SULLA GEOGRAFIA LINGUISTICA DELL’ITALIANO PARLATO · La storia del libro di Robert Rüegg...

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ROBERT RÜEGG SULLA GEOGRAFIA LINGUISTICA DELL’ITALIANO PARLATO

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RobeRt Rüegg

SULLA GEOGRAFIA LINGUISTICADELL’ITALIANO PARLATO

Il Cannocchiale

E-Book

RobeRt Rüegg

SULLA GEOGRAFIA LINGUISTICADELL’ITALIANO PARLATO

A cura e traduzione di Sandro Bianconi

Con scritti introduttivi di Bruno Moretti,

Tullio De Mauro, Mathias Rüegg

Edizione originale: Zur Wortgeographie der italienischen UmgangsspracheKöln, Romanisches Seminar der Universität, 1956

Questa pubblicazione è il risultato di una cooperazione tral'Osservatorio linguistico della Svizzera italiana e l'Editore Franco Cesati, Firenze

E-book Osservatorio linguistico della Svizzera italiana - Bellinzona, 2016 ISBN 978-88-904330-7-8

www.ti.ch/olsi

Immagine di copertina: Robert Rüegg a Firenze nel 1948

INDICE

Prefazioni

Alla ricerca di un autore forse atipico: Robert Rüegg e la romanisticasvizzera di metà Novecento, di Bruno Moretti p. 9

Un ricordo, di Tullio de Mauro » 13

Introduzione

Lettera a mia figlia sul nonno Robert, di Mathias Rüegg » 19

Nota del traduttore, di Sandro Bianconi » 23

Sulla geografia linguistica dell’italiano parlato » 25

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Prefazione

ALLA RICERCA DI UN AUTORE FORSE ATIPICO: ROBERT RÜEGG E LA ROMANISTICA SVIZZERA DI METÀ NOVECENTO

La storia del libro di Robert Rüegg comincia per me nell’anno accademico 1979-1980, l’anno dell’inizio dei miei studi universitari. Sono seduto nell’auletta del seminario di romanistica dell’università di Zurigo, dove ogni settimana si tiene il proseminario di linguistica. Di fronte a me un professore al suo ultimo anno di at-tività accademica, il professor Konrad Huber, che tiene lezione sulla base di vecchi quaderni spiegazzati, dove spesso cerca il filo del discorso sfogliando avanti e indie-tro, con lunghi silenzi durante i quali borbotta e si gratta la testa, scomponendosi la pettinatura già dall’inizio scomposta. Alla fine del semestre ci invita tutti a cena.

Dopo due settimane di lezione, con questo professore disordinato, sbadato, che sembra sapere tutto sulle lingue, romanze ma non solo (anche se non sempre si capisce bene che cosa ci voglia dire), che ci fa sentire la sua passione per la materia e ci fa capire quanto possano essere interessanti i fenomeni linguistici (li abbiamo sempre avuti attorno a noi ma non c’eravamo mai veramente accorti del loro fasci-no!), ho deciso che studierò linguistica.

In una di queste lezioni il professor Huber ci parla anche del lavoro di un suo allievo, tale Robert Rüegg, che ha indagato le differenze lessicali dell’italiano par-lato. Il dottor Rüegg, dopo la tesi, ha rinunciato alla carriera accademica e va così per me ad allinearsi nella categoria degli allievi particolari del professor Huber, un paio dei quali assumono il carattere di vere leggende, anche perché, o forse proprio a causa di ciò, non finiranno mai gli studi, preferendo non perdere tempo con le costrizioni dell’università a vantaggio del viaggiare, imparare lingue e dialetti, in-contrare gente e costumi, leggere e studiare per conto proprio.

A Konrad Huber succederà Gaetano Berruto e per gli studenti zurighesi si apriranno nuovi orizzonti, ma il nome di Rüegg comparirà ancora di tanto in tanto e sempre accompagnato dalla caratterizzazione di studioso originale e di autore di un lavoro indubbiamente pionieristico.

La nuova fase, quella recentissima, della mia storia personale con il libro di Rüegg si apre quando Sandro Bianconi mi segnala il suo interesse a tradurlo. Una

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mia mail del 17 febbraio 2015 ai collaboratori dell’Osservatorio linguistico della Svizzera italiana nella quale espongo questa proposta, si apre con la frase seguente: «Sandro Bianconi è rispuntato con una delle sue ottime idee. Ha pensato di tra-durre in italiano la ricerca di Rüegg». Si decide subito di farne una pubblicazione dell’Osservatorio, ma il primo ostacolo da superare è quello di chiarire la questio-ne dei diritti d’autore, e ci si accorge subito che la cosa potrebbe rivelarsi comples-sa. Rüegg infatti, dopo la tesi, sembra essere completamente scomparso dal mondo della ricerca linguistica e si tratta dunque di ritrovarne le tracce per ottenere il permesso di ripubblicare il suo lavoro. Persino internet, che oramai sembra essere la chiave per tutte le informazioni, in questo caso tace (anche perché il nome Ro-bert Rüegg non è rarissimo in Svizzera. Un veloce controllo nell’elenco telefonico attuale segnala ventisette entrate). Molti dei romanisti che l’hanno conosciuto sono oramai scomparsi e gli altri a cui chiedo hanno solo informazioni vaghe, che non sono di nessun aiuto per reperire Rüegg. Il parere dei giuristi che consultiamo (an-che quelli dell’università di Colonia, dove la tesi è stata pubblicata e ai quali molto gentilmente si rivolge il collega Peter Blumenthal) invece è estremamente chiaro: la tesi è protetta dai diritti d’autore fino a settant’anni dopo la morte del suo autore.

Il 5 marzo 2015 ci viene segnalato un necrologio apparso sulla rivista di un’as-sociazione indicata dalla sigla VBG, che si definisce come «un movimento cristiano di lavoratori e studenti» (la sigla sta per Vereinigte Bibelgruppen in Schule, Univer-sität, Beruf, ovvero ‘Gruppi di lettura della bibbia in scuole, nell‘università e sul lavoro’)1. Se Rüegg è morto, sono gli eredi che devono concedere il permesso di tradurre e pubblicare il libro. Contattiamo perciò l’autore del necrologio, che dice di non avere informazioni sui famigliari ma promette di fare ricerche in merito. E in effetti già il giorno dopo segnala di averne parlato con un amico che aveva avuto contatti più stretti con la famiglia Rüegg. Questo amico non solo gli fa avere l’an-nuncio funebre, ma gli sa anche dire che la seconda moglie, Lilly, è nel frattempo deceduta. Ci segnala che esiste un figlio, Mathias, che definisce come der bekannte Musiker (‘il noto musicista’).

A questo punto seguire la traccia diventa facile, perché Mathias Rüegg è davve-ro un compositore e musicista famoso, fondatore tra l’altro della Vienna Art Orche-stra. Quindi non resta che provare a scrivere alla segreteria dell’Orchestra (reperita tramite la pagina internet www.vao.at). Nella mail che inviamo illustriamo l’inten-zione di tradurre la tesi di Robert Rüegg e preghiamo di essere messi in contatto con il figlio, in modo da potergli chiedere l’autorizzazione. Spedisco la mail il 12 marzo

1 Il testo, ovviamente in tedesco, si trova a pagina 12 della rivista della VBG che è consul-tabile al seguente indirizzo: http://www.vbg.net/fileadmin/user_upload/dateien/Ressourcen/Ar-chiv_Bausteine/bst_2008-4.pdf. All’inizio della colonna che contiene il necrologio compare una foto sfuocata di Robert Rüegg (con la «lunga barba grigioargento» di cui parla il figlio Mathias nella sua lettera qui pubblicata), che sembra simboleggiare bene il suo carattere “leggendario” nella linguistica.

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2015 alle 12.58 e alle 13.00 ricevo la risposta in tre righe di Mathias Rüegg: aber klar doch, super Idee! Haben Sie die Dissertation? // Liebe Grüsse // mathias rüegg (‘ma certamente, ottima idea! Ha la dissertazione? // Cari saluti // mathias rüegg’).

La stessa reazione gentilissima si verificherà quando gli scriveremo di nuovo per chiedergli se sarebbe disposto a fornirci una breve biografia del padre da inse-rire nel volume. Questa volta la risposta, quasi altrettanto immediata, è costituita dalla domanda wie wär’s damit? (‘andrebbe bene questo?’) e contiene in allegato la lettera alla figlia Naima, qui ristampata in versione tradotta. Più che di una bio-grafia si tratta di un bellissimo ritratto, assolutamente adatto a rappresentare un personaggio particolare e dai contorni, per i linguisti, rimasti sfumati a causa delle scelte fatte dopo la tesi. Disponendo ora di riferimenti di base più chiari sarebbe possibile ritrovare maggiori informazioni sulla vita di Robert Rüegg e ricostruire la sua biografia prima e dopo la tesi. Tra i dettagli curiosi che appaiono tra le nebbie dell’informazione si può per esempio scoprire, sul sito dell’associazione degli ex studenti del liceo di Schiers in cui Rüegg insegnò2, che gli era stato affibbiato il nomignolo affettivo di Gümpli, ovvero ‘Saltello’. Nel Dizionario storico della Sviz-zera (www.hls-dhs-dss.ch), invece, Rüegg non compare come linguista ma si ritrova un accenno a lui nella scheda dedicata al Movimento carismatico in Svizzera, del quale viene indicato come una delle figure iniziatrici. I cataloghi delle biblioteche riportano, accanto al libro qui tradotto e ad una Petite Anthologie de la poésie française uscita nel 1946, alcune sue pubblicazioni di carattere religioso-teologico.

Ci è però sembrato giusto lasciare l’ultima parola in questo ambito a chi l’ha conosciuto (il figlio Mathias e Tullio De Mauro) e mantenere per il resto l’immagine un po’ misteriosa del personaggio. Anche se in primo piano sta il libro e non la per-sona, non si può non accennare velocemente al contesto in cui la ricerca si sviluppa. Rüegg si trova a studiare nel Seminario di Romanistica dell’Università di Zurigo negli anni in cui sta lentamente avvenendo la transizione dalla generazione di Jud (che verrà pensionato nel 1950) e Arnald Steiger (che si ritirerà dall’insegnamento zurighese nel 1957), a quella di Huber (nominato nel 1950 professore straordinario) e in seguito di Gerold Hilty (che diventerà professore nel 1959) e Heinrich Schmid (che dopo essere stato in concorrenza con Hilty per la successione di Steiger diven-terà professore solo nei primi anni Sessanta). Soprattutto quest’ultimo, di un solo anno più giovane di Rüegg, può anche esserne stato un compagno di studi. Il bel ritratto della romanistica zurighese di questo periodo, fornito nell’intervista fatta da Georges Lüdi a Gerold Hilty3, ci informa che gli anni dello studio di Rüegg sono

2 Nei suoi vari anni di esistenza, il liceo di Schiers, accanto a personaggi famosi come Alberto Giacometti o il premio Nobel per la fisica Karl Alexander Müller, ha visto passare tra le sue mura anche un linguista originale e in anticipo sui tempi come Jost Winteler (in casa del quale visse Albert Einstein durante gli anni del liceo ad Aarau).

3 Georges Lüdi (intervista con G. Hilty), “Gerold Hilty und die erlebte (Zürcher) Romanistik in Vergangenheit, Gegenwart und Zukunft”, in «Vox Romanica», LXVI (2007), pp. 1-9.

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quelli in cui Jud e Jaberg (professore all’Università di Berna fino al 1945) stanno preparando l’indice complessivo dell’Atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale (AIS). Zurigo e Berna sono in questo momento, per usare le parole di Hilty (p. 2), «la mecca della geografia linguistica» e sia la scelta temati-ca che la grande attenzione alla discussione metodologica nella Wortgeographie di Rüegg non possono non far pensare al volume introduttivo dell’AIS, in cui gli autori danno una lezione di riflessione sul metodo. Fatte le debite riserve per i tempi diffe-renti e per le differenti dimensioni della raccolta, la figura di Rüegg non può inoltre non far pensare al modello di Paul Scheuermeier (che sotto la direzione di Jaberg e Jud aveva viaggiato per anni nell’Italia settentrionale e centrale al fine di raccogliere i dati necessari per l’AIS ed era senz’altro noto agli studenti zurighesi) del quale ri-corda l’entusiasmo per la ricerca, il coraggio nell’affrontare un compito tanto ampio e la massa di lavoro impressionante che riesce effettivamente a svolgere.

Il libro di Rüegg, quindi, pur atipico, si presenta come un prodotto non così tanto atipico in relazione ai tempi e alla scuola scientifica in cui si sviluppa, con i suoi interessi tra l’approccio e la metodologia (estesa) della geografia linguistica e l’attenzione ai fatti di uso effettivo della lingua. Gode pure indubbiamente della conoscenza di quanto da anni si stava già facendo per le differenti varietà nazionali e regionali parlate del tedesco4. Un bell’esempio di come una prospettiva in parte esterna possa attirare l’attenzione su nuovi aspetti degli studi di una lingua.

Per il valore storico che la ricerca di Rüegg ha oramai acquisito, ma anche per l’interesse ancora attuale di non poche delle riflessioni che essa contiene, ci è sembrata molto utile l’operazione di proporre ora, a distanza di tanti anni dalla pri-ma pubblicazione, una traduzione (non attualizzata5, per poter restituire in modo corretto la dimensione storica) di questo libro spesso citato ma finora poco letto. Il poter contare su un traduttore come Sandro Bianconi e sui due bei testi di Tullio de Mauro e Mathias Rüegg non fa che dare ancora più valore a quanto Robert Rüegg riuscì a fare e alla sua persona.

Non ci resta che sperare che non solo «Robert si rallegrerebbe sicuramente per un progetto del genere» (volendo citare il commento di uno dei suoi amici da noi contattato), ma che anche molti altri possano approfittarne6.

Bruno moretti

4 Ed è pure sintomatico in questo senso l’accenno aneddotico nel primo paragrafo alle deno-minazioni zurighesi di tipi differenti di caffè.

5 Come si vede bene per esempio nella terminologia utilizzata. Rimandiamo, per i chiarimenti necessari relativi alle scelte traduttive, alle note esplicative inserite da Sandro Bianconi.

6 Accanto al traduttore e agli autori dei due testi di accompagnamento e inquadramento, un ringraziamento particolare va ancora al figlio Mathias Rüegg, a Roger Friedrich (ex corrispondente della Neue Zürcher Zeitung, che ci ha inviato il necrologio), a Peter Blumenthal (che ha indagato la possibilità di richiedere il diritto di pubblicare il testo all’Università di Colonia) e ai signori Fritz Imhof e Hanspeter Schmutz, che ci hanno permesso di risalire ai famigliari di Robert Rüegg.

