattibilità tecnica delle misure (n. casi 26)

1-2

3-4 5-6 7-8 9-10

A. Misure di carattere fiscale 1. Per i settori caratterizzati da una forte stagionalità (in particolare turismo e agricoltura)

applicazione di un credito di imposta per le imprese che stabilizzano il rapporto di lavoro nella forma del part-time verticale

4% 27% 58% 12%

2. Per gli straordinari e i super minimi pagati in nero nel settore privato, forte riduzione del prelievo fiscale per il lavoratore e forte riduzione dei versamenti contributivi per l’impresa

12% 4% 19% 42% 23%

3. Esenzione dell’Irap, per un tempo determinato, a fronte di nuove assunzioni 35% 35% 31% 4. Permettere al consumatore finale di portare in detrazione nella propria dichiarazione dei

redditi l’Iva relativamente a prestazioni professionali rivolte alle famiglie 8% 4% 19% 50% 19%

5. Permettere al consumatore finale di portare in detrazione l’Iva e parte dei costi nella propria dichiarazione dei redditi per prestazioni professionali rivolte alle famiglie

8% 29% 42% 21%

6. Introduzione di una tassazione alla fonte (15%) senza versamento di contributi per tutti i lavori occasionali

12% 15% 58% 15%

7. Istituzione di un buono – facilmente acquisibile presso rivenditori autorizzati (esempio tabaccherie) - di varie taglie comprensivo dei costi accessori del salario netto (contributi e oneri fiscali) da utilizzare per impieghi di lavoratori occasionali ai quali verrà intestato il buono

16% 16% 32% 32% 4%

B. Misure di carattere organizzativo/repressivo 8. Procedere a controlli unificati da parte di Inps, Inail e Cassa Edile per l’edilizia su

commessa pubblica 20% 60% 20%

9. Procedere ad una riforma della normativa sulla comunicazione di assunzione all’Inail in modo che i cosiddetti incidenti del primo giorno costino all’impresa molto più di un incidente occorso (ad esempio) nel quarto giorno di lavoro

4% 12% 15% 46% 23%

10. Istituzione di autocertificazioni di regolarità dell’occupazione per le imprese che partecipano a gare d’appalto

8% 54% 38%

11. Intensificazione delle verifiche preventive della congruità dell’offerta, relativamente al costo del lavoro (l. 327/2000), per le imprese vincitrici di una gara d’appalto

12% 28% 48% 12%

12. Istituzione di una certificazione contributiva rilasciata dall’Inps per le imprese che partecipano a gare d’appalto

8% 36% 36% 20%

13. Rendere obbligatoria la certificazione di impianti domestici per costringere alla relativa emissione di una fattura

4% 8% 38% 31% 19%

14. Istituire un sistema di certificazione dell’impresa rilasciata da un organismo specifico per la partecipazione a gare d’appalto

8% 24% 24% 36% 8%

C. Misure di liberalizzazione/flessibilizzazione 15. Eliminazione del divieto di lavoro notturno per gli apprendisti maggiorenni 4% 15% 35% 46% 16. Eliminazione di ogni divieto di cumulo tra redditi da pensione (sia di vecchiaia che di

anzianità) e redditi di altra natura 8% 44% 48%

17. Procedere ad una tassazione separata tra i redditi da pensione (sia di vecchiaia che di anzianità) e redditi di altra natura

8% 19% 46% 27%

18. Rendere possibile ai dipendenti pubblici e privati la cumulabilità con redditi da doppi lavori anche se da libere professioni

4% 4% 20% 52% 20%

19. Liberalizzare il numero di licenze per i mestieri attualmente contingentati 8% 20% 44% 28% 20. Aumento delle quote di immigrazione per meglio rispondere alle richieste del territorio 19% 58% 23%

D. Azioni di riordino degli ammortizzatori sociali

21. Recidere il legame tra status di disoccupato e acquisizione di altri diritti (ad esempio per inserimento in graduatorie di Edilizia Residenziale Pubblica, esenzione ticket sanitario, etc.)

4% 31% 42% 23%

22. Avvio di pratiche di controllo - una volta messe in atto politiche attive efficaci sulla ri-occupazione - delegate sul territorio, per evitare il sommerso tra i disoccupati

12% 31% 42% 15%

23. Istituire e/o ampliare il divieto di cumulo per sussidi con adeguati sistemi di verifica 19% 23% 42% 15%

Fonte: ns. elab. su indagine diretta

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Tab. 3 – Le valutazioni espresse sulla fattibilità politica delle misure (n. casi 26)

1-2

3-4 5-6 7-8 9-10

A. Misure di carattere fiscale 1. Per i settori caratterizzati da una forte stagionalità (in particolare turismo e agricoltura)

applicazione di un credito di imposta per le imprese che stabilizzano il rapporto di lavoro nella forma del part-time verticale

4% 8% 38% 42% 8%

2. Per gli straordinari e i super minimi pagati in nero nel settore privato, forte riduzione del prelievo fiscale per il lavoratore e forte riduzione dei versamenti contributivi per l’impresa

15% 23% 27% 27% 8%

3. Esenzione dell’Irap, per un tempo determinato, a fronte di nuove assunzioni 8% 12% 38% 35% 8% 4. Permettere al consumatore finale di portare in detrazione nella propria dichiarazione dei

redditi l’Iva relativamente a prestazioni professionali rivolte alle famiglie 15% 12% 23% 38% 12%

5. Permettere al consumatore finale di portare in detrazione l’Iva e parte dei costi nella propria dichiarazione dei redditi per prestazioni professionali rivolte alle famiglie

21% 8% 29% 29% 13%

6. Introduzione di una tassazione alla fonte (15%) senza versamento di contributi per tutti i lavori occasionali

12% 15% 31% 35% 8%

7. Istituzione di un buono – facilmente acquisibile presso rivenditori autorizzati (esempio tabaccherie) - di varie taglie comprensivo dei costi accessori del salario netto (contributi e oneri fiscali) da utilizzare per impieghi di lavoratori occasionali ai quali verrà intestato il buono

12% 28% 24% 32% 4%

B. Misure di carattere organizzativo/repressivo 8. Procedere a controlli unificati da parte di Inps, Inail e Cassa Edile per l’edilizia su

commessa pubblica 8% 36% 48% 8%

9. Procedere ad una riforma della normativa sulla comunicazione di assunzione all’Inail in modo che i cosiddetti incidenti del primo giorno costino all’impresa molto più di un incidente occorso (ad esempio) nel quarto giorno di lavoro

15% 12% 31% 27% 15%

10. Istituzione di autocertificazioni di regolarità dell’occupazione per le imprese che partecipano a gare d’appalto

4% 15% 62% 19%

11. Intensificazione delle verifiche preventive della congruità dell’offerta, relativamente al costo del lavoro (l. 327/2000), per le imprese vincitrici di una gara d’appalto

16% 24% 52% 8%

12. Istituzione di una certificazione contributiva rilasciata dall’Inps per le imprese che partecipano a gare d’appalto

24% 16% 40% 20%

13. Rendere obbligatoria la certificazione di impianti domestici per costringere alla relativa emissione di una fattura

4% 4% 50% 42%

14. Istituire un sistema di certificazione dell’impresa rilasciata da un organismo specifico per la partecipazione a gare d’appalto

4% 36% 24% 32% 4%

C. Misure di liberalizzazione/flessibilizzazione 15. Eliminazione del divieto di lavoro notturno per gli apprendisti maggiorenni 8% 27% 50% 15% 16. Eliminazione di ogni divieto di cumulo tra redditi da pensione (sia di vecchiaia che di

anzianità) e redditi di altra natura 8% 28% 36% 28%

17. Procedere ad una tassazione separata tra i redditi da pensione (sia di vecchiaia che di anzianità) e redditi di altra natura

8% 8% 27% 46% 12%

18. Rendere possibile ai dipendenti pubblici e privati la cumulabilità con redditi da doppi lavori anche se da libere professioni

4% 12% 56% 24% 4%

19. Liberalizzare il numero di licenze per i mestieri attualmente contingentati 24% 48% 28% 20. Aumento delle quote di immigrazione per meglio rispondere alle richieste del territorio 12% 19% 50% 15% 4%

D. Azioni di riordino degli ammortizzatori sociali

21. Recidere il legame tra status di disoccupato e acquisizione di altri diritti (ad esempio per inserimento in graduatorie di Edilizia Residenziale Pubblica, esenzione ticket sanitario, etc.)

4% 23% 50% 23%

22. Avvio di pratiche di controllo - una volta messe in atto politiche attive efficaci sulla ri-occupazione - delegate sul territorio, per evitare il sommerso tra i disoccupati

15% 42% 35% 8%

23. Istituire e/o ampliare il divieto di cumulo per sussidi con adeguati sistemi di verifica 4% 15% 50% 31%

Fonte: ns. elab. su indagine diretta

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Tab. 4 – Le valutazioni espresse sui costi diretti e indiretti previsti (n. casi 26)

1-2

3-4 5-6 7-8 9-10

A. Misure di carattere fiscale 1. Per i settori caratterizzati da una forte stagionalità (in particolare turismo e agricoltura)

applicazione di un credito di imposta per le imprese che stabilizzano il rapporto di lavoro nella forma del part-time verticale

8% 19% 42% 19% 12%

2. Per gli straordinari e i super minimi pagati in nero nel settore privato, forte riduzione del prelievo fiscale per il lavoratore e forte riduzione dei versamenti contributivi per l’impresa

15% 38% 35% 12%

3. Esenzione dell’Irap, per un tempo determinato, a fronte di nuove assunzioni 8% 42% 46% 4% 4. Permettere al consumatore finale di portare in detrazione nella propria dichiarazione dei

redditi l’Iva relativamente a prestazioni professionali rivolte alle famiglie 4% 19% 23% 35% 19%

5. Permettere al consumatore finale di portare in detrazione l’Iva e parte dei costi nella propria dichiarazione dei redditi per prestazioni professionali rivolte alle famiglie

4% 17% 21% 38% 21%

6. Introduzione di una tassazione alla fonte (15%) senza versamento di contributi per tutti i lavori occasionali

12% 12% 48% 24% 4%

7. Istituzione di un buono – facilmente acquisibile presso rivenditori autorizzati (esempio tabaccherie) - di varie taglie comprensivo dei costi accessori del salario netto (contributi e oneri fiscali) da utilizzare per impieghi di lavoratori occasionali ai quali verrà intestato il buono

16% 24% 28% 20% 12%

B. Misure di carattere organizzativo/repressivo 8. Procedere a controlli unificati da parte di Inps, Inail e Cassa Edile per l’edilizia su

commessa pubblica 12% 16% 48% 24%

9. Procedere ad una riforma della normativa sulla comunicazione di assunzione all’InaiL in modo che i cosiddetti incidenti del primo giorno costino all’impresa molto più di un incidente occorso (ad esempio) nel quarto giorno di lavoro

15% 15% 31% 27% 12%

10. Istituzione di autocertificazioni di regolarità dell’occupazione per le imprese che partecipano a gare d’appalto

31% 31% 19% 8% 12%

11. Intensificazione delle verifiche preventive della congruità dell’offerta, relativamente al costo del lavoro (l. 327/2000), per le imprese vincitrici di una gara d’appalto

8% 20% 36% 24% 12%

12. Istituzione di una certificazione contributiva rilasciata dall’Inps per le imprese che partecipano a gare d’appalto

4% 20% 56% 16% 4%

13. Rendere obbligatoria la certificazione di impianti domestici per costringere alla relativa emissione di una fattura

8% 15% 46% 19% 12%

14. Istituire un sistema di certificazione dell’impresa rilasciata da un organismo specifico per la partecipazione a gare d’appalto

8% 15% 27% 38% 12%

C. Misure di liberalizzazione/flessibilizzazione 15. Eliminazione del divieto di lavoro notturno per gli apprendisti maggiorenni 27% 27% 31% 12% 4% 16. Eliminazione di ogni divieto di cumulo tra redditi da pensione (sia di vecchiaia che di

anzianità) e redditi di altra natura 15% 31% 35% 15% 4%

17. Procedere ad una tassazione separata tra i redditi da pensione (sia di vecchiaia che di anzianità) e redditi di altra natura

8% 23% 42% 23% 4%

18. Rendere possibile ai dipendenti pubblici e privati la cumulabilità con redditi da doppi lavori anche se da libere professioni

16% 40% 28% 16%

19. Liberalizzare il numero di licenze per i mestieri attualmente contingentati 20% 44% 20% 12% 4% 20. Aumento delle quote di immigrazione per meglio rispondere alle richieste del territorio 4% 19% 27% 38% 12%

D. Azioni di riordino degli ammortizzatori sociali

21. Recidere il legame tra status di disoccupato e acquisizione di altri diritti (ad esempio per inserimento in graduatorie di Edilizia Residenziale Pubblica, esenzione ticket sanitario, etc.)

19% 23% 27% 27% 4%

22. Avvio di pratiche di controllo - una volta messe in atto politiche attive efficaci sulla ri-occupazione - delegate sul territorio, per evitare il sommerso tra i disoccupati

12% 4% 35% 50%

23. Istituire e/o ampliare il divieto di cumulo per sussidi con adeguati sistemi di verifica 4% 15% 38% 42%

Fonte: ns. elab. su indagine diretta

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PARTE TERZA:

IMMIGRATI E LAVORO NERO

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Capitolo 7°

IL LAVORO IRREGOLARE DEGLI IMMIGRATI EXTRACOMUNITARI:

EVIDENZE STATISTICHE

Scopo di questo capitolo è introdurre le tematiche di approfondimento sul lavoro nero

degli immigrati affrontate di seguito, offrendo alcune informazioni desunte dalle stati-

stiche disponibili.

La condizione di “lavoratore immigrato non regolare” contempla due posizioni:

a. la prima di tipo esclusivamente “lavoristico”, quando a fronte del possesso di un

permesso di soggiorno valido (che consente in particolare lo svolgimento di un’atti-

vità lavorativa) non si ha regolarità di posizione lavorativa;

b. la seconda di carattere generale quando il soggetto immigrato lavora senza posse-

dere un permesso di soggiorno valido.

7.1 Immigrati regolarmente presenti ma irregolari sul lavoro

Il verificarsi delle irregolarità del primo tipo è abbastanza frequente: secondo stime

condotte al livello nazionale1, su 100 occupati immigrati irregolari circa il 68% riguar-

da immigrati con permesso di soggiorno.

Questo dato sembra trovare riscontro anche nel confronto tra gli stock dei permessi di

soggiorno validi e i lavoratori risultanti dagli archivi Inps (tab. 1). Senza entrare nel

merito delle difficoltà di comparazione delle due fonti2 che rendono instabili i giudizi

espressi, si può osservare come il tasso di copertura degli archivi Inps - calcolato sugli

1. Reyneri E. (2001), “Il mercato del lavoro” in Zincone G. (a cura di), Secondo rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia, il Mulino, Bologna.

2. Bragato S., Occari F., Valentini M. (2002), “I problemi di contabilizzazione dei lavoratori extracomu-nitari. Una verifica nelle province di Treviso e Vicenza”, in Economia e società regionale, 4.

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stock dei permessi validi3 rilasciati per motivi di lavoro e di famiglia - sia molto lontano

dall’unità (circa 50%) in entrambi gli anni analizzati (1999-2000). È vero che non tutti

i soggetti con permesso di soggiorno lavorano, ma data la non corrispondenza tra mo-

tivo del permesso e condizione professionale è ormai prassi metodologica consolidata

utilizzare lo stock riferito a due gruppi di motivi (lavoro e famiglia) come universo di

riferimento per analisi di questo tipo.4

Tab. 1 – Veneto. Permessi di soggiorno rilasciati a cittadini extracomunitari per motivo e lavoratori risultanti dagli archivi Inps

1998

1999

2000

Permessi per motivo**** Per Lavoro 57.920 74.423 82.721 Lavoro subordinato 46.086 61.219 68.548 Ricerca di lavoro 5.864 5.376 5.178 Lavoro autonomo 3.797 7.060 8.995 Permessi umanitari con possibilità di lavorare 2.173 768 0 Per Famiglia 26.432 35.046 40.743 Sub-totale 84.352 109.469 123.464 Altri motivi 4.922 7.192 6.669 TOTALE PERMESSI DI SOGGIORNO 89.274 116.661 130.133 Lavoratori extracomunitari in base agli archivi Inps Dipendenti dell'Industria e dei servizi* 34.678 39.436 47.180 Dipendenti agricoli*** 4.714 5.931 7.403 Domestici** 4.703 5.288 6.121 Autonomi** 1.166 1.526 nd TOTALE 45.261 52.181 60.704 % permessi (sub-totale) su lavoratori 53,7% 47,7% 49,2%

(*) numero medio annuo di lavoratori risultanti dalle denunce mensili. (**) lavoratori per i quali risulta almeno un versamento di contributi nell'anno. (***) lavoratori per i quali risulta almeno un versamento di contributi nell'anno; somma di lavoratori a tempo determinato e

indeterminato (il dato può essere lievemente sovrastimato per la presenza in capo al medesimo soggetto dei due tipi di rapporto).

(****) permessi validi al 31.12.

Fonte: ns. elab. su dati Istat per i permessi di soggiorno; su dati Inps per i lavoratori

Anche la considerazione che circa il 10% dei permessi di soggiorno è riferibile a minori

non invalida il confronto. Vi è un’altra ragione che può incidere nell’abbassare il valore

del rapporto tra i dati delle due fonti ed è la diversità delle date di riferimento: 31.12

per i permessi, medie annuali (dipendenti dell’industria e dei servizi) o flusso-presenza

3. Si ricorda che i dati sui permessi utilizzati sono di fonte Istat e quindi costituiscono informazioni originariamente prodotte dal Ministero dell’Interno e trattate dall’Istat con gli opportuni criteri di pu-lizia degli archivi.

4. Va precisato che anche una parte dei permessi rilasciati per altri motivi dà diritto al lavoro (ad esem-pio asilo, studio, turismo limitatamente al caso di lavoro autonomo) e, quindi, qualche volta, nel confronto tra le due fonti si utilizza lo stock complessivo dei permessi. Non averlo fatto in questa sede mette ancora più in risalto la discrepanza tra il dato sui permessi di soggiorno e quello sui con-tribuenti Inps.

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annuale negli archivi (agricoli, domestici, autonomi) per i dati Inps. Ebbene, in altre ri-

cerche5 si sono utilizzati i dati delle denunce a dicembre dei lavoratori dell’industria e

dei servizi (che costituiscono il contingente più numeroso), ma il confronto non ha

stravolto i termini di paragone.

Infine si ha ragione di ritenere, in base alle verifiche condotte in due province venete,6

che le difficoltà di computo dei lavoratori negli archivi Inps non riguardino tanto i dipen-

denti dell’industria e dei servizi, quanto piuttosto gli agricoli, i domestici e gli autonomi.

In assenza di informazioni più dettagliate e precise sui lavoratori extracomunitari, con

i dati Inps attualmente disponibili si può presumere l’esistenza di una quota elevata di

cittadini extracomunitari in regola con il permesso di soggiorno (per lavoro e per fami-

glia) occupati in nero, a meno che non si ritenga che circa la metà degli extracomuni-

tari regolarmente presenti vivano di attività illegali/illecite o che gli archivi Inps ab-

biano notevoli problemi nel determinare compiutamente il numero (stock) degli occu-

pati extracomunitari regolari. Quest’ultima ipotesi, oggetto di attente verifiche ancora

in corso, sembra suffragata da analisi condotte sugli Archivi Netlabor le quali, alla fine

del 2000, hanno quantificato gli extracomunitari regolarmente al lavoro in Veneto in

misura sensibilmente maggiore a quanto riportato nei dati Inps: circa 70.000 occupati

dipendenti (domestici inclusi) a fine anno, cui si possono aggiungono altri 25.000

extracomunitari impegnati regolarmente nel corso dell’anno.7

Le ipotesi di un’ampia diffusione di lavoro nero tra immigrati sono corroborate anche

dalla quota consistente di lavoratori immigrati in nero trovati durante le visite ispettive

(pari nel 2002 a circa il 33% del totale di “lavoratori sconosciuti”).8

La fonte statistica derivante dalle attività ispettive ci è utile per capire quanto pesa il

fenomeno dell’occupazione irregolare degli immigrati con permesso di soggiorno. Si

utilizzano i dati del Ministero del lavoro e, in particolare, della Direzione regionale del

Veneto che raccoglie le informazioni dalle sedi provinciali, le quali aggregano i dati re-

lativi ai lavoratori extracomunitari incontrati durante le visite ispettive (ordinarie, spe-

5. Coses (2001), Rapporto Intemigra. L’immigrazione in Veneto, Venezia. 6 Bragato S., Occari F., Valentini M. (2002), op. cit. 7. Cfr. Veneto Lavoro, Lavoratori extracomunitari in Veneto. Un quadro aggiornato, ottobre 2002 (in

www.venetolavoro.it). Ricerche e studi in corso dovrebbero, entro breve tempo, dirimere il problema della “solidità” dei dati qui citati. In particolare è in corso, tra i lavori dell’Osservatorio, un match tra Archivi Netlabor al 31.12.2000 e Archivi Inps (sui rapporti di lavoro aperti) i cui risultati dovrebbero consentire un giudizio finale (si spera) sul livello del lavoro regolare dipendente degli extracomunitari in Veneto.

8. Cfr. cap. 1, tab. 9 per il riepilogo. Si rinvia al cap. 3 per maggiori dettagli sui dati Inps.

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ciali/integrate, congiunte e integrate9) distinguendo i regolari dagli irregolari e sepa-

rando questi ultimi in “con permesso di soggiorno” e “senza permesso di soggiorno”.

In base alle informazioni raccolte durante la fase istruttoria, all’uso che di questi dati

si è fatto in altre ricerche10 e alla definizione della fonte “Vigilanza contro il fenomeno

dell’occupazione abusiva di cittadini extracomunitari”, gli irregolari senza permesso di

soggiorno si leggono come lavoratori in nero irregolari anche rispetto alla condizione

amministrativa (quindi clandestini o con permesso scaduto), gli irregolari con per-

messo come lavoratori in nero regolari.

Gli elementi principali che scaturiscono dall’analisi dei dati ricavati sono i seguenti

(tab. 2):

ogni anno sono stati “scoperti” oltre 1.000 immigrati irregolari sul lavoro; l’inciden-

za degli irregolari sul totale dei lavoratori extracomunitari presenti nelle aziende

ispezionate è aumentata, passando dal 15% del 2000 al 24% del 2002; pertanto la

regolarità dell’occupazione dei lavoratori extracomunitari scende in Veneto, nelle

aziende oggetto di ispezione, dall’85% del 2000 al 76% del 2002;

ogni 100 lavoratori extracomunitari occupati presso le aziende visitate, una quota

crescente, che va dall’8% del 2000 al 17% del 2002, è rappresentata da lavoratori

in nero nonostante siano dotati di permesso di soggiorno regolare; sostanzialmente

stabile è invece la percentuale degli impieghi dei clandestini (7%); quindi sul totale

degli irregolari “scoperti”, i senza permesso variano in Veneto dal 49% del 2000 al

30% del 2002: essi risultano dunque sempre una quota minoritaria;

nell’ultimo biennio, sempre con riferimento alle aziende ispezionate, la maggior in-

cidenza di immigrati irregolari è stata rintracciata nel terziario e nell’artigianato

(rispettivamente 25% e 52% dei presenti nel 2002);

in tutti i settori (esclusa l’agricoltura nel 2000, segnata da un caso rilevante di

ampio ricorso a manodopera clandestina localizzato nel vicentino) si osserva una

netta prevalenza degli irregolari con permesso rispetto ai clandestini.

Dai dati sulle visite ispettive emerge quindi la presenza di una quota considerevole di

lavoratori in nero che hanno il permesso di soggiorno. Questa informazione non è

certo sufficiente per stimare quanti sono i lavoratori in nero regolari sui circa 123.000

permessi risultanti in Veneto al 2000.

9. Per le definizioni si veda il paragrafo 3.2. 10. Reyneri E. (2001), op. cit.

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Tab. 2 - Lavoratori extracomunitari regolari e irregolari: risultati delle visite ispettive. Province del Veneto e settori. Anni 2000-2002

Irregolari

Regolari senza p.s. con p.s. totale

Totale

2000 Settori Agricoltura 35 318 16 334 369 Industria 3.684 32 121 153 3.837 Artigianato 1.367 78 181 259 1.626 Terziario (1) 661 81 210 291 952 Province Belluno 3 13 49 62 65 Padova 558 43 79 122 680 Rovigo 75 13 52 65 140 Treviso 247 63 3 66 313 Venezia 1 20 106 126 127 Verona 379 47 239 286 665 Vicenza 4.484 310 0 310 4.794 VENETO 5.747 509 528 1.037 6.784 Composizione % 84,7% 7,5% 7,8% 15,3% 100,0% 2001 Settori Agricoltura 202 31 39 70 272 Industria 3.294 61 189 250 3.544 Artigianato 584 80 415 495 1.079 Terziario (1) 585 61 180 241 826 Province Belluno 79 24 23 47 126 Padova 878 49 49 98 976 Rovigo 227 17 78 95 322 Treviso 2.065 76 205 281 2.346 Venezia 12 53 187 240 252 Verona 751 6 175 181 932 Vicenza 653 8 106 114 767 VENETO 4.665 233 823 1.056 5.721 Composizione % 81,5% 4,1% 14,4% 18,5% 100,0% 2002 (2) Settori Agricoltura 84 17 30 47 131 Industria 2.758 79 275 354 3.112 Artigianato 561 209 399 608 1.169 Terziario (1) 1.734 159 416 575 2.309 Province Belluno 133 16 12 28 161 Padova 1.021 159 112 271 1.292 Rovigo 183 41 93 134 317 Treviso 975 18 92 110 1.085 Venezia 12 79 429 508 520 Verona 2.156 56 196 252 2.408 Vicenza 657 95 186 281 938 VENETO 5.137 464 1.120 1.584 6.721 Composizione % 76,4% 6,9% 16,7% 23,6% 100,0%

(1) il settore terziario comprende: commercio, credito e assicurazioni, spettacolo, trasporti, alberghi-pubblici esercizi e servizi domestici.

(2) per il 2002 dati provvisorii.

Fonte: ns. elab. su dati visite ispettive della Direzione regionale del Ministero del lavoro

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Inoltre, se si assume il rapporto tra lavoratori in nero con permesso su totale dei lavo-

ratori regolarmente presenti nelle aziende ispezionate (18%), come indice utile per sti-

mare il totale dei lavoratori in nero con permesso al 2000, non si riesce comunque a

spiegare la forte differenza tra dati Inps e stock dei permessi di soggiorno. Infatti, ap-

plicando questo indice alla stima complessiva degli immigrati regolarmente occupati,

si arriverebbe ad una stima di massima (ordine di grandezza) pari a circa 10.000 lavo-

ratori in nero con permesso valido, il che non riduce in modo significativo le discre-

panze già indicate tra archivi Inps e Ministero dell’Interno.

7.2 Il lavoro degli immigrati irregolarmente presenti

Un approfondimento sui lavoratori clandestini, o comunque non in regola con il per-

messo, viene consentito dall’analisi dei dati riferiti all’ultima sanatoria (1998) e dalle

informazioni sulle richieste di regolarizzazione presentate nel 2002.

In questo momento, da poco conclusasi la fase di presentazione delle richieste di regola-

rizzazione ai sensi della legge Bossi-Fini, si sta discutendo non solo degli effetti sul la-

voro nero che potrà avere una procedura di regolarizzazione così lunga,11 ma soprattutto

delle ragioni che hanno portato ad una domanda di regolarizzazione di tale entità (circa

702.000 richieste in Italia).

Tab. 3 - Tassi di irregolarità per cittadinanza in Veneto sulla base della sanatoria del 1998

Paese di cittadinanza Permessi al 31.12.1998

Regolarizzati ex sanatoria

1998

Tassi di irregola-rità

Permessi al 31.12.2000

Stima irregolari al 2000

Moldavia 53 151 284,91 736 2.097 Camerun 253 170 67,19 438 294 Georgia 6 4 66,67 16 11 Nigeria 2.786 1.811 65,00 4.637 3.014 Yemen 2 1 50,00 3 2 Romania 4.020 1.992 49,55 8.975 4.447 Congo 27 12 44,44 128 57 Ecuador 123 52 42,28 263 111 Cina 3.166 1.268 40,05 5.499 2.202 Albania 7.067 2.382 33,71 12.707 4.283 Pakistan 376 113 30,05 612 184 Macedonia 2.107 564 26,77 3.910 1.047

(segue)

11. Ogni sanatoria ha tempi lunghissimi: chi frequenta le questure ha ben un’idea della mole di lavoro quotidiano in situazioni di normalità che si trasforma in vero caos nei periodi delle sanatorie. Per avere i dati definitivi dell’ultima sanatoria (1998) si è dovuto attendere fino alla primavera del 2002. Per la regolarizzazione in corso si prevedono, come minimo, tempi altrettanto lunghi.

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Tab. 3 - Tassi di irregolarità per cittadinanza in Veneto sulla base della sanatoria del 1998 (segue)

Cittadinanza Permessi al 31.12.1998

Regolarizzati ex sanatoria

1998

Tassi di irregolarità

Permessi al 31.12.2000

Stima irregolari al 2000

Armenia 12 3 25,00 22 6 Ucraina 252 58 23,02 639 147 Ghana 5.247 988 18,83 6.424 1.210 Guinea 156 28 17,95 215 39 Benin (Dahomey) 59 10 16,95 78 13 Colombia 699 117 16,74 1.070 179 Sudan 24 4 16,67 36 6 Mauritania 67 11 16,42 78 13 Marocco 15.538 2.420 15,57 21.938 3.417 Bolivia 45 7 15,56 59 9 Togo 110 17 15,45 149 23 India 1.809 274 15,15 3.180 482 Senegal 3.065 451 14,71 4.008 590 Giordania 168 23 13,69 195 27 Bosnia - Erzegovina 2.239 299 13,35 3.272 437 Brasile 1.170 149 12,74 1.744 222 Sri Lanka (Ceylon) 1.882 232 12,33 2.871 354 Congo Rep. Dem.(Zaire) 134 16 11,94 94 11 Bangladesh 1.547 180 11,64 3.142 366 Filippine 1.697 197 11,61 2.116 246 Polonia 944 108 11,44 1.435 164 Capo Verde 18 2 11,11 23 3 Haiti 18 2 11,11 23 3 Egitto 236 25 10,59 285 30 Gambia 29 3 10,34 41 4 Siria 157 16 10,19 191 19 Peru' 463 47 10,15 673 68 Estonia 31 3 9,68 25 2 Libano 189 18 9,52 195 19 Kenia 43 4 9,30 66 6 Mali 22 2 9,09 36 3 Slovacchia 182 16 8,79 361 32 Eritrea 71 6 8,45 132 11 Etiopia 142 12 8,45 142 12 Mozambico 12 1 8,33 18 2 Uganda 12 1 8,33 15 1 Bulgaria 342 28 8,19 489 40 Lituania 25 2 8,00 58 5 Turchia 159 12 7,55 218 16 Ceca Rep. 323 24 7,43 456 34 Costa d'Avorio 588 42 7,14 845 60 Uruguay 43 3 6,98 41 3 Jugoslavia (Serbia-Montenegro) 9.897 690 6,97 12.444 868 Tunisia 2.088 140 6,70 2.716 182 Palestina 15 1 6,67 18 1 Ungheria 321 21 6,54 421 28 Algeria 811 52 6,41 1.158 74 Burundi 32 2 6,25 36 2 Slovenia 208 13 6,25 278 17 Uzbekistan 33 2 6,06 22 1 Liberia 17 1 5,88 24 1 Australia 103 6 5,83 134 8 Venezuela 160 9 5,63 204 11 Sierra Leone 18 1 5,56 27 2 Altre cittadinanze 14.473 347 0,02 16.399 393 TOTALE 88.131 15.666 0,18 128.903 27.670

Nota: sono state considerate solo le cittadinanze per le quali sono risultate regolarizzazioni in base alla sanatoria del 1998

Fonte: ns. elab. su dati del Ministero dell'interno (2002) per regolarizzati e su dati Istat per permessi nel 1998 e 2000

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Prima di presentare i dati veneti sulla regolarizzazione del 2002, è interessante analiz-

zare i dati dell’ultima sanatoria con i quali è possibile calcolare i tassi di irregolarità

per cittadinanza (rapportando i regolarizzati sullo stock di permessi precedente la sa-

natoria). Tali tassi, in assenza di altre informazioni sulla presenza clandestina (o irre-

golare12), possono essere applicati agli stock successivi (di momenti post-sanatoria) per

stimare la presenza irregolare degli immigrati. Nell’applicare questo metodo si assume

un’ipotesi di stabilità dei tassi di irregolarità nel tempo, presupponendo una sorta di

costanza (nel medio periodo) tra flussi regolari e non regolari anche se nel tempo il

rapporto tra regolari e clandestini può mutare a seconda dell’interazione tra effetti di

attrazione esercitati dall’ambiente di arrivo, possibilità concrete di inserimento lavora-

tivo regolare e “svuotamenti” operati dalle ricorrenti sanatorie. L’arrivo di nuove co-

munità che si insediano nel territorio apre di fatto le frontiere ad altri connazionali che

entrano sia legalmente che illegalmente.

Con i dati della sanatoria del 1998 si è stimata la presenza clandestina alla fine del

200013 (tab. 3), dunque in un arco temporale breve. A distanza di due anni e mezzo

circa (la sanatoria del 1998 si riferiva a chi era presente in Italia nel mese di marzo

dello stesso anno) si può stimare si sia formato in Veneto un contingente di clande-

stini o irregolari di circa 27.700 unità, pari a circa 12.000 unità in più del precedente

contingente formatosi nei due anni successivi alla precedente sanatoria risalente al

“Decreto Dini” della fine del 1995.

Tab. 4 - Richieste di regolarizzazione presentate nel 2002

Valori % sul totale Comp. % Lavoro in azienda

Lavoro in famiglia

Totale Comp. % Lav.

azienda

Lav. famiglia

Lav. azienda

Lav. famiglia

Belluno 443 861 1.304 2,1% 34,0% 66,0% 1,2% 3,4% Padova 7.471 5.893 13.364 21,8% 55,9% 44,1% 20,5% 23,6% Rovigo 969 939 1.908 3,1% 50,8% 49,2% 2,7% 3,8% Treviso 7.565 4.167 11.732 19,1% 64,5% 35,5% 20,7% 16,7% Venezia 4.480 4.945 9.425 15,3% 47,5% 52,5% 12,3% 19,8% Verona 8.757 4.094 12.851 20,9% 68,1% 31,9% 24,0% 16,4% Vicenza 6.774 4.060 10.834 17,6% 62,5% 37,5% 18,6% 16,3% VENETO 36.459 24.959 61.418 100,0% 59,4% 40,6% 100,0% 100,0%

Fonte: ns. elab. su dati del Ministero dell'Interno (16.12.2002); www.stranieri.it

12. Vale a dire con permesso di soggiorno scaduto a seguito di mancato rinnovo, molto spesso conte-stuale allo svolgimento di un’attività in nero.

13. È l’ultimo stock disponibile, per quanto riguarda i permessi di soggiorno, di fonte ufficiale Istat.

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È probabile che la regolarizzazione in corso faccia emergere tassi di irregolarità assai

elevati per le comunità di più recente insediamento (es. la comunità moldava; lo stesso

vale per i cinesi dei quali sono molto noti i flussi di arrivo continuo di irregolari che

non avranno certo mancato di far chiedere a veri o presunti datori di lavoro la regola-

rizzazione).

Le richieste pervenute per l’attuale regolarizzazione sono circa 61.400 (tab. 4). Ammes-

so che i doppioni (più datori di lavoro per un medesimo lavoratore con spezzoni di la-

voro) siano numericamente pochi, il dato è molto più elevato in confronto alle richieste

avanzate nella sanatoria precedente (15.666), ma la distanza è inferiore se confrontata

con la clandestinità stimata al 2000.

In dettaglio, l’attuale regolarizzazione interessa principalmente le provincie di Padova

(22% delle richieste), Verona (21%), Treviso (19%), Vicenza (18%) e Venezia (15%); il

restante 5% spetta a Belluno e Rovigo. L’84% delle domande per lavoro in azienda è

concentrato nelle quattro province di Padova, Treviso, Verona e Vicenza.

