SULLE TRACCE DI MONTESSORI - museodellascuolaicare.it · pregare anche la regina Teodolinda. Le...

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1 ASSOCIAZIONE MUSEO DELLA SCUOLA “I CARE!” c/o IC “M. Bello – Pedullà Agnana” Via Turati 4 – 89048 SIDERNO (RC) Segreteria tel. 0964/388464 SULLE TRACCE DI MONTESSORI VIAGGIO NELLE MARCHE dal 27 al 30 AGOSTO 2018 ANNO SOCIALE 2018

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ASSOCIAZIONE MUSEO DELLA SCUOLA

“I CARE!”

Sede provvis c/o IC “M. Bello – Pedullà – Agnana” Via Turati 4 – 89048 SIDERNO (RC)

Segreteria tel. 0964/388464

SULLE TRACCE DI MONTESSORI VIAGGIO NELLE MARCHE dal 27 al 30 AGOSTO 2018

ANNO SOCIALE 2018

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Programma viaggio-studio nelle Marche 27 – 30 agosto 2018

27 AGOSTO 2018

SIDERNO –Senigallia

ore 6,00: Partenza da Siderno per Senigallia. Pranzo a sacco a carico dei partecipanti.

Pomeriggio arrivo a Senigallia (Hotel Ancore – Lungomare Mameli, 243 – SENIGALLIA

(AN) tel. 071.660040), incontro con la guida e visita, in serata, alla città di Senigallia

e Fano. Cena e pernottamento.

28 AGOSTO 2018

2° Giorno RECANATI

Mattinata con guida (sig.ra Enrica Corsini) per escursione a RECANATI, itinerario

leopardiano. Pranzo a sacco - Rientro a Senigallia in serata. Cena e pernottamento

29 AGOSTO 2018

3° Giorno FRASASSI

Mattinata, visita alle grotte di Frasassi. Pranzo a sacco . Pomeriggio, visita di Urbino.

Rientro a Senigallia, cena e pernottamento

30 AGOSTO 2018

4° Giorno CHIARAVALLE

Mattinata a Chiaravalle sulle orme di Montessori. Visita alla casa-museo e incontro -

Pranzo a sacco a carico dei partecipanti. Rientro a Siderno in serata ________________________________________________

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COLLAGE INFORMATIVO

Fonti varie

“TRA STORIA E CULTURA”

Senigallia, la storia

Rocca Roveresca

Dalla presistoria ai Della Rovere

Senigallia (44.000 abitanti), bella cittadina affacciata sull’Adriatico a nord di Ancona, è attraversata dal fiume Misa, il cui ultimo tratto ha svolto per secoli la funzione di porto. La principale risorsa di Senigallia è oggi il turismo balneare, favorito dal fine litorale sabbioso, che le ha procurato l’appellativo di “spiaggia di velluto”.

Gli insediamenti umani nel suo territorio, caratterizzato almeno fino al Mille d.C. dalla presenza di una laguna aperta, risalgono alla preistoria. Lungo le vallate del Misa e del Nevola sono stati rinvenuti numerosi reperti databili all’Età del Ferro. Nella zona delle Saline sono stati trovati resti di un villaggio preistorico, mentre a Montedoro di Scapezzano sono venute alla luce testimonianze di insediamenti legati alla civiltà picena e a quella greco-etrusca.

Una tradizione storiografica vuole che la città sia stata fondata dai Galli Senoni (che le avrebbero dato il nome), tribù celtica che aveva invaso l’Italia del Nord spingendosi fino al fiume Esino. Alcuni storici sostengono invece l’origine etrusca del nome Sena, che indicava un’assemblea, mentre l’aggettivo Gallica sarebbe stato aggiunto in seguito dai Romani.

I Galli giunsero tra il IV e il V secolo a.C. e occuparono tutta la valle del Misa. Nella battaglia di Sentino (Sassoferrato) essi furono sconfitti dai Romani insieme ad altri popoli italici, tuttavia sopravvissero romanizzandosi e Sena divenne, tra il 290 e il 280 a.C., la prima colonia romana sul Mare Adriatico. Durante i lavori di fondazione del teatro La Fenice è stata identificata l’intersezione tra il castro e il decumano. L'area del teatro, oggi musealizzata, conserva anche alcuna tabernae e un'ampia domus signorile. In epoca repubblicana Sena si fece notare per la partecipazione di parecchi suoi soldati alla battaglia del Metauro in cui i Romani sconfissero Asdrubale, fratello di Annibale.

Nel 409 d.C. la città venne saccheggiata dai Visigoti di Alarico diretti verso Roma. Nuove distruzioni giunsero con la terribile guerra greco-gotica, al termine della quale Senigallia rimase compresa nell’area bizantina entrando a far parte, con Ancona, Fano, Pesaro e Rimini, della

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cosiddetta Pentapoli Marittima, entità amministrativa e militare legata a Ravenna. In epoca longobarda anche Senigallia, per la debolezza dei bizantini, conobbe il dominio dei nuovi invasori. Le complesse vicende dell’VIII secolo portarono alla città nuovi saccheggi da parte degli stessi Longobardi, nel 764 e nel 772. Appena due anni più tardi però essi furono sconfitti per sempre dai Franchi. Al periodo longobardo risale la fondazione di numerose chiese: S. Giovanni (prima cattedrale), S. Martino, S. Maria de Scoptis, S. Croce, S. Gregorio, S. Lazzaro e S. Bartolomeo. Un santo di cui si conservò a lungo il culto fu S. Gaudenzio, sulla cui tomba si recò a pregare anche la regina Teodolinda. Le spoglie del santo si trovano dal 1520 a Ostra, mentre a Senigallia resta il bel sarcofago, di stile bizantino-preromanico.

