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Ricette diverse da paradiso n.e.
SULLE DIVERSE RICETTE PER IL PARADISO
E SULLA MALEDIZIONE DI UZZA
Testo di Silvio Caddeo
“E Dio, conoscitore dei cuori,
rese loro testimonianza, dando lo Spirito Santo
a loro, come a noi; e non fece alcuna
differenza fra noi e loro, purificando i cuori
loro mediante la fede” …..
Anzi, noi crediamo di essere salvati
per la grazia del Signor Gesù,
nello stesso modo che loro” (Atti 15:9, 11).
“Scongiurando Giudei e Greci a ravvedersi
dinanzi a Dio ed a credere nel Signore
nostro Gesù Cristo” (Atti 20:21).
“Per aprire loro gli occhi, onde si convertano
dalle tenebre alla luce e dalla potestà di Satana a Dio,
e ricevano per la fede in me (in Gesù),
la remissione dei peccati e la loro parte d’eredità
fra i santificati” (Atti 26:18).
IL TEMA CENTRALE
Da tempo, in alcuni vi è una smania sfrenata di definire esattamente quando certe
cose avvengono, ma questo non cambia niente e soltanto divide i credenti che si
lasciano attrarre da tale disputa. Da parete mia, io ritengo comunque che la salvezza
è un lungo procedimento che dura tutta una vita ed oltre, fino al giudizio finale. In
ogni caso, possiamo dire che la salvezza inizia nel momento quando uno ascolta la
Parola, crede in Gesù e si riconosce peccatore bisognoso di perdono, un
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procedimento questo che si rinnova con il battesimo e che poi continua con i
numerosi alti e bassi della vita fino a quando uno muore e si concluderà solo nel
momento quando egli incontrerà il Signore. Tuttavia, il tema centrale di questo
documento è quello di dire se uno può salvarsi anche senza battesimo o senza il vero
battesimo, cioè se possiamo andare in Paradiso anche se non facciamo tutti le stesse
cose.
PRESENTAZIONE
Quando parlo di diverse ricette da paradiso o per il paradiso non intendo,
naturalmente, riferirmi alla Pizza Paradiso e nemmeno alla Pizza Margherita e tanto
meno a quella Quattro Stagioni, naturalmente, ma piuttosto alle ricette o alle
prescrizioni adeguate per andare in cielo fra i figli di Dio.
Questa idea implica tutto un programma nel quale noi diamo più importanza alla
conversione ed al ravvedimento, cioè al pentimento. Questo concetto era già apparso
al tempo di Giovanni: “Vedendo che molti dei Farisei e dei Sadducei venire al suo
battesimo, disse loro: Razza di vipere, chi vi ha insegnato a fuggire all’ira a venire?
Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento” Mat 3:7-8). Ritroviamo forte questo
concetto anche in quello che Gesù insegnava (Mar 6:12. Luc 13:2-5; 17:3-4).
Questo significa un radicale cambiamento d’ approccio a riguardo di certi aspetti
esteriori della fede cristiana. Primo, dobbiamo riconoscere che spesso il battesimo è
solo una cerimonia o una mera formalità e che, se non è preceduto da un serio
ravvedimento, diventa solo un buco nell’acqua. Secondo, dobbiamo decisamente
smorzare o a mettere completamente da parte la mentalità sbagliata che ne deriva
dalla disavventura di Uzza (2 Sam 6:6-8).
Senza riuscire a compiere un tale conversione o prodigio interiore, non riusciremo
mai ad ottenere un certa serenità d’animo, la pace interiore che Gesù ci ha promesso
(Gio 14:27), ma purtroppo saremo destinati a rimanere pessimisti e dei settari per
tutta la vita.
Parlando di un esempio sulla conversione, di solito fra di noi si commenta tutto alla
luce del celebre battesimo collettivo fatto da circa tre mila Giudei, al giorno della
Pentecoste, i quali erano molto tristi, compunti nel cuore per il loro grave errore nei
riguardi di Gesù Cristo (Atti 2:36-38), ma poiché noi non siamo quei Giudei di
Gerusalemme, ma siamo dei Gentili moderni, non compromessi da tale serio
misfatto, componendo questo documento, io non ho seguito primariamente tale
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esempio, così ho proceduto nel senso inverso o opposto, completamente al contrario
di quello che si usa e perciò io ho riletto e commentato tutto il testo a rovescio, cioè
partendo da quello che Paolo aveva detto al re Agrippa.
Spiegando lo scopo della sua chiamata, Paolo aveva affermato: “Per aprire loro gli
occhi, onde si convertano dalle tenebre alla luce e dalla potestà di Satana a Dio, e
ricevano per la fede in me (in Gesù), la remissione dei peccati e la loro parte d’eredità
fra i santificati” (Atti 26:18).
Per fare qualsiasi cosa, di solito abbiamo bisogno di una combinazione giusta, ma se
utilizziamo sempre esclusivamente gli stessi versetti, quelli dei nostri opuscoli che
abbiamo ereditati dagli altri, noi tutti rischiamo di avere una combinazione sbagliata.
Diviene quindi necessario di sondare continuamente le Scritture per accertarci se la
nostra combinazione di versetti preferiti rappresenti veramente l’insieme della
Divina Rivelazione.
INTRODUZIONE
Premetto che questo documento sembra avere un duplice titolo e perciò appare
piuttosto insolito: “Sulle Diverse Ricette per il Paradiso e sulla Maledizione di
Uzza”, ma il lettore scoprirà come il secondo titolo può avere una forte influenza nel
modo di concepire il primo.
Per riuscire a capire più rapidamente un testo o per andare subito al punto centrale
d’un particolare scritto è molto importante il metodo che utilizziamo. Per esempio,
nella mia ricerca personale sui testi, io spesso proseguo all’indietro o al contrario o
completamente a viceversa o inizio a leggere dalla conclusione perché così capisco
subito di che cosa si tratta e come destreggiarmi senza farmi confondere e senza
perdere troppo tempo.
Infatti, molti anni fa, quando mi accostai alla Bibbia per la prima volta, io avevo
diciassette anni ed allora avevo iniziato a leggere dalla Genesi, ma quando, dopo una
lunga lettura dispersiva, ero arrivato al primo libro di Cronache mi arrenai, per un
certo tempo, sulle lunghe liste dei nomi, otto interi capitoli di nomi, e così non arrivai
subito a capire certe cose molto importanti, che in seguito avrebbero cambiato
interamente la mia vita.
In seguito, un missionario americano mi consigliò di cominciare a leggere la Bibbia
dal Vangelo, ma anche nel Vangelo di Matteo c’è una lista di nomi che mi
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distrassero, e poi gli apostoli non avevano capito subito da Gesù quello che essi
avrebbero dovuto credere e fare, così furono corretti.
Così in seguito, io ho imparato da me stesso a leggere il Nuovo Testamento dagli
ultimi scritti degli apostoli, quelli della maturità ed a cercare il senso del messaggio
anche leggendo fra le righe, cercando di capire che cosa essi volevano veramente
dire e perché essi non si erano espressi in un altro modo.
Un’altra cosa che ho imparato con il tempo è quella d’evitare gli stessi versetti che
tutti conoscono già a memoria, che si trovano commentati in numerosi dei nostri
opuscoli e brochures, che usualmente distribuiamo agli altri, ai nuovi contatti, e così
facendo nelle mie ricerche personali, finalmente ho scovato certi altri versetti che di
solito sono ignorati, che nessuno cita e così rimangono sconosciuti, ma che sono
comunque parte del N.T.
Io ho utilizzato lo stesso metodo con il libro degli Atti degli Apostoli, dove è
presentata in breve la storia della prima chiesa, leggendo gli ultimi capitoli del libro.
In quella lettura fatta alla rovescia mi sono imbattuto con una perla.
Infatti, mi sono soffermato sul dialogo fra Paolo ed il re Agrippa (Atti 26:12-23), un
monarca che in quel momento era particolarmente sereno e tranquillo, che non era
psicologicamente traumatizzato come i Giudei del giorno della Pentecoste che
disperatamente sentivano il bisogno di fare qualcosa per sentirsi salvati (Atti 2:37),
che non stava quindi passando una profonda crisi di coscienza e che non era
dominato dal ritualismo giudaico.
Dopo quella prima perla, io ne ho poi trovate delle altre perle simili, che mi hanno
aiutato a meglio intendere tutta la questione sulla salvezza. Fra le quali, mi riferisco
a quello che Pietro aveva detto alla grande radunanza a Gerusalemme che azzittì tutti
i presenti (Atti 15:9-10). Mi riferisco pure a quello che Paolo aveva affermato agli
anziani di Efeso (Atti 20:21).