Sulla notevole differenza tra il risultato atteso, ipotizzabile - vista la stima riferita a

due anni fa - attorno ad almeno 30.000 unità, e quello effettivo (61.400), ha sicura-

mente influito il fatto che per la prima volta nella storia delle sanatorie italiane si è

previsto e incentivato in modo esplicito la regolarizzazione di rapporti di lavoro di assi-

stenza in famiglia. L’inasprimento delle pene in caso di assunzione di un lavoratore in

nero, la possibilità di godere di voucher regionali o comunali, le aliquote contributive

più basse del lavoro domestico rispetto al lavoro dipendente e soprattutto la possibilità

intravista da moltissime donne di ottenere la regolarizzazione che consentirebbe poi di

cambiare anche lavoro,14 sono tra i motivi che hanno sicuramente incrementato le fila

dei regolarizzandi.

14. Non è infrequente il caso di donne che, pur di essere regolarizzate, hanno sopportato e sopportano, anche per intero, i costi della regolarizzazione.

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Capitolo 8°

IMMIGRATI E SOMMERSO:

UN’INDAGINE SUL CAMPO

Ricostruire il fenomeno del lavoro sommerso attraverso le sole fonti statistiche risulta

difficile e spesso anche riduttivo, data l’estrema frammentazione di una realtà che, per

definizione, tende a sfuggire a qualsiasi tipo di rilevazione. Tuttavia, da più fonti1, risulta

che, soprattutto negli ultimi anni, particolarmente forte è il connubio che si è venuto a

creare tra lavoro irregolare e fenomeno immigratorio.

Focalizzare l’attenzione su questo ambito non sembra dunque un errore, resta il fatto

che le rilevazioni tradizionalmente adottate in materia, utilizzate da sole, qui più che

mai, rischiano di trasmettere un’immagine della situazione parziale e, soprattutto, non

in grado di cogliere le diverse sfaccettature che il connubio immigrazione - lavoro nero

porta con sé.

Dire che gli immigrati che lavorano in nero sono tanti non basta, bisogna portare ad

un livello di approfondimento maggiore l’indagine ed andare alla ricerca delle situazio-

ni concrete, analizzarle e capire cosa realmente succede all’interno della realtà migra-

toria. Un’indagine di tipo qualitativo deve intervenire laddove i soli numeri non basta-

no a far luce su di un problema. Questo è il presupposto che sta alla base del tentativo

di ricerca che si è inteso svolgere in questa sede. Tutto ciò non vuol portare ad una for-

zatura nel considerare i risultati generalizzabili e di assoluta validità. Vuole essere un

tentativo di trattare un fenomeno, come detto, altrimenti difficilmente approfondibile.

Nostro proposito è quello di analizzare alcune caratteristiche della realtà lavorativa

della popolazione immigrata, spingendoci in modo particolare alla ricerca di quegli

elementi che, in un qualche modo, la collegano all’ancora poco conosciuto mondo del

sommerso. I modi e i tempi di contatto tra l’inserimento occupazionale degli immigrati

1. Cfr, ad esempio, Caritas, Immigrazione. Dossier statistico, Anterem, Roma, 2000 e 2001; Zincone G. (a

cura di), Secondo rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia, Il Mulino, Bologna, 2001; Ambrosini M., Utili invasori. L’inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro italiano, FrancoAngeli, Milano, 1999.

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nella realtà economica locale e il lavoro nero, ben lontani dall’essere fattori scontati,

vengono qui rintracciati ed analizzati grazie alle informazioni fornite dei diretti interes-

sati. In altri termini, proprio a partire dall’esperienza e dalle parole degli stessi protago-

nisti, si è tentato di trarre utili informazioni in merito a molti aspetti di questa realtà di

difficile sondabilità.

9.1 Il disegno della ricerca

In riferimento all’obiettivo posto alla base di questo lavoro, si è inteso realizzare un

percorso di ricerca incentrato sulla somministrazione di un numero predefinito di in-

terviste in profondità e sulla loro successiva rielaborazione ed analisi. Sulla base delle

informazioni a disposizione e delle esperienze già effettuate e disponibili in letteratura2

si è stabilito di realizzare una quota di interviste pari ad un numero compreso

nell’intervallo tra i 20 e i 30 contatti. Naturalmente, gli interpellati dovevano apparte-

nere alla categoria degli immigrati, attualmente occupati o presenti in Veneto.

Il territorio di rilevazione, per ovvie ragioni, non poteva essere l’intera regione, quindi al fi-

ne di ottimizzare la distribuzione del campione di soggetti da intervistare, si è proceduto al-

l’individuazione di un’area territorialmente limitata ma non per questo meno interessante.

Il territorio di rilevazione è coinciso con una zona particolarmente dinamica della regione:

si tratta di una porzione della provincia di Treviso, singolarmente vivace dal punto di vista

economico, ma soprattutto caratterizzata da interessanti dinamiche immigratorie e da un

consistente inserimento della manodopera immigrata nel sistema produttivo locale.

Dagli interlocutori, in linea con uno schema semistrutturato, dovevano essere raccolte in-

formazioni in modo diretto attraverso il vissuto personale, con la ricostruzione del percor-

so migratorio e il racconto delle singole esperienze occupazionali. Allo stesso modo, dove-

vano essere raccolte notizie “trasversalmente”: era auspicabile che questi soggetti diven-

tassero dei potenziali interlocutori privilegiati, in grado di fornire preziose informazioni sia

in merito alla condizione del gruppo dei connazionali ma anche con riferimento all’intera

realtà immigratoria.

2. Cfr, per esempio, Irpet (a cura di), Indagine sull’emersione del lavoro non regolare nella provincia di

Pisa, Firenze, aprile 2002; Ires Friuli Venezia Giulia (a cura di), Integrazione: lavori in corso. Vincoli e opportunità nelle risposte all’immigrazione in provincia di Udine, Udine, febbraio 2000; Ires Friuli Venezia Giulia (a cura di), Storie di ordinaria immigrazione. Percorsi di integrazione familiare, Udine, marzo 2000; Belotti Valerio (a cura di), Voci da Lontano. Breve viaggio in quattro comunità di immigrati che vivono e lavorano nel bassanese, Libreria TEMPOlibro Editrice, Bassano del Grappa (VI), 1994.

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Le interviste effettuate avrebbero dovuto non solo confermare l’esistenza del sommer-

so, quanto piuttosto definire in profondità alcuni aspetti del fenomeno, questo anche

portando a galla, qualora ce ne fossero, dinamiche particolari o singolari concatenazio-

ni causali tra il mondo del lavoro irregolare e la sfera dell’immigrazione.

9.1.1 L’area di rilevazione: individuazione e caratteristiche

L’area di rilevazione prescelta è stata la zona nord orientale della provincia di Treviso,

un territorio costituito dai tre Sistemi Locali del Lavoro di Conegliano, Vittorio Veneto

e Pieve di Soligo.

SLL n. 203 Conegliano 12 comuni SLL n. 206 Pieve di Soligo 14 comuni SLL n. 208 Vittorio Veneto 8 comuni TOTALE 34 comuni

I tre Sistemi Locali qui presi in considerazione, per un totale di 34 ripartizioni ammini-

strative comunali, rappresentano un territorio particolarmente integrato, dove il feno-

meno immigratorio è particolarmente vivace e gli incrementi di popolazione straniera

rilevati negli ultimi anni hanno registrato tassi di variazione ben superiori sia alla me-

dia provinciale che a quella regionale (tab. 1).

Tab. 1 - Popolazione straniera residente, valori assoluti ed incrementi percentuali

1998 1999 2000 V.A. V.A. var. % V.A. var. %

SLL n. 203 Conegliano 2.821 3.631 28,71 4.379 20,60 SLL n. 206 Pieve di Soligo 2.204 2.680 21,60 3.362 25,45 SLL n. 208 Vittorio Veneto 1.007 1.319 30,98 1.813 37,45 Tot. Provincia Treviso 19.940 25.017 25,46 30.644 22,49 Totale Veneto 97.218 117.045 20,39 141.160 20,6

Fonte: ns. elab. su dati Istat

Anche il dato relativo all’incidenza della popolazione immigrata sul totale dei residenti

conferma l’assoluta rilevanza del fenomeno nel territorio considerato (tab. 2).

Dal punto di vista economico questa è un’area dalla forte vocazione manifatturiera,

dove prevalgono le attività connesse ai due principali distretti industriali qui insediati.

Nel coneglianese primeggiano le attività collegate all’industria meccanica, mentre nel

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Quartier del Piave quelle connesse al settore del legno e mobilio; l’area di Vittorio Ve-

neto si pone quale fascia di transizione ed annovera attività tipiche sia dell’uno che

dell’altro distretto.

Osservando i dati relativi alla distribuzione dei lavoratori extracomunitari nei Sistemi Loca-

li del Lavoro considerati, appare evidente come anche l’inserimento degli immigrati nel

mondo del lavoro rispecchi in tutto le caratteristiche della realtà produttiva locale (tab. 3).

Tab. 2 - Incidenza percentuale degli immigrati sul totale della popolazione residente

1998 1999 2000

SLL n. 203 Conegliano 2,67 3,40 4,09 SLL n. 206 Pieve di Soligo 3,74 4,52 5,59 SLL n. 208 Vittorio Veneto 1,80 2,34 3,19 Tot. Provincia Treviso 2,57 3,19 3,86 Totale Veneto 2,20 2,60 2,90

Fonte: ns. elab. su dati Istat

Tab. 3 - Lavoratori dipendenti extracomunitari occupati al 31.12.2000 per Sistema Locale del Lavoro e settore

agro

-alim

enta

re

tess

ile a

bbig

liam

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conc

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oni-

estr

atti

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dato

non

dis

poni

bile

Tota

le

SLL n. 203 Conegliano 187 88 1 17 484 109 3 1.584 230 249 380 11 3.388SLL n. 206 Pieve di Soligo 93 78 0 14 409 3 6 665 86 173 155 5 1.687SLL n. 208 Vittorio Veneto 38 78 0 13 108 8 7 268 47 94 131 0 792Totale Veneto 4.801 3.469 4.356 1.431 4.212 1.391 815 15.264 4.135 7.086 16.959 1.067 64.266

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Netlabor/Amministrazioni provinciali del Veneto – Cpi

Mediamente, il tasso di occupazione della componente immigrata, calcolato sul totale dei

residenti, nei Sistemi Locali del Lavoro veneti è pari al 49%. La differenziazione territoriale

appare assai rilevante e risulta significativa anche nell’area qui presa in considerazione.

In particolare, nel sistema locale coneglianese il tasso di occupazione della popolazione

immigrata si attesta tra i livelli più alti della regione3 (tab. 4).

3. Cfr Veneto Lavoro, Lavoratori extracomunitari in Veneto. Un quadro aggiornato, Mimeo, dicembre 2001,

pp. 28 e seg.

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Tab. 4 - Tasso di occupazione dei residenti extracomunitari per sistema locale del lavoro. Dati al 31.12.2000

Occupati dipendenti Residenti Tasso di occupazione

SLL n. 203 Conegliano 3.388 4.213 80,4 SLL n. 206 Pieve di Soligo 1.687 3.266 51,7 SLL n. 208 Vittorio Veneto 792 1.717 46,1 Totale Veneto 64.266 132.504 48,5

Fonte: elab. Veneto Lavoro su dati Netlabor/Amministrazioni provinciali del Veneto - Cpi

9.1.2 Il piano di campionamento

Si è detto che il numero di interviste preventivato per questo tipo indagine dovrebbe

attestarsi tra le 20 e le 30 unità e che il gruppo degli interlocutori deve essere compo-

sto da soggetti immigrati attualmente occupati o presenti in Veneto.

Non potendo essere casuale, il campionamento del gruppo di intervistati ha cercato di

rappresentare la reale composizione dell’universo della popolazione immigrata pre-

sente nel territorio di rilevazione (tab. 5).

Per fare questo occorre tener conto dei dati e delle informazioni a disposizione: qui

sono stati considerati ed analizzati, con riferimento all’area presa in considerazione, i

dati disaggregati a livello comunale sulla presenza immigrata suddivisi per sesso e

cittadinanza. Dovendo, comunque, tener conto anche della presenza irregolare, si sono

considerate le ipotesi di stima attualmente presenti in letteratura4, ma si è soprattutto

fatto riferimento alla stampa locale tenendo ben presente quanto portato alla luce

dalla cronaca provinciale e regionale.

Inoltre, considerando l’estrema differenziazione dei flussi migratori in relazione alla

cittadinanza dei soggetti, è stato importante rilevare le differenze tra i gruppi puntando

l’attenzione alle situazioni particolari o caratterizzate da andamenti significativi.

Sulla base di queste considerazioni, si è deciso che il campione degli intervistati do-

vesse essere composto tenendo conto della cittadinanza dei soggetti in relazione ai

gruppi maggiormente rappresentati nel territorio.

4. Cfr. Caritas di Roma, Dossier Statistico Immigrazione, Anterem, Roma, 2000 e 2001

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Marocc Albania Maced. Senega Jugos. Bosnia CroaziaRomaniGhana Cina Baglad.Nigeria CameruTunisia India … TOTALE

Codognè 18 26 11 26 6 11 16 8 10 15 6 173Conegliano 136 92 84 174 68 34 92 44 120 68 41 28 29 7 1.383Gaiarine 34 78 6 4 8 4 12 94 1 7 2 3 3 285Godega di S.U. 24 66 17 9 15 33 15 9 30 1 1 241Mareno di P. 65 62 20 40 14 17 15 13 4 4 2 1 11 27 320Orsago 13 73 1 11 4 2 3 3 3 1 125San Fior 12 41 11 9 22 88 19 4 3 3 1 4 257San Pietro di F. 6 4 16 2 3 4 6 3 19 4 94S.ta Lucia di P. 39 28 41 26 13 17 16 4 45 1 14 4 284San Vendemmiano 30 24 36 38 16 10 6 2 12 5 1 6 1 1 226Susegana 81 45 88 25 105 71 32 7 17 40 12 5 605Vazzola 104 65 6 39 44 10 16 24 15 12 3 9 386

562 604 336 393 325 303 247 215 235 125 21 138 35 55 56 4.379

Alano 156 12 9 2 2 6 8 8 232Quero 117 8 35 2 1 7 15 198Vas 38 1 4 5 8 61

Cison di V. 68 22 43 32 1 4 1 3 1 8 3 9 231Farra di Soligo 142 35 46 24 30 8 30 24 8 4 47 7 12 454Follina 57 24 8 20 21 5 4 6 5 7 3 1 201Miane 54 46 72 6 9 10 3 17 12 1 1 11 3 3 285Moriago 47 34 54 2 9 3 1 1 1 2 5 1 1 182Pieve di Soligo 82 56 84 47 32 39 24 19 29 3 85 2 15 5 607Refrontolo 18 3 6 3 1 2 1 2 1 53Segusino 15 7 1 1 4 2 1 7 59Sernaglia d. B. 102 23 40 13 23 9 11 3 18 3 21 2 290Valdobbiadene 169 35 22 2 12 22 29 13 5 2 344Vidor 57 14 35 6 4 1 8 1 5 1 4 165

1122 317 421 198 125 97 109 120 65 57 168 14 73 37 15 3.362

Cappella Maggiore 12 16 10 6 4 10 1 6 2 6 4 99Colle Umberto 40 17 11 4 2 6 5 2 2 2 107Cordignano 16 29 22 5 9 10 8 17 4 1 7 1 5 159Fregona 19 6 22 4 1 1 85Revine Lago 28 6 23 2 2 8 3 1 1 1 6 89Sarmede 24 24 22 3 5 4 4 1 1 98Tarzo 33 22 20 41 15 3 7 14 1 4 4 191Vittorio Veneto 162 166 94 54 62 34 32 22 10 40 19 18 5 4 985

334 286 224 115 95 61 63 65 28 44 0 30 32 18 15 1.813

TOTALE 2.018 1.207 981 706 545 461 419 400 328 226 189 182 140 110 86 9.554

SLL n. 203 Conegliano ( n. 12 comuni)

SLL n. 206 Pieve di Soligo ( n. 14 comuni)

SLL n. 208 Vittorio Veneto ( n.8 comuni)

Tab. 5 - Cittadini stranieri. Popolazione residente per cittadinanza al 31.12.2000

Fonte: ns. elab. su dati Istat

Inoltre, oltre a tener presente la differenziazione per sesso, comunque sempre sbilan-

ciata verso la componente maschile, si è prestata particolare attenzione ai seguenti

fenomeni:

la consistente presenza di soggetti irregolari all’interno della comunità cinese;

la dinamicità e la giovinezza del flusso di bengalesi e camerunesi;

l’entità e la vivacità del gruppo di senegalesi.

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Date queste premesse il piano di campionamento è stato così identificato:

Provenienza

Intervistati

Marocco 5 Albania 5

ex Jugoslavia 5 Senegal – Ghana 4

Romania 4 Bangladesh – India 4

Cina 3 Camerun 3 Totale 33

Viste, a posteriori, le durate medie di presenza sul territorio degli immigrati intervi-

stati sembra di poter escludere che gli stessi possano essere in qualche modo rappre-

sentativi di coloro che vengono in Italia solo per i lavori stagionali (soprattutto agricoli),

per i quali strategie, condizioni di ingresso, ma anche Paesi di provenienza sono diver-

samente connotati.

9.1.3 La traccia dell’intervista

I temi indagati con l’intervista, sulla base di uno schema di intervista semistrutturato,

sono stati quelli della posizione lavorativa, del rapporto tra percorso migratorio e siste-

mazione occupazionale, nonché la percezione soggettiva della propria condizione

personale. Particolare attenzione si è posta alle relazioni tra regolarità o irregolarità

della situazione lavorativa e regolarità o irregolarità della posizione migratoria.

Di particolare interessante è la possibilità di individuare il confine tra scelta e obbligo

di un eventuale posizione irregolare, ma anche quella di cogliere eventuali punti di

continuità o di differenziazione tra l’irregolarità lavorativa dell’immigrato rispetto a

quella dei lavoratori locali.

Questa, essenzialmente, è la traccia seguita nelle interviste:

1. ANAGRAFICA DELL’INTERVISTATO

2. STORIA (situazione personale e familiare)

perché la decisione di emigrare?

(eventuale collegamento con situazioni di clandestinità anche solo momentanee)

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3. LA MIGRAZIONE

percorso migratorio

motivazioni/condizionamenti/fattori attrattivi …

perché l’Italia, perché Treviso …

(per verificare l’esistenza di: . poli d’attrazione rappresentati da connazionali;

. meccanismi gestiti da organizzazioni illecite;

. altro)

4. LA SITUAZIONE ATTUALE e LO STATUS DI IMMIGRATO

situazione (stanziale o provvisoria)

tipo di inserimento

il mondo del lavoro (esperienze, opportunità, progetti, …)

(rapporto regolarità/irregolarità situazione con regolarità/irregolarità lavorativa)

5. PROGETTUALITÀ (predisposizione)

progetto migratorio breve lungo

progetto individuale familiare

irregolarità scelta o obbligata

più interesse per il guadagno o per la regolarità

Soprattutto con gli ultimi due blocchi di domande si è cercato di individuare il confine

tra scelta e obbligo, tra situazioni volute, cercate e quelle imposte.

9.1.4 Le fasi dell’indagine

La somministrazione delle interviste al campione di immigrati è stata preceduta da

un’accurata fase che potrebbe essere definita di “preparazione del terreno”. Il modo

migliore, ma anche più efficace, di reclutare i possibili interlocutori, è sembrato fin da

subito quello di usufruire dei luoghi e delle strutture che già costituiscono dei punti di

riferimento per gli immigrati.

Considerando l’estrema delicatezza del tema trattato sarebbe, infatti, risultato molto

difficile ottenere valide informazioni se, a priori, non fosse stato instaurato un rap-

porto fiduciario tra intervistato e intervistatore.

Per questo ci si è appoggiati a quelle strutture che operano a favore degli stranieri, che

danno loro qualcosa e nei confronti delle quali l’immigrato assume una posizione di ri-

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conoscenza. Diversi colloqui preliminari hanno individuato, tra le strutture che hanno

risposto positivamente all’iniziativa, quelle più appropriate. Si tratta di istituzioni pub-

bliche e associazioni private, di natura diversa, che operano sul territorio e spesso

hanno carattere volontario. Il loro elenco viene di seguito riportato:

Sportello Immigrati di Conegliano;

Croce Rossa Italiana, delegazione di Conegliano;

Comune di Pieve di Soligo, assistente sociale;

Caritas di Vittorio Veneto.

Ai contatti realizzati grazie a queste strutture ne vanno aggiunti altri resi possibili gra-

zie a segnalazioni individuali o alla conoscenza personale della ricercatrice.

Naturalmente, il fatto di limitare le interviste ai soli immigrati che frequentano o

hanno contatti con i soggetti sopra elencati costituisce di per sé un limite alla crea-

zione di un campione puntualmente rappresentativo. Non tutti gli immigrati, infatti,

hanno avuto o hanno rapporti con queste realtà, ma è stato giocoforza accettare tale

limitazione.

I contatti preliminari sono stati effettuati dopo la metà del mese di agosto, mentre il

periodo di rilevazione si è protratto per un arco temporale di circa 2 mesi, dalla fine di

agosto ad oltre la metà di ottobre. Sono state effettuate 20 interviste per un totale com-

plessivo di 30 soggetti (alcune infatti sono state plurime).

Le difficoltà nel reperire il campione definito a priori sono state considerevoli. Oltre alla

preventivata diffidenza e ai possibili timori degli immigrati nel voler rilasciare

l’intervista, si deve aggiungere il fatto che il periodo di rilevazione è coinciso con un

momento assai delicato. L’avvio del consistente processo di regolarizzazione indetto

dalla legge Bossi-Fini ha acuito la sensazione di precarietà e pericolo dell’immigrato.

Diversi sono stati i rifiuti alla richiesta di un colloquio, mentre, in altri casi, un atteg-

giamento di chiusura si è presentato nell’approfondimento di determinate tematiche.

Nonostante tutto, il gruppo degli intervistati sembra aver ugualmente raggiunto un

certo livello di rappresentatività. Sono stati sentiti immigrati provenienti da zone di-

verse del territorio, con caratteristiche anagrafiche in linea con l’universo di riferi-

mento, distribuiti equamente sulla base della cittadinanza, ma soprattutto in condi-

zione sia di regolarità, che di clandestinità.

I contatti che hanno portato alla realizzazione delle interviste si sono suddivisi tra le

istituzioni e le strutture nel modo seguente:

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Contatto

Interviste

Caritas Vittorio Veneto 5 Sportello Immigrati Conegliano 2

Croce Rossa delegazione Conegliano 4 Assistente sociale Pieve di Soligo 2

Privato 5 Personale 2

Totale 20

In più casi le interviste hanno coinvolto contemporaneamente più soggetti. Se da un lato

questo potrebbe sembrare un ulteriore limite all’intervista, concretamente i colloqui ai

quali hanno preso parte più persone si sono dimostrati particolarmente interessanti, so-

prattutto in considerazione del livello di approfondimento della tematica indagata.

Nel complesso, si è detto, i soggetti intervistati sono stati 30. Di questi 20 sono uomini

e 10 donne, di età compresa tra i 18 e i 47 anni per un valore medio che si aggira at-

torno ai 33 anni.

Gli immigrati in possesso di un regolare permesso di soggiorno, per la maggior parte

ottenuto con le sanatorie avviate nel corso dell’ultimo decennio, sono 25. Quelli, in-

vece, che, al momento dell’intervista ne erano sprovvisti, sono 5 e, comunque, tutti in-

tenzionati ad ottenere la regolarizzazione nel corso dell’imminente sanatoria. La distri-

buzione del campione per cittadinanza, a causa delle suddette difficoltà incontrate,

alla fine è risultata nel modo seguente.

Provenienza

Intervistate effettuate

Interviste preventivate

Marocco 3 5 Albania 5 5

ex Jugoslavia 3 5 Senegal - Ghana 4 4

Romania 5 4 Bangladesh - India 5 4

Cina 1 3 Camerun 1 3

Altro 3 - Totale 30 33

Anche per quanto riguarda il periodo di permanenza in Italia si registra una distribu-

zione sostanzialmente equa del campione: quattro sono gli intervistati presenti nel no-

stro Paese da meno di un anno, mentre tutti gli altri si suddividono equamente in tre

fasce di riferimento, da 1 a 5 anni, da 6 a 10 anni ed oltre i 10 anni.

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Attualmente dei 30 soggetti intervistati 21 lavorano regolarmente, mentre solo 2

dichiarano di svolgere un lavoro irregolare, ma 25 sono gli immigrati che dichiarano di

avere avuto, almeno in passato, esperienze di lavoro in nero.

9.2 L’arrivo e il primo inserimento nel mondo del lavoro

L’ingresso in Italia da parte dello straniero, in molti casi, avviene in modo regolare, at-

traverso la possibilità di soggiornare nel nostro Paese per un breve periodo di tre mesi

con un semplice visto turistico o con la sola autorizzazione in relazione alla quale fa

fede la data apposta al passaporto.

“Infatti, questa facilità, nel prendere un visto corrotto, turistico o... comunque si trovava la strada... e si veniva qua.” (T., Romania)

“Con passaporto! Ma… passaporto non serve “visa” … perché in Bosnia, cinque anni fa, se avevi il passaporto non ti serve “visa”… Non serve! Bastava il passa-porto… Sono passato per la dogana a Trieste… e basta!” (G., Bosnia)

In alcuni casi il giovane immigrato arriva in Italia con un visto per studio.

“Io sono venuto con visto… di studio, infatti… ho scelto l’università di Perugia… e lì sono stato un anno… volevo specializzarmi alla facoltà di Geologia… Allora, sono venuto, ho iniziato a studiare, però non ho potuto… per motivo finanziario, insomma… I miei genitori, dopo un certo momento, non hanno avuto quella possi-bilità là perché, mi ricordo, mio papà… la ditta dove lavorava stava per fallire, in-somma… Quindi… ho dovuto cambiare e ho deciso di lavorare… ho lasciato l’università, sono andato a Roma… e a Roma ho lavorato un po’ … poi, dopo Roma…” (Y., Camerun)

Scaduto il termine, se l’immigrato rimane in Italia e non riesce a convertire il visto tu-

ristico con un regolare permesso di soggiorno di più lunga durata per altri motivi quali

il lavoro, cade inevitabilmente in una situazione di clandestinità.

“Sono arrivato regolarmente… Dopo mesi di va e vieni fra ministeri e università per poter studiare, alla fine mi sono reso conto che era quasi impossibile perché ti chiedevano un visto di studio prima di partire dal Paese; quello che non avevo! Dopo, il bisogno di sopravvivere cominciava a farsi notare… quindi bisognava cer-care un lavoro per andare avanti. Ho cominciato a cercar lavoro… Ero clandestino, ovviamente, perché dopo i mesi per turismo entravi nella clandestinità se non tornavi… Ho cominciato a lavorare…” (T., Senegal)

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Di fatto, succede molto spesso che anche l’arrivo in Italia dell’immigrato avvenga in

modo irregolare. Come conferma il campione intervistato, in questo caso, prevalgono le

situazioni di completa clandestinità e il ricorso a forme illegali di trasferimento dal Pa-

ese di origine.

“Io sono arrivato nel ’91… marzo ’91… Con le “carete”… in quegli anni là… A Brindisi! Avevamo i nostri documenti là… i nostri passaporti… e basta… Si parlava in giro che partivano delle navi… erano gli anni ’90, ’91… insomma… era appena cambiato il regime… il comunismo, diciamo. Tutti sapevano che parti-vano queste navi… chi andava, andava!”. (H., Albania)

Molto spesso l’immigrato deve pagare ingenti somme di denaro ad organizzazioni ille-

cite che gestiscono l’intero traffico di clandestini.

“Io… sono venuto con la nave… ho pagato certi soldi… No, io sono arrivato… cioè, senza documenti, così… ho pagato dei soldi per ve-nire…” (Q., Albania)

“Invece, gli altri che non hanno il permesso di soggiorno per lavoro, allora ti por-tano qua… ti chiedono certe cifre…” (L., Cina)

“Sono venuta qua con... clandestini... tutti stranieri, ma... non con gommone, con un traghetto... Ho pagato due milioni di lire e sono venuta qua, con mio marito.” (S., Albania)

Si tratta comunque di realtà che organizzano il solo trasferimento delle persone da un

luogo all’altro, lasciandole poi in balia del loro destino una volta giunte a destinazione.

“Una persona... in Albania mi lasciava questa ricevuta e io... venuta qua in Italia con questa ricevuta. È una ricevuta falsa! Capisci?! Io ho pagato e... sono venuta tranquilla! Ma... Ma io non conosco, io, questa persona! Ma mi ha detto una persona... e io... vado da questa persona... ho lasciato... io ho pagato due milioni di retta e... dopo, ciao!” (A., Marocco)

“Eh, perché sai, vengono… Non è che ti fanno lavorare… ti portano qua e poi ti ar-rangi! Io quando ti porto qua, mi dai un po’ di soldi… mi dai certi soldi prima di partire… ti sei già messo d’accordo di quanti soldi… cioè, come funziona, no? Al-lora, gira tutto! Non vieni direttamente qua, magari fai tanti giri… poi per venire qua con nave o cose del genere… Allora, vengono qua e… ti arrangi a trovare un lavoro o cose… A loro non ‘gliene frega’ più niente!” (L., Cina)

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Questo vale anche per il possibile inserimento nel mondo del lavoro. E’ l’immigrato che

deve arrangiarsi, spesso si rivolge alle strutture italiane, ma non sempre ottenendo ri-

sultati positivi.

“… affermano di cercare ininterrottamente qualche opportunità di lavoro. Si sono rivolti all’ufficio di collocamento, allo sportello immigrati e a diverse agenzie interi-nali. Ovunque, dicono. Il problema più grosso, secondo il loro parere, è la non conoscenza della zona, de-gli ambienti italiani e di validi punti di riferimento.” (G. e G., Romania)

“S. va in cerca di lavoro all’ufficio collocamento di Conegliano, solo che occorreva cambiare la carta rosa e per fare questo serviva la residenza. Comunque gli viene detto di attendere il lunedì successivo che, se mancano per-sone, anche le carte rosa straniere vengono prese in considerazione…” (A., Marocco)

In molti casi determinante è l’aiuto dei connazionali già presenti in Italia il cui ruolo

diventa fondamentale sia per la possibilità di sostenere, anche economicamente, il

nuovo arrivato, sia per la capacità di fornire valide informazioni e punti di riferimento.

“… però, in genere, noi ci aiutiamo tanto… tra parenti, amici… no?! Magari se (una persona) non trova lavoro noi cerchiamo di aiutarla, magari… perché qua molti lavori… non abiti da nessuna parte… allora, intanto che noi abbiamo la casa ci ospitiamo. Sì, facciamo la presentazione… cioè, qua tutti i cinesi… non è che noi conosciamo tutti questi cinesi qua… sono tutti presentati… Magari io conosco questa… questa conosce quell’altra… quell’altra te la pre-senta… dopo, alla fine… così è!” (L., Cina)

“…conosciamo amici di qua… di qua, di là, informiamo… C’è lavoro là, vengo là… cerco lavoro! Sempre cerco lavoro! Tutti quanti… cercano lavoro! Un giorno mi ha chiamato un nostro compaesano… Hallo! Sei bengalese? Sì. Io sono bengalese, posso venire là a cercare lavoro? Sì, dai vieni. Qua c’è lavoro. Vieni a cercare lavoro. E lui viene qua e cerca lavoro. Cerca lavoro e… si trova!” (M., Bangladesh)

“Una volta arrivato in Veneto R. è stato ospitato a casa dello zio a Pieve di Soligo, in una vecchia casa concessa allo zio dal suo datore di lavoro. Ha trovato subito lavoro. “Sono venuto in dicembre ed ho trovato subito lavoro ma… non ho lavorato perché c’erano subito le ferie! Per questo ho dovuto aspettare fino al 7 gennaio.” Questo posto di lavoro R. lo ha trovato grazie allo zio che ha parlato con un ita-liano suo conoscente che, a sua volta, lo ha messo in contatto con il datore di la-voro.” (H., Bangladesh)

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“… Già c’è una forte solidarietà tra di noi… perché, quando arrivano qua, i sene-galesi… Vieni a casa mia… non paghi l’affitto… non paghi niente… perché… ci aiutiamo! Per lavoro… ti facciamo trovare subito! Vai a lavorare in fabbrica! Prendi un lavoro a nero… se ti tagli, magari, un dito… prendi i documenti di qualcuno… siamo tutti neri e non se ne accorge nessuno…” (O., Senegal)

La prima sistemazione difficilmente sarà quella definitiva. Anzi il più delle volte lavo-

rano in nero e risiedono in zone dell’Italia considerate di solo di transito e spesso più

funzionali al mantenimento dello stato di clandestinità.

“Poi, sono stato a Roma… praticamente… per il periodo di un anno… un anno… tre mesi, sei mesi, nove mesi… poi due mesi dopo, ho sistemato un po’ di cose e dopo ho deciso di venire qua…”. (Y., Camerun)

“And I come here by see in ’96. And I get money, still permits here... to work here... So I first... when I come first I was staying in Foggia... in Foggia... to do... to work in a farm. So when I get my paper, then I came nock here to find a work to do.” (E., Ghana)

“… ho preso il treno e sono andato a Salerno… dove era mio cugino… Mi ha trovato il lavoro… così ho cominciato a lavorare nel… Sì, senza documenti, in nero!” (Q., Albania)

“Qua non trovano lavoro, a Roma sì! La ci sono tanti imprenditori che cercano (per-sone) senza il permesso di soggiorno! Non vogliono fare il contratto! Per questo, per noi è meglio, è più facile stare là! A Roma o in una grande città.” (H., Bangladesh)

A volte, e nel territorio di rilevazione specialmente per gli immigrati che arrivano dai

Paesi africani, l’inserimento nel mondo del lavoro è facilitato dalle conoscenze e dalle

capacità lavorative sviluppate nel Paese di origine.

“… devo trovare un lavoro che… un lavoro che va insieme al mio diploma, ca-pito?… Ho fatto la scuola ‘de physique et de chimie’ e, allora, il lavoro ‘de métal métallique’, lavoro di macchina, di pressa… Per queste, io ho fatto la teoria, capito, solo mi manca la pratica… allora, poi se io posso trovare un lavoro con il quale io posso fare questa pratica, va bene! … Io ho visto, qua, che ci sono tante aziende che cercano… dei lavoratori che capi-scano gli stampi, le macchine, le presse… tutto quello che fa parte del settore… meccanico.” (G., Senegal)

“Per fortuna il lavoro che sapevo fare giù, di saldatore… e subito ho trovato qual-cuno… a Cagliari, in Sardegna! Sì, sono andato là… ho preso la nave a Genova e sono andato là e ho cominciato a saldare…” (O., Senegal)

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“… loro usano per il pesce… mangiano tanto pesce… il forno là che cucinano il pe-sce… allora, quando sei bambino, subito… prendi ferro… quando prendi il ferro fai… cioè… il forno… vendono… no? Allora… subito sai saldare, no? E da là è nato… quelli del nostro Paese sanno saldare… Infatti, tutti i senegalesi che sono qua, sono tutti saldatori! Anche il figlio di mio fratello… quattordici anni… lui è qualificato… saldatore! Io già a tredici anni sapevo saldare!” (O., Senegal)

Questo insieme di abilità personali costituiscono un patrimonio che indubbiamente

favorisce l’inserimento dell’immigrato in un particolare contesto lavorativo e che per-

mettono soprattutto al lavoratore di trovare una precisa collocazione occupazionale in

virtù di un immediato potere contrattuale vista la tensione occupazionale presente in

questi territori soprattutto riguardo a certe professionalità.

9.3 Permesso di soggiorno e regolarizzazione lavorativa

Diversi sono gli immigrati che arrivano in Italia irregolarmente o che entrano nella

clandestinità in un momento successivo. La condizione di precarietà determinata dalla

mancanza di un regolare permesso di soggiorno il più delle volte viene percepita nega-

tivamente dallo straniero: vivere in Italia in assenza dei documenti necessari non è poi

così semplice e spesso la situazione di disagio che ne deriva è molto forte.