Nell’anno 800 Carlo Magno, diretto a Roma per esservi incoronato imperatore del Sacro Romano Impero, sosta a Ravenna e passa per Senigallia, il che testimonia l’importanza strategica della città adriatica, posta sulla strada che univa i due centri più importanti dell’Italia del tempo.

In età comunale Senigallia è spesso in lotta con la vicina Jesi e ricerca costantemente l’alleanza di Venezia per far fronte alla minaccia di Ancona. La sua posizione geografica la spinge a sviluppare i commerci marittimi, favoriti anche dalla presenza delle preziose saline all’interno del suo territorio. Non è noto quando sia nata la celebre Fiera di Senigallia, ma sembra che tale manifestazione abbia avuto origine nel XIII secolo dal grande afflusso di pellegrini nella chiesa, già di S. Gregorio, dedicata alla Maddalena, il 22 luglio di ogni anno. Infatti la fiera è detta anche “della Maddalena”.

Sono le sanguinose lotte tra Papato e Impero, nelle quali il Comune si schiera spesso dalla parte perdente, a condurre Senigallia a una serie di devastazioni e saccheggi perpetrati da entrambe le parti in conflitto. La città si trova così privata dei suoi traffici marittimi e persino delle sue mura, più volte ricostruite. In breve, la zona delle Saline, che sono state fonte di ricchezza per i senigagliesi, non più curata, diventa malarica e ciò provoca la fuga di molti abitanti. Dante teme la sua definitiva scomparsa: “Se tu riguardi Luni e Urbisaglia /come sono ite, e come se ne vanno / di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia, / udir come le schiatte si disfanno / non ti parrà nova cosa né forte, / poscia che le cittadi termine hanno” (Par., XVI, vv. 73-78). Senigallia però non si spopolò mai completamente.

Rocca Roveresca

All’inizio del Trecento cade sotto il dominio dei Malatesta di Rimini, ma nel 1353 torna sotto il controllo pontificio con il cardinale Egidio Albornoz che sconfigge i Malatesta e decide di costruire proprio a Senigallia una grande rocca che difenda la città, ridotta ormai a soli 250 fumantes (famiglie), contro i signori di Rimini. Tuttavia i Malatesta riprendono il controllo di Senigallia nel 1379 e continuano i lavori di costruzione della rocca. Lentamente la città si risolleva dalla grave decadenza del secolo precedente e conosce un periodo di fervore edilizio sotto Sigismondo Pandolfo Malatesta, il quale promuove una ricostruzione in grande stile del centro abitato, che viene ad occupare parte dell’area dell’antica Sena Gallica. Sigismondo stimola

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anche i commerci e attira nuovi abitanti, inoltre ordina la costruzione degli argini del Misa. Nel 1462, con la sconfitta dei Malatesta da parte di Federico da Montefeltro, cessa per sempre la loro signoria, sostituita nel decennio successivo dal dominio diretto della Chiesa.

La decisione di papa Sisto IV di concedere nel 1474 Senigallia in vicariato al nipote Giovanni della Rovere dà inizio a una nuova signoria. Giovanni ricava lucrosi proventi da diverse condotte militari e ciò gli consente di finanziare grandi opere come la bonifica delle Saline e il completamento della Rocca oggi detta roveresca, edificio che doveva difendere la città dagli assalti provenienti dal mare. Due grandi architetti militari sono ingaggiati per tale opera: Luciano Laurana e Baccio Pontelli. Il primo dà forma al corpo centrale dell’edificio, nel quale ricava appartamenti che accolgano la corte in caso di emergenza, il secondo realizza i quattro massicci torrioni che inglobano la parte residenziale.

Baccio Pontelli progetta anche il convento francescano di S. Maria delle Grazie, la cui costruzione, iniziata nel 1491, sarebbe terminata dopo la morte di Giovanni della Rovere, avvenuta nel 1501. L’edificio è caratterizzato da due bei chiostri. Ad esso, oggi sede del Museo della Mezzadria fondato nel 1978 dallo storico Sergio Anselmi, si affianca la chiesa omonima, resa preziosa dal magnifico quadro della Vergine col Bambino e Santi del Perugino. Fino al 1917 essa conservava anche la celebre Madonna di Senigallia di Piero della Francesca, oggi a Urbino.