CHE COSA DEGRADA IL BATTESIMO
Prima di entrare nel soggetto salvezza, ci tengo a chiarire cosa sminuisce e degrada
il battesimo che dovrebbe essere un atto esteriore positivo della fede cristiana. Dico
questo perché vi sono molti fraintendimenti in merito. Per me il battesimo non è un
sacramento o un esorcismo e neppure un mistero; lo escludo perché non è mai
chiamato tale nell’Evangelo, ma a suo tempo si era iniziato a chiamarlo sacramento
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solo nella teologia Cattolica da quando era divenuto un rito misterioso che si basava
in grande parte sui riti pagani del passato.
Per intenderci bene, dobbiamo partire dal presupposto che il battesimo cristiano non
è un sacramento e nemmeno un mistero perché non vi è niente di oscuro legato a tale
atto esteriore che è senza dubbio sublime, nobile. Possiamo quindi dire con piena
convinzione che possiamo parlare liberamente del battesimo o rivedere il nostro
approccio al Battesimo senza paura perché il battesimo non è un atto magico, un
esorcismo e nemmeno un sortilegio che ci possa sempre succedere qualcosa di male
o di tragico se sciaguratamente lo manchiamo o se tutto non funziona esattamente a
secondo del modello.
SULLE DIVERSE RICETTE
Nella presentazione, io avevo precedentemente detto che quando parlo di ricette
diverse da paradiso o per il paradiso non intendo riferirmi alla Pizza Paradiso e
nemmeno alla Pizza Margherita o alla Pizza quattro stagioni, naturalmente, ma
piuttosto alle ricette o prescrizioni o alle formule per andare in cielo fra i figli di Dio.
Dico questo perché, come promesso, Gesù è salito al Padre per prepararci un posto
o una dimora in cielo (Gio 14:1-4).
Noi sappiamo che ci sono diverse ricette per fare una buona pizza, delle svariate
ricette per affrontare un viaggio o una vacanza indenni e non dovrebbe sorprenderci
che vi siano un certo numero di ricette o di prescrizioni o di formule pure per andare
salvi in cielo.
Vi sono diverse ricette per fare una buona pizza perché è una questione d’ingredienti
appropriati e del modo di cucinare la pizza, ma non tutti i bravi pizzaioli adoperano
gli stessi ingredienti e lo stesso metodo. Tuttavia, di solito essi arrivano comunque
a fare una buona pizza che soddisfi il palato della gente più esigente e raffinata.
Quindi non mi sorprenderebbe se qualcuno scrivesse un libro in quanti modi diversi
è possibile fare una buona Pizza Paradiso.
Vi sono delle svariate ricette per affrontare un viaggio o una vacanza indenni, primo
perché non abbiamo tutti le stesse attrattive, secondo perché non abbiamo tutti le
stesse esigenze, terzo perché non siamo tutti in grado di affrontare gli stessi viaggi,
quarto perché non intendiamo tutti investire le stesse risorse e lo stesso tempo in
merito. Da questo aspetto, le differenze non dovrebbero spaventarci, ma piuttosto a
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farci vedere in esse una ricchezza e dovremmo tutti gridare a voce alta: Viva le
differenze!
Avendo compreso questo principio, assolutamente non dovremmo stupirci di trovare
pure nel N.T. un certo numero di ricette o di prescrizioni o di formule diverse per
andare in cielo o per entrare in Paradiso. Alla fine, tutto dipende se amiamo Dio ed
amiamo il prossimo (Mat 22:36-40).
PERCORRENDO LA SOLA VIA
Confesso che delle volte, al primo approccio, certe differenze sembrano proprio
insormontabili o chiaramente in contraddizione fra di loro, ma non lo sono
necessariamente e, per appianare tutto, dobbiamo guardarle ciascuna nel proprio
contesto. Infatti, tali ricette o prescrizioni o formule sono spesso diverse perché sono
state comunicate giusto per rispondere a delle esigenze spesso totalmente diverse le
une dalle altre.
Tale modo innovativo di vedere le cose potrebbe sembrare in contraddizione con
quando ha detto Gesù che ci ha parlato d’una sola via: “Io sono la via, la verità e la
vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gio 14:6). A dire il vero, io
non ho parlato di rimpiazzare Gesù, ma il punto è che percorrendo la stessa via, noi
possiamo incontrare dei problemi diversi e per sopravvivere illesi, noi li dobbiamo
affrontare tenendo conto delle particolari circostanze.
PAOLO AL RE AGRIPPA
Per esempio, sappiamo di re Agrippa (Atti 26:2), che non era un estremista giudeo
come molti altri, perciò egli non era uno di quelli che sentivano pesante il rimorso
di avere direttamente domandato la crocifissione di Gesù. Ragione per la quale, dopo
il discorso di Pietro, il re Agrippa non era come gli altri che erano molto angosciati
e che proprio non sapevano più cosa fare a causa del loro rimorso (Atti 2:37). Perciò,
psicologicamente parlando, il monarca Agrippa, un provetto politico, era lungi dal
provare tale colpa.
Poiché il re Agrippa, apparentemente, non era per nulla tormentato da particolare un
particolare rimorso e voleva soltanto cercare d’applicare la legge, allora Paolo si era
indirizzato a lui rivelandoci una delle più belle e più semplice ricetta o prescrizione
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o formula per il cielo di tutto il N.T., una perla, alla quale noi dovremmo dare una
importanza primordiale.
Dopo avere parlato al re Agrippa di quello che, quel giorno, gli era successo sulla
via di Damasco, Paolo lo mette al corrente di quello che il Signore gli aveva
personalmente rivelato sulla salvezza o come una ricetta o una prescrizione o una
formula di salvezza anche per i Gentili: “Per aprire loro gli occhi, onde si convertano
dalle tenebre alla luce e dalla potestà di Satana a Dio, e ricevano per la fede in me
(in Gesù), la remissione dei peccati e la loro parte d’eredità fra i santificati” (Atti
26:18).
Avevo precedentemente annunziato d’una mia particolare scelta per questo
documento. Parlando di un esempio sulla conversione, di solito fra di noi si
commenta tutto alla luce del celebre battesimo collettivo fatto dai Giudei, circa tre
mila, al giorno della Pentecoste, i quali erano molto tristi, compunti nel cuore per il
loro grave errore nei riguardi di Gesù Cristo (Atti 2:36-38), ma poiché noi non siamo
quei Giudei di Gerusalemme, ma siamo dei Gentili moderni, non compromessi da
tale serio misfatto, componendo questo documento, io non ho seguito primariamente
tale esempio, così ho proceduto nel senso inverso o opposto, completamente al
contrario e perciò io ho riletto e commentato tutto il testo a rovescio, cioè partendo
da quello che Paolo aveva detto al re Agrippa (Atti 26:18).
Partendo dal presupposto che noi credenti siamo liberi di decidere a quali passi del
Vangelo dare la priorità sugli altri, questa volta, io ho deciso di metterne avanti uno
che non appare mai in nessuno opuscolo (Atti 26:18) sull’altro che appare sempre in
tutti gli opuscoli (Atti 2:37-38).
Evidentemente, tale diverso modo d’intendere le cose si trattava di quello che Paolo
aveva chiamato “Secondo il mio Evangelo” (Rom 2:16; 16:25. 2 Tim 2:18), perché
egli s’indirizzava specialmente ai Gentili, che avevano degli altri costumi ed una
sensibilità diversa. Costatiamo che il nuovo approccio di Paolo era qualcosa che non
piaceva a certi Giudei più ortodossi e purtroppo questo stava avvenendo a loro
perdizione. Ragione per la quale, certi Giudei, che avevano perso la ragione, avevano
fatto il voto di non mangiare fino a quando essi fossero riusciti ad uccidere Paolo
(Atti 23:12).
LA TRADIZIONE ISRAELITA DELLA PURIFICAZIONE
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Per capire bene la questione del battesimo o dell’immersione nell’acqua, all’origine
della Chiesa Cristiana nel N.T., bisogna tenere presente quale era la tradizione dei
Giudei a riguardo di questo atto esteriore.
Ricordiamo che al tempo di Mosè, nel tabernacolo vi era una conca di rame,
contenente l’acqua per le immersioni e le abluzioni del popolo, cioè per la
purificazioni degli Israeliti (Eso 30:18; 38:8; 40:11).
La tradizione israelita delle immersioni per la purificazione del popolo subì una
evoluzione al tempo di Salomone. Infatti, nel tempio di Salomone vi era un nuovo
grande bacino detto “il mare di rame”, questo per designare la vastità del contenitore
d’acqua per i lavacri di purificazione dei peccati (1 Re 7:23-26. 2 Cro 4:2-5), ma
l’acqua di tale recipiente era riservata solo per la purificazione dei sacerdoti leviti (2
Cro 4:6). Allo stesso tempo, da una conca di rame nel tempio, per la purificazione
del popolo, si era passati a dieci conche (1 Re 7:38-39).