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Prefazione

UN RICORDO

Robert Rüegg fu per me anzitutto un nome, poi una recensione, la recensione in cui appariva il nome, e un libro, e libro restò per me per molti anni. Chiedo scusa se più d’una volta e specie all’inizio mi servirò del moi haïssable: è un singu-lare humilitatis necessario per attestare non solo quanto debbo a Rüegg, ma anche quali erano alcune condizioni degli studi sessant’anni fa (e, anche, quale era la mia imperizia).

Un antefatto, anzitutto. Nel 1958 l’emittente radiotelevisiva nazionale italiana, la RAI (che, come qualche esperto ha detto, era allora “un’altra RAI” rispetto all’oggi) insediò un comitato di grandi specialisti: a mia memoria ne facevano par-te, per esempio, Giacomo Devoto, Bruno Migliorini, Antonino Pagliaro e Alfredo Schiaffini. Il compito era preordinare per tempo un programma di trasmissioni radiofoniche di carattere culturale in vista della duplice occasione del millenario della lingua italiana, nel 1960, e del centenario dell’unità politica, nel 1961. In quel contesto fu deciso di affidare a me la preparazione del testo di sei trasmissioni sull’italiano dopo l’Unità. Io non solo ero alle prime armi, ma venivo da altri studi, la mia iniziale formazione era di indoeuropeista, sia pure maculata da interessi per la filosofia e per la semantica storica. Del tema affidato sapevo assai poco, quel che ricavavo da qualche frequentazione della filologia romanza e dall’insegnamento universitario di Alfredo Schiaffini. Capii allora che la scelta cadde probabilmente su me per motivi di contrasti ed equilibri tra gli accademici. La scelta fu una vera scommessa, da parte di quei grandi maestri, e da parte mia fu temerario accettarla. A ogni modo, mi buttai in un lavoro “matto e disperatissimo”, accumulando lettu-re e schede. E così mi imbattei nella recensione che Gianfranco Folena scrisse della Wortgeographie per «Lingua nostra» (XIX [1958], pp. 132-135). Erano poche pa-gine, ma densissime, come Folena più d’ogni altro sapeva fare, e calde e generose, come Folena sapeva essere ed era.

Nel mio lavoro ero ancora in cerca di un filo che mi permettesse di ordinare e capire la mole di materiali che cominciavo a esplorare e da cui mi sentivo schiac-ciato. Era del tutto evidente che in Italia non si era parlato e non si parlava solo

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italiano, ma anche dialetti, e mi pareva che una cosa interessante da capire fosse in che modo per la maggioranza della popolazione lingua nazionale e idiomi locali servissero egualmente a capirsi e farsi capire. Non conoscevo all’epoca Languages in contact di Weinreich ed ero lontano dal capire ciò che il Cours de linguistique générale saussuriano poteva insegnare nella direzione in cui, brancolando, cercavo di muovermi.

La recensione di Folena mi fece intravedere che il libro di Rüegg, almeno li-mitatamente a un settore di lessico, ma un settore vitale, per altro, nella quotidia-nità trattava proprio di come gli individui fossero, per riprendere oggi le parole di Weinreich, «il luogo del contatto tra lingue diverse». Mi misi alla ricerca del libro. Questo oggi può fare sorridere. Il libro non era presente nelle biblioteche romane. Non c’era neanche nella ben fornita biblioteca dell’Orientale di Napoli. Qui soltanto, per fare un esempio, esisteva allora una copia dei Travaux di Praga e qui, soltanto qui. Fu acquistata subito una copia di Syntactic Structures. Ma la Wortgeographie non c’era. Non conoscevo Folena, non sapevo bene dove vivesse, lui certo sarebbe stato la fonte migliore, ma non sapevo raggiungerlo né osavo far-lo. Avevo però fortunosamente conosciuto Giovanni Nencioni in occasione di una sua conferenza romana, gli avevo mandato qualche mio lavoro, mi feci coraggio e gli scrissi chiedendogli del libro. Gentilissimo, Nencioni mi disse che non posse-deva né aveva letto il libro, che gli risultava assente nelle biblioteche fiorentine. In aggiunta però mi fornì indirizzi privati di studiosi che potevano averlo. Scrissi e uno mi rispose dicendo che il libro forse lo aveva da qualche parte, che se insistevo lo avrebbe anche cercato, ma che non perdessi tempo a leggerlo: non ne valeva la pena.

Così decisi di provare a varcare i confini. Un mio amico e compagno di studi, Carlo De Simone, era diventato da poco assistente del grande Karl Krahe a Tübin-gen, gli scrissi chiedendogli aiuto. Pochi giorni dopo dalla eccellente biblioteca di quella Università mi arrivò la fotocopia della Wortgeographie.

Oggi, specie chi prenderà in mano questa riedizione, desiderata e benvenuta, si rende conto, credo, del carattere originale e innovativo del lavoro di Rüegg. Gli storici della lingua italiana, che cominciavano a esserci, tendevano in generale a occuparsi di testi antichi, in tal caso anche non letterari, ma, venendo verso tempi moderni, si occupavano pressoché solo di testi letterari italiani, di cui caratteriz-zavano lo stile. Le aperture di Leo Spitzer verso la Umgangssprache dei prigionieri di guerra italiani erano, credo di poter dire, poco o niente note. E gli studiosi di dialetti, che sapevano guardare alla contemporaneità, erano in generale interessati a ricostruire tratti autenticamente locali per definire la collocazione geolinguistica della parlata dialettale e non avevano interesse per macrofenomeni attuali come l’imponente e assai variabile e variegata penetrazione di italianismi. Rüegg avanza-va in quella che allora era in Italia, e non solo in Italia, una terra di nessuno. Non analizzava testi, intervistava soggetti dei due sessi e di varia età sparsi in diverse regioni. Ne accertava il vario livello culturale e sociale e le competenze idiomatiche

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e cercava di capire con pazienza certosina e con un andirivieni epistolare in che modo esprimessero d’abitudine un certo numero di nozioni relative al mondo della più trita quotidianità, come e quando usassero le parole prescelte, quali e da chi sentivano nel loro ambiente le stesse o altre parole alternative e, infine, che consi-derazione avevano delle parole che usavano o sentivano usare.

Il tipo di indagine di Rüegg sfuggiva ai canoni consolidati delle discipline ri-conosciute. Era un merito, come oggi possiamo vedere chiamando a raccolta i disiecta membra di alcuni studi antecedenti, che spesso erano soprattutto e solo enunciati teorico-programmatici, e analisi di taglio simile che di lì a poco, otto, die-ci anni dopo, avrebbero cominciato a esser praticate e riconosciute dall’accademia almeno in alcuni paesi come gli USA. Ma all’epoca quel merito fu fonte di dubbi. E, come ho appreso molti anni dopo da due illustri filologi svizzeri e dallo stesso Robert, i professori che lo avevano condotto alla tesi dottorale gli consigliarono con paterno affetto di cambiare strada e lasciar perdere la via degli studi linguistici. E il giovane, ovviamente, obbedì.

Torno al moi haïssable. Di canoni accademici accettati io sapevo ben poco. La Wortgeographie mi si impose come un testo chiave per quel che mi pareva di voler fare: esplorare per il possibile e cercare di intendere la vicenda italiana non dal punto di vista della lingua, di una lingua, ma dal punto di vista dei parlanti, quali che fossero gli idiomi per loro in gioco. Rüegg aveva avviato questa esplorazione con appassionata puntigliosa acribia. Accadde così che, consegnati nel 1961 i testi radiofonici, nel testo cui continuai a lavorare e che pubblicai come libro alcuni anni dopo, Storia linguistica dell’Italia unita (1963), il nome di Rüegg figurasse tra i nomi di studiosi più frequentemente citati, superato, salvo errore, soltanto da Migliorini e da Amerindo Camilli, valoroso esploratore delle effettive pronunce italiane. L’apporto della Wortgeographie mi pareva (continua a parermi) strategico specialmente per alcune questioni: cercare di capire come negli anni Cinquanta e nelle diverse regioni la gente comune vivesse l’alterno rapporto tra lingua nazio-nale e parlate locali; cercare di ipotizzare per l’uso parlato una stima quantitativa dell’uso esclusivo dell’italiano, di quello esclusivo del dialetto e dell’uso alterno delle due parlate, la nazionale e la locale; vedere in che misura, pur attraverso oscillazioni, i parlanti, anche in aree lontane, andassero costruendo con il loro convergere uno standard unitario di origini non scolastiche e talora a spese delle stesse varianti toscane, e come dal gioco di convergenze e divergenze andassero prendendo corpo, anche ben al di là del lessico della quotidianità, quelle che mi pareva dovessero chiamarsi varietà regionali di italiano.

Il libro dopo il 1963 cominciò a circolare. Di Rüegg non sapevo più nulla e mi chiedevo se l’avesse visto e che ne pensasse. Dall’assenza di indicazioni biblio-grafiche recenti e da qualche vaga notizia raccolta dai colleghi svizzeri che intanto avevo conosciuto, capii che doveva aver lasciato gli studi linguistici. Qualcuno mi disse che era diventato pastore protestante. Poi però ebbi finalmente notizie preci-se. Nel 1968 ero stato invitato dall’istituto italiano di cultura a Losanna e Lugano e

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fui invitato a Ginevra dall’università e, resa nota la cosa, anche da alcune università della Svizzera tedesca. Il mio tour si concluse a Zurigo. Dovevo parlare della situa-zione linguistica italiana. Fui gentilmente e onorevolmente presentato da due illu-stri studiosi, il grande retoromanista Konrad Huber e il più giovane ma non meno autorevole romanista Gerold Hilty. Dopo il mio speech i due mi presero da parte e con molta circospezione mi chiesero se conoscevo di persona Robert Rüegg. No? E come mai lo citavo tanto nella mia Storia? Risposi più o meno quel che ho detto più su. Ma valeva la pena che Rüegg riprendesse e sviluppasse quel suo lavoro? Dapprima non capii il senso della domanda. Pazientemente mi spiegarono quel che ho già accennato prima: a Robert, dopo la pubblicazione della dissertazione, viste perplessità e freddezze nelle reazioni dell’ambiente degli specialisti, era stato consigliato di non insistere nella strada intrapresa, di lasciar perdere la via dell’u-niversità e dedicarsi ad altro. Risultava che così il giovane aveva fatto. Però, mi dissero, dopo la lettura del mio libro aveva pensato di riprendere quel suo primo lavoro e di chiedere un finanziamento per potervisi dedicare. Era il caso che gli venisse dato? Annuii con tutto il calore possibile.

Fu così che parecchi mesi dopo Robert Rüegg poté tornare in Italia, venne a Roma e potei finalmente conoscere la sua persona mite e gentile, nobilmente candido fino quasi all’ingenuità. Davvero non fatto per la vita accademica. Il suo progetto di ripresa e continuazione era stato approvato e gli era stato concesso il finanziamento. Mi raccontò anche lui a sua volta dei consigli che aveva ricevuto e che lo avevano allontanato dal proseguire immediatamente sulla via della lingui-stica. Mi accennò, con tutta la sua modestia riduttiva, al fatto che nel frattempo aveva intrapreso e ormai completato un altro lavoro al momento in via di pubbli-cazione. Soltanto molto tempo dopo ho capito di che si trattava, era un’altra opera innovativa e davvero monumentale, la raccolta sistematica degli Haussprüche, delle iscrizioni su case, edifici pubblici, chiese, edicole religiose nella valle Prättigau, nei Grigioni, una valle in cui da molto tempo il romancio ha ceduto il passo al tedesco. Un tema e materiali diversi, ma pur sempre, oggi mi parrebbe di dover dire, raccolti con lo stesso spirito di osservatore attento e minuzioso e di interprete partecipe delle testimonianze di lingua, di vita e cultura della gente comune. Tor-nando alle ricerche della Wortgeographie, ora il suo progetto era trasferire l’indagi-ne dalle persone o dalle sole persone ai libri. Negli scrittori italiani contemporanei percepiva quel che Luca Serianni ha di recente chiamato «uscita dalla roccaforte letteraria». In tutti, dal più al meno, la prosa dalla metà del Novecento si è fatta sempre più cordialmente vicina all’uso parlato dell’italiano che, intanto, rispetto agli anni Cinquanta, si è andato dilatando e ciò, come forse oggi vediamo meglio, in duplice senso: per il suo accresciuto uso nel parlato a spese dell’uso esclusivo dei dialetti e per il complementare ampliarsi, anche fuori della Toscana, della sua sfera semantica e pragmatica dalla formalità spesso un po’ inamidata del parlare in pubblico o con estranei o nelle scuole anche all’ambito della quotidianità, degli affetti, della vita privata, l’ambito riservato prima, tolta l’area fiorentina, ai dialetti.

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L’impressione da cui egli moveva era che sempre più largamente elementi e stilemi colloquiali figurassero ormai tra le risorse abituali degli scrittori, e anche questa è cosa che oggi possiamo vedere e affermare con qualche sicurezza. Aveva comin-ciato a schedare i libri che veniva leggendo, tra gli altri Pavese, Cassola, Rea, mi pare di ricordare. Venire in Italia gli serviva per controllare dal vivo gli indizi di colloquialità o di regionalità che andava cogliendo nelle pagine scritte.

La vicenda non ebbe un lieto fine dal punto di vista degli studi. Tornato in Svizzera, dopo un lungo silenzio Rüegg mi scrisse che il lavoro era andato avanti, ma che gli pareva lontano dall’essere completato senza ulteriori ricerche e senza altre incursioni sul campo in Italia. Aveva quindi chiesto un rinnovo del finan-ziamento, ma gli era stato negato. Continuare e viaggiare a sue spese non poteva permetterselo. Con grande generosità mi offrì di mettermi a disposizione le schede raccolte, perché me ne appropriassi e portassi io a compimento il lavoro. Lascio ad altri il giudizio, a tratti ancora mi pento di non averlo accettato, allora a me parve doveroso rifiutare l’offerta e, invece, invitarlo insistentemente a vincere lo scoraggiamento e a pubblicare comunque, intanto, il materiale già raccolto. Non mi rispose, il mio rifiuto probabilmente gli dispiacque, certo è che i nostri rapporti personali si esaurirono.