Dai Della Rovere al Settecento

Dalla signoria al ducato

I 27 anni della signoria di Giovanni Della Rovere (1474-1501) furono certamente i più felici nella storia di Senigallia. La città era la capitale di un piccolo stato e come tale era stata strutturata nelle opere di difesa (mura e Rocca) e in quelle urbanistiche (costruzione degli argini del Misa, lastricatura delle strade e bonifica della palude delle Saline). A Francesco succede nel 1501 il figlio dodicenne Francesco Maria, che appena un anno più tardi deve fuggire precipitosamente insieme alla madre Giovanna da Montefeltro, reggente della signoria, davanti alle truppe di Cesare Borgia. Il Valentino perpetra proprio a Senigallia quella strage dei signori che lo avevano tradito (Oliverotto Euffreducci da Fermo, Vitellozzo Vitelli ed altri) narrata da Niccolò Machiavelli nel Principe. Il suo dominio su Senigallia dura però meno di un anno.

Con l’ascesa al soglio pontificio di Giuliano della Rovere con il nome di Giulio II, il giovane Francesco Maria, parente del papa, torna in possesso della signoria di Senigallia e nel 1508, alla morte senza eredi dello zio materno Guidubaldo di Montefeltro che lo aveva adottato, diventa duca di Urbino. Il territorio di Senigallia viene così annesso a quello urbinate e l’autorità è rappresentata ora da un luogotenente del duca. Francesco Maria I – che porta la corte a Pesaro nel 1523 – fa sì che proprio nella sua città d’origine si concentri tutto il commercio del grano del ducato di Urbino; gran parte del frumento destinato all’esportazione prende la via di Venezia attraverso il porto di Senigallia. Con la Serenissima i rapporti sono eccellenti poiché il duca è anche comandante delle sue truppe di terraferma. Benché abbia perso il suo ruolo di piccola capitale, Senigallia mostra in questo periodo una notevole vitalità economica, non solo con i commerci, ma anche con le varie “arti” presenti in città e testimoniate dagli Statuti del 1534.

Francesco Maria I muore nel 1538. Il figlio Guidubaldo II nel 1546 porta a compimento la fortificazione della città ideando una cinta muraria pentagonale dotata di cinque baluardi e protesa in parte oltre il fiume Misa per includere il quartiere del Porto. Di fronte a quella Rocca che era stata l’origine del potere dei Della Rovere fa edificare anche il Palazzo del Duca, che deve simboleggiarne il prestigio. I soffitti a cassettoni della nuova residenza ducale sono quasi

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certamente affrescati da Taddeo Zuccari, con curiosi motivi carnascialeschi. Nella seconda metà del Cinquecento viene riedificata la chiesa di S. Martino e Giuseppe Baviera, “uomo di fiducia” del duca Guidubaldo a Senigallia, fa ornare dall’urbinate Federico Brandani con mirabili stucchi i soffitti del quattrocentesco Palazzetto Baviera, che sorge sulla stessa piazza della Rocca.

A Guidubaldo II, che muore nel 1574 succede Francesco Maria II, che, assecondando i voleri del padre, porta a compimento l’interramento delle Saline, opera che se da una parte toglie al duca un grosso cespite derivante dalla vendita del sale, dall’altra rende più salubre l’aria alla città. L’impresa è celebrata dalla fontana, caratterizzata da quattro anatre, che sorge di fronte al palazzo del Duca.

Il più bell’albergo d’Italia

Nella seconda metà del XVI secolo Senigallia diventa una tappa quasi obbligata per i pellegrini che si recano a Loreto, santuario la cui fama tocca ormai l’intera Europa cattolica. Molti viaggiatori illustri parlano della loro sosta a Senigallia, menzionando quella Locanda della Posta, di proprietà ducale, che un visitatore francese, Nicolas Audebert, definisce “il più bell’albergo che si trovi in Italia e uno dei più grandi”. Disponeva di quaranta camere a due letti e di alcune sale “arredate come se si trattasse di un ricco castello”. Tra il 1605 e il 1608 viene edificata dall’architetto ducale Muzio Oddi la chiesa della Croce, ornata 40 anni più tardi da un pregevole soffitto a cassettoni di legno dorato in perfetta armonia con le preziose decorazioni delle pareti. Sull’altare maggiore viene collocata la Sepoltura di Cristo, capolavoro dell’urbinate Federico Barocci (1535-1612). Il Palazzo Comunale, opera anch’essa di Muzio Oddi, viene edificato nella prima metà del ‘600. La Sala della Giunta è ornata oggi dai ritratti di tutti i duchi di Urbino, fatti eseguire dall’ultimo di essi, Francesco Maria II, che morendo nel 1631 senza eredi, lasciò il ducato (e con esso Senigallia) alla Chiesa, nella persona del pontefice Urbano VIII.

Una città-mercato di rinomanza europea

Subito, nonostante l’opposizione del consiglio comunale, viene creato il ghetto per gli ebrei. A Senigallia vivevano circa 500 ebrei, pari a un settimo della popolazione della città, dediti per lo più ai commerci e al prestito, e perciò di vitale importanza per l’economia cittadina, che molto deve alla celebre Fiera della Maddalena. Il secolo di maggiore sviluppo della Fiera, che si tiene ogni anno per 15 giorni nel mese di luglio salvo impedimenti, è il diciottesimo. Da terra e dal mare giungono mercanti da parecchi stati italiani ed europei, tanto che per tutelarne gli interessi si aprono in città ben 14 consolati, tra cui quelli della lontana Svezia e della Turchia. Con la sua “Fiera franca”, protetta dalle franchigie doganali, che invade tutte le strade della cittadine con ogni sorta di merci, Senigallia acquista una fama europea. Collegata alle esigenze della Fiera è la costruzione

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dei grandi e ariosi Portici Ercolani (126 arcate), lungo il fiume Misa, che avviene nella seconda metà del Settecento. Di fronte ad essi si fabbricano in periodo di fiera centinaia di botteghe di legno collegate ai Portici con teloni.

