paradiso S. Giuseppe

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L’AMOR CHE MOVE IL SOLE E L’ ALTRE STELLE Settembre - ottobre 2012 COLLEGIO SAN GIUSEPPE dei Fratelli delle Scuole Cristiane Patrocinio della Opere di 60 artisti

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Quaderno Paradiso S. Giuseppe

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L’AMOR CHE MOVE

IL SOLE E L’ ALTRE STELLE

Settembre - ottobre 2012

COLLEGIO SAN GIUSEPPE

dei Fratelli delle Scuole Cristiane

Patrocinio della

Opere di 60 artisti

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Testi a cura di Donatella Taverna e Francesco De Caria

Settembre - ottobre 2012

Collegio San Giuseppe, Via San Francesco da Paola 23, Torino

www.collegiosangiuseppe.it - [email protected]

Quaderni d’arte del S. Giuseppe n. 8

L’AMOR CHE MOVE

IL SOLE E L’ ALTRE STELLE

COLLEGIO SAN GIUSEPPE

dei Fratelli delle Scuole Cristiane

Patrocinio della

Opere di 60 artisti

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O somma luce che tanto ti levi

da’ concetti mortali, a la mia mente

ripresta un poco di quel che parevi,

e fa la lingua mia tanto possente,

ch’una favilla sol de la tua gloria

possa lasciare a la futura gente

Pd XXXIII, 67-72

D ante con Ulisse ha celebrato la grandezza laica dell’uomo, disposto ad indossare il “sudario sacrificale” pur di raggiungere la conoscenza.

Ha completato il quadro di grandezza cosmica dell’uomo con lume v’è dato a

bene e a malizia, / e libero voler di Marco Lombardo. Il libero arbitrio è la

nuova affermazione di un umanesimo eroico: l’uomo deve combattere una

battaglia quotidiana per la conquista della libertà.

Riaffermati questi grandi principi, Dante-uomo di ogni tempo può essere

immerso nel Letè per la purificazione dalle scorie della tumultuosa storia

terrena.

Le regali macerie di una umanità infranta su passioni deviate sono un ricordo

lontano.

La grazia ha manifestato la sua forza anche ai peccatori infino a l’ultima ora, che

se ne sono andati, però, pentendo e perdonando.

Il Poeta può ora penetrare nelle sfere celesti: il suo processo di illuminazione-

rivelazione si dislaga.

Dolce armonia e grande luminosità saranno le costanti nel nuovo percorso.

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La terra non è dimenticata. Il viaggio voluto da Dio è funzionale alla salvezza

totale dell’uomo: la felicità deve essere goduta sulla terra e nei cieli. Dante, dopo

la triplice investitura operata da Beatrice, Cacciaguida e san Pietro, riafferma

con grande forza profetica l’importanza delle coordinate Impero e Papato.

Lanciato un ultimo appello al lettore e uno sguardo alla terra, il Poeta si

concentra sulla parte sublime dell’esperienza dello spirito.

La misericordia ha fatto iniziare il viaggio nell’oltretomba, ora ne permette la

conclusione.

Maria, la più alta delle tre donne che si sono mosse per la salvezza del Poeta e

dell’umanità, introduce Dante alla contemplazione di Dio.

Il Poeta non ci presenta lo spettacolo di suoni e luci: il suo è l’Itinerarium mentis

in Deum.

Le poche sillabe d’oro parlano della certezza della contemplazione: ha

conosciuto l’essenza del beato esse, ha conosciuto il modo di operare di sustanze

e accidenti, ha visto il punto di congiunzione della natura divina e della natura

umana in Cristo, ha una folgorazione… La memoria non può tenere il passo con

l’intelletto…

Nell’esilio trascorrono gli anni, le stagioni si alternano, le frane della storia

risuonano: il Dux preannunciato da Beatrice comincia a prendere le sembianze di

san Francesco…

E così schegge di luce portano all’uomo il messaggio della salvezza.

Il secondo appuntamento con Dante è stato particolarmente impegnativo: un

caloroso ringraziamento alla Prof.ssa Donatella Taverna e al Prof. Francesco

De Caria che con determinazione ammirevole hanno coordinato l’opera di 60

Maestri e prodotto il presente Catalogo.

Fr. Alfredo Centra

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G iungendo al quaderno n.8, si impone un pensiero chiarificatore circa i criteri generali che ci hanno guidati nella individuazione degli artisti

invitati e nella generale impostazione del discorso. E' comunque necessaria una

premessa che, almeno in senso stretto, non è di natura critico artistica. La sede

prescelta, il contesto e la natura del lavoro avevano fin dal principio un

elemento determinante, cioè la qualità di “educazione permanente” ovvero di

libero discorso culturale, che contraddistingue il carisma lasalliano, e cui si

intendeva primariamente rispondere, qualunque fosse l'iniziativa intrapresa.

Si sono dunque interpellati maestri di tendenze artistiche diverse e di opinioni

artistiche ed etiche differenti, anche di posizione religiosa differente – sebbene la

comune cultura giudaico-cristiana della identità europea abbia costituito un

elemento non secondario, ad esempio, per alcune tematiche, in primis lo studio

su Dante Alighieri – accomunati solo da quella che un tempo era detta “chiara

fama”, cioè la solidità della formazione e il riconoscimento indiscusso di un

risultato artistico conseguito.

Se identificare persone siffatte di età matura era relativamente facile, perché

bastava rivolgersi ai maestri ben conosciuti in città e altrove, magari con

curricula internazionali prestigiosi, sui giovani under 40 la ricerca è stata più

complessa e spesso poco fruttuosa: infatti statisticamente la percentuale di artisti

giovani è stata quasi sempre ridottissima, da un massimo del 6-8% ad un minimo

di 1-2%. Non si tratta solo di un problema di formazione tecnica di natura

differente – il che comporta linguaggi entro certi limiti incompatibili con

l'espressione di un pensiero legato alla tradizione (in particolare nel caso di

Dante). Si tratta anche di una trasformazione che è in atto, per ragioni storiche e

anche tecnologiche, nella intera civiltà occidentale e che è difficile porre in luce.

In Italia stiamo dimenticando un certo modo di accostarsi alla cultura, che era

espresso fra l'altro dalla scuola come si era venuta strutturando dal Romantici-

smo fino alla metà circa del Novecento, e di cui le persone oggi over 60 hanno

ancora potuto fruire. Si è perso completamente il concetto della necessità di

spendere la vita per un'idea che possa appartenere non solo ad un successo

materiale personale, ma che riguardi altri, anche, magari, sacrificandosi in nome

della propria volontà d'arte. Alcuni degli artisti già mancati presentati nella

rassegna hanno vissuto vite tragiche e subito morti solitarie e desolate, per

mantenere fede al proprio ideale e non piegare il proprio dipingere ai

compromessi.

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Altro contenuto in parte perduto – e questo riguarda specificamente i cattolici –

è la cultura religiosa. Si badi, non la fede, che è questione privata e individuale,

sebbene nella creazione artistica si esprima, bensì propriamente quella

competenza di elementi base che nel Medioevo aveva fatto scegliere la

figurazione come Biblia Pauperum. Ciò è particolarmente evidente quando ci si

deve misurare con l'aristotelismo tomistico dantesco, che ha precisi contorni

teologici e religiosi, che nell'atto della figurazione non possono essere disattesi.

Tutto questo ci dice che il processo di trasformazione è in atto, ma non ci

consente ancora di comprendere quale sarà la prossima forma di arte che potrà

caratterizzare il nuovo secolo, e quali saranno le tematiche strutturanti della

società su cui potrà porsi a confronto.

Certamente, riprendendo la premessa qui posta, il cristianesimo, il cattolicesimo

in particolare, dovrà sapersi riprendere con uno slancio culturale dalle radici, non

generico, ma teologicamente approfondito e maturo, offrendo una nuova

possibilità alle generazioni giovani e giovanissime nel senso della speranza e

della capacità di agire sul mondo.

Donatella Taverna

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L a terza cantica del poema dantesco, proposta essenzialmente agli artisti dell’area piemontese con qualche sforamento lombardo, ligure, toscano ha

suscitato un largo interesse, sì da costringere ad esercizi di sintesi nella

compilazione del catalogo e da imporre una considerazione particolare

nell’impiego degli spazi espositivi.

Sui risultati – la cui significatività è comunque garantita da curricula di alto

profilo, come le esquisses biografiche attestano – il pubblico giudicherà in base

ai personali fattori di cultura, sensibilità, aspettativa, considerazione del fatto

artistico e così via: si ribadisce la convinzione che il rapporto con l'opera d'arte

di qualsiasi genere resta personale e individuale per cui compito del critico o

dell'organizzatore di eventi è quello di compiere una scelta significativa in base a

criteri quanto più oggettivi possibile, anche se in relazione a principi di fondo.

Qui possiamo solo riportare alcune impressioni che l’intenso lavoro che

l’allestimento della mostra – compresi naturalmente i numerosi contatti tenuti

con ogni artista – e la compilazione del catalogo hanno suscitato. Una riflessione

a posteriori insomma.

Intanto ci pare lecito considerare la grande

libertà e la grande varietà della risposta del

mondo artistico alla provocazione lanciata a suo

tempo: quando si è realizzata la prima parte,

riguardante Inferno e Purgatorio, ci si poteva

aspettare la larga risposta che c’è stata, in base

alla maggior “figuratività” delle situazioni, il

poema di Dante costituendo una progressiva

decantazione dal fattore esistenziale verso

atmosfere più rarefatte, dato di fatto che la

considerazione comune ha accentuato.

E' chiaro – al di là di ogni ipocrisia – che la

frequentazione della Commedia può essere

consueta solo per gli specialisti o gli

appassionati che abbiano tutto il tempo da

dedicarvisi; l'artista di professione deve anche

dedicare particolare attenzione al mondo pratico

della committenza, della ricerca personale di

Un itinerario figurativo nel Paradiso di Dante,

efficace ritratto del mondo artistico odierno.

Stefano Borelli

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soluzioni tecniche o estetiche in funzione – anche – di particolari situazioni che

certe commissioni richiedono.

In effetti il Paradiso incuteva una sorta di

soggezione, di “rispetto”, che tuttavia ci è

parso piuttosto un atteggiamento a priori,

basato su riferimenti magari lontani nel

tempo, di considerazione della cantica

come della più abs-tracta dal dato

esistenziale, anche se non è nelle corde di

Dante una tale astrattezza.

Della cantica si mantiene solitamente –

anche nel mondo intellettuale – una

memoria che ha il fascino e nello stesso

tempo il potere di incutere un timore

particolare di indefinibile origine: forse è

perché l'artista – artista e non artista-

artigiano – procede per astrazioni formali

progressive che debbono partire da

soggetti concreti, per cui partire da una

dimensione già di per sé astratta può

spiazzare.

Vi sono opere che evocano una vibrazione cromatica o una forma intesa come

rapporto di proporzioni; altre che sottolineano la potenzialità espressiva della

materia in sé, facendo in qualche caso ricorso a materiali particolari che

presuppongono la cooperazione fra progetto ideale e proprietà della materia.

Solo dopo la lettura delle piccole antologie di cui dicevamo, attente alla

concretezza delle allegorie dantesche e dopo incontri chiarificatori, il timore si è

allentato e l'artista si è lanciato con entusiasmo nella realizzazione dell'opera,

talché la cooperazione necessaria c'è stata.

Episodi della città – luogo per eccellenza della dimensione sociale e politica

dell'Uomo, in particolare dell'uomo che attraverso il lavoro trasforma la materia

– della storia e della cronaca; motivi vegetali, piante singole o paesaggi

completamente dominati dalla Natura, immagini di insetti in riferimento

particolare all'entòmata in difetto, di uccelli, delle stagioni e degli alberi anche

trasformate in figure allegoriche; immagini ornitologiche; o – ancora – figure

sacre di particolare pregnanza, come la Vergine Madre; immagini allegoriche

delle Virtù; e poi angeli, la Madre di Dio in vari attributi, talora con

“sfasamenti” cronologici se interpretati i dipinti stricto sensu, costituiscono il

Ottavio Mazzonis

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materiale dell'esposizione, come, anche sfogliando il catalogo, si può verificare.

Certo, ogni opera ha una propria pregnanza, un proprio fascino che le parole non

possono esprimere.

Senza contare che proprietà dell'opera d'arte è la molteplicità di significati, per

cui il visitatore, l'osservatore può leggere le immagini in base alla propria

sensibilità, cultura, al proprio back ground. Ma anche questo fattore è aspetto

importante dell'opera d'arte letteraria o figurativa che sia: e qui ci troviamo di

fronte ad un singolare e accattivante gioco di specchi per cui l'opera d'arte

letteraria ha evocato immagini e situazioni nell'artista, che a sua volta evoca

immagini e situazioni, significati nell'osservatore, che può avere sostanzialmente

due atteggiamenti, quello del fruitore dell'opera d'arte figurativa in sé,

considerando ogni prodotto artistico un fatto assoluto, indipendente e

trascendente l'occasione che ha ispirato l'opera e quello di chi mette a confronto i

versi e la loro trasfigurazione in immagine.

Insomma la ricchezza dei risultati della “provocazione” da noi lanciata è –

crediamo – di per sé di grande rilevanza, di grande interesse: e la provocazione

non è solo quella lanciata agli artisti, la cui generosa adesione è già risultato

interessante, ma è quella lanciata dagli artisti al pubblico, di cui noi stessi siamo

parte, in un intrigante e fecondo gioco degli specchi nel quale però ogni rimando

è arricchito di contributi e fermenti nuovi. L'arte, quando è Arte, può essere

davvero un susseguirsi di atti creativi, nel quale ognuno è attore e creatore, ad

humanitatem augendam.

Francesco De Caria

Raffaele Ponte Corvo

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Torinese, si è formata nella sua città; a Milano si diploma nel '92 all'Istituto

Europeo di design. Tornata a Torino, frequenta lo studio di Ottavio Mazzonis.

Nel 1996 allestisce una antologica della propria opera alla Galleria Dantesca a

Torino e da allora avvia la sua carriera espositiva che ha come teatro l'intera

Europa. In una recente mostra torinese ha esposto i ritratti di vari scrittori

piemontesi.

Pd I, 46-48: … quando Beatrice in sul sinistro fianco / vidi rivolta e riguardar

nel sole: / aquila sì non gli s'affise unquanco.