“Anch’io voglio fare (regolarizzazione)! Perché.. senza permesso di soggiorno non puoi abitare in Italia! Troppo difficile!” (S., Romania)

“Sì, non è che uno era costretto a fare l’illegale… anzi, era una situazione di disa-gio… tantissimo, mi ricordo! Ma anche io, ci riflettevo… Sì, ero molto umile… non potevo neanche… avevo paura di tutto… Ci riflettevo, ho detto… io, adesso, se muoio anche, non sanno chi sono… Perché io… se, ho detto, mi trovano il passaporto… ma io, non esisto! Io, in Italia, non esisto!” (T., Romania)

Sprovvisto del regolare permesso di soggiorno l’immigrato si trova nell’impossibilità di

fare diverse cose, ad esempio di accedere ai servizi pubblici e questo è un problema

particolarmente sentito dai nuclei familiari dove la clandestinità dei genitori si riper-

cuote inevitabilmente sui figli.

“Io penso a fare queste cose, dopo il permesso di soggiorno… perché non posso fare niente senza il permesso di soggiorno!” (G., Senegal)

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“Sì! Sì! Sì! Troppo importante! Noi stranieri… non hai i documenti… non hai niente! Non hai lavoro… per i bambini non c’è il medico… i bambini non possono andare a scuola o in asilo… Eh, per me, troppo importante questo! Così, qua in Italia per me è tragica. Non mi piace questa vita così… Senza lavoro… Senza documenti…” (S., Albania)

Ma la situazione di irregolarità incide anche sulla libera circolazione dell’immigrato

attraverso le varie frontiere nazionali ed in particolar modo sulla possibilità di lasciare

l’Italia una volta arrivato.

“Ma i clandestini non possono tornare al loro Paese… perché se tornano riman-gono là…” (A., Marocco)

“Non è per i soldi… per vivere… Tutti cercano di essere in regola. Il permesso di soggiorno vuole dire tante cose per noi! Non è essere qualcuno grande… Ma per avere la possibilità di andare a casa! Per un africano, è una cosa bella, un do-mani, andare a trovare i parenti. Quindi, con il permesso di soggiorno puoi lavo-rare e andare a casa, senza… Perché, se lavori in nero… non vai a casa… sei guardato male!” (Y., Camerun)

Senza i documenti, c’è il rischio di non poter più fare ritorno e questo in molti casi di-

venta un problema, soprattutto laddove il progetto migratorio è di lungo termine.

“… perché, tra l’altro, sono 6 anni che sono qua e la mia bambina ne ha 8… puoi immaginare da quanto tempo non vedo la mia bambina, allora… Io voglio restare qua, fare una vita qua con lui… e non mi conviene andare perché dopo non posso tornare più… perché mi serve un visto che mi costa… e lui come fa? Deve pagare l’appartamento, deve pagare tutto quanto, allora, come fa a mandarmi 2.000 euro per tornare indietro… per farmi aprire un visto per venirlo a trovare… e tutto quanto… perché non c’è sempre la fortuna di arrivare così, come si è arrivato…” (T., Moldavia)

Molti immigrati arrivati in Italia irregolarmente o caduti successivamente nella clande-

stinità hanno avuto la possibilità di regolarizzarsi in un momento successivo, nella

maggior parte dei casi, questo è avvenuto grazie agli imponenti processi di regolarizza-

zione indetti più volte nell’ultimo decennio dalle diverse compagini governative.

“… poi nel ’96 ho mandato la bambina in asilo nido e sono andata a lavorare… là, dal lavasecco… È la che mi hanno fatto la sanatoria.” (H., Albania)

“Dopo ho trovato un lavoro… ho lavorato… ho lavorato… ho fatto il permesso di soggiorno subito… con la sanatoria del ’98…” (G., Bosnia)

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“… un anno dopo io ho preso il permesso di soggiorno. Nel ’98 ho preso il per-messo di soggiorno.” (N., Bangladesh)

“No… perché entrato nell’89, dopo tornato a casa… dopo uscita la legge che… es-sendo entrato nell’89 avevo diritto ai documenti. Allora, subito, preso l’aereo e tor-nato qua!” (H., Tunisia)

In tutti gli altri casi, se si escludono i ricongiungimenti familiari, sembra essere molto

difficile ottenere la regolarizzazione, anche qualora ci sia la volontà di farlo e siano pre-

senti i requisiti necessari, non sempre la procedura è così chiara ed accessibile.

“… In una (fabbrica) ho lavorato due mesi e mi hanno respinto la richiesta, mi ri-cordo che mi hanno fatto vedere… una ditta di metalmeccanica, su torni, a Farra di Soligo.… e questa qua a Pieve che… loro mi hanno messo… e hanno insistito tantissimo… per questo ci hanno provato un sacco di volte… e sono riusciti a farmi le carte. Però dopo nove mesi, mi ricordo!” (T., Romania)

“…tentavo di convertire questo visto! Di avere la possibilità di lavorare, quindi… Non avevo in quel momento là capito bene la procedura… come si può convertire… Comunque, abbiamo tentato con il datore di lavoro e… mi ha detto che non può finché io non torno a casa… e poi fare domanda… per venire in Italia per lavorare. Però… c’è la possibilità, è che anche lui non è stato informato bene…” (Y., Camerun)

Una volta ottenuto il permesso di soggiorno l’immigrato cambia il proprio stile di vita.

Si sente meglio ed inizia a percepire diversamente la propria condizione.

“… con un contratto in regola… ho cominciato a lavorare in regola… Ho cominciato ad andare avanti, insomma! Anche progettando verso come posso fare la mia fa-miglia, lavorare, mettere via un po’ di soldi, pensare ad un ritorno domani… e pensavo anche di poter riprendere gli studi… Però, lavorando così, sai com’è…” (Y., Camerun)

Spesso la regolarizzazione della posizione migratoria determina un’immediata regola-

rizzazione lavorativa: l’immigrato non più clandestino va alla ricerca di un’occupazione

regolare, può cambiarla nel tempo, ma difficilmente rinuncia alla possibilità di una po-

sizione corretta.

“Mi ha trovato il lavoro… così ho cominciato a lavorare nel… Sì, senza documenti, in nero! Dopo, nel novembre, mi pare, del ’98… è uscita legge… ho fatto il permesso di soggiorno e, da quel tempo, fino adesso… ho lavorato in regola!” (Q., Albania)

“Poi, con lui, con la legge del ’95, no? Nel ’95, la sanatoria là… famosa… Nel ’96… sì, è partita nel ’95… che diceva…

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Allora, mi hanno sistemato il mese di novembre, quindi, ero in regola e… come la-voratore, insomma…” (Y., Camerun)

“Sì! No… non l’ho fatto il visto turistico, ma… nel periodo là era legge di Martelli… è uscita fuori la legge di Martelli e… ho fatto i documenti… ho cominciato a lavo-rare…” (M., Tunisia)

Ottenuto il permesso di soggiorno, la ricerca di un lavoro regolare spesso si associa ad

uno spostamento dell’immigrato all’interno del territorio italiano, dalle grandi città e

dal sud dell’Italia lo straniero si sposta nei piccoli centri e nel nord del Paese.

“Dopo due anni e mezzo, hanno fatto la legge; la famosa legge Martelli. Ci siamo tutti regolarizzati… Una volta che abbiamo avuto il permesso di soggiorno, tutti quanti ci siamo trasfe-riti al nord per cercare lavoro…” (T., Senegal)

“Dall’89… no, dal ’90 ho avuto i documenti… con la legge Martelli… mi hanno dato il permesso di soggiorno… là ho avuto i documenti italiani e poi sono venuto qui a Treviso… prima a Padova… Sono venuto giù a Padova. Là ho trovato un lavoro e subito mi hanno messo in re-gola…” (O., Senegal)

“Là ho fatto due anni… diciamo, come Paese è bello, mi piace, come gente altret-tanto… solo che non c’è lavoro… dopo… sono stato costretto di uscire da Napoli per via dei documenti… Perché, se non ho lavoro in regola, non mi rinnovano… sì, non posso cambiarli… Sono venuto qua a Treviso con un mio amico…” (M., Tunisia)

Attualmente, le innovazioni normative apportate dalla legge Bossi - Fini in tema di re-

golarizzazione hanno spinto un numero considerevole di stranieri alla disperata ri-

cerca di una regolare occupazione lavorativa. Solo ai clandestini in possesso di un

contratto di lavoro viene, infatti, offerta l’opportunità di accedere alla sanatoria indetta

per gli ultimi mesi dell’anno 2002.

“… Hanno detto che hanno visto tante ragazze prima di me ma solo me hanno preso per fare la prova. Adesso vedo che sono abbastanza soddisfatti di come la tratto e… tutto quanto, come mi comporto con lei… sopporto, non ho i nervi che mi vanno fuori della testa… Allora, per questo, adesso mi mettono anche in regola… Gli ho detto che non ho il permesso, non ho di qua, non ho di là… Mi hanno detto “Ti mettiamo in regola, non c’è problema!” Per fortuna…” (T., Moldavia)

“Sì! Mi prendevano lo stesso perché adesso c’è la legge… per regolare… Perché lui pensato… non ha i documenti… straniero… lo mettiamo in regola… tutto com-pleto.” (G., Bosnia)

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Per molti immigrati la sanatoria rappresenta l’unica possibilità per uscire dalla clande-

stinità e condurre una vita dignitosa, ecco perchè allora la ricerca di un contratto di la-

voro diventa disperata.

“Sì, c’è… ma senza documenti non… non puoi andare… Adesso c’è questa legge per i migranti… si può fare i documenti adesso… No! Adesso devo trovare un padrone che mi può dare una mano per fare i docu-menti. Questo… devo trovare adesso!” (S., Romania)

“A me serve adesso per lavorare… come ho detto… solo un’ora, due ore… Non per pagare… non per soldi… non mi servono adesso questi soldi! Mi servono solo i miei documenti! Capisci?! Se questi documenti… io sono a posto con il permesso di soggiorno per due anni e, dopo due anni, la bambina avrà quattro anni… potrà andare a scuola e io posso lavorare. È più importante questo… il permesso di soggiorno… per la vita, per tutto!” (S., Albania)

La speranza di una regolarizzazione attraverso la sanatoria tocca ancora di più quei

soggetti irregolarmente e illegalmente inseriti nel mondo del lavoro.

“Sono stato fortunato! Sono stato fortunato, perché… sono stato qua solo due settimane e dopo ho trovato i documenti per lavorare… Sì, però quando sono arrivato qua non avevo documenti e allora… io avevo un amico, conosciuto prima in Francia… e lui mi ha dato i suoi documenti e… io ho lavorato con questi documenti per due anni e adesso, sono venuto a vedere se… No, no, no! Loro non sapevano che io lavoravo con altri documenti, se ho fortuna io prenderò adesso i documenti…” (G., Senegal)

Si è disposti a tutto per una sistemazione della propria condizione e in molti casi lo

straniero è costretto a pagare: può succedere che venga richiesto all’immigrato di as-

sumersi direttamente l’onere dei versamenti contributivi, in altri casi il prezzo corri-

sposto è ancora superiore, viene pagato il contratto di lavoro, spesso fittizio, al quale

non sempre corrisponde la reale assunzione del lavoratore.

“Magari adesso fanno i furbi con la sanatoria… i contributi, quasi sempre, li stanno pagando sempre gli stranieri! Almeno… quelli che conosco io… O li paghi tu… o io non ti metto in regola! Tutti quelli che conosco io…” (H., Albania)

“Dei suoi amici, invece, sono arrivati a pagare addirittura 5, 7 milioni. Tuttavia non per lavorare, ma solo per avere un contratto per poter avere poi il permesso di soggiorno.” (H., Bangladesh)

“Ma… mettere in regola, non vuole nessuno! Perché, al giorno d’oggi… sono tantis-simi che hanno pagato di sua tasca… 800 o quelli che devono essere pagati… per

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mettersi in regola e basta. Da soli, quelli che non hanno… dicono… prendili dalla mia busta paga… quelli che stanno lavorando… prendili da me… La maggior parte fanno così! La maggior parte! Quelli che hanno pagato per essere messi in regola! Lui lo stesso… fatto così!” (T., Moldavia)

Tra i casi in cui il processo di regolarizzazione è più difficile prevale quello delle cosid-

dette colf e badanti. Sia per quanto riguarda il soggiorno in Italia che per quanto spe-

cificamente attiene alla posizione lavorativa, la propensione alla regolarizzazione sem-

bra scarsa, difficoltosa per il datore di lavoro, nella fattispecie in prevalenza famiglie o

singoli individui, spesso poco conveniente per le lavoratrici.

“Nell’assistenza, abbiamo dei casi che… grazie a questo anche perché ha aiutato le famiglie ad andare avanti… queste colf, badanti… Sempre in nero, insomma… e adesso con la legge si fa fatica anche a sistemarle perché gli devi dare tredice-sima, dare alloggio, pagare… Insomma… Sì, già si sente, no?! Sì… no, le famiglie vivevamo meglio prima! Casa in nero, così… stai là 5 anni… dai da mangiare… tutto tranquillo… nessuno veniva a controllare.” (Y., Camerun)

“Prendiamo per esempio il caso delle donne, quasi tutte sono clandestine… tutte quelle che lavorano nelle famiglie… poche sono in regola… per questo hanno fatto questa nuova regolarizzazione delle colf… …in questo caso, invece, contrariamente alle fabbriche, sono le famiglie che ti chiedono di lavorare in nero per loro… anche se sei in regola! Se io vado in una famiglia per fare la domestica, la prima proposta è lavorare in nero… per evitare di pagare… perché, tante volte, posso dire sempre, non vanno a controllare dentro le famiglie se c’è una colf che è in regola o non è in regola. Il caso viene fuori sol-tanto quando succede qualcosa!” (T., Senegal)

9.4 Il lavoro nero

Dovendo sommariamente dare una quantificazione concreta della presenza del lavo-

ratore immigrato nel mercato del lavoro nero basta richiamare alla memoria il dato

emerso nel corso della presente indagine. Delle 30 persone intervistate, ben 25 hanno

ammesso di aver lavorato, anche solo per brevi periodi, in nero e quasi tutte hanno

confermato l’esistenza di un mercato del lavoro irregolare.

Si tratta, tuttavia, di un dato puramente indicativo, privo di valenza statistica, ma

sintomatico del fatto che tra la popolazione immigrata i casi di irregolarità lavorativa

sono frequenti. Stando a quanto emerso dai colloqui con gli intervistati, il momento in

cui l’immigrato accetta di lavorare in nero coincide prevalentemente con una sua si-

tuazione di clandestinità-irregolarità. Il più delle volte l’esperienza è limitata nel tem-

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po, risponde ad una concomitante esigenza dell’immigrato, ma non sembra mai essere

la scelta definitiva. In genere è una pura sistemazione momentanea ancorata alla

possibilità di trovare in futuro qualcosa di più stabile e definitivo.

“Poi si andava a cercare lavoro a Maniago… da per tutto… Sì, si lavorava qualche ora così, in nero… anche se eravamo in casa di accoglienza… però si poteva uscire… ci lasciavano uscire. Si andava… si lavorava in nero, così… un’ora qua, un’ora là… così! … Si lavorava… Intanto non eravamo sicuri che si poteva stare in Italia, perché fin che eravamo in caserma… ogni giorno… le notizie arrivavano… se mandava indie-tro… Non eravamo sicuri e chi poteva lavorava, almeno tornava indietro con un po’ di soldi, insomma, ecco… perché erano tanti in quegli anni là… nel nostro Paese!” (H., Albania)

“Quando è arrivata l’estate, ho fatto il ‘vu cumprà’… ho detto “va bene!” Vado a comprare… però non volevo vendere nient’altro se non cose artigianali dell’Africa, tipo maschere, elefantini… tutte le cose che erano fatte a mano…” (T., Senegal)

“Piano, piano, ho lavorato tutta la settimana… poi è venuto il figlio, ho parlato con suo figlio e mi ha detto che posso lavorare con loro, insomma… Intanto in nero… non è che gira qualcuno qua… finanza… qua…” (Y., Camerun)

“Sì, sì! Prima… due mesi prima… ha lavorato per loro… la pagavano lo stesso e dopo… hanno cambiato e… hanno messo con una cooperativa.” (Q., Albania)

In molti casi il lavoro nero rappresenta per le donne l’unica opportunità di inserimento

nel mercato del lavoro. Anche se le esperienze sono di breve durata, in questo caso,

l’occasione lavorativa non rappresenta una soluzione momentanea, ma diventa l’unica

possibilità, soprattutto qualora la donna debba conciliare il lavoro con la cura della

famiglia e la crescita dei figli.

“N. afferma che anche quando ha fatto brevi periodi di lavoro in fabbrica si trat-tava comunque di lavori regolari. Solo l’anno scorso ha provato un lavoro non regolare, come assistente dopo di che ha deciso di iniziare il corso. È stata l’unica esperienza di lavoro irregolare.” (B., Marocco)

“Ho lavorato! Ho lavorato solo in nero! Ho fatto la baby-sitter e basta. …facevo anche qualche pulizia… ma non ho mai lavorato regolare, ho lavorato solo in nero!” (B., Bangladesh)

“La moglie di S. attualmente fa le pulizie. Il mattino o la sera. Fa solo qualche ora per via dei bambini. Di solito, sono 4 ore al giorno.” (A., Marocco)

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In alcuni casi l’immigrato, anche avendo i requisiti necessari, a meno di non avere la

possibilità di rinunciare all’offerta ricevuta, è costretto al lavoro irregolare.

In molte situazioni la prospettiva di un contratto viene ripetutamente fatta slittare nel

tempo, oppure può capitare che ci sia un vero e proprio rifiuto da parte del datore di

lavoro all’assunzione regolare del lavoratore; in ogni caso, se l’immigrato accetta il

“nero”, sarà per un periodo limitato di tempo.

“Sono venuto qua. Ho iniziato a girare per le fabbriche… a chiedere se mi assumo-no… ho trovato due che volevano mettermi in regola… Però ho lavorato a nero per un periodo… perché non riuscivano a mettermi in re-gola! … infatti, ho lavorato in nero… vieni e iniziamo a lavorare in nero, per il momento e dopo ti facciamo le carte. Ma non su tutte!” (T., Romania)

“No! C’è un problema. Quando mi hanno dato il permesso di soggiorno, quando mi hanno dato il libretto di lavoro, dopo un anno… c’è il libretto di lavoro… ’99… 22/02/99… mi hanno dato il libretto… ma loro, la prima volta, mi hanno messo in regola il 17/04/2000… Un anno ho lavorato per niente… come…” (G., Bosnia)

“Because... because... Foggia... If you have a paper and they wouldn’t registred you... If you have documents and unregistred you... So, you have to come here. To work over your (?) Here everything is ok! When you come here and they would registred you, everything... but... down... I just work like ‘nero’... ‘lavorare in nero’!” (E., Ghana)

Al di là di queste osservazioni, va sottolineato che l’immigrato non parla volentieri delle

proprie esperienze di lavoro irregolare. La diffidenza in merito a questo tema è forte e

ciò che maggiormente preoccupa l’immigrato è il timore di essere in qualche modo mal

giudicato per quanto detto.

In più di un caso, le informazioni fornite si sono rilevate contraddittorie, spesso ri-

trattate nel corso dell’intervista e, a volte, completamente rivedute prima della fine del

colloquio, giudizi inizialmente favorevoli sono divenuti assolutamente contrari in un

secondo momento, la negazione dell’esperienza di lavoro irregolare è stata successiva-

mente smentita.

“Sì, appunto… Io non ho mai lavorato, per esempio, in nero! […] preferisce in regola… perché ho lavorato… Quanti giorni ho lavorato in nero? …quella volta che è arrivata lei… Lavorando là… un po’ di giorni… dove dormivamo… perché non avevo una casa in quegli anni lì! Dove lavoravo… A Santa Lucia… Ha lavorato 4 anni cuoco, lì…” (H., Albania)

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“Ma se, per esempio, le proponessero un lavoro come fare pulizie o qualcosa del genere… Sì! Sì! Solo con un contratto! Sì! […] E se le proponessero, per esempio, di fare le pulizie e la pagassero in nero… A lei andrebbe bene? Sì! Sì! O lei preferisce trovare un lavoro e poter essere messa in regola, trovare un la-voro regolare… Adesso mi serve questo… lavorare in nero! Perché io non posso lavorare in re-gola… Non ho i documenti! Capisci?! Però adesso, per due, tre mesi… meglio cerco per lavorare in nero… per una, due ore al giorno… […] Perché sa che, tante volte, anche suoi connazionali, perché pensano di tornare in Albania un giorno… quando sono qua accettano di lavorare anche in nero… prendere tanti soldi, poterli mandare giù in Albania e… No! A noi non piace questo… di lavorare in nero… Solo in regola… Sì!” (S., Albania)

“La moglie di S. attualmente fa le pulizie. Il mattino o la sera. Fa solo qualche ora per via dei bambini. Di solito, sono 4 ore al giorno. La moglie dice di essere in regola. (Tuttavia, parlando con altre persone ho saputo che, in realtà, dove lavora, non è affatto in regola!)” (A., Marocco)

Dall’altro lato, l’indagine trasversale sulla realtà lavorativa dell’immigrato, tesa ad inda-

gare in modo indiretto le esperienze dei connazionali e la percezione generale della situa-

zione, ha confermato non solo la presenza e diffusione del fenomeno, ma anche l’estrema

consapevolezza, da parte dell’immigrato, della natura del mercato del lavoro irregolare.

Gli immigrati conoscono i rischi e le opportunità offerte dal lavoro nero, sanno quanti

e quali sono gli immigrati, non solo connazionali, che ricorrono a questa forma di oc-

cupazione, in quale misura e con quali modalità.

“Io lavoravo 14 ore al giorno! Però, dal momento in cui ho avuto il permesso, non ho mai più lavorato in nero… qua è uguale, però… ho avuto tanti amici che, anche avendo il permesso, preferivano lavorare in nero perché prendevano di più, perché erano più liberi di spostarsi quando volevano, di andar via quando volevano… cioè, loro facevano così, non lo so…” (T., Senegal)

“…Sì! E anche tanti! Che abbiamo conosciuto e che hanno mollato tante volte… che hanno lasciato il lavoro da una parte, sono andati dall’altra… hanno sempre cam-biato. Lavoravano un mese, due… vedono che non gli danno la paga… stanno con la speranza che dopo lo daranno… lo avranno e non ho ancora soldi… non ancora soldi… non mi hanno dato soldi… perché non hanno dato soldi, perché di qua, per-ché di là… hanno sempre cambiato e… lavorano per niente questi!” (T., Moldavia)

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“Ok! La verità è che quelli dei Paesi dell’est… loro… a loro piace lavorare in nero… se hanno il lavoro! Chissà… forse perché sono vicino a qua… quindi possono an-dare a casa. Quindi, a loro interessano i soldi. Sono qui in Italia per i soldi! Noi africani…” (Y., Camerun)

“S. afferma che spesso e volentieri si trova gente che lavora con le cooperative che non ha nemmeno i documenti.” (A., Marocco)

“Però ci sono degli immigrati, che quando arrivano, chiedono loro al datore di la-voro… preferiscono lavorare in nero. “Tu poi pagarmi 3 milioni, 3 milioni e mezzo?” E il datore di lavoro… “Sì, mi va bene…” Ti dice “Va bene! Ok!” Per esempio, i saldatori, che sono molto ricercati… Il datore di lavoro dice “Va bene!” sapendo che tu sei molto utile, e non vuole perderti… e tu gli hai offerto que-sto… lui dice “Va bene! Ok!”… Vieni, lavori e ti pagherò tutto in nero…” (T., Senegal)

Alcuni intervistati negano che il gruppo etnico cui appartengono abbia una qualche

particolare propensione nei confronti del lavoro nero. A volte viene, addirittura, conte-

stato il fatto che possa esserci il consenso dell’immigrato a forme di lavoro irregolare.

“La realtà camerunese è una realtà particolare! … a noi non ci piace il lavoro in nero! Noi non vogliamo un lavoro in nero! Non è per i soldi… per vivere… Tutti cercano di essere in regola.” (Y., Camerun)

“No, no, no! Sempre con il permesso di soggiorno! Noi non andiamo fuori legge! I bengalesi hanno sempre il permesso di soggiorno… regolare… tutto! Non fanno il lavoro nero! Sempre regolare. Solo i bengalesi, gli altri non lo so!” (M., Bangladesh)

In realtà, se questo può essere vero nel momento in cui l’immigrato ha ottenuto la re-

golarizzazione della propria posizione, non lo è per quanto attiene il momento iniziale

del soggiorno in Italia, specie se l’ingresso è avvenuto in modo irregolare.

9.4.1 Rapporto tra regolarità-irregolarità del soggiorno e regolarità-irregolarità

lavorativa

Il legame che si instaura tra la regolarità o l’irregolarità del soggiorno in Italia

dell’immigrato e la sua posizione lavorativa, da subito, è apparso strettissimo: la clan-

destinità dell’individuo è la condizione che più di ogni altra favorisce l’inserimento

dell’immigrato nel mercato del lavoro nero.

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L’assenza di un regolare permesso di soggiorno gli impone quale unica possibilità

l’inserimento irregolare nel mondo del lavoro.

L’individuo percepisce chiaramente la subalternità della sua posizione contrattuale ed

è pienamente consapevole che l’unica opportunità a sua disposizione, finchè è clande-

stino, è il ricorso a forme di lavoro nero.

“In regola, bene… perché quelli che lavorano in nero, lavorano perché, in quel mo-mento là, si trovano che non possono avere documenti. Quindi, usano come un passaggio che un domani, se riescono a sistemarsi, a loro… insomma, andrebbero bene lavorare in regola.” (Y., Camerun)

“Ero clandestino, per quello che lo facevo! Altrimenti non lo avrei mai fatto! Perché io avevo detto che mai farò qualcosa di illegale… ma, essendo clandestino, ero costretto, per non andare a spacciare o rubare… almeno vendi… Lo fai illegal-mente, però onestamente!” (T., Senegal)

“Adesso mi serve questo… lavorare in nero! Perché io non posso lavorare in re-gola… Non ho i documenti! Capisci?!” (S., Albania)

“Ma, allora, non è meglio accettare solo un lavoro con un regolare contratto… Ma se non hai i documenti? Se non hai i documenti, come fai! Io non vado a rima-nere a casa fino che…” (O., Senegal)

L’immigrato privo dei documenti di soggiorno, in virtù della precarietà della sua condi-

zione e di una passiva accettazione delle limitate possibilità lavorative offertegli, si

trova in una posizione di debolezza che lo spinge ad accettare tipologie e modalità la-

vorative alle quali altrimenti difficilmente ricorrerebbe; il ripiego sul commercio abu-

sivo, per esempio, sembra essere una delle pratiche maggiormente adottate dagli im-

migrati irregolari di origine africana.

“Quando io sono venuto qua, avevo 17 anni! Ero giovane! Cioè andavo… d’estate… prima di avere il permesso di soggiorno, d’estate, si andava al mare prendevo un pezzo di legno e… facevo il “vu’ cumprà” … Madonna! Non avevo i documenti! Ma, allora, quanto sei rimasto senza documenti? Io sono arrivato nel ’87… Nel ’90 ho avuto i documenti! Aspettavo sulle spiagge… d’estate… andavo a vendere… coralli, elefanti, gi-raffe…” (O., Senegal)

“Ma se vedi, quelli che fanno i “vu’cumprà” in spiaggia o quelle robe lì, sono solo gli ultimi arrivati e la prova è che sono tutti clandestini… clandestino vuol dire che

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è arrivato senza documenti e non puoi regolarizzarlo… e quindi cosa fai… ti tocca vendere sulle spiagge. E questo è un problema… il fatto che gli immigrati riman-gano nella clandestinità per un po’ di tempo… li spinge ad accettare il lavoro nero…” (T., Senegal)

Oltretutto lo stato di clandestinità può trasformarsi, non raramente, in un motivo di

ricatto da parte di qualsivoglia datore di lavoro. Spesso, imposizioni di condizioni lavo-

rative particolarmente svantaggiate o il ricorso a modalità coercitive più o meno pres-

santi, utilizza quale pretesto proprio l’irregolarità della condizione.

La posizione di debolezza dell’immigrato irregolare acuita ulteriormente da queste

forme persecutorie, alimenta uno stato di continua tensione per l’individuo.

“Perché… il titolare dove lavori… sei senza documenti… anche lui può fare… sfruttamento. Non è facile! Se il datore di lavoro viene a sapere che tu non hai i documenti… dice… tu non hai i documenti ti pago questo… Se uno in regola lo paga 14.000 lire… a te paga 10.000… Non credere…” (O., Senegal)

“…e sono caduto e sono rimasto invalido per tutta la vita… il braccio… Adesso sono ancora in malattia… ma non so se mi paga l’Inail… Ho fatto la denuncia là… dove mi sono fatto male… Perché, allora, ti sei fatto male facendo cosa… non ho capito! Lavorando là… un po’ di giorni… dove dormivamo… perché non avevo una casa in quegli anni lì! Dove lavoravo… Sì, sì! Ho fatto anche un po’ di cuoco in quegli anni e… si dormiva là in albergo, in-somma… nella pizzeria… Là dormiva anche lei! E là è nata la bambina! …non ti dava nessuno la casa! E ti sei fatto male lavorando come cuoco! Sì! È caduto dalla scala… Sì! Come cuoco… sono caduto dal terzo piano… magari come cuoco… Come mai, allora? Cosa stavi facendo? … portando dei tappeti… su una scala… sono scivolato… Ha messo il gesso… al braccio… e poi, il padrone del ristorante là… perché c’è tanta gente che voleva mangiare là… e diceva… dai, perché io non ti prendo a la-vorare… tira via il gesso… così… e fai i lavori… … Per forza! Se ci mandava fuori! E poi… dormivi fuori… con la bambina piccola… E poi lui ha tirato via il gesso dopo due settimane che lo aveva… lo ha tirato via presto… Per lavorare! Per lavorare! Per forza! Senno ci mandava fuori! Perché lei era clandestina… … e è rimasto il braccio sempre… Sì, non è guarito bene, insomma!” (H. e H., Albania)

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Diverse sono le situazioni in cui l’irregolarità lavorativa dell’immigrato si accompagna

ad una voluta clandestinità dello stesso. Si tratta di consuetudini che tendenzialmente

caratterizzano il progetto migratorio di quei gruppi di immigrati che provengono dai

Paesi limitrofi all’Italia ed in particolar modo dell’Est europeo. Sono tuttavia circo-

stanze particolari determinate dalla vicinanza dei Paesi e dalla relativa facilità di attra-

versamento delle frontiere.

“Noi abbiamo anche un conoscente dalla Slovenia che va avanti e indietro ogni settimana, quasi… che lavora qua a Mel… Neanche a regolarizzarli, neanche a far niente… non ci riesci… perché passano senza il visto… hanno l’entrata in Europa senza problemi!” (T., Moldavia)

Per contro, se l’immigrato è in possesso di un regolare permesso di soggiorno la situa-

zione è molto meno complessa: forte della sua corretta posizione, l’individuo può deci-

dere, più o meno liberamente, le modalità della sua occupazione lavorativa. Come già

sottolineato, nella maggioranza dei casi, l’immigrato, una volta ottenuta la regolarizza-

zione del suo soggiorno, ricerca un regolare inserimento nel mondo del lavoro e ciò può

avvenire entro breve oppure trovare ostacoli e venire dilazionato nel tempo, tuttavia esi-

ste una precisa volontà del soggetto alla regolarizzazione lavorativa.

Più raramente, proprio in virtù di una riconquistata libertà di scelta dopo la regolariz-

zazione, l’immigrato può decidere spontaneamente di rimanere tra le fila del som-

merso.

“Ci sono tanti che pensano questo… Per quello non lavorano, vanno a vendere! E ogni tre mesi vanno via! Hanno i documenti, però non vogliono lavorare… perché se lavorano gli tocca aspettare un anno per vedere la moglie…” (O., Senegal)

Spesso è il bisogno di mobilità che spinge l’immigrato alla ricerca di situazioni occu-

pazionali provvisorie, bisogno altresì rafforzato dalla presenza della famiglia nel Pa-

ese d’origine o da un legame con la propria terra che, nonostante tutto, rimane forte

ed incisivo e spinge l’immigrato a farvi ritorno.

“Passato tre anni con lui e dopo andato a casa. Era il ’90, nel ’93 Napoli… dopo sono tornato a casa… Sono stato sei mesi in Tunisia… dopo sono tornato sempre a Napoli… sempre in giro a Napoli… Allora faccio tre mesi, quattro mesi per lavo-rare… pomodori… Foggia… Roma, Latina… e dopo torno a casa subito… Tre, quattro mesi e dopo vado a casa! Quando finisce di lavorare io vado a casa!” (H., Tunisia)

Per converso, non mancano i casi in cui la richiesta di regolarizzazione lavorativa

dell’immigrato si scontra con una diversa volontà da parte del datore di lavoro.

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“Because... because... Foggia... If you have a paper and they wouldn’t registred you... If you have documents and unregistred you...” (E., Ghana)

Siamo qui in presenza di situazioni, almeno apparentemente, meno diffuse nel territo-

rio di rilevazione o, più in generale, nel nord Italia. In questi casi, l’immigrato ha la

possibilità sia di muoversi liberamente nel mercato occupazionale e ricercare, senza

alcun vincolo rispetto alla sua capacità contrattuale, un nuovo lavoro, oppure di sce-

gliere la via vertenziale, magari appoggiato dal sindacato. Nel corso delle interviste

fatte la seconda opportunità non è mai emersa.

9.4.2 Le imprese che usano il “nero”

Tenendo ben presente la complessità del legame tra la posizione dell’immigrato, la sua

collocazione lavorativa e la relativa diversità delle relazioni che vi si associano, vale la

pena di procedere nell’analisi e tentare una scomposizione del quadro d’insieme cer-

cando di cogliere un’ulteriore aspetto che riguarda il lavoro sommerso: le imprese uti-

lizzatrici.

Le testimonianze degli intervistati sul proprio vissuto, ma anche in merito alla situa-

zione dei connazionali, offrono importanti indicazioni per un’ipotetica collocazione

settoriale delle esperienze lavorative irregolari.

Si è già detto che l’immigrato, in molti casi, prima di arrivare al nord e giungere ad un

regolare inserimento occupazionale nel mercato del lavoro, svolge una qualche attività

in nero in diverse zone dell’Italia. Il clandestino soggiorna e lavora al sud, prevalente-

mente nelle grandi città dove la sopravvivenza stessa sembra più facile. Oltre ad es-

sere, in qualche modo, protetto rispetto alla sua condizione di irregolarità, l’immigrato

può, allo stesso tempo, trovare un numero considerevole di opportunità lavorative, oc-

casioni che rappresentano, il più delle volte, delle mere opportunità di guadagno, non

impegnative sul piano prospettico e quindi indifferenti rispetto al fatto di essere regolari

oppure in nero.

“Qua non trovano lavoro, a Roma sì! Là ci sono tanti imprenditori che cercano (persone) senza il permesso di soggiorno! Non vogliono fare il contratto! Per que-sto, per noi è meglio, è più facile stare là! A Roma o in una grande città. Prima ha lavorato con un italiano che vendeva giocattoli. Un ambulante. Poi ha trovato un lavoro in un negozio, comunque sempre in nero perché non aveva il permesso di soggiorno. Era un negozio di alimentari” (H., Bangladesh)

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“Sì, in nero. Sempre in nero! Anche io ho fatto due anni in nero! Che lavoro? Io ho lavorato in fabbrica di plastica! Sì, in una fabbrica! Sì, sì, ben… Là (Napoli), tranquillo… Non c’è problema! E tu, là in campagna, che tipo di lavoro facevi? Pomodori… raccolta… guido il trattore… zappare… (M. e H., Tunisia)

“Allora, mi sono deciso, io e altri tre miei amici, di rimanere lì (in Calabria). Siamo rimasti là, ma essendo sempre clandestini, abbiamo trovato un lavoro… cosa che era quasi impossibile per gli italiani che abitavano lì… I miei due amici hanno fatto il meccanico… Io ho cominciato a fare il pastore… una cosa impensabile, mai avrei pensato… perché nel mio Paese non avevo mai lavorato, avevo solo stu-diato… Ho fatto il pastore. Dopo quello ho lavorato in un campo di recupero per smontare i pezzi di ricambio delle macchine… poi ho fatto… Ma ho fatto un po’ di tutto… il muratore… Ho fatto di tutto! Alla fine, ho fatto il pizzaiolo!” (T., Senegal)

Difficilmente l’opportunità di un lavoro in nero, per quel che riguarda il nord dell’Italia

ed in particolare il Veneto, viene concessa dalle imprese di grandi dimensioni.