Nel secondo Settecento Senigallia conosce la sua “seconda ampliazione” dovuta anche alle necessità della Fiera, mentre vengono completamente ricostruite le chiese di S. Martino, della Maddalena e della Madonna del Carmine. La prima testimonia di un culto molto sentito in questa città di transito e di commerci, essendo S. Martino il patrono dei viaggiatori e degli albergatori (oltre che dei soldati e dei cavalieri). La chiesa è ricca di pregevoli opere d’arte di Palma il Giovane, del Guercino, di Carlo Maratta e altri. La chiesa della Maddalena conserva un quadro di anonimo dell’Immacolata Concezione nel quale compare l’ultimo duca con l’immagine della città ai primi del ‘600. Il Duomo, anch’esso ricco di opere d’arte, subisce grossi interventi di ristrutturazione, per la quinta volta nella sua storia, negli ultimi decenni del Settecento. Accanto ad esso l’ex collegio dei gesuiti (ordine soppresso nel 1773) diviene episcopio. In tempi recenti esso è diventato sede della Pinacoteca diocesana di arte sacra, che ospita dipinti di pregio tra i quali La Madonna del Rosario e San Domenico di Federico Barocci e opere di Andrea Lilli, Ercole Ramazzani e altri.

Notevole è l’attività teatrale a Senigallia: nella prima metà del Settecento vi sono ben 14 teatrini privati. Cinque nobili decidono così di edificare un nuovo grande teatro pubblico, che viene inaugurato nel luglio 1752, in tempo per la Fiera di quell’anno.

a cura di Pier Luigi Cavalieri

INFINITO RECANATI: UN NUOVO, STRAORDINARIO PROGETTO PER VALORIZZARE L’INESTIMABILE PATRIMONIO CULTURALE DI RECANATI

“Senza le illusioni non ci sarà quasi mai grandezza di pensieri, né forza, impeto e ardore d’animo, né grandi azioni che per lo più son pazzie”.

Così scrisse Giacomo Leopardi, e a questa ardente grandezza, che sfiora la mirabile follia d’azione, sembra tendere la sua città natale, Recanati, pittoresco borgo nel maceratese, che sorge sulla sommità di un dolce colle, tra le valli dei fiumi Potenza e Musone.

Una cittadella, quella di Recanati, che racconta di un passato glorioso, una storia costruita sotto l’ala protettrice dello Stato Pontificio, divenendo in epoca rinascimentale un importante centro di

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arti e mestieri, accogliendo personalità straordinarie come come l’umanista Antonio Bonfini, o celebri pittori, quali Lorenzo Lotto, Guercino, Caravaggio, Sansovino, Luigi Vanvitelli.

Ma indissolubilmente il nome della cittadina marchigiana è legata a doppio filo al nome di uno tra i suoi figli più illustri: Giacomo Leopardi, il cantore dell’infinito.

Recanati

Oggi Recanati insegue un’idea meravigliosa e allo stesso tempo ambiziosa, un progetto che la proietta verso un futuro straordinariamente suggestivo: “Infinito Recanati”.

“Un progetto culturale innovativo che fa leva sulla sua forte identità legata all’arte, alla poesia e alla musica”.

Un progetto di valorizzazione dello straordinario patrimonio artistico e culturale della meravigliosa cittadina marchigiana, che “prevede una nuova forma di cooperazione pubblico e privato, un unicum in Italia nell’utilizzo della finanza di progetto”, per gestire e valorizzare non solo il proprio straordinario patrimonio culturale, ma anche tutte le politiche turistiche, dandole finalmente un respiro più ampio e meno legato alla spontaneità e casualità, creando così “un circuito unico: Polo Museale di Villa Colloredo Mels, Torre Civica, Museo Beniamino Gigli e l’ufficio di informazione turistica”.

Una città che, con orgoglio, guarda il suo passato, ma non si limita però, a rimirarsi allo specchio della sua Storia, ma volge il suo sguardo al futuro, inseguendo l’infinito della sua magnificenza.

E da quell’infinito riparte Recanati, per “la creazione di un circuito uniforme tra le risorse culturali, museali e turistiche” per “promuovere non la singola realtà museale o collezione ma il patrimonio culturale nel suo complesso, come un unico museo diffuso da percorrere e scoprire”.