L'opera della pittrice torinese rende con grande suggestione il senso dei versi

danteschi, reinterpretato in modo originale e con un'efficace serie di citazioni

colte, dalla romanità antica e pompeiana, da affreschi medioevali, da pitture

barocche, da modi attuali di interpretare la figura. Da notare altresì come la

figura ritratta evochi insieme la Beatrice dolcestilnovistica e le divinità pagane

della Primavera. Ed il sole è – come sarà subito evidente agli occhi dello

spettatore – la citazione della stella della Consolata, propria di una lunga

tradizione bizantina.

fdc

Lu i sa A lbe r t

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Nata a Basilea, studia arte allo CSIA del Canton Ticino, poi segue l’Università

delle Arti Plastiche e l’Accademia a Parigi. Quest’ultima esperienza segna il suo

linguaggio che spazia da un figurativo con suggestioni neorinascimentali

all’astratto e fortemente simbolico linguaggio mutuato da esperienze mistiche,

collegate ai Mandala e all’Oriente indiano.

Oggi, avendo modificato in tal senso il linguaggio originario, è attiva come

disegnatrice in uno studio grafico di Ascona.

Pd XIV, 103-105: Qui vince la memoria mia lo ‘ngegno; / che quella Croce

lampeggiava Cristo, / sì ch’io non so trovare essemplo degno.

Il cerchio fatto di luce scomposta nei suoi elementi è costituito dalla stessa

materia di cui sono fatte le anime dei beati e le immagini che essa disegna agli

occhi di Dante sono qui la forma assunta dal gruppo delle anime di Cacciaguida

e di quanti sono morti combattendo per la fede, portando come insegna la Croce.

Immagini e forme sono ormai immateriali, sicché è difficile per il Poeta istituire

paragoni col mondo della concretezza terrena. E’ il Tutto in cui si sta

ricomponendo la molteplicità del Mondo.

fdc

He l en Von A l lmen

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Scultore, figlio dell'illustre Giovan Battista, una delle personalità di spicco

dell'arte a Torino fra Otto e Novecento, seguì studi regolari sino a conseguire il

diploma in Accademia, dove poi sarebbe stato insegnante. La sua produzione

comprende figure di ascendenza classica e preclassica, dalle superfici scabre e in

taluni casi con volute tracce di corrosione e di ossidazione che conferiscono una

sorta di sacralità da bronzo dissepolto, figure che mostrano momenti della

quotidianità solennizzati, bronzi che evocano un'atmosfera di sogno, come

fluttuanti nell'aria in equilibrio su esili sostegni che in qualche caso rimandano

ad antichi oggetti rituali, elementi vegetali trasfigurati; significativi anche i

ritratti, molti dei quali di personalità illustri. Lo scultore muore a Torino

prematuramente nel 1975. La vedova, Colette L'Eplattenier, cura e custodisce il

museo e l'archivio privato fino alla morte, e affida poi ai figli la prosecuzione di

tale prezioso lavoro.

Pg XXVIII, 139-145: Quelli ch'anticamente poetaro / l'età de l'oro e suo stato

felice, / forse in Parnaso esto loco sognaro. / Qui fu innocente l'umana radice; /

qui primavera sempre e ogni frutto...

Felicemente le Favole dell'Alloati rappresentano una età dell'oro, una età

dell'innocenza ricorrente nei miti di varie culture, un'età dove eterna è

primavera. Un'età sepolta nel mondo del

sogno e affiorante come nostalgia di un

paradiso perduto. Lo scultore, che di per sé

“lotta” con una materia pesante, ha piegato

qui il bronzo – anticato colla patina come

appena dissepolto – ad esprimere la levità di

questo sogno in cui l'albero è eternamente

fiorito, i rami sono piegati a disegnare

l'infinito, la figura femminile eternamente

giovane fluttua in un sogno felice, affiorante

dal sorriso sulle sue labbra. E' evidentemente

Eva, ancora inconscia del serpente che sta

risalendo colle sue spire l'albero e fra poco

la raggiungerà. Sono evidenti i riferimenti

non solo mitici e letterari dell'opera, ma

anche i modelli fra Otto e Novecento, non

solo figurativi, ma anche della Poesia, della

Musica, cui la dotta arte dell'Alloati si ispira.

fdc

Ad r i ano A l l o a t i ( T o r i n o 1 9 0 9 – 1 9 7 5 )

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Nato a Genova nel 1921, si forma al Liceo Artistico e frequenta sin da studente

varie personalità dell'arte e della cultura della città, che all'epoca conosce una

stagione particolarmente feconda. Egli ricorda in particolare il de Gaufridy,

studioso del Divisionismo. Prosegue gli studi al Politecnico di Torino e partecipa

alla fondazione de “Il cenacolo”, circolo culturale che organizza mostre,

convegni letterari, concerti. Alla intensa attività espositiva in Italia e all'Estero

che giunge sino ai nostri giorni, si affianca l'attività didattica, sin dal 1946, che

esplica anche come autore di fortunati testi pubblicati da case editrici di fama: la

ricerca di una chiarezza “geometrica” nella visione affiora sì nella dimensione

didattica, ma fa parte della progressiva ricerca dell'Artista, nelle cui opere il

dramma, la tragedia si esplicano in un complicarsi appunto dello schema

geometrico. Autore significativo del secondo Novecento, egli impiega con

grande perizia tecniche e riferimenti ai maggiori autori e correnti, facendone

elementi non secondari del proprio linguaggio.

Pd XV, 145-148: Quivi fu' io da quella gente turpa / disviluppato dal mondo

fallace, / lo cui amor molt'anime deturpa; / e venni dal martiro a questa pace.

E' drammatico il momento

fermato dal dipinto, lontano –

nell'immaginario comune – dalla

pace paradisiaca. E a modelli che

quest'angoscia hanno fermato in

immagine il Bersi si rifà. Ma il

Paradiso non è cancellazione del

vissuto, ancorché tragico, è sua

riconsiderazione: Cacciaguida

“contempla” per così dire la

propria fine drammatica, come

fatto che ha il proprio senso, pur

dopo l'angoscia del momento, fra

le tessere che compongono il

mosaico complesso della

esistenza individuale e della

Storia.

fdc

Serg io F rance s co B e r s i

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Torinese, profondamente legato agli ambienti e alle situazioni della propria città,

apprende da Carlo Terzolo e Mario Giansone le tecniche del disegno, quindi

sistematizza e prosegue gli studi presso l'Accademia Albertina. Negli anni

Cinquanta è attivo a livello internazionale come illustratore e la sua fama si

estende all'estero, a Londra, New York, Tokyo. Soggiorna per alcuni periodi a

Parigi e ad Amsterdam, dove dipinge e prende contatti con i migliori ambienti

artistici e culturali; rientra quindi in Italia, dove è attivo sino alla prematura

morte sopraggiunta nel 1993. La sua meditazione è incentrata sul problema

dell'esistenza, sui nodi irrisolti dell'infanzia, sulla ricerca del tempo perduto,

essendo fra l'altro Proust una delle letture a lui più care.

Pd XXXIII, 64-66: Così la neve al sol si dissigilla / così al vento nelle foglie

lievi / si perdea la sentenza di Sibilla.

Il dipinto qui presentato fa parte di una serie di paesaggi innevati di Langa che il

pittore negli ultimi anni della vita aveva dedicato alla memoria del padre.

L'immagine della fragile e fuggevole bellezza della neve, che al sole si

“dissigilla” è, anche in Bertello come in Dante, metafora del ricordo, che via via

si sfuoca e perde i propri contorni. Lo stesso timore segna entrambi, di non

potere afferrare tutta la perfezione dell'immagine iniziale, e lo stesso desiderio li

anima, di tradurre in un fermo, in uno stato, ciò che in realtà li folgora un solo

istante, quasi in un goethiano “Fermati, attimo: sei bello!”: bello e soprattutto

assoluto.

dt

Gu ido Be r t e l l o ( 1 9 2 9 - 1 9 9 3 )

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Nata a Genova da famiglia torinese, studiò a Torino presso il Circolo Filologico,

il Liceo Artistico, l'Accademia Albertina, dove si diplomò. Ebbe a maestri alcuni

grandi, fra i quali Casanova, Reviglione, Onetti, Guerrisi e Rubino, la cui eredità

tuttavia elaborò in modo affatto originale. Durante il secondo conflitto mondiale

conobbe Eugenio Colmo “Golia”, insigne designer e pittore, che sposò. I due

artisti allestirono lo studio “GoBes” donde uscivano opere di design, figurino,

progettazione di oggettistica e che organizzava corsi di formazione. Negli anni

Cinquanta questa realtà fu molto fiorente: vi si formò fra gli altri Giorgio

Giugiaro. Rimasta vedova nel 1967, Alda Besso continuò la produzione

soprattutto pittorica; i suoi fiori, le sue nature morte sono nella fase finale come

pervasi da presenze misteriose. Costretta dall'età e dalla salute a lasciare la

prestigiosa residenza di Corso Regina, si ritirò a Torre Pellice, dove morì. Nei

numerosi traslochi e dopo la sua morte parte della sua copiosa produzione e

dell'archivio Golia andò perduta.

Pd XI, 73-76 : Ma perché io non proceda troppo chiuso / Francesco e Povertà

per questi amanti / prendi oramai nel mio parlar diffuso.

Nell'opera esposta il Santo è raffigurato nell'atto della predica agli uccelli

ricordata dai Fioretti, non citato esplicitamente da Dante, ma significativo

esempio di “povertà” da intendersi come libertà dalle cose terrene, in riferimento

al passo evangelico in cui il Cristo indica come esempio gli uccelli del cielo: non

seminano e non raccolgono e il Padre li

nutre. Nell'opera della Besso c'è anche

una grande attualità, in riferimento ad

epoche come quella di Dante e come la

nostra in cui il denaro e l'ostentazione

della ricchezza, in una prospettiva

unicamente orizzontale, terrena hanno

preso il posto di valori più autenticamen-

te umani. Tornate come bambini, e San

Francesco “ribelle” alla prospettiva del

padre e della famiglia ci appare eterno

“bambino” lontano dai giochi finanziari,

sociali, di guerra dei “grandi”: anche

questa considerazione è nella patina di

naïveté che il San Francesco della Besso

trattiene in sé.

fdc

A lda Be s so ( 1 9 0 6 - 1 9 9 2 )

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Nato a Mondovì, si formò prima presso Giovanni Guarlotti, quindi fu a bottega

da Giacomo Cometti e fu infine allievo di Gaetano Cellini – illustri nomi nel

panorama artistico non solo torinese – cui subentrò come insegnante all'Alberti-

na. Egli individuò una strada propria nell'essenzialità del Modellato che

corrisponde ad una chiarezza di lettura della realtà. Lavora molto a monumenti

commissionatigli da enti pubblici e da privati: è al colmo della fama, quando nel

1944 in un bombardamento il suo studio in via Messina è distrutto. La sua

personalità ne risente; nel piccolo studio domestico in via Donati egli riduce il

proprio orizzonte ad una produzione piuttosto confidenziale e famigliare:

tuttavia la sua Arte sa ancora esprimersi in opere come il bellissimo ritratto

marmoreo della figlia Aurelia, esposto alla Promotrice. Gallerie pubbliche e

collezioni private conservano sue opere. L'ultima parte della sua esistenza fu

rattristata da una lunga malattia che lo condusse a morte nel 1962.

Pd XXXI, 103-108: Qual è colui, che forse di Croazia / viene a veder la

Veronica nostra, / che per l'antica fame non sen sazia, / ma dice nel pensier, fin

che si mostra: / “Signor mio Gesù Cristo, Dio verace / or fu sì fatta la

sembianza vostra?”

Pd XXXIII 130-132, … dentro da sé, del suo colore istesso / mi parve pinta della

nostra effigie...

La prima immagine del sacro Volto, proposta dallo scultore evoca sofferenza,

dolore e morte: è immagine del Christus patiens con tratti espressionisticamente

accentuati, anche con riferimenti all'arte medioevale e primitiva. C'è la morte,

non compare ancora segno di resurrezione. E' espresso con efficacia lo stupore

del pellegrino, quasi sgomento nel constatare l'umanità profonda di quel volto

così lontano dal trionfo che ci si attende in un Dio:

ma lì è il mistero della natura umana. Lì è anche la

mediazione esistenzialistica talora giunta a esiti

drammatici.

La seconda opera esposta costituisce quasi il

“capitolo successivo” a quanto sopra rilevato: è la

Resurrezione, è il Cristo che emise il potente

anelito. Il riferimento stilistico è chiaramente il

Manierismo che tanta arte sacra del mondo

cristiano e cattolico in particolare ha influenzato e

che costituisce la risposta al mistero della morte.

fdc

S t e fano Bore l l i ( 1 8 9 4 - 1 9 6 2 )

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Di nota famiglia imprenditoriale, ebbe precoci contatti diretti col mondo

dell’Arte, fin da quando il padre concesse a fitto locali della propria villa a

Cesare Ferro illustre insegnante all’Albertina di Torino. La sua formazione passa

attraverso gli studi svolti su sollecitazione di Fratel Gherzi – di cui il Caffaro

mantenne sempre vivo ricordo – presso l’Istituto tenuto dai Fratelli delle Scuole

Cristiane nella precollina, quindi attraverso i corsi all’Albertina dove ebbe come

maestri Onetti, Musso, Grosso, Ferro … importanti nomi del panorama non solo

torinese. La sua grande abilità e perizia ne fecero un apprezzato ritrattista di

esponenti di famiglie illustri, nonché autore di dipinti e decorazioni a carattere

sacro: ritratti di santi, di benefattori, scene tratte dalle Scritture adornano le

pareti di varie e importanti chiese in Italia e all'estero.

Pd III, 16-18: Tali vid’io più facce a parlar pronte / perch'io dentro all’error contrario corsi / a quel ch’accese amor tra l’uomo e il fonte.

Nel dipinto, dalle trasparenze suggestive ottenute con l’impiego del colore ad

olio diluito, si assommano molti spunti che derivano dalla cultura dell’artista; il

mito di Narciso è rappresentato qui con suggestioni secentesche, con riferimento

al tema intrigante dello specchio e quindi dell’immagine e il suo doppio, che già

aveva affascinato Manierismo e Barocco e più

tardi il Romanticismo. Che è anche un’antica

immagine di cui si serve la filosofia classica e

cui fecero riferimento i filosofi, i retori, i

poeti...

dt

Mar io Ca f f a ro Rore ( 1 9 1 0 - 2 0 0 1 )

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Nato a Pinerolo, figlio d’arte (il padre Nello fu pittore di rilievo nel panorama

artistico non solo piemontese) segue la carriera artistica anche come insegnante

di figura al Liceo Artistico di Torino. Allievo del Liceo e poi dell’Albertina di

Torino, ha fra i maestri il Paulucci. Lo coinvolgono particolarmente le tecniche

della traduzione della realtà in immagine: è stato anche appassionato fotografo.

Contraddistingue la sua personalità di artista anche la grande perizia in tutte le

tecniche dall’affresco, all’olio, al restauro. Dalla metà degli anni Sessanta

espone in sedi prestigiose, soprattutto nell’ambito piemontese, anche se sue

opere fanno parte di collezioni in Italia e all’Estero.