“Per esempio le aziende grandi non ti possono proprio chiedere di lavorare in nero… tipo Zanussi… non fa mai lavorare in nero. Solo le aziende piccole!” (T., Senegal)

“Perché le grosse imprese sono più controllate… Sì, c’è controllo, c’è…” (M., Tunisia)

Laddove le dimensioni sono contenute la possibilità di ricorso al lavoro nero si fa più

concreta; in tal senso, le esperienze dirette degli immigrati testimoniano l’estrema faci-

lità dell’inserimento irregolare soprattutto in agricoltura, nella ristorazione e nelle pic-

cole aziende artigiane.

“Tutti i lavori… muratori… tutti questi lavori… in agricoltura… così! Ho trovato un signore… mi ha detto che per domani c’è lavoro… questi… uva… Sì! Raccolta dell’uva…” (S., Romania)

“…Fino a quando ho trovato quella pizzeria… ho fatto un mese, se anche l’ho fatto… Per dire che stava per uscire la sanatoria, questa qua, gli ho detto “Ci metti in re-gola?” Ha detto “No, no, no! A me conviene tenervi in nero…” perché lui non paga i contributi… Non ha voluto…” (T., Moldavia)

“Io ho fatto le scuole medie qua, in Italia e poi mi sono fermata… lavoro… ho lavo-rato dai miei, al ristorante… e così…

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Lavoravo nel ristorante e… allora… poi mi sono sposata e sono arrivata qua…” (L., Cina)

“E dopo non mi pagava, mi portava, magari, a un ristorante… o questo o l’altro… per lavorare… Perché mi diceva, se tu non vuoi questo, allora, non ti pago… Vai in cerca di altri lavori! Ho trovato da lavorare, così, in nero… in un ristorante… così…” (A., Marocco)

“… mi ha detto che posso lavorare con loro, insomma… Intanto in nero… non è che gira qualcuno qua… finanza… qua… Era un’azienda familiare questa? Familiare, sì! Piccola? Una piccola attività, insomma.” (Y., Camerun)

Particolarmente interessante è l’inserimento irregolare dell’immigrato in alcune piccole

realtà produttive dei comparti manifatturieri tradizionali. Anche in questo caso prevale

la dimensione artigianale; piccole officine o laboratori sono gli ambienti in cui preva-

lentemente sembra avvenire il ricorso al lavoro nero dell’immigrato.

“R. dice di conoscere solo due persone che erano qua clandestini. Lavoravano con il fratello, ma adesso sono in regola. Queste persone lavoravano in nero in un piccolo mobilificio di Farra di Soligo.” (H., Bangladesh)

“Noi abbiamo anche un conoscente dalla Slovenia che va avanti e indietro ogni settimana, quasi… che lavora qua a Mel… Neanche a regolarizzarli, neanche a far niente… non ci riesci… perché passano senza il visto… hanno l’entrata in Europa senza problemi! E se anche quelle persone vogliono il permesso in regola non glielo fanno! Ma che tipo di lavoro fa? Fa il falegname!” (T., Moldavia)

All’interno delle piccole aziende artigiane sembra, comunque, dominare il settore

dell’edilizia; un comparto che vede al suo interno la netta prevalenza di lavoratori ma-

grebini e dell’Est europeo.

“…lui mi ha trovato lavoro a nero. Io lavorare come muratore… con blocchi fac-ciavista… Io lavorare sempre 20 mesi come muratore e… aspetta questa legge!” (P., Sebia)

“Prima ho passato un po’ di giardinaggio, un po’ di muratore, un po’ di… …di tirocinio, sì… e dopo ho trovato una fabbrica di mobili che ha deciso di assu-mermi… che hanno voluto assumermi e…” (I., Romania)

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Nella prevalenza dei casi, si tratta di lavori poco o per nulla specializzati, privi di quali-

fica, ma soprattutto periodici o temporanei. Dal punto di vista dell’azienda, quelle

riservate al lavoratore irregolare sono attività legate ad esigenze di breve periodo, che

in qualche modo si “sposano” anche con la precarietà della condizione degli immigrati

ancora in clandestinità.

“Lavorando là… un po’ di giorni… dove dormivamo… perché non avevo una casa in quegli anni lì! Dove lavoravo… Lavorava come cuoco lì… Ho fatto anche un po’ di cuoco in quegli anni e… si dormiva là in albergo, in-somma… nella pizzeria…” (H. e H., Albania)

“Si andava… si lavorava in nero, così… un’ora qua, un’ora là… così! E che tipo di lavori facevate? Beh… pulizie… sui magazzini…” (H., Albania)

“I clandestini trovano nelle case, magari, così… nelle case, a fare assistenza… Nelle fabbriche no! Magari… un lavapiatti, sì, si può! Però è difficile sempre, per-ché anche la gente ha paura… sai…” (A., Marocco)

Se per gli uomini prevale il ricorso al lavoro nero all’interno della realtà produttiva lo-

cale, per le donne le modalità irregolari di occupazione sono collegate essenzialmente

al lavoro domestico.

Non si tratta di una differenza limitata alla tradizionale suddivisione dei ruoli nel

contesto familiare, bensì ad una realtà frutto di relazioni e dinamiche singolari. Se da

un lato l’inserimento irregolare all’interno della realtà aziendale avviene in modo quasi

dissimulato e comunque lasciando all’immigrato un certo spazio decisionale (quando

ci sono le condizioni amministrative per un’assunzione regolare), il lavoro domestico

non lascia spazio a nessuna trattativa: la donna si trova nella condizione di dover ac-

cettare l’unica offerta formulata per l’assunzione e, in questo caso, la proposta del la-

voro nero è immediata, diretta e non discutibile.

“Solo le aziende piccole! Le aziende piccole, siccome ogni tanto, soprattutto quelle che lavorano nella metalmeccanica… siccome ogni tanto un ragazzo può farsi male… tanti preferiscono farti lavorare in regola. Però è raro che il datore di lavoro ti fa la proposta per primo. Magari ti fa lavorare per un periodo di prova e, cono-scendoti… ti fanno la proposta. Invece nelle famiglie la proposta te la fanno su-bito… l’azienda ha paura perché… ogni giorno un controllo può arrivare… o ti fai male e vai all’ospedale… succedono queste cose qui. Quindi, è un po’ diverso.” (T., Senegal)

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“… N. afferma che in alcuni casi conviene. Per esempio con una donna (come badante) può accettare un lavoro in nero. So-stiene che una persona anziana, con una pensione minima, non può metterla in regola. O io accetto, o lei ne troverà un’altra!” (B., Marocco)

La relativa genericità delle mansioni domestiche, accanto ad un’offerta di lavoro suffi-

cientemente vasta, determinano lo scarso potere contrattuale delle donne.

9.4.3 La paura dei controlli

Strettamente collegato alla dimensione delle aziende è il tema dei controlli: tutte le

attività produttive sembrano tener conto in maniera rilevante della possibilità di con-

trollo da parte delle autorità competenti. Tuttavia, mentre per le poche grandi imprese

della zona la probabilità di ispezioni è un fatto reale (unita al controllo “interno” eser-

citato dalle organizzazioni sindacali quasi sempre presenti), la miriade di piccole

aziende artigiane disseminate sul territorio, pur consapevole del rischio, ritiene ancora

accettabile l’azzardo messo in atto.

“Allora, mi diceva, quando vieni qua, lavora e poi esci tranquillamente, ma non stare tanto in giro… magari qualcuno come i carabinieri… può fermarti, in-somma… e fai in modo tale che quando vai a Valdobbiadene sei dentro il pul-lman, esci e vai a dormire… non stare tanto in giro! Quindi, lui aveva la paura, no?!” (Y., Camerun)

Particolarmente soggetti ad ispezione si sono, invece, dimostrati i laboratori artigiani

gestiti da alcuni gruppi di immigrati: il timore dei controlli è elevato e il ricorso a forme

di lavoro irregolare, almeno nei propositi, vuole essere il più possibile evitato. La previ-

sta chiusura dell’attività in caso di riscontrate irregolarità da parte delle autorità sem-

bra rappresentare un costo difficilmente sopportabile per l’immigrato-imprenditore.

“Ma, adesso ci sono tanti… però da noi no! Perché ogni tanto ci sono i controlli… Non si può, perché se no ti chiudono! … Invece uno che non ha il permesso di soggiorno… tu non puoi far niente… per-ché noi non possiamo… perché se lo prendiamo… poi, cioè, se viene il controllo… ti chiude il locale… cioè, ti chiude tutta l’azienda… a noi non conviene… allora, non si può fare tutte queste cose qua!” (L., Cina)

Prima della regolarizzazione indetta negli ultimi mesi del 2002, erano soprattutto i

contesti di collaborazione domestica a considerare un controllo fortemente improbabile.

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“Se io vado in una famiglia per fare la domestica, la prima proposta è lavorare in nero… per evitare di pagare… perché, tante volte, posso dire sempre, non vanno a controllare dentro le famiglie se c’è una colf che è in regola o non è in regola. Il caso viene fuori soltanto quando succede qualcosa! O licenziano la domestica, o magari succede un incidente sul lavoro, altrimenti nessuno va a verificare se que-ste persone sono in regola o no.” (T., Senegal)

Per quanto riguarda l’immigrato, l’atteggiamento nei confronti dei possibili controlli si

dimostra fortemente bivalente; se, come accennato, ci sono realtà e situazioni in cui

l’immigrato ha la possibilità di eludere ogni forma di ispezione, rimangono altresì sen-

timenti di paura e tensione di fronte alla possibilità di essere scoperti in condizione di

irregolarità lavorativa.

“Qua prima non viene… non può stare senza il permesso di soggiorno… non tro-vano lavoro! Invece a Roma “si nascondono di più! Meglio, in città come Roma o Milano non serve nascondersi. Ci sono migliaia di im-migrati clandestini. Ma nessuno ti chiede i documenti. … Quassù non hanno il coraggio, per romani sono tanti che vogliono fare questo!” “In Veneto hanno paura dei poliziotti…” (H., Bangladesh)

“S. dice di avere tanti amici che lavorano in nero, però c’è anche una forte paura dei controlli.” (A., Marocco)

Il timore maggiore si riferisce all’eventualità di pregiudicare il rilascio del permesso di

soggiorno ma anche l’eventualità di perdere i diritti già acquisiti. In questo caso sa-

rebbe l’intero progetto migratorio del soggetto ad essere compromesso.

“Sì, ma non è soltanto questo! Nel caso di un controllo… … nel caso di un controllo, se sei in nero… allora ti perdi il permesso, ti perdi tutto quanto e anche ti trovi con l’espulsione! Allora, è meglio stare in regola e… sei a posto! Invece così, in quel caso, se ti viene un controllo, cosa fai…” (T., Moldavia)

L’irregolarità lavorativa, ancor di più se accompagnata dalla clandestinità, suscita

nell’immigrato un forte senso di paura. Le forze dell’ordine rappresentano, emblemati-

camente, un “nemico” da cui fuggire e una spasmodica attenzione nei loro riguardi

sembra seguire l’immigrato anche nelle situazioni di completa regolarità.

“… Però sono stati mesi di una tensione altissima, perché… intanto, i tre mesi che avevo le ferie del mio lavoro di prima erano scadute… dunque, già ho deciso, per-devo anche il lavoro là e… non sapevo se… Dopo se ti trovava la polizia, fin d’allora, avevi dei guai, nel senso che non potevi più ritornare anche se mantenevi il contratto… E sta tensione, mi ricordo. Mi ha marcato per tempo!

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… Improvvisamente, solo per questo fatto qua, mi trovo che, quando vedevo i ca-rabinieri, mi veniva un vuoto nello stomaco… mi ricordo. E dopo, mi ero messo in regola con le carte dopo un anno… pochi mesi dopo, istintivamente, quando ve-devo i carabinieri, mi veniva… prendevo paura senza… dal passato. Insomma, è un po’ una cosa… una situazione che si crea che… è un po’ strana, hai capito! ” (T., Romania)

In ogni caso, pur essendo forte il timore nei confronti dei controlli ed alta la tensione

emotiva, altrettanto reale e concreta è la necessità di cercare di sopravvivere. Soprat-

tutto se clandestino, l’individuo è obbligato ad una sorta di esposizione al rischio.

Come detto, la gamma delle sue scelte si riduce notevolmente e spesso il ricorso a

forme irregolari di lavoro quali uniche possibilità di sopravvivenza porta all’accettazio-

ne del pericolo che ad esse si accompagna.

Nel caso del datore di lavoro operano altri fattori: anche per lui esiste il rischio legato

allo sfruttamento del lavoro irregolare, la necessità può essere letta nell’impossibilità

di poter reperire l’adeguata quantità di manodopera che gli serve. Certo, sono “stati di

necessità” differentemente ripartiti e con diversi gradi di alternativa.

9.4.4 Lavoro nero: scelta o necessità

Si sono cercati di indagare gli atteggiamenti del immigrati rispetto al lavoro nero per

riuscire a cogliere quanto della compartecipazione all’irregolarità appartenga al campo

delle scelte piuttosto che della necessità. Capire le motivazioni che spingono nell’una,

o nell’altra direzione diventa essenziale, soprattutto al fine di rilevare dove eventual-

mente si ancora il potenziale consenso che ancora raccoglie il mondo del sommerso da

parte della componente immigrata della popolazione.

“Io… parlo per miei amici… per mio cugino che stanno qua… per me, lavoriamo tutti in regola! Ma perché c’è la paura? No! Non perché abbiamo paura… perché è meglio! Per esempio, dopo tanti anni… puoi prendere anche la pensione, così… Meglio per noi! Perché io non ho deciso che vado in mio Paese e non vengo più! Posso restare anche tutta la vita qua, no?!” (Q., Albania)

“Quando non hai da mangiare e non hai soldi… che il lavoro sia in nero o in bianco… Vai a lavorare e come!” (H., Albania)

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“Per mangiare sei obbligato anche a lavorare in nero. Se trovi dieci padroni che ti dicono io non ho bisogno, io non voglio… e trovi uno… magari sei qua e non conosci nessuno, non trovi nessuno che ti dà i soldi, che ti dà alloggio… e trovi uno che ti offre una possibilità… figurati… come fai” (B., Marocco)

Se da un lato il riscorso al lavoro nero, in alcuni casi, può contrastare con il personale

progetto migratorio, in altri casi la scelta è percepita dell’immigrato come una tappa obbli-

gata; l’unica possibilità, come già sottolineato, per la sopravvivenza stessa dell’individuo.

Molto interessanti sono i giudizi raccolti in merito all’inserimento irregolare delle

donne immigrate in ambito domestico. L’attività lavorativa della donna quale supporto

al sostentamento della famiglia, giudicato spesso non indispensabile e comunque di

scarso rilievo, sembra rivolgersi quasi esclusivamente al mercato del lavoro nero.

Si tratta di “prassi consolidate”, accettate dalle lavoratrici stesse tanto che, in alcuni casi,

la consuetudine di una tale modalità sembra essere considerata legittima se non legale.

“Il marito, in quanto capo famiglia, non può accettare un lavoro in nero. Nadia, invece, per qualche lavoretto, può anche accettare di lavorare in nero. Lo ha fatto lo scorso anno che non poteva lavorare in fabbrica perché aveva i figli piccoli. Di solito solo qualche ora, giusto per arrotondare lo stipendio del marito, la puoi fare anche in nero.” (B., Marocco)

“A parte quei lavori di casa… questo… quelli là sì li ho fatti… due ore, così, nelle case… pulizia, questo sì… Due volte la settimana, queste sono cose che si fanno qua… non credo che ci sono problemi! Nelle case…” (A., Marocco)

Sulla base dei giudizi espressi dagli intervistati, il rischio di un’occupazione irregolare

viene percepito come coincidente con l’impossibilità di un’adeguata copertura assicu-

rativa nel caso di malattia o incidenti sul lavoro. Sono diversi i casi di infortunio se-

gnalati a carico di personale irregolare all’interno delle aziende: è indubbio che un

forte sentimento di paura tra gli immigrati si sia diffuso proprio rispetto a questi fatti.

“Ma tu andresti a lavorare in nero? Io… personalmente no! Perché, sai che ci sono anche rischi… a parte il fatto che non sei regolare… Ci sono tanti altri rischi! … ma poi anche se ti fai male… A parte… mi sono già fatto male! Anche per me… non ti conviene lavorare in nero… perché ormai per pagare in nero… meno… Se vado a lavorare in nero non mi dà di più di 12.000 lire all’ora…” Allora ti conviene…

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allora ti conviene… meglio lavorare in regola così sei più tranquilla… se ti viene… se stai in malattia? … invece là… perdi tutto... … dipende dal lavoro che tu trovi! Perché si paga (ti pagano) uguale, non è che si prende di più!” (H. e H., Albania)

“…Vieni, lavori e ti pagherò tutto in nero… anzi, lui risparmierà molto, ma sei tu, l’operaio, che perdi tutto... perché, se ti fai male… hai perso tutto! E ci sono tantis-simi casi così. Ragazzi che lavorano pagati… però se sono pagati meno o si sono fatti male, non possono andare da nessuna parte perché hanno lavorato in nero. E lì il datore di lavoro ti scarica tutto addosso… lo fai oggi, o ieri, o appena arri-vato… non ha neanche fatto in tempo o… non ti conosce neanche. Per esempio, avevo un amico che faceva il saldatore… ha preso una brutta malattia ai polmoni facendo quel lavoro lì perché dove lavorava non c’era nessuna norma di sicu-rezza… e quando si sono resi conto che l’ha presa, il medico gli ha chiesto dove lavorava… lui gliel’ha detto… gli ha detto che ha preso la malattia da lì… lui ha pensato di denunciare per avere l’infortunio di lavoro e il datore di lavoro gli ha detto che non aveva mai lavorato là. Ed è rimasto anni ed anni senza poter più ri-cominciare a lavorare. E ci sono casi anche molto più brutti di questo.” (T., Senegal)

L’insicurezza di un’occupazione irregolare consiste anche, se non soprattutto, in una

differente gestione dei rapporti azienda-lavoratore che coincide con un trattamento più

sfavorevole per l’immigrato: irregolarità nel pagamento dello stipendio, tempi di attesa

lunghissimi, incertezza nel trattamento.

“Però ti pagavano almeno di più? Perché, sai di solito qua succede che… Se sei in nero prendi di più! Sì, se pagano a nero ti pagano di più! Ma loro ti pagavano almeno di più? Sì! Mi hanno pagato ogni ora 15.000 lire… perché quando andavo lì mi davano in lire… 15.000 lire, ogni ora… 200 ore, 3.000.000 di lire… due buste paga aspet-tate sei mesi… Tutti avevano le tasse e io niente, tutti avevano le ferie pagate e io niente, tutti avevano quello… e io niente!” (G. e T., Bosnia e Moldavia)

“Secondo voi, qual è la situazione dei vostri connazionali? Sempre dal punto di vista lavorativo. …sempre sulla stessa scaletta tutti! Se lavorano in nero possono anche non pren-dere i soldi… Ma ce n’è? Sì! E anche tanti! Che abbiamo conosciuto e che hanno mollato tante volte… che hanno lasciato il lavoro da una parte, sono andati dall’altra… hanno sempre cambiato. Lavoravano un mese, due… vedono che non gli danno la paga… stanno con la speranza che dopo lo daranno… lo avranno e non ho ancora soldi… non ancora soldi… non mi hanno dato soldi… perché non hanno dato soldi, perché di qua, perché di là… hanno sempre cambiato e… lavorano per niente questi!

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Aspettiamo due mesi, tre mesi, per i nostri soldi! Si aspetta… Darti… busta paga… quella a carta… ma quelli soldi… cosa scritto là… 800 o 1.000 euro… Te li do dopo! Te li dà dopo… per 90 giorni, per 60… Te li do dopo!” (T., G. e P., Moldavia, Bosnia e Sebia)

Molti immigrati sfatano l’opinione comune che ad un lavoro in nero corrisponda un

guadagno superiore. Se il lavoratore è sprovvisto di un regolare permesso di soggiorno

il datore di lavoro può far leva sullo stato di necessità in cui versa l’individuo ed obbli-

garlo ad accettare retribuzioni inferiori a quelle contrattuali.

“Ma non avevi ancora i documenti? No, assolutamente! Lavoravo in nero, così… Ma a te andava bene? Sì, ma mi pagava poco! 8.000 all’ora… dopo… prima mi pagava 5.000 all’ora… E al datore di lavoro andava bene? Andava bene… molto! Perché i miei amici che avevano i documenti prendevano 12.000… come saldatore… io prendevo 4, 5.000 all’ora… e poi, piano, piano, 5.000, 7.000…” (O., Senegal)

In alcuni casi, lo stipendio del lavoratore irregolare è realmente più alto, ma il soggetto

è altresì consapevole che la precarietà della sua condizione occupazionale può incidere

notevolmente sul totale complessivo delle sue entrate.

“No, non ho mai avuto proposte di lavorare in nero! Comunque… in nero si prende molto di più! Ma tu devi sapere una roba… devi cercare lavoro… quando non c’è, non c’è… In pratica, magari, lavori due, tre mesi a nero… prenderà il doppio di quello che prendeva e… resti due tre mesi fermo… e li mangi tutti…” (M., Tunisia)

A questo punto, raccolto il giudizio degli intervistati sulle forme di lavoro nero, diventa

interessante capire se e in quale misura l’immigrato accetta il rischio di un’occupazio-

ne irregolare.

Ponendo l’immigrato in un’ipotetica condizione di scelta ed indagando il processo deci-

sionale che ne consegue, è emerso un generalizzato rifiuto del lavoro nero; del resto

difficilmente l’ammissione di propensioni favorevoli all’irregolarità vengono esternate

con naturalezza.

“Ho capito! Ma, secondo te, è meglio avere un lavoro stabile, un lavoro in regola, essere a posto con tutto oppure... Sai, a volte, c’è chi dice “Io preferisco lavorare in nero perché guadagno di più…” Beh, sono 11 anni che sono qua in regola perciò… Vuol dire che non ho problemi…

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Anzi, sto meglio ad essere in regola! Ho deciso di stabilirmi qua, aspetto la pen-sione qua, perciò…” (I., Romania)

“Certo! Ma se adesso ti offrissero la possibilità di lavorare in cambio di tre, quattro o anche cinque milioni al mese, però in nero, tu cosa faresti? Bon! In nero? Sì! No, no, non è sicuro! In nero non è sicuro!” (G., Senegal)

“Ma, se per esempio, ti proponessero un lavoro da… 3 milioni al mese… 1.500, 2.000 euro al mese… però ti dicessero di doverlo fare in nero… Tu accetteresti o preferiresti un lavoro… No! No! Meglio… prendo un milione e mezzo e… in regola!” (Q., Albania)

In realtà, le opinioni personali della maggioranza degli intervistati si scontrano poi con

la prassi di un numero non indifferente di connazionali che ricorrono al lavoro nero

per gestire agevolmente il “pendolarismo” con il Paese d’origine.

“Ecco… l’unico problema che abbiamo è quello! I senegalesi amano molto il loro Paese… qualcuno ha anche sua moglie giù… che è un anno che non vede… Può starci solo l’estate… un mesetto… e poi andare via… Ti tocca licenziarti! Ma non è che uno accetta proprio per questo di lavorare in nero? Almeno così può andare giù e trovare sua moglie quando vuole… Sì, qualcuno sì! In questo senso sì… ci sono tanti che pensano… io non voglio in regola… se loro mi regolano… piuttosto i miei documenti li lascio a casa… … loro non vanno in regola… (se io voglio tornare a casa devo licenziarmi) …e poi, ogni volta che timbrano il mio libretto… se cerco un lavoro… dicono “Tu cambi sempre lavoro! (…) Sono tanti che pensano così. Tanti! Perché dicono, ogni anno, io devo andare nel mio Paese… (…) Se qualcuno ha un padrone di lavoro che ha fatto l’immigrato… per dirti… capisce lui… e ti dà due mesi ogni anno… Adesso tanti cominciano a fare questo, se no si licenziano… e dopo rimangono senza operai… (…) I senegalesi non hanno problemi per questo… quelli che sanno saldare… perché se si licenziano… quando tornano trovano subito un lavoro! Io, se mi licenzio oggi, domani trovo lavoro! Perché sono qualificato… saldatore… Tanti senegalesi pen-sano così!” (O., Senegal)

Tuttavia, se comportamenti di questo genere vengono comunemente riconosciuti e

tollerati rimane di fondo la negatività del giudizio sulla pratica del lavoro nero con i ri-

schi che comporta anche e soprattutto rispetto al proprio progetto migratorio.

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“Sai ci sono tanti immigrati che magari preferiscono un lavoro in nero, così prendono più soldi e poi se ne tornano al loro Paese con tanti soldi… Guarda! “Questo è no buono! Questo tanti pensare, ma no buono!” Perché l’assicurazione va pagata con regola, buono?! Anche cassa edile arriva ogni sei mesi… una paga, buono?! Adesso è arrivata a giugno… bene! Vengono pagate anche le ferie… tutto quando c’è regola… più quando sono stato a casa vengono pagate le 8 ore… non il 100% ma l’80%… Se si vuole, anche quando finito com-pleto il lavoro, due, tre anni, c’è… qui soldi… come si chiama “referendum Italia” … ti paghi, capito, questi due, tre anni, non lo so quanti… e anche tutto in regola… pensionato, malattia… tutto compreso! Quando lavori in nero, lavori per niente! Cioè… soldi bene… ne guadagni tanti, ma… quando serve qualcosa qua… male… quello… paghi… finiti i soldi, tutti!” (G., Bosnia)

“Ma il fatto è che, per esempio, tanti immigrati utilizzano questi lavori, magari anche di tre mesi… periodici… proprio perché hanno la libertà, poi, di dire torno nel mio Paese senza aver problemi… Ma non penso quelli che sono in regola! No… diciamo con documenti di permesso! No? Penso che non hanno… Sono clandestini! Perché conosco qualcuno… Ma i clandestini non possono tornare al loro Paese… perché se tornano rimangono là… No, quelli che lavorano non è che… Quelli che lavorano a nero… Ma una volta… Una volta quando non c’era visto, sì, c’era questo lavoro… che arrivano qua per tre mesi, quattro mesi, sei… e tornano a casa… perché non c’era visto… Adesso, anche se sono clandestini, senza carte, senza niente… adesso che…” (M. e A., Tunisia e Marocco)

In generale, come già sottolineato, l’immigrato ricerca stabilità e sicurezza, ottenendo

un valido permesso di soggiorno e optando per un regolare inserimento occupazionale.

Una volta raggiunti tali obiettivi e conquistati i diritti che ne conseguono è molto diffi-

cile che l’individuo vi rinuncia Alcune eccezioni sono rappresentate dai casi in cui

l’esigenza di mobilità dell’individuo rimane, nonostante tutto, molto forte, ma al di là

di queste situazioni il consenso dell’immigrato verso il sommerso sembra affievolirsi di

pari passo con la regolarizzazione del percorso migratorio.

Come vedremo più avanti, al ricorso a forme completamente irregolari di lavoro si

vanno sostituendo tendenze nuove, modalità di trasgressione diverse che avvicinano

l’immigrato ai lavoratori locali.

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9.5 Forme di irregolarità lavorativa degli immigrati e dei locali

Gli intervistati sembrano non percepire rilevanti differenze tra i comportamenti irre-

golari degli immigrati e quelli dei locali se non in ordine alla necessità dei primi di sog-

giornare illegalmente nel nostro Paese.

Ancora una volta il problema maggiore riguarda lo stato di clandestinità del lavoratore

e la conseguente possibilità del datore di lavoro di sfruttare questa situazione.

“Tutti i clandestini che ho conosciuto, per forza, lavoravano in nero… perché erano senza documenti… e quindi era il datore di lavoro che approfittava di questo. Sono due tipi di casi… perché ci sono anche gli italiani che lavorano in nero… Secondo me, il datore di lavoro che accetta di far lavorare l’immigrato in nero è perché l’immigrato è clandestino. Se non è clandestino, tante volte, il datore di la-voro non pensa neanche di farlo lavorare in nero… a meno che, non ti faccia lavo-rare in regola… per poi farti fare tanti straordinari che poi ti pagherà in nero… perché fai tante ore. Questo sì. Ma ancora non ho visto un datore di lavoro che dice, va bene, ti assumo, so che hai il permesso, ma ti voglio far lavorare in nero.” (T., Senegal)

Altri casi di possibili irregolarità da parte del datore di lavoro vengono segnalate relativa-

mente alla modalità retributiva; ad essere particolarmente vulnerabile è il compenso rela-

tivo agli straordinari, soprattutto se questi vengono corrisposti al di fuori della busta paga.

“Giuridicamente… con l’italiano non fa… non fa… È difficile! Basta che vanno d’accordo, insomma! Con l’immigrato, sì. È possibile… di fare lavorare in nero… perché lui ci guadagna… però bisogna guardare il settore… il settore… Nell’assistenza, abbiamo dei casi che… grazie a questo anche perché ha aiutato le famiglie ad andare avanti… queste colf, badanti… Sempre in nero, insomma… e adesso con la legge si fa fatica anche a sistemarle perché gli devi dare tredice-sima, dare alloggio, pagare… Insomma… Già si sente, no?! Le famiglie vivevamo meglio prima! Casa in nero, così… stai là 5 anni… dai da mangiare… tutto tran-quillo… nessuno veniva a controllare. Quindi, con gli immigrati è facile… con gli immigrati è facile, poi… io non so se… a me non è mai successo, insomma. Ti fanno fare ore di straordinario, insomma… ore di straordinario… Pagate? Pagate… magari, ogni tanto, così, c’è sempre qualche… non ritardo ma… qualche soldo in meno, insomma… sì quello sì! Qualche sfruttamento! Ma non voglio par-lare di cattiveria, no, no! Vuole solo approfittare… Perché il datore di lavoro molto… anche a livello sindacale, quello che fanno, come leggi, contratti… collet-tivi, no? Contratti interni alle aziende ne approfittano molto… A questo punto, an-che gli italiani subiscono tante di queste cose…” (Y., Camerun)

Addirittura, a seguito dell’intensificarsi dei controlli all’interno delle aziende può capi-

tare che comportamenti particolari siano richiesti dal datore di lavoro esclusivamente ai

lavoratori immigrati, i quali devono risultare più rispettosi delle regole che non i locali!

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“La ditta il sabato fa timbrare il cartellino solo agli stranieri. Agli italiani no! Evidentemente c’è una forte paura dei controlli. Così gli straordinari degli immigrati entrano tutti in busta paga. (…) Altra richiesta che la ditta ha fatto ai lavoratori immigrati, è quella di timbrare il cartellino solo in entrata. Non in uscita, quando finiscono il lavoro. R. sostiene che gli straordinari che gli vengono pagati fuori busta, vengono pa-gati meno rispetto alla retribuzione oraria prevista per gli straordinari in busta.” (H., Bangladesh)

Si tratta di una situazione che l’immigrato percepisce come “svantaggiata”, comunque

discriminatoria. Questo “rovesciamento” delle parti non sembra essere gradito: l’im-

migrato non percepisce differenze di trattamento riferite alla possibilità di accesso re-

golare all’occupazione, bensì, al contrario, relative all’impossibilità di farvi ricorso solo

parzialmente, con una quota, vale a dire gli straordinari, in nero.

“E sono i dipendenti… loro obbligano loro stessi a lavorare tanto, in modo da gua-dagnare di più… cioè, loro non “contano” così… che lavorano… perché voialtri che magari lavorate 5, 6 ore al giorno e poi il resto puoi andare in giro, a fare spese, cose… tutto… no! E, invece, loro… se anche lavora o non lavora, sempre a casa… Allora, è meglio che lavorino un ora in più che così hai più stipendio… così io posso lavorare meno… invece degli altri che, invece, 5 anni per fare un’attività, qualcosina… io, invece, lavoro 3 anni! (…) Esatto! Poi, eventualmente, ci sono gli straordinari… Sì! Solo che… quelli… Anche se, il più delle volte, succede anche per gli italiani che “sono in nero”! Sì, infatti! È quello, no! No, anche per noialtri… però… sì, insomma… loro vogliono magari, però… per esempio… anche loro dicevano che è meglio il nero perché al-meno così non si paga più le tasse, no?! Così, loro… cioè, la loro idea (è quella) di “lavorare e prendere più schei”… perché è la sua opinione di venire qua e lavorare per guadagnare dei soldi da mandare in Cina… e invece di… cioè… prima… cioè… per la prima cosa loro vengono qua a lavorare, guadagnare i soldi”. (L., Cina)

“Io dico di non poter fare straordinari perché vengono messi tutti in busta ed in questo modo pago troppe tasse. Allora faccio al massimo 8 ore. Accetterei ben volentieri che gli straordinari mi venissero corrisposti fuori busta.” (A., Marocco)

La pressione fiscale è percepita anche dall’immigrato come eccessiva, laddove la possi-

bilità di eludere un prelievo tanto gravoso risulta agevole, anche l’immigrato accetta il

rischio e decide di ricorrervi.

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Il più delle volte, al lavoratore straniero poco interessa quali siano i benefici futuri ga-

rantiti da una maggiore contribuzione fiscale, una volta ottenuto un lavoro regolare è

l’ammontare complessivo del guadagno mensile a focalizzare la massima attenzione.

Il costo della vita per l’immigrato, spesso, è faticosamente sostenibile ed il compenso di

una sola attività lavorativa non è in grado di far fronte alla totalità delle spese. Ecco

che allora, non avendo alternative, emulando una prassi peraltro assai diffusa in que-

sto territorio, accetta una seconda attività.

In alcuni casi è il commercio ad offrire all’immigrato la possibilità di arrotondare lo sti-

pendio, in altri invece, egli mette a frutto le proprie abilità e conoscenze in modo irre-

golare svolgendo la propria professione anche al di fuori delle mura aziendali.

“Adesso S. lavora anche con alcuni marocchini. Sono con la cooperativa. Ma il sabato e la domenica loro non lavorano, vanno a vendere tappeti, calzini, …” (A., Marocco)

“… Sono ritornato nell’azienda da dove ero andato via tre anni prima… e attual-mente sono lì… E tre anni che ho avuto due esperienze lavorative… ma sempre nel campo di elettromeccanico, dunque… E poi tu fai anche lavoretti… così… Sì, esatto, faccio anche lavoretti così… mi adatto, monto qualche cancello, qualche impianto lo faccio… Così, un po’ per arrotondare… Esatto, per arrotondare! E anche mi ha aiutato tantissimo a socializzare…” (T., Romania)

“Poi… adesso io ho anche sentito che fanno il permesso di soggiorno a tempo in-determinato… Ma io non ho mai avuto il tempo di venire! Perché io faccio due la-vori, no? Quando finisco là, vado da un’altra parte, no? Ah! Eh… ho tre figli, la mamma… moglie… famiglia… E cos’è che fai? Dall’altra parte faccio quattro ore al giorno! Ma… Saldatore! Lavoro a nero per loro! Perché ho un amico che ha una fabbrica… ma siccome sta andando giù… mi ha chiesto di dargli una mano! Sono due anni che faccio così! Lavoro alla ??? 6 - 14… Dopo dalle 2, 2 e mezza vado là fino alle 6. Sì, devo iniziare alle 6 di mattina… fi-nisco alle 2… Ma se inizio alle 2, la mattina vado là… Ma, allora, il tuo amico fa per farti un piacere o… “Sì, per farmi un piacere… Se no come fai? Ma… a te va bene fare questo lavoro in nero… Eh, beh… Sei obbligato a farlo? Eh… ma se no come devo fare? Soltanto… che prendo là… un milione e otto…

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devo pagare casa, affitto… i bambini… moglie, madre… Poi ho altri… cioè. Due fra-telli che sono giù adesso… che devo anche mantenerli… Dove vado?” (O., Senegal)

Anche in questo caso, l’irregolarità occupazionale dell’immigrato non è totale, ad una

sistemazione lavorativa corretta segue un limitato ricorso al lavoro nero.

Altri presupposti ha, invece, la dinamica segnalata, che riguarda una recente tendenza

degli immigrati di vecchia data a lasciare l’Italia per spostarsi in altre nazioni occi-

dentali.

La ragione di queste scelte va ricercata nell’insoddisfazione che gli immigrati dimo-

strano nei riguardi del soggiorno nel nostro Paese. Argomentazioni di varia natura

confermano una forte delusione rispetto all’Italia, al cui confronto le prospettive offerte

da altri Paesi risultano, alla lunga, più attraenti. Così l’Italia diventerebbe un punto di

transito che facilita l’ingresso e l’ambientazione nel mondo occidentale.