Non si è esaurito invece il mio debito di riconoscenza ma soprattutto, oggi che possiamo avere una visione più chiara dello svolgersi degli studi, non si è esaurita la prima percezione di innovatività e originalità del percorso di ricerca di Rüegg. Folena aveva ragione e, diis adiuvantibus, spero in altra sede di poter sia argomen-tare più distesamente, col senno di oggi, quella percezione sia mettere anche in evidenza la continuità profonda degli interessi e delle opere di Robert Rüegg.

tuLLio de mauro

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introduzione

LETTERA A MIA FIGLIA SUL NONNO ROBERT

Vienna, 25.9.2008Cara Naima,purtroppo sai molto poco del nonno. A causa della grande differenza d’età e

della distanza geografica. Sarebbe forse ora che ti raccontassi alcune cose di lui. Di un grande uomo dall’aspetto insignificante, leggermente curvo, con una lunga barba grigioargento, al quale anni fa, in una strada di Gossau, i bambini hanno chiesto: «Vecchio, TU sei san Nicolao?». E non avevano tutti i torti, perché effet-tivamente mio padre ha qualcosa di “santo”. Prima di tutto, certamente, la sua co-erenza spartana che gli avrebbe permesso di vivere da eremita come Nicolao della Flüe (1417-87), uno svizzero asceta e mistico che allora aveva salvato la Svizzera dalla minaccia della guerra civile, e che negli ultimi anni si nutriva solo di acqua di sorgente. Perché mio padre non abbia fatto questa scelta, non sono in grado di dirtelo. Anche se il nonno è molto disponibile e molto socievole in una compagnia (scelta), tuttavia preferisce stare solo. Con i suoi libri, nella natura, in preghiera. Un eremita socievole, per così dire. L’ascesi è la sua grande passione: si alza molto presto la mattina, è quasi vegetariano e molto parco, non si fa tentare da nulla. La sua unica droga è un cervello lucido, e non ho mai incontrato una persona con una memoria così portentosa.

E naturalmente è anche mistico. Ma nelle sue cerchie religiose di amici ci sono persone che potrebbero dire più cose di me. Comunque mi ricordo alcune incredi-bili interpretazioni di sogni che hanno influenzato positivamente importanti scelte della mia vita. E vorrei anche citare alcuni suoi successi terapeutici. Ricordo una ragazza più o meno della tua età, che venne dai miei genitori a causa di gravissimi problemi motori. La psichiatria l’aveva bollata come “inguaribile”. Quando tre set-timane dopo la giovane lasciò casa nostra, era guarita e andò alla stazione a piedi.

Il motivo della propensione di papà per l’eremitaggio, l’ascesi e la mistica è probabilmente da ricercare in una grave malattia psichica, che in giovane età gli tolse per mesi la parola. E dopo avere guardato negli occhi la pazzia, diventò pro-fondamente religioso, e la fede cristiana avrebbe segnato la sua vita.

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Ma il nonno è una persona del tutto “normale” che ha studiato romanistica e che io ho conosciuto come maestro buono, giusto e felice. Hai ricevuto poco tem-po fa la sua raccolta di poesie francesi pubblicata per l’insegnamento. Ed è stato il primo a introdurre i fumetti (Asterix e Obelix) nella scuola di Schiers, cosa che noi tutti abbiamo trovato molto “cool”. E lui con noi! Anche se non aveva mai atteg-giamenti di fishing-for-compliments. Forse anche perché non è un artista superbo?

Ha invece doti musicali, e fino a poco fa suonava il violino in un quartetto. E naturalmente a casa si cantava molto, insieme con mia madre, che suonava molto bene la viola. Come sai, ho anche musicato alcune sue poesie religiose. È stata una buona scuola per me! Non ho potuto trasmetterti il canto, invece l’ho fatto con un’altra tradizione famigliare, di cui era corifea la tua bisnonna ebrea ungherese. Indovini? Srabble, giusto! In questo sei già a un buon livello e dopo il tuo sog-giorno negli USA mi batterai, almeno in inglese. E così come tu frequenti un anno scolatico negli Stati Uniti, alla vigilia della seconda guerra il nonno trascorse un anno come studente a Parigi. La lingua è la sua maggiore dote intellettuale. Come premessa, latino e greco perfetti. Per non dimenticare le sue incursioni nel russo e nell’ebraico, oltre alle conoscenze dell’inglese e dello spagnolo scritti, che non lasciano a desiderare. Straordinaria era però la sua competenza in francese, italiano e ovviamente in tedesco. I miei musicisti francofoni e italofoni mi dicono che non osavano usare queste lingue con lui tanto le parlava perfettamente. La cantante italiana Anna Lauvergnac mi ha detto che non ha mai trovato un errore nelle sue lettere in italiano. Il suo interesse letterario è evidente nei diversi circoli di lettura da lui organizzati, in cui si discute di nuove pubblicazioni tedesche, francesi e italiane, soprattutto con giovani. Ma sono convinto che il suo libro preferito è, naturalmente dopo la Bibbia, Witiko di Adalbert Stifter, il famoso autore austriaco biedermeier.

Forse in futuro, se intraprenderai studi linguistici (te l’ho detto: l’arte non dà pane!), dovresti leggere la sua tesi di laurea, che tratta delle particolarità regionali dell’italiano parlato. Solo allora ti renderai conto delle sue notevoli doti nell’af-frontare e comprendere una materia complessa. Che tuo nonno sia dotato per le scienze naturali quasi come per quelle linguistiche, l’ho sempre vissuto come una provocazione. Purtroppo era assai dotato anche nello sport, in particolare nel ten-nis, il ping pong, il bigliardo e il judo, attività che esigono molta tecnica, concentra-zione e senso dell’equilibrio, l’ideale per un piccolo uomo costretto a supplire alla mancanza di potenza fisica con l’abilità e la resistenza. Naturalmente le continue sconfitte mi facevano arrabbiare, come capita talvolta a te nei miei confronti. Il fatto è che tra mio padre e me c’è una costante competizione (da tempo del tut-to pacifica), proprio nella prospettiva freudiana di elaborazione del complesso di Edipo. C’è un unico campo nel quale sono migliore di mio padre, ed è la creatività. È forse per questo che sono diventato artista?

Ammirevole è pure l’opera di tutta la sua vita sul folclore, un inventario pre-ciso e acribico delle iscrizioni sulle case della Prättigau, al quale ha lavorato per

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oltre dieci anni. L’ho accompagnato sovente nei suoi giri e mi ha fatto conoscere anche la natura di cui è esperto. E in maniera tale che oggi ancora mi nutre. Spesso parlava e discuteva di politica e del valore della tradizione con la gente del posto. Ma credo che non lo capissero davvero, perché non dava mai confidenza. E anche la differenza di livello delle eventuali battute era sicuramente troppo marcata. Il libro conta 497 pagine e si trova nel mio archivio. Dovresti sfogliarlo, una volta o l’altra. Come pure i numerosi resoconti di viaggio, veri gioielli. E naturalmente le ricerche sugli antenati ebrei nella Slovacchia di oggi, una cronaca famigliare con sorprendenti notizie, dunque una parte delle tue radici! Molti documenti straordi-nari ripresi con estrema esattezza, ai quali puoi avere accesso quando vuoi.

Ma tuo nonno è evidentemente anche un uomo, un marito. Assolutamente fedele e affidabile, mai sopra le righe e mai rozzo. La prima moglie Annemarie, mia madre, di dodici anni più anziana, l’ha curata fino alla morte, per poi sposare la governante Lily che da più di quindici anni abitava sotto lo stesso tetto, e che ha curato in un modo altrettanto commovente. E se vuoi sapere esattamente come era tuo nonno come padre, trovi nell’archivio di famiglia un libro tra l’ironico e lo scherzoso dal titolo Immagini paterne, che gli ho regalato per i suoi settantacinque anni. Titoli dei capitoli sono tra gli altri: il viandante, il giocatore, il collezionista, il fondamentalista, l’amministratore di ricordi, l’intenditore, il pedante, il modesto, l’ipocondriaco, il visionario, il pedagogo bianco e nero, il drammaturgo, l’uomo che sarà. Più avanti, quando diventerai madre, si concluderà un altro capitolo, e questo confronto potrebbe diventare appassionante per te.

Che tuo nonno non dia mai importanza al denaro, agli status-symbol e al suc-cesso, è cosa che tu stessa hai conosciuto. E che egli sia molto generoso, è noto. Si potrebbe quasi dire che finora mio padre abbia fatto molte cose giuste – quasi tut-te?. Quando vado a trovarlo, circondato com’è da un’aura di pace e conciliazione, mi sento poi forte e invincibile e so che tutto andrà bene.

Ma ora ha quasi ottantanove anni e non sta più bene. E cos’è l’ultima grande sfida nella vita, in cui molti falliscono? Giusto, è la morte. La cosa, per te appena sedicenne, potrà sembrare molto strana, ma prendila per quello che è. Mio padre ha cominciato a prepararsi alla morte due anni or sono, provvedendo minuziosa-mente a tutto (spiritualmente il confronto era cominciato molto prima, è naturale). A poco a poco si è separato da tutti i libri, i mobili e gli oggetti ricordo: è per questo che l’archivio di famiglia si trova a casa nostra. Ha redatto per tempo il testamento, ha prenotato per Lily un posto nella casa per anziani e le ha destinato mezzi finanziari sufficienti. Ha pensato a tutte le possibili formalità per il funerale, fino alla redazione dell’annuncio funebre senza data e agli indirizzi delle buste. Certo, da lui ho imparato a organizzarmi, e anche a viaggiare. Così come tu l’hai imparato da me. Lo sai, a luglio siamo andati a trovarlo insieme, e si è interessato molto del tuo anno scolastico in America, era lucido di mente e gli si poteva parlare come sempre!

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Tuttavia, alcuni giorni dopo ha avuto un forte attacco dal quale non si è più ripreso. L’ho rivisto dieci giorni fa, ormai era deperito, pesava trentaquattro chili, era in stato confusionale. Nei momenti di lucidità sapeva ancora citare Wedekind senza problemi e abbiamo condiviso ultimi intensi momenti. Ricordo che una vol-ta mi aveva raccontato degli eschimesi che, quando sentono avvicinarsi la fine, si alzano e vanno tra i ghiacci.

Vegetare in stato confusionale e in una condizione di totale dipendenza non sarebbe stato degno di lui. Lo sapeva e si è preparato. Un ultimo grande atto, riservato alle personalità eccezionali: Robert Rüegg ha preso congedo da Lily il pomeriggio del 23 settembre 2008 con le parole «Ci rivedremo in cielo», e verso le 22 è morto sereno nella casa di cura di Gossau, proprio come disse Francesco d’Assisi: «Improvvisamente mi fermai e lasciai questo mondo».

[...]

mathiaS rüegg

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nota deL traduttore

Il criterio di fondo che ho seguito nel mio lavoro di traduzione è stato quello di rispettare rigorosamente il testo originale, senza alcuna pretesa di attualizzarlo. La tesi di laurea di Robert Rüegg viene dunque pubblicata come documento “storico”.

Tre esempi dal punto di vista terminologico: ho tradotto- Onomasiologik / onomasiologisch con onomasiologia, onomasiologico, rinun-

ciando ai più attuali geosinonimo, geosinonimico. - Glottotechnik con glottotecnica, escludendo il più comune linguistica applicata. - Umgangssprache con lingua parlata, rifacendomi al testo originale del que-

stionario d’inchiesta redatto in italiano dallo stesso Rüegg (vedi p. 80), e ri-nunciando a termini entrati nell’uso successivamente, quali italiano dell’uso medio o neostandard. Per Umgangssprache Rüegg conosceva sia lingua parlata media sia lingua dell’uso (vedi infra, pp. 56-57), formulazioni usate da Miglio-rini tuttavia con connotazione negativa: [la lingua dell’uso] «si distingue per la sua banalità, per la sua genericità» (vedi B. Migliorini, Lingua e cultura, Roma, Tumminelli, 1948, p. 50).

Dov’era il caso, ho messo in nota eventuali mie osservazioni. Poiché l’editore tedesco si è limitato a stampare il dattiloscritto di Rüegg tal

quale, con i limiti di carattere formale dovuti alla scarsa competenza settoriale dell’autore, in alcuni casi si è reso necessario un intervento di editing per conferire all’aspetto tipografico una veste accettabile e uniforme.

Sandro Bianconi

Ai miei genitori

INDICE

A. Premessa p. 31 Bibliografia » 32 a. Testi analizzati » 32 1. Dialoghi di film » 32 2. Giornali » 32 3. Scrittori » 33 b. Dizionari italiani (lingua scritta, dialetti, bilingui, citati in ordine cronologico) » 33 c. Lingua e cultura italiane » 35 d. Altre lingue » 38 Abbreviazioni e segni » 40 a. Generali » 40 b. Nelle liste della parte C (analisi) » 40 c. Nomi di città » 40 d. Gli informatori » 41 Osservazioni » 44

B. L’inchiesta. Fondamento e metodologia 1. Il tema » 49 1.1 Lo spunto » 49 1.2 Il senso » 49 1.3 Problemi » 51 1.4. Definizioni » 54 1.5 Ambiti » 58 1.6 Procedimento » 58 2. Le fonti » 58 2.1 Scritti linguistici » 58 2.1.1 Regionalismi » 58 2.1.2 Dialettismi » 59 2.1.3 Sinonimi » 60 2.2 Dialoghi di film » 60

2.3 Giornali » 62 2.4. Scrittori » 63 2.5 Informazioni » 64 3. La scelta » 64 3.1 L’inchiesta analogica nello svizzero tedesco » 64 3.2 L’inchiesta test » 66 3.3 Il questionario » 67 3.3.1 Dimensione » 67 3.3.2 Esclusioni » 67 3.3.3 Impostazione » 68 3.3.4 La singola domanda » 69 3.3.5 La forma esteriore » 71 4. L’inchiesta » 72 4.1 La rete dei punti – la Corsica » 72 4.2 I rilevamenti » 75 4.2.1 Progetto » 75 4.2.2 L’Italia a Zurigo » 76 4.2.3 L’Italia a Pisa » 79 4.2.4 L’Italia per corrispondenza » 80 4.2.5 Metodologia ed esperienze » 80 a. Nei rilevamenti scritti » 80 b. Nei rilevamenti orali » 83 4.3 Il valore dell’inchiesta » 88

C. L’analisi1. Domande e risposte: quadro d’insieme sommario statistico e

geolinguistico » 91 1.1 Premessa » 91 1.2 La resa grafica » 92 1.3 Concetti 1-242 ordinati secondo gli ambiti » 92 Famiglia » 92 Bambini e giochi » 93 Corpo e salute » 94 Cibo » 95 Abbigliamento e simili » 98 Abitazione » 99 Lavoro e mestieri » 101 Commercio e denaro » 101 Società » 102 Tempo (meteo e crono) » 103 Ristorante e simili » 104 Scuola e chiesa » 105

Stato e patria » 106 Città e traffico » 107 1.4 Lingua parlata e lingua letteraria » 108

2. Geolinguistica della lingua parlata sulla base di dieciconcetti considerati dal punto di vista sincronicoe diacronico » 110

2.1 Premessa » 110 2.2 Concetti » 111 53. Zucca » 111 80. Servizio da tavola » 114 108. Appartamento » 117 188. Ieri l’altro » 125 187. Domani l’altro » 130 165. Battere qualcuno » 135 29. A rimpiattino » 140 205. Marinare la scuola » 145 237. Autista » 157 239. Autorimessa » 163

D. Sintesi » 171

E. Indice dei concetti italiani citati » 175

Cartina d’Italia e della Svizzera italiana con i punti dell’inchiesta » 181

31

a.