Pg XXIX, 121-126: Tre donne in giro, dalla destra rota, / venian danzando:

l'una tanto rossa / che appena fora dentro al foco nota; / l'altr'era come se le

carni e l'ossa ./ fossero di smeraldo fatte : / la terza parea neve testè mossa.

Nello stile che lo caratterizza, apparentemente descrittivo e in questo caso con

una nota naïve, tuttavia sapiente richiamo a certa pittura degli anni Trenta, a

certa pittura statunitense in particolare, il pittore rappresenta le tre virtù come tre

giovinette – dunque innocenti e non sfiorate dalla storia – immerse in un

paesaggio alpestre, rigoglioso e terso, atemporale e lontano dalla città con tutto

ciò che questa rappresenta, e dall'esistenza con tutti gli inevitabili compromessi,

che nella loro innocenza danzano a

cerchio, tenendosi per mano, come

a dire che ogni virtù non può

essere appieno esercitata senza il

rispetto delle altre due.

fdc

Miche lange lo Cambursano

Page 20: paradiso S. Giuseppe

20

Nato a Chivasso da un marmista scultore d'ornato, frequenta il Liceo Artistico e

l'Accademia Albertina. Illustri molti dei suoi maestri, da Onetti a Gamba, a

Grosso, a Ferro; si dedica in un primo tempo alla pittura di paesaggio

soprattutto, ma scopre in seguito il fascino dell'arte dell'affresco e della pittura

murale in genere. Sue opere adornano cappelle funerarie (in particolare a

Casalnoceto), chiese di molti paesi fra cui Cerrina, Zanco, Murisengo, Busca,

Ronchi, Martignana Po e di città fra cui Cuneo. La pittura murale non lo distolse

da altri generi fra cui il ritratto, il paesaggio, la natura silente, generi in cui fu

particolarmente apprezzato. Del resto a vari generi si dedicarono anche gli artisti

che costituirono la cerchia degli amici, Rolla, Morbelli, Troletti, Terzolo, Golia,

Sicbaldi, Politi, Chicco e Miradio. La sua attività espositiva copre un vasto arco

temporale, dagli anni Trenta al termine dell'esistenza. Un'ampia antologica lo ha

ricordato a Torino di recente.

Pd XXXII, 109-111: … Baldezza e leggiadria / quanta esser puote in angelo e in

alma, / tutta è in lui …

Infinita è la serie di angeli che l'Arte ha prodotto: da apprezzare questi progetti

su carta da spolvero, luogo deputato degli schizzi e dei progetti nel loro prender

forma, dai grumi di linee e dai particolari tratti dal repertorio artistico,

accumulato nella mente dell'artista,

come dalla realtà quotidiana, alla

singola figura, all'architettura,

all'insieme definito, destinato ad

essere ingrandito con sistemi

geometrici, riportato con lo spolvero

sulla superficie da dipingere e quindi

realizzato. Sulla angelologia si è

soffermata, come è noto, la critica

dantesca, come si è soffermata la

teologia: l'artista sa fondere

tradizione, risultati di studi specifici,

necessità formali in un'unica

splendida immagine.

fdc

Ne l l o Cambursano ( 1 9 0 4 - 1 9 9 2 )

Page 21: paradiso S. Giuseppe

21

Nato a Torino nel 1934, diplomato all'Albertina, dove poi è stato insegnante, dal

1959 ha preso parte a mostre di rilievo nelle maggiori città italiane ed estere,

capitali riconosciute dell'arte occidentale. Figlio di un pittore, si forma in una

Torino particolarmente ricca di fermenti a tutti i livelli. Per la propria

formazione egli ricorda come punti di riferimento soprattutto Italo Cremona, e

per vari aspetti Felice Casorati, anche se i critici indicano molti altri autori come

fonti di fecondi spunti nel senso di un “naturalismo sfatto”, rappresentato come

una humus in decomposizione. Poi una progressiva – cauta rileva la critica –

astrazione che nasce dalla tensione verso l'Idea pittoricamente intesa come

emancipazione dallo spazio prospettico ingabbiato in uno schema geometrico.

Ulteriore passo, l'emancipazione dalla figuratività, di cui il mare diviene

simbolo. Ma il mare da un certo momento in poi è evocato dai nodi marinari,

dalle carte nautiche..., insomma da quanto esso ha lasciato nella traduzione che

l'uomo ne ha fatto.

Pd X, V 7-14: Leva dunque lettor all'alte rote / meco la vista dritto a quella

parte / dove l'un moto e l'altro si percote; / e lì comincia a vagheggiar ne l'arte /

di quel maestro che dentro a sé l'ama / tanto che mai da lei l'occhio non parte. /

Vedi come da indi si dirama / l'obliquo cerchio che i pianeti porta.

L'opera esposta, della fine degli anni Ottanta,

riflette appunto la tensione verso una

dimensione non figurativa, in una rappresenta-

zione della realtà come colore e forma

indistinta. Non si tratta solo di una importante

fase dell'arte occidentale, ma di un affondare lo

sguardo al di là delle forme definite dal Tempo

e dallo Spazio: e colore e luce sono elementi

privilegiati nella concezione casoratiana, e

novecentesca in genere, della ricerca artistica,

che deve giungere all'essenza, oltrepassando la

descrittività e la forma definita.

fdc

Romano Campagno l i

Page 22: paradiso S. Giuseppe

22

Torinese di illustre famiglia, si è formata nella sua città presso l’Accademia

Albertina, con Calandri, Franco, Paulucci, Saroni. L’amicizia e la frequentazione

dello studio di Ottavio Mazzonis le ha poi aperto orizzonti diversi sul significato

dell’arte. Sue opere sono in chiese e luoghi pubblici in Torino e altrove. Ha dato

una giustificazione morale della propria arte, e dell’arte in genere, affermando

che funzione di questa è dare gioia e rasserenare, così che l’Artista possa

aumentare la Bellezza del mondo, e dunque anche migliorarlo; come

emanazione dello Spirito, l’arte poi attinge l’eterno e assume dunque il compito

finale di salvare il mondo, anche se all’uomo non è dato di comprendere il

mistero di tale salvazione.

Pg XXVIII, 37-43: … e là m'apparve, sì com'elli appare / subitamente cosa che

disvia / per maraviglia tutt'altro pensare / una donna soletta che si gia /

cantando ed iscegliendo fior da fiore / ond'era pinta tutta la sua via...

Il bozzetto presentato dalla pittrice propone una interpretazione piuttosto lieve di

Matelda, cogliendo di lei soprattutto l’immagine suggerita dal paragone con

Proserpina e dalla conseguente interpretazione come Primavera, piuttosto che le

letture tradizionali che assimilerebbero, invero in modo poco credibile, Matelda

con la contessa di Canossa. Anche la dominante rossa rinvia a modelli di pittura

romana ed etrusca, certamente presenti all’artista nel momento della progettazio-

ne dell’opera.

dt

Rosanna Campra

(Particolare)

Page 23: paradiso S. Giuseppe

23

L’artista, casalese per nascita, si diploma nel 1972 a Brera, dove ha avuto fra gli

insegnanti nomi illustri del panorama italiano, come Purificato e Diana. Il

continuo interesse per un aggiornamento sui contenuti e sulle tecniche l’ha

spinta a frequentare corsi di livello internazionale a Venezia, a Urbino ed in altre

capitali dell’Arte. Notevole la sua produzione come incisore: è fra l’altro tra i

fondatori dell’associazione tortinese de “Il Senso del segno”. Vanta un’intensa

attività espositiva in Italia e al’Estero.

Pd XXXIII, 115-120: Nella profonda e chiara sussistenza / dell'alto lume

parvemi tre giri / di tre colori e d'una contenenza; /e l'un de l'altro, come Iri da

Iri, / parea riflesso, e 'l terzo parea foco / che quinci e quindi egualmente si

spiri.

Nel linguaggio simbolico, Dio assume spesso forma circolare, e Dante ricorre

volentieri a quest'immagine, che più chiaramente esprime l'infinità e l'assenza di

limite; nel dipinto di Lucia Caprioglio il cerchio è di una intensa luce rossa, che

traduce l'essenza d'amore che Dio costituisce.

I tre elementi interni si esprimono qui con triangoli concentrici che si chiudono

su un secondo cerchio. E' chiara e pienamente espressiva la volontà dell'artista di

cogliere la perfetta incorporeità di Dio, tuttavia misteriosamente ma profonda-

mente connessa con la nostra umana terrestrità.

dt

Luc ia Capr i og l i o

Page 24: paradiso S. Giuseppe

24

Torinese, studia presso l'Albertina sotto la guida di maestri come Saroni, Gatti,

Gay che la portano a privilegiare incisione e disegno. Si annovera proprio per

tali interessi prevalenti tra i fondatori dell’associazione “Il Senso del segno”, che

a Torino promuove la conoscenza delle tecniche grafiche e calcografiche sia

attraverso attività espositiva sia dal punto di vista della realizzazione. La

presenza dell’artista in esposizioni in Italia e all’estero si esprime tuttavia in un

ambito tecnico vasto e completo. Recentemente tornata ad una maniera

espressiva apparentemente tradizionale, sviluppa tematiche di profondo valore

simbolico ed allusivo.

Pd XXIII, 73-75: Quivi è la rosa in che il Verbo divino / carne si fece: quivi son

li gigli / al cui odor si prese il buon cammino.

In un disegno di grande raffinatezza tecnica ed esecutiva, ma anche di grande

intensità poetica e religiosa, le parole di Dante sono colte pienamente e tradotte

letteralmente dall'artista: sopra una grande rosa si leva piena di luce la figura

ascetica e tenera di Maria, mantenendo insieme il fascino della devozione

popolare e quello della intensità

mistica. Dante infatti ha declinato

in questo canto tutto il sapere

mariologico che gli proveniva dalla

conoscenza dei grandi mariologi,

primo fra tutti san Bernardo.

dt

Luc iana Carave l l a

Page 25: paradiso S. Giuseppe

25

Nato e cresciuto a Genova in un periodo particolarmente fortunato per la città

dal punto di vista del fermento culturale, formatosi al Liceo Classico “D'Oria” e

all'Accademia Ligustica, quindi nella Milano di Sassu, Birolli, Fontana, De

Grada, Tassinari, Manzù, Migneco, Treccani coi quali dà vita al movimento di

“Corrente”, snodo importante della cultura italiana del Novecento, partecipa

dalla fine degli anni '40 al dibattito artistico nazionale e internazionale. Dal '48

al 1980 tiene la cattedra di scultura all'Albertina di Torino. Egli indaga in

profondità le possibilità espressive della materia e si sofferma sul punto di

equilibrio tra forma e informale. Sensibile al mondo dell'Industria, anche nei

risvolti politici e sociali che l'industria pesante ha apportato, opera con gli stessi

strumenti degli operai sul ferro e su materiali particolarmente aspri: ne nascono

figure larvali di grande suggestione. Anche in questa fase egli ebbe tuttavia

sempre presente la lezione classica e accademica.

Pd III, 10-15: Quali per vetri trasparenti e tersi /

ovver per acque nitide e tranquille, / non sì

profonde che i fondi sien persi / tornan de' nostri

visi le postille / deboli sì che perla in bianca

fronte / non vien men tosto alle nostre pupille…

Pd III, 47-49: … e se la mente tua ben si

riguarda / non mi ti celerà l'esser più bella / e

riconoscerai ch'io son Piccarda.

Il viso di Piccarda giunge agli occhi di Dante in

una immagine debole e incerta, segno del destino

di conoscenza imperfetta, cui l'uomo può

aggiungere qualche tassello, in un processo di

approssimazione alla Verità. L'immagine

deformata che l'uomo ha della realtà esterna e di

se stesso – tema quanto mai attuale, che

attraversa la storia stessa della filosofia,

dall'antichità ad oggi – non gli consente certezze

e giudizi netti: la riflessione di Cherchi, invero

più novecentesca che dantesca, ha un'implicazio-

ne etica chiara, che conduce all'astensione dal

giudizio da una parte e ad una considerazione

relativistica dall'altra.

fdc

Sandro Che r ch i ( 1 9 1 1 - 1 9 9 8 )

Page 26: paradiso S. Giuseppe

26

Nato a Torino, studia ceramica in Germania presso Richard Bampi. Rientrato nel

1946 in Italia, frequenta la Libera Accademia di Arte Pura e Applicata di Torino:

qui conosce Mario Giansone. Fonda alla fine degli anni Cinquanta la Colonia

Internazionale degli Artisti a Bussana Vecchia, contribuendo così al recupero del

paese distrutto da un terremoto. Qui fonda una scuola di ceramica. Più tardi

fonderà un'altra scuola d'arte a Costigliole d'Asti, confermando la sua

intraprendenza e la volontà di trasmettere un patrimonio di notevole importanza.

A Torino disegna gioielli d'arte; poi torna alla ceramica, trasferendosi alla

cascina Speranza a Bussolino di Gassino. Dopo la morte prematura, la vedova

consente con una donazione il costituirsi di un Museo a lui dedicato a Chivasso.

Pd VI 139-142: Indi partissi povero e vetusto; / e se il mondo sapesse il cor

ch'egli ebbe / mendicando sua vita frusto a frusto, / assai lo loda e più lo

loderebbe.

Nel pezzo esposto si notano varie caratteristiche dell'arte di Clizia: il riferimento

al Medioevo e alla relativa arte, la

preferenza rivolta a personalità

particolari di pellegrini, monaci,

viandanti, l'atteggiamento che potrebbe

apparire caricaturale, ma è deformazio-

ne in funzione espressiva, l'attenzione

alla dimensione della favola e della

figurazione infantile, che una branca

dell'Estetica novecentesca ha riportato

alla ribalta. Dal punto di vista esecutivo

è da sottolineare il ricorso ad antiche

tecniche, come l'engobbio nella pittura

del pezzo, che ha notevole suggestività.

fdc

Luc iana Carave l l a C l i z i a (Mar i o G i an i , 1 9 2 3 - 2 0 0 0 )

Page 27: paradiso S. Giuseppe

27

Di agiata e nobile famiglia piemontese, Cominetti nacque a SalascoVercellese il

28 ottobre 1882. Studiò a Torino dove seguì il corso di una formazione classica,

frequentando il Liceo, e artistica, frequentando l'Albertina, discepolo del Milani.

Un rovescio economico della famiglia lo obbligò ad una brusca svolta

esistenziale: diciottenne, si trasferiva a Genova, dove fra il 1901 e il 1909 tenne

studio, approfondendo la conoscenza dell'arte e del mondo artistico del

capoluogo ligure, che fra l'altro vive in quel periodo una splendida stagione.