Un progetto ambizioso e straordinario che poggia le sue fondamenta su nuove modalità di fruizione culturale e di accoglienza turistica diffusa, con innovativi approcci multimediali ed esperienziali, un progetto che prende il nome di Sistema Museo di Recanati, e che raccoglie al suo interno il Polo museale ed espositivo di Villa Colloredo Mels, con la Pinacoteca, la sezione archeologica ed il Museo dell’Emigrazione Marchigiana, il Museo Beniamino Gigli, dove troverà luogo, a lavori ultimati, anche il futuro Museo della Musica, la Torre Civica, da cui si gode di un panorama unico e suggestivo, e al cui interno ospita già il Museo Recanati, allestito su sette livelli, che racconta la storia della città; e, poi, il Museo Diocesano, collocato al primo piano del Palazzo Vescovile, la Chiesa di San Vito, un luogo ideale per esposizioni artistiche temporanee, e, a

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chiudere, la Foresteria di Villa Colloredo Mels, che con i suoi 24 posti letto, rappresenta un punto di partenza, molto suggestivo e coinvolgente, per l’ospitalità ricettiva recanatese. Ma in questo straordinario progetto di sviluppo, sono molteplici le iniziative in finanza di progetto, che vedono l’unità d’intenti tra il pubblico ed il privato, che investe nella cultura del proprio territorio. Interventi che prevedono un nuovo e migliore allestimento museale, per dare maggiore uniformità all’esposizione delle opere d’arte, prevedendo anche la “realizzazione di nuove didascalie delle opere e della pannellistica informativa”, la “riprogettazione dell’impianto di illuminazione”, l’utilizzo delle innovazioni tecnologiche, come pannelli touch e sale multimediali, per offrire un’esperienza più emozionale nella stessa visita museale. Altri interventi, già in fase di cantierizzazione, riguardano invece, l’Ufficio di Informazione Turistica, con un nuovo riallestimento degli spazi, una migliore ridistribuzione dei servizi e degli spazi, per dare anche degna visibilità ai molteplici “prodotti enogastronomici d’eccellenza e dell’artigianato artistico” locale e all’editoria di settore, con un’area bookshop dedicata, e, ancora, alla “progettazione delle innovazioni multimediali nella sede di San Pietrino”, con uno spazio polifunzionale “capace di ospitare un’installazione video finalizzata ad incentivare la conoscenza elle emergenze culturali” di Recanati.

Colle dell’Infinito

E, in questo straordinario progetto, c’è anche la messa in sicurezza, con un piano straordinario di finanziamenti ministeriali, del famosissimo colle dell’infinito, che a causa del recente terremoto, ha subito dei danni, affinché anch’esso possa essere meglio valorizzato, e godere di una migliore fruizione.

Un progetto qualificante e straordinariamente unico, che ha già visto nascere anche la creazione di un nuovo city brand, un nuovo marchio che sarà segno distintivo di Recanati, declinato nei suoi più svariati aspetti, da quello culturale a quello museale, da quello amministrativo a quello che contraddistinguerà l’artigianato locale d’eccellenza, un marchio che nella semplicità dei suoi caratteri racchiude il messaggio che questo innovativo progetto porta con sé: Recanati – città dell’infinito.

Un progetto innovativo, valido, di respiro ampio, che tende a valorizzare finalmente appieno, la nostra cultura ed il nostro straordinario patrimonio, utilizzando lo strumento di legge della finanza di progetto, permettendo ai privati di partecipare attivamente in sinergia con il pubblico, alla valorizzazione del proprio territorio. Un progetto, questo, fortemente voluto dal sindaco, il Dottor Francesco Fiordomo, dalla sua giunta, e dal presidente di Sistema Museo, il Dottore Gianluca Bellucci, uniti, in questo straordinario intento, insieme alla Regione Marche e al MIBACT, trasformando Recanati in un progetto pilota, suggestivo esempio per molteplici altre realtà italiane.

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Perché Recanati diventi promotrice di vera cultura, in quel suo suggestivo segno dell’infinito senza tempo…e ”tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare”.