Una volta inserito e in possesso della carta di soggiorno, un permesso a lunga sca-

denza dal quale deriva l’acquisizione di nuovi diritti, l’immigrato può decidere di cam-

biare stile di vita e trasferirsi in un altro ambiente.

“… E poi, tanti non vogliono stare in Italia, vogliono… cioè passano qui… usano come strada… come strada… e guai se l’Unione Europea sbaglia a fare una con-venzione che si può lavorare qua e… o in altri stati diciamo… che si può girare per lavoro, avendo un certo permesso di studio, perché da lì, guarda, non ci scappe-ranno più! Tutti vanno via di qua! Perché già i senegalesi avevano avuto… cioè, statisticamente tanti stanno andando via, adesso… i primi… anche i ghanesi… hanno rinunciato… Perché stanno tornando ai loro Paesi? Anche perché stanno spostandosi verso altri Paesi! Con permesso di lunga du-rata… ad esempio, abbiamo adesso la carta di soggiorno… Ma, allora, verso Paesi europei o verso Paesi africani? Verso altri Paesi europei! Quindi, è possibile che fra… qualche anno, insomma… qua avremo anche una… sì, una diminuzione rispetto al numero, insomma… I primi arrivati, veramente, guarda, stanno andando via! Ho dispiacere a dirlo, perché io vivo… mi piace… queste piccole cose, perché a me… è importante poter sapere cosa sta succedendo… e poi, allo sportello, noi abbiamo persone che vengono con diversi problemi… riusciamo a capire l’andamento dei flussi… e si vede dalla loro faccia quanto hanno provato e quanto sentono. Fino adesso non c’è stata un integrazione, mai! Fino adesso… si… si parla ma… I primi anni hanno detto “Siamo diversi, siamo diversi!” No, no, no! Dopo hanno detto, tre anni fa, “Siamo tutti uguali… Siamo tutti uguali…” Adesso parlano che dobbiamo integrarci… Ma come mai? Ci vogliono gli strumenti, non solo le parole! Questo uccide! Tanti qua, riescono a lavorare uno, due, tre, cinque anni e quando hanno la carta di soggiorno, vanno via!

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E, secondo te, dove vanno prevalentemente? In Francia? No… in altri Stati… dove hanno avuto casa… Per esempio, c’è un caso vero, di una persona che si è spostata recentemente… ha fatto il corso qua… all’università di Padova… è riuscita come me a finire ed ha scelto di andare a Londra. E altri sono andati in America, sono andati in Canada… stanno andando! Perché già con il permesso sei in regola e se va a fare domanda per il visto, per andare in un al-tro Paese, sei accettato… soprattutto quando hai la residenza… vuol dire che già hai vissuto in Europa e… È una cosa…” (Y., Camerun)

“Noi, finché siamo qua, lavoriamo, facciamo la famiglia, tutto… rimaniamo qua… non ci muoviamo da qua! Forse, io pensavo di andare a vivere in Germania… per-ché ho parenti lì… ho opportunità… forse di lavorare… di prendere un po’ di più, di avere un alloggio e tutto questo… Ma questo si vedrà col tempo! Però, già, ci state pensando! Sì!” (S., Macedonia)

Altre storie trovano la loro ragione soprattutto nell’estrema vicinanza dei Paesi di ori-

gine al territorio italiano (Balcani) e nella relativa libertà di attraversamento delle fron-

tiere. Questo, spesso, consente un costante andirivieni del lavoratore che non neces-

sita di un prolungato soggiorno in territorio italiano, al termine della settimana o del

periodo lavorativo egli rientra nel proprio Paese eludendo così ogni forma di registra-

zione della propria posizione lavorativa.

“(…) No, guarda, dalla Bosnia, dalla Macedonia… Ma prendono il permesso di tre mesi, così… Sì, prendono il permesso… … vengono qua, lavorano e ritornano… … lavorano e tornano a casa! (…) Però non lavorano… lavorano in nero… lavorano… …lavorano in nero… Sì, ce ne sono. Ce ne sono!” (M. e A., Tunisia e Marocco)

Naturalmente, così facendo, la possibilità di guadagno è di gran lunga superiore ri-

spetto a quanto generalmente offerto nel Paese di origine.

“… Ok! La verità è che quelli dei Paesi dell’Est… loro… a loro piace lavorare in nero… se hanno il lavoro! Chissà… forse perché sono vicino a qua… quindi pos-sono andare a casa. Quindi, a loro interessano i soldi. Sono qui in Italia per i soldi! (…) Per quelli dei Paesi dell’ est, sì… è facile! Loro… perché loro, insomma, essendo vi-cino qua… a loro interessano i soldi! Interessano i soldi, insomma… Ci impiegano sei ore e sono a casa… fanno quello che vogliono e tornano!” (Y., Camerun)

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Nuove prassi sembrano invece gestite dagli imprenditori italiani che, sfruttando la

forte differenza del costo del lavoro tra l’Italia e i limitrofi Paesi dell’Est europeo, adot-

tano nuove tecniche di riduzione dei costi, ma anche di evasione contributiva.

Le segnalazioni si riferiscono soprattutto ai casi in cui gli imprenditori locali decidono di

aprire una sede lavorativa al di là della frontiera. L’attività avviata funge, in questo caso,

da mera opportunità di reclutamento di manodopera locale a costi bassissimi, lo scopo

vero infatti è quello di importare la sola prestazione lavorativa di questi individui traen-

done il massimo del vantaggio. I lavoratori, pur rimanendo soggetti alle imposizioni nor-

mative del Paese di origine e continuando a ricevere uno stipendio in linea con gli stan-

dard nazionali, vengono fatti lavorare in Italia dissimulando la loro situazione dietro posi-

zioni fittizie.

“Per esempio, se tu hai una fabbrica lì o un’impresa o qualcosa lì… in Slovenia o in Croazia… dove passano senza problemi la frontiera… senza visto, senza niente… tu che hai quel lavoratore lì, te lo porti qua, in un impresa… non lo metti in regola, non fai niente… non paghi i contributi… non fai niente… e gli dai di meno la paga… senza… Sì, fanno a nero…” (G. e T., Bosnia e Moldavia)

In questa direzione si muovono anche alcune recenti tendenze nel settore dei trasporti.

La ditta stabilisce la propria sede all’estero ed anziché assumere i lavoratori stranieri

in Italia li recluta direttamente in territorio straniero. Anche in questo caso il costo del

lavoro subisce un taglio netto e la regolarità o meno del rapporto lavorativo sembra

non suscitare particolari problemi.

“… Uno… imprenditore… là in Bosnia c’è transport… camion… Lui mi ha chiesto per telefono 15 mesi fa… ha detto “Tu hai il permesso di sog-giorno?” “Sì!” “Dai, vieni là in Bosnia… tua casa… Io ti do un camion… lavori per lui… io capito… lasciare l’Italia per 300 euro… 900.000 lire… diciamo… lavori per me, vai in viaggio… Italia… vai”… Io ho detto “Cosa fai con 900.000?” Io trovo qua… autista… per 3 milioni… se posso trovo come normale autista… Ho detto “No, grazie!” (G., Bosnia)

Anche in questo caso, sembra trattarsi di prassi che originano da una veloce possibi-

lità di collegamento tra l’Italia ed i Paesi balcanici dell’ex Jugoslavia. Questo va sotto-

lineato soprattutto in relazione al fatto che ad essere interessata da queste nuove con-

suetudini è una precisa fetta della realtà immigratoria.

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PARTE QUARTA:

UNA TESTIMONIANZA PROFESSIONALE

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Capitolo 9°

ASSETTI NORMATIVI E FORME DI LAVORO DEGLI IMMIGRATI1

9.1 Premessa

Come è noto il Nord Est, in specie il Veneto, esercita una particolare attrazione verso gli

immigrati, che è verificabile sia con riferimento all’ingresso dall’estero, molto spesso di-

rettamente realizzato verso il Veneto, e sia con riferimento alla mobilità interna al terri-

torio nazionale, tanto è vero che in occasione di ognuna delle regolarizzazioni attuate dal

1986 ad oggi si è puntualmente registrato un considerevole esodo dal Sud al Nord dei

lavoratori appena regolarizzati, o persino durante la definizione della procedura di rego-

larizzazione.

Ciò potrebbe far pensare, di primo acchito, che le ragioni dell’esodo siano da indivi-

duare nella differenza tra un Sud dove il lavoro per gli immigrati è più facilmente nero2

e un Nord dove sarebbe quasi esclusivamente regolare, sicché la “preferenza” degli im-

migrati per il Veneto starebbe a dirci che essi giungono qui perché c’è più possibilità di

lavorare regolarmente. Potrebbe persino apparire come logico corollario la deduzione

per cui tale tendenza alla concentrazione nella nostra regione esprime un’offerta asso-

lutamente prevalente di lavoro regolare, e sia dunque la prova che nel Veneto c’è poco

lavoro nero, salvo che per alcuni segmenti “marginali” del mercato tipicamente occu-

pati dai c.d. “clandestini”.

Come vedremo, nel Veneto il lavoro nero non interessa solo i lavoratori extracomunitari

privi di permesso di soggiorno ma anche, con modalità diverse, persone munite di un

1. Di Marco Paggi. 2. È emblematica l’esperienza del campo/centro di assistenza organizzato nel 1990 a Villa Literno da Cgil,

Cisl e Uil, per favorire l’utilizzo della regolarizzazione di cui al D.L. 416/90 (convertito nella L. 39/90, c.d. “Legge Martelli”) da parte degli immigrati impiegati nella raccolta del pomodoro. In quella occasione la camorra volle dare un segnale della propria capacità di controllo del territorio: infatti, mentre tutti gli immigrati ospitati presso il campo attrezzato dalle organizzazioni sindacali vennero assistiti per forma-lizzare l’iscrizione al collocamento (prodromica rispetto all’assunzione regolare), di fatto uno solo degli iscritti venne assunto in regola, quasi a dire: “uno, non di più, viene assunto in regola, perché l’abbia-mo deciso noi”.

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valido permesso di soggiorno; non solo, ma vedremo anche che il lavoro regolare può

persino interessare persone prive di un valido permesso di soggiorno.

Sembra dunque molto più realistico ritenere che la scelta di dirigersi al Nord sia essen-

zialmente orientata da un dato molto oggettivo e immediatamente apprezzabile, ovvero-

sia dalle maggiori opportunità di occupazione al Nord ed in particolare nel Nord Est,

quale che sia il tipo di lavoro. Non si fanno, insomma, differenze tra lavoro regolare e la-

voro nero, semmai si guarda a quanto il lavoro può rendere nell’immediato, e indubbia-

mente le paghe “in nero” sono più elevate al Nord che al Sud, come è ben noto ai diretti

interessati.3 D’altra parte, non va trascurato che anche gli immigrati con regolare sog-

giorno per lavoro sono ampiamente occupati nel lavoro sommerso.

Sulle propensioni degli immigrati, nella scelta della loro destinazione lavorativa, influi-

sce notevolmente l’effetto della cosiddetta “catena migratoria”, che invero può avere delle

maglie più o meno strette e così esprimersi in un mero “passaparola” tra connazionali,

che spesso evolve in una rete spontanea di contatti (non certo immuni da interessi col-

legati alla gestione di interessi e “gerarchie” all’interno delle comunità di immigrati), fino

ad arrivare a vere e proprie forme di solidarietà, prevalentemente di tipo parentale. Ma,

quali che siano le dinamiche che hanno influenzato il percorso migratorio, resta un dato

di generale esperienza, verificabile in modo costante nel rapporto con gli immigrati,

quantomeno con quelli che hanno meno anzianità di presenza sul territorio: il loro so-

stanziale disinteresse verso la forma del rapporto di lavoro, ovvero la sua irregolarità più

o meno apparente; essi comprendono realisticamente, sia pure dal loro diverso punto di

vista culturale, la precarietà dei tipi di lavoro che vengono loro normalmente proposti e

più in generale delle condizioni di vita che sono destinati ad affrontare, e non si possono

permettere in tale contesto di attribuire valore al concetto di lavoro regolare, anzi, è già

difficile che ne comprendano il significato.

Inoltre, sempre dovendo tener conto dei loro diversi approcci culturali e dei bisogni di

natura immediata che essi devono soddisfare per sé e per le loro famiglie, i lavoratori di

recente immigrazione non hanno di fatto la possibilità di pensare al futuro, di apprez-

zare le conseguenze vantaggiose (anche dal punto di vista della possibilità di mantenere

una regolare posizione di soggiorno) di un’attività regolare e tendenzialmente stabile,

che dia diritto a fruire le prestazioni delle assicurazioni sociali. Gli stessi immigrati in

condizione regolare di soggiorno –maggiormente quelli di più recente immigrazione e/o

3. In contesti di elevata tensione occupazionale si arriva ad offrire ad un saldatore esperto la paga netta, in nero, di 11 euro all’ora; naturalmente, si tratta delle “punte” del mercato, che non costituiscono cer-to la regola ma rappresentano comunque un elemento di attrazione.

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meno “inseriti”– hanno un atteggiamento di indifferenza verso il valore in sé del lavoro

regolare, spesso sperano (sia pure con una notevole dose di ingenuità) di poter “con-

trattare” una paga in nero più alta in cambio della rinuncia ai contributi, dei quali non

riconoscono l’utilità differita alla maturazione dell’età pensionabile.4

In altre parole, la concentrazione nel Veneto si basa essenzialmente su una domanda di

lavoro molto ampia e diffusa sul territorio, tale da far sperare con qualche fondamento

nella realizzazione di guadagni relativamente superiori, senza che si possa distinguere

nettamente l’attrazione esercitata dal lavoro regolare rispetto a quella pure esercitata dal

lavoro sommerso, anzi, con la grande domanda di lavoro regolare convive e concorre

un’apprezzabile richiesta di lavoro irregolare, sicché sarebbe un errore ritenere che solo

la domanda di lavoro regolare alimenti tanto gli ingressi dall’estero quanto la mobilità

interna al territorio nazionale, poiché a ben guardare anche il mercato del lavoro som-

merso non manca di contribuire all’attrazione del lavoratori immigrati verso il Veneto.

La recente regolarizzazione, rispettivamente disciplinata per colf e badanti dall’art. 33

della legge 30 luglio 2002 n. 189 e per i lavoratori degli altri settori dal decreto-legge 9

settembre 2002 n. 195, convertito nella legge 9 ottobre 2002 n. 222, ci ha offerto un’ot-

tima occasione per toccare con mano il fenomeno del lavoro sommerso degli immigrati

in tutte le sue sfaccettature. Infatti, poiché la recente regolarizzazione si caratterizza per

l’avere affidato, per la prima volta, alla sola volontà del datore di lavoro il potere di atti-

vare la procedura di “emersione”, ci ha fornito e continuerà a fornirci importanti elemen-

ti di conoscenza e di valutazione, non solo in relazione ai rapporti di lavoro per i quali è

stata attivata la procedura, ma anche per quanto riguarda la casistica dei datori di lavo-

ro che hanno rifiutato di attivare la regolarizzazione; inoltre, considerati i tempi prevedi-

bilmente lunghi di definizione delle pratiche, ci permetterà un’utile osservazione sulle

sorti dei relativi rapporti di lavoro.

Va precisato che esula dalla presente analisi la rilevazione e la valutazione di dati stati-

stici o comunque di dati quantitativi basati su rilevazione scientifica (gli stessi dati ine-

renti la regolarizzazione, peraltro, potranno essere realmente disaggregati e “letti” solo

fra molto tempo), essendo invece suo scopo precipuo, al di là dei dati, la descrizione ba-

4. Peraltro, con l’entrata in vigore della legge 30 luglio 2002 n. 189 (c.d. “Legge Bossi-Fini”), è stato abro-gato l’istituto della liquidazione dei contributi versati in Italia in caso di rientro definitivo nel paese d’origine, già previsto dal testo originario dell’art. 22, comma 11, del D.leg.vo 25 luglio 1998 n. 286. Tale forma di “previdenza alternativa” aveva in effetti suscitato un crescente interesse verso la regola-rità contributiva, poiché assicurava un consistente beneficio. Verosimilmente, l’intervenuta abrogazione non mancherà di diminuire l’interesse degli immigrati verso la regolare contribuzione, essendo difficile, dal diverso punto di vista culturale di molti di essi, percepire l’utilità di qualcosa che dovrebbe verifi-carsi al compimento del 65° anno d’età, secondo quanto previsto dal testo riformato dell’art. 22, al comma 13.

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sata sull’esperienza pratica delle tipologie di lavoro irregolare degli immigrati, dei settori

di attività in cui si inseriscono tali rapporti e degli atteggiamenti che in tale contesto ca-

ratterizzano i soggetti interessati, senza fare a meno di tener conto dell’importante inte-

razione che le norme vigenti5 e la prassi amministrativa esercitano sul fenomeno.

Infine, si ritiene che un’analisi complessiva, avente lo scopo di far comprendere le dina-

miche del fenomeno, non possa fare a meno di considerare il lavoro irregolare in tutte le

sue forme ed espressioni, quindi di considerare anche il c.d. “lavoro grigio”, vale a dire il

lavoro solo formalmente o parzialmente regolare, a prescindere dalla titolarità o meno di

un valido permesso di soggiorno.

9.2 La condizione soggettiva del lavoratore immigrato: categorie

9.2.1 Il lavoro nero dei “regolari”

Lo stereotipo del lavoro nero degli immigrati è rappresentato dal c.d. ”clandestino”,6 ma

non va tuttavia dimenticato che il fenomeno interessa considerevolmente anche gli im-

migrati in possesso di un permesso di soggiorno idoneo allo svolgimento di regolare atti-

vità lavorativa. A riprova di ciò basti considerare, anche a prescindere dai dati ammini-

strativi ufficiali sulla disoccupazione degli immigrati “regolari”,7 che per nulla rari risul-

tano gli immigrati che al momento del rinnovo del permesso di soggiorno non dimo-

strano alla questura un’occupazione regolare in atto e, magari, non risultano svolgere

5. Nel seguito ogni citazione di norme del Testo Unico delle leggi sull’immigrazione di cui al D.Leg.vo 25 luglio 1998 n. 286 (per brevità T.U.) dovrà essere intesa, salvo diverse specificazioni, con riferimento al testo vigente come modificato a seguito dell’entrata in vigore della legge 30 luglio 2002 n. 189.

6. Questo termine, invero, è criminalizzante, perché induce ad associare la condizione irregolare di sog-giorno al presunto svolgimento di attività criminali. Di fatto esso viene correntemente utilizzato in quanto ormai sinonimo di cittadino extracomunitario entrato nel territorio in violazione delle norme in ma-teria di ingresso e soggiorno degli stranieri, o comunque privo di un permesso di soggiorno in corso di va-lidità o il cui permesso di soggiorno risulti scaduto da oltre sessanta giorni senza che sia dimostrata la pendenza della procedura di rinnovo su sua richiesta, secondo la definizione fornita ai fini dell’espulsio-ne dall’art. 13, comma 1, del D.Lgs.286/98.

7. Essi, infatti, si sono dimostrati scarsamente attendibili, dal momento che sinora le statistiche del siste-ma di collocamento pubblico (quando disponibili) non sono riuscite negli ultimi anni a tener conto del-l’altissima mobilità degli immigrati sul territorio, sicché è stato verificato che continuavano ad essere annoverati tra gli iscritti alle liste del collocamento soggetti che avevano da tempo instaurato rapporti di lavoro in province o circoscrizioni diverse, o che già da tempo avevano lasciato il territorio nazionale, o che avevano nel frattempo perduto il permesso di soggiorno, senza più avere alcuna possibilità di lavo-rare in regola.

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da molto tempo un’attività lavorativa. Dunque, a meno di non presumere che tutti si

procurino da vivere con attività criminali, il che sembrerebbe quantomeno eccessivo, bi-

sogna pur accettare che buona parte di essi abbia svolto o stia ancora svolgendo lavoro

nero. Del resto, le stesse risultanze degli accertamenti ispettivi da parte degli organi di

vigilanza, anche prescindendo dall’effettiva rappresentatività o meno dei dati che ne de-

rivano, confermano che anche gli immigrati regolari lavorano in nero.

Ad un osservatore esterno può sembrare inverosimile che gli immigrati accettino, nono-

stante il possesso di un regolare soggiorno, di lavorare comunque in nero ed affrontare

quindi il rischio di perdere il permesso di soggiorno (d’ora in avanti, per brevità, deno-

minato “p.s.”), sia a causa del diniego di rinnovo per mancata dimostrazione del reddito

maturato nel trascorso periodo di soggiorno,8 sia in conseguenza del superamento del

termine massimo di disoccupazione, ora ridotto da un anno a sei mesi.9 Si è già accen-

nato in premessa come sia molto scarso il valore in sé che gli immigrati attribuiscono al

lavoro regolare; a ciò si aggiunga la conoscenza a dir poco approssimativa delle norme in

materia di soggiorno, congiunta a quella sorta di fatalismo, più o meno diffuso fra tutte

le comunità di immigrati (poco interessa allo scopo della presente analisi l’atteggiamento

dell’extracomunitario svizzero o statunitense…), che induce a pensare che non vi sa-

ranno problemi al momento del rinnovo e che, se vi saranno, potranno risolversi al mo-

mento opportuno “in qualche modo”.10 Inoltre, concorre ad ingenerare tale erronea

8. In linea teorica, poiché dal punto di vista del lavoratore il reddito da lavoro nero è perfettamente lecito, dovrebbe ammettersi che la dimostrazione concreta dell’esistenza del rapporto di lavoro possa evitare il diniego di rinnovo del p.s., tuttavia, la possibilità di valutare tali circostanze ai fini del rinnovo viene di fatto generalmente esclusa dalle Questure, salvo casi eccezionali, comunque sottoposti ad una valuta-zione ampiamente discrezionale. Inoltre, è comunque raro che il lavoratore si determini a formulare una formale denuncia del proprio rapporto di lavoro nero, perché è l’unica sicurezza che ha e la denun-cia comporterebbe ovviamente la perdita del posto di lavoro.

9. L’art. 22, comma 11, prevede che “la perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore extracomunitario ed ai suoi familiari legalmente soggiornanti. Il la-voratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua va-lidità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di un permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore a sei mesi”.

10. La disciplina del T.U. in materia di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno è stata modificata sensibilmente dalla legge 9 settembre 2002 n. 189, e la sua interpretazione non risulta ancora univoca, anche perché non è stato ancora approvato il nuovo regolamento di attuazione del T.U., che è previsto dovrà sostituire il tuttora vigente regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 31 agosto 1999 n. 394. Non è ancora chiaro, infatti come verranno applicate in sede di rinnovo del p.s. le norme che regolano il nuovo istituto del “contratto di soggiorno”. L’art. 22, comma 6, prevede il suo perfezionamento entro otto giorni dall’ingresso (sul presupposto di un visto rilasciato dalla rappresentanza consolare a seguito dell’autorizzazione preventiva rilasciata in base ai commi da 1 a 5 dello stesso articolo), presso lo spor-tello unico che ha rilasciato il nulla osta. Il permesso di soggiorno per motivi di lavoro viene poi rila-sciato quale provvedimento consequenziale dalla competente Questura in base a quanto disposto dal comma 3-bis dell’art. 5, a seguito della stipula del contratto di soggiorno per lavoro di cui all’art. 5-bis, con durata corrispondente a quella prevista dal contratto di soggiorno ovvero, in caso di contratto a tempo indeterminato, non superiore a due anni.

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convinzione la prassi disomogenea delle Questure: infatti, nel mentre si assiste, nel

Nord in generale ma forse con frequenza ed accenti più spiccati nel Veneto, ad una pras-

si per cui sempre più sistematicamente viene rifiutato il rinnovo del p.s. nei confronti di

chi non dimostra una pregressa attività lavorativa regolare, nel Sud si registra una

Ora, se è pur vero che nell’immagine “mediatica” della nuova legge era stata propagandata la volontà di assicurare strettissima corrispondenza tra permesso di soggiorno e contratto di soggiorno, l’iter de-scritto non sembra tuttavia suscettibile di essere replicato dopo il primo permesso di soggiorno, in oc-casione dei successivi rinnovi. Per l’appunto, l’art. 5 prevede che il rinnovo del permesso di soggiorno è richiesto direttamente al Questore, ma non prevede che ciò avvenga previa stipula di un nuovo con-tratto di soggiorno, e ciò sia in riferimento ai contratti a tempo determinato e sia a quelli a tempo inde-terminato, senza peraltro distinguere l’ipotesi in cui il contratto a tempo indeterminato si sia nel frat-tempo risolto ovvero sia ancora in atto. Inoltre, sempre nei diretti confronti della Questura, e con il più ampio potere, è prevista l’attribuzione del compito di verifica delle condizioni previste per il rilascio e delle diverse condizioni previste dal presente testo unico, il che sembra confermare l’incompatibilità della procedura di rinnovo del permesso di soggiorno rispetto all’ipotesi di un eventuale ruolo decisivo dello sportello unico, essendo evidente che, se questo dovesse realmente occuparsi in sede di rinnovo della previa verifica delle condizioni di cui all’art. 5-bis, allora non avrebbe senso demandare le stesse verifi-che anche alla Questura. Ad ulteriore conferma, si osserva che l’art. 22, comma 11, nel prevedere la possibilità di reperire una nuova occupazione nel periodo di residua validità del permesso di soggiorno (o comunque per un pe-riodo non inferiore a sei mesi), non fa il ben che minimo accenno alla previa stipula del contratto di soggiorno, il che induce a concludere che il contratto di soggiorno dovrebbe rappresentare un adempi-mento previsto soltanto con riguardo al primo permesso di soggiorno per lavoro. Peraltro, non si può fare a meno di considerare che l’eventuale interpretazione che ritenesse di imporre sine die , quale condizione per il rinnovo del permesso di soggiorno (salvo, comunque, l’eventuale con-seguimento della carta di soggiorno di cui all’art. 9), la periodica formalizzazione del contratto di sog-giorno e la correlativa puntuale verifica delle condizioni previste dall’art. 5-bis, specie con riguardo all’idoneità dell’alloggio, non mancherebbe di mantenere costantemente il lavoratore immigrato in una condizione discriminante rispetto al lavoratore italiano, essendo evidente che le problematiche alloggia-tive non potrebbero non riflettersi direttamente sulla possibilità legale di instaurare un valido rapporto di lavoro. Ma in tal caso potrebbe ritenersi violato il fondamentale principio di piena parità di tratta-mento e di uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani, così come sancito dall’art. 10 della Con-venzione n. 143 del 1975 dell’O.I.L. e riconfermato dall’art. 2 del testo unico. Tale generale principio di parità di trattamento e di opportunità trova poi ulteriore specificazione e tutela in base al disposto di cui all’art. 8 della Convenzione, che vieta agli stati membri di far derivare automaticamente dalla per-dita del lavoro la revoca del permesso di soggiorno. Se questo divieto vale per la perdita del posto di la-voro, non si vede come non potrebbe valere, forse a maggior ragione, per la perdita dell’alloggio. Se, dunque, si volesse ritenere - sul presupposto erroneo dell’applicabilità ad ogni rinnovo del “rito” del contratto di soggiorno - che la perdita dell’alloggio (come pure la mancata prestazione della “garanzia” richiesta al datore di lavoro, o comunque il possesso di un alloggio non conforme ai parametri fissati per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica) comporti l’impossibilità di stipulare un contratto, rectius di rinnovare il permesso di soggiorno, non si potrebbe fare a meno di ravvisare una violazione della Convenzione citata; per questa via, infatti, si andrebbe ad imporre una restrizione ben più grave di quella vietata, non essendo difficile immaginare che un immigrato possa più facilmente trovarsi nella situazione di avere un’offerta di lavoro o un rapporto di lavoro in atto, senza disporre invece di un al-loggio dall’idoneità certificata. Per inciso, l’effettivo rispetto della Convenzione citata - che, si ricorda, è da ritenersi fonte di rango superiore alla legge ordinaria a mente di quanto sancito dall’art. 10, 2°comma, della Costituzione - andrà poi verificato anche in relazione alla concreta fruibilità del periodo assegnato per la ricerca di una nuova occupazione, secondo i termini ora dimezzati previsti dal comma 11 dell’art. 22. È nota, infatti, la prassi per cui molte Questure (in specie, quelle più “affollate” da im-migrati) impiegano mesi per procedere al rinnovo del permesso di soggiorno, dopodiché si scopre che la data indicata per la decorrenza iniziale della durata del permesso non è quella corrispondente all’effettivo rilascio bensì quella risalente al momento della presentazione della domanda; laddove è fa-cilmente intuibile che “nelle more” del procedimento di rinnovo, quando non vi è comunque certezza di esito favorevole, ben difficilmente potrà essere reperita un’occupazione regolare, ancorché il comma 12 dello stesso articolo riconosca ora la possibilità di proseguire il rapporto di lavoro e, sembra, di costi-tuirlo ex novo.

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maggiore tolleranza al riguardo, verosimilmente basata sul dato di comune esperienza

per cui le opportunità di lavoro regolare sono meno frequenti anche per gli autoctoni.

In ogni caso, è poi pressoché scontato che, a seguito del mancato rinnovo del p.s.,

l’immigrato cerchi di protrarre l’occupazione regolare in atto, magari fingendo col datore

di lavoro che la pratica sia ancora in corso (tenuto conto che a tutt’oggi non vige alcun

automatismo nel senso di comunicare al datore di lavoro il provvedimento di diniego,

così inducendo la risoluzione obbligatoria del rapporto); a maggior ragione, ovviamente,

cercherà di proseguire anche il lavoro nero, sempre se e fino a quando non sarà sotto-

posto all’effettiva espulsione.

9.2.2 Il lavoro nero “nelle more” del rinnovo del permesso di soggiorno

La fase del rinnovo del permesso di soggiorno, come si è già accennato, è una fase cru-

ciale poiché il rischio di diniego del rinnovo non sussiste solo a causa della mancata di-

mostrazione delle pregresse fonti di sostentamento ma ancor più di sovente (e sempre di

più) a causa della mancata dimostrazione della disponibilità di un alloggio, oppure a

causa della ritenuta inidoneità dell’alloggio concretamente disponibile.11 Al riguardo, va

sottolineato che la maggior parte degli immigrati che condividono un alloggio non risulta

titolare di un contratto di locazione, in quanto (tralasciando gli affitti in nero, non certo

11. La garanzia sulla disponibilità di un alloggio da parte del datore di lavoro in sede di richiesta di autorizzazione all’assunzione dall’estero era già prevista, prima della riforma del T.U., dall’art. 30, comma 2 lett. e) del regolamento di attuazione di cui al D.Leg.vo 31 agosto 1999 n. 394; a seguito della riforma il T.U. prevede all’art. 22, comma 2 lett. b), che sia prodotta “idonea documentazione relativa alle modalità di sistemazione alloggiativi per il lavoratore”, mentre l’art. 5 bis prevede al comma 1 lett. a) che al momento della stipula del contratto di soggiorno debba essere formalizzata una “garanzia da parte del datore di lavoro della disponibilità di un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri mi-nimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica”. In ogni caso, anche tralasciando la diversa formulazione delle due norme citate, va sottolineato che si tratta in sostanza di una garanzia più apparente che sostanziale, poiché resta comunque indiscutibile che, se anche l’alloggio fosse pro-curato dal datore di lavoro, esso non deve essere pagato dal datore in aggiunta al normale costo del la-voro, vale a dire la retribuzione contrattuale, i contributi assicurativi previdenziali e le ritenute fiscali; se così fosse, infatti, avremmo un trattamento discriminatorio, ma questa volta nei confronti dei lavo-ratori italiani; non si può sottacere, tuttavia, che la imposta “idoneità” dell’alloggio non mancherebbe di tradursi in condizioni peggiorative e di fatto, quindi, discriminatorie, per i lavoratori immigrati, dal momento che essi dovrebbero accollarsi il ben maggiore costo di un alloggio idoneo nei termini anzidetti (quando è notorio che la maggior parte dei cittadini che vivono negli alloggi di edilizia residenziale pub-blica hanno ricevuto in assegnazione un’unità abitativa che non rispetta i relativi parametri con riferi-mento alla effettiva entità del nucleo familiare). Ad ogni buon conto, va ricordato che solo nel settore del lavoro domestico (non fa differenza se si tratta di normali colf o di “badanti”) l'alloggio ed anche il vitto sono da ritenersi dovuti in aggiunta alla retribuzione quando si tratta di lavoratori "conviventi", ma ciò è dovuto ad una specifica previsione del contratto collettivo nazionale per il lavoro domestico, un'ecce-zione che conferma la regola.

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rari) i proprietari preferiscono intestare il contratto ad un solo soggetto ancorché siano

consapevoli di locare un immobile destinato ad alloggiare più persone, onde evitare plu-

rime successioni di persone diverse nel contratto. Recentemente, e sempre più di fre-

quente - ma senza alcuna sistematicità ed in assenza di disposizioni di legge e persino

di qualsivoglia circolare al riguardo - viene richiesto dalle Questure del Veneto anche il

consenso scritto all’ospitalità da parte del proprietario dell’immobile, che, per le ragioni

anzidette, viene ben raramente prestato. Altre circostanze, ritenute, a torto o a ragione,

rilevanti ai fini del rinnovo, concorrono a complicarne la procedura: Fra le più ricorrenti,

per es.: la scadenza del passaporto ed il rinvio della definizione all’esito del rinnovo (che

comporta tempi di attesa molto lunghi presso i competenti consolati dei paesi d’origine);

la necessità di verificare gli esiti di un procedimento penale o di verificare le omonimie

con soggetti espulsi o sottoposti a procedimento penale.

Ma anche volendo tralasciare i frequenti “incidenti di percorso” della procedura di rin-

novo, va considerato che in generale le Questure del Veneto (complice il particolare “af-

follamento” di stranieri nella regione e la mancanza di adeguate risorse da parte degli

uffici) impiegano normalmente alcuni mesi per il normale rinnovo, che trascorrono tra

l’attesa del primo “appuntamento” per l’inoltro della domanda, che va prenotato (magari

presso uffici esterni organizzati dagli enti locali o da associazioni in convenzione con la

locale Questura), ed il successivo accesso per il ritiro.

Peraltro, avviene normalmente che la data di decorrenza iniziale del p.s. rinnovato non

corrisponda con quella (di gran lunga successiva) di effettivo rilascio, bensì con la data

di rilascio della ricevuta attestante l’inoltro della domanda di rinnovo, con la conseguen-

za che dal punto di vista burocratico il p.s. risulta disponibile per la ricerca di un’occu-

pazione quando ancora non è rinnovato, sicché il tempo di attesa del rinnovo, di fatto,

consuma buona parte del periodo massimo di (spesso solo formale) disoccupazione con-

sentito dalla legge. A seguito della modifica del testo originario dell’art. 22 del D. Lgvo 25

luglio 1998 n. 286, detto periodo è stato ridotto da un anno a sei mesi, sicché vi è il

concreto rischio, nel caso si tratti di lavoratore disoccupato, che il tempo effettivamente

disponibile per la ricerca di un nuovo impiego regolare divenga prossimo a zero.

La fase del rinnovo del p.s., specie in considerazione dei tempi di attesa, ha comportato

in passato seri disagi per le stesse aziende, condizionando la lecita prosecuzione del rap-

porto di lavoro in corso, essendo prevista la sanzione penale di cui all’art. 22, comma

10, del T.U. nella sua versione originaria, nei confronti dei datori di lavoro che avessero

mantenuto in atto il rapporto nei confronti di stranieri col p.s. scaduto. Non risultano

affatto isolati i casi di imprese che hanno risolto il rapporto di lavoro in coincidenza con

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la scadenza del p.s., potendo legalmente addurre un giustificato motivo oggettivo di li-

cenziamento, come pure si sono verificati casi di imprese che hanno solo formalmente li-

cenziato il lavoratore (per evitare accertamenti incrociati della posizione di soggiorno e di

quella contributiva) ed hanno proseguito in nero il rapporto per tutto il tempo necessario.