PremeSSa

Devo il tema e generosi consigli al prof. K. Huber, l’introduzione alla geografia linguistica al prof. J. Jud †, preziosi suggerimenti per l’indagine sincronica al prof. A. Steiger.

Nel corso dei lavori ho constatato che una trattazione dell’intero materiale raccolto avrebbe comportato la rimessa in discussione dei confini di una tesi di laurea. Per questo motivo lo studio tratta a fondo soltanto i principi generali e metodologici di un’indagine geolinguistica sull’italiano parlato. Presenta in modo sintetico i risultati e offre parecchi esempi di analisi approfondita. Il materiale ori-ginale completo, cui si aggiungono le informazioni pervenute successivamente1, verrà messo a disposizione della ricerca nella forma di un’opera di consultazione.

Accogliendo generosamente questo lavoro nella collana dell’Università di Co-lonia, il prof. Schalk ne ha molto facilitato la pubblicazione e la diffusione. La mia sincera gratitudine va anche agli anonimi informatori italiani e ticinesi che si sono messi a disposizione senza alcuna contropartita per i rilevamenti linguistici.

Zurigo, gennaio 1956

1 Vedi alle pp. 142 sgg., 150-154 ecc. Finora ci sono integrazioni provenienti da: Belluno, Mantova, Cuneo, Genova, La Spezia, Urbino, Ascoli Piceno, Orvieto, Roma, Chieti, Foggia, Co-senza, Palermo.

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BiBLiografia

a. Testi analizzati

1. Dialoghi di film (vedi p. 60; è sottolineata la parte del titolo citata)

titolo anno di produzione sceneggiaturaLa città si difende 1951 Cines Fellini, Penelli, ComenciniLa prima comunione 1950 Universalia Zavattini, Cecchi d’Amico,

BlasettiCronaca di un amore 1950 Villani AntonioniDomani è un altro giorno 1951 Excelsa MoguyDon Camillo 1952 Dear/Rizzoli-Amato (Guareschi)Due soldi di speranza 1951 Universalciné Castellani/De FilippoLadri di biciclette 1949 PDS (de Sica) ZavattiniLa lupa 1953 Ponti/de Laurentiis (Verga)Il mondo le condanna 1953 Film Costellazione Fabbri,VasileL’onorevole Angelina 1947 Ora Film Fellini, D’Amico, Zampa, Za-

vattiniÈ primavera 1949 Universalciné Castellani, d’AmicoProibito rubare 1949 Lux-Film d’Amico, ComenciniRoma città aperta 1945 Excelsa-Minerva AmideiSciuscià 1946 Soc.coop.Alfa Amidei, Franci, Viola, Zavat-

tiniSensualità 1952 Ponti/De Laurentiis Fracassi, ConciniSiamo donne 1953 Titanus/Costellazione variLa terra trema 1948 Universalia ViscontiUmberto D 1953 Rizzoli-Amato ZavattiniI vitelloni 1953 PEG/Cité films FelliniVivere in pace 1947 Lux-Pao d’Amico, Tellini, ZampaVulcano 1949 Artisti Associati Tellini, Stoloff

2. Giornali (vedi p. 62; P: piccola pubblicità, N: necrologia, C: cronaca locale; luglio-dicembre 1954/marzo-aprile 1955)

Milano: Nuovo Corriere della Sera, Corriere d’InformazioneToscana: La Nazione italiana, Il TirrenoRoma: Il Giornale d’Italia, Il Messaggero, Il Tempo, Marc’AurelioNapoli: Il Mattino

33

3. Scrittori (vedi p. 63)

Alvaro Corrado Alvaro, Gente in Aspromonte, Firenze 1930Bassani Giorgio Bassani, La passeggiata prima di sera, Firenze 1953Brancati Vitaliano Brancati, Don Giovanni in Sicilia, Milano 1944, 5a ed.Comisso Giovanni Comisso, Capriccio e illusione, Milano 1947Moravia Alberto Moravia, Operazione Pasqualino, in Corriere della Sera, 10.10.1954Ortese Anna Maria Ortese, Il mare non bagna Napoli, Torino 1953Pavese Cesare Pavese, Il compagno, Torino 1947Pratolini I Vasco Pratolini, Cronache di poveri amanti, Firenze 1947 (5a ed.)Pratolini II Vasco Pratolini, Mestiere di vagabondo, Milano 1947Quarantotti P.A. Quarantotti-Gambini, L’onda dell’incrociatore, Torino 1947Rea Domenico Rea, Spaccanapoli, Milano 1947Scotellaro Rocco Scotellaro, Contadini del sud, Bari 1954 (2a ed.)Svevo Italo Svevo, Corto viaggio sentimentale e altri racconti, Milano 1949 (1928)Valeri Diego Valeri, Fantasie veneziane, Milano 1934

b. Dizionari italiani (lingua scritta, dialetti, bilingui, citati in ordine cronologico)

1568 O. Toscanella, Dittionario volgare et latino, Venetia1595 Dictionariolum hexaglosson... (M.Peter Vollenans de Jonge von Antwerpen) Cöllin1596 F. Venuti da Cortona, Dittionario volgare et latino, Pavia1605 L. Hulsius, Dictionarium Teutsch-Italiänisch und I.-T., Francfurt a.M. 07 C. de La Casas, Vocabulario de las dos lenguas toscana y castellana, Venetia 08 Vocabolario degli Accademici della Crusca, Venetia 09 H. Victor, Tesoro de las tres lenguas francese, italiana y espanola, Genève 27 J. Crespin, Le Thrésor des trois langues, espagnole, françoise, et italienne 29 A. Politi, Dittionario toscano, Venetia 36 L. Franciosini, Vocabolario italiano e spagnolo 44 F.A. Calepino, Dictionarium septem linguarum, Venezia 48 G. Alemanni, Haubtschlüssel der teutschen und italiänischen Sprache, Augspurg 78 M. Kramer, Das neue Dictionarium oder Wort-Buch in teutsch-italienischer Sprach,

Nürnberg1700 N. di Castelli, Fontana della Crusca overo Diczionario italiano-tedesco e t.-i.-, Leipzig 07 Alessio/Tomaso, Tesoro della lingua greca-volgare ed italiana, Parigi 68 RO-Marche, Raccolta di voci romane e marchiane, con prefazione di C. Merlo,

Roma 1932 89 NA Vocabolario delle parole del dialetto napoletano che più si scostano dal dia-

letto toscano, Napoli 96 PD G. Patriarchi, Vocabolario veneziano e padovano co’ termini corrisponden-

ti toscani, Padova1817 BS G.B. Melchiori, Vocabolario bresciano-italiano, Brescia 27 MN F. Cherubini, Vocabolario mantovano-italiano, Milano 35 BO C.E. Ferrari, Vocabolario bolognese-italiano, Bologna 37 Gr.Diz. Grande Dizionario italiano-tedesco e italiano-tedesco, 2 voll., Milano 39 MI F. Cherubini, Vocabolario milanese-italiano, Milano 1839-1843

34

45 CO P. Monti, Vocabolario dei dialetti della città e diocesi di Como, Milano 47 VE Dizionario tascabile del dialetto veneziano, Padova 52 Sard. G. Sprano, Vocabolario italiano-sardo e sardo-italiano, Cagliari 53 Tosc. G. Giuliani, Delizie del parlare toscano, Firenze 1897 (1853-1880) 55 Alb. Il nuovo Alberti. Dizionario enciclopedico italiano-francese, Milano,

1855-1859 56 PR C. Malaspina, Vocabolario parmigiano-italiano, Parma 1856-1859 58 Tomm. B.N. Tommaseo e B. Bellini, Dizionario della lingua italiana, nuova ri-

stampa, Torino, 1929 63 Sic. M. Castagnola, Fraseologia sicolo-toscana, Catania 63 Cr. Vocabolario degli Accademici della Crusca, 5a impress., A-O, Firenze,

1863-1923 67 VE G. Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, 3a ed., Venezia 1867 68 Sic. A. Traina, Vocabolario siciliano-italiano, Palermo 69 BO C. Coronedi Berti, Vocabolario bolognese-italiano, Bologna 73 BG A. Tiraboschi, Vocabolario dei dialetti bergamaschi antichi e moderni, 2a ed. 73 NA R. d’Ambra, Vocabolario napoletano-toscano domestico di arti e mestieri 80 CR Il nuovo Peri: Vocabolario manuale cremonese-italiano 82 MN F. Arrivabene, Vocabolario mantovano-italiano 82 NA R. Altavilla, Nomenclatura metodica italo-napoletana 83 Tosc. G. Rigutini e P. Fanfani, Vocabolario della lingua parlata, Firenze 87 Petr. P. Petrocchi, Novo dizionario universale della lingua italiana, Milano s.d.

(1887-1891) 88 NA A. Greco, Nuovo dizionario napolitano-italiano 89 TS E. Kosovitz, Dizionario-vocabolario del dialetto triestino e della lingua

italiana 89 AN L. Toschi, Dizionario anconitano-italiano, parte I, Castelplanio 90 FE L. Ferri, Vocabolario ferrarese 91 Cal. F. Romani, Calabresismi, Teramo 92 BA G. Zonno, Nomenclatura barese-italiana 93 MO E. Maranesi, Vocabolario modenese-italiano 93 Abr. G. Finamore, Vocabolario dell’uso abruzzese, 2a ed., Città di Castello 95 CZ R. Cotronei, Vocabolario calabro-italiano, I, dialetto catanzarese 96 Piem. G. Gavuzzi, Vocabolario italiano-piemontese, Torino 97 MI F. Angiolini, Vocabolario milanese-italiano 98 Umb. E. Conti, Vocabolario metaurense, Cagli1900 VR G.L. Patuzzi-G. e A. Bolognini, Piccolo dizionario del dialetto moderno

della città di Verona 02 LU I. Nieri, Vocabolario lucchese 03 BO G. Ungarelli, Vocabolario del dialetto bolognese 04 TN V. Ricci, Vocabolario trentino-italiano 05 Umbr. C. Trabalza, Saggio di vocabolario umbro-italiano e viceversa, Foligno 06 BG M. Carminati-G.G. Viaggi, Piccolo vocabolario bergamasco-italiano, Lovere 07 Abr. F. Romani, Abruzzesismi, 3a ed., Firenze 09 RC G. Malaro, Vocabolario dialettale calabro-reggino-italiano

35

10 GE G. Frisoni, Dizionario moderno genovese-italiano e ital.-genov. 10 Tosc. O. Hecker, Il piccolo Italiano, 4a ed., Freiburg i.B., 1917 (1910) 13 AL L. Parnisetti, Piccolo glossario etimologico del dialetto alessandrino 14 TN G. Corsini, Piccolo prontuario del dialetto di Trento e del suo circondario,

2a ed. 14 Sic. E. Nicotra d’Urso, Nuovissimo dizionario siciliano-italiano..., Catania 16 VE G. Piccio, Dizionario veneziano-italiano 17 LU G. Giannini e I. Nieri, Lucchesismi, Livorno 24 Piem. B.A. Terracini, Esercizi di traduzione dai dialetti del Piemonte, Torino 24 MT F. Rivelli, Casa e patria, ovvero Il dialetto e la lingua... 29 AN L. Spotti, Vocabolarietto anconitano-italiano 30 Abr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, Casalbordino 30 Sard. V. Martelli, Vocabolario logudorese-campidanese-italiano, Cagliari 32 Cal. G. Rohlfs, Dizionario dialettale delle Tre Calabrie, Halle-Milano 34 PV A. Annovazzi, Nuovo vocabolario pavese-italiano, Pavia 35 Friul. Il nuovo Pirona, Udine 39 PI G. Malagoli, Vocabolario pisano, Firenze 40 Pal. F. Palazzi, Novissimo dizionario della lingua italiana, Milano 43 Migl.W. B. Migliorini, Der grundlegende Wortschatz des Italienischen, Marburg 44 SI Raccolta di voci e modi di dire in uso nella città di Siena e nei suoi dintorni 45 RO F. Chiappini, Vocabolario romanesco, 2a ed. 53 Capp.M G. Cappuccini-B. Migliorini, Vocabolario della lingua italiana, Torino 54 Lazz.N C. Lazzioli-G. Nemi, Novissimo dizionario delle lingue italiana e tedesca,

Brescia

c. Lingua e cultura italiane

Abruzzesismi F. Romani, Abruzzesismi, 3a ed., Firenze 1907Acc. Bollettino d’informazione della R. Accademia d’Italia, LN 1941Aeppli F. Aeppli, Die wichtigsten Ausdrücke für das Tanzen, Beiheft 75 der ZrPh,

1925AIS K. Jaberg e J. Jud, Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, Zo-

fingen 1928-1937AIS-Einf. K. Jaberg e J. Jud, Der Sprachatlas als Forschungsinstrument, Halle 1928ALCat Atlas lingüistic de Catalunya, per A. Griera, 4 voll., Barcelona 1923 - ... ALEIC G. Bottiglioni, Atlante linguistico etnografico italiano della Corsica, Pisa

1933-1941Amicis E. de Amicis, L’idioma gentile, Milano 1906Bertoni G. Bertoni, La lingua letteraria e il toscano, Archivum Romanicum 25, 3Bezzola g. R. R. Bezzola, Abbozzo di una storia dei gallicismi italiani nei primi secoli,

Zurigo 1924Bezzola r. R.R. Bezzola, Von rana zu crine. Zum Wort- und Sachproblem in der ital.