Per influenza dell'amico Plinio Nomellini si converte al divisionismo. Espone

un'opera divisionistica alla Promotrice di Genova del 1907, dove ha un successo

tale da essere invitato al Salon di Parigi del 1909. A Parigi ha studio a

Montparnasse e a Montmartre, stringe amicizia coi protagonisti dell'arte

europea. Durante la guerra si ispira ai combattimenti sul fronte francese e sul

fronte italiano. Progetta anche scenografie. Pendola fra Roma e Parigi e a Roma

muore nel 1930.

Pd VII, 28: … onde l'umana specie inferma giacque...

L'opera di Cominetti esprime nella torsione della figura

femminile, quasi un movimento di danza, la tensione

dell'anima verso l'infinito, per risorgere da quell'abisso

dove crescono piante che sanno di morte, come gli

asfodeli. E' un'opera che risente dell'atmosfera liberty,

sia per una certa enfasi che la caratterizza, sia per le

forme allungate che si elevano al disopra di quella

sorta di palude, l'esistenza.

fdc

Giuseppe Comine t t i ( 1 8 8 2 - 1 9 3 0 )

Page 28: paradiso S. Giuseppe

28

Torinese, si iscrive nel 1957 all'Accademia Albertina, dove ha fra i maestri

Paulucci e Calandri; in seguito frequenta in modo significativo per la sua arte

Ramella, Pistoletto, Carena, Saroni e in particolare Cherchi. L'ultima mostra da

lui allestita si tenne nello studio abitazione di via Montecuccoli, come espressa

polemica contro i meccanismi più che altro economici che deformano il mondo

dell'Arte, provocando fraintendimenti e la solitudine dell'intellettuale. In una

continua ricerca e insoddisfazione per i risultati ottenuti, attraversa fasi diverse,

il figurativo, talora minuzioso nello scandaglio della realtà, la sperimentazione

sui materiali sovente “impropri” e insoliti, l'astrazione.

Pg XXXII, 37-42: Io sentii mormorare a tutti “Adamo”; / poi cerchiâro una

pianta dispogliata / di fiori e d'altra fronda in ciascun ramo. / La coma sua, che

tanto si dilata / più quanto più è sù, fora da l’Indi / ne’ boschi lor per altezza

ammirata.

La possanza della pianta in primo piano, che in qualche modo ricorda Dürer,

l'altezza enfatizzata da un accorgimento prospettico, l'antichità che si indovina

anche dai segni che il tempo e chi sa quali vicende hanno lasciato sulla spessa e

scabra corteccia ne fanno davvero l'allegoria di quell'umanità che abita la Terra

ed ha il proprio seme in Adamo:

creato giovane e bello senza difetto e

senza tempo diede inizio col proprio

orgoglio e la propria curiosità ad una

Storia drammatica e spesso tragica,

in cui vita e morte si intrecciano in

un continuo ciclo di rigenerazione:

gli irti rami all'apparenza spogli,

portano in realtà nuove foglie che

racchiudono la promessa del

rinnovamento. E comunque, se il

possente piede suggerisce il

profondo legame con la terra,

simbolo per antonomasia della

Materia, la cima si perde nella

dimensione celeste, il luogo

dell'Idea, dello Spirito.

fdc

Luc iana Carave l l a A ldo Con t i ( 1 9 3 5 - 2 0 0 8 )

Page 29: paradiso S. Giuseppe

29

Torinese, molto legata alla città natale, segue studi umanistici, poi interrotti, e

studi artistici. Giovanissima si impiega presso la nuova fabbrica di ceramica

Lenci, fondata da Lenchen König, come decoratrice. In seguito passa alla Essevi

di Sandro Vacchetti, dove conosce lo scultore Giovanni Taverna, che sposa nel

1942. Intanto frequenta i corsi liberi dell'Albertina tenuti da Sicbaldi e da Politi e

continua l'attività artistica.

Chiusa la Essevì e terminata la guerra, riaperte le fabbriche di ceramiche

artistiche, lavora in tempi diversi alla C.I.A., all'Ars Pulchra e poi nuovamente

alla Lenci, fino alla chiusura della fabbrica. Muore a Torino novantenne, dopo

vari anni di inattività, avendo lasciato spazio all'impegno creativo del marito

scultore.

Pd XX, 1-6: Quando colui che tutto il mondo alluma / dell'universo nostro si

discende / che il giorno d'ogni parte si consuma / lo ciel, che sol di lui prima

s'accende / subitamente si rifà parvente / per molte luci, in che una risplende.

Il dipinto qui presentato fa parte di una serie degli inizi degli anni '60 in cui

l'artista studia attraverso immagini tolte in parte in prestito all'astronomia

l'equilibrio perfetto dell'universo in quanto forma della perfezione divina. Si può

notare una tendenza alla semplificazione della forma stessa, tratto peraltro

caratteristico della pittrice, non nel senso di un impoverimento, ma nella volontà

di un ritorno alla essenzialità e all'innocenza primordiale.

dt

Margh e r i t a C o s t an t i n o ( 1 9 1 5 - 2 0 0 6 )

Page 30: paradiso S. Giuseppe

30

Torinese, compie studi all'Accademia Albertina dove ha fra gli altri come

maestro Filippo Scroppo: il suo interesse per l'aspetto tecnico dell'opera d'arte lo

spinge a cercare molteplici punti di riferimento e diverse soluzioni esecutive in

tecniche antiche, abbandonate o modificate. Lo attraggono le varianti

dell'impiego di pasta di carta che mantenga tracce di altri materiali, di cui resta

l'impronta: l'esito formale e contenutistico è in riferimento ai segni impressi,

all'aspetto cromatico, alla matericità dell'opera. Lo affascina anche il legno, con i

suoi filamenti e le sue venature, i suoi nodi. Vivacemente attivo nella vita

culturale non solo torinese, svolge intensa attività espositiva sia presso

istituzioni di carattere privato sia con il coinvolgimento di enti pubblici.

Pd I, 1-3: La gloria di colui che tutto move / per l'Universo penetra e risplende /

in una parte più e meno altrove.

Nella natura pervasiva di un luce azzurra percorsa da brividi profondi e gioiosi,

oltre che nell'andamento circolare che da sempre rappresenta la perfezione

divina, l'artista legge una raffigurazione della totalità perfetta e atemporale che

costituisce l'immagine pure imperfetta di Dio a noi mortali concessa. Una

immagine di speranza e di totalità, rasserenante per la sua pienezza composta,

stesa da un pittore che altrimenti spesso si è interrogato sul significato e sul

valore del mondo dello spirito.

dt

Luc iana Carave l l a I s i doro Co t t i no

Page 31: paradiso S. Giuseppe

31

Di famiglia di alta e antica nobiltà, risiede nella dimora avita che fu già del duca

Laval de Montmorency. Alla Accademia Albertina dove completa la propria

formazione umanistica e artistica ha maestri di grande levatura, in particolare

Calandri e Franco che lo aiutano a scoprire nell'incisione l'espressione a lui più

congeniale. Nell'ambito delle tecniche incisorie, continuamente indagate,

studiate, scandagliate nei segreti profondi, la sua piena e ricca esperienza gli ha

consentito di diventare uno dei punti di riferimento molto al di là dell'ambito

torinese, nonostante una relativa ritrosia nel presentarsi al pubblico.

Pd XIX, 91-93: Quale sovresso il nido si rigira / poi c'ha pasciuti la cicogna i

figli, / e come quel ch'è pasto la rimira...

L'artista si è soffermato in questa occasione sul particolare del nido irto e vuoto,

che la tecnica che gli è propria accentua in tali caratteri, più che luogo della

sicurezza e dell'amore materno e filiale, come è nei versi danteschi. Vi si può

leggere un significato invero triste: di quell'amore reciproco fra madre e piccoli,

un amore fattivo, che dà sicurezza e nutre la mente e l'anima non resta oggi che

il nido abbandonato, privato di quell'amore che gli dava vita. I violenti versi

danteschi immediatamente successivi esplicano meglio la sconsolata immagine

che l'artista ha elaborato: il nido è stato abbandonato dai cristiani che hanno

deviato, sicché sono assai men prope / a Lui che tal che non conosce Cristo.

fdc

Xav i e r d e Ma i s t r e

Page 32: paradiso S. Giuseppe

32

Chierese, compie dapprima studi artistici in generale; quindi sviluppa uno

spiccato interesse per il vetro nella sua particolare espressività nella scultura, e

in questa direzione segue dei corsi in vari centri europei. Suoi maestri sono

soprattutto Nives Marcassoli, Sandra Hoffner e Claudio Tiozzo. Le sue opere

sono di grande suggestività, come si è potuto vedere nelle precedenti esposizioni

in questa sede. Vi sono significati estetici ed etici che collegano scelte e fasi di

realizzazione dell’opera: innanzi tutto la scelta del vetro, materiale scomodo, ma

ricco di riflessi anche cromatici, con particolari valori collegabili ai procedimenti

di lavorazione, che l’artista interpreta come collaborazione fra Uomo e Materia.

Pd XXIX, 25-29: E come in vetro, in ambra o in cristallo / raggio risplende sì,

che dal venire / all'esser tutto non è intervallo; / così ‘l triforme effetto del suo

sire / ne l'esser suo raggiò insieme tutto...

Il tema della luce, così confacente al Paradiso dantesco, perché la luce della

mente e dello spirito è Dio, e a Lui, Amor che move il sole e l'altre stelle, è

dedicato l'intero poema, è anche l'oggetto di una ricerca durata anni da parte di

Monica Dessì, che proprio per questo ha rivolto al vetro la sua predilezione, per

poter cogliere la sublimazione che la luce opera nella materia di per sé greve,

sollevandola e glorificandola. Il candore solcato dalla goccia azzurra coincide

simbolicamente con l'idea della Trinità in cui l'umanità del Cristo viene

inglobata e illuminata dalla luce assoluta.

dt

Luc iana Carave l l a Mon i ca De s s ì

(Particolare)

Page 33: paradiso S. Giuseppe

33

Torinese, proviene da una formazione insieme umanistica ed artistica, avendo

perfezionato la propria esperienza in entrambi i campi, secondo un percorso che

rivela un profondo spirito di indagine e di studio nel pensiero occidentale

moderno, di cui l'artista ha amato soprattutto la cultura tedesca e angloamerica-

na. Molto consapevole dei movimenti culturali che hanno animato la sua città,

ha poi costruito con la scultrice Anna Jarre un forte legame, culminato nel

matrimonio e fecondo di ricchi sviluppi artistici. Presente in importanti

manifestazioni nazionali ed estere, ha tenuto recentemente una bella mostra

personale a Torino.

Pd XXIII, 1-9: Come l'augello, intra l'amate fronde / posato al nido dei suoi

dolci nati /.../ previene il tempo in su l'aperta frasca / e con ardente affetto il

sole aspetta, / fiso guardando pur che l'alba nasca...

Dalla notte, una ardente attesa verso la luce: il paragone di Dante è per Beatrice,

tutta rivolta all'epifania del trionfo di Cristo. Una attesa intenta e possente sotto

il profilo affettivo, sia per l'animale che è spinto dalla forza del suo amore per i

figli, sia per Beatrice Rivelazione, che del portare la Novella fa la propria

ragione di esistenza. Questa forza inaudita di sentire è tradotta dall'artista nella

tensione in avanti del corpicino sul ramo, la cui linea diagonale riprende e dà

senso alle diagonali che costruiscono la struttura dell'albero.

dt

Fernando Eand i

Page 34: paradiso S. Giuseppe

34

Discendente da un'illustre famiglia di artisti venuti in Italia dall'Austria ai tempi

di Maria Luigia di Parma e stabilitasi a Torino nell'Ottocento, Nick Edel rivolge

la propria attenzione all'Arte sin dalla prima giovinezza, specializzando poi i pro-

pri interessi in direzione della pittura animalistica. Il Barocco in particolare si è

soffermato sulla rappresentazione meticolosa di animali selvatici, con notevoli

risultati, si sa, ma Edel non vuole celebrare le prede di caccia, bensì la vitalità

della Natura, il mondo composto precedente il disordine che la curiosità e la su-

perbia dell'Uomo hanno apportato. I suoi animali infatti sono fissati nel pieno

della vitalità, in un ambiente naturale incontaminato. Per cogliere i segreti della

vita degli animali, l'artista organizza vere e proprie campagne di osservazione

con capanni appositamente allestiti. Collabora a quotidiani e con case editrici,

con enti pubblici, sia con la propria attività artistica, sia con la ricerca naturalisti-

ca. Ha esposto con notevole successo in personali e collettive in Italia e all'Este-

ro.

Pd XVIII, 73-75: … e come augelli surti di riviera / quasi congratulando a lor

pasture / fanno di sé or tonda or lunga schiera...

L'artista è da decenni dedito a evocare con nitide immagini animali e aspetti del-

la Natura, con uno sguardo sereno e attento al particolare, solo all'apparenza de-

scrittivo, il realtà volto ad elevare un inno intrecciato di ammirazione e di grati-

tudine per la bellezza che si offre a chi sa affondare gli occhi nelle atmosfere ter-

se, nella grandiosità dei paesaggi, nei freddi invernali in attesa della rinascita. In

questo caso la “danza” dei fringuelli è sia per il soggetto in sé – la danza è solita-

mente d'amore – sia per

l'equilibrio dell'immagi-

ne, attesa di resurrezio-

ne, atto d'amore ed ar-

monia, saggia e serena

meditazione sulle cose

del Mondo nella prospet-

tiva della Primavera.

fdc

Luc iana Carave l l a N i ck Ede l

Page 35: paradiso S. Giuseppe

35

Nato a Brandizzo, ha frequentato studi artistici, ma ha coltivato altresì interessi

letterari, con una passione prevalente per il mondo anglosassone. La sua ricerca

artistica passa per diverse tecniche esecutive, dal disegno a inchiostro, alla

grafica nei suoi molteplici aspetti, alla silografia caratterizzata da una certa

asprezza del segno, tecnica che egli pare privilegiare. Sue opere sono state

presentate in mostre allestite in ambito soprattutto piemontese.

Pd I, 64-69: Beatrice tutta nell'eterne rote / fissa con gli occhi stava; e io in lei /

le luci fissi, di la sù rimote. / Nel suo aspetto tal dentro mi fei, / qual si fé Glauco

nel gustar de l'erba / che 'l fé consorto in mar de li altri dei.

Con quest'opera, l'artista sviluppa un tema già affrontato per il Purgatorio:

l'essere umano metamorfosante, che per virtù della luce dello spirito passa

dall'entoma in difetto al trasumanare; con una simbologia complessa, che risente

di esperienze religiose e culturali volte al mondo orientale, ancora una volta la

figura umana qui desinit in piscem, ma tende verso l'alto, verso una luce che ha

il viso bellissimo e rassicurante di Beatrice, la sua stella.

dt

Wal t e r Fa l c i a t o r e

Page 36: paradiso S. Giuseppe

36

Nasce a Piatto biellese; suo maestro nella pittura è l' illustre Luigi Serralunga.