IL CASO CORNELIO
Andiamo adesso al caso particolare di Cornelio, della Coorte Italica, ed ai suoi, che
furono i primi Gentili (probabilmente dei nostri connazionali) convertiti al Vangelo
(Atti 10:1-38). Vediamo che i convenuti Giudei si erano sorpresi che anche i Gentili
avevano improvvisamente ricevuto lo Spirito Santo come loro, ma invece in tale
caso, nessuno si era sorpreso per lo strano battesimo, che non era fatto per la
remissione dei peccati come quello del giorno della Pentecoste (Atti 2:38).
“Mentre Pietro parlava così, lo Spirito Santo cadde su tutti coloro (Gentili) che
udivano la Parola. E tutti i credenti circoncisi (Giudei) che erano venuti con Pietro,
rimasero stupiti che il dono dello Spirito Santo fosse sparso anche sui Gentili; poiché
li udivano parlare in altre lingue e magnificare Iddio. Allora Pietro prese a dire: Può
alcuno vietare l’acqua perché non siano battezzati questi che hanno ricevuto lo
Spirito Santo come noi stessi? E comandò che fossero battezzati nel nome di Gesù
Cristo. Allora essi (i Gentili) lo pregarono di rimanere alcuni giorni con loro” (Atti
10:44-48).
Vediamo che questi Gentili non furono battezzati per la remissione dei peccati, ma
semplicemente e solamente “nel nome di Gesù”. Infatti, i Gentili non erano abituati
alle numerose immersioni rituali dei Giudei nelle conche di rame nel tempio ed
inoltre essi avevano già ricevuto lo Spirito Santo. Inoltre, i Gentili non provavano
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un forte rimorso di coscienza per avere fatto assassinare Gesù, come era il caso dei
Giudei al giorno della Pentecoste (Atti 2:36-37).
PURIFICATI MEDIANTE LA FEDE
Poiché Pietro aveva osato fare battezzare dei Gentili senza prima domandare a loro
di farsi circoncidere, cioè di giudaizzare completamente, ci fu una reazione dei
Giudei più ortodossi. Notiamo, che in seguito molti fratelli di origine dai Giudei
volevano ridiscutere tale decisione di Pietro, una decisione considerata da essi presa
troppo alla leggera e non abbastanza ponderata, tuttavia, nessuno dei disputanti a
Gerusalemme aveva messo in discussione quello strano battesimo praticato nei
riguardo dei Gentili, nel quale non era stato menzionato che lo scopo
dell’immersione era per la remissione dei loro peccati.
Notiamo che nel grande raduno di Gerusalemme, i celebri convenuti discussero di
molte cose, eccetto che di battesimo. I convenuti definirono chiaramente persino
quello che i Gentili non avrebbe potuto mangiare (Atti 15:20-21), ma a nessuno
d’essi venne in mente di ridiscutere il loro battesimo o di specificare il modo giusto
di battezzare o lo scopo battesimo.
Probabilmente nessuno ne aveva parlato perché Pietro aveva messo l’enfasi sulla
ricetta o prescrizione della fede e della grazia, cioè che la purificazione dei Gentili
era avvenuta mediante la fede e la loro salvezza mediante la grazia. Faccio notare
che, dopo il discorso di Pietro l’assemblea s’azzittì. Evidentemente, quanto Pietro
aveva affermato fu una forte scossa per i presenti giudei, i quali non erano usi sentire
certi discorsi e le parole di Pietro li aveva quasi tramortiti
“E Dio, conoscitore dei cuori, rese loro testimonianza, dando lo Spirito Santo a loro,
come a noi; e non fece alcuna differenza fra noi, purificando i cuori loro mediante la
fede. Perché dunque tentate adesso Iddio mettendo sul collo dei discepoli un giogo
che né i padri nostri né noi abbiamo potuto portare? Anzi, noi crediamo di essere
salvati per la grazia del Signor Gesù, nello stesso modo che loro. E tutta l’assemblea
si tacque; e stavano ad ascoltare Barnaba e Paolo, che narravano quali segni e prodigi
l’Iddio aveva fatto per mezzo di loro fra i Gentili” (Atti 15:8-12).
BATTESIMO DI LIDIA
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In seguito alla visione notturna del Macedone (Atti 16:9-10), Paolo aveva
attraversato il mare Mediterraneo, dall’Anatolia per andare in Macedonia, cioè in
Europa. Mi piace ricordare che, in tale caso, la prima persona europea a convertirsi
al Vangelo fu una donna emancipata che si dedicava al commercio.
“E una certa donna, di nome Lidia, negoziante di porpora, della città di Tiatiri, che
temeva Dio, ci stava ad ascoltare; e il Signore le aprì il cuore, per renderla attenta
alle cose dette da Paolo. E dopo che fu battezzata con quei di casa, ci pregò dicendo:
0Se mi avete giudicata fedele al Signore, entrate in casa mia e dimoratevi. E ci fece
forza” (Atti 16:14-15).
Questa donna temente Dio era evidentemente una credente già iniziata al Giudaismo,
al ritualismo ed ai lavacri dei Giudei. Lidia fu battezzata, ma non ci viene riportato
nulla sulla forma del battesimo e, se in tale caso fosse stato specificatamente
annunziato lo scopo del battesimo, ma apparentemente allora non era molto
importante dirlo o farlo sapere anche agli altri.
IL CARCERIERE DI FILIPPI
Scosso a causa del terremoto e pensando che tutti i prigionieri fossero già fuggiti, il
carceriere di Filippi, disperato, stava per suicidarsi perché egli sarebbe stato
comunque puniti dai suoi superiori, ma egli fu fermato da Paolo. Avendo compreso
che si trattava veramente di qualcosa di eccezionale, il traumatizzato carceriere si
era rivolto a Paolo ed ai suoi compagni facendo una pressante domanda concernente
la salvezza.
Il carceriere disse: “Signori, che debbo fare per essere salvato? Ed essi risposero:
Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la casa tua. Poi annunziarono la parola
del Signore a lui e a tutti coloro che erano in casa sua. Ed egli (il carceriere), presili
in quella stessa ora della notte, lavò loro le piaghe (di Paolo e Sila); e subito fu
battezzato lui con tutti i suoi. E menatili su in casa sua, apparecchiò loro la tavola, e
giubilava con tutta la sua casa, perché aveva creduto in Dio” (16:30-34).
Notiamo che, in questo caso, la ricetta o la prescrizione per il cielo è duplice perché
prima dice: “Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la casa tua”. Mentre poi
aggiunge: “presili in quella stessa ora della notte, (il carceriere) lavò loro le piaghe
(causate dal crollo del terremoto); e subito fu battezzato lui con tutti i suoi”.
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Ci viene detto che furono lavate loro le piaghe (di Paolo e di Sila) e che poi furono
battezzati (il carceriere ed i suoi). Vediamo che si parla di battesimo senza precisare
come fu fatto e quale era lo scopo preciso per quel battesimo, se era per rimettere i
peccati o che fosse giusto una formalità.
Qualcuno potrebbe dire che, a quel tempo, fosse inopportuno ripetere lo scopo del
battesimo perché allora tutti lo sapevano già. Io ritengo invece che i peccati del
carceriere di Filippi e dei suoi fossero già rimessi, perché poco prima era stato loro
detto: “Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la casa tua” (Atti 16:30).
Ragione per la quale, quel battesimo era soltanto una semplice cerimonia o una mera
formalità o la ripetizione simbolica di quello che era già avvenuto, che avviene per
chiunque invoca il nome del Signore (Atti 2:21) o per chiunque crede nel Signor
Gesù (Atti 16:30). Possiamo aggiungere che vedere delle persone ravvedute
accettare il battesimo è sempre una bella testimonianza di fede, ma questo avvien
tutte le volte che uno fa del bene o che è pronto di sacrificarsi per non farsi
corrompere.
Notiamo che prima il carceriere cura Paolo e Sila per le ferite riportate e solo poi
egli ed i suoi vengono battezzati, ma se invece di Paolo, vi fosse stato presente un
missionario ultra conservatore, patito per il numero di battesimi, di certo, egli
assolutamente li avrebbe battezzati prima e poi si sarebbe lasciato curare le ferite.
Questa ultima sarebbe una ulteriore conferma che quel battesimo al carceriere ed ai
suoi, si trattava soltanto d’una formalità di un perdono che essi avevano già ricevuto
e d’un impegno che avevano preso nel momento che avevano creduto.
Si può capire dunque perché, dopo avere creduto, si potevano curare subito i malati
dalle ferite fisiche e poi, a tempo opportuno, sarebbe seguito pure l’atto del
battesimo, cioè una cerimonia religiosa, la quale sarebbe stata senza dubbio una
buona testimonianza per un cambiamento di vita annunziato, che aveva iniziato nel
momento che avevano creduto.
Un ultimo aspetto da considerare è che il carceriere era rallegrato non per il
battesimo appena fatto, ma piuttosto egli “giubilava con tutta la sua casa, perché
aveva creduto in Dio” (16:30-34). Questo conferma nuovamente che il battesimo,
che aveva seguito la conversione e la cura delle ferite, si trattava solamente d’una
formalità e non d’un sacramento o d’un atto magico o d’un esorcismo.