Umgangssprache. Festschrift J. Jud, Genève-Zürich 1943Bonfante G. Bonfante, Note sui nomi della guancia e della mascella in Italia, Biblos

XXVII, 1951, CoimbraBossh. H. Bosshard, Saggio di un glossario dell’antico lombardo, Firenze 1938

36

Bosshard H. Bosshard, Corso d’italiano per scuole superiori di lingua tedesca, Aarau 1954

Braunfels W. Braunfels, Mittelalterliche Stadtbaukunst in der Toskana, Berlin 1953Calabresismi F. Romani, Calabresismi, Teramo 1891Calgari G. Calgari, Strade d’Italia, Ia serie, Locarno 1953Cam. S. Camugli, Les mots italiens... groupés d’après le sens, Paris 1943Cam.De. S. Camugli et G. Delpy, L’italien parlé. Guide de conversation et de voca-

bulaire, Paris 1946Capp.M G. Cappuccini-B. Migliorini, Vocabolario della lingua italiana, Torino

1953Caretti L. Caretti, Noterelle calcistiche, LN 1951Castellani A. Castellani, Nuovi testi fiorentini del Dugento, Firenze 1952Cerr.R. F. Cerruti e L.A. Rostagno, Vocabolario della lingua italiana, Torino 1939Comisso II G. Comisso, Capricci italiani, Firenze 1952Correttore E. Milano, Il correttore degli errori più comuni di grammatica e di lingua,

Torino 1937Croce B. Croce, La Spagna nella vita italiana durate la Rinascenza, Bari 1941Crusca Vocabolario degli Accademici della Crusca, 5a impress., Firenze 1863-1923DEI C. Battisti e G. Alessio, Dizionario etimologico italiano, (A-Ra) Firenze

1950-1954Devoto P. G. Devoto, Profilo di storia linguistica italiana, Firenze 1953Devoto R. G. Devoto, Storia della lingua di Roma, Bologna 1940Diez F. Diez, Romanische Wortschöpfung, Bonn 1875Doc.ted. Documenti. Berichte über das Leben in Italien, RomDoc.it. Documenti di vita italiana, RomaEdler F. Edler, Glossary of medievals terms of business, ital.series 1260-1600,

Cambridge (Mass) 1934Encicl. Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, Roma 1929-1949Fanf.A. P. Fanfani e C. Arlìa, Il lessico della corrotta italianità, Milano 1877Giuliani G. Giuliani, Delizie del parlare toscano, Firenze 1897Giusti U. Giusti, Armonie e contrasti di ambiente e di vita in Italia, Roma 1945Gossen C.Th. Gossen, Sinonimi e paronimi di accidente, LN 1953Guarnieri S. Guarnieri, Carattere degli italiani, Torino 1948Hallig-W. R. Hallig u. W. von Wartburg, Begriffssystem als Grundlage für die Lexiko-

graphie, Berlin 1952Hecker O. Hecker, Il piccolo italiano, 4a ed. Freiburg i.B. 1917Heinimann S. Heinimann, Bedeutungsentlehnung durch die italienische Tagespresse im

ersten Weltkrieg, Genève-Zürich 1946Herzog P. Herzog, Bezeichnung der täglichen Mahlzeiten, Zürich 1916Jaberg K. Jaberg, Mundarten und Schriftsprachen in der romanischen Schweiz,

Sprachwissenschaftliche Forschungen und Erlebnisse, Zürich 1937Job J. Job, Dome, Türme und Paläste. Eine Italienfahrt, Erlenbach-Zürich

1954Jud J. Jud, Zum schriftitalienischen Wortschatz, Festschrift L. Gauchat, Aarau

1926Knease T.C. Knease, An italian word list from literary sources, Toronto 1933

37

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1909

40

aBBreviazioni e Segni

a. Generali

ant. antiquato N Nord (da Fiume a Forlì)bamb. bambinesco pop. linguaggio del ceto popolareC Centro (Marche Umbria Lazio) pFIU provincia (di Fiume)comm. commerciale pron. pronunciacorr. per corrispondenza reg. regionale, regionalismoecc. eccetera, eccettuato S Sud (Regno di Napoli)gen. generico, generalmente spec. specialmentegiov. linguaggio dei giovani spreg. spregiativoinf. informazione stud. studentescoint. intensivo T Toscanait. (più) italiano talv. talvolta

b. Nelle liste della parte C (analisi)

*quarto parola non richiesta ovunqueMN, CR, BS A Mantova, Cremona, Brescia prevale l’indicazione rispettivaFIU 1, a l’indicazione rispettiva è al primo posto a FiumeFIU 1, b idem al secondo posto a FiumeFIU 1, c idem al terzo postoFIU 1, a+ idem al primo posto assieme ad altre(FIU 1, ant.) parola dichiarata non usabile dall’informatoreFIU > da Fiume in avanti> FI fino e compresa Firenze

c. Nomi di città

(Rüegg ha adottato le sigle automobilistiche delle province per indicare le città italiane, con l’eccezione di RO che sta per Roma e non per Rovigo: si rinuncia a riprodurre questo elenco, ovvio per ogni italiano, e ci si limita a segnalare le sigle delle città della Svizzera italiana presenti nella ricerca: BEL, Bellinzona; LOC, Locarno; LUG, Lugano; inoltre Z = Zurigo).

41

d. Gli informatori (vedi pp. 82 sgg.)

luogo sesso età assenteda anni

origine professione livello it./dial. giudizio su dial. +/-padre madre propria padre scuola genit. frat. scuola

FIU 1 m 20 6 pFIU rumena st. lett. operaio matura d d d +

FIU 2 f 21 4 TS TS st. farm.

vigile matura d d d +

TS 1 m 52 8 ZH TS TS imp. dir.az. dipl. rag.

d. d d +

TS 2 m 23 3 TS TS st.lett. dir.az. matura d d d +

UD 1 m 19 UD UD st.lett. dir.az. matura it it it

UD 2 m 22 3 pCN UD st.lett. uffic. matura it - it

VE 1 f 35 5 ZH VE VE domest. operaio 5a el. d d d ++

VE 2 m 26 VE VE garzone 5a ginn. d d d ++

VE 3 m 20 1 VE pMO st. lett. impieg. matura d d d +

VE 4 m 25 VE VE dr. lett. prof. laurea it it it +

PD 1 m 24 PD PD cuoco im-bianc.

elemen. d d d

PD 2 f 43 Ven. Ven. medico laurea d d d

VR 1 f 35 6 CH pVI VR domest. calzol. 5a el. d d d -

VR 2 m 22 VR VR camer. oper. 5a el. d d d -

VR 3 m 20 VR VR st.ing. idraul. matura d d d -

TN m 19 TN TN st.scie. imp. matura d/it d

BZ 1 f 26 BL BL sarta operaio 5a el. dBL dBL

BZ 2 m 19 pUD pUD stud. prof. matura it it it

MN f 18 MN MN domest. contad. 5a el. d d d

CR f 33 7 ZH CR CR camer. com-mer.

sc.med. d d d -

BS 1 m 27 BS BS impieg. tecnico 5a ginn. d d d

BS 2 m 25 6 univ. pVT BS st.ing. industr. matura it it it -

BG 1 m 26 BG BG manov. murat. 5a el. d d d/it +

BG 2 f 43 Lecco MI impieg. dipl.rag.

it it it

BG 3 m 24 5 univ. BG BG st.ing. com-mer.

matura it it it

CO 1 f 52 pBS (CH) industr. sc.me-di.

it it it -

CO 2 m 28 2 ZH CO CO mec-can.

imp.FS sc.tec. d d d

LUG 1 m 30 TI TI prof. impieg. laurea d - it/d +

LUG 2 f 55 LUG Coira doc. impieg. laurea d d d

BEL 1 m 24 5 univ. BEL BEL st.med. operaio matura d d d +

BEL 2 f 19 TI BEL st.lett. giudice matura it it it/d +

LOC 1 m 19 LOC LOC st.scie. impieg. laurea d d d

LOC 2 m 27 TI TI impieg. laurea d d it

42

MI 1 m 19 TN MI st.med. prof. matura it it it

MI 2 f 39 8 ZH MI MI casal. operaio 5a el. d d d

MI 3 m 35 3 ZH MI MI mec-can.

operaio elem. d d d +

MI 4 f 71 pCO pSO impieg. agricol. sc.med. it/d it/d +

MI 5 m 59 MI MI propr. ing. laurea it it it/d +

PV 1 m 23 MI PV st.ing. ing. matura it it it

PV 2 f 33 MI PV docente impieg. laurea it it it

TO 1 f 32 6 ZH TO AL casal. propr. ginn. it it it

TO 2 m 24 5 univ. TO TO st.chim. industr. matura it it it

TO 3 f 22 pTO pTO impieg. agricol. sc.med. d d d

TO 4 m 19 pBI TO st.scie. industr. matura d d d -

TO 5 m 27 5 MI pCN MI prof. com-mer.

laurea it it it

AL 1 m 19 1 univ. pAT pAT st.ec. agricol. matura d it -

AL 2 m 47 ? ? impieg. impieg, laurea it/d it

AL 3 f 18 pAL pAL impieg. pensio. liceo it it it

GE 1 m 25 8 ZH GE GE camer. interpr. elem. d d d

GE 2 m 28 VE VE impieg. rag. dipl. it it d

GE 3 m 20 1 univ. GE GE stud. ing. matura it it it -

GE 4 m 50 Piem. F ing. med. laurea it/d it/d it/d +

SP m 32 SI SI impieg. com-mer.

elem. d d d

PR m 31 PR PR pianista con-serv.

+

RE 1 f 35 3 ZH domest. elem. orfa-notr.

d +

RE 2 m 24 3 TI RE RE impieg. impieg. ist.tec. d d it

RE 3 m 21 2 univ. pGR pPI stud. prof. matura it it/d

MO m 23 1 ZH MO MO calzol. manov. 5a el. colle-gio: it

BO 1 m 37 8 ZH BO BO impieg. autista avviam. d d it

BO 2 m 24 2 univ. FE BO stud. agricol. matura it it it

BO 3 m 20 1 univ. BO BO stud. operaio matura d it/d it/d

BO 4 m 50 BO BO ragion. impieg. ragion. it it

FE m 25 FE FE medico propr. laurea it/d it

RA 1 m 21 2 univ. RA RA stud. operaio matura d d it/d

RA 2 m 22 2 univ. RA RA stud. impieg. matura it it it/d

FO m 29 Roma-gna

prof. pens. laurea it it it

FI 1 m 45 2 ZH FI FI mecc. negoz. ist.tec. +

FI 2 m 20 1 ZH SI FI tecn. dipl.

FI 3 m 25 5 univ. FI FI ass.un. impieg. laurea

FI 4 f 62 FI FI ricam. impieg.

FI 5 m 65 FI FI impieg. prof. ragion.

43

LU m 29 2 univ. LU LU prof. operaio laurea it it it -

PI 1 m 68 PI PI operaio 2a el.

PI 2 m 30 pBA PI avv. avv. laurea

SI 1 f 42 SI SI domest. negoz. ele-ment.

SI 2 f 26 SI SI prof. impieg. laurea

AR 1 m 30 pAR pAR prof. operaio laurea it it it +

AR 2 m 20 SI SI mec-can.

negoz. avviam.

pAN m 25 5 ZH pAN pAN mec-can.

5a el. d d d +

AN 2 m 25 5 univ. AN pAN stud. ing. matura it it/d it

AN 3 f 26 NA AN prof. ing. laurea it it it

PG 1 m 19 1 univ. VT Piem. stud. uffic. matura it/d it/d it/d

PG 2 m 33 pPG PG prof. agricol. laurea it it it

ORV m 67 14 FI PG ORV pastaio - -

RO 1 a m 27 1 univ. Puglie Abruz. medico prof. laurea it it it

b m 27 id. RO medico laurea

RO 2 f 33 7 ZH Piem. Marche casal. prof. laurea

RO 3 m 21 RO RO stud. tecnico matura it un po’ d

pRO m 74 fornaio

AQ 1 m 17 Umbr. Lazio stud. ing. matura it it it

AQ 2 m 36 CA AQ prof. impieg. laurea it un po’ d

CH m 50 Sul-mona

impieg. magistr. laurea d d +

PE 1 m 22 2 univ. pPE pPE stud. tecnico matura d d

PE 2 f 39 Ab-ruz.

Umbr. docente impieg. dipl. it it it

FG m 19 pTA pTA stud. impieg. matura d d it/d

BA 1 m 24 4 univ. BA BA ing. impieg. laurea d d d

BA 2 m 35 pBA pBA prof. impieg. laurea it it it -

LE 1 m 24 4 univ. pLE pLE stud. propr. matura it it it

LE 2 m 28 3 FI LE LE giudice avv. laurea it it it

LE 3 m 35 LE pLE prof. ing. laurea it/d it/d

TA m 42 BA TA pittore impieg. dipl. d d d

MT m 18 SA MT stud. ing. matura it it it

NA 1 m 26 NA NA impieg. impieg. matura it/d it/d it/d

NA 2 f 25 2 Piem. NA NA docente pens.FS avviam. it/d d d

NA 3 f 20 2 ZH NA PG domest. artig. elem. it/d d d

NA 4 m 40 NA SA prof. impieg. laurea it/d it/d it +

SA 1 m 19 pRC pRC stud. impieg. matura it it it

SA 2 f 30 SA SA domest. agric. 3a el. d d d

CS m 19 4 SA CS CS stud. impieg. matura it it/d it/d -

44

CZ m 21 2 univ. CZ CZ stud. negoz. matura d d d +

RC 1 m 47 pCL pCL prof. impr. laurea it/d it/d it

RC 2 m 25 5 univ. RC pRC medico ing. laurea it it

ME 1 m 20 ME ME stud. ing. matura it/d it/d it/d

ME 2 m 49 ME ME stud. medico laurea d d it/d

M 3 m 28 3 ZH pME pME operaio operaio avviam. d d d

CT 1 f 60 9 ZH NA CT casal. negoz. dipl. it ? it/d +

CT 2 f 60 Modi-ca

TV prof. impieg. laurea d d d

pSR m 22 1 ZH pSR pSR pastore negoz. semin. d d d/it

PA 1 m 25 PA PA medico medico laurea it it -

PA 2 m 45 PA PA prof. negoz. laurea d d it/d

CA m 28 5 ZH CA CA impieg. impieg. tecn. sardo sardo +

pCA a m 21 2 univ. pCA CA stud. operaio matura sardo sardo +

b m CA CA stud.