Raffaele Zoppo

Urbino

Panorama E’ uno dei centri più importanti del Rinascimento italiano, di cui ancora oggi conserva appieno l'eredità architettonica; dal 1998 il suo centro storico è patrimonio dell'umanità UNESCO. E’ sede di una delle più antiche ed importanti università d'Europa, fondata nel 1506. Palazzo Ducale è uno dei più interessanti esempi architettonici ed artistici dell'intero Rinascimento italiano. “Palazzo in forma di città” lo definì Baldassarre Castiglione, impressionato dalla reggia dove dimorò Federico da Montefeltro. Il palazzo, caratteristico per i suoi torricini, è sede della Galleria Nazionale delle Marche: la splendida cornice architettonica degli interni creati dal Laurana, ospita una delle più belle ed importanti collezioni d'arte del Rinascimento italiano. Sono presenti splendide pitture di artisti quali Raffaello, Piero della Francesca di cui spicca la famosa Flagellazione di Cristo, Paolo Uccello, Tiziano e Melozzo da Forlì. Lo studiolo del duca Federico all’interno del Palazzo custodisce pregevoli stucchi sulla volta ed è rivestito nella fascia inferiore di legni intarsiati da Baccio Pontelli su disegni di Sandro Botticelli, Francesco di Giorgio Martini e Donato Bramante. Tra gli edifici di architettura civile e religiosa si segnalano: la Casa Museo di Raffaello Sanzio, dove visse il celebre pittore; il Duomo realizzato in stile neoclassico, che contiene alcune tele di Federico Barocci, e l'annesso Museo Diocesano Albani; il Teatro Sanzio, sorto verso la metà del XIX secolo, sul bastione della Rampa elicoidale; l’Oratorio di San Giovanni, dove è possibile ammirare un imponente ciclo d'affreschi realizzati dai fratelli Lorenzo e Jacopo Salimbeni da San Severino Marche tra il 1415 e il 1416; l’Oratorio di San Giuseppe, dove è conservato il complesso scultoreo raffigurante la Natività di Cristo, opera di Federico Brandani e pregevoli decorazioni ed opere d'arte nella prima metà del XVIII secolo, grazie alle committenze e alle donazioni di vari membri della famiglia Albani; il Mausoleo dei Duchi, che fa parte di un complesso conventuale a cui è annesso il cimitero cittadino. Situato poco fuori della cinta muraria della città, venne realizzata, probabilmente, da Francesco di Giorgio Martini nella seconda metà del XV secolo per volere del duca Federico III da Montefeltro, per ospitare la propria tomba e quelle dei suoi successori; ovvero Guidobaldo I Da Montefeltro ultimo duca della dinastia; il collegio Raffaello, istituito per volere di Papa Clemente XI agli inizi del XVIII secolo, che ospita la sala del consiglio comunale, alcuni uffici della Prefettura e il museo del Gabinetto di Fisica dell'Università; la Fortezza Albornoz, realizzata nella seconda metà del XIV secolo per volontà del cardinale Egidio Alvares de Albornoz.Tra le specialità locali rinomata è la “Casciotta di Urbino”, riconosciuto prodotto DOP; si tratta di un formaggio a pasta semicruda da tavola, realizzato sin dall'antichità; gustosissima è la crescia urbinate, definita anche crescia sfogliata, una sorta di focaccia che si mangia calda con salsiccia, erbe di campo, prosciutto, lonza o formaggio. Gli eventi di maggior

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rilievo che hanno luogo a Urbino durante l’anno sono: il Festival di Musica Antica (luglio), la Festa del Duca (agosto) e la Festa dell’Aquilone (settembre)

FRASASSI DELLE GROTTE

Grotte di Frasassi

Possiamo affermare con certezza che una sistematica ricerca di speleologi e geologi nella zona di Frasassi ha avuto inizio nel 1948, grazie all'attività del Gruppo Speleologico marchigiano di Ancona. Si deve ricordare tuttavia che anche nel periodo tra le due guerre vi furono alcune esplorazioni e ricerche di studiosi di preistoria e di scienze naturali, ma furono episodi sporadici. Proprio nel 1948, e precisamente il 28 giugno, Mario Marchetti, Paolo Beer e Carlo Pegorari del suddetto Gruppo Speleologico scoprirono l'ingresso della Grotta del Fiume. Numerose altre esplorazioni e scoperte si avranno nella zona, grazie ai Gruppi Grotte del Club Alpino Italiano (C.A.I.) di Jesi e di Fabriano. Nel 1966 un componente del Gruppo Speleologico fabrianese, Maurizio Borioni, troverà all'interno della Grotta del Fiume un'ulteriore diramazione, della lunghezza di oltre un chilometro. Da questo momento le esplorazioni e le ricerche divennero più assidue ed entusiastiche. Cinque anni dopo, nel luglio 1971, una nuova scoperta. Stavolta sono alcuni giovani jesini a trovarsi di fronte ad una stretta apertura da cui fuoriesce una notevole corrente d'aria. Essi sono Armando Antonucci, Mauro Brecciaroli, Mauro Coltorti, Mario Cotichelli, Massimo Mancinelli, Giampiero Rocchetti e Roberto Toccaceli. Lavorano per circa un mese ad ampliare lo stretto passaggio, e il primo agosto successivo oltrepassarono quella che sarà definita la "Strettoria del tarlo". Si apriranno così alla meraviglia dei giovani circa cinque chilometri di nuove cavità, con un insieme di cunicoli, pozzi e imponenti gallerie, all'interno delle quali troveranno tracce animali conservate attraverso i millenni. Le scoperte di questo anno fortunato non finiscono quì. La prima traccia della scoperta più rilevante, quella della Grotta Grande del Vento, si avrà il 25 settembre dello stesso 1971, quando Rolando Silvestri del Gruppo Speleologico Marchigiano Club Alpino Italiano di Ancona, attraversando le pendici nord del monte Vallemontagnana, scoprì un piccolo imbocco. Con l'aiuto di alcuni amici riuscì ad aprire un varco in una piccola sala. Alla delusione per la piccola scoperta si accompagnò quasi subito la speranza che ci fosse in vista qualcosa di ben più grande. Nella piccola sala, infatti, vi erano numerose aperture da cui fuoriuscivano correnti d'aria.