Dal 1938 presta servizio militare in Africa Settentrionale, dove nel '43 viene

fatto prigioniero dagli Inglesi e trattenuto ad Algeri fino al 1946. Rientrato in

Italia, riprende pienamente l'attività pittorica, esponendo frequentemente in Italia

e all'Estero e conseguendo premi e riconoscimenti. Tenne studio a Torino e a

Castiglione Torinese. Dopo la sua morte una fondazione a lui dedicata si è

incaricata di conservare le sue opere.

Pd XII, 10-15: … come si volgon per tenera nube / due archi paralleli e

concolori, / quando Giunone a sua ancella iube, / nascendo di quel d'entro quel

di fuori / a guisa del parlar di quella vaga / ch'amor consunse come sol vapori...

Il tema dell'arcobaleno, più volte trattato dall'artista soprattutto nella piena

maturità, è sentito come momento della conciliazione fra Eterno e dimensione

legata al tempo e alla caducità delle cose. Già nei versi danteschi – che

richiamano il mito classico e il mito veterotestamentario – l'arcobaleno è in

qualche modo segno di tale conciliazione, che pittoricamente si esprime nel

ritorno alla variegata e feconda realtà dei colori, che accomunano come in un

gioco di specchi il Cielo e la Terra, fra cui l'Arco costituisce un ponte: i suoi

colori, nel dipinto riflettono quelli della campagna, reduce da un temporale. Da

notare, in quest'opera degli anni Ottanta che riflette una stagione feconda

dell'opera di Fico, anche il ricorso alla dimensione favolistica, nel senso che

l'arc-en-ciel, come pure il prato e i suoi fiori, il campo di grano, le colline sullo

sfondo paiono rimandare ad un ritorno all'innocenza e al senso di stupore

infantili. Chi saprà

recuperare lo sguardo

di un bambino si

salverà: lo dice il

Vangelo, lo dice San

Francesco.

fdc

Luc iana Carave l l a E t t o r e F i co ( 1 9 1 7 - 2 0 0 4 )

Page 37: paradiso S. Giuseppe

37

Torinese, formatasi in studi artistici, approfondisce la storia del tessuto e del

costume, diplomandosi all'Istituto Passoni diretto all'epoca da Italo Cremona.

Negli anni Ottanta approfondisce lo studio della storia dei diversi modelli estetici

e le tecniche di stampa su stoffa: ha fra l'altro progettato foulard per Borbonese e

dal 2000 in collaborazione con Walter Falciatore dà vita al marchio “Arshile

tessuti d'arte” e realizza tessuti stampati a mano con matrici di legno intagliate.

Con questo marchio partecipa a importanti eventi, quali la Biennale

internazionale di Fiber art a Chieri e il Salone internazionale Maison et objet di

Parigi. Come grafica free-lance collabora ai mensili Linus e Corto Maltese.

Pd XXXIII, 124-126: O luce etterna che sola in te sidi / sola t'intendi, e da te

intelletta / e intendente te ami ed arridi!

Nella forma rotonda dell'infinito, in un formicolio di tocchi argentati e dorati,

l'artista si concentra con levità cromatica e profondità insieme sull'abisso della

grandezza divina, superando, in modo per lei inconsueto, la forma naturalistica e

fenomenica, al fine di esprimere una essenza spirituale che è festa e

compiutezza.

dt

Susanna F i sano t t i

Page 38: paradiso S. Giuseppe

38

Torinese, ha sempre affiancato i propri studi scientifici con vivi interessi

umanistici soprattutto nella direzione della filosofia tedesca romantica e della

corrispondente letteratura. La sua formazione artistica è essenzialmente di

bottega, o autodidattica: cita lui stesso la frequentazione di Tomalino Serra,

Mantovani e da ultimo e più importante, Mazzonis.

La natura stessa di tale formazione lo porta poi a sviluppare una cura ed un

interesse particolari per la conoscenza della tecnica e per ogni tipo di segreti

esecutivi, sottolineandone la funzione primaria anche ai fini di significati più

profondi dell’opera.

Pd XXXI, 1-3: In forma dunque di candida rosa / mi si mostrava la milizia

santa / che nel suo sangue Cristo fece sposa…

L’immagine della rosa viene da Gabanino ripresa letteralmente dal testo

dantesco, con attenzione quasi minuziosa. Il simbolo che la rosa costituisce è di

fatto uno dei luoghi topici della tradizione antica, rappresentando il Divino fin

da tempi remotissimi, ed essendo poi in tempo cristiano adattato a rappresentare

Cristo, anche nell'atto metamorfico, dal bianco della luce divina al rosso del

sangue della Passione, qui accennato dalla tonalità rosata dei petali.

dt

Luc iana Carave l l a Eugen io Gaban ino

Page 39: paradiso S. Giuseppe

39

L’artista è molto legato alla cultura torinese, nell'ambito della quale si forma e

segue i movimenti culturali del secolo XX, che nella città hanno un centro

fondamentale: il Futurismo, il Novecento, i vari gruppi e scuole artistiche di

avanguardia. La sua pittura, non solo di paesaggio, anche se come spesso per

quella generazione prevalentemente di questa categoria, si esprime soprattutto in

alcune fasi per spatolate espressionistiche, con una sintesi ed un vigore che

appaiono di notevole interesse. Partecipa pertanto più volte alla Biennale di

Venezia e alle Quadriennali di Torino e di Roma. Sposa la pittrice Pinetta

Colonna, con cui condivide ideali e interessi. Muore a Torino, nel suo studio di

corso Regina Margherita, nel 1983.

Pg XXXII, 73-75: Quali a veder de' fioretti del melo / che del suo pome li angeli

fa ghiotti / e perpetue nozze fa nel cielo...

La tenera fragilità dell'albero fiorito in un contesto ancora brullo o appena in

boccio: nella forma di un paesaggetto di scuola piemontese, è la contemplazione

di un prodigio naturale che proprio per la sua ripetitività ciclica ogni volta

sorprende e consola. Una analoga tenerezza è nel paragone di Dante,

caratterizzato dal vezzeggiativo (i “fioretti”) e dalla voce familiare (“ghiotti”) e

capace di evocare angeli ingenuamente bambini.

dt

Luc iana Carave l l a Mar io Gamero ( 1 9 0 2 - 1 9 8 3 )

Page 40: paradiso S. Giuseppe

40

Nato a Firenze, si è formato nell'ambiente colto della galleria d'arte di famiglia,

dove apprende la lezione dei maestri toscani del '900, Pazzagli, Rosai, Soffici,

Maccari, Primo Conti. Ne eredita il gusto per un segno estremamente sintetico e

di alta pregnanza, nonché un atteggiamento profondamente ironico, distaccato e

critico. A Torino frequenta artisti come Seborga, Loffredo, Garelli, Sandro

Cherchi, che egli considera suo maestro e alla cui opera dedica studi. Il suo

linguaggio procede sulla doppia strada di un “ritorno all'infanzia” e di un segno

grafico estremamente sintetico.

Pd XX, 1-6: Quando colui che tutto il mondo alluma / dell'emisperio nostro si

discende / che il giorno d'ogni parte si consuma, / lo ciel, che sol di lui prima

s'accende / subitamente si rifà parvente / per molte luci, in che una risplende.

Ed appunto “con lo sguardo di un bambino” l'artista in questo dipinto considera

l'alba e la primavera, la notte sovrastata dalla luna e l'inverno, mentre tocchi di

colore compaiono come disposti a margine, quasi tavolozze – come quelle

semplici degli acquerelli che i bambini usano – la cui presenza denuncia la

funzione dell'arte di “dar forma” e “dar colore” al dato che il mondo esterno

fornisce. E' lo stesso sguardo stupito del Poeta che nel Paradiso può osservare

con occhio rinnovato le cose del Mondo, che si svelano metafore di realtà ultime

nascoste ai più.

fdc

Mar io Gombo l i

Page 41: paradiso S. Giuseppe

41

Torinese, frequenta nella sua città Liceo Artistico ed Accademia Albertina, ma

soprattutto frequenta gli studi di due pittori molto noti nella Torino degli anni

Sessanta, Riccardo Chicco e Raffaele Ponte Corvo. Particolarmente presso

quest'ultimo ed il suo cenacolo di giovani artisti, Gramaglia trova riferimenti e

spunti per formarsi un linguaggio proprio, che risente dei gusti surrealisti del

maestro, ma che si volge più specificamente ad una analisi del subconscio e dei

suoi misteri insondabili. Egli ritiene infatti che la pittura sia un approccio non

solo formale e razionale ma anche di studio e analisi delle passioni e pulsioni

dell'animo umano. Da notare ancora che l'artista fa riferimento dal punto di vista

dei mezzi espressivi, ad una grande epoca di decadenza e insieme di profondo

rinnovamento, di profonde crisi e di scoperta di nuove dimensioni in molti

campi, l'epoca liberty e déco, il rimando alla quale ha dunque un preciso

significato non solo stilistico ma di riflessione sull'epoca attuale.

Pd XV, 19-24: Tale dal corno che in destro si stende / al pié di quella croce

corse un astro / della costellazion che lì risplende; / né si partì la gemma dal suo

nastro / ma per la lista radial trascorse / che parve fuoco dietro ad alabastro.

Nella croce su cui si muove l'anima di

Cacciaguida, luminosa nel cielo notturno, il

pittore ha inserito temi simbolici molteplici: la

porta, allusiva di una discendenza che Dante

raffigura in modo tradizionale con l'albero –

Cacciaguida fu la sua “radice” – , il viso, che

porta in sé elementi maschili e femminili,

sintetizzando l'essenza dell'umanità al di là di

ogni contingenza, lo sguardo, insieme vuoto e

profondo, teso al dialogo. Il tutto, nel

consueto, tipico linguaggio dell'artista,

elegante e bidimensionale, con una precisa

volontà di indagine nella profondità sub-

coscienziale e sconosciuta dell'animo umano.

dt

Luc iana Carave l l a Mar io Gramag l i a

Page 42: paradiso S. Giuseppe

42

Torinese, ha frequentato nella sua città il Liceo Artistico e l'Accademia

Albertina, dove ha avuto per docenti Paulucci, Calandri e Franco. Insegnante di

disegno e discipline artistiche nelle scuole cittadine, compreso l'Istituto Steiner,

ha approfondito lo studio alla scuola di nudo di Vincenzo Gatti. Specializzata

nell'incisione nelle sue varie declinazioni, presiede dalla fondazione l'associazio-

ne “Il Senso del segno”. Paolo Levi afferma che “il suo maestro di coscienza è

certamente Giorgio Morandi, poeta dell'assenza metafisica”. Proprio questo

silenzio contemplativo è il fascino maggiore del suo lavoro.

Pd XXV, 1-9: Se mai continga che ‘l poema sacro / al quale han posto mano e

cielo e terra, / sì che m'ha fatto per molti anni macro, / vinca la crudeltà che

fuor mi serra / del bello ovile ov'io dormi' agnello, / nimico ai lupi che li danno

guerra; / con altra voce omai, con altro vello / ritornerò poeta, e in sul fonte /

del mio battesmo prenderò ‘l cappello.

Nel delicato disegno l'artista ribalta la consueta prospettiva che porta l'attenzione

sull'oggetto visto da Dante, e scruta a fondo nel sentimento del poeta, commosso

e turbato dall'esperienza che sta vivendo, reso felice dalla certezza di trovarsi di

fronte al ben verace, quello che nulla potrà rapire o danneggiare, quello che

risponde a tutte le domande e dirada tutte le nubi della coscienza.

dt

Anna Guas co

Page 43: paradiso S. Giuseppe

43

Nato a Gaiarine di Treviso, si forma in Piemonte, in particolare si stabilisce nel

cuore delle terre della ceramica d'arte, a Castellamonte, dove è insegnante e poi

preside nel locale Istituto d'Arte. Scultore di fama internazionale, espone in sedi

molto prestigiose, da Faenza ad Atene. Particolarmente versato nella ricerca

sperimentale sull'argilla (engobbi, smalti etc.) come nell'uso dei forni da

terracotta ad altissime temperature, ama in particolare soggetti sacri e soggetti

fantastici o fiabeschi. Quando muore prematuramente e improvvisamente, ha

avviato una nuova tematica, con “teatrini” di personaggi attuali e fiabeschi al

contempo.

Pd XXXIII, 1-3: Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che

creatura, / termine fisso d'etterno consiglio...

La Vergine come Signora delle Grazie corrisponde perfettamente al pensiero

dantesco, per cui Maria, oltre al suo valore storico, riveste il fondamentale

valore di incarnazione della Misericordia di Dio, che ha in sé, giusta la lettera

della Bibbia, qualcosa di materno. La scultura di Igne, poi, volutamente

rifacendosi ad un concetto fondamentalmente ascetico e gotico, aggiunge il

fascino dell'argilla rossa. Tale materiale, il preferito dello scultore per il suo

legame con la segreta sostanza del

mondo (dall 'argi l la Dio trae

Adamo...), viene da lui trattato con

una profonda religiosità, chiaramente

espressa anche nel dolce gesto delle

mani aperte di Maria.

dt

Luc iana Carave l l a Renzo I gne ( 1 9 4 0 - 2 0 0 1 )

Page 44: paradiso S. Giuseppe

44

Nasce a Torino e precocemente, appena sedicenne, va a lavorare presso la

ceramica Lenci, come decoratrice. Si firma con il monogramma LE. Nel 1955 si

licenzia dalla Lenci e apre un laboratorio artigianale, dove realizza ceramiche e

dipinti, servendosi in alcuni casi dei modelli di Mario Mesini. Negli anni

Sessanta cessa la attività in proprio e va a lavorare alla ViBi. Fino alla morte fa

parte del gruppo di Bussana Vecchia fondato da Clizia. Per tutta la vita svolge

anche una intensa attività di pittrice su tela e su carta. Muore a Torino in una

dolorosa solitudine.

Pd XXX, 100-105: Lume è là su che visibile face / lo creatore a quella creatura /

che solo in lui vedere ha la sua pace. / E’ si distende in circular figura / in tanto

che la sua circunferenza /sarebbe al sol troppo larga cintura.

Dipinto nell'ultimo anno di vita dell'artista, il lavoro manifesta una serie di

pensieri complessi, tra cui una forte ma positiva domanda sul destino dell'uomo

dopo la morte: a lei, già seriamente malata e certa di una fine prossima, avviene

di attendere intensamente un incontro con la luce divina e probabilmente di

desiderarlo, come pacificazione di un dolore divenuto insopportabile, tanto che il

pastello esposto fa parte di una serie di lavori, tutti della stessa fase e diversi

rispetto alla precedente produzione, rigorosamente figurativa.

dt

E l sa Lagor i o ( 1 9 3 0 - 1 9 8 5 ( ? ) )

Page 45: paradiso S. Giuseppe

45

Valsusina, ha studiato a Torino presso il Liceo Artistico e l'Albertina: ha avuto

grandi maestri, da Morbelli a Calandri, da Cremona a Franco. La lezione appresa

è stata per intero sviluppata in un ambito di innovazione figurativa, in

controtendenza rispetto a una certa moda dell'astratto e dell'informale che ha

caratterizzato Torino in quegli anni. Ha sviluppato altresì una forte attenzione

per la grafica e l'incisione, approfondita con corsi e studi diversi, il che le ha

permesso di essere ampiamente conosciuta in Italia e all'estero. E' ben nota

anche come autrice di dipinti di argomento sacro e religioso per chiese e sedi

pubbliche.