Ora, il testo vigente dell’art. 22, al comma 12, consente la prosecuzione del rapporto

nelle more della procedura di rinnovo, dunque, il problema dei tempi di attesa deve rite-

nersi ormai superato per chi prosegue il rapporto di lavoro sorto anteriormente alla sca-

denza del p.s., ma resta tuttavia per coloro che perdono il posto di lavoro in coincidenza

con la scadenza del p.s., e si tratta di situazioni molto frequenti, se si considera che con

i lavoratori immigrati viene ampiamente utilizzato (talvolta anche oltre i limiti stabiliti) il

contratto di lavoro a tempo determinato, con scadenza normalmente coincidente con

quella del p.s.. In linea teorica, nemmeno in questi casi vi dovrebbero essere difficoltà

nella costituzione di un nuovo rapporto di lavoro, dal momento che la nuova formula-

zione dell’art. 22 citato consente l’assunzione anche a fronte della mera dimostrazione

dell’avvio della procedura di rinnovo del p.s. (mediante esibizione della ricevuta della

Questura attestante l’inoltro della domanda e la pendenza del relativo procedimento),

tuttavia sussiste una comprensibile diffidenza da parte delle aziende (che normalmente

preferiscono rispondere all’immigrato che si propone per l’assunzione “ritorna quando

avrai il permesso pronto”), in quanto si è già detto che l’inoltro della domanda non assi-

cura affatto che poi il p.s. venga effettivamente rilasciato, sicché le imprese si trovereb-

bero a rischiare un inserimento in azienda poco proficuo, nella misura in cui non do-

vesse rivelarsi di effettiva stabilità. Va inoltre considerato che i datori di lavoro non

hanno modo di controllare se, quando e con quale esito viene definita la procedura di

rinnovo del p.s., col rischio di commettere senza potersene accorgere il reato di cui

all’art. 22, comma 12, del T.U..

Dunque, pure in mancanza di informazioni quantitative di riscontro, risulta facilmente

intuibile come la fase del rinnovo del p.s., a fronte delle suddette circostanze, possa in-

durre o costringere le parti interessate, pure contro la loro volontà, allo svolgimento di

rapporti (o nella migliore delle ipotesi di periodi) di lavoro irregolari.

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9.2.3 I lavoratori autorizzati al soggiorno ma non al lavoro, ovvero il lavoro nero

inevitabile

È poco conosciuto il fenomeno delle svariate “categorie” di stranieri formalmente auto-

rizzati (e persino, in taluni casi che vedremo, sostanzialmente costretti) al soggiorno in

Italia ma privi della possibilità di lavorare regolarmente, in quanto il titolo di soggiorno

non abilita allo svolgimento di tale attività. Per l’appunto (ai sensi del combinato dispo-

sto degli artt. 18, comma 4, 6, comma 1, e 22, comma 12, del D.Lgs. 286/98), può svol-

gere regolare attività di lavoro subordinato il titolare di p.s. per lavoro subordinato, per

lavoro autonomo, per motivi famigliari, per motivi di protezione sociale, asilo politico,

mentre per i titolari di p.s. per motivi di studio è consentita l’attività lavorativa solo in

regime di part-time, orizzontale o verticale di entità non superiore alla media di 20 ore

settimanali su base annua, ovvero 1.040 ore (v. art. 14, comma 4, del Regolamento di

attuazione di cui al D.P.R. 31 agosto 1999 n. 394).

Certo, è senz’altro comprensibile, ad esempio, che il possesso del p.s. per turismo o per

la partecipazione ad una competizione sportiva o ad una manifestazione religiosa, non

consenta lo svolgimento di attività lavorativa,12 tuttavia vi sono altre tipologie di p.s., pe-

raltro diffuse, che associano al riconoscimento del diritto e/o della necessità di soggior-

nare in Italia in modo relativamente durevole l’interdizione dallo svolgimento di qualsi-

voglia regolare attività economica, sia di lavoro subordinato che autonomo. È necessario

distinguere.

Per l’appunto, la situazione del possessore di p.s. per turismo che lavora irregolarmente

può essere assimilata, in buona sostanza, alla condizione del tipico clandestino (anzi,

una larga parte dei clandestini ha posseduto prima o poi, per lo più nella fase iniziale

del soggiorno in Italia, e comunque per un periodo che non può di norma superare i tre

mesi, un p.s. per turismo): infatti, l’interessato utilizza o tenta di utilizzare l’ingresso uf-

ficialmente turistico per lavorare irregolarmente,13 quindi fa consapevolmente un uso

improprio del p.s. in suo possesso, tecnicamente ne abusa.

12. Le tipologie di visto di ingresso e dei correlativi permessi di soggiorno sono invero molto numerose - specie se si considerano quelle non disciplinate da alcuna norma di legge ma da mere circolari ministe-riali - e la loro descrizione completa richiederebbe una specifica trattazione, sicché ci si limita ad av-vertire che le tipologie considerate in questa sede sono solo quelle maggiormente rilevanti, anche dal punto di vista quantitativo, ai fini della presente analisi.

13. La soppressione dell’obbligatorietà del visto di ingresso per turismo nei confronti dei cittadini prove-nienti da alcuni paesi dell’Est europeo (recentissima l’abolizione per i cittadini rumeni e bulgari, oltre che ungheresi, polacchi, cechi, slovacchi, croati, sloveni, bosniaci) non ha ovviamente mancato di in-crementare l’immigrazione da questi Paesi sotto forma di ingresso per turismo.

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Vale la pena, invece, prendere in considerazione altre situazioni in cui il titolo di sog-

giorno corrisponde esattamente alla effettiva condizione dell’interessato.

Durante tutto il tempo di attesa della definizione del procedimento per il riconoscimento

dello status di rifugiato - mediamente oltre un anno dall’inoltro dell’istanza - il richie-

dente non può lavorare in regola, pur disponendo di un valido p.s., mentre l’assistenza

pubblica (sul presupposto teorico che la procedura si debba esaurire entro tale termine

più ristretto) è limitata solo ai primi 45 giorni. Nessuno si preoccupa, di fatto, di sapere

come possano trarre il proprio sostentamento le migliaia di persone che si trovano in

tale condizione: esse sono di fatto “tollerate” sul territorio durante la procedura ed è ov-

vio che debbano svolgere lavoro nero.14

Condizioni analoghe si sono verificate in occasione di provvedimenti governativi di na-

tura eccezionale che hanno provvisoriamente consentito l’autorizzazione al soggiorno

per “motivi umanitari” (in base alla generale previsione di cui all’art. 20 del T.U.) nei

confronti di stranieri “sfollati” da zone di guerra. Spesso, infatti, complice

l’intempestività ed incompletezza delle circolari ministeriali, che non hanno immediata-

mente dato l’indicazione di rilasciare il p.s. con la dicitura “valido anche per lavoro”, tali

categorie hanno dovuto attraversare periodi in cui, pur avendo già il diritto riconosciuto

a soggiornare in Italia e non disponendo di altri mezzi di sussistenza, sono state co-

strette al lavoro nero.

Un’altra situazione di vero e proprio “limbo” è quella dei titolari di p.s. per “motivi di giu-

stizia”, tipologia che comprende situazioni alquanto diversificate: si rilascia infatti tale

titolo di soggiorno a chi ha impugnato al T.A.R. il diniego di rinnovo del p.s. per tutta la

(lunghissima) durata del procedimento; a chi è sottoposto a procedimento penale fino

alla sentenza definitiva di assoluzione o di condanna, compresi i casi in cui lo straniero

è obbligato a soggiornare nel territorio e viene disposta nei suoi confronti una misura di

restrizione della libertà personale, quale l’obbligo di firma o di non allontanamento dal

comune di dimora. In questi casi non si può lavorare in regola.

Diverso è il caso delle persone già condannate e sottoposte ad espiazione della pena con

le c.d. “misure alternative”, in quanto si ritiene in via interpretativa che l’attività lavora-

tiva costituisca elemento essenziale della funzione rieducativa della pena, sicché non

potrebbe ammettersi il reato di cui all’art. 22, comma 12, del T.U. nel caso di assun-

14. Nella precedente legislatura il Governo aveva presentato un disegno di legge in materia di riforma orga-nica delle diverse forme di asilo (lo status di rifugiato di cui alla Conv. di Ginevra del 1951, il diritto di asilo garantito dall’art. 10 comma 3 della Costituzione, la protezione temporanea o “asilo umanitario”), che era già stato approvato al Senato; esso prevedeva espressamente il diritto di svolgere attività lavo-rativa durante tutto il periodo di pendenza della procedura per la concessione dell’asilo.

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zione comunque attuata nelle forme di legge, a prescindere dal possesso o meno del p.s.;

ciò non di meno, stante la mancanza di chiare disposizioni generalmente conoscibili, si

verificano comunque situazioni di impiego irregolare, dovute anche a scarsa conoscenza

del regime applicabile anche da parte degli stessi uffici a vario titolo interessati.15

Altrettanto ambigua risulta la condizione dei “minori non accompagnati”, che devono

essere obbligatoriamente autorizzati al soggiorno in base all’art. 19 del T.U. e che ven-

gono affidati a strutture di servizio sociale con modalità alterne e talvolta incerte, tant’è

che non di rado, in specie i più prossimi al compimento della maggiore età, risultano

soggiornare legalmente sul territorio ma in condizioni, di fatto, del tutto svincolate da

reali interventi di tutela, lavorando in nero. Per l’appunto, la norma citata non contem-

pla la possibilità di lavorare in regola nemmeno per chi possiede i requisiti legali, po-

tendo dimostrare di avere ottenuto (nel proprio Paese) l’ammissione alla seconda classe

della scuola secondaria superiore.

9.2.4 Il lavoro nero dei “clandestini”

Veniamo ora al tipico lavoro nero dei c.d. “clandestini”, che, ovviamente, è sottratto a

qualsiasi regolamentazione e garanzia e si svolge, come vedremo, in ambiti e con moda-

lità ampiamente diversificati. Comuni denominatori di tali situazioni sono il costante ri-

schio di espulsione, ora immediatamente eseguibile in base alla nuova formulazione

dell’art. 13 del T.U., e l’enorme difficoltà nel reperimento di pur inadeguate soluzioni al-

loggiative, che comunque comporta l’applicazione delle più alte tariffe del mercato e tal-

volta l’intermediazione a caro prezzo di connazionali e/o datori di lavoro, realizzando

forme di sfruttamento anche fuori dal lavoro.

Va poi considerata la relativa vulnerabilità nell’esercizio dei diritti connessi al rapporto

di lavoro, dal momento che qualsiasi rapporto con le istituzioni competenti espone

l’interessato al rischio di segnalazione all’autorità di pubblica sicurezza.

15. In passato la prassi consentiva a tali soggetti di ottenere un p.s. per motivi di giustizia, mentre ora, sulla base di una recente circolare del Ministero dell’Interno, si ritiene (benché sia poco noto ai soggetti a vario titolo interessati) che non debba essere rilasciato alcun p.s. e che il titolo autorizzativo del sog-giorno sia costituito direttamente dal provvedimento della magistratura di sorveglianza, che ammette il condannato alla “misura alternativa” ed implica la possibilità di lavorare alle condizioni consentite dal medesimo provvedimento.

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È giusto ricordare che nel nostro ordinamento del lavoro e delle assicurazioni sociali (ma

anche sotto il profilo fiscale) il lavoro nero non costituisce mai un illecito da parte del lavo-

ratore, poiché tutte le conseguenze sanzionatorie sono poste a carico del datore di lavoro.

L’immigrato irregolare deve essere espulso in quanto svolge un’attività illecita, ma non

perché ed in quanto lavora, bensì perché è entrato o comunque soggiorna illegalmente

in Italia. Però la sanzione per il suo comportamento - poco importa dal punto di vista le-

gale se e quanto esso sia necessitato dal bisogno - non può e non deve essere la lesione

dei suoi più elementari diritti di lavoratore; essi infatti sono garantiti in via generale da

norme inderogabili, aventi un carattere imperativo improntato al principio di territoria-

lità.16 Anzi, la stessa applicazione delle sanzioni previste per le forme di lavoro irregolare

ha la funzione precipua di tutelare i lavoratori. Se si tiene conto di ciò, l’immigrato irre-

golare non può essere visto solo come un nemico da combattere ma almeno al tempo

stesso deve essere anche considerato come una vittima, che pure ha diritto di trovare

nella legge una tutela, quantomeno in relazione alla sua pur instabile posizione di lavo-

ratore. Non va trascurato, d’altra parte, che proprio tale tutela è al tempo stesso il prin-

cipale strumento di sanzione nei confronti dei datori di lavoro che ricorrono a scopo di

lucro all’impiego di immigrati irregolari.

Al riguardo, va da un lato sottolineato come risulti poco diffusa e persino poco nota

l’applicazione dell’art. 2126 del codice civile, che assicura, in ogni caso di rapporto di la-

voro svolto in violazione di norme imperative, il diritto al recupero delle retribuzioni (ol-

tre che delle contribuzioni) maturate, quindi di instaurare la classica vertenza di lavoro.

È altrettanto pacifico, ma spesso altrettanto ignorato dai diretti interessati, il diritto di

far accertare dagli organi competenti gli infortuni sul lavoro e le relative responsabilità,

ed il correlativo diritto di conseguire la rendita Inail ed il risarcimento degli ulteriori

danni (il danno morale e, nel caso di conseguenze valutabili al di sotto del minimo in-

dennizzabile, il danno biologico), nonostante la condizione irregolare di soggiorno.17

Peraltro, è possibile conferire ampio mandato ad un legale per consentire l’intera tratta-

16. Il principio di territorialità delle norme in materia di lavoro e delle assicurazioni sociali è riconosciuto da unanime dottrina e dalla stessa giurisprudenza ed è un logico corollario del carattere imperativo del-le stesse, talché a qualsiasi rapporto di lavoro, per il sol fatto che si svolge nel territorio nazionale, deve necessariamente applicarsi tale normativa a prescindere dalla cittadinanza dell’una o dell’altra parte costituenti il rapporto di lavoro.

17. Nel mentre è indiscutibile che l’Inps abbia il diritto/dovere di recuperare i contributi anche in relazione all’accertamento di rapporti di lavoro irregolari instaurati con lavoratori privi del permesso di soggiorno, non risulta mai sperimentato il riconoscimento della contribuzione maturata (anche in applicazione del principio di “automaticità delle prestazioni previdenziali”) dai c.d. “clandestini” ai fini della liquidazione in caso di rimpatrio, prevista dall’originaria formulazione dell’art. 22, comma 11. La soppressione di tale istituto con l’entrata in vigore delle modifiche apportate all’art. 22 dalla l.189/02 rende ormai su-perflua e comunque improponibile la pur interessante questione interpretativa.

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zione della vertenza, sia nella fase stragiudiziale che giudiziale, senza che l’interessato

(che teoricamente potrebbe anche essere rientrato in patria nel frattempo) si esponga

con la sua personale presenza al rischio di essere “intercettato” da un provvedimento di

espulsione.

D’altro canto, l’esercizio di tali diritti fondamentali presuppone anzitutto che essi siano

ben conosciuti e resi concretamente praticabili. Diversamente l’ignoranza e la paura

sono destinate a prevalere anche laddove vi sia la pur vaga percezione della possibilità

di ottenere una qualche tutela, specie se si ha fondato motivo di temere che il tentativo

di realizzare tale scopo possa prima ancora provocare l’individuazione e l’assoggetta-

mento all’espulsione. Questo, infatti, è il principale elemento di forza di coloro che sfrut-

tano gli immigrati irregolari, che generalmente rimangono agli occhi degli sfruttati gli

unici possibili interlocutori.

Dal punto di vista dell’immigrato irregolare, i competenti uffici istituzionali non possono

risultare quali riferimenti idonei per la denuncia delle condizioni di sfruttamento ed il

correlativo esercizio dei diritti negati, perché in generale egli teme nel rivolgersi a qual-

siasi ufficio pubblico. In effetti, pur verificandosi dei margini di tolleranza rimessi ai sin-

goli operatori, la prassi degli uffici ispettivi delle direzioni provinciali del lavoro e degli

enti di previdenza è ormai sempre più uniformata nel senso di denunciare la violazione

delle norme in materia di soggiorno ogni qualvolta essa venga constatata, a prescindere

dal fatto che ciò avvenga a seguito di accertamenti disposti d’ufficio oppure in base a

specifica denuncia formalmente e spontaneamente resa dalla vittima.18 In taluni casi, ri-

sulta siano state impartite specifiche disposizioni agli ispettori, con riferimento ai casi di

presentazione di denuncia di situazioni illecite, poste in essere dai datori di lavoro, da

parte di immigrati irregolari, che prescrivono di avvertire preventivamente gli immigrati

che la loro denuncia verrà recepita solo dopo averli segnalati alla competente autorità di

pubblica sicurezza (che teoricamente potrebbe intervenire immediatamente o comunque

più facilmente reperire l’interessato in base alle informazioni assunte in sede ispettiva).

Paradossalmente, dunque, proprio le situazioni di più grave sfruttamento, peraltro nor-

malmente connesse a condizioni di lavoro non solo pesanti ma insicure, sono quelle per

le quali la spontanea denuncia viene sostanzialmente scoraggiata. In pratica, la repres-

sione di comportamenti anche penalmente rilevanti viene ad essere di fatto ostacolata

18. Pochi mesi fa, la Direzione provinciale del lavoro di Firenze aveva addirittura inizialmente ritenuto di di-chiarare improcedibile un tentativo obbligatorio di conciliazione, promosso da un immigrato irregolare (che poi si è regolarmente svolto) sull’erroneo presupposto che la condizione illegale di soggiorno non ne consentisse l’esperibilità.

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perché ad essa viene anteposta la repressione di meri illeciti amministrativi. Per

l’appunto, la condizione irregolare di soggiorno a tutt’oggi non costituisce reato, sicché

non vi è un obbligo legale di denuncia all’autorità giudiziaria; d’altronde, nessuna delle

vigenti disposizioni in materia prevede un simile obbligo, quindi si può altresì sostenere

che la segnalazione non costituirebbe un atto dovuto bensì una mera facoltà. Se dunque

l’esercizio di tale facoltà può ben spiegarsi con l’esigenza di favorire e coordinare i diversi

adempimenti istituzionali volti ad assicurare il rispetto della legge, non si può tuttavia

trascurare di considerare che la funzione repressiva19 non viene così concretamente

favorita, semmai il contrario.

D’altra parte, anche nell’ipotesi in cui si volesse proporre la previsione normativa di un

espresso divieto di denuncia da parte degli organi ispettivi, in analogia a quello previsto

dall’art. 35 del T.U. in capo al personale sanitario e sulla base di altrettanto serie esi-

genze di “salute pubblica”, proprio per favorire la tutela del lavoro attraverso la repres-

sione dei comportamenti (più gravi e penalmente rilevanti) dei datori di lavoro, non si

mancherebbe di creare una palese contraddizione, come se la mano destra non dovesse

sapere ciò che fa la sinistra. Infatti, non avrebbe senso, ad esempio, ammettere che, a

seconda che in un cantiere intervenga la Polizia di Stato oppure l’Inps, i lavoratori im-

migrati siano o meno sottoposti agli accertamenti di rito ed ai provvedimenti consequen-

ziali alla loro irregolare posizione di soggiorno.

Piuttosto, dal momento che sembra destinata ad aumentare almeno di pari passo con

l’incremento delle presenze la casistica degli immigrati vittime di pesanti condizioni di

sfruttamento, condizioni che traggono la loro forza e remuneratività proprio dalla so-

stanziale impossibilità che venga chiesta tutela effettiva, varrebbe la pena prendere in

considerazione la possibilità di assicurare quantomeno l’emersione dal sommerso (vale a

dire la concessione di un p.s. per lavoro che consenta le regolare assunzione presso al-

tro datore di lavoro) a chi, denunciando, fornisce un valido contributo alla repressione

degli illeciti particolarmente gravi. Non si tratterebbe di una capitolazione dello Stato,

bensì di un rafforzamento dell’efficacia e dell’effettività delle norme sanzionatorie, per

mezzo della applicazione - magari in via interpretativa - di un istituto in tutto simile al

permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale di cui all’art. 18 del T.U., che ha

dimostrato a giudizio unanime di produrre validissimi risultati in poco tempo.20

19. In questo senso, si veda anche la previsione di costituzione presso l’Inps dell’”“Archivio anagrafico dei lavoratori extracomunitari” e di “socializzazione” dei dati, in base all’art. 22, comma 9, del T.U. vigente.

20. Tale norma, non a caso, non ha subito alcuna modifica in sede di emanazione della L.189/02; infatti, non solo in sede politica ma almeno altrettanto negli ambienti della polizia giudiziaria e della magi-stratura, la sperimentazione dell’art. 18 è stata considerata estremamente positiva nella lotta alla tratta

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Per l’appunto, sebbene ad un esame superficiale detta norma potrebbe sembrare facil-

mente applicabile anche alle situazioni di grave sfruttamento sul lavoro, nella pratica

essa si è rivelata inadatta, non applicabile, perché effettivamente concepita avendo pre-

sente il fenomeno della tratta e dello sfruttamento della prostituzione, non certo le ben

diverse dinamiche del lavoro nero, quand’anche particolarmente sofisticate ed espres-

sione di notevole capacità criminale. Ciò è stato infatti constatato nella pratica giudizia-

ria, che al riguardo ha avuto pur rarefatte ma significative esperienze “pilota” proprio nel

Veneto, su iniziativa delle organizzazioni sindacali. Infatti, quale condizione per assicu-

rare il permesso di soggiorno (sia pure, beninteso, nell’ambito di una valutazione discre-

zionale caso per caso e senza alcun automatismo), l’art. 18 citato richiede l’esistenza di

un procedimento riferito ai delitti di cui all’art. 3 della legge 20.02.58 n. 75 (c.d. “Legge

Merlin”) o di cui all’art. 380 del codice di procedura penale,21 oppure di un programma di

interventi sociali degli enti locali. Tanto l’uno che l’altro dovrebbero essere connessi ad ac-

certate situazioni di violenza o di grave sfruttamento dalle quali emergano concreti pericoli

per l’incolumità delle vittime, e tali pericoli a loro volta dovrebbero essere ricollegabili al

tentativo di sottrarsi ai condizionamenti di una vera e propria associazione a delinquere

oppure al contributo fornito alle indagini (sempre che esso sia ritenuto rilevante).

Ora, per quanto grave, organizzato e sofisticato che sia, è quantomeno improbabile (e

ancor più difficile da dimostrare) che lo sfruttamento dei lavoratori venga attuato me-

diante sistematico ricorso alla violenza fisica da parte di vere e proprie organizzazioni

criminali, al punto da giustificare un fondato timore per l’incolumità individuale della

vittima.22 Ed infatti, in quei pochi casi di procedimenti penali attivati su denuncia delle

vittime, l’Autorità Giudiziaria non ha potuto forzare la lettera della norma e quindi,

scartata l’applicabilità dell’art. 18, ha nelle migliori ipotesi disposto, comunque su appo-

sita istanza di parte, il rilascio di un p.s. temporaneo per “motivi di giustizia valido an-

che per lo svolgimento di attività lavorativa”. Tale soluzione è stata il frutto di

un’interpretazione (forse l’ipotesi più corretta di applicazione della tipologia di soggiorno

“per motivi di giustizia”, se non altro perché disposto su provvedimento dell’autorità

ed allo sfruttamento della prostituzione, tant’è che nello stesso d.d.l. recentemente presentato in materia di repressione dello sfruttamento è stata specificata la non punibilità delle vittime che collaborano.

21. Nell’elencazione delle ipotesi di reato di cui all’art. 380 c.p.p. non vi è alcun reato connesso allo sfrutta-mento del lavoro e/o al favoreggiamento dell’immigrazione o della permanenza irregolare sul territorio.

22. Non sono tuttavia del tutto sconosciute, anche nel Veneto, quelle forme di trattamento assimilabili alla riduzione in schiavitù e gli episodi di vero e proprio sequestro di persona. Di fatto, questi comporta-menti risultano verificarsi pressoché esclusivamente nell’ambito di rapporti di lavoro fra connazionali ma non per questo risultano meno pericolosi, anzi, proprio il forte vincolo di omertà ed il condiziona-mento derivante dalla possibilità di ritorsioni nei confronti dei familiari in patria rendono oltremodo difficile la collaborazione delle stesse vittime e l’accertamento dei fatti.

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giudiziaria) che trova il suo riferimento normativo nell’art. 5, commi 5 e 6, del T.U. (il cui

testo è rimasto inalterato a seguito della L.189/02): il comma 5 prevede in generale che

il p.s. debba esser rifiutato quando mancano i requisiti per l’ingresso e il soggiorno,

sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non

si tratti di irregolarità amministrative sanabili, mentre il comma 6 prevede più specifica-

mente la facoltà di concedere il p.s. per seri motivi, in particolare di carattere umanitario

o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano.23

In ogni caso, si è trattato di casi sporadici, che non possono comunque costituire

un’esperienza facilmente riproducibile e che, semmai, mostrano i limiti del nostro ordi-

namento. D’altra parte, in mancanza di specifiche previsioni normative, non si può

nemmeno immaginare la sperimentazione di strumenti di tutela e di coordinamento tra

le diverse istituzioni interessate (prefetture, questure, direzioni provinciali del lavoro,

Inps, Inail) per apprestare forme di lotta allo sfruttamento che si basino anche sulla

collaborazione e la tutela delle vittime.

Certo è che se da un lato l’immigrato attualmente non vede e ben difficilmente potrebbe

trovare nelle istituzioni un aiuto, pur offrendo peraltro efficaci strumenti di repressione

degli illeciti e permettendo di fare “terra bruciata” intorno alle più bieche forme di

sfruttamento, d’altro canto nemmeno gli ambienti sindacali e dell’associazionismo laico

e religioso riescono a fornire un contributo effettivo nel contrasto di tali fenomeni, dal

momento che essi stessi (salvo casi eccezionali) non possono prospettare agli interessati

delle soluzioni particolarmente apprezzabili. Al c.d. “clandestino” che si presenta ad uno

sportello sindacale o di un’associazione, che sta lavorando in nero in condizioni precarie

23. Se si eccettuano quei pochissimi casi di p.s. rilasciato su indicazione della magistratura, da parte delle Questure la possibilità di rilascio, in via discrezionale, di un p.s. per “motivi umanitari” (sulla base del citato art. 5 comma 6) risulta praticamente ignorata. Peraltro, la previgente formulazione dell’art. 17 consentiva all’A.G. di concedere il nulla osta all’ingresso, quindi al soggiorno, nei confronti dell’impu-tato in procedimento penale affinché esercitasse il suo diritto alla difesa, costituzionalmente garantito, sicché si è ritenuto che anche la parte offesa dal reato (con particolare riguardo, oltre che all’art. 22 comma 12, al reato di favoreggiamento della permanenza irregolare a scopo di sfruttamento o dell’in-gresso irregolare di cui all’art. 12, commi 1 e 5), ovvero la vittima dello sfruttamento, avesse a maggior ragione una legittimazione a soggiornare quantomeno temporaneamente sul territorio nazionale. Ora, la nuova formulazione dell’art. 17 (come modificata dalla L.189/02) prevede espressamente l’estensione di tale diritto alla parte offesa, pur disponendo la limitazione del periodo di soggiorno al tempo stret-tamente necessario per l’esercizio del diritto di difesa, al solo fine di partecipare al giudizio o al compi-mento di atti per i quali è necessaria la sua presenza. Lo scrivente ha avuto diretta esperienza di quanto sia difficile rendere concretamente praticabili tali principi in un caso di immigrato irregolare, vittima di grave infortunio sul lavoro, il quale, dimesso dall’ospedale aveva fatto spontaneo rientro nel proprio Paese d’origine. Infatti, quando si è trattato di sottoporre il lavoratore a visita medico legale presso l’Inail, nonostante la formale convocazione, la competente rappresentanza consolare di Sarajevo non ha accettato di autorizzare espressamente il visto di ingresso per lo svolgimento di tale incombenza, ancor-ché per il tempo strettamente necessario al suo espletamento, ed ha invece preteso che l’interessato si qualificasse quale “turista” sulla base della formale garanzia di sostentamento e alloggio da parte del suo legale!

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e che lamenta una paga bassissima o addirittura incerta, si può prospettare la possibi-

lità di cercarsi un datore di lavoro “serio”, che sia interessato all’assunzione regolare e

quindi esperisca la macchinosa procedura di assunzione dall’estero in base alla nota di-

sciplina dei “flussi migratori”, il che comporta, nella migliore delle ipotesi, mesi di attesa

all’estero senza reddito e il serio rischio di non riuscire comunque a rientrare in Italia.

Ed è ben difficile che l’interessato rinunci alla misera ma sicuramente tangibile condi-

zione attuale per inseguire una vaga speranza.

La denuncia dei datori di lavoro può teoricamente essere prospettata quando il rapporto

di lavoro è cessato, a chi lamenta di essere stato licenziato senza essere pagato; può es-

sere infatti attivata la vertenza per il recupero delle spettanze maturate in base all’art.

2126 c.c., ma confidando che il datore di lavoro sia solvibile e che definisca la vertenza

con una transazione in sede sindacale, poiché l’esperimento del tentativo obbligatorio di

conciliazione presso la competente commissione della Direzione provinciale del lavoro

può comportare la denuncia d’ufficio; ciò non manca di scoraggiare spesso l’iniziativa

del lavoratore, comprensibilmente preoccupato sia perché si espone al rischio di identi-

ficazione ed espulsione e sia per le sorti dei suoi connazionali che, nelle sue stesse con-

dizioni, sono ancora occupati presso la stessa azienda.

D’altra parte, bisogna anche dire che, pur essendo la realtà del Veneto ricca (e ben più

di altre regioni) di iniziative di assistenza e tutela nei confronti degli immigrati da parte

delle organizzazioni sindacali e del volontariato, non vi è ancora una diffusa e generale

assimilazione né delle conoscenze e delle implicazioni della normativa in materia, né dei

valori portanti l’attività di tutela e assistenza. Ad esempio, può accadere che l’immigrato

trovi all’interno delle organizzazioni sindacali dei riferimenti qualificati e affidabili, appo-

siti uffici specificamente organizzati per affrontare i suoi problemi, ma può anche acca-

dere che persino in aziende sindacalizzate il suo bisogno di tutela sia ignorato o trascu-

rato, come pure che si senta rispondere presso qualche sportello che “non è possibile per

un clandestino attivare una vertenza nei confronti del suo datore di lavoro”. È quanto-

meno curioso che risposte evasive del genere, per nulla sporadiche, si siano registrate

con maggiore frequenza proprio nelle province del Veneto in cui si registrano tra i più

elevati tassi di presenza di immigrati, regolari e non, ovvero Vicenza e Treviso.

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9.2.5 Il lavoro “quasi regolare” dei “clandestini”

Merita di essere considerato un fenomeno diffuso nell’impiego degli immigrati irregolari,

ovvero il loro impiego “quasi regolare”. Si tratta di un espediente attuato sempre più dif-

fusamente tra le imprese, anche tra quelle di maggiore entità, che indica comunque una

certa serietà del datore di lavoro, o quantomeno la volontà di non sfruttare i lavoratori.

Il fabbisogno di manodopera immigrata non riguarda infatti solo le aziende artigianali e

di piccole dimensioni ma anche le aziende che potrebbero essere definite medio-grandi

rispetto alle caratteristiche produttive del Nord-Est. Normalmente, in aziende del genere

la gestione dei rapporti di lavoro assume caratteristiche di maggiore organizzazione e re-

golarità, e ciò non solo per la maggiore trasparenza che contrassegna la dimensione e

l’organizzazione più tipicamente industriale, ma anche per una serie di circostanze

obiettive che esulano da implicazioni etiche. Per dirla in parole povere, per un’azienda

che deve fatturare tutti i suoi incassi non è affatto semplice - ed è comunque rischioso

anche sotto il profilo penale e fiscale - pagare in nero. D’altra parte, in tale contesto è

pure più facile l’individuazione dei lavoratori irregolari e lo stesso accertamento delle

violazioni e delle relative evasioni, senza contare che le imprese di un certa entità, con-

trariamente a quanto accade più spesso per le piccole imprese, specie in certi settori (v.

infra), sono normalmente costrette ad essere solvibili, poiché di fronte ad accertamenti

ed addebiti di rilevante entità non potrebbero comunque permettersi di chiudere i bat-

tenti e fallire senza pagare, perché il patrimonio investito è comunque di valore supe-

riore al complesso delle sanzioni e dei contributi evasi.

Tali circostanze fanno sì che generalmente le imprese di una certa entità, o comunque le

imprese serie, preferiscano non assumere lavoratori in nero, né stranieri né italiani;

tuttavia, la gravissima carenza di manodopera assumibile regolarmente in certi settori -

che sostanzialmente sono gli stessi che tentano di ”attingere”, senza riuscirvi in modo

adeguato, al meccanismo della c.d. “programmazione dei flussi migratori” - costringe le

imprese a ricorrere all’impiego di manodopera priva di un regolare p.s., magari nella

speranza di poter successivamente regolarizzare il rapporto (quote e procedure dei

“flussi” permettendo, oppure con una “sanatoria”), oppure ad appaltare lavorazioni ad

altra impresa che si assuma il relativo rischio.

Per l’appunto, allo scopo di ridurre i rischi al minimo e di garantire condizioni decorose

di lavoro, non sono isolati i casi di imprese che hanno applicato l’espediente di mettere

“più in regola possibile” i lavoratori immigrati, nonostante la mancanza di un permesso

di soggiorno, avendo constatato che molti degli adempimenti imposti dalle norme vigenti

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possono essere comunque perfezionati, di fatto, anche in assenza di un idoneo per-

messo di soggiorno in capo ai lavoratori interessati: il lavoratore può essere inserito a li-

bro paga, presenze, matricola, può ricevere la busta paga con applicazione del normale

salario contrattuale; nei suoi confronti possono essere effettuate le prescritte denunce e

pagati i contributi Inps e Inail, dal momento che le formalità previste non sono impedite

- non solo di fatto ma nemmeno legalmente - dalla carenza di un permesso di soggiorno.

In particolare, per quanto attiene alle denunce e ai versamenti in materia contributiva,

gli istituti previdenziali recepiscono, per così dire, “automaticamente” le denunce ed i

versamenti: sino a questo momento, pur essendo prevista la costituzione di un’anagrafe

centralizzata avente lo scopo di consentire controlli incrociati, non risulta che vengano

effettuate sistematiche verifiche, anche perché non è richiesta l’allegazione o comunque

l’indicazione nella modulistica degli estremi del permesso di soggiorno di ciascun lavo-

ratore. L’unico elemento richiesto è l’indicazione del codice fiscale (per il rilascio del re-

lativo tesserino, ormai, quasi tutti ma non tutti gli uffici territorialmente competenti ri-

chiedono l’esibizione del permesso di soggiorno); tuttavia, esso può comunque essere ri-

cavato - e quindi indicato nella modulistica - utilizzando i noti programmi in uso presso

notai e commercialisti, che assicurano l’esatta determinazione del codice stesso senza la

necessità di richiedere l’apposito tesserino.

È evidente che l’adempimento delle obbligazioni in materia previdenziale garantisce

maggiore sicurezza per l’azienda rispetto al rischio di infortuni e di conseguenti rivalse,

come pure un’adeguata tutela nell’ambito del rapporto di lavoro, e va a ridurre drasti-

camente l’entità delle sanzioni applicabili. Al riguardo, giova ricordare che una circolare

del Ministero del Lavoro ha recentemente escluso la possibilità di contestare la viola-

zione dell’obbligo di comunicare l’avviamento al lavoro alla sezione circoscrizionale per

l’impiego (con relativa sanzione amministrativa da £. 500.000 a £. 3.000.000 per ogni

lavoratore irregolarmente assunto, ovvero, in misura ridotta, pari a £. 1.000.000, ex art.

9 bis L.608/96), qualora si tratti di lavoratori privi del p.s.. Pertanto, se si escludono gli

adempimenti che possono essere effettuati senza comportare incongruenze e conse-

guenti verifiche, il datore di lavoro rischia in caso di accertamento ispettivo la verifica e

l’applicazione di una serie notevolmente ridotta di violazioni amministrative,24 mentre ri-

24. Che risultano le seguenti: A) Per assunzione di lavoratore non provvisto di libretto di lavoro, ovvero per effettuazione sul libretto di

registrazioni inesatte o incomplete, ovvero per mancata riconsegna al lavoratore cessato: sanzione am-ministrativa da £.50.000 a £.300.000, ovvero, in misura ridotta, pari a £.100.000 (art. 8 Dlgs 758/94); se la violazione riguarda più di 5 lavoratori la sanzione va da £.300.000 a £.2.000.000, ovvero, in mi-sura ridotta, pari a £.600.000.