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CONVERSIONI A BEREA
Sappiamo che a Berea, nonostante certi problemi, alcuni credettero, ma non
sappiamo se poi furono battezzati: “Molti di loro, dunque credettero, e un non
piccolo numero di nobildonne greche e uomini” (Atti 17:12).
Evidentemente, in tale caso, per il redattore sacro non era importante parlare anche
del loro battesimo perché tali donne e uomini avevano già creduto, e se poi essi erano
anche stati battezzati, si trattava comunque semplicemente d’una cerimonia o d’una
formalità. Forse, qui sarebbe il caso di parlare d’una ricetta o d’una prescrizione
diversa o anomala per la nostra mentalità, ma che era comunque valida per andare
al cielo.
SULLA FORMULA DI TRE PASSI PER IL BATTESIMO
Se il battesimo fosse in ogni caso estremamente importante per la salvezza e nessuno
potrebbe salvarsi senza essere prima stato battezzato in un certo modo, pronunciando
esattamente ed inequivocabilmente una certa formula, composta dalla combinazione
di tre passi chiave (Mat 28:19. Atti 2:37-38; 8:37), allora questa omissione nel testo
del N.T. sarebbe veramente problematica, una grave mancanza per l’ispirazione, ma
la realtà non è così.
Per spiegare meglio la situazione, faccio notare che il celebre e tanto acclamato passo
di Atti 8:37 non c’è nei principali codici greci e che è stato tolto da molte traduzioni
moderne. Quindi, per il Corso Biblico per Corrispondenza, si litiga spesso su quale
versione della Bibbia è meglio utilizzare. Poiché le chiese sono tutte formate da
uomini fallibili, evidentemente ogni chiesa, con il tempo, tende a crearsi le proprie
tradizioni e poi guai a quelli che le rifiutano.
Contrariamente a quello che pensano molti legalisti, nel N.T. non c’è alcun esempio
di battesimo nel quale sia stata adottata la celebre formula combinata in America con
tre versetti messi assieme (Mat 28:19. Atti 2:37-38; 8:37). Evidentemente, si tratta
d’una specie di formula quasi magica che certi ripetono sempre a memoria
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nell’occasione d’un battesimo, senza mai cambiare una virgola, come fanno certi
cattolici bigotti quando recitano il rosario.
Il modo di fare o di operare di certi conservatori formalisti, scrupolosi al massimo
fino a divenire legalisti e pedanti è molto discutibile. Sappiamo che essi non
vogliono assolutamente sbagliare nel battezzare la gente, che vogliono fare un
battesimo perfetto, ma notiamo invece che i loro battesimi sono fatti secondo una
nuova formula battesimale che non c’è nel Vangelo, cioè poco ortodossa.
Infatti, tali puristi, detti i pignoli dell’apparenza, seguono una formula battesimale
completamente anomala ed americanizzata, composta o inventata dagli uomini, la
quale non appare mai nel N.T. Si tratterebbe quindi di una nuova ricetta o
prescrizione o formula magica artificialmente composta o combinata a tavolino, che
potrebbe essere definita come una specie di “ex opere operato” degli uomini, che
vogliono troppo includere anche nel battesimo per accertarsi di andare diritti in
paradiso. Essi fanno così perché non si sentono sicuri, non hanno abbastanza fede,
cioè essi hanno troppa paura di andare all’inferno.
Un chiesa nella quale nessuno osa battezzare semplicemente dicendo “nel nome del
Signor in Gesù” come in Atti 19:5, evidentemente non ha inteso il battesimo nel
senso giusto. Vi è lo stesso problema dove si è restii ad annunziare il principio
pronunciato da Paolo “Poiché gli è per grazia che voi siete stati salvati, mediante la
fede, e ciò non vien da voi; è il dono di Dio” (Efe 2:8).
Possiamo dire che certi non citano mai tale passo perché sono ancora prigionieri del
Giudaismo e temono sempre di sminuire l’importanza del battesimo, ma
evidentemente Paolo non aveva questo timore scrivendo agli Efesini. Certuni fra di
noi hanno forte questo problema perché rimangono sempre ad Atti 2:36-38, cioè essi
non hanno ancora percepito quella versione del Vangelo che Paolo chiamava
giustamente “Secondo il mio Evangelo” (Rom 2:16; 16:25. 2 Tim 2:18),
Questo problema esiste e persiste ovunque vi siano quelli che sono troppo
scrupolosi, puristi ad oltranza o all’eccesso, e così essi spesso divengono pedanti
agli occhi della gente perché, senza rendersi conto, finiscono per trascurare altri
aspetti del Vangelo che non sono meno importanti. Sappiamo che facevano così gli
Scribi ed i Farisei al tempo di Gesù (Mat 23:23), i quali a forza di colare il moscerino,
essi finivano per inghiottire pure il cammello (Mat 23:24).
IL CASO DI APOLLO
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Vi è il caso di Priscilla ed Aquila, ad Efeso, nell’Asia Minore, odierna Turchia, che
incontrano un certo giudeo chiamato Apollo che essi hanno istruito nella nuova via,
il quale è stato poi accolto nella chiesa come un collaboratore senza domandargli di
accettare il battesimo cristiano, perché evidentemente, egli era andato già ben oltre
a quello stadio elementare.
“Or un certo Giudeo, per nome Apollo, oriundo d’Alessandria (in Egitto), uomo
eloquente e potente nelle scritture, arrivò a Efeso. Egli era stato ammaestrato nella
via del Signore; ed essendo fervente di spirito, parlava ed insegnava accuratamente
le cose relative a Gesù, benché avesse conoscenza soltanto del battesimo di
Giovanni. Egli cominciò pure a parlare francamente nella sinagoga. Ma Priscilla ed
Aquila, uditolo, lo presero seco e gli esposero più appieno la via di Dio. Poi, volendo
egli passare in Acaia, i fratelli ve lo confortarono, e scrissero ai discepoli che lo
accogliessero. Giunto là, egli fu di grande aiuto a quelli che avevano creduto
mediante la grazia; perché con gran vigore confutava pubblicamente i Giudei,
dimostrando per le Scritture che Gesù è il Cristo” (Atti 18:24-28),
Poiché allora non c’erano i jet e nemmeno la televisione e l’Internet, così allora le
notizie non viaggiavano veloci come adesso. Questo spiega perché Apollo sapesse
bene di certe cose e non di altre.
BATTEZZATI NEL NOME DI GESU’
Come era arrivato ad a Efeso, Paolo aveva incontrato un gruppo di circa dieci uomini
giudei (Atti 19:1, 7), che erano dei discepoli battezzati da Giovanni Battista, i quali
stranamente si trovavano in Asia Minore, forse per affari. Si noti che nel testo si
menzionano solo gli uomini, forse perché allora nei documenti si nominavano
raramente le loro mogli e figlie.
Abbiamo già visto nel precedente caso di Apollo, che a quel tempo le informazioni
non viaggiavano veloci come ai nostri giorni. Questo spiega perché costoro, che
venivano pure da Giovanni, in Palestina, non sapevano di quello che era successo a
Gerusalemme, il giorno della Pentecoste e della discesa in potenza dello Spirito
Santo (Atti 19:2).
Poiché essi erano stati battezzati solo del battesimo di Giovanni, un battesimo per la
remissione dei peccati o un battesimo di ravvedimento delle colpe fatte, allora per
ricevere il dono dello Spirito Santo, essi come giudei avrebbero dovuto essere
battezzati per ricevere lo Spirito Santo, non per salvarsi come ci fanno credere molti
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per fare più immersioni possibili. In questo caso invece essi furono battezzati solo
per ricevere la manifestazione esteriore dello Spirito Santo, che poi fu possibile
grazie all’imposizione delle mani di Paolo (Atti 19:3-4).
Deciso questo essi furono battezzati, ma in un modo strano, secondo alcuni, perché
la formula non è quella dell’origine, cioè del giorno della Pentecoste: “Udito questo,
furono battezzati nel nome del Signore Gesù; e dopo che Paolo ebbe loro imposte le
mani, lo Spirito Santo scese su loro, e parlavano in altre lingue e profetizzavano”
(Atti 19:5-6).
Questo è il primo caso che il battesimo è praticato così: “furono battezzati nel nome
del Signore Gesù”. Vediamo quindi che in questo caso, la ricetta o la prescrizione o
lo scopo di tale atto esteriore era semplicemente quella di essere in stato di grazia
per ricevere lo Spirito Santo.
Notiamo che alcuno dei presenti aveva ricordato ai battezzanti ed ai battezzandi che
lo scopo primario del battesimo era di rimettere i peccati. Forse non lo sapevano
neppure. Evidentemente, quella non era una preoccupazione di Paolo e degli altri
presenti che alacremente collaboravano con l’apostolo delle genti.