Pd XIII, 133-135:... ch'i’ ho veduto tutto ’l verno prima / lo prun mostrarsi

rigido e feroce, / poscia portar la rosa in su la cima…

La metafora dantesca del pruno irto che si copre di fiori è in questo dipinto in un

certo senso attualizzata; dietro una piccola discarica e davanti ad un bosco

rinsecchito, compare il fragile miracolo di un albero bianco e rosato. E'

l'immagine di una capacità

coraggiosa di speranza anche in

ambienti che sembrerebbero

avversi. Come anche Dante

intende nel contesto del passo,

è la fragilità forte della fede

che ha la meglio sul dolore e

sulla violenza.

dt

Luc iana Carave l l a L i a La t e r za

Page 46: paradiso S. Giuseppe

46

Ligure di Albenga, segue studi artistici a Torino, dove frequenta l'Accademia

Albertina e dove comincia precocemente la propria carriera espositiva. Dopo

una fase che egli stesso indica come espressionistica ed un periodo informale,

negli anni Settanta torna a forme di espressione più realistiche, ma pervase da un

senso onirico quasi magico, fino all'attuale figurazione di senso fortemente

simbolico ed allusivo. In Torino, tiene oggi una scuola di pittura assai apprezzata

e seguita.

Pd XXV, 4-7: … vinca la crudeltà che fuor mi serra / del bello ovile ov' io

dormi’ agnello, / nimico ai lupi che mi danno guerra...

Secondo uno sperimentato modo di dipingere che caratterizza la recente

produzione del pittore, con un procedimento sincretico si associa l'immagine,

come tolta da un codice medioevale, della Firenze dugentesca a quella cruda nel

realismo accentuato che rinvia al Seicento e all'iperrealismo di certe espressioni

dell'arte novecentesca, di una testa di agnello scuoiata, col suo ghigno

tragicamente sgangherato, con gli occhi fuor delle orbite, che denuncia quanto

costa la prosperità, che – si badi – si esprime anche in Arte sublime, di una città,

di una civiltà, di una società intera, che tra le numerose vittime sacrificali non

può non annoverare chi si voglia far voce dell'ingiustizia, dell'ipocrita adesione

ai valori cristiani, di quante lacrime e sangue grondi anche il più splendido degli

Stati, che tanto ha dato al cammino dell'Umanità tutta.

fdc

Sandro Loba l zo

Page 47: paradiso S. Giuseppe

47

Nata a Torino vi frequenta il Liceo Artistico e poi l'Accademia Albertina. Nel

2006 fonda una piccola stamperia, la Laborabosco; qui lavora con un antico

torchio silografico Albion e un torchio calcografico Domenichelli. Espone con

continuità dal 1992, da età molto giovane.

Pd XXXIII, 1-3: Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che

creatura, / termine fisso d'etterno consiglio...

Nella sua opera la pittrice rappresenta Maria con un linguaggio che si distacca

sostanzialmente dal modo medievale e teologicamente complesso di Dante:

infatti qui non cogliamo la personificazione della misericordia divina che Dante

trae dalla mariologia soprattutto vicino orientale, ma piuttosto l'immagine di una

devozione popolare post tridentina, che dà talora a Maria anche il valore di una

risposta per istanze affettive e umane del fedele.

dt

Luc iana Carave l l a P i e ra Lu i so l o

Page 48: paradiso S. Giuseppe

48

Di radici alessandrine, studia a Torino all'Accademia Albertina, dove si vale

dell'insegnamento di maestri illustri, dalla tradizione più rigorosa alla Grosso

fino allo sperimentalismo di Casorati. Suo compagno di studi e poi di vita è

l'alsaziano Jean-Louis Mattana, con il quale affronterà molte esperienze di

tecnica pittorica e ceramica innovative e fortemente espressive. Tuttavia i

linguaggi formali dei due artisti rimangono indipendenti e notevolmente

differenziati, in una reciproca totale autonomia. Molto colta e accanita lettrice,

ha lasciato anche come insegnante una traccia significativa. Ha esposto e tenuto

studio in molti luoghi d'Italia e di Francia. E' mancata a Torino prematuramente

nel 1986.

Pd XI, 76-79: La lor concordia e i lor lieti sembianti, / amore e maraviglia e

dolce sguardo / facieno esser cagion di pensier santi...

Dante coglie in san Francesco soprattutto l'aspetto della povertà, non tanto in

senso materiale, già essenziale in una società godereccia e materialista come

quella mercantile del Duecento, quanto perché segno di libertà: dai condiziona-

menti, dalle necessità sociali, dai

compromessi, in una serenità che

consente un dialogo diverso con le

cose e con gli esseri viventi. In questo

senso anche il San Francesco della

Maestri è colto in un suo quasi

segreto parlare con gli uccelli. E'

racconto noto anche a Dante poiché

proviene dalla primitiva tradizione

francescana: qui, lo sguardo è assorto

e appena un poco dolente, le mani che

reggono gli uccelli hanno un gesto

eucaristico, il volo di colombi è

bianco, circolare come un'aureola e

allusivo dello Spirito Santo.

dt

Laura Maes t r i ( 1 9 1 9 - 1 9 8 6 )

Page 49: paradiso S. Giuseppe

49

Nato a Bagnolo Mella (BS) in una famiglia notabile e colta, ha seguito studi

umanistici e artistici, affermandosi sia come critico d'arte e studioso, sia come

pittore. All'Accademia Albertina ha come maestri Davico, Calandri, Paulucci,

Franco, considerati tra i più importanti esponenti della innovazione figurativa. I

suoi studi storici comprendono soprattutto l'analisi del Quattrocento e del

Rinascimento, e tracce di questo interesse si colgono chiaramente nei suoi

dipinti. Docente presso l'Albertina, ha esposto spesso in grandi manifestazioni

internazionali.

Pd XXXIII, 1-3: Vergine Madre, figlia del tuo figlio / umile e alta più che

creatura / termine fisso d'etterno consiglio...

L'artista, profondamente pervaso dal senso religioso del dipingere, rappresenta

qui insieme l'interiore maestà di Maria, fatta di umiltà e grandezza, e il suo

innocente stupore di fronte all'annuncio e a quanto di dolore e di impegno

personale esso comporta, nei confronti dell'intera umanità. Tale percezione

sospesa ed insieme assoluta del tema trattato rientra perfettamente nell'intendi-

mento generale dell'artista che

ricerca l'atto puro, il momento

pieno e perfetto, ciò che è

essere e non divenire, la

compiutezza dell'Assoluto.

dt

Luc iana Carave l l a P ino Man tovan i

Page 50: paradiso S. Giuseppe

50

Nato a Torino, allievo, come usava per la sua generazione a bottega, presso

Giani, Ajmone e Tosalli, fu poi socio della Promotrice e di tutti i sodalizi

significativi della vita artistica torinese. Impiegato presso un noto istituto di

credito della sua città, vi si occupò delle collezioni artistiche, aiutando spesso

anche artisti validi in momentanee difficoltà. Legato anche alla Compagnia dei

Brandé, dipinse per tutta la vita e partecipò a molte esposizioni soprattutto in

ambito piemontese. Esprime in modo compiuto il mondo tardo crepuscolare,

nostalgico, ma sereno e silenzioso, che contraddistingue la cultura più

tradizionale di Torino e del Piemonte.

Pd XXVII, 28-30: Di quel color, che per lo sole avverso / nube dipigne da sera e

da mane, / vid'io allora tutto il ciel consperso...

Un paesaggista piemontese, seguace di quella cultura sostanzialmente tardo

romantica e crepuscolare insieme che ha segnato il Piemonte fino alla metà del

XX secolo: il paesaggio, la natura, come riflesso di una innocenza umana

perduta e nello stesso tempo metafora delle tempeste e dei turbamenti; questo

piccolo cielo pieno di nubi non minacciose allegorizza la grande domanda

dell'uomo sull'assoluto e sull'inconoscibile, sottintendendo peraltro una forte,

serena speranza.

dt

Sand r o Man t o van i ( T o r i n o 1 8 9 7 - 1 9 8 3 )

Page 51: paradiso S. Giuseppe

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Nato a Reims, in Alsazia da padre italiano, frequenta a Torino i corsi

all'Accademia Albertina, in particolare le lezioni di Gregorio Calvi di Bergolo,

da cui trae l'indirizzo di una pittura netta, definita, iperrealistica con echi

secenteschi. Di sensibilità inquieta, è alla continua ricerca di nuovi esiti

contenutistici, tecnici e formali, che coinvolgono anche la materia con cui

realizza i propri soggetti, ceramica, vetro, smalti, terracotta, materia quest'ultima

di cui affina la tecnica di lavorazione frequentando i Maestri di Castellamonte,

dove per un certo periodo si trasferisce. Tiene studi anche in Francia, a Neuilly,

a Cannes, a Cernay. Anche il matrimonio con l'alessandrina Laura Maestri,

grande pittrice e donna colta e alquanto inquieta comporta un affinamento

tecnico e culturale, attraverso una particolare attenzione per la letteratura e la

meditazione sulla dimensione religiosa impegnata. La riflessione indotta da

Agostino ha come esito formale un progressivo spogliarsi delle forme essenziali

delle cose, sino a giungere prossime all'archetipo. Versi montaliani soprattutto

dagli Ossi, che nell'atto musicale evocano certo Satie. Questo tipo di ricerca lo

conduce ad una rappresentazione della realtà riconoscibile nella forma, ma

trasfigurata, sospesa, metafisica, atemporale, ricondotta agli archetipi

geometrici. Si è spento a Torino nel 1990.

Pd XX 1-6:... quando colui che tutto ’l

mondo alluma / de l'emisperio nostro si

discende, / che 'l giorno d'ogni parte si

consuma, / lo ciel, che sol di lui prima

s'accende, / subitamente si rifà

parvente…

E' chiaro il legame fra i versi danteschi

stilati in prossimità della contemplazione

dell'Assoluto e la visione del Mattana,

caratterizzata dalle forme purissime e

archetipiche, la retta e il cerchio, carichi

di significati sul tempo e lo spazio,

anche in relazione a due concezioni

fondamentali della realtà, della storia,

del tempo. Ad esse corrisponde una

atmosfera immobile, assorta, tesa,

vibrante della tonalità del colore e della

luce.

fdc

Luc iana Carave l l a J ean -Lou i s Ma t tana ( 1 9 2 1 - 1 9 9 0 )

Page 52: paradiso S. Giuseppe

52

Nato a Torino in Palazzo Mazzonis di via S.Domenico 11 da famiglia

aristocratica e imprenditoriale, cresce fra gli interessi scientifici e artistici del

padre Federico e fra concerti e incontri organizzati dalla madre, illustre soprano:

casa Mazzonis è luogo di incontro di artisti, musicisti, intellettuali in genere.

Apprende il fare artistico, i segreti e la concezione stessa dell'Artista a bottega

presso Nicola Arduino, allievo di Giacomo Grosso. Anche Calderini e Tito

godevano dell'ammirazione del giovane pittore. Rifiuta un corso regolare

all'Accademia, proprio per seguire l'ideale di ascendenza rinascimentale

dell'artista cresciuto a bottega, e segue il Maestro in Veneto, apprendendo

l'inconfondibile cifra di “pensare in grandi dimensioni”, che conferisce

monumentalità anche alle opere da cavalletto e persino agli schizzi. Lavora

molto su opere di ampio respiro, sia per edifici sacri, sia su commissione di

privati, esprimendo sempre una lunga e profonda meditazione. Nei suoi dipinti

affiorano figure talora fantasmatiche, e hanno positura non naturalistica, ma

carica di una complessa simbologia sul senso dell'esistenza, soprattutto in

prossimità della resa finale. Come in Dante e in altri poeti, la figura guida si

concretizza in una immagine femminile, di radici classiche, oppure legata alla

letteratura trobadorica medievale e dantesca, ma non estranea alla grande lezione

rinascimentale.

Pg XXVIII, 49-51: Tu mi fai rimembrar dove e qual era / Proserpina nel tempo

che perdette / la madre lei, ed ella Primavera.

Pg XXXIII, 136-139: S'io avessi, lettor, più lungo spazio / da scrivere, ‘i pur

cantere' in parte / lo dolce ber che mai non m'avria sazio…

Come ogni grande, Ottavio Mazzonis fu percorso da dubbi, drammatici

interrogativi, accentuati dal fatto di sentirsi circondato da un mondo altro –

diverso, anche se sovente egli faceva allusione ad una

cultura di massa che ottunde l'uomo distruggendo la

sua stessa essenza di “non bruto”. Facendo ricorso ad

antichi miti, egli individua nella figura femminile

misteriosa la sintesi delle proprie inquietudini. E nei

due dipinti esposti, emblematici di una lunga e

feconda stagione, è proprio una figura femminile

carica di profondi significati a dissetare e nello stesso

tempo assetare di sé il pittore, che costantemente ha

ritratto se stesso come simbolo dei problemi profondi

che percorrono da sempre l'umanità.

fdc

Ot tav io Maz zon i s ( 1 9 2 1 - 2 0 1 0 )

Page 53: paradiso S. Giuseppe

53

Nato ad Alessandria, segue nella sua città e poi nell'Ateneo torinese studi

umanistici. Inquieto e interessato da sempre alla storia dell'uomo, la indaga non

solo attraverso gli scritti, ma anche – e poi soprattutto – attraverso la

figurazione. Si forma pittoricamente presso Giovanni Rapetti, poi seguendo i

movimenti della pittura fantastica che fiorisce in Piemonte negli anni Settanta e

Ottanta del secolo scorso. Da una radice letteraria – i primi dipinti esposti al

pubblico andavano dal tema del senno di Orlando a quello del rogo di

Savonarola – si sposta sempre più nella direzione di una speculazione filosofica

e formale insieme sulla fragilità dell'uomo, che spesso non conosce nulla del

mondo in cui si muove. Da scene costituite quasi esclusivamente di personaggi,

l'artista si riaccosta dunque via via ad una tematica paesistica e naturalistica, che

ricerca forse una primordiale innocenza.