NU 1 m 21 2 univ. SS NU stud. impieg. matura it it it

NU 2 f 19 pNU stud. avv. matura it/d it it

SS 1 f 26 Sard. SS ass.un. impieg. laurea it it it/d

SS 2 f 22 3 univ. Ven. SS stud. matura it it it

Osservazioni intervista aFIU 1 in diversi campi profughi; da due anni a PI coi genitori e altri concittadini, talvolta incerto PI

FIU 2 liceo ancora a FIU, sicurissima PI

TS 1 sc. med. in ted. a Graz e TS, posti in parecchie città it., ferie sempre a TS, talvolta non si ricorda, “l’it. puro è difficile”

ZH

TS 2 il suo uso personale sarebbe più scelto PI

UD 1 PI

UD 2 PI

VE 1 parla d anche con italiani di altre regioni ZH

VE 2 idem ZH

VE 3 PI

VE 4 d “ultimo resto dello splendore della Seren.” corr

PD 1 “l’it. è difficile” ZH

PD 2 marito prof. d’it. università estera corr

VR 1 marito corrisp. lingue estere, di famiglia agiata! ZH

VR 2 vuol far dimenticare la sua origine sociale! ZH

VR 3 purista PI

TN i due si divertono delle differenze che saltano fuori tra di loro PI

BZ 1 “i regionalismi sono da eliminare” ZH

BZ 2 PI

MN qualche mese in Sicilia. Padrona nata a PA ZH

CR elegantissima, amicizie interregionali o internazionali, purismo, poco interesse ZH

BS 1 ginnasio in un collegio a PV ZH

BS 2 PI

45

BG 1 interessato e sveglio ZH

BG 2 corr

BG 3 PI

CO 1 scuola da un precettore, it. imparato come lingua straniera ZH

CO 2 periferia di CO ZH

LUG 1 collaboratore Voc. della Svizz. ital. corr

LUG 2 con la madre tedesca corr

BEL 1 la domenica spesso a casa ZH

BEL 2 d un po’ con la madre, al liceo coi ragazzi ZH

LOC 1 difficile scegliere per concetti famil., perché non se ne parla quasi mai in it.! ZH

LOC 2 it. con la fidanzata. Causa la sua assenza a FI si riferisce all’uso dei gen., di cult. ginnasiale e di amici non universitari!

corr

MI 1 poco interesse ZH

MI 2 marito svizzero cresciuto a BG, con lui e col bambino più it. che d ZH

MI 3 ZH

MI 4 ma il d dev’essere grammaticalmente it. 3 anni di sc.med. Svizz.ted., ted. famiglia colta ZH

MI 5 d solo da adulto, specie coi dipendenti, ha girato molto, studi lessicologici, d’estate sta a Gorgonzola

corr

PV 1 intervista svolta dal dr. Hess, che aveva assistito a parecchie mie interviste PI

PV 2 ha segnato talvolta voci soltanto intese, non usate corr

TO 1 col padre miscuglio it/d, vissuta in collegio ZH

TO 2 famiglia svizzera ma da generazioni a TO ZH

TO 3 assistono e discutono una signora anziana orig. di BI, ma vissuta anche a TO, e uno stud. ZH

TO 4 preferisce i termini differenti da quelli dialettali PI

TO 5 frequenza non indicata, qualche influsso MI? corr

AL 1 purismo estremo, vedi p. 87 PI

AL 2 corr

AL 3 frequenza spesso non indicata, aiutata da uno stud.rag., influssi scolastici? corr

GE 1 poco interesse ZH

GE 2 ZH

GE 3 d: volgare PI

GE 4 corr

SP genitori da 40 anni a SP e Sarzana ZH

PR ZH

RE 1 orgogliosa della sua città ZH

RE 2 molto interesse linguistico ZH

RE 3 durante la guerra 2 anni sfollato nella bassa Emilia, lì ha imparato il dialetto PI

MO d imparato a 14 anni, lo parla coi parenti ZH

BO 1 coi bambini it., la nonna parla d (e mi avrebbe dato informazioni molto dial.) ZH

BO 2 capisce il d ZH

BO 3 avendo girato molto (campione sportivo), si riferisce soprattutto all’uso della madre PI

BO 4 ha forse segnato anche termini non sinonimi. Autore di studi sui gerghi corr

FE stenta un po’ ad afferrare l’argomento FI

RA 1 liceo: d con gli amici, it con gli altri, spesso incerto perché poco pratica dell’italiano! PI

RA 2 qualche espressione d col padre, liceo (v. RA 1) PI

46

FO frequenza spesso non indicata corr

FI 1 ha lavorato anche a BO MI TO GE, ma rimasto affezionato all’it e al vernacolo di FI ZH

FI 2 intervistato insieme a FI 1 ZH

FI 3 abita alla Scuola Normale PI

F 4 ha in orrore i volgarismi FI

F 5 affezionato ai costumi e termini tradizionali FI

LU lettore d’it. in università estera ZH

PI 1 lingua ricchissima di modi di dire affettivi PI

PI 2 molto interesse linguistico PI

SI 1 spesso ferie e visite dai parenti a SI PI

SI 2 “tutti più o meno adoperano sensesismi” corr

AR 1 abita a Marcena, insegna a AR, si riferisce spec. all’uso della moglie di vecchia fam. aretina corr

AR 2 ZH

pAN sono 3 giovani di paesi diff., le inform. gen. concordavano, se no facevo la media ZH

AN 2 d solo con le sorelle, cosciente delle differenze tra AN e PI PI

AN 3 scrive anche le voci o forme dial. corr

PG 1 madre prof. univ., distingue bene tra PG e VT, invece è forse meno cosciente dell’influsso materno

PI

PG 2 col padre it. con elementi dialettali corr

ORV stentano ad afferrare l’argomento, le prime risposte forse troppo dial. FI

RO 1 tra liceisti qualche espress. dial., b protesta spesso contro d di a, riferendosi a sua madre o sentendo da a un influsso scolastico o merid.

ZH

RO 2 talvolta incerta, marito vissuto spec. a TO ZH

RO 3 quart. Italia-Nomentano, cosciente dei regionalismi PI

pRO scrive poesie dial., prepara un commento al Vocab. romanesco di Chiappini corr

AQ 1 cosciente delle diff. regionali e sociali PI

AQ 2 idem corr

CH i bambini rispondono in it, scuole ad AQ! affezionatissimo alla sua regione, tende troppo al d!

PI

PE 1 studi a RO, dice che ci vorrebbe più tempo per rispondere bene PI

PE 2 magistr. a Spoleto! marito prof. liceo corr

FG PI

BA 1 fidanzato con una pisana PI

BA 2 corr

LE 1 qualche parola d scherz., fino alla scheda 222 assiste un compagno la cui madre è di RO PI

LE 2 tra studenti molte parole dial. FI

pLE studi lessicologici corr

TA ZH

MT PI

NA 1 NA-Chiaia ZH

NA 2 NA-Capodimonte, parecchie schede discusse con NA 3 corr

NA 3 la madre trova brutto il d, spesso incerta NA-Santità ZH

NA 4 NA-Chiaia verso il centro, glottologo corr

SA 1 la madre parla talvolta in d PI

SA 2 it coi bambini che stanno in collegio ZH

47

CS d con le sorelle “c’è più familiarità” PI

CZ PI

RC 1 coi bambini misto, a RC da 22 anni, redazione d’una rivista! corr

RC 2 da 10 anni la fam. vive parte a RO, parte a RC, probabilm. influssi rom. e senesi FI

ME 1 PI

ME 2 i primi 9 e gli ultimi 24 anni a Frazzanò (ME), frequenza spesso non indicata, molte spie-gazioni ma forse voci non sinonime

corr

ME 3 abbastanza colto e interessato ZH

CT 1 fino a 15 anni a VT, marito svizzero (30 anni a CT) ZH

CT 2 ha forse segnato troppe voci corr

pSR spesso incerto ZH

PA 1 soltanto le schede 1-161 e parecchie ne sono perdute, governanti svizz. e milan.! FI

PA 2 glottologo, moglie prof. sc.media corr

CA cosciente delle differenze e interessato ZH

pCA in it. ammette difficilm. parole tradotte dal sardo b vive a CA assiste alla discuss. di certi termini reg, lingua più vicina al sardo

PI

NU 1 capisce il sardo PI

NU 2 al liceo qualche frase o espress. in sardo PI

SS 1 al liceo un po’ di sardo come vezzo, poco precisa, vacanze a TP o sul continente PI

SS 2 riservatissime PI

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B.

L’inchieSta.fondamento e metodoLogia

1. Il tema

1.1 Lo spunto per questo lavoro è nato più o meno così al tavolo di un risto-rante: «Signorina, una “Schale Gold”, e per me un “Café crème”»1. Come suone-rebbero in Italia queste espressioni zurighesi altrettanto moderne e forse anche diverse geograficamente, come Kretschmer or sono 50 anni aveva constatato per una serie di concetti analoghi del tedesco parlato?

Scriveva il benemerito pioniere della geografia linguistica non dialettale:

Tra le due massime città tedesche, Berlino e Vienna, queste differenze sono talmente marcate che – a parte l’articolo, i numerali, i pronomi, gli ausiliari e analoghe parti del discorso – quasi una parola su due o tre della lingua parlata differisce. (p. 1) Treppe e Stiege, Sonnabend e Samstag, Sahne e Rahm, Schlächter e Fleischer, fegen e kehren2 sono tutte degne parole dello standard: chi volesse definire l’una o l’altra come dialettale procederebbe in modo del tutto arbitrario. È innegabile che la lingua tedesca parlata non è giunta alla completa unitarietà lessicale come il francese o l’inglese. (p. 2)

1.2 E l’italiano? Il senso di un’analoga inchiesta per questa lingua appare evi-dente a chiunque abbia soggiornato in Italia come straniero. A scuola aveva impa-rato che a Pfund corrisponde ‘libbra’: ma nei negozi aveva dovuto constatare che la parola non era capita o che il peso non erano i 500 gr. indicati nel libro di testo. O, addirittura, che, fidandosi dei lessicografi Rigutini-Bulle o Palazzi, quando usa-va ‘piattola’ per Küchenschabe o Schwabe (blatta germanica o orientalis) con ogni probabilità commetteva una gaffe penosa, perché il termine in molte regioni d’Ita-

1 Sono due regionalismi svizzeri tedeschi per lo standard ‘Milchkaffee’ “caffè con latte”, il primo di area zurighese, il secondo di area nazionale con un evidente prestito dal francese “crème”(NdT).2 ‘Scala’, ‘sabato’, ‘panna’, ‘macellaio’, ‘scopare’ (NdT).

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lia, malgrado le indicazioni “antiquato” o “erroneo” dei due dizionari, designava l’innominabile “pidocchio del pube”.

Camugli, autore di un recente e utile manualetto, è consapevole del problema:

Cette mise au point périodique s’impose [... ] En effet, non seulement les meilleurs dictionnaires ne sont pas toujours d’accord sur le sens ou l’emploi de certains termes, mais l’usage italien lui-même varie d’une région à l’autre. (Avant-propos)

Come risolve la seconda difficoltà? Secondo la vignetta in copertina, si direbbe che Firenze sia il modello. Tuttavia il lettore trova spesso parecchie parole senza indicazioni sulla loro area geografica: ad esempio per Il est une heure è indicato “È l’una (il tocco)”. Gli italiani intendono ovunque senza problemi ambedue le espressioni, ma giudicherebbero così, a seconda dei casi, lo straniero:

È una stonatura linguistico-geografica darsi convegno «al tocco» in Piazza Fontana Marose a Genova, o in Galleria a Napoli o nei pressi del Colosseo. (Rivetta, p. 111)

Ma anche italiani, e persino toscani, necessitano nei contatti con connazionali di altre regioni o città, di una certa conoscenza di queste differenze:

Sebbene il lucchese sia – insieme con l’aretino – dei vernacoli toscani che più si discostano dalla lingua comune, tuttavia la sua affinità con questa è sempre così grande, che anche alle persone colte della nostra città e del nostro conta-do succede spesso di prendere per lucchesi parole italianissime, e più spesso ancora di stimare italiani una forma, un vocabolo, una frase, un costrutto prettamente lucchesi e di usarli, scrivendo e parlando con persone di fuori, col pericolo qualche volta di farsi canzonare o – quel che è peggio – di non essere capite, o magari d’essere fraintese. (1917)

Dovendo mettere in risalto il valore scientifico oltre che pratico di studi del ge-nere, sarebbe ingeneroso non citare in primo luogo l’introduzione di Kretschmer:

Il valore di questa geografia linguistica del tedesco comune parlato non neces-sita di lunghe discussioni. La constatazione della specificità della lingua che noi stessi parliamo, il tedesco comune standard delle persone colte, è altret-tanto ovvia della constatazione che l’aspetto geografico della questione è stato finora piuttosto trascurato. Le espressioni “lingua scritta” e “parlata dialetta-le popolare” hanno bloccato la glottologia unilateralmente tra questi estremi dello sviluppo linguistico, al punto che la lingua comune parlata, situata al centro, è stata trascurata e considerata solo come la versione parlata della lin-gua scritta, comunque influenzata dai dialetti. Ma anche così ci toccherebbe il compito di definire più esattamente la sua specificità. Per lo meno dal punto di vista lessicale, la lingua parlata dei colti non è solo la parte ricettiva ma an-

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che quella produttiva. Perché molte parole, soprattutto dell’ambito culturale, vengono da essa e non dalla lingua scritta, che crea piuttosto termini tecnici, e men che meno dalle parlate dialettali, il cui lessico è necessariamente legato all’orizzonte ristretto degli appartenenti alle classi sociali basse, in particolare contadine. Che nella geografia linguistica troviamo un pezzo consistente della più recente storia culturale è affermazione del tutto ovvia: i singoli articoli entreranno nel merito di questa tematica. (p. 8 sgg.)

Anche le considerazioni di J. Jud hanno trovato scarsa eco nell’italianistica:

Un’opera analoga a quella di Kretschmer sarebbe di estremo interesse per la conoscenza della diffusione del lessico della lingua scritta all’interno delle singole provincie italiane. Sarebbe per es. avvincente verificare se “rana” non abbia maggiori possibilità di affermarsi nella regione che lo usa anche nel dia-letto, piuttosto che nel territorio centro-meridionale dove nei dialetti predomi-na “ranocchia” (o “ranonchia”), e dove, grazie al termine dialettale analogo, il toscano “ranocchia” potrebbe avere maggiori possibilità di imporsi. (p. 299)3

Quanto sono urgenti simili ricerche? Kretschmer, all’inizio del Novecento, scriveva:

Un’inchiesta di geografia linguistica prevista in un certo periodo [... ] non può essere sostituita da un’altra in epoca successiva, perché dopo un certo tempo le condizioni geolinguistiche possono essere mutate. Che in tutto il XIX secolo una constatazione del genere non sia stata fatta [...] rappresenta un danno per la nostra conoscenza dell’evoluzione linguistica del tedesco, che non può essere recuperato. (p. 9)

In Italia, la forte mescolanza della popolazione, accentuata dal secondo con-flitto mondiale, e il crescente flusso di parole che la stampa, il cinema e la radio-televisione hanno diffuso in modo pressoché unitario in tutta la penisola, fanno sì che il momento attuale sia l’ultimo utile a fotografare le antiche regioni in merito a certi concetti. Per alcuni è ormai troppo tardi: ad es. Capp.M. distingue ancora tra il tosc. “tinozza” e “vasca da bagno”, comune fuori di Toscana; però un’informa-trice fiorentina affidabile mi ha comunicato che il primo vocabolo è ormai uscito dall’uso, perché con l’oggetto standardizzato si è diffuso anche il termine comune.