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Grotte di Frasassi

Dopo una faticosa opera di scavatura, che durerà alcuni giorni, s'inoltrarono in una strettoia e di qui scivolarono in direzione del ciglio di un vuoto. Gettarono un sasso nel vuoto e si resero conto dell'ampiezza e della profondità della grotta. Il loro calcolo, non lontano dal vero, fu di oltre cento metri. Una scoperta incredibile, che creò grande entusiasmo tra i membri del gruppo. La meravigliosa Grotta Grande del Vento fu consegnata così all'ammirazione dell'uomo. Il problema diventò a quel punto per loro cercare di penetrare nella cavità e raggiungere il fondo. In tempi rapidi si munirono della necessaria attrezzatura e, con una nuova spedizione, si calarono nell'enorme grotta sottostante cui sarà dato il nome di "Abisso Ancona". Le luci degli speleologi anconetani misero subito in evidenza lo splendore e la singolare bellezza di questo nuovo ambiente. La scoperta fu diffusa e fatta conoscere anche attraverso la stampa. Proseguirono poi e si intensificarono le attività del Gruppo Speleologico di Jesi e del Gruppo anconetano, il primo nella Grotta del Fiume e il secondo nella Grotta Grande del Vento. Loro obiettivo era quello di trovare la congiunzione, la via di comunicazione tra le due cavità che essi ritenevano dovesse necessariamente esserci. La loro convinzione e la loro faticosa ricerca sarà realizzata circa due mesi dopo, l'8 dicembre, ma saranno alcuni speleologi del C.A.I. di Fabriano a portarsi sulle tracce degli speleologi anconetani nella Grotta Grande del Vento. Essi diedero anche un nome a quel passaggio: "Condotta dei fabrianesi". Le due enormi grotte diventarono così, d'ora in poi, un enorme labirinto di ambienti sotterranei che si susseguono incessantemente per oltre tredici chilometri. Soltanto gli speleologi, con attrezzature particolari e non senza talune difficoltà, sono in grado di esplorare nella sua interezza questo stupendo mondo sotterraneo; agli altri non restano che le foto, pur bellissime. Sul finire del 1972 venne costituito il "Consorzio Frasassi", con l'obiettivo di salvaguardare e valorizzare le grotte di Frasassi e il territorio comunale entro cui si trovano. Il Consorzio venne costituito tra il Comune di Genga e la Provincia di Ancona. Fu costruita una galleria artificiale di oltre 200 metri, che conduceva all'ingresso della Grotta Grande del Vento, e poi all'interno fu tracciato un comodo percorso di circa 600 metri. Si diede incarico a Cesarini di Senigallia di curare l'illuminazione ed egli lo fece magistralmente. Si erano così realizzate le condizioni minime per rendere accessibile ai turisti una delle parti più belle della Grotta Grande del Vento. L'apertura risale al 1° settembre 1974; da allora numerosi turisti continuano a visitare questi luoghi incantevoli in cui possono apprezzare la bellezza, lo splendore e la maestosità della natura.

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http://www.frasassi.com/GrotteScoperta.aspx?L=IT

La Casa della Memoria – Casa natale di Maria Montessori

La casa natale, ubicata in una delle piazze più importanti di Chiaravalle, è una costruzione degli inizio dell'ottocento divisa in tre piani. Una lunga storia di vita, di pensiero, di ricerca e di opere, quella di Maria Montessori, che miracolosamente si conserva, si studia, si ama e si attua ancora ai nostri giorni. Forse con maggiore interesse, entusiasmo e responsabilità di un tempo.

Nella casa Natale si è tentato di ricostruire il lungo e magico filo della sua storia umana e scientifica. La biblioteca Montessoriana si divide in due sezioni: una dedicata ai testi di Maria Montessori che sono significativi del suo pensiero e della sua metodologia, ed una sezione contenente testi di autori diversi che trattano i vari aspetti del pensiero montessoriano. In questa sezione sono conservati diversi annuali della rivista periodica "Vita dell'infanzia" , edita dall'Opera Montessori di Roma che analizza sia la metodologia montessoriana che l'utilizzo del materiale strutturato.

Maria Montessori e il figlio Mario

Il Metodo Montessori

Maria Montessori (1870-1952) pubblica nel 1909 un testo che rimarrà alla base della pedagogia moderna: "Il metodo della pedagogia scientifica applicato all'educazione infantile nelle Case dei Bambini". Il metodo montessoriano mette al centro il rispetto per la spontaneità del bambino ed è il primo a offrire un'alternativa all'educazione autoritaria dell'epoca. "Il piccolo", scrive la Montessori, rivela se stesso solo quando è lasciato libero di esprimersi, non quando viene coartato da qualche schema educativo o da una disciplina puramente esteriore".

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Solo in questo modo il bambino impara ad autoregolarsi. Infatti, secondo la Montessori, il bambino per sua natura è serio, disciplinato e amante dell'ordine e messo a contatto con i materiali pedagogici adatti e guidato da un educatore "umile" e discreto è in grado di autoeducarsi e di dispiegare le sue potenzialità e andare a formare "un'umanità libera e affratellata".