Pg XXVIII, 109-117: … e la percossa pianta tanto puote / che della sua virtute

l'aria impregna / e quella poi girando intorno scuote / e l'altra terra, secondo

ch'è degna / per sé e per suo ciel concepe e figlia / di diverse virtù diverse legna.

Un bosco in attesa di rigermogliare, ancora pallido e spoglio, lievemente

notturno, come molta della pittura dell'artista alessandrino, costituisce qui il

simbolo di una attesa: oggetto dell'attesa è tuttavia, per Oliva, un universo

misterioso e insondabile. Rispetto alla bella tradizione riportata da Dante – una

pianta cresciuta senza seme manifesto viene dal Paradiso Terrestre, dalla

innocenza prima del peccato – qui siamo in un mondo più oscuro, dove a tratti la

speranza è difficile, e dove sempre la condizione umana poggia sul fondamento

del dubbio e della ricerca.

dt

Luc iana Carave l l a V i t o O l i va

Page 54: paradiso S. Giuseppe

54

Torinese e proveniente da regolari studi artistici oltre che dalla scuola di

Almerico Tomaselli, suo venerato maestro, ha dedicato all'arte tutta la vita sia

dipingendo sia insegnando. Espone fin da giovanissima, dai tempi della gloriosa

attività della galleria Cassiopea. Lo studio dell'arte classica e della sua solida

impostazione etica e formale ha sempre costituito per lei un riferimento

fondamentale, perché il suo dipingere costituisce sicuramente una azione estetica

ma anche morale.

Pd XXIII, 73-75: Quivi è la rosa in che ’l Verbo divino / carne si fece: quivi son

li gigli / al cui odor si prese il buon cammino.

La visione di Maria, purissima rosa di luce, e dei gigli che la circondano

costituisce nel Paradiso dantesco un primo livello della rivelazione finale, e la

pittrice, cogliendo profondamente tale valore, mantiene la metafora dei fiori ed

anzi dà apparentemente ad essa un ruolo preminente, ma attraverso il modo in

cui i fiori sono rappresentati – la rosa come fonte luminosa, i gigli quasi

trasparenti – ne sottolinea la natura spirituale e simbolica: i gigli rappresentano

infatti nella simbologia l'accoglienza alla Parola e alla volontà di Dio, mentre la

rosa traduce il tema della carità e della grandezza dell'amore.

dt

Anna Mar ia Pa lumbo

Page 55: paradiso S. Giuseppe

55

Torinese, ha studiato presso il Liceo Artistico e poi presso l'Accademia

Albertina, dove ha avuto per docenti fra gli altri Cremona e Giansone. Si è poi

specializzata nell'incisione presso il Centro Internazionale della Grafica di

Venezia. E' stata tra i fondatori dell'Associazione torinese “Il Senso del segno”,

ed è attiva e assai conosciuta non solo nella sua città per la vivace e molteplice

attività di volontariato culturale.

Pd XXIII, 1-9: Come l'augello, intra l'amate fronde / posato al nido dei suoi

dolci nati /.../ previene il tempo in su l'aperta frasca / e con ardente affetto il

sole aspetta, / fiso guardando pur che l'alba nasca...

L'ansia materna dell'animale che vuol nutrire i suoi piccoli offre a Dante il

paragone per la premura di Beatrice, ma vive comunque artisticamente di vita

propria, per il poeta prima e per l'artista poi. Ecco la delicata immagine contro

un suggestivo sfondo lunare, e una notte che dà già luogo all'alba, interamente in

acquaforte, ma con pochi tocchi di colore tenue a mostrare la speranza e la

fiducia nel giorno che sta per sorgere.

dt

Luc iana Carave l l a Car la Par san i Mo t t i

Page 56: paradiso S. Giuseppe

56

Alessandrino di origini e molto legato al ricco ambiente culturale della sua

provincia, che tanti grandi artisti ha offerto all'Italia, cresciuto a bottega presso

maestri diversi, da Morando a Caffassi e infine a Gigi Morbelli, da cui apprende

molti segreti anche di tecniche (mescole di colori, uso di sostanze e leganti

particolari, tempere quattrocentesche...), sviluppa la sua pittura in una direzione

di analisi umana e sociale oltre che spirituale, con una vivace attenzione alla

persona che peraltro caratterizza anche la sua vita privata, in cui egli esplica una

vasta attività filantropica e di volontariato.

Pd XXXIII, 133-141: Qual è il geométra che tutto s'affige / per misurar lo

cerchio e non ritrova, / pensando, quel principio ond'egli indige; / tal era io a

quella vista nova: / veder voleva come si convenne / l'imago al cerchio e come vi

si indova; / ma non eran da ciò le proprie penne, / se non che la mia mente fu

percossa / da un fulgore, in che sua voglia venne.

Nella grande luce di Dio, stellata, i cui raggi sono segno della comunicazione

assoluta che costituisce l'essenza stessa del Paradiso, si manifesta comunque con

chiarezza l'umanità del Cristo; qui, il pittore coglie, di tale umanità, la sofferen-

za: quella corona di spine che

proprio perché insegna di dileggio e

sofferenza diviene simbolo di

grandezza spirituale e di sovranità

del bene e della mitezza. Il mezzo

espressivo si semplifica dunque per

toccare l'essenza, e il colore si

illumina e si diluisce per cogliere la

“trasparenza” dello spirito.

dt

Franco P i e r i

Page 57: paradiso S. Giuseppe

57

Nato a Roma da famiglia napoletana, trascorre tutta la propria esistenza a

Torino. Si accosta alla pittura alla fine degli anni Trenta; egli stesso distrugge

una gran numero di tele di questo primo periodo fra il '39 e il '43. La prima

personale a Torino risale al 1945. Ha studio prima in piazza Carignano, quindi in

via della Rocca: qui si incontra un folto gruppo di allievi. Insegna figura al Liceo

Artistico dal 1950 al 1981. Poliedrica la sua attività: oltre alla pittura si dedicò

alla grafica e alla produzione di gioielli. Rimane noto a Torino per la sua arte

raffinata, che può farsi rientrare nell'ambito del Surrealismo, con suggestioni

mistiche, ed è frutto di grande padronanza del disegno e di sensibilità nell'uso

del colore, che conferiscono alle sue opere un particolare fascino e la capacità di

evocare mondi misteriosi e fantastici.

Pd XXXII, 109-114: Baldezza e leggiadria / quant’esser puote in angelo e in

alma, / tutta è in lui; e sì volem che sia, / perch’elli è quelli che portò la palma /

giuso a Maria, quando ’l Figliuol di Dio / carcar si volse de la nostra salma.

Si tratta di due raffinati divertissements dell'artista sul tema dell'angelo, di cui si

rappresenta in particolare la leggiadria – nell'angelo musicante nella postura che

par di danza sulle piante strette come è per Matelda – e lo spirito levis, arguto e

sereno come quello di un bambino, che si esprime soprattutto nell'angelo con la

campanella la cui cordi-

cella passa per le stelle.

Ma si tratta anche di

colte citazioni, che

indicano gli angeli come

guardiani delle stelle e

che danno precisi signifi-

cati alla policromia delle

ali. Evidenti anche i

riferimenti alle immagini

medioevali degli angeli,

sia negli affreschi, sia

nelle miniature.

fdc

Luc iana Carave l l a Ra f fa e l e Pon t e Corvo ( R o m a 1 9 1 3 – T o r i n o 1 9 8 3 )

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A Torino, sua città natale, ha frequentato l'Accademia Albertina, quindi si è

dedicata all'insegnamento; si è specializzata in tecniche dell'incisione e in

particolare sta sviluppando un nuovo discorso sulla Maniera nera, dai complessi

procedimenti, divenuta assai rara e quindi ricercata. L'artista è molto conosciuta,

oltre che in Italia anche in Francia, in Belgio, negli USA. Ha una spiccata

tendenza alla sperimentazione sulla materia e nelle tecniche, per cui ricorre ad

un ampio ventaglio di strumenti d'espressione, dal disegno a matita o ad

inchiostro, al collage, all'incisione, ad effetti analoghi alla dissolvenza dai

suggestivi esiti e dai profondi significati.

Pd XVIII, 91-93: … diligite iustitiam /… / qui iudicatis terram…

Potente è l'immagine metamorfica in cui la M, lettera finale del versetto di

Salomone, si trasforma in aquila, simbolo del potere imperiale, ma anche

simbolo di Dio inteso come somma Giustizia e introduzione al Cielo di Giove.

La soluzione tecnica adottata, quella della grafite su carta, consente una

precisione e una sottigliezza del tratto che proprio per l'ispirarsi a modelli

medievali aggiungono un fascino

antico alla concezione peraltro

molto attuale del lavoro.

dt-fdc

Lu i sa Porpora to

Page 59: paradiso S. Giuseppe

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Figlia di un ufficiale della Marina Mercantile, si forma al Liceo Artistico a

Genova, quindi all'Accademia Albertina di Torino, città nella quale si iscrive al

Politecnico, in cui le vicende belliche le impediscono di giungere alla laurea.

Dopo il conflitto si dedica all'insegnamento e segue contemporaneamente

l'attività artistica: la prima personale risale al 1954. Espone in sedi prestigiose

soprattutto a Genova e a Milano. Attiva sino all'ultimo, si spegne a Genova nella

sua villa studio, nel quartiere San Martino.

Pd XXXIII, 82-90: O abbondante grazia ond'io presunsi / ficcar lo viso per la

luce etterna, / tanto che la veduta vi consunsi! / Nel suo profondo vidi che

s'interna / legato con amore in un volume / ciò che per l'universo si squaderna: /

sustanze e accidenti e lor costume / quasi conflati insieme, per lo modo / che ciò

ch'io dico è un semplice lume.

Abbiamo individuato in quest'opera di Cecilia Ravera Oneto un corrispettivo nel

linguaggio artistico del contenuto dei versi di Dante, che contempla Dio come

origine ed essenza eterna delle cose del mondo. L'artista genovese in una fase

della sua produzione è stata attirata dalla considerazione del mondo sensibile

come riflesso ed “espansione” di

un'essenza eterna: ha espresso questo

profondo contenuto contemplando da

vicino in particolare il mondo dei

fiori, resi non certo in modo

descrittivo, ma come insieme di

colori e di linee che nella visione “da

lontano” produce le immagini

individuali, nella visione prossima

alla fonte è magma che ha in sé i

caratteri dei petali, degli steli, delle

foglie..., ma come insieme ancora

indistinto. Nell 'opera esposta

l'immagine del fiore si fonde con

l'immagine di un'esplosione di

energia, di una forza profonda e

centrifuga che si espande in un

universo uniforme e indistinto.

fdc

Luc iana Carave l l a Ce c i l i a Rave ra One to ( C a m o g l i 1 9 1 8 – G e n o v a 2 0 0 2 )

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Alessandrino, di carattere schivo ed alieno da ogni autocompiacimento, reso

orfano ad appena due anni dal primo conflitto mondiale, si forma nel campo

figurativo sia nell'arte applicata della grafica cartellonistica, sia nell'arte pura

avendo come riferimento principale Cino Bozzetti di Borgoratto Alessandrino.

Destinato in Slovenia per il servizio militare, fissa momenti di vita militare ed

esegue ritratti. Legatissimo alla propria terra, ne trae luminose vedute, che si

accompagnano ad una meticolosa indagine che si spinge nelle pieghe e nelle

rughe delle cortecce, dei nodi di rami e tronchi, avendo come riferimento l'arte

fiamminga del Cinquecento, epoca attratta anche dalla equivocità delle forme,

altro aspetto che intriga il nostro artista e lo fa giungere a risultati di altissima

qualità.

Pd XXX, 61-68: … e vidi lume in forma di rivera / fulvido di fulgore, intra due

rive / dipinte di mirabil primavera. / Di tal fiumana uscian faville vive, / e d’ogni

parte si mettien ne’ fiori, / quasi rubin che oro circunscrive; / poi, come

inebriate da li odori, / riprofondavan sé nel miro gurge, / e s’una intrava,

un’altra n’uscia fori.

Nell'opera esposta – che riproduce un tratto di un argine di Tanaro, protetto da

grossi plinti di cemento dopo l'ennesima alluvione, fra i quali la natura riesce a

farsi largo in qualche modo insinuandosi nelle fessure – si è considerata in

particolare la luce abbagliante che per un tratto attutisce l'asprezza spigolosa

della parete di cubi di cemento, mentre la vita vegetale par trionfare anche in

quel paesaggio così brullo. E' la ritrovata armonia, è la fusione del particolare

nel Tutto, è il superamento di ogni asprezza nella luce che tutto assorbe e tutto

fonde in un lampo abbagliante che l'opera esposta esprime, in uno struggente

ottimismo.

fdc

Franco Sa s s i ( 1 9 1 2 - 1 9 9 3 )

Page 61: paradiso S. Giuseppe

61

Nato ad Adria, in una famiglia colta e benestante di origini alessandrine, seguì

subito la propria vocazione artistica, studiando tuttavia parallelamente le

discipline umanistiche. Docente presso l'Accademia Albertina, dove aveva

studiato con grandi maestri, fu attento a ogni tipo di esperienza tecnica anche in

relazione ad opere di grandi dimensioni, tanto da padroneggiare perfettamente la

tecnica dell'affresco, con cui realizzò importanti lavori. Ricordato con affetto e

riconoscenza da molti dei suoi allievi, non lasciò però una vera e propria scuola,

pur avendo costruito un linguaggio attuale e interessante. La pittura fu per lui

lavoro e pensiero, impegno etico e dovere civico.

Pd XXXI, 4-8: … ma l'altra, che volando vede e canta / la gloria di colui che la

'nnamora / e la bontà che la fece cotanta / sì come schiera d'api che s'infiora...

Un piccolo volo bianco, che nella sua fragilità ricorda un ritmo botticelliano:

questo fragile angelo è stato inviato dall'artista giunto agli ultimi mesi di vita e

prossimo alla cecità come commiato agli amici. Un angelo pieno di luce e

speranza, nella condivisione di una fede e di una lettura spirituale dell'arte come

dovere e missione, come testamento morale e dichiarazione di ricerca interiore

di equilibrio e perfezione. Esattamente nello stesso modo in cui Dante individua

l'essenza profonda del Paradiso.

dt

Luc iana Carave l l a Adr iano S i cba ld i ( 1 9 1 1 - 2 0 0 6 )

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Torinese e allievo di Calandri e Menzio, ha insegnato al Liceo Artistico e

all'Accademia Albertina, costituendo un punto di riferimento insostituibile per

l'arte torinese e non solo. Presente più volte alle Biennali veneziane, ha ottenuto

premi, riconoscimenti e onori in moltissimi ambiti e paesi. Nella sua ricerca

figurativa, una profonda e mistica meditazione sul destino dell'uomo lo conduce

da un lato ad una visione frammentata e sofferente della realtà, dall'altro ad una

invincibile fede nella possibilità di una persistenza e di un futuro.