1.3 Per questo tema erano senz’altro da aspettarsi notevoli difficoltà. In primo luogo perché per l’italiano mancano del tutto o quasi studi preparatori. Per motivi, in parte ovvi, in parte ancora da discutere, il lavoro di Kretschmer poteva essere

3 Non ho considerato questo termine nella mia inchiesta, perché poco presente nella lingua parlata delle città.

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preso a modello solo in modo assai parziale. Per il francese non esiste una ricerca simile, anche se il problema suscita sorprendentemente maggiore interesse che in Italia. Il primo lavoro sul tema è di uno svizzero tedesco, G. Wiesler, che nel 1909 ha studiato il “francese popolare svizzero”. In una interessante trattazione cultu-rale e psicolinguistica si spiega perché nella Romandia e in quali settori il lessico dialettale si è conservato nella lingua parlata; tuttavia manca del tutto la dimensio-ne geolinguistica e la materia è ripresa da fonti diverse prevalentemente scritte. Di lavori successivi conosco solo il titolo e la seguente osservazione:

Le français régional mérite aussi l’attention. On l’a déjà remarqué et nous commençons à avoir de bons travaux. Il manifeste en effet la réaction locale contre le français venu de la capitale. Il contient des éléments patois francisés, des mots locaux dérivés de l’ancien vocabulaire latin (ou autre) sous le trai-tement phonétique de la région [... ] Ils peuvent contribuer à l’établissement d’aires linguistiques... (Fleisch)

Gli autori in questione – Brun, Séguy, Michel, Miège – descrivono la lingua parlata di una zona particolare – Marsiglia, Toulosa, Carcassonne, Lione –, quindi le loro città natali. Non conoscevo adeguatamente la lingua scritta, parlata e il dialetto di un luogo particolare, quindi il mio studio, come del resto quello di Kretschmer, doveva comprendere l’intero territorio linguistico: ma dovrebbe per lo meno essere lo spunto per ulteriori indagini parziali, più approfondite e attendibili. In una tale impresa pioneristica e di grande ampiezza, dal punto di vista geolinguistico sono da mettere in conto carenze e persino insufficienze; inoltre mancano talvolta le pre-messe che lo studio metodologico di Quadri, a ragione, ritiene necessarie:

Lo stato scientifico odierno rende inimmaginabile qualsiasi ricerca onomasio-logica senza le conoscenze concrete acquisite sul terreno, senza la familiarità con i problemi concettnuali, ma soprattutto senza la capacità di immedesima-zione nella psiche di una comunità linguistica o di un ceto sociale. (p. 173)

Al di là di questi problemi, per il ricercatore sorgono ulteriori e pesanti ostacoli dall’atteggiamento dei soggetti nei confronti della lingua parlata. Non penso tanto al fatto che il tema, al di fuori della cerchia dei linguisti, non interessi praticamente nessuno: e questo vale per tutti i Paesi. Ma, uno svizzero, un austriaco o un berline-se di fronte agli esempi di p. 49 accetta senza difficoltà l’esistenza di tali differenze, non solo, ma difende la peculiarità della propria lingua parlata. In Italia invece, tra molte persone colte esiste una profonda diffidenza nei confronti di forme non letterarie o non scolastiche della propria lingua materna. Tale diffidenza ha un profondo radicamento politico nel mito che la lingua sia il fondamento più impor-tante dell’esistenza dello Stato. Questa idea di stampo romantico ha forse le sue più remote origini nelle particolari condizioni storico-culturali dell’Italia; ha avuto la sua massima fioritura nei movimenti risorgimentali e unitari, tanto che ancora

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oggi per alcuni italiani, accettare un regionalismo linguistico significa una sorta di tradimento della patria. La manifestazione estrema di questo punto di vista l’ho verificata nella risposta di un’insegnante di scuola media di Cagliari: le avevo chie-sto quale fosse la lingua dominante, l’italiano o il sardo, in determinati ceti sociali o situazioni comunicative (vedi p. 85); la risposta fu: «Ovunque si parla italiano». È facile immaginare che da una simile posizione nei confronti del dialetto non possano uscire informazioni utili sulla lingua parlata. La massima “Quanto non può esistere non esiste” emerge anche dai seguenti brani della lettera di un medico triestino, malgrado riveli un’innegabile sensibilità linguistica:

Noi possiamo distinguere tre tipi di lingua (come in ogni paese): 1. la lingua elevata, letteraria, quella che per gli Inglesi è il ‘King’s English’, la lingua “ufficiale”, che pur ben si allontana dall’aurea lingua del Manzoni. La sua purezza è questione di grado culturale, di stile, di tradizione letteraria. 2. la lingua “parlata”, strettamente legata alla persona che parla e al suo livello culturale. Questa lingua è caratterizzata da scarse variazioni regionali. Tutt’al più risente dell’influsso di qualche modo dialettale. Ma se io, triestino, vado a Napoli o a Roma, ciò che denuncia la mia origine non è la lingua, ma la ma-niera come io la parlo, la pronuncia. Voglio dire che se io potessi liberarmi dal “modo” veneto, nessuno capirebbe da dove io provenga [...] giacché, ripeto, la lingua italiana parlata non segna che minime differenze regionali [...] Nei giornali poi, o nelle lettere, non potrà notare alcune differenze regionali [...] 3. i dialetti [...] stanno a sé.

In questo caso può avere un peso la particolare situazione di frontiera dell’ita-lianità di Trieste, anche se d’altra parte proprio il romanzo di un autore triestino, L’onda dell’incrociatore di Quarantotti, presenta evidenti regionalismi nel suo les-sico4. Ho verificato l’ignoranza o la rimozione di questa situazione all’inizio della maggior parte dei contatti orali. Era divertente quando parecchi di questi “ditta-tori linguistici” si trovavano assieme e poi, messi di fronte ad alcuni regionalismi tipici, constatavano con grande sorpresa le proprie devianze e le difendevano come la forma italiana più giusta!

È il momento di alcune osservazioni personali: il ricercatore può preferire una visone più unitaria o pluralista della lingua studiata, il risultato di un’inchiesta geolinguistica non può non essere influenzato dalle sue convinzioni. Come docente d’italiano condivido l’opinione seguente:

Per ciò che concerne il più importante aspetto pratico, quelli che insegnano l’italiano e quelli che lo imparano (specialmente all’estero) spesso vorrebbero potersi fondare su norme più rigorosamente imperative... (Migl.Q., p. 73)

4 Per es. caligo ‘nebbia densa’.

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Come amante della letteratura e come svizzero, al contrario, vedo nella varietà dell’italiano una ricchezza, perché per me una certa apertura nei confronti della lingua popolare e dunque una certa dimensione federalista della cultura di un Pa-ese mi sembrano artisticamente e politicamente più fruttuosi che non un purismo centralista rigido. Che in questo modo l’unità nazionale possa essere minacciata, mi sembra proprio dal punto di vista linguistico un non senso. Lo prova ampiamente Capp.M. e lo proverà la mia trattazione – per quanto ancora parziale dal punto di vista geografico –: la causa della variabilità lessicale è da ricercare solo in parte nel-le regioni periferiche e nella loro possibile carente integrazione nazionale, quanto piuttosto nell’atteggiamento della Toscana, che persiste in antiche formulazioni della lingua scritta – si veda ad es. quartiere ‘appartamento’, giacchetta – (o anche in prescrizioni linguistiche), ma soprattutto che ha introdotto innovazioni lessicali non accolte, o solo in parte, dal resto d’Italia, ad es. servito (‘servizio’) da tavola, ieri l’altro, a nascondino, anello (‘ditale’). Veniamo così confrontati con il problema più generale della “questione della lingua”. Anche se il tema, dal punto di vista teo-rico, ha da tempo perso di interesse, ogni docente italiano dovrebbe averlo presen-te perché in pratica esprime un acuto contrasto nella lingua parlata tra le diverse denominazioni di un concetto e/o tra i centri di diffusione della lingua. A questo proposito il presente lavoro offre nuove prove e numerosi esaurienti esempi. Ma non al fine di risolvere una volta per tutte l’annoso contrasto per la supremazia linguistica tra Firenze da un lato, l’Italia settentrionale o Roma dall’altro. Un atteg-giamento sia unilaterale in nome dell’unità, sia parziale in nome della semplicità sa-rebbe un non senso e un’impresa impossibile. Ha molto più senso analizzare ogni concetto con il suo campo lessicale al fine di determinare se la sovrabbondanza non rappresenti e/o consenta un prezioso affinamento onomasiologico; se invece è inutile e gravosa, allora si tratta di proporre la denominazione linguisticamente migliore, indipendentemente dalla sua origine toscana o non toscana. Questa rac-colta dovrebbe dunque servire anche a una ragionevole glottotecnica5, addirittura al neopurismo così come lo definisce Menarini per i forestierismi:

[... ] è indispensabile veder bene come stanno le cose, sia per tollerare od at-tendere dove l’intervento si mostra di nessuna o dubbia efficacia, sia per agire con deliberatezza nei casi opportuni. (Menarini A., p. 18)

Solo alla fine si affronteranno più a fondo la valutazione e l’obiettivo della ricerca; per ora è il caso di definirne le basi.

1.4 Definizioni. Per le forme linguistiche di sostegno del nostro settore mi ser-vo delle considerazioni di W. Henzen; il dialetto è la lingua popolare che

5 In italiano nel testo.

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non persegue l’uso di peculiarità territoriali [...] per riguardo dell’interlocu-tore [...] È assente l’intenzione di superare differenze tra strati linguistici di-versi, sia orizzontali sia verticali [...] (p. 18 sgg.)

Per il livello superiore il tedesco dispone di due termini: la “lingua standard” (Hochsprache) definisce piuttosto l’antitesi sociale e culturale con il dialetto, men-tre la “lingua scritta” (Schriftsprache) quella letteraria e storica (p. 14). Già il titolo dell’opera mostra che la seconda denominazione è quella di valore più generale. Per il concetto di lingua parlata i brani precedenti presentano già alcune utili de-scrizioni. Ma torniamo alle considerazioni di Kretschmer:

Per il concetto di lingua parlata sono due i punti essenziali: il primo è che vive solo nell’uso orale e il secondo è che rappresenta la lingua comune delle persone colte: questa caratteristica la distingue dai dialetti popolari, quella la differenzia dalla lingua scritta. Non si tratta di una separazione rigida: la lingua parlata dei colti non è del tutto uniforme, ma varia abbastanza secondo le situazioni comunicative. È possibile distinguere tre livelli: il primo è quello in uso nella comunicazione pubblica (conferenze, discorsi ecc.); il secondo è quello dello scambio sociale e commerciale, la lingua veicolare; il terzo è quel-lo informale, privato, la lingua cosiddetta familiare, che si avvicina spesso al dialetto. In linea di massima si può dire che la lingua parlata nella comunica-zione sociale corrisponde in senso stretto al tedesco standard [...]. (p. 10 sgg.)

Malgrado le affermazioni iniziali, l’autore utilizza per la sua raccolta estensioni della lingua parlata nel registro scritto, come citeremo di seguito. Soprattutto c’è tuttavia da osservare con Henzen che la limitazione alla lingua dei colti non cor-risponde alla realtà. Kretschmer lo ammette indirettamente isolando nella lingua parlata una varietà familiare. L’ambito della mia ricerca è dunque stilisticamente e socialmente più ampio, spesso articolato in “ricercato – più italiano – (normale) – familiare – del ceto popolare – volgare”6, ecc.; ma soltanto quando i passaggi non sono (diventati!) così fluidi come si evince dalle considerazioni seguenti:

La distinzione tra italiano familiare e popolare non mi è sempre possibile: nella maggior parte dei casi si confondono i due casi (pensi che da noi si parla molto spesso il dialetto in famiglia!) (MI 5)

Non è possibile fare un taglio netto tra popolare e familiare nel senso che lei dice. Molte delle parole usate dal basso popolo quando crede di parlare italiano sono appunto quelle usate familiarmente da molti del ceto meno po-polare. (CT 2)

6 Termini in italiano nel testo.

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Nella lingua parlata dei giovani scompare sovente persino la barriera nei con-fronti del volgare. Lingua parlata nel contesto di questo studio comprende dunque una varietà di lingua più ampia di quella usata nel lavoro di Spitzer – com’è noto non impostato in senso geolinguistico – e così definita:

Il discorso orale dell’italiano che parla in modo “corretto” (cioè normale, medio) (p. VII)

Quale la definizione di Henzen? Il germanista bernese intende con Frings la lingua comune come la lingua parlata media, la varietà colloquiale di una regione (p. 21) o a p. 37:

(la lingua parlata) è ciò che sta tra il livello linguistico più curato e quello più popolare.

Per lui esistono parecchi tipi di lingua parlata – per es. in Svizzera è il dialetto a svolgere quasi sempre questo ruolo – e diversi livelli a seconda dell’automatico adeguamento al livello dell’interlocutore (p. 197). I confini con la lingua scritta sono diventati oggi più fluidi che mai (p. 24). Per la dimensione sociale Henzen rinvia agli studi di Wegener a Magdeburgo: ceti sociali alti, colti, funzionari ester-ni, semicolti, pendolari, stanziali, artigiani, lavoratori, residenti e immigrati dalla campagna – e molte altre distinzioni stanno alla base della sua ricerca! Si dovessero intervistare ancora più persone per ogni gruppo al fine di evitare individualismi, potrebbe nascere il dubbio che il progetto di una grande inchiesta sull’italiano parlato abbia un senso!

Le considerazioni di Migliorini sulla lingua dell’uso7 servono a tranquillizzare e chiarire:

Come accade spesso in molti campi, ma quasi sempre quando si tratta em-piricamente difatti di lingua, è abbastanza facile chiarire le proprie idee se si miri al nucleo essenziale, mentre le difficoltà si accumulano se si vuole arri-vare proprio a una definizione nel significato etimologico della parola, cioè a stabilire linee precise di confine. (Migl. L., p. 51)

Secondo l’autore il nucleo essenziale ha una doppia dimensione (p. 53):

lingua scritta quotidiana (giornale, corrispondenza familiare) [...] lingua par-lata quotidiana, familiare [...] di diversa consistenza sociale dove è parlata da tutte le classi e in quei territori, settentrionali e meridionali, in cui vivono ancora i dialetti [...]

7 In italiano nel testo.

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e, riassumendo, lo definisce lingua parlata media8.Devoto scrive nel suo “Profilo di storia linguistica italiana”:

Infine abbiamo bisogno talvolta di riposarci e abbandonarci in una espressi-vità poco impegnativa, ricca di allusioni e riferimenti approssimativi, come quelli dei negozi, degli uffici, del vivere quotidiano, fra la gente media della nostra comunità linguistica: è questa la lingua detta usuale. (p. 6)

[...] l’italiano usuale che fece concorrenza così al tradizionalismo linguistico dei borghesi come al particolarismo dialettale dei proletari, ma colorito forte-mente di venature regionali. (p. 147)

Hecker sceglie per il suo manuale di conversazione come modello

la parlata semplice, ma propria, svelta ed idiomatica dei Toscani istruiti con-versanti fra di loro alla buona, non in punta di forchetta. (p. 5)

Più vicino dal punto di vista geografico e sociale a questo studio è il percorso di Rivetta alla ricerca dell’italiano corrente nella sua patria. E, per concludere, si possono ricordare i ricercatori dell’AIS che, per essere capiti, usavano talvolta nelle loro domande piuttosto che i termini standard le denominazioni della lingua parlata regionale:

Con forma regionale della lingua comune, intendiamo la lingua scritta di co-lorazione provinciale, vale a dire il “français populaire” della Francia e della Romandia. (AIS-Einf., p. 182)

In questo modo la base di partenza della ricerca dovrebbe essere sufficiente-mente solida. Siccome l’italiano parlato non è meno stratificato del tedesco, pur se diversamente, sarebbe il caso, anche considerando il numero ridotto degli studi al riguardo, di formulare una definizione più esatta prima di presentare l’insieme del materiale raccolto. Tuttavia, quello che io intendo come lingua parlata si manifesta nel modo in cui il materiale è stato raccolto e valutato, ma soprattutto come ogni singolo informatore viene interrogato e la sua risposta interpretata. Ovviamente, il procedere a tastoni su un terreno vergine è inevitabile: così si esprimeva già Giu-liani, per quanto ne so, il primo ricercatore in Italia:

Le mie opinioni rispetto alla nostra Lingua e Letteratura popolare forse ap-pariranno un po’ variate al variare de’ fatti, dalla cui diligente e continua osservazione scaturiscono le opinioni stesse. (I, p. V)

8 Idem.

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Sulla scorta della minuziosa descrizione delle fonti e dei rilevamenti, che può anche apparire macchinosa, ogni lettore potrà decidere in che misura considerare la lingua dell’uso qui rilevata come la lingua italiana parlata.