CONFESSIONE PUBBLICA DI EFESO
Sappiamo che a Efeso, in Asia Minore, Paolo aveva attirato l’attenzione dei residenti
facendo dei miracoli straordinari guarendo molti ammalati (Atti 19:11), ma che poi
c’era stato qualche problema a causa d’uno spirito maligno che aveva sopraffatto
due uomini, i quali spaventati erano fuggiti nudi (Atti 19:13-17). Dopo avere visto
quanto negativi fossero gli esorcismi o le arti magiche, in contrasto con il messaggio
del Vangelo, un certo numero di residenti era agitato e sentiva profondo l bisogno di
cambiare.
Sappiamo che di solito i Gentili erano molto allergici ai riti ed ai costumi dei Giudei,
e perciò ad Efeso, i nuovi convertiti invece di battezzarsi, essi avevano
spontaneamente riconosciuto in pubblico di essere dei peccatori: “E molti di coloro
che avevano creduto, venivano a confessare e a dichiarare le cose che avevano fatte”
(Atti 19:18).
Che quella confessione pubblica rappresentasse veramente un atto di fede sincero o
una vera conversione a quanto Paolo stava loro predicando, lo si capisce bene perché
subito dopo costoro iniziarono pure a bruciare diversi libri di arti magiche che
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possedevano (Atti 19:19). Ci tengo a precisare che quando sono bruciati dei libri,
come principio generale, io non gioisco mai, tuttavia in quel caso specifico, si
trattava d’un’azione spontanea ed in questo caso particolare non si trattava di libri
utili per istruire la gente, ma tali libri servivano piuttosto per tenerla superstiziosa,
ignorante, cioè tenerla timorosa di favole o di cose insulse.
Notiamo quanto fervore vi era nei convertiti, in quella circostanza particolare,
apparentemente, senza alcun battesimo. Tale attitudine positiva deve essere
considerata comunque come un considerevole progresso anche se non si parla di
battesimo. Dico questo perché subito dopo è scritto: “Così la Parola di Dio cresceva
copiosamente potentemente e si rafforzava. Compiute che furono queste cose, Paolo
si mise in animo d’andare a Gerusalemme, passando dalla Macedonia e per l’Acaia.
Dopo che io sarò stato là, diceva, bisogna che io vada anche a Roma” (Atti 19:21).
Dopo questi eventi eccezionali ad Efeso, potrebbe forse sorprendere che Paolo
avesse in programma di partire subito, fare dei lunghi viaggi, invece di rimanere ad
Efeso per finalizzare la cosa, cioè per battezzare tutti quelli che avevano già
confessato in pubblico i loro peccati, ma evidentemente, i peccati confessati sono
già perdonati, e se poi segue un battesimo non annunciato, si tratta solo d’una
cerimonia, d’una mera formalità o d’una testimonianza per una scelta già presa in
anticipo. Come detto nel testo, a Efeso la Parola di Dio cresceva copiosamente
potentemente e si rafforzava (Atti 19:21). Vi è quindi ragione di pensare che questo
stava già avvenendo copiosamente ad Efeso, senza dare troppa importanza ai
battesimi o senza parlarne e riportare il numero.
Evidentemente, Gesù intendeva insegnare questo quando aveva affermato: “Voi
siete già mondi a motivo della Parola che vi ho annunziato” (Gio 15:3). Vediamo
quindi che le ricette o le prescrizioni o le formule per la salvezza cambiano a seconda
della circostanza e dei credenti che sono implicati o personalmente affetti.
Secondo il mio modesto parere, considerando che il battesimo è già di per sé una
confessione attraverso un atto esteriore, per quelli di Efeso che avevano ascoltato
Paolo, che si erano spontaneamente umiliati in pubblico confessando di essere dei
peccatori ed avevano già bruciato i libri di magia che prima li mantenevano
superstiziosi o ignoranti. A questo punto, evidentemente sarebbe stato superfluo di
chiedere a loro anche di farsi immergere nell’acqua per la remissione dei loro
peccati. In questo caso, Paolo dunque avrebbe potuto partire subito tranquillo e
sicuro del progresso del regno di Dio pure ad Efeso.
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Vediamo che in questo caso di Efeso, la ricetta o la prescrizione o la formula per la
salvezza era quindi il ravvedimento, cioè la confessione dei peccati, che di solito è
la parte più ardua e più difficile da fare o più frustrante da eseguire per certi che non
si convertono completamente o che si convertono solo a metà, mentre nessuno ha
dei seri problemi a fare un bagno nell’acqua in più, eccetto in qualche raro caso di
quelli che soffrono di acqua fobia.
Possiamo quindi liberamente dire che hanno torto di pensare che hanno fallito tutto,
quei missionari che, dopo una lunga campagna di evangelizzazione, essi non sono
riusciti a battezzare subito qualcuno. Ricordiamo cosa Gesù disse agli apostoli: “Voi
siete già mondi a motivo della Parola che vi ho annunziato” (Gio 15:3). Perciò, uno
può avere fallito tutto anche se ha battezzato subito cento persone, mentre un altro
può essere riuscito in tutto anche se non ha battezzato nessuno e ha solo fatto
circolare la Parola di Dio.
Il lavoro missionario è stato spesso rovinato dai leader di quelle chiese che decidono
all’inizio dell’anno quanti battesimi da offrire a Dio, invece di decidere quanto
Vangelo fare circolare.
AGLI ANZIANI DI EFESO
Nell’esempio precedente abbiamo visto, ancora una volta, che mentre il
Cristianesimo si stava espandendo al di fuori dell’orbita del Giudaismo, lentamente
il battesimo stava diventando una pura formalità, forse sempre bello da fare per tutto
il fascino che l’attornia come un atto esteriore della fede cristiana, altamente
simbolico per un credente, che tuttavia non era più inteso come indispensabile per la
salvezza, ma piuttosto come una formalità.
Questo principio è valido ad accezione naturalmente per Mar 16:15-16, un brano che
i conservatori formalisti spesso lo intendono in un senso molto restrittivo per
spingere tutti a battezzarsi al più presto possibile, tuonando che, altrimenti, andranno
sicuramente all’inferno. Tuttavia, facendo un profondo esame del brano, ci rendiamo
subito conto che tale passo non esclude a priori la salvezza di quelli che non sono
battezzati, ma piuttosto di quelli che non credono, cioè quelli che non sono convertiti
al Signore e non si riconoscono peccatori. Evidentemente, l’autore, che ha scritto
tale versetto, voleva far passare una idea molto restrittiva, ma senza dirlo
chiaramente o lasciando la porta aperta ad altre interpretazioni.
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In ogni caso, Mar 16:15-16 fa parte della seconda finale di Marco, una duplice finale
che fu aggiunta a quel Vangelo solo in seguito, probabilmente al tempo del Concilio
di Nicea, nel 325. Faccio notare che in certe versioni, tale finale è riportata solo in
nota, al fondo della pagina. Non possiamo basare tutto il nostro programma
missionario su tale passo incerto ed il passo citato come parallelo, quello di Mat
28:19-20 non esclude la salvezza per quelli che non sono battezzati. Dobbiamo
ricordare a tutti che la finale di Matteo, pur parlando di battesimo, non esclude la
salvezza di quelli che non sono battezzati, come sembra invece fare la seconda finale
di Marco, cioè Mar 16:15-16.
In questo caso Paolo, che si trovava a Mileto, aveva mandato a chiamare gli anziani
della congregazione in Efeso (Atti 20:17) ai quali, invece di parlare di battesimo e
che dovevano aumentare il numero dei battesimi da offrire a Dio, l’apostolo aveva
piuttosto insegnato la conversione o il pentimento: “Scongiurando Giudei e Greci a
ravvedersi dinanzi a Dio ed a credere nel Signore nostro Gesù Cristo” (Atti 20:21).
Notiamo che, in questo caso particolare, Paolo non scongiurava Giudei e Greci ad
accettare il battesimo o a battezzarsi in fretta per non andare all’inferno, ma piuttosto
di ravvedersi dinanzi a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Cristo. In questa
affermazione di Paolo, abbiamo veramente la sintesi o la definizione completa di
come dovrebbe essere intesa l’opera missionaria, cioè che dovrebbe essere basata
interamente ed esclusivamente sulla conversione.
Questo sano principio viene confermato anche dal fatto che noi siamo purificati dalla
fede in Gesù (Atti 15:9), che siamo salvati per grazia (Rom 1:17) o per la grazia
attraverso la fede (Efe 2:8).
DUE GIUSTE RICETTE CONTRAPPOSTE
A questo punto, è giusto di esaminare due ricette o prescrizioni o formule che
sembrano in contraddizione fra di loro, ma che invece sono state saggiamente
utilizzate per rispondere a due esigenze particolari.