Pd XVI, 79-81: Le vostre cose tutte hanno lor morte, / sì come voi; ma celasi in

alcuna / che dura molto e le vite son corte.

Il soggetto tante volte indagato da Giacomo Soffiantino, quello dei fossili, si carica di particolari significati alla luce dei versi danteschi scelti. La

fossilizzazione di esseri viventi – vissuti milioni di anni fa – suggerisce la

meditazione sul senso dell'esistenza, individuata nella litica immagine che il

dissepolto resto paleontologico, che mantiene l'antica forma, suggerisce: la vita è

lontana, essendo le forme per sempre fissate. E' privilegio dei “filosofi” e dei

defunti vivere in una dimensione assolutizzata della realtà, senza più tempo e

senza metamorfosi: ma l'esito può essere duplice, l'immutabile e luminosa

dimensione dell'Ideale e la petrosa realtà del reperto paleontologico. Dipende

dall'epoca cui tocca conservare e ripensare le tracce del passato.

fdc

Giacomo So f f i an t ino

Page 63: paradiso S. Giuseppe

63

Nasce a Gradisca d'Isonzo nel 1889. A tredici anni si trasferisce a Gorizia, poi a

Vienna e ancora a Gorizia dove studia pittura e dove dopo la prima guerra

mondiale insegna matematica. Arruolato nell'Esercito austriaco, combatte sui

fronti russo e italiano. Dedicatosi interamente all'Arte dopo una breve parentesi

come insegnante, è parte attiva del gruppo futurista giuliano. Premiato

all'Esposizione delle Arti decorative di Parigi nel 1925, dal 1928 si trasferisce a

Torino dove rimane, aderendo al Movimento Italiano dell'Architettura

Razionale. Fa parte del gruppo dei Sei e con questo gruppo Lionello Venturi lo

presenta ad una importante esposizione parigina. Dopo la bufera dei bombarda-

menti che gli distruggono lo studio, organizza nel '46 un “Premio Torino”. Le

esposizioni internazionali e nazionali di Venezia e di Roma – dove conosce

giovani protagonisti dell'Arte torinese e italiana come Merz e Ruggieri – lo

accolgono fra i principali espositori; partecipa nel 1955 alla Biennale di San

Paolo del Brasile. Tre anni dopo muore a Torino.

Pg XXVIII, 109-114: … e la percossa pianta tanto puote / che della sua virtute

l'aria impregna / e quella poi girando intorno scuote / e l'altra terra, secondo

ch'è degna / per sé e per suo ciel concepe e figlia / di diverse virtù diverse

legna. / Non parrebbe di là poi meraviglia, / udito questo, quando alcuna

pianta / senza seme palese vi s'appiglia.

Il dipinto di Spazzapan, della sua fase

più matura (è del '53), rende con grande efficacia il senso di un Tutto perfettamente

integrato, in cui la dimensione fisica e la

dimensione metafisica costituiscono un

tutt'uno, una realtà in cui non esiste il vuoto,

ma solo il trapasso da una sostanza all'altra,

quasi da una “densità” all'altra, sicché

l'origine fisica delle cose è già presente e

definita nella “mente di Dio”. Un universo

armonioso e fecondo, evocato nelle Scritture

come appena uscito dalle mani del Creatore,

che solo il peccato d'orgoglio individuale ha

lacerato.

fdc

Luc iana Carave l l a Lu ig i Spaz zapan ( 1 8 8 9 - 1 9 5 8 )

Page 64: paradiso S. Giuseppe

64

Gli studi classici hanno lasciato traccia sulla considerazione del mondo di

Francesco Tabusso, uno dei protagonisti più noti dell'universo artistico torinese

– ma non solo – da pochi mesi scomparso. La sua formazione artistica avviene

fra l'altro nello studio di Felice Casorati e ventitreenne con Aimone, Francesco

Casorati, Chessa e altri fonda la rivista “Orsa minore”. Sin dalla metà degli anni

Cinquanta partecipa alle Biennali veneziane, alle Quadriennali romane, ad

importanti mostre fiorentine e trentenne è già noto anche all'Estero, da Bruxelles

a New York, da Mosca ad Alessandria d'Egitto; è fra gli autori trattati

dall'illustre galleria milanese Gianferrari, tra i punti di riferimento dell'arte

contemporanea italiana. E' stato insegnante all'Accademia di Brera e poi

all'Albertina di Torino. La sua produzione più nota fa riferimento ad una sfera

umile, al mondo contadino in particolare: i suoi contenuti sono di grande

profondità e gli esiti di grande suggestività.

Pd XIII, 133-135: ... ch'io ho veduto tutto il verno prima / il prun mostrarsi

rigido e feroce, / poscia portar la rosa in su la cima.

E' un concetto sapienziale quello espresso nel canto di san Tommaso, nella

coscienza che la realtà va considerata nel suo Tutto, nel suo procedere per

analogie e per opposizioni, per cui è

folle la pretesa di un giudizio

definit ivo nella dimensione

esistenziale, quando alla ricchezza e

al rigoglio pieno dell'estate succede

la povertà e l'apparente sterilità irta

dell'inverno e le fibre all'apparenza

sterili e gelate della natura

invernale nascondono la promessa

di nuova vita. Con grande efficacia

l'opera di Francesco Tabusso qui

esposta esprime – quasi con

sensibilità pascoliana – la nascosta

gioia di una futura rinascita in una

natura all'apparenza ostile.

fdc

France s co Tabus so ( S e s t o S . G i o v a n n i 1 9 3 0 – T o r i n o 2 0 1 2 )

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Nato ad Alluvioni Cambiò (AL) nella famiglia di un artigiano del legno che si

dilettava nel suonare il violino, dopo un breve tirocinio nella zona di nascita,

peraltro ricca di intellettuali e dove ebbe a prima maestra la pittrice Mina Pittore,

venne a Torino, dove dopo un breve apprendistato presso Stefano Borelli, cui fu

legato altresì in seguito da vincoli di amicizia, si dedicò autonomamente alla

scultura con studio proprio. Dopo un lungo servizio militare, fu anche per un

breve tempo direttore artistico della Essevi, prestigiosa fabbrica di ceramiche

artistiche. In seguito tenne studio in Torino. Suoi sono molti monumenti

pubblici, fra cui quello ai Caduti di Sale, quello all'alpino di Leynì e quello

all'emigrante di Pittsburgh. Nelle sue opere non venne mai meno in lui il senso

della dignità dell’uomo, in ciò rifacendosi al modello rinascimentale quattrocen-

tesco.

Pd XXXIII, 1-2: Vergine madre, figlia del tuo figlio / umile e alta più che

creatura / …

La terracotta esposta ha un’arcaica solennità, rimandando

ad opere scultoree preclassiche e medievali, come si può

riscontrare anche nella postura del Figlio stante su una

mano di Maria. Anche la superficie non rifinita accentua

questo aspetto che ha in sé un significato profondo anche di

carattere antropologico, che rimanda ad antichi riti rivolti a

divinità femminili, a sottolineare l’antichità e quasi la

connaturalità del culto mariano nella cultura che anche in

Dante si esprime. Infatti Maria in Dante rappresenta non

tanto la Maria storica quanto la personificazione della

Misericordia di Dio.

fdc

Luc iana Carave l l a G iovann i Tave rna ( 1 9 1 1 – 2 0 0 8 )

Page 66: paradiso S. Giuseppe

66

Nato a Cossano Belbo e trasferitosi ventenne ad Asti, incontra i pittori Josa e

Borello; venuto poi a Torino frequenta l’Accademia e i pittori Dalle Ceste e

Morbelli e tutto il mondo artistico che attorno ad essi si è costituito, soprattutto

attorno a Gigi Morbelli. Proprio presso quest’ultimo si affina dal punto di vista

tecnico: in particolare apprende la tecnica della tempera all’uovo di antica

tradizione. Non ebbe vita facile sia dal punto di vista economico, sia per

problemi famigliari e di salute, sia per incomprensioni da parte del mondo

artistico torinese che tendeva ad emarginarlo, nonostante la sua grande perizia

tecnica, che gli permise fa l’altro di eseguire vari restauri.

Pd III, 118-123: “Questa è la luce della gran Costanza, / che del secondo vento

di Soave / generò il terzo ed ultima possanza”. / Così parlommi e poi cominciò

“Ave / Maria” cantando; e cantando vanìo / come per acqua cupa cosa grave.

“Il sigillo”, l’opera esposta in mostra, fa riferimento a Costanza d’Altavilla, una

eterea immagine femminile volta quasi di spalle come ad accrescere il proprio

mistero agli occhi dello spettatore. I rimandi nell'immagine sono molteplici: le

insegne della nobiltà di schiatta, il tema del sigillo, cioè di qualcosa che deve

essere aperto per svelare e segnare un destino individuale e collettivo (Costanza

genererà il terzo imperatore della

casata sveva), l'aspetto di affresco

riemerso dal tempo che il dipinto

assume, a sottolineare il fascino

segreto del personaggio, che anche

in Dante esemplifica l'azione alta e

misteriosa della Provvidenza,

capace di trarre un grande bene

anche da un grande male.

dt

Mi ch e l e T oma l i n o S e r r a ( 1 9 4 2 - 1 9 9 7 )

Page 67: paradiso S. Giuseppe

67

Nato a Salerno, giunge a Torino in un anno tragico per la città e non solo, nel

1943. Nel dopoguerra inizia la sua carriera espositiva. Entra quindi a far parte

del gruppo di artisti surrealisti di Torino, con Italo Cremona, Raffaele Ponte

Corvo, Franco Assetto. La sua fase di surrealismo storico, come amava

definirla, lo induce a guardare a modelli internazionali dai quali trae spunto per

un surrealismo fantastico privato, carico di inquietudini. La necessità di dialogo

fra gli artisti e fra intellettuali lo induce ad organizzare fra gli anni Cinquanta e

gli anni Settanta gli “Incontri in Costiera Amalfitana”, con cadenza annuale,

ottima occasione di scambi di esperienza fra artisti.

Pg XXVIII, 139-144: Quelli ch'anticamente poetaro / l'età de l'oro e suo stato

felice, / forse in Parnaso esto loco sognaro. / Qui fu innocente l'umana radice.

Tutti gli artisti, anche i più tormentati, dipingono almeno una volta l'immagine di

un luogo o di un mondo perfetto, dove l'anima dell'uomo possa tornare innocente

e ritrovare una pace. Il luogo sereno di Tomaselli, come il paradiso terrestre

dantesco, comprende un piacevole corso d'acqua con le rive fiorite, gli uccelletti

colorati, gli alberi alti e misteriosi. Un paradiso terrestre montano e un po'

fiabesco, intatto e vergine.

dt

A lmer i co Tomase l l i ( 1 8 9 9 - 1 9 9 3 )

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Di origini russe aristocratiche, l'artista nasce però in Italia, e qui segue studi

artistici, fino a frequentare l'Accademia milanese di Brera. Pittrice, ma anche

scultrice, poetessa e scrittrice di vaglia, ha ottenuto molti riconoscimenti

soprattutto in Piemonte dove ora vive e lavora; tuttavia sviluppa anche una

intensa attività espositiva nel resto d'Italia ed all'estero, dalla Cina all'Egitto. Il

suo linguaggio, molto legato ai grandi movimenti europei, conserva però un

fondamento fiabesco di chiara radice slava.

Pd XI, 58-63: Ché per tal donna giovinetto in guerra / del padre corse, a cui,

come alla morte / la porta del piacer nessun disserra; / e dinnanzi alla sua

spirital corte / et coram patre le si fece unito; / poscia di dì in dì l'amò più forte.

Le nozze mistiche di Francesco e della Povertà sono qui rappresentate

ispirandosi anche alla tradizione classica, in particolare alla narrazione ovidiana

di Piramo e Tisbe, che parlavano tra loro attraverso la fessura nella parete a

causa dell'ostilità dei parenti al loro legame. Dante conosce perfettamente le

Metamorfosi ovidiane e spesso ne toglie immagini o parti di racconto. Il fascino

del dipinto risiede anche nella assoluta semplicità, che corrisponde al valore

profondo della scelta di vita francescana.

dt

Ta t i ana Ve reme j enko

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69

Torinese e formata all'Accademia Albertina, dove ha avuto particolarmente la

guida di Giacomo Soffiantino, si è poi specializzata a Venezia con Riccardo

Licata nelle tecniche dell'incisione. Molto attenta agli eventi culturali

internazionali e molto presente nella vita artistica torinese, è ben conosciuta in

Italia e all'estero come una delle più rilevanti personalità del settore.

Pd XIX, 1-3: Parea dinanzi a me con l'ali aperte / la bella image, che nel dolce

frui / liete facevan l'anime conserte.

La luminosa levità del Paradiso è spesso tradotta da Dante in immagini di voli e

di ali aperte, anche se le anime e perfino gli stessi angeli appaiono qui

soprattutto come vive luci. L'artista ha qui colto questa levità, in una immagine

inconsuetamente fiabesca e romantica, se confrontata con la pittura netta e forte

che la contraddistingue solitamente. Tuttavia tale carattere cede qui come

doveroso il passo ad un sentimento luminoso di speranza e di gioia, che ben

riflette la vera essenza del Paradiso dantesco.

dt

E l i sabe t ta V ia r engo M in io t t i

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70

Nato a Genova e figlio d’arte, apprende attraverso il padre Luigi i fondamenti

dell’Arte e indirettamente la lezione di Brera e dell’Accademia Carrara di

Bergamo. La sua formazione, passando attraverso gli studi classici e la laurea in

Lettere, lo rende particolarmente attento al sapere umanistico e all’indagine

sull’Uomo che non sempre la preparazione specifica e tecnica sul far arte

fornisce. Fortemente legato alla figurazione di impostazione classico

rinascimentale e accademica, conserva nella composizione molto del sapere

antico: la frequentazione dello studio di Ottavio Mazzonis rafforza questa

tendenza.

Pd V, 94-96: Quivi la donna mia vid'io sì lieta, / come nel lume di quel ciel si

mise, / che più lucente se ne fé il Pianeta.

Come in altre opere dell'artista, l'astratto pensiero metafisico di Dante, che dalla

quotidianità ascende alla sfera divina, viene qui tradotto nuovamente in questa

quotidianità: Beatrice è una fanciulla graziosa, molto corporea, anche se lieve,

come fa comprendere il vetro da cui sale un nastro leggero. La contemplazione

dantesca diviene un momento intimo di umana seduzione.

dt

Dan i e l e Zenar i

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Impaginazione e grafica: Pietro Giorgio Viotto

Edizione stampata in 1000 esemplari

nell’ agosto 2012

a cura del Comitato organizzatore:

Fr. Alfredo Centra

Fr. Giovanni Sacchi

Vittorio Cardinali

Francesco De Caria

Donatella Taverna

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