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mane l’esposizione al rischio di un processo penale per il reato di occupazione di lavo-

ratore privo di p.s. idoneo al lavoro, salvo l’assoggettamento dei lavoratori alla sanzione

amministrativa dell’espulsione di cui all’art. 13 del T.U..

Al riguardo, si ricorda che la previgente sanzione di cui all’art. 22, comma 10, prevedeva

una sanzione pecuniaria da £. 2.000.000 a £. 6.000.000 o l’arresto da tre mesi ad un

anno, ma con la possibilità di estinguere il reato mediante la procedura di “oblazione” in

via amministrativa (in buona sostanza, col pagamento a titolo di sanzione amministra-

tiva di £. 3.000.000); ora, a seguito della modifica del T.U., la nuova formulazione del

reato di cui all’art. 22, comma 12, prevede una sanzione pecuniaria di 5000 euro per

ogni lavoratore occupato e la pena dell’arresto da tre mesi ad un anno, senza più con-

sentire la depenalizzazione del reato.

Nonostante il suddetto appesantimento della sanzione, vi è tuttavia motivo di ritenere

che l’espediente di mettere “quasi in regola” gli immigrati privi di idoneo p.s. possa con-

tinuare ad essere ritenuto appetibile, o comunque una soluzione preferibile rispetto

all’assunzione totalmente in nero.

9.2.6 Il lavoro apparentemente regolare dei “clandestini”

Un fenomeno almeno altrettanto diffuso, che vede normalmente estranei ed ignari i da-

tori di lavoro, è quello dell’utilizzo di p.s. falsi o contraffatti, oppure di p.s. autentici da

parte di persone diverse dall’effettivo titolare.

È noto che il mercato dei p.s. falsi ha in questi anni avuto una progressiva crescita e

diffusione sul territorio nazionale, ancorché si tratti di un espediente che, normalmente,

non assicura affatto un’esistenza normale agli utilizzatori. Bisogna comunque distin-

guere l’origine del p.s.: talvolta, infatti, si sono registrati episodi di vera e propria corru-

zione di operatori di polizia che rilasciavano p.s. in tutto autentici a persone non aventi

il diritto, ma si ha motivo di ritenere che tali comportamenti abbiano sempre meno pro-

B) Per assunzione di lavoratore non provvisto di libretto di lavoro, ovvero per effettuazione sul libretto di

registrazioni inesatte o incomplete, ovvero per mancata riconsegna al lavoratore cessato: sanzione am-ministrativa da £.50.000 a £.300.000, ovvero, in misura ridotta, pari a £.100.000 (art. 8 Dlges 758/94); se la violazione riguarda più di 5 lavoratori la sanzione va da £.300.000 a £.2.000.000, ovvero, in mi-sura ridotta, pari a £.600.000.

C) Per omessa denuncia entro 48 ore all’autorità locale di pubblica sicurezza dell’assunzione (come pure dell’ospitalità a qualsiasi titolo) dello straniero: sanzione amministrativa da euro 160 a 1.100, ovvero, in misura ridotta, pari a euro 320 (art. 7 Dlgs 25.7.98 n. 286 come modificato dalla L.189/02); di fatto, tale sanzione viene applicata molto raramente da parte dell’Autorità di P.S..

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babilità di verificarsi, specie a fronte di una prassi di controllo sempre più rigorosa. Ri-

sulta invece di gran lunga superiore la produzione dei veri e propri falsi, ma si deve con-

siderare che essi, anche se abilmente preparati, non possono comunque essere inseriti

nella banca dati del Ministero dell’Interno (anche perché l’inserimento di ogni singolo

dato relativo al p.s. richiede l’utilizzo da parte di un numero già ristretto di operatori di

una password individuale, che permetterebbe agevolmente di identificare l’autore

dell’illecito), sicché un attento controllo mediante consultazione del terminale permette

un’immediata verifica. Comunque, sono già in circolazione dei falsi di ultima genera-

zione, dei veri e propri “cloni” (riproduzioni esatte di p.s. realmente esistenti, divergenti

dall’originale solo per la diversa fotografia), che più facilmente potrebbero resistere an-

che ai controlli più minuziosi e che, manco a dirlo, si vendono ad un prezzo più alto (i

prezzi “correnti”, prima della recente regolarizzazione, andavano dai 1.500 fino ai 5.000

euro, essi hanno subito una netta flessione durante il termine per la presentazione delle

domande, ma sono già ora evidenti i segnali di un nuovo rialzo).

D’altra parte, è assai frequente che anche nei p.s. falsi vengano indicate le effettive ge-

neralità dell’utilizzatore, e ciò per il semplice motivo che, così facendo, egli può utilizzare

il proprio passaporto, senza dover ricorrere all’ulteriore violazione (e relativa spesa) di

procurarsi un passaporto falso.

Meno frequente ma non rara risulta la contraffazione di p.s. autentici, normalmente

praticata mediante sostituzione della fotografia (anche sul passaporto); essa trova

spesso l’occasione per essere attuata nel rimpatrio definitivo di un immigrato25, che

vende o cede i propri documenti ad un irregolare (per lo più un connazionale).

Risale invece già agli albori dell’immigrazione in Italia l’esperienza dell’utilizzo dei mede-

simi documenti, senza alcuna contraffazione, da parte di più persone, reso possibile

dalla somiglianza, o meglio, dai tratti somatici comuni alle diverse etnie che facilitano la

confusione. L’espediente di inviare il passaporto e il p.s. a mezzo posta nel Paese

d’origine per far arrivare un connazionale è fin troppo noto e, per l’appunto, funziona

sempre meno grazie a controlli sempre più scrupolosi.

In realtà, tutti gli espedienti citati non vengono praticamente più utilizzati per ingannare

i controlli di polizia - e quand’anche avvenga risultano normalmente inefficaci - bensì

proprio per lavorare in regola e trovare più facilmente un alloggio, così da instaurare

25. Persino la morte può forse costituire l’occasione per il riciclaggio dei documenti: ad es., è diffusissima (anche presso le Questure) la convinzione secondo cui sarebbero pochissimi i cittadini cinesi ufficial-mente deceduti in territorio italiano, la qual cosa, a meno di non supporre un’eccezionale costituzione fisica di tale etnia, fa pensare al riciclaggio dei documenti dei defunti.

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una situazione pseudo normale e sicuramente di minore sfruttamento (se si eccettua,

ovviamente, quello posto in essere dai vari intermediari dei documenti).

L’esperienza della recente regolarizzazione ha permesso di confermare quanto era stato

verificato anche nelle precedenti, ovvero una apprezzabile (e crescente) presenza nelle

aziende di lavoratori assunti regolarmente in base a documenti falsi o contraffatti o

“prestati”.26 Si tratta anche di imprese di apprezzabili dimensioni o di agenzie di lavoro

interinale, o comunque di imprese che mantengono esclusivamente rapporti di lavoro

regolari. Se da un lato questo dato di esperienza conferma l’intento di usare il p.s. falso

per lavorare in condizioni regolari, dall’altro conferma anche la difficoltà per il datore di

lavoro di verificare l’autenticità dei documenti anche usando l’ordinaria diligenza: non è

infatti pensabile una verifica caso per caso presso la competente Questura, specie se si

considera che ciò non potrebbe comunque essere fatto per telefono (anche per ovvie esi-

genze di tutela della privacy) e che sono noti i tempi di attesa per accedere agli sportelli

delle Questure; d’altro canto il datore di lavoro non può comunque trattenere l’originale

del p.s., che lo straniero è obbligato a portare sempre con sé, potendo soltanto acquisirne

la fotocopia, in base alla quale risulta ancor più difficile la verifica.27

In generale, le imprese hanno dimostrato (come pure si è verificato nelle precedenti re-

golarizzazioni) una certa comprensione per i lavoratori che hanno confessato la loro ef-

fettiva condizione irregolare, salvo qualche caso di aziende che, invece, hanno disposto il

licenziamento immediato per non incrinare, inoltrando la domanda di regolarizzazione,

la propria immagine di aziende scrupolosamente osservanti. Ma l’emersione di questi la-

voratori con la recente regolarizzazione è risultata molto più difficile che nelle prece-

denti, dal momento che il decreto-legge 9 settembre 2002 n. 195, così come convertito,

con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2002 n. 222, ha previsto all’art. 8 una serie di

circostanze ostative alla procedura di emersione. In particolare, l’esclusione è stata pre-

vista non solo per le persone condannate ma anche per quelle semplicemente denun-

ciate per uno o più dei delitti indicati agli artt. 380 e 381 del codice di procedura pe-

26. Si sono verificati anche casi non isolati di persone che, sfruttando la vicinanza etnica e munendosi alla partenza di documenti di una diversa nazionalità (facilmente acquistabili anche nella forma, per così dire, “autentica”) hanno utilizzato la possibilità di ottenere il p.s. per motivi umanitari, spacciandosi per kosovari anziché albanesi, o per liberiani anziché ghanesi, oppure per somali anziché etiopici.

27. In un caso, verificato in occasione della recente regolarizzazione, sono risultati presenti ben 27 lavora-tori muniti di p.s. falso su un organico di 80 dipendenti, pur trattandosi di un’azienda che, pur occu-pando quasi esclusivamente immigrati, intrattiene esclusivamente rapporti regolari ed ha addirittura lo scrupolo - forte di precedenti esperienze - di controllare minuziosamente la corrispondenza dei dati somatici e dei documenti di identità.

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nale28: fra questi vi é il reato di ricettazione (art. 648 c.p.), che si compie evidentemente

acquistando un p.s. falso, come pure la contraffazione o falsificazione del p.s.,29 mentre

la mera sostituzione di persona (art. 494 c.p.), come pure le false dichiarazioni

sull’identità a pubblico ufficiale (art. 495 c.p.) consentirebbero la regolarizzazione. Tut-

tavia, anche le denunce o le condanne per delitti non colposi di qualsiasi entità, anche

lievissima30(sempre che il procedimento penale non si sia nel frattempo concluso con un

provvedimento che abbia dichiarato che il fatto non sussiste o non costituisce reato o

che l’interessato non lo ha commesso), escludono la regolarizzazione, quando nei con-

fronti della stessa persona risulti sia stato in precedenza emanato un provvedimento di

espulsione; si tratta di una concomitanza di circostanze assai frequente, basti pensare

che, in occasione dei normali controlli, l’immigrato irregolare subisce contestualmente

quantomeno la notifica di un provvedimento di espulsione e molto spesso anche la de-

nuncia per rifiuto di esibizione del passaporto (reato previsto dall’art. 6, comma 3, del

T.U.), se non anche per altre ipotesi di reato di pur lieve entità, magari connesse con la

vendita ambulante di articoli contraffatti.31

28. Le tipologie di reato distintamente indicate negli artt. 380 e 381 del c.p.p. si riferiscono rispettivamente ai casi in cui è obbligatorio ovvero facoltativo l’arresto in flagranza di reato; detta elencazione è stata poi utilizzata nella normativa in materia di immigrazione ai fini della valutazione della “buona condotta” dello straniero.

29. Fino all’entrata in vigore della legge 189/02, tale condotta era riconducibile al reato di falsità materiale in autorizzazione amministrativa commessa da privato, di cui al combinato disposto degli artt.482 e 477 c.p., reato che non è compreso nelle ipotesi previste dagli artt.380 e 381 c.p.p.; tuttavia, la modi-fica dell’art. 5 del T.U., ed in specie la nuova previsione di cui al comma 8 bis dello specifico reato di contraffazione del visto di ingresso o del permesso di soggiorno o del contratto di soggiorno o della carta di soggiorno, prevede una pena molto più grave, che per la sua entità rientra ora nelle tipologie di reato indicate, a seconda dei casi, agli artt.380 e 381 c.p.p.. Si può dunque ritenere che la denuncia di tali violazioni sia ostativa all’applicazione della procedura di emersione.

30. Per fare un esempio, anche reati perseguibili solo su querela di parte, come le percosse senza lesioni (art. 581 c.p.) o l’occupazione di edificio o terreno privato (art. 633 c.p.).

31. L’interpretazione giurisprudenziale al riguardo risulta assai diversificata: infatti, nei confronti dei vendi-tori di articoli contraffatti, si configura il reato di commercio di prodotti con segni falsi di cui all’art. 474 c.p., ma per la stessa condotta vi è chi ritiene possa concorrere anche l’ipotesi di reato della ricettazione di cui all’art. 648 c.p., in quanto la merce acquistata per essere rivenduta proviene da un delitto; tutta-via recenti pronunce affermano l’insussistenza del reato di commercio di prodotti con segni falsi quando la vendita avviene (come accade normalmente) in circostanze tali da far comprendere chiara-mente all’acquirente che il prodotto non è originale, sicché il bene giuridico tutelato della fede pubblica non subirebbe alcuna lesione, non potendosi presumere alcun inganno per l’acquirente.

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9.3 Il lavoro “grigio”

Il lavoro degli immigrati si presta almeno quanto quello dei nazionali, se non di più, ad

essere utilizzato con varie modalità riconducibili alla definizione del c.d. “lavoro grigio”,

per mezzo di rapporti formalmente o apparentemente regolari, che in tutto o in parte

nascondono l’elusione delle norme in materia di lavoro e di assicurazioni sociali.

Del resto, tali forme di elusione, che hanno quale comune denominatore una regolare

posizione di soggiorno, sono tanto note quanto diffuse, sicché verranno qui di seguito

elencate e descritte solo in estrema sintesi.

9.3.1 Rapporti di collaborazione coordinata e continuativa

Tale forma contrattuale (c.d. “co.co.co”) viene largamente impiegata o, per meglio dire,

abusata, in relazione a prestazioni lavorative che non implicano di fatto alcuna effettiva

autonomia e che anzi, comportano la normale e costante soggezione del lavoratore al

potere gerarchico, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, tipica del lavoro su-

bordinato. Con l’entrata in vigore della legge 3 aprile 2001 n. 142, che ha drasticamente

riformato il regime del rapporto di lavoro tra i soci e le cooperative di produzione e la-

voro, la formalizzazione di co.co.co. ha avuto un apprezzabile incremento quantitativo,

risultando applicata a scopo evidentemente elusivo anche nell’impiego presso coopera-

tive di facchinaggio e di pulizie, che si avvalgono sempre più (se non addirittura in pre-

valenza) di manodopera immigrata; in questi settori il lavoro è normalmente organizzato

in squadre sottoposte alla direzione di preposti e con turnazioni necessariamente rigide,

circostanze queste che escludono palesemente la legittima applicazione di tale forma

contrattuale.

9.3.2 Imprese artigiane individuali

La costituzione di un’impresa artigiana individuale dissimula talvolta un rapporto so-

stanziale di lavoro subordinato, laddove l’artigiano svolge in realtà la propria attività (e

la relativa fatturazione) esclusivamente per un unico appaltante ed è sottoposto alla co-

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stante direzione dello stesso. Di fatto, si verifica che una squadra di operai, agli ordini di

un’unica persona presso lo stesso cantiere, si presenti formalmente come una coinci-

dente presenza di singoli artigiani che dovrebbero svolgere ciascuno un lavoro distinto,

nel mentre colui che dà gli ordini, magari giustifica la propria presenza in cantiere quale

direttore dei lavori o suo consulente o “supervisore”. Non sembrano isolati i casi di im-

migrati regolari, soprattutto nel settore edile e dell’impiantistica, che accettano di buon

grado tale impostazione, trovando più congeniale la possibilità di lavorare sostanzial-

mente in regime di cottimo puro (ad es.: un tanto al metro quadro) e ritenendo - a torto

o a ragione - di poter così massimizzare il reddito nell’immediato, salvo poi incorrere nel-

le contestazioni di difetti o nella insolvenza dei committenti.

9.3.3 Part-time, straordinario non pagato e buste paga decurtate

Il lavoro part-time risulta diffuso tra gli immigrati, sia nello specifico settore del lavoro

domestico (in cui è praticamente impossibile verificare se, fra le mura di una privata

abitazione, una persona sta lavorando o sta trascorrendo il tempo libero) che negli altri

settori. Spesso, si tratta di un compromesso tra l’imposizione del datore di lavoro di

condizioni non completamente regolari, per risparmiare sui contributi, ed il bisogno del

lavoratore di documentare un reddito ufficiale per poter rinnovare il p.s..

Pur non essendo sconosciuto agli immigrati il fenomeno del c.d. “fuori busta”, non tanto

per erogare dei superminimi quanto per pagare lo straordinario, è più frequente il man-

cato pagamento dello straordinario, che in qualche caso viene giustificato dai datori di

lavoro in termini pseudo morali, adducendo la cattiva qualità della prestazione lavora-

tiva e la necessità di recuperare fuori orario l’asserito scarso rendimento. Con analoghe

motivazioni, o più semplicemente spiegando che “non è possibile pagare di più e che se

interessa il posto di lavoro bisogna accettarne le condizioni”, viene talvolta lamentato da

parte di lavoratori regolarmente assunti che il datore di lavoro pretende di far sottoscri-

vere per ricevuta la busta paga e l’importo ivi indicato nonostante l’importo effettiva-

mente corrisposto sia sensibilmente inferiore.

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9.3.4 I lavoratori “distaccati”

Appare più frequente negli ultimi anni l’impiego in Italia di lavoratori dipendenti da im-

prese straniere, temporaneamente distaccati per l’esecuzione in Italia di contratti

d’appalto stipulati con persone fisiche o giuridiche: tipico è il montaggio di strutture, o

l’esecuzione di lavorazioni edilizie o meccaniche in regime di appalto o di subappalto. Si

tratta di una forma di ingresso disciplinata al di fuori del meccanismo delle “quote”

dall’art. 27, comma 1 lett. i), del T.U., che ammette tale forma di impiego pur sempre a

condizione che sia assicurato il rispetto dei precetti stabiliti dall’art. 1655 del codice ci-

vile e dalla legge del 23 ottobre 1960 n. 1369. In altre parole, il distacco è lecito a condi-

zione che: a) si tratti di un vero e lecito contratto di appalto, laddove realmente

un’impresa assuma l’obbligo di realizzare un’opera determinata o un servizio a proprio

rischio e con autonoma organizzazione di mezzi, uomini, risorse e capitali, a fronte di un

corrispettivo preventivamente pattuito;32 b) sia garantito un trattamento economico glo-

bale non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali per le corrispondenti

qualifiche e mansioni, o comunque un trattamento non inferiore a quello previsto per i

lavoratori dipendenti dall’impresa appaltante.

Il procedimento per l’ingresso dall’estero di questi lavoratori è demandato alle Direzioni

provinciali del lavoro e prevede che sia l’impresa italiana appaltante a richiedere la rela-

tiva autorizzazione, allegando il contratto di appalto e, naturalmente, dichiarando che

l’impresa estera opera in piena autonomia ed a proprio rischio, con autonoma organiz-

zazione di mezzi, di uomini, di capitali e di strumenti. Trattandosi di un’autorizzazione

che viene rilasciata sulla base di semplici documenti, è necessario poi verificare se

quanto dichiarato dalle imprese è reale o se, invece, si tratta di una forma di interme-

diazione vietata di manodopera,33 ma la stessa efficacia delle verifiche ispettive “in corso

d’opera” dipende spesso dall’adeguatezza e dal controllo della documentazione inizial-

mente richiesta, poiché è facilmente intuibile l’estrema difficoltà di verifiche “in corso

d’opera”, a fronte di un’autorizzazione rilasciata, ad esempio, per l’esecuzione di lavora-

32. In realtà, come viene sempre più spesso puntualizzato dalla giurisprudenza, non è indispensabile che l’impresa appaltatrice abbia il completo controllo di tutte le risorse che concorrono alla realizzazione del risultato, potendosi ammettere, ad es., anche l’utilizzo di impianti fissi e/o strutture proprie dell’appal-tante, a condizione che sussista comunque un effettivo rischio di impresa nell’economia del rapporto e che i lavoratori siano comunque a carico e sotto l’effettiva direzione dell’appaltatore.

33. La circolare del Ministero del Lavoro n. 78/2001 precisa che, proprio per verificare l’effettività di quanto rappresentato in sede di richiesta di autorizzazione, si deve procedere a seguito dell’inizio dell’attività all’accertamento ispettivo “in corso d’opera”.

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zioni edili presso “cantieri vari” (di non facile individuazione) o per l’esecuzione di non

meglio specificate “lavorazioni accessorie e/o di finitura”.

Talvolta, infatti, questa tipologia di autorizzazione all’ingresso in Italia di lavoratori stra-

nieri viene utilizzata unicamente per ottenere manodopera a basso costo in condizioni di

minorata tutela e/o per poterla utilizzare eludendo il regime dei flussi migratori e il si-

stema delle quote. Fra l’altro, la procedura di autorizzazione non prevede che sia verifi-

cata all’estero, per il tramite della competente rappresentanza consolare, l’effettiva con-

sistenza e affidabilità dell’impresa formale datrice di lavoro, la qual cosa permetterebbe

di impedire ad imprese esistenti solo sulla carta, magari controllate dalla stessa impresa

committente italiana, di interporsi fittiziamente nei rapporti di lavoro.34

È importante notare che nei confronti dei lavoratori interessati - normalmente ignari sia

dell’effettivo utilizzo che verrà fatto della loro prestazione e sia del tipo di procedura ap-

plicata nei loro confronti - viene rilasciata un’autorizzazione ad entrare e soggiornare in

Italia che è inscindibilmente collegata con l’esecuzione dell’appalto per conto

dell’impresa estera (vera o fittizia datrice di lavoro), il che fa sì che essi non siano liberi

di dare le dimissioni e cambiare lavoro. Infatti, se il lavoratore non presta più la sua at-

tività nell’ambito dell’appalto, automaticamente perde il permesso di soggiorno e non ha

nessuna possibilità in Italia di convertirlo o comunque di soggiornare legalmente per

motivi diversi. Questo induce gli interessati a non avanzare rivendicazioni nei confronti

del datore di lavoro (tanto di quello vero che di quello apparente), perché solo mante-

nendo salve le apparenze può essere garantita loro la possibilità di lavorare in Italia. Al-

tro aspetto non trascurabile è l’estrema difficoltà di controllare la retribuzione effettiva-

mente corrisposta, dal momento che normalmente essa figura versata in patria (salva

l’erogazione del c.d. “poket money”), oltre al risparmio notevole per quanto riguarda il

costo dei contributi, nei casi in cui siano applicabili convenzioni in materia di sicurezza

sociale che consentono di mantenere la meno onerosa posizione contributiva nel Paese

di origine.35

34. Non si tratta di ipotesi di fantasia: lo scrivente si è trovato ad assistere in più di un’occasione lavoratori che sono stati selezionati (assieme a centinaia di altri, per volta) nel loro paese tramite pubblici avvisi sulla stampa nazionale, pubblicati da imprese esistenti solo sulla carta ed aventi l’unico scopo di reclu-tarli e di prestare il nome, oltre a quella che si può definire eufemisticamente “l’assistenza amministrativa”, per consentire l’autorizzazione all’ingresso nell’ambito di un appalto illecito. In un caso, addirittura, per maggiore garanzia del soggetto reclutatore, è stata fatta sottoscrivere a ciascuno degli interessati, presso un notaio del paese di partenza, un’ipoteca sulla casa.

35. Fra le convenzioni bilaterali in materia di sicurezza sociale, che regolano il distacco di lavoratori, merita di essere citata quella più utilizzata nel frangente di cui trattasi, stipulata con la Jugoslavia il 14 no-vembre 1957 e ratificata con legge 11 giugno 1960 n. 885 (G.U. 29 agosto 1960 n. 210). A seguito della nota dissoluzione della Jugoslavia, le Repubbliche di Croazia, Slovenia e Bosnia hanno formalizzato la successione nell’applicazione di detta convenzione.

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9.4 La regolarizzazione

9.4.1 L’accesso alla procedura di emersione

Come è noto, l’art. 33 della legge 30 luglio 2002 n. 189 ha disciplinato la procedura di

emersione del lavoro irregolare per quanto attiene le colf e le “badanti”, mentre il de-

creto-legge 9 settembre 2002 n. 195 ha dato analoghe disposizioni per la regolarizza-

zione dei lavoratori occupati negli altri settori; la legge di conversione 9 ottobre 2002 n.

222 ha poi introdotto alcune modifiche alle condizioni originariamente previste, armo-

nizzandole sostanzialmente per entrambe le categorie.

La valutazione delle diverse problematiche interpretative che si sono poste nell’applica-

zione di dette norme, come pure ogni altra valutazione di merito sulle scelte operate dal

legislatore, esula dalla presente analisi, che viene dedicata esclusivamente alla valu-

tazione degli effetti più direttamente rilevanti sotto lo specifico profilo dell’effettività del-

l’emersione.

Nonostante già da molto tempo prima dell’entrata in vigore della L. 189/02 (e della

contestuale emanazione del D.L.195/02) fosse noto che vi era un’alta probabilità che

venissero emanate disposizione in materia di regolarizzazione,36 fin dai primi giorni della

sua operatività si era registrata una certa diffidenza dei datori di lavoro nell’utilizzo di

tale opportunità. Certo, la mancanza di chiare indicazioni operative, emanate solo in

prosieguo, poteva in parte giustificare una prudente condotta di attesa, per consentire

di meglio comprendere se vi erano o meno le condizioni per regolarizzare i rapporti di la-

voro in atto, ma la discrasia tra il massiccio afflusso di immigrati presso gli uffici postali

per il ritiro della modulistica (il c.d. “kit”) e la scarsità di domande presentate nella fase

iniziale è stato il primo indicatore di una palpabile riluttanza di una parte dei datori di

lavoro, che ha poi trovato conferma nell’esperienza pratica “di sportello” delle diverse as-

sociazioni laiche e religiose che hanno prestato assistenza per l’avvio delle pratiche.

36. Come pure è accaduto in occasione delle precedenti regolarizzazioni, il lungo dibattito politico che ha portato all’emanazione delle norme in commento non ha mancato di indurre la divulgazione tra gli im-migrati e nei loro Paesi d’origine dell’opportunità di fare ingresso irregolare in Italia per approfittare ap-pena possibile della procedura di emersione. L’incremento degli ingressi irregolari attribuibile al pro-lungamento del dibattito (che forse avrebbe potuto essere prevenuto anticipando un decreto legge ad hoc rispetto alla legge di riforma del T.U.) può essere valutato confrontando le stime sulla presenza di immigrati irregolari all’inizio del 2002 con il numero complessivo di domande di regolarizzazione.

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Al di là delle incertezze interpretative - essenzialmente incentrate sull’individuazione

della decorrenza iniziale minima dei rapporti di lavoro37 e sulla rilevanza o meno di

eventuali periodi di interruzione del rapporto per temporaneo rimpatrio - e pure a fronte

di una incoraggiante ed omnicomprensiva previsione di estinzione delle violazioni pre-

gresse,38 fra i datori di lavoro si è registrata una certa riluttanza: non sono certo isolati,

infatti, i casi di coloro che, dopo avere tergiversato di fronte alle insistenti richieste dei

dipendenti, hanno licenziato (ovviamente, senza alcuna formalità) i lavoratori, oppure li

hanno allontanati adducendo la scusa che non c’era lavoro e che li avrebbero richia-

mati, oppure sostenendo (falsamente e per liberarsi del problema) che la prosecuzione

del rapporto di lavoro sarebbe stata possibile solo dopo il perfezionamento della regola-

rizzazione; altri, più astuti, hanno promesso fino alla scadenza dei termini la regolariz-

zazione, magari mostrando i moduli compilati, salvo poi ometterne l’inoltro.

Per l’appunto, la peculiarità della regolarizzazione in esame consiste nell’avere affidato

alla volontà del solo datore di lavoro l’attivazione della procedura, tant’è che si era ini-

zialmente ritenuto che il previsto inoltro della dichiarazione di emersione costituisse una

mera facoltà e non un atto dovuto, senza che vi fosse un vero e proprio diritto, bensì

una mera aspettativa, da parte del lavoratore. In realtà, come ha precisato la giurispru-

denza, poiché assumere o mantenere alle dipendenze un lavoratore straniero privo di

idoneo permesso di soggiorno costituisce reato, si è più correttamente ritenuto che la

norma non potesse essere interpretata nel senso di attribuire al datore di lavoro la fa-

coltà di scegliere se regolarizzare - con ciò estinguendo tutte le precedenti violazioni -

oppure perseverare nella condotta illecita.

Il ripristino della legalità è stato dunque considerato obbligatorio da parte del datore di

lavoro, riconoscendosi ai lavoratori il diritto di pretendere la regolarizzazione. Ma il Mi-

nistero dell’Interno si è adeguato a tale interpretazione solo in prossimità della scadenza

dei termini, peraltro, dopo che era già stato prorogato il termine di scadenza per i lavo-

ratori non domestici all’11 novembre, in sede di conversione in legge, con modificazioni

del relativo decreto-legge. È infatti del 31 ottobre la circolare n. 300C/2002 (c.d. “circo-

37. La formulazione letterale della norma contrasta con l’interpretazione restrittiva adottata dal Ministero dell’Interno: infatti, mentre la norma consente le regolarizzazione a chiunque ha occupato lavoratori extracomunitari in posizione irregolare nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore, il che po-trebbe significare che anche un rapporto di lavoro sorto il giorno prima dell’entrata in vigore rientra nel campo di applicazione della regolarizzazione, il Ministero dell’Interno ritiene che siano ammissibili le domande di regolarizzazione solo quando il rapporto di lavoro si sia svolto quantomeno per tutti i tre mesi antecedenti.

38. Per la prima volta, in una regolarizzazione dedicata al lavoro degli stranieri, è stata espressamente prevista, oltre alla estinzione delle violazioni in materia penale, amministrativa, civile e previdenziale, anche l’estinzione delle violazioni in materia fiscale.

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lare Mantovano”, perché attribuita all’omonimo Sottosegretario che, non senza difficoltà

di mediazione politica, riuscì a sbloccare la controversia sugli irregolari licenziati), che

ha ammesso la possibilità di aprire una vertenza nei confronti del datore di lavoro “re-

nitente” entro l’11 novembre e di presentare direttamente alla Questura la domanda di

permesso di soggiorno “per ricerca occupazione” entro il successivo 19 novembre. Certo

è che, anche ammettendo la tempestiva divulgazione della circolare (non tanto tra le

prefetture, quanto piuttosto tra gli immigrati: specie se si considera che la circolare ci-

tata è stata emanata in un giorno prefestivo e che tra il 31 ottobre e l’11 novembre sono

inclusi due fine settimana), nello spazio di appena sette giorni lavorativi non si poteva

ragionevolmente sperare di “recuperare” tutte le anzidette situazioni controverse.39

È noto che, soprattutto nel settore del lavoro domestico ma non solo, una parte non tra-

scurabile dei lavoratori ha pagato in proprio e senza discussioni il costo della regolariz-

zazione, ovvero il previsto contributo forfetario a carico del datore di lavoro, pur di otte-

nere il sospirato permesso di soggiorno. Non solo, ma si sono anche verificati casi di

estorsione conclamata, in cui il datore di lavoro ha costretto l’interessato a pagare addi-

rittura un prezzo ulteriore (fino a 5.000 euro!) per ottenere la regolarizzazione.40 Pure si

sono verificati casi di vere e proprie regolarizzazioni fittizie sia presso piccole imprese e

sia, soprattutto, presso finti datori di lavoro domestico, anch’esse quasi sempre “com-

prate”,41 non solo da persone effettivamente prive di un’occupazione ma anche da per-

sone che lavoravano in nero presso datori di lavoro indisponibili alla regolarizzazione.

39. Persino laddove è stata organizzata un’assistenza vertenziale anche nei giorni festivi, come ha fatto la Camera del Lavoro di Milano, è stata rilevata l’esistenza di molte denunce tardive, anche perché, come accennato, molti lavoratori hanno potuto constatare solo l’ultimo giorno utile che, contrariamente alle assicurazioni ricevute, la dichiarazione di emersione non era stata presentata. È tuttora dubbio se si ammetterà che valgano anche, per interrompere il termine dell’11 novembre, le vertenze da considerare avviate entro tale data, nei molti casi in cui i lavoratori hanno dato delega al sindacato entro il giorno 11 per essere tutelati attraverso la richiesta di convocazione della controparte, anche se poi la formale richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione é stata inoltrata dagli uffici sindacali nei giorni suc-cessivi, purché entro il 19 novembre, data fissata dalla circolare per la richiesta di p.s. presso le Que-sture. Al momento, le Questure non sanno ancora esattamente come applicare queste istruzioni e ten-dono ad escludere l’accettazione delle domande di permesso di soggiorno basate su vertenze per le quali non sia documentabile la spedizione della relativa raccomandata - contenente l’istanza di convo-cazione del tentativo obbligatorio di conciliazione - entro l’11 novembre.

40. È stata denunciata a Padova un’impresa che ha fatto pagare a ben 92 immigrati, che effettivamente lavoravano in nero, la somma media di 3.000 euro pro capite, mediante trattenuta sugli stipendi. Non si ritiene si tratti di un caso isolato, quanto piuttosto di situazioni estremamente difficili da dimostrare, senza contare il fondato timore dei lavoratori di perdere sia il posto di lavoro che l’opportunità di regola-rizzazione. Infatti, nel caso in questione l’avvio delle indagini è stato reso possibile grazie ad una prepa-razione minuziosa ma non certo facile e proponibile a chiunque, ovvero con l’impiego di una microca-mera nascosta in un bottone (c.d. “candid camera”).

41. È stato recentemente denunciato a Verona il caso di uno studio di consulenza che avrebbe venduto, grazie all’utilizzo di imprese compiacenti, almeno 300 regolarizzazioni al prezzo minimo di 2.000 euro pro capite.

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Dunque, se si tiene conto della prassi “alternativa” di “scaricare” il pagamento del con-

tributo forfetario sul lavoratore, ciò che può avere indotto una parte dei datori di lavoro

ad omettere l’inoltro della dichiarazione di emersione non è tanto il costo della regolariz-

zazione, quanto piuttosto il maggior costo futuro e la maggiore rigidità del rapporto di

lavoro, derivanti dalla necessaria applicazione delle norme di legge e dei contratti collet-

tivi ai rapporti regolarizzati (non solo in relazione alle retribuzioni minime ed ai relativi

contributi, ma anche in considerazione del necessario rispetto della continuità della

prestazione, dell’orario di lavoro, del diritto alle ferie, ai riposi, ecc.).

Tale preoccupazione ha senz’altro pesato notevolmente sulle sorti dei rapporti di lavoro

domestico, anche se il problema è stato talvolta risolto in questi casi facendo emergere

un rapporto part-time anziché a tempo pieno, o addirittura formalizzando (grazie al fatto

che i minimi retributivi del Ccnl per il lavoro domestico sono palesemente inferiori alle

tariffe minime praticate nel mercato) una retribuzione, per così dire, “conglobata”: in al-

tre parole, è stata dichiarata una retribuzione inferiore a quella precedentemente prati-

cata per assorbire il maggior costo degli oneri contributivi e retributivi indiretti, col ri-

sultato che la colf o la “badante” regolarizzata verrà pagata meno di prima. D’altra parte,

non sembra certo un caso che molte delle stesse badanti delle quali, prima della regola-

rizzazione, i datori di lavoro tessevano le lodi per la disponibilità e dedizione che con-

trassegnava la loro prestazione, dopo, quando hanno iniziato a chiedere il giorno libero,

siano state tacciate di gravi negligenze, guarda caso per giustificare la risoluzione del

rapporto (e magari assumere una nuova arrivata in condizione irregolare).

Per quanto riguarda invece le imprese, se da un lato è pacifico che moltissime, quelle

più serie e normalmente di maggiori dimensioni, non vedevano l’ora di far emergere rap-

porti di lavoro instaurati irregolarmente a causa dell’estrema difficoltà di assumere me-

diante il noto regime dei flussi migratori, non si può fare a meno di considerare che vi so-

no state imprese, per lo più di piccole dimensioni, che hanno rifiutato la regolarizzazione

perché questa fa venir meno la convenienza dell’impiego degli immigrati, ovvero perché, in

altre parole, l’instaurazione di regolari rapporti di lavoro e l’assunzione dei relativi costi le

avrebbe portate fuori dalla fascia marginale del mercato che di fatto occupano.