Nel giorno della Pentecoste, ai Giudei che avevano compreso di avere commesso un
deicidio, che erano traumatizzati per quell’inescusabile crimine nei riguardi di Gesù
e che cercavano subito un refrigerio per le loro anime, qualcosa di concreto sul quale
aggrapparsi, Pietro aveva dato una risposta appropriata.
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“Udite queste cose (da Pietro), essi furono compunti nel cuore, e dissero a Pietro e
agli altri apostoli: Fratelli che dobbiamo fare? E Pietro a loro: Ravvedetevi e
ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri
peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo” (Atti 2:37-38).
Nel caso del re Agrippa, invece, quando incontrò Paolo, vediamo ch’egli era sereno
perché non aveva commesso un deicidio, perché non era precedentemente stato fra
quelli che in piazza gridavano a Pilato per Gesù: Crocifiggilo, crocifiggilo,
crocifiggilo e quindi non era affatto traumatizzato, ma che voleva solo essere
direttamente informato. Possiamo quindi dire che pure Paolo gli aveva dato una
risposta appropriata anche se apparentemente ci può sembrare che fosse in completa
contraddizione con la precedente di Pietro.
Dopo la visione “Io dissi: Chi sei Signore? E il Signore rispose: Io sono Gesù, che
tu perseguiti. Ma levati e stai in piedi (ritto); perché per questo ti sono apparso: per
stabilirti ministro e testimone delle cose che tu hai vedute e di quelle per le quali ti
apparirò ancora, liberandoti da questo popolo (i Giudei) e dai Gentili, ai quali ti
mando, per aprire loro gli occhi, onde si convertano dalle tenebre alla luce e dalla
potestà di Satana a Dio, e ricevano per la fede in me (in Gesù), la remissione dei
peccati e la loro parte d’eredità fra i santificati” (Atti 26:15-18).
OLTRE ALLA MALEDIZIONE DI UZZA
Costato spesso che per certi sia estremamente difficile di capire e d’accettare che vi
possano essere ricette o prescrizioni o formule diverse per il cielo. Avviene questo
perché essi sono fortemente bloccati o impacciati o imprigionati dalla maledizione
di Uzza. La discutibile e grottesca storia del povero Uzza, il quale bonariamente
aveva cercato di rendersi utile, ma che sarebbe stato comunque ucciso, fulminato da
Dio. Apparentemente, Uzza fu mortalmente punito da Dio perché, cercando di
fermare l’arca dell’alleanza, che stava per cadere al suolo e sfasciarsi, egli l’aveva
fermata o toccata con la mano (2 Sam 6:6-8).
Evidentemente, la maledizione o la tragedia di Uzza si basa su d’uno spirito
vendicativo ed aggressivo o legalista e letteralista senza cuore, qualcosa questo che
era tipico dell’A.T., che invece è completamente diverso da quello amorevole che
abbiamo con Gesù nel Vangelo. Cercando di fare un paragone logico fra i due casi,
possiamo quindi dire che, quello della maledizione di Uzza, si trattava dello spirito
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del decalogo scolpito su delle tavole di pietra, cioè del ministero della morte che
doveva sparire, perché in esso non vi era spazio per la grazia (2 Cor 3:1-11).
Alcuni fra di noi, purtroppo, utilizzano ancora e spesso questo passo dell’A.T., cioè
la maledizione di Uzza (2 Sam 6:6-8), per sostenere il loro vetusto concetto
d’ispirazione, il loro approccio legalistico e settario al battesimo. Infatti, certuni
ritengono che si debbano rigorosamente osservare certe regole ritualistiche senza
sgarrare d’un millimetro e sono sempre pronti a mettere sotto investigazione le
nostre opinioni in merito ma, grazie a Dio, Gesù non aveva fatto così, ed aveva
evitato completamente di menzionare tale esempio. Apparentemente, nessun
redattore del N.T. conosceva il caso di Uzza o aveva volontariamente deciso
d’ignorarlo, mentre molti nostri colleghi moderni ne parlano spesso.
Io ritengo che noi cristiani dovremmo seguire Gesù in tutto, magari anche negli
esempi che Egli ha citato. Inoltre, noi non dovremmo aggiungere degli altri esempi
strampalati che riguardano lo spirito vendicativo dell’A.T.
Infatti, io ritengo che sia assolutamente dannoso, deleterio e controproducente,
d’utilizzare l’esempio di Uzza, per illustrare quanto cauti ed attentivi dobbiamo
essere noi nel fare il battesimo cristiano. Dico questo perché non si tratta d’un atto
magico o d’un esorcismo.
A causa di tale mentalità sbagliata e settaria, vi è largamente diffusa la tendenza di
contestare i battesimi fatti in tutte le altre denominazioni, mentre Gesù non ha mai
contestato alcun battesimo. Inoltre, non vi è alcun caso nel N.T. d’un battesimo
cristiano ripetuto per non correre alcun rischio di andare all’inferno.
Sappiamo che i primi cristiani erano degli esseri umani come noi e di certo anche
loro facevano degli errori, ma nessun battesimo cristiano era mai stato ripetuto per
evitare d’andare all’inferno. Diciamo piuttosto che noi corriamo seriamente tale
rischio solo se agiamo male con il prossimo o se manchiamo di fare il nostro dovere
nei riguardi di chi ha bisogno (Gia 4:17).
Evidentemente, la tragica storia di Uzza, punito da Dio nel tentativo di fare il bene,
è molto simile ad una tragedia greca, dove il personaggio non poteva sfuggire al
destino del fato. Evidentemente, la storia di Uzza è stata inventata di sana pianta dai
sacerdoti leviti per insegnare al popolo israelita e pure al sovrano in carica, che solo
i sacerdoti potevano accostarsi alla tenda di convegno, agli arredi sacri per fare una
offerta a Dio (Num 18:22-23), perché tale servizio al tabernacolo erano un
monopolio esclusivo dei Leviti.
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A riguardo di questo, si ricordi che il re Uzzia fu colpito dalla lebbra perché aveva
osato accostarsi all’altare del profumo per fare una offerta diretta a Dio, nonostante
l’interdizione del sommo sacerdote Azaria (2 Cro 26:16-21).
Accettando il principio che Dio è Eterno, che è sempre lo stesso, che Egli non cambia
mai (Mal 3:6), allora diviene seriamente difficile d’accostare il Dio Padre che ci ha
rivelato Gesù con quello che ha fulminato Uzza che semplicemente cercava di
rendersi utile impedendo all’arca dell’alleanza di sfasciarsi (2 Sam 6:6-8).
Per coloro che avessero degli scrupoli di coscienza in merito o che avessero paura
di peccare, ricordo che in ogni caso l’A.T. è stato abolito, inchiodato sulla croce da
Gesù (Col 2:14-15) e quindi è inutile basare ancora il nostro concetto d’osservanza
o di battesimo su certe preoccupazioni teologiche legaliste strettamente basate
sull’antica legge e non sarebbe più giusto farlo. In poche parole, noi non dobbiamo
spiegare o giustificare nulla d’una pratica cristiana ricorrendo ancora alla vecchia
legge altrimenti a che cosa ci servirebbe Gesù Cristo?
Da quello che sappiamo, nella liturgia del Vangelo, fra i primi cristiani non vi erano
dei dibattiti superflui a riguardo sul tema del battesimo, perché, a quel tempo, i
battesimi non venivano mai contestati o messi in discussione, ma allora vi erano
piuttosto delle paure oscure a riguardo della dieta, per quello che si mangiava, per
cui si capisce la reazione di Paolo (Col 2:16), qualcosa questo che era tipico del
Giudaismo e lo è pure ai nostri giorni.
Infatti, nell’antica legge di Mosè, vi era una lunga lista di tutto quello che era impuro
e non mangiabile o non commestibile (Lev 11:1-47), ma niente sul come fare
correttamente le immersioni e le abluzioni per la purificazione nella conca di rame
(Eso 30:18; 38:8; 40:11). In poche parole, fra i Giudei, anche al tempo di Gesù, uno
poteva battezzarsi come voleva, ma non mangiare tutto quello che voleva. Questo
spiega perché nel N.T. nessuno aveva messo in discussione un particolare battesimo.
Quello che succede adesso invece, si può mangiare quello che si vuole, ma guai a
battezzarsi in modo diverso o senza chiarire bene lo scopo del battesimo.
Per tale ragione, Paolo aveva affermato: “Se siete morti con Cristo con gli elementi
del mondo, perché, come se viveste nel mondo, vi lasciate imporre ancora dei
precetti, quali: Non toccare, non assaggiare, non maneggiare (cose tutte a perire con
l’uso), secondo i comandamenti e le dottrine degli uomini? Quelle cose hanno, è
vero, reputazione di sapienza per quel tanto che è in esse di culto volontario di
umiltà, e di austerità nel trattare il corpo; ma non ha alcun valore e servono solo a
soddisfare la carne” (Col 2:20-23).