L’immagine di Maria Montessori sulle 1000 lire

Ecco i principi fondamentali del metodo montessoriano sull'educazione del bambino, tratti dal libro "Educare alla libertà" di Maria Montessori. 1) Educare il bambino all'indipendenza Servire i bambini significa soffocare le loro capacità. Quindi compito dei genitori e degli educatori è aiutarli a compiere da soli le loro conquiste, come imparare a camminare, a correre, a lavarsi. "La madre che imbocca il bambino senza compiere lo sforzo per insegnargli a tenere il cucchiaio, non lo sta educando, lo tratta come un fantoccio. Insegnare a mangiare, a lavarsi, a vestirsi è un lavoro ben più difficile che imboccarlo, lavarlo e vestirlo." 2) Mai impedire a un bambino di fare qualcosa perché è troppo piccolo Non bisogna giudicare la capacità dei bambini in base all'età e non lasciargli fare qualcosa perché troppo piccoli. Bisogna dimostrare fiducia e lasciargli svolgere i compiti più facili. Ad esempio un bambino di due anni potrà mettere il pane in tavola, mentre quello di quattro portare i piatti. I bambini sono soddisfatti quando hanno dato il massimo di cui sono capaci e non si vedono esclusi dalla possibilità di esercitarsi. 3) Abituare un bambino a fare con precisione è un ottimo esercizio per sviluppare l'armonia del corpo I bambini sono naturalmente attratti dai particolari e dal compiere con esattezza determinati atti. Ad esempio, lavarsi le mani diventa per loro un gesto più interessante se gli si insegna che poi devono rimettere il sapone nel posto giusto; oppure versare l'acqua è più divertente se gli si dice di stare attenti a non toccare il bicchiere... E imparare ad agire con precisione è un ottimo esercizio per armonizzare il corpo e imparare il controllo dei movimenti. Uno degli esercizi più utili consigliati dalla Montessori è insegnare ai

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piccoli ad apparecchiare con diligenza, servire a tavola, mangiare composti, lavare piatti e riporre le stoviglie. 4) L'educatore montessoriano deve essere un angelo custode che osserva e non interviene quasi mai "Il maestro deve ridurre al minimo il proprio intervento. Non è un insegnante che sale in cattedra e dispensa dall'alto il suo sapere, ma deve essere un angelo custode, deve vigilare affinché il bambino non sia intralciato nella sua libera attività. Deve osservare molto e parlare poco." L'insegnante deve rispettare il bambino che fa un errore, e indirizzarlo a correggersi da solo. Chiaramente l'educatore deve intervenire in modo fermo e deciso quando il bambino fa qualcosa di pericoloso per sé e per gli altri. 5) Mai forzare un bambino a fare qualcosa Bisogna rispettare il bambino che si vuole riposare da un'attività e si limita a guardare gli altri bambini lavorare. L'educatore non deve forzarlo. 6) Educare al contatto con la natura Far vivere il più possibile il bambino a contatto con la natura. Perché il sentimento della natura cresce con l'esercizio. Un bambino lasciato in mezzo alla natura tira fuori delle energie muscolari superiori a quello che i genitori pensano. "Se fate una passeggiata in montagna non prendete il piccolo in braccio, ma lasciatelo libero, mettetevi voi al suo passo, aspettate con pazienza che raccolga un fiore, che osservi un uccellino..." 7) Innaffiare le piante e prendersi cura degli animali abitua alla previdenza Educate il bambino a prendersi cura degli esseri viventi. Le cure premurose verso piante e animali sono la soddisfazione di uno degli istinti più vivi dell'anima infantile. "Nessuna cosa è più capace di questa di risvegliare un atteggiamento di previdenza nel piccolo che è abituato a vivere senza pensare al domani. Ma quando sa che gli animali hanno bisogno di lui e che le pianticelle si seccano se non le innaffia, il suo amore va collegando l'atto di oggi con il rinascere del giorno seguente." 8) Sviluppare i talenti e mai parlar male di un bambino L'educatore deve concentrarsi sul rafforzare e sviluppare ciò che c'è di positivo nel bambino, i suoi pregi e i suoi talenti, in modo che la presenza delle sue capacità possa lasciare sempre meno spazio ai difetti. E mai parlare male del bambino in sua presenza o assenza. 9) L'ambiente scolastico deve essere a misura di bambino La scuola deve essere un ambiente accogliente e familiare in cui tutti i mobili e gli oggetti (sedie, tavoli, lavandini...) siano modellati sulle misure ed esigenze dei piccoli. I materiali didattici devono essere appositamente studiati, ad esempio: oggetti da montare, incastri, cartoncini... che favoriscono lo sviluppo intellettuale del bambino e permettono l'autocorrezione dell'errore, cioè il bambino capisce subito se un incastro è sbagliato e sarà portato a cercare l'incastro corretto.

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Un bambino posto in un ambiente idoneo a contatto con i materiali giusti e sotto la guida di un insegnante attento e discreto potrà sperimentare e affinare le sue immense potenzialità. 10) I bambini sono i viaggiatori della vita e noi adulti i suoi ciceroni "Il bambino è come un viaggiatore che osserva le cose nuove e cerca di capire il linguaggio sconosciuto di chi lo circonda. Noi adulti siamo i ciceroni di questi viaggiatori che fanno il loro ingresso nella vita umana..."

Maria Montessori nella Casa dei Bambini

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Per info contattare: Segretaria dell’Associazione Francesca Crimeni Cell.: 328.26.21.463