In alcuni casi, inoltre, si ritiene non abbia influito solo il minor costo del lavoro pre-

gresso (comunque non secondario) ma anche la massima flessibilità resa possibile dalla

condizione degli immigrati irregolari, che consentiva un impiego intermittente in funzione

degli alterni flussi di lavoro. Ad esempio, l’imprenditore artigiano del settore edile non

sente soltanto il problema del costo del lavoro quanto piuttosto la ritenuta impossibilità

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(poco importa se a torto o a ragione) di assicurarvi continuità, ovvero l’onere di dover

sostenere il costo di una manodopera che, a tratti, risulta (o forse risulterà) inutilizzabile.

D’altra parte, gli immigrati, in specie quelli irregolari, si concentrano maggiormente pro-

prio in questo tipo di aziende, il che rende facilmente comprensibile l’alta precarietà

della loro occupazione anche in una situazione regolare, non a caso fortemente contras-

segnata dalla stipula di contratti a tempo determinato (talvolta anche oltre i limiti legali

e contrattuali). E ciò spiega anche perché - oltre alle regolarizzazioni fittizie, che, per ov-

vie esigenze di contenimento del costo contributivo, inducono a risolvere i formali rap-

porti di lavoro il più presto possibile - non pochi degli effettivi rapporti di lavoro per i

quali è stata attivata la regolarizzazione vengono ora risolti o, verosimilmente, cesse-

ranno nei prossimi mesi.

9.4.2 La seconda fase della regolarizzazione

In effetti, ciò che preoccupa è la seconda fase della regolarizzazione, di fronte alla casi-

stica, ovviamente destinata a crescere progressivamente, dei “regolarizzandi” che hanno

già perso o che perderanno il posto di lavoro.

La procedura di regolarizzazione prevede (a seconda di colf, badanti o lavoratori subor-

dinati) che la domanda venga perfezionata entro 30 o 60 giorni attraverso la convoca-

zione presso lo sportello polifunzionale attivato dalle prefetture. Sappiamo che di fronte

alla quantità enorme di domande (circa 700.000) gli appositi uffici non sono sufficien-

temente attrezzati per smaltirle in poco tempo. Non solo sono già stati abbondante-

mente superati i termini sopraindicati ma non sarà nemmeno possibile avvicinarcisi.

Facendo i conti con le cifre delle domande presentate, i giorni lavorativi di apertura degli

uffici e la quantità giornaliera di richieste sottoposte ad esame, risulta evidente, rebus

sic stantibus, che i più sfortunati, ovvero quelli che hanno presentato la loro domanda

dopo le prime migliaia, potranno subire tempi di attesa che potranno arrivare oltre i due

anni.42 Ed è altrettanto evidente che ciò produrrà una serie di conseguenze che potreb-

bero essere drammatiche se non vi si ponesse rimedio.

42. A giustificazione della inadeguatezza dell’apparato preposto al disbrigo dei vari adempimenti ammi-nistrativi si è sostenuto che non era prevista (o prevedibile) una così massiccia presenza di irregolari interessati alla regolarizzazione. Tuttavia le stime sulla presenza di irregolari in Italia all’inizio del 2002 indicavano già una presenza intorno alle 300-350 mila persone, cui si sono aggiunti i nuovi ingressi anche grazie al richiamo dell’imminente regolarizzazione.

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Infatti, il problema più frequente, che riguarderà un numero massiccio di casi, sarà

rappresentato dalla necessità di cambiare datore di lavoro.

La cosa in sé non dovrebbe creare particolari problemi, specialmente nel nostro Nord

est, ma il punto è che non si sa se e come queste persone potranno trovare una nuova

occupazione. Una recente circolare del Ministero dell’Interno prevede che nel caso di

perdita del posto di lavoro per licenziamento43 sarà possibile, in analogia con quanto

previsto dall’art. 22, comma 11 del T.U., concedere un permesso di soggiorno di sei mesi

per la ricerca di una nuova occupazione; tuttavia, secondo la circolare, questo sarà pos-

sibile solo a seguito della convocazione delle parti presso lo sportello polifunzionale atti-

vato dalla prefettura, il che significa attendere moltissimo tempo per la maggior parte

degli interessati.

A questo riguardo teniamo presente che spesso gli stranieri, soprattutto quelli di recente

immigrazione, hanno una durata media del rapporto di lavoro piuttosto scarsa, vale a

dire che cambiano spesso lavoro, perché si tratta di lavori per lo più a termine o co-

munque precari. Se dovessimo ragionevolmente tener conto di ciò, considerando i tempi

di attesa, dovremmo ritenere che fino al momento in cui sarà possibile perfezionare la

regolarizzazione, gli interessati (circa 700.000) avranno dovuto cambiare posto di lavoro

più volte. Ma, per l’appunto, nel frattempo non si sa come cambiare posto di lavoro.

Certo, l’idea originaria (come si suol dire, l’intenzione del legislatore, che ad ogni buon

conto non assume alcun rilievo ai fini interpretativi della norma) probabilmente era che

a perfezionare il contratto di soggiorno dovesse essere soltanto il datore di lavoro che ha

inoltrato la domanda di regolarizzazione, e che durante la (breve) procedura di perfezio-

namento non potesse esserci un cambiamento di datore, salvo casi eccezionali, come la

morte della persona assistita dalla badante, nel qual caso è già prevista da un’altra cir-

colare del Ministero dell’Interno la possibilità di immediato rilascio di un permesso di

soggiorno di sei mesi per ricerca lavoro o l’autorizzazione alla sostituzione immediata del

nuovo datore di lavoro nella procedura di regolarizzazione. Ma la casistica più ampia e

diffusa dei rapporti di lavoro che si concludono per altre cause naturali non è stata

presa in considerazione.

Gli stessi datori di lavoro che fossero interessati ad assumere lavoratori immigrati non

hanno al momento nessuna sicurezza sulla regolarità del rapporto di lavoro che si an-

43. Detta circolare non prende in considerazione le ipotesi di dimissioni, né volontarie né per giusta causa (laddove, ad es. il lavoratore è di fatto costretto a recedere dal rapporto perché non viene pagato) pur ri-chiamando l’analogia con il già citato disposto di cui all’art. 22, comma 11, che contempla espressa-mente anche le dimissioni.

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drebbe ad instaurare, anzi, possono fondatamente temere di commettere il reato previ-

sto dall’art. 22 comma 12 del Testo Unico, che fra l’altro è ora sanzionato in maniera più

grave che in passato (pagamento di 5.000 euro per ogni lavoratore assunto senza per-

messo di soggiorno e arresto da tre mesi ad un anno).

Non si può fare a meno di valutare se questa prassi applicativa della procedura di rego-

larizzazione, di fatto introdotta dal Ministero dell’Interno con una circolare, sia o meno

compatibile con i principi del nostro diritto del lavoro e, soprattutto, se sia utile dal

punto di vista dell’ordine pubblico e dell’attività di contrasto del lavoro nero.

D’altra parte, se da un lato la durata della procedura (sia pure con un termine non

espressamente perentorio) è a seconda dei casi di 30 o 60 giorni, dall’altro la norma in

materia di regolarizzazione non contiene, né avrebbe potuto contenere, alcuna deroga ai

principi generali in materia di risoluzione del rapporto di lavoro.

In altre parole, non vi è alcuna norma che inibisca il diritto del datore di lavoro di licen-

ziare e del lavoratore di rassegnare le dimissioni, nei casi previsti dalla legge, sicché non

sembrerebbe ragionevole ricacciare nella clandestinità gli immigrati per il solo fatto che

hanno esercitato dei diritti o che hanno subìto, per così dire, dei diritti esercitati dai loro

datori di lavoro. Ciò costituirebbe una palese contraddizione con la regola generale, per

cui chi perde il posto di lavoro non automaticamente perde la possibilità di soggiornare

e di reperire una nuova occupazione, avendo diritto ad un permesso di soggiorno della

durata di sei mesi, il che è sì quanto è stato già previsto dalla circolare citata ma di fatto

rinviato ad una data lontana. Prova ne sia che i lavoratori che perdono il posto di lavoro

non sono ammessi a presentare presso la competente Questura la pur prevista do-

manda di p.s. di sei mesi per ricerca occupazione: infatti, detti uffici rifiutano il formale

ricevimento della relativa domanda adducendo che ciò non sarà possibile fino a quando

non sarà stata effettuata la convocazione presso gli sportelli polifunzionali delle prefet-

ture. A sostegno di questa prassi si spiega che non è tecnicamente possibile il vaglio

della posizione individuale, causa la non ancora completa trasmissione della documen-

tazione alle prefetture e alle questure da parte del centro elaborazione dati delle Poste e

quindi, a sua volta, da quello della Polizia di Stato, ma così argomentando è evidente

che si scarica sull’utenza (non solo i lavoratori ma anche i datori di lavoro, vecchi e

nuovi) tutto il peso dell’inadeguatezza dell’apparato preposto al perfezionamento delle

regolarizzazioni.

Peraltro, se, così operando, si impedisse sostanzialmente l’esercizio del diritto del lavo-

ratore di cambiare datore di lavoro, si potrebbe fondatamente configurare una discrimi-

nazione ed una violazione dell’art. 10 della Costituzione, che al 2°comma sancisce la

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prevalenza sulla legge ordinaria delle norme e dei trattati internazionali sulla condizione

dello straniero. Infatti, è opportuno ricordare la Convenzione n. 143 del 1975

dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ratificata dall’Italia nel 1981 e resa opera-

tiva con l’entrata in vigore della legge 943/86), che garantisce il diritto dei lavoratori re-

golarmente soggiornanti di godere di piena parità di trattamento e di opportunità ri-

spetto ai lavoratori nazionali; la stessa Convenzione prevede la possibilità per i paesi

aderenti di stabilire limitazioni alla possibilità di cambiare tipo di lavoro solo entro un

tempo determinato, e prevede inoltre che la perdita del posto di lavoro non possa mai

comportare automaticamente la perdita del permesso di soggiorno. Per l’appunto, le 700

mila persone in fase di regolarizzazione sono comunque da considerare attualmente le-

galmente soggiornanti, anche se sottoposte a verifiche. Ora, poiché non sussiste alcuna

generale disposizione limitativa della possibilità di cambiare datore di lavoro o settore di

attività,44 queste persone potrebbero subire una effettiva e legittima limitazione alla

possibilità di cambiare lavoro solo entro i termini previsti nell’ambito delle norme sulla

regolarizzazione, ovvero i 30 o i 60 giorni previsti per perfezionare la relativa procedura,

perché è indiscutibile che, una volta perfezionata la procedura di regolarizzazione, il la-

voratore immigrato può cambiare lavoro e beneficiare di un permesso di soggiorno di sei

mesi per trovare una nuova occupazione.

È facilmente intuibile che, se i tempi di perfezionamento della procedura non saranno

drasticamente accelerati, o se comunque non verranno adottate soluzioni che consen-

tano ai perdenti il posto di lavoro di perfezionare subito il nuovo rapporto, gli interessati

saranno nel frattempo costretti a rivolgersi nuovamente al lavoro nero, con ovvio pre-

giudizio per l’intera comunità (si pensi soltanto al mancato introito di ritenute fiscali e

contributi). Peraltro, se si dovesse attendere ancora molto tempo, il numero degli inte-

ressati al rilascio del p.s. per ricerca di lavoro crescerebbe (per le ragioni già esposte) a

dismisura, rischiando di rasentare una quota prevalente delle richieste di regolarizza-

zione, con l’ulteriore effetto che le Questure si troverebbero a gestire, anziché un flusso

graduale di richieste di p.s., una mole di pratiche tale da provocare una vera e propria

paralisi anche a danno dei lavoratori già stabilmente soggiornanti, che si troverebbero

verosimilmente a subire tempi ancora più lunghi di quelli attuali per i normali rinnovi o

aggiornamenti dei permessi.

44. Si ricorda che la L. 943/86 prevedeva il divieto di cambiare settore di attività per un tempo massimo di 24 mesi, pur garantendo, comunque, la incondizionata possibilità di cambiare datore di lavoro mante-nendo la stessa qualifica; tale limitazione è stata poi soppressa nell’ambito delle abrogazioni disposte con l’entrata in vigore del D.Leg.vo 25 luglio 1998 n. 286.

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Infine, va considerato che, con la ricevuta attestante l’inoltro della domanda di regola-

rizzazione non è ammessa alcuna mobilità, o meglio, dal territorio italiano si può uscire

ma senza possibilità di farvi rientro, sicché è facilmente intuibile, a meno di pretendere

da tutti gli immigrati una stoica resistenza, che perdurando tale interdizione per tutta la

durata della procedura, si indurrà buona parte degli interessati, prima o poi, a tentare

di eludere i controlli di frontiera così producendo ulteriore illegalità.

9.5 La casistica

Senza alcuna pretesa di fornire uno spaccato completo e statisticamente significativo

delle situazioni che più tipicamente connotano il lavoro nero degli immigrati, si anno-

tano qui di seguito alcune osservazioni principalmente rivolte a sottolineare gli aspetti

che, per così dire, presentano maggiore rilievo anche sotto il profilo dell’ordine pubblico,

nella più lata accezione del termine.

9.5.1 I settori di impiego

I dati della recente regolarizzazione dimostrano che nel settore del lavoro domestico vi è

stato sinora un massiccio ricorso all’impiego irregolare, dal momento che ad esso si rife-

risce circa il 40% delle dichiarazioni di emersione. Naturalmente, non si potrà fare a

meno di considerare che in tale ambito, come pure negli altri settori di occupazione, vi è

stata una certa incidenza di regolarizzazioni alle quali non corrisponde un effettivo rap-

porto di lavoro, sebbene non sembra vi siano ragioni per enfatizzare particolarmente

l’incidenza delle regolarizzazioni “di comodo”.45

Sarà interessante verificare fra qualche tempo la “mobilità” verso altri settori di impiego

dei lavoratori domestici, tenendo conto, da un lato, che anche in occasione delle prece-

45. Non bisogna confondere le problematiche interpretative ed applicative della regolarizzazione e il diffuso fenomeno delle regolarizzazioni “pagate” dagli immigrati con la ben minore incidenza dei rapporti si-mulati, peraltro tipicamente ricorrente in ogni regolarizzazione: senza alcuna pretesa di rilevazione scientifica, ma avendo avuto nel corso della regolarizzazione costanti contatti con numerosi “sportelli” attivati dal privato sociale per l’assistenza nella regolarizzazione (laddove gli interessati dicono le cose come stanno), lo scrivente fa presente di avere constatato un’incidenza delle regolarizzazioni “di co-modo” senz’altro inferiore al 10%.

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denti regolarizzazioni molti di essi hanno preferito orientarsi verso altre occupazioni non

appena ottenuto il p.s., mentre d’altro canto la prevedibile tendenza al progressivo calo

dell’occupazione ufficiale in tale settore - a meno di non ritenere che improvvisamente

venga meno il fabbisogno di tali prestazioni - potrebbe confermare il fondato timore di

un turn over tutt’altro che virtuoso, ovvero la sostituzione di lavoratori regolari con altri

“nuovi arrivati” in condizione irregolare.

Per quanto riguarda le imprese, è praticamente scontato che ad utilizzare la regolarizza-

zione vi siano praticamente tutte le categorie che sinora hanno utilizzato o tentato di

utilizzare il sistema dei “flussi migratori”, come si ritiene potrebbe essere confermato in-

crociando i dati delle aziende che attingono alle “quote” con le risultanze della regolariz-

zazione. Si tratta, per l’appunto, delle imprese che svolgono lavorazioni sempre più ri-

fiutate dalla manodopera nazionale e che ricorrono all’impiego irregolare più per neces-

sità che in base ad una vera e propria propensione per il lavoro sommerso, quelle che,

in altre parole, assumono i c.d. “clandestini” perché (o fintantoché) non trovano a por-

tata di mano la concreta possibilità di assumere immigrati muniti del p.s..

Va tuttavia evidenziato che vi sono invece delle tipologie di impresa che preferiscono at-

tingere (in tutto o, più spesso, in larga parte) dal bacino della manodopera irregolare,

perché ciò si confà alla loro peculiare collocazione nel mercato, talvolta esse utilizzano

anche le procedure di assunzione dall’estero e/o le eventuali possibilità di regolarizza-

zione, ma ciò non tanto per stabilizzare un rapporto in modo regolare quanto perché la

loro applicazione può costituire l’occasione per indurre nel frattempo il lavoratore ad ac-

cettare qualsiasi condizione, se non anche per realizzare un lucro illecito.46

Non vi è in realtà uno specifico settore produttivo particolarmente interessato, piuttosto

vi sono in diversi settori delle fasce marginali di imprese che hanno scelto di operare sul

mercato proprio sfruttando l’alta concorrenzialità assicurata dalle caratteristiche intrin-

secamente illecite dei rapporti di lavoro (e non solo). Un elemento comune a tali imprese

è che, di fatto, possono praticare prezzi altamente concorrenziali non solo perché pa-

gano poco ma anche e soprattutto grazie al fatto che sono organizzate o comunque si

trovano nella condizione di avere praticamente poco o nulla da perdere, ovvero di poter

accettare il rischio di chiudere “serenamente” i battenti allorché una serie di nodi ven-

gono al pettine: esse hanno infatti un patrimonio esiguo, se si eccettuano strutture ed

attrezzature di proprietà di terzi, e la loro essenziale risorsa produttiva è costituita dalla

46. Non sono certo nuovi né isolati i casi di imprese e/o di aziende specializzate in servizi amministrativi (sia costituite da italiani che da stranieri) che si fanno pagare per formalizzare, utilizzando il sistema delle “quote”, l’assunzione dall’estero per lavoro subordinato o autonomo.

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manodopera a basso costo, utilizzata con la massima flessibilità (per usare un delicato

eufemismo).

Al riguardo, la casistica verificata nell’esperienza pratica ci offre degli esempi tipici (ma

beninteso, da non intendersi affatto come rappresentativi dell’intero settore produttivo

di appartenenza, nel quale operano in prevalenza imprese serie). Anzitutto, imprese ope-

ranti nel settore dell’edilizia, per lo più di tipo artigianale o comunque di modeste di-

mensioni, che costituiscono spesso l’ultimo anello della catena dei subappalti ed altret-

tanto spesso operano oltre il limite del divieto di intermediazione di manodopera di cui

alla legge 1369/60. Ad esempio, non accade di rado di verificare che, in pratica, la diffe-

renza tra l’essere dipendenti dell’impresa committente o risultare formalmente titolari di

un’impresa subappaltatrice della medesima committente, è rappresentata dal “salto di

qualità” di un muratore (magari, e sempre più spesso, un immigrato), che costituisce

una propria impresa; mentre questi, prima, fungeva da capo squadra, poi diventa for-

male datore di lavoro, restando sostanzialmente inalterata la sua funzione sostanziale di

preposto alla direzione degli operai cui viene affidata la realizzazione delle opere, o parte

di esse, in un dato cantiere. Analoghe caratteristiche si possono pure rinvenire

nell’ambito di piccole imprese del settore metalmeccanico, che per lo più svolgono atti-

vità di montaggio o lavorazioni per conto terzi, magari presso i cantieri o gli stabilimenti

degli stessi committenti e utilizzando gli impianti ed i macchinari di loro proprietà e pat-

tuendo altresì un corrispettivo basato su una paga oraria per ciascun addetto. Questo

può persino accadere anche all’interno di realtà rappresentative della grande cantieri-

stica, in cui può verificarsi una palpabile differenziazione rispetto ai lavoratori “garan-

titi”, direttamente dipendenti dal primo appaltante, sicché le lavorazioni comportanti

un’alta incidenza di impiego di manodopera (non solo comune ma anche specializzata)

vengono “lottizzate” con un sistema così articolato di subappalti che è persino difficile da

ricostruire.

Vi sono poi lavorazioni facilmente “esportabili”, ovvero trasferibili al di fuori dell’azienda

committente, in quanto richiedenti un ridotto investimento in macchine ed attrezzature

e basso costo per il trasporto dei semilavorati: ne è un tipico esempio il settore

dell’abbigliamento, che di fatto sta recuperando apprezzabili quote di produzione (per-

dute già diversi anni fa a causa del minor costo del lavoro incidente sulla concorrenza

estera) potendo ringraziare almeno in parte il lavoro sommerso.47

47. I laboratori organizzati da imprenditori cinesi sono senz’altro l’esempio più noto, ma non l’unico.

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Non mancano, ed anzi sono sempre più frequenti, nonostante la crescente attenzione

degli organi ispettivi, i casi di cooperative operanti nel settore del facchinaggio (molto di

meno nel settore delle pulizie), che possono proporre tariffe imbattibili rispetto a quelle

praticate dalle cooperative che si sono già adeguate o si stanno adeguando ai precetti

della legge 3 aprile 2001 n. 142;48 senza contare che proprio l’impiego di immigrati

irregolari viene talvolta utilizzato per eseguire appalti illeciti di mere prestazioni di lavoro

inerenti il ciclo produttivo dei committenti, il cui accertamento è reso ancor più difficile

dalla condizione di “clandestinità” (non è nemmeno necessario istruire un “clandestino”

su come comportarsi in caso di accertamento ispettivo, poiché la fuga è comunque la

sua più spontanea reazione).

Pure risulta percepibile la presenza di manodopera clandestina nei settori della ristora-

zione e alberghiero e nell’agricoltura, laddove il comune denominatore sembra costituito

dal carattere prettamente familiare dell’azienda.

Ovviamente, si fa per dire, nell’ambito della riduzione al minimo dei costi e dell’inesi-

stenza di un’organizzazione del lavoro realmente imprenditoriale, la sicurezza sul lavoro

risulta pressoché inesistente, mentre la condizione irregolare di soggiorno facilita ulte-

riori comportamenti illeciti in caso di infortunio: non sono infrequenti i casi di lavoratori

che si presentano al pronto soccorso con traumi evidentemente prodotti da infortunio

sul lavoro, che dichiarano incredibili incidenti domestici o stradali; accade pure che ven-

ga omessa dal datore di lavoro, per non compromettersi, anche la prestazione del primo

soccorso e succede persino che vengano messi in scena finti incidenti stradali nel breve

tempo necessario per l’arrivo dei soccorsi, istruendo all’uopo i colleghi di lavoro mentre

la vittima è priva di sensi.

48. Sono evidenti le inevitabili ricadute sul mercato del settore dei maggiori costi derivanti dalla necessità, prevista dalla norma citata, di prevalente inquadramento dei soci nell’ambito del lavoro subordinato, con applicazione dei normali istituti retributivi previsti dai contratti collettivi di riferimento, ma va tut-tavia sottolineato che la citata riforma legislativa non mancherà di produrre anche altri effetti, meno evidenti ma non meno importanti. Infatti, al di là delle valutazioni di merito, essa amplificherà notevol-mente le differenze già esistenti nell’ambito delle cooperative del settore, inducendo di fatto scelte stra-tegiche degli operatori che non lasceranno spazio a soluzioni di compromesso, dal momento che la maggiore rigidità e regolamentazione dei rapporti di lavoro andrà a creare una sorta di “polarizzazione”: da un lato si andranno a collocare le cooperative che tenteranno di mantenere costi “concorrenziali” eludendo le disposizioni vigenti, e ciò non potrà che essere fatto ricorrendo all’impiego di lavoratori irre-golari o cronicamente precari ed a forme fittizie di “co.co.co.”, con ovvie conseguenze sia sotto il profilo della qualità, produttività e sicurezza del lavoro, sia in relazione all’alta vertenzialità ed alle sanzioni ci-vili, penali e amministrative che ne potranno derivare nei confronti degli stessi committenti; dall’altro, potranno attestarsi quelle cooperative che sapranno dimostrare un’effettiva qualità imprenditoriale e fornire servizi connotati da una maggiore produttività e sicurezza per il cliente, e ciò proprio valoriz-zando i fattori leciti dei rapporti di lavoro, organizzando servizi integrati di alta qualità, basati su rap-porti lavorativi stabili e maggiormente professionali, ed amministrando correttamente gli strumenti di contrattazione della flessibilità.

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L’estrema difficoltà nell’accertamento dei fatti e delle responsabilità, che in buona parte

dei casi, specie in quelli meno invalidanti, restano sconosciuti, trova evidente spiega-

zione nella condizione degli immigrati irregolari, non solo delle vittime ma degli stessi

colleghi, che sono oggettivamente coartati all’omertà: tutti, infatti, hanno in caso di

qualsivoglia indagine o verifica la certezza di perdere il posto di lavoro, il pagamento di

quanto già gli spetta (o sperano di incassare). Se non bastasse, la prassi amministrativa

di cui si è accennato sopra comporta la segnalazione per l’espulsione, che in base alle

norme del Testo Unico e con maggior rigore dopo la sua riforma, si traduce sempre di

più nell’effettivo accompagnamento alla frontiera, senza contare la necessità di rendersi

irreperibili dovendo pure preoccuparsi di cambiare alloggio.

Quando poi, laddove vengono eseguiti gli accertamenti ispettivi, vengono contestati pe-

santissimi addebiti economici per evasioni contributive e le relative sanzioni in sede

amministrativa (oltre alle violazioni in materia penale e fiscale), si verifica “normal-

mente” l’insolvenza dell’impresa, che magari si scopre essere rappresentata da un nul-

latenente (che spesso ha alle spalle precedenti situazioni analoghe) ed avere sede legale

presso un alloggio popolare. Nel caso delle cooperative, il patrimonio è praticamente ine-

sistente e la costituzione di una nuova cooperativa (una sorta di “araba fenice”) è fin

troppo agevole, quasi una ricetta di uso comune. Quand’anche si tratti di una ditta pro-

prietaria di immobili, non di rado si verifica che il loro valore è già abbondantemente co-

perto da ipoteche a favore delle banche e che i macchinari non valgono pressoché nulla

o sono di terzi. Non solo, ma in questi casi, generalmente, l’impresa ha anche accumu-

lato o continua ad accumulare, nel tempo residuo49 di sopravvivenza ingenti obbliga-

zioni verso l’erario, per mancato versamento di Iva e ritenute fiscali. È evidente che, date

le condizioni, il recupero delle somme dovute risulta impossibile, come pure che il

danno prodotto dai fenomeni accennati non ricade soltanto sui lavoratori e sul sistema

previdenziale bensì sull’intera comunità.

49. La nota lunghezza dei procedimenti amministrativi di accertamento e riscossione, come pure delle con-nesse procedure giudiziarie, di fatto lascia molto tempo a disposizione, senza che possano essere adot-tati effettivi interventi idonei a bloccare l’attività illecita.

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9.5.2 Le dinamiche intraetniche

Le relazioni tra gli immigrati, di per sé producono forme di aggregazione che esprimono

anche alti livelli di solidarietà ed evidenziano un forte attaccamento ai valori familiari,

ricchezza per le famiglie e l’economia del paese d’origine (anche in termini di scambi

economici e trasferimento di know how), anche e sempre più spesso forme di imprendi-

toria vera e preziosa (sia per il paese d’origine che in termini di stimolo per il mercato

nazionale, non solo di nicchia). Ma pur dovendo evitare qualsiasi forma di generalizza-

zione e di ingiustificata enfatizzazione dell’allarme sociale, poiché non è affatto vero che

“clandestino” è sinonimo di criminale, non si può trascurare almeno qualche breve

cenno sugli aspetti che, anche per esperienza storica, definiscono la tipica devianza col-

legata al fenomeno migratorio, con particolare riguardo a quelli che interagiscono col

mercato del lavoro sommerso.

Va premesso che tali dinamiche devianti non vedono protagonisti gli immigrati perché la

loro “diversità” è cattiva ma più semplicemente perché nel contesto dei tipici meccani-

smi devianti associati a tutte le migrazioni, quantomeno dell’era moderna, gli immigrati

sono i protagonisti necessari. In altre parole, per sfruttare in modo mafioso un immi-

grato ci vuole un immigrato sia nel ruolo passivo che in quello attivo e ciò non accade

perché “gli immigrati sono cattivi e selvaggi” ma perché i bisogni minimi degli immigrati

collegati al loro inserimento lavorativo - e si badi bene che ciò non avviene solo per

quanto riguarda i c.d. “clandestini” ma anche per quelli in condizione di legalità precaria

- possono essere soddisfatti in modo pressoché esclusivo nell’ambito delle relazioni in-

traetniche, ed ovviamente secondo le forme di relazione proprie dei paesi d’origine.

Per l’appunto: la gestione dell’immigrazione lecita ma a caro prezzo50 e di quella illecita, la

vendita dei p.s. falsi, la gestione degli alloggi “in nero”, le sempre più diffuse forme di ca-

poralato e lo sfruttamento da parte di imprese del genere al paragrafo precedente, oppure

del tutto informali (dall’attività di volantinaggio pubblicitario alla vendita - o dazione in

conto vendita - di prodotti per ambulanti, fino alla preparazione e vendita di cibi cotti),

fino al taglieggiamento vero e proprio degli stipendi; sono tutte attività delittuose che

sfruttano il bisogno di una crescente moltitudine di realizzare un pur precario quanto ir-

regolare insediamento lavorativo,51 che però in sé non costituisce una condotta criminale.

50. Vedi nota 46. 51. Anche le ricongiunzioni familiari si verificano spesso in condizioni irregolari, pur essendo riconosciuto

un preciso diritto soggettivo al riguardo dall’art. 30 T.U.. Il mancato rispetto della relativa procedura da parte di molti non dipende soltanto dalla mancanza o dalla difficoltà di possesso di tutti i requisiti ri-

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Queste dinamiche necessitano di essere indagate non soltanto sotto i profili stretta-

mente connessi all’attività giudiziaria, perché fanno parte del mercato sommerso degli

immigrati, che è un fenomeno ben più ampio rispetto alla casistica dei fatti illeciti: è evi-

dente, infatti, che il lavoro sommerso degli immigrati ben raramente può essere prati-

cato senza utilizzare una o più delle anzidette “risorse”. Meriterebbe dunque di essere

considerata, senza essere esclusa a priori, la possibilità di prevenire almeno in parte tali

fenomeni, togliendo spazio al sottobosco dello sfruttamento intraetnico, offrendo ove

possibile dei percorsi leciti di integrazione, sia con procedure amministrative più prati-

cabili e sia con metodi idonei a consentire l’espressione in forma legale di bisogni intrin-

secamente sani. Un esempio al riguardo era costituito dal sistema della c.d. “sponsoriz-

zazione” (autorizzazione all’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro con garan-

zia, di cui all’art. 23 dell’originaria versione del T.U.), che aveva consentito con gli op-

portuni controlli l’attuazione della naturale catena migratoria, valorizzando i vincoli di

solidarietà familiare a discapito delle dinamiche devianti52.

Pur senza fare sconti sui principi di legalità che devono essere salvaguardati senza di-

stinzioni, le stesse differenze culturali e socio-comportamentali delle diverse etnie meri-

terebbero di essere studiate e maggiormente comprese, non tanto per capire chi è meglio

o peggio, quanto per interagire con strumenti più adeguati. Del resto, la mediazione

culturale come, più in generale, il rapporto con la multiculturalità, non è una pratica

meno indispensabile da assimilare per gli immigrati di quanto non lo sia per noi.

9.6 Conclusioni

Il nuovo istituto del “contratto di soggiorno”, introdotto dalla modifica legislativa del

T.U., non ha sostanzialmente modificato la procedura per l’autorizzazione all’ingresso.

Le sue linee essenziali risalgono addirittura alla prassi amministrativa applicata in as-

senza di norme specifiche fino al 1986, per essere poi riprese dalla legge 943/86 e ri-

confermate nella sostanza dal D.Lgs n. 286/1998. Di fatto, la procedura continua a pre-

chiesti dalla norma citata, ma anche dai tempi estenuanti di attesa di rilascio del visto, dopo che il nulla-osta è già stato rilasciato dalla competente Questura, presso le rappresentanze consolari italiane. Per fare un esempio, il Consolato d’Italia di Casablanca è chiuso da mesi e l’esame delle relative do-mande è fermo all’inizio del 2001.

52. In senso nettamente opposto all’abrogazione della c.d. “sponsorizzazione” si veda la risoluzione legislati-va A5-00100/2003 del 12.03.03 del Parlamento europeo, sulla proposta di direttiva del Consiglio rela-tiva alle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo, che affida alla legislazione dei singoli Stati membri la facoltà di am-mettere –in termini sostanzialmente simili alla “sponsorizzazione”-- l’ingresso di persone finalizzato alla ricerca di opportunità ed alla successiva stabilizzazione per lavoro subordinato od autonomo.

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supporre un incontro a distanza tra la domanda e l’offerta, vale a dire fra due soggetti che

si trovano ancora nei rispettivi Paesi e che, ovviamente, non si sono mai incontrati prima.

In alternativa viene prevista l’ancor più improbabile richiesta di assunzione dalle apposite

liste di cui all’art. 21, comma 5, che si è dimostrata molto scarsamente utilizzata.53

In realtà, e si tratta di un dato che potrebbe essere confermato da tutti gli addetti ai la-

vori, la quasi totalità dei soggetti che hanno ottenuto il visto di ingresso per lavoro sulla

base di tale procedura (sempre che non sia intervenuta, nel frattempo un’opportunità di

regolarizzazione) ha rispettato le norme sull’ingresso e il soggiorno solo apparentemente,

essendo noto a tutti che si è trattato di lavoratori entrati irregolarmente in Italia ben

prima dell’attivazione della procedura. Cittadini stranieri extracomunitari che avevano

cercato e trovato direttamente il loro impiego lavorativo, in nero, nel nostro Paese. I loro

datori hanno successivamente utilizzato la procedura di autorizzazione per l’assunzione

dall’estero. A questo punto il lavoratore straniero è dovuto uscire dall’Italia altrettanto ir-

regolarmente (sottraendosi al controllo dei passaporti), poiché la verifica della sua pre-

senza in Italia anteriormente al rilascio del visto di ingresso avrebbe comportato l’annulla-

mento dell’autorizzazione.

A fronte di queste note circostanze oggettive, e di quanto sin qui osservato, è evidente

che il lavoro nero degli immigrati, in larga parte irregolari, è attualmente un elemento

strutturale del mercato del lavoro locale, che non ha riflessi meramente marginali sul

mercato del lavoro lecito, in quanto ne costituisce un insostituibile complemento. Non si

può infatti trascurare che un’ampia quota del lavoro nero degli immigrati si traduce in

occupazione presso imprese che a loro volta forniscono beni e servizi ad imprese che

beneficiano, più o meno direttamente (anche a non voler considerare le forme di inter-

mediazione illecita nei rapporti di lavoro), del minor costo del lavoro degli immigrati, con

un effetto “calmiere” sull’intero mercato del lavoro ed un’indiretta spinta all’emulazione

di comportamenti illeciti nei confronti dei settori produttivi che più direttamente sof-

frono la concorrenza alimentata dal basso costo del lavoro.

Vi è poi da chiedersi se l’intensificazione dell’attività repressiva, anche in base alle re-

centi modifiche legislative, potrà da sola produrre un’efficace riduzione del fenomeno, o

se invece non induca anche condizioni ancor più pesanti di sfruttamento degli irregolari,

se non addirittura di maggiore segregazione. La prassi di nascondere quanto più possi-

bile la prestazione lavorativa, al punto da limitare sensibilmente la stessa libertà di mo-

53. Ciò pure a fronte degli appetibili incentivi offerti dal progetto Anagrafe Informatizzata Lavoratori Extracomunitari, realizzato dalla Direzione generale per l’impiego in collaborazione con l’O.I.M.

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vimento degli individui (ad es. facendoli dormire presso il capannone e consentendo du-

rante la settimana la “libera uscita” a turno per gli acquisti alimentari) non è più, infatti,

una ricetta esclusiva dei tipici laboratori cinesi semiclandestini. E non è da escludere

che le maggiori sanzioni incombenti sui datori di lavoro possano giustificare un mag-

giore sfruttamento proprio per ripagare (o ammortizzare) il maggior rischio.

Di certo, anche a prescindere da qualsiasi valutazione sulle scelte operate dal legisla-

tore, una sensibile riduzione del fenomeno potrebbe (e dovrebbe) essere comunque favo-

rita dalla riduzione dei tempi di perfezionamento delle procedure amministrative, sia per

quanto attiene le procedure di ingresso che in relazione alla procedure di rilascio e rin-

novo del p.s., quantomeno per sottrarre i lavoratori e le imprese al compimento di illeciti

laddove potrebbero essere evitati.

Infine, la complessità del fenomeno dimostra che esso non può essere affrontato unica-

mente come un problema di polizia, dal momento che il senso ed il valore della legalità

devono essere non solo imposti ma realmente assimilati dall’intera società civile, anche

con più penetranti politiche di sostegno all’integrazione rivolte tanto ai lavoratori quanto

alla parte datoriale.