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Possiamo dire esattamente la stessa cosa del detto o decantato vero battesimo che
non dobbiamo mai imporre agli altri, come non dobbiamo imporre agli altri la nostra
dieta di preferenza e se lo facciamo, questo avviene a nostra condanna.
A questo punto ricordo che vi sono circa 400 apocrifi dei primi 4 secoli della chiesa,
nei quali si cerca di dibattere tutte le dottrine cristiane per modificarle, ma non ho
visto mai un solo testo apocrifo in cui si discute alacremente quale sia il modo giusto
di battezzare e quale altre forme di battesimo siano da escludere completamente e da
rifare correttamente. Non sono riuscito a trovare un solo apocrifo su tale soggetto
perché, evidentemente a quel tempo, il battesimo non era un sacramento o un mistero
o un esorcismo e perciò ciascuno poteva farlo a modo suo a condizione che lo si
facesse con un certo decoro.
NELL’AMORE NON C’É PAURA
Abbiamo visto quindi che la vecchia legge o la complessa liturgia dell’A.T. era
basata sulla limitazione e la paura o su d’una specie di superstizione, mentre nel
Vangelo è detto: “Nell’amore non c’è paura; anzi l’amore perfetto caccia via la
paura; perché la paura implica apprensione e castigo; e chi ha paura non è perfetto
nell’amore (1 Gio 4:18-19).
Io aggiungerei che il credente che ha sempre paura di commettere un errore in
qualche piccolo dettaglio nel fare il battesimo e nel commemorare la cena del
Signore non è nemmeno perfetto nella fede o non crede abbastanza per essere idoneo
ad entrare nel regno di Dio o non ha la buona ricetta o prescrizione o modello da
seguire per il paradiso.
Il punto focale è che ai nostri giorni noi non possiamo più servire il Signore con lo
spirito dell’A.T., ma dobbiamo accostare il nostro Padre Celeste con uno spirito
nuovo: “E perché siete figli, Dio ha mandato lo spirito del suo Figlio nei nostri cuori,
che grida: Abba, Padre. Talché tu non sei più servo (o schiavo), ma figlio; e se sei
figlio, se anche erede per grazia di Dio” (Gal 4:6-7).
Quindi, il Dio che ci ha rivelato Gesù non è un Dio vendicativo pronto a punirci in
caso che per sbaglio facciamo qualche piccolo errore o perché non abbiamo capito
bene qualcosa o un particolare quasi si trattasse d’un esorcismo, ma è un Dio
misericordioso, come dice Giacomo, il fratello del Signore, che parlando di Giobbe
aveva detto: “Avete udito la fine riservatagli dal Signore, perché il Signore è pieno
di compassione e misericordioso” (Gia 5:11).
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CONCLUSIONE
Per riuscire a progredire nella fede e divenire più credibili, dobbiamo liberarci da un
concetto sbagliato del battesimo e questo significa che dobbiamo dare meno
importanza al ritualismo e mettere invece più l’enfasi sulla conversione ed il
ravvedimento, nei quali si riconoscono i propri peccati. Dobbiamo fare questo
perché, in realità, i peccati sono rimessi nel momento che li confessiamo.
Ragione per la quale, ad un certo punto, il battesimo diventa semplicemente un
cerimonia religiosa, con una importante emozionante funzione spirituale per quello
che rappresenta, ma è pur sempre piuttosto una formalità anche se può essere una
testimonianza di fede.
Dobbiamo liberare il nostro modo di procedere nel vivere e nel predicare il Vangelo
senza preconcetti e senza farci condizionare dai falsi timori. Dobbiamo superare pure
la paura che deriva dalla disavventura o dalla maledizione di Uzza (2 Sam 6:6-8),
che spesso pesa come una cappa di piombo su di un certo tipo di credenti. Diciamo
che adesso è giunto il momento di considerare seriamente la libertà che abbiamo in
Gesù Cristo (2 Cor 3:17), cioè d’utilizzare le varie ricette o prescrizioni o formule
per il cielo che sono pienamente disponibili nel Vangelo.
Mi piace veramente che al grande assembramento di Gerusalemme, parlando ai
partecipanti, Pietro aveva messo l’enfasi sulla ricetta o prescrizione della fede e della
grazia, cioè che la purificazione dei Gentili era avvenuta mediante la fede e la loro
salvezza mediante la grazia. Abbiamo visto che, dopo il discorso di Pietro,
l’assemblea s’azzittì. Evidentemente, quanto Pietro aveva affermato fu una forte
scossa per i presenti giudei, i quali non erano usi sentire certi discorsi e le parole di
Pietro li aveva quasi tramortiti.
“E Dio, conoscitore dei cuori, rese loro testimonianza, dando lo Spirito Santo a loro,
come a noi; e non fece alcuna differenza fra noi, purificando i cuori loro mediante la
fede. Perché dunque tentate adesso Iddio mettendo sul collo dei discepoli un giogo
che né i padri nostri né noi abbiamo potuto portare? Anzi, noi crediamo di essere
salvati per la grazia del Signor Gesù, nello stesso modo che loro. E tutta l’assemblea
si tacque; e stavano ad ascoltare Barnaba e Paolo, che narravano quali segni e prodigi
l’Iddio aveva fatto per mezzo di loro fra i Gentili” (Atti 15:8-12).
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Lo stesso fece Paolo che, parlando a Mileto con gli anziani della congregazione in
Efeso, egli non aveva parlato di battesimo o che dovevano aumentare il numero dei
battesimi da offrire a Dio, ma l’apostolo aveva piuttosto messo l’enfasi sulla
conversione e sul pentimento: “Scongiurando Giudei e Greci a ravvedersi dinanzi a
Dio ed a credere nel Signore nostro Gesù Cristo” (Atti 20:21).
Abbiamo notato che non è specificato se quelli che credettero a Berea, donne ed
uomini, furono poi battezzati e come lo furono (Atti 17;12). Notiamo che non è
riportato niente nel testo,
Se il battesimo fosse molto importante per la salvezza e nessuno potrebbe salvarsi
senza essere prima stato battezzato in un certo modo, pronunciando esattamente ed
inequivocabilmente una certa formula, composta dalla combinazione di tre passi
chiave (Mat 28:19. Atti 2:37-38; 8:37), allora questa omissione nel testo sarebbe
veramente problematica, una grave mancanza, ma non lo è per me naturalmente e
non lo è per tutti quelli che hanno una visione generale almeno approssimativa di
tutto il N.T.
Il brano di Mar 16:15-16 fa parte della seconda finale di Marco e si tratta d’un passo
che è stato spesso malinteso e portato all’estremo per fare molti battesimi. Poiché vi
sono molte polemiche attorno a Mar 16:15-16, probabilmente questo è perché, a suo
tempo, è stato scritto in tale modo di proposito. Evidentemente, lo scopo era quello
di fare passare un messaggio forte sul battesimo, qualcosa che non corrisponde
pienamente con tutto il resto del N.T. Da un lato è vero che secondo Mar 16:15-16
il battesimo è molto importante per la salvezza, ma d’altro canto facendo un
approfondito esame del brano, si capisce che non si esclude la salvezza a priori per
quelli che non sono battezzati, ma solo per quelli che non credono.
Ricordiamo che Mar 16:15-16 non è riportato in certi importanti codici greci, e così
si dubita molto sulla sua autenticità e canonicità. In certe versioni moderne, tale
seconda finale di Marco è riportata solo in nota, al fondo della pagina. Quello che
possiamo dire qui di sicuro è che noi non possiamo basare tutto il nostro programma
missionario su tale passo incerto (Mar 16:15-16). Alcuni dicono che quello insegnato
da Mar 16:15-16 è pure insegnato in Mat 28:19-20, ma non è vero. Infatti, il passo
citato spesso come un parallelo, cioè quello di Mat 28:19-20, non esclude la salvezza
per quelli che non sono battezzati.
Abbiamo visto che pure Atti 8:37 non c’è nei principali codici greci e che è stato
tolto da molte traduzioni moderne. Partendo dal presupposto che le chiese sono
formate tutte da uomini fallibili, evidentemente con il tempo, ogni chiesa tende a
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crearsi le proprie tradizioni e poi guai a quelli che le rifiutano. Si dice giustamente
che le tradizioni umane più difficili da cambiare sono quelle d’una chiesa dove i
membri ritengono di non avere alcuna tradizione.
Contrariamente a quello che pensano molti legalisti, nel N.T. non c’è alcun esempio
di battesimo nel quale sia stata adottata la celebre formula combinata in America con
tre versetti messi assieme (Mat 28:19. Atti 2:37-38; 8:37).
Dobbiamo questionare tale formula battesimale fissa per molte ragioni. Prima di
tutto perché, eccetto per il caso particolare nel giorno della Pentecoste, quando i
Giudei presenti all’incontro si sentivano veramente colpevoli di avere fatto morire
Gesù (Atti 2:36-38), in tutti gli altri casi di battesimo non fu più ripetuta la formula,
cioè “per la remissione dei peccati”.
È avvenuto questo lapsus o c’è tale lacuna nel testo, se così vogliamo chiamarla tale,
non perché vi sia stata una ripetuta o continua dimenticanza dell’autore sacro, ma
semplicemente perché, in realtà, il battesimo è una formalità di un perdono già
ottenuto e d’un impegno con Dio già preso nel momento che si è creduto. Il
battesimo rimane comunque una buona testimonianza carica d’un simbolismo molto
caro, ma niente di più.
Infatti, sappiamo per certo che i peccati sono già aboliti nel momento che uno crede,
si riconosce peccatore e che vuole riparare alle sue malefatte. Ricordiamo la storia
di Zaccheo, il pubblicato, che fece una bella confessione di fede: Ecco, Signore, la
metà dei miei beni la do ai poveri; e se ho frodato qualcuno di qualcosa gli rendo il
quadruplo. E Gesù gli disse: Oggi la salvezza è entrata in questa casa, poiché anche
questo è figlio d’Abramo. Poiché il Figlio dell’uomo è venuto per cercare di salvare
ciò che era perduto” (Luc 19:9-10).
Ragione per la quale, il battesimo si riduce ad essere una mera formalità, ma a
secondo del caso, può pure divenire una importante testimonianza di fede. Faccio
notare che, nel caso di Zaccheo, non si è nemmeno fatta allusione al battesimo, ma
la buona testimonianza è venuta dalla buona disposizione di Zaccheo di riparare
concretamente alle sue precedenti malefatte.
Quello che purtroppo avviene in certe chiese conservatrici formaliste dei nostri
giorni, è che si parla spesso e volentieri del battesimo come qualcosa di veramente
straordinario o di miracoloso, quindi d’un sacramento e d’un mistero. Così facendo,
magari senza volerlo, si finisce per dare l’impressione che il battesimo si tratti
veramente d’un atto magico, cioè d’un esorcismo.
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Tale battesimo, per essere valido e non questionabile dai colleghi pronti ad
intervenire in caso d’errore, deve essere sempre seguito da una formula fissa, pre-
composta, quasi magica che certi amano ripetere sempre a memoria nell’occasione
d’un battesimo, senza mai sgarrare d’un punto o senza cambiare di una sola virgola,
come fanno certi cattolici bigotti quando recitano il rosario.
Noi sappiamo che, in ogni caso, non c’è niente di meglio della semplicità e della
spontaneità e bisogna lasciare un certo spazio anche alla creatività a quelli che sono
capaci di parlare e di convincere.
Vediamo invece che il modo rituale di fare o di operare di certi conservatori
scrupolosi al massimo, assume un certo atteggiamento piuttosto legalista e pedante
e questo è molto discutibile come pratica nella chiesa del Signore. Succede questo
perché certi non vogliono assolutamente sbagliare nel battezzare la gente, perché
vogliono fare sempre un battesimo proprio perfetto, ma notiamo invece che i loro
battesimi sono fatti secondo una nuova formula battesimale che non c’è nel Vangelo,
cioè poco ortodossa.
Diciamo che tali puristi, detti giustamente i pignoli dell’apparenza, seguono una
formula battesimale che è completamente anomala ed americanizzata, composta o
inventata dagli uomini, la quale non appare mai nel N.T. Si tratterebbe quindi di una
nuova ricetta o prescrizione o formula magica artificialmente composta o combinata
a tavolino, che potrebbe essere definita come una specie di “ex opere operato” degli
uomini, che vogliono troppo includere anche nel battesimo per accertarsi di non
sbagliarsi, di andare diritti in paradiso. Probabilmente essi fanno così per darsi una
certa importanza, ma anche perché certi non si sentono sicuri, non hanno abbastanza
fede, cioè essi hanno troppa paura di andare all’inferno.
Da quello che sappiamo, nella liturgia del Vangelo, fra i primi cristiani non vi erano
dei dibattiti superflui a riguardo sul tema del battesimo, perché, a quel tempo, i
battesimi non venivano mai contestati o messi in discussione, e questo è provato dal
fatto che allora non c’era una liturgia del battesimo fissa, ma allora vi erano piuttosto
delle paure oscure a riguardo della dieta, per quello che si mangiava e si beveva,
Ragione per la quale, si capisce la reazione di Paolo (Col 2:16), qualcosa questo che
era tipico del Giudaismo e lo è pure ai nostri giorni.
Infatti, nell’antica legge di Mosè, vi era una lunga lista di tutto quello che era impuro
e non mangiabile o non commestibile (Lev 11:1-47), ma niente sul come fare
correttamente le immersioni e le abluzioni per la purificazione nella conca di rame
(Eso 30:18; 38:8; 40:11). In poche parole, fra i Giudei, anche al tempo di Gesù, uno
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poteva battezzarsi come voleva, ma non poteva mangiare come voleva. Questo
spiega perché nel N.T. nessuno aveva messo in discussione un particolare battesimo
o un battesimo non ben fatto o senza le parole appropriate. Quello che succede
adesso invece, si può mangiare quello che si vuole, ma guai a battezzarsi in modo
diverso o senza chiarire bene lo scopo del battesimo.
Ricordo che vi sono circa 400 apocrifi dei primi 4 secoli della chiesa, nei quali si
cerca di dibattere tutte le dottrine cristiane per modificarle, ma non ho mai visto un
solo testo apocrifo nel quale si discute alacremente quale sia il metodo giusto di
battezzare e quale altre forme di battesimo siano da escludere completamente e da
rifare correttamente. Non sono riuscito a trovare un solo apocrifo su tale soggetto
perché, a quel tempo, evidentemente il battesimo non era un sacramento o un mistero
o un esorcismo e perciò ciascuno poteva farlo a modo suo a condizione che lo si
facesse con un certo decoro.
A questo punto, amo riflettere sull’importanza di essere dei credenti equilibrati, che
non si fanno sconvolgere o vacillare facilmente da ogni nuovo vento di dottrina degli
uomini. Infatti, noi non dobbiamo dare una importanza eccessiva a certe cose
esteriori del tutto marginali perché, alla fine, quello che ci salva veramente non è il
rigido ritualismo o l’acqua o un battesimo veramente immerso nell’acqua e per la
remissione dei peccati accompagnato dalle parole giuste, ma è invece il prezioso
sangue di Gesù Cristo (1 Pie 1:18-19. 1 Gio 1:7) e la nostra fede in Gesù Cristo,
perché: “Chi crede nel Figlio ha vita eterna” (Gio 3:36).
A riguardo di questo è scritto: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così
bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, affinchè chiunque crede in lui abbia
vita eterna. Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio,
affinchè chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Infatti, Dio non ha
mandato suo figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato
per mezzo di lui” (Gio 3:14-17).
Paolo aveva giustamente scritto: “Poiché gli è per grazia che voi siete salvati,
mediante la fede; e ciò non vien da voi, ma è un dono di Dio” (Efe 2:8). Possiamo
quindi aggiungere che siamo salvati non mediante l’osservanza del vero battesimo,
ma per grazia mediante la fede. Il resto, lo hanno aggiunto e complicato degli uomini
formalisti per supplire alle loro paure oscure.
In certe chiese, con dei dirigenti molto arroganti o dottrinalisti, invece di mettere
l’enfasi in quante cose Dio ha fatto per noi in Gesù Cristo, essi mettono l’enfasi in
quanto stanno facendo loro stessi, che soltanto essi hanno restaurato la vera chiesa,
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che soltanto essi stanno facendo un culto accettevole, che soltanto essi insegnano il
vero battesimo e quanti battesimi fanno ogni anno da offrire a Dio.
Diciamo invece che senza modestia non si va in alcun posto e tanto meno si va in
cielo. Inoltre, non dobbiamo assolutamente abusare del fatto che vi siano delle ricette
o prescrizioni o formule diverse per il cielo perché senza modestia nessuno può
accedere al paradiso.
Voglio concludere questo documento con quello che il Signore aveva rivelato a
Paolo sulla via di Damasco e che, in seguito, l’apostolo aveva riportato integralmente
al re Agrippa, il quale cercava di capire quale fosse il messaggio della nuova via: “Io
sono Gesù, che tu perseguiti. Ma levati e stai in piedi (ritto); perché per questo ti
sono apparso: per stabilirti ministro e testimone delle cose che tu hai vedute e di
quelle per le quali ti apparirò ancora, liberandoti da questo popolo (i Giudei) e dai
Gentili, ai quali ti mando, per aprire loro gli occhi, onde si convertano dalle tenebre
alla luce e dalla potestà di Satana a Dio, e ricevano per la fede in me (in Gesù), la
remissione dei peccati e la loro parte d’eredità fra i santificati” (Atti 26:15-18).
Silvio Caddeo
Montréal 5 febbraio 2019
Seconda edizione 15 febbrario 2019