1.5 Gli ambiti lessicali, come nell’atlante dialettale, concernono la vita quoti-diana della città ma non della campagna, in particolare: famiglia – corpo e salute – cibo e bevande – abbigliamento – abitazione – elettricità, telefono, radio, ecc. – posta – lavoro e professioni – mercato e commercio – denaro – contatti sociali – tempo meteo e cronologico – cinema e divertimento – fumo, bar ecc. – sport – stampa, politica – scuola – chiesa – stato – polizia e crimine – mezzi di trasporto.

1.6 Per quel che concerne il procedimento non c’è molto da dire, perché s’è trat-tato spesso di tentativi. Kretschmer e gli atlanti linguistici hanno considerato come nucleo del loro lavoro un’inchiesta. Da un lato non è stato possibile immaginare le trasferte da una località all’altra dei ricercatori dell’AIS; dall’altro la metodologia della raccolta dei dati tramite inchiesta scritta del linguista tedesco mi pareva solo parzialmente praticabile in Italia. Anche per il questionario le opere citate servivano solo in parte come modello. Come una tesi di laurea è soggetta a vincoli cronologici e finanziari, l’inchiesta doveva essere impostata in modo da poter essere già inserita nel territorio e realizzata in brevissimo tempo. Anche per facilitare la comprensione con gli informatori il questionario doveva limitarsi in linea di massima a temi con-creti. Ma in primo luogo, all’interno dei diversi ambiti, dovevano essere individuati i concetti le cui denominazioni nel parlato potevano divergere dalla lingua scritta e inoltre facevano presupporre una differenziazione regionale.

I capitoli seguenti presentano l’impostazione del questionario.

2. Le fonti

2.1 Scritti linguistici

2.1.1 Poiché il tema non è mai stato esplicitamente trattato, si è posto il pro-blema di individuare le opere in cui si potevano trovare indicazioni almeno su regionalismi.

Ero stato reso attento al fatto che dovevano esistere per diverse regioni piccole raccolte del tipo “Ne dites pas – mais dites”. Purtroppo gli anni di pubblicazione di questi “abruzzesismi” risalgono a epoche tanto remote da mettere in dubbio il senso del loro reperimento. Più recente si rivelò soltanto un “Correttore” uscito a Torino. Tuttavia molti di questi piemontesismi non sono che provincialismi, vale a dire voci meno curate come “comò” per ‘cassettone’. Regionalismi più autentici da tutta l’area italiana, anche se in parte superati dalla successiva evoluzione, sono contenuti nei due vivaci capitoli de “L’idioma gentile” di De Amicis: La lingua ita-

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liana in famiglia e A ciascuno il suo (A una schiera di ragazzi di diverse regioni d’I-talia). Già Spitzer, nel suo studio sulla lingua parlata, aveva ripreso molti materiali da questa opera, e tuttavia, secondo il suo scopo del tutto diverso, senza preoccu-pazioni geolinguistiche. Infine qualcosa si poteva trovare nel manuale di Panzini-Vic. sotto la pesante formulazione “intorbidano la lingua anche i provincialismi”. Meno opprimenti per la coscienza dell’insegnante sono invece le osservazioni di Rivetta nel suo Giro linguistico d’Italia.

Accanto a queste opere normative o divulgative, le seguenti fonti di natu-ra esclusivamente linguistica contengono alcuni regionalismi: Bertoni, Pasquali, Wartburg, P., Migl.St., AIS Einf. A p. 17 di quest’ultima introduzione si legge che i titoli delle carte dell’atlante recano spesso, accanto alla denominazione scritta della cosa, anche varianti regionali, e a p. 70 sono riportati alcuni esempi. Il ricercatore principale Paul Scheuermeier mi ha messo gentilmente a disposizione una serie di ulteriori probabili regionalismi tratti dal suo questionario o dai suoi ricordi.

Purtroppo ho avuto conoscenza solo dopo la conclusione dei lavori prepara-tori di Dialettismo in italiano del Prati; l’autore a p. 8 indica come parole dialettali scritte in forma provinciale i milanesismi piccinina ‘fattorina delle sarte, delle mo-diste’, postaio ‘rivendugliolo, bottegaio’, posteria ‘bottega di salumi ecc.’, acqua-santino ‘pilettina’, notes ‘taccuino’ e raggruppa in seguito parecchie centinaia di vocaboli non toscani della lingua scritta secondo la loro origine geografica. Sic-come in parte si tratta di sinonimi di termini toscani o anche di denominazioni di concetti rari, si può supporre che molti di questi dialettismi nobilitati siano propri della lingua parlata di una certa zona. Sembrava ricca la fonte della Raccolta di voci [...] di Siena pubblicata nel 1944: tuttavia la pre-inchiesta ha mostrato che questi senesismi erano in gran parte limitati alla città d’origine e dunque non giustificava-no un’indagine estesa a tutta l’Italia. Per concludere dopo l’inchiesta stessa, che si trattava spesso non di «voci [...] in uso nella città [...] tuttora viventi» bensì «in uso [...] nei suoi dintorni [...] o adoperate fino a poche diecine di anni fa»9.

Riassumendo, per le fonti di effettivi regionalismi va detto che nelle opere di-sponibili a Zurigo quelle attendibili erano poche, e quasi nessuna presentava mate-riali sicuri utilizzabili per il questionario dal punto di vista geografico o temporale.

2.1.2 Un suggerimento di Quadri mi ha spinto a dar la caccia a certi dialettismi, ovvero a parole che hanno una vasta diffusione dialettale e allo stesso tempo – secon-do la testimonianza di Palazzi o Cappuccini-Migliorini – sono entrate nella lingua scritta. Nel caso di concetti che, per questa ragione, presentano varie denominazioni, sarebbe da aspettarsi che la lingua parlata preferisca la parola locale a un’altra.

Tali dialettismi si trovavano per quel che concerne i miei ambiti in numero ridotto nei seguenti studi onomasiologici: Aeppli, Bonfante, Herzog, Merlo, Pau-

9 Per es. buriana ‘vento di nord’, spoglie ‘vesti usate’, pitursello ‘prezzemolo’.

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li, Steffen, Tappolet, Thierbach, Wartburg A.; a centinaia, invece, nelle raccolte contemporanee di Prati (P) e Panzini: «parole di dialetti se diffuse o abbastanza conosciute» nel primo, in particolare per Roma «voci dialettali [...] che tendono a entrare nell’uso» nel secondo, nell’appendice di Migliorini; altrettanti nelle carte dell’AIS che concernono il nostro ambito.

L’impiego di Cappuccini-Migliorini ha riservato la gradita sorpresa, che questo vocabolario – unico nella serie nutrita di opere analoghe – spesso definisce deter-minati vocaboli come regionali, come toscani e/o non toscani, confermando così la verosimiglianza delle mie ipotesi.

Nel corso della trattazione successiva i dialettismi si sarebbero confermati come la fonte di gran lunga più ricca di autentici regionalismi.

2.1.3 Sinonimi. La linguistica dimostra come le lingue moderne, al di là delle dif-ferenze genetiche, in certe strutture vengano sempre più a somigliarsi. Questa paren-tela rende plausibile la conclusione analogica che concetti affettivamente pregnanti, anzitutto la visione della sfera familiare e sociale come i giochi infantili, conflitti ecc., sono produttivi non solo in tedesco (Dornseiff, p. 5) o nell’argot francese (Ullmann, p. 189), ma anche in italiano, dando origine così a doppioni regionali. In Kretschmer sono riccamente documentati soprattutto gli ambiti domestici e alimentari. In questi settori ho cercato nella mia lingua parlata, lo svizzero tedesco, sinonimi geografica-mente differenziati e li ho ripresi nella raccolta provvisoria. Alcuni manuali didattici presentavano doppioni ancora più numerosi ma meno promettenti, in particolare le differenze tra le indicazioni di Bosshard, Cam.De., Cam., Sguazzini, Tagliapietra, e accanto a queste le considerazioni linguistiche di Diez, Migl.S., Rebora.

Infine i giudizi frequenti e per lo più pesanti sui forestierismi – Acc., Caretti, Menarini A., Monelli, Pal.2, PaMi – facevano sorgere spontanea la domanda in che misura i termini sostitutivi delle autorità politiche e dei puristi negli ultimi trent’anni vengano usati nel parlato al giorno d’oggi. Suonano molto artificiose, per esempio, certe corrispondenze tedesche dei Termini dell’uso del commercio e della pubblicità del 1942: ad esempio “Anschlagbogen” per ‘Plakat’10, e altri.

2.2 Dialoghi di film

Ricordando il suo ruolo di attore in Umberto D Battisti scrive:

Il neorealismo che porta sulla scena attori occasionali apre le porte alla parla-ta regionale [...] In una testimonianza della vita vissuta, volutamente precisa, l’evitare per scrupoli linguistici l’espressione popolare dialettale o semidialet-tale sarebbe una stonatura insanabile.

10 ‘Manifesto’.

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Proprio la necessità del cinema di procedere induttivamente e di rappresenta-re le umili vicende della vita giornaliera del nostro popolo, ci fa comprendere la necessità di ricorrere alle forme regionali dell’italiano parlato, per ridare nella sinfonia delle impressioni cinematografiche la sensazione della carica d’affetti e di dolori, di amarezza e di gioia della vita popolare.Naturalmente il dialetto è evitato nel film, perché esso restringerebbe troppo la cerchia degli spettatori. (LN 1952, 33)

Tutto ciò sembra corrispondere esattamente al nostro tema. Tuttavia l’analisi della lingua filmica è più facile a dirsi che a farsi! Rinviato da un giornalista all’al-tro, da un distributore all’altro e per finire alla Camera svizzera del cinema, solo con una perdita di tempo notevole sono riuscito ad avere accesso ai dialoghi dei film che dalla descrizione ambientale potevano far immaginare un certo colore linguistico locale. Salvo in un caso, i distributori svizzeri hanno risposto gentil-mente alle mie richieste. Purtroppo la versione originale di alcune opere di sicuro interesse non era più disponibile e le richieste alla rappresentanza ufficiale del cinema italiano sono rimaste senza risposta. Per questo motivo mancano anche nella bibliografia alcuni dati, in particolare non sono sicuri gli anni poiché nella documentazione ufficiale c’è l’anno della richiesta d’importazione ma non quello della commercializzazione; inoltre spesso i copioni esistono solo dattilografati.

I film elencati in ordine alfabetico a p. 32 si svolgono nelle città o regioni se-guenti:

Provincia di Trieste * SensualitàMilano * Cronaca di un amore È primaveraEmilia Don CamilloFirenze È primavera * Il mondo le condannaItalia centrale Vivere in pace (campagna) * I vitelloni (città)Roma Roma città aperta Sciuscià Ladri di biciclette * La città si difende * La prima comunione L’onorevole Angelina Umberto D Domani è un altro giorno Siamo donneNapoli Domani è un altro giorno Proibito rubare Due soldi di speranza (soprattutto provincia)

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Lucania La lupaSicilia * Vulcano È primavera La terra trema

Che il Nord e la Toscana siano sottorappresentati non dipende dalle mie scelte bensì dalle produzioni cinematografiche, in particolare del neorealismo. Questa prevalenza di Roma e del mezzogiorno compensa in un certo modo la sovrarappre-sentazione del Nord nell’inchiesta (vedi p. 73).

Mentre i titoli segnati con * non contengono regionalismi in senso stretto, la lettura degli altri 15 testi ha rivelato parecchi nuovi materiali e numerosi utili esem-pi. Tuttavia meno abbondanti di quanto sperato, perché, malgrado le conclusioni di Battisti, diverse espressioni vanno intese come dialettismi, altre come volgarismi: e tuttavia di interesse per noi perché presuppongono la comprensione o l’accetta-zione del pubblico di tutta Italia, di tutti i ceti o fasce di età. Prati scrive (D 54):

In molti film ora si fa uso di parole ed espressioni romane: il futuro dirà quan-te di queste saranno entrate e rimaste nell’uso comune italiano.

In quanto specchio linguistico attuale, i dialoghi di film sono in ogni caso utili alla linguistica: tuttavia manca per l’Italia una fonte della lingua colloquiale di faci-le accesso come è (era) la collana delle “pièces théatrales” nella Petite Illustration per la Francia. Quando a Milano volli procurarmi il testo di Noi siamo tutti mila-nesi di Fraccaroli, giunta alla 500ma replica, scoprii che non era stata pubblicata da nessuna parte! Non ho potuto accertare se anche nelle commedie radiofoniche siano presenti regionalismi, ma la cosa sembra improbabile.

2.3 Giornali

Secondo Migliorini, citato a p. 56, possiamo sperare di trovare qui parecchi elementi della lingua parlata. Nella bibliografia a p. 32 e sgg. sono elencati i titoli, i numeri e le rubriche, che ho guardato almeno in gran parte.

In primo luogo ho confrontato alcune notizie di carattere generale nei quoti-diani milanesi, fiorentini e romani, dai quali Heinimann e Gossen avevano ricavato preziose osservazioni se non dal punto di vista geolinguistico almeno da quello dell’italiano parlato. Tuttavia non ho trovato traccia di regionalismi, poiché questo giornalismo sembra condividere ovunque identiche scelte stilistiche: facendo sfog-gio di soluzioni neutre per i temi tradizionali e di brillanti elenchi di sinonimi per quelli contemporanei.

Nella cronaca locale si trovano invece qualche indizio e alcune attestazioni. Con gli annunci funebri si entra in una particolare sfera linguistica. Alla stessa stre-gua delle iscrizioni tombali, queste testimonianze dei sentimenti più intimi e allo

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stesso tempo delle convenzioni diffuse rivelano squarci sorprendenti sulla mentali-tà popolare nei confronti di temi quali la famiglia, la morte e Dio. Dal punto di vi-sta linguistico il confronto tra l’uso di mamma/madre, papà/babbo/padre, nipotino/nipote sembra indicare una carica affettiva più intensa nello stile necrologico mila-nese; tuttavia questi concetti apparivano troppo complessi per la nostra inchiesta.

I risultati maggiori si sono ricavati dall’esame degli annunci pubblicitari, in particolare della piccola pubblicità. In questo ambito ho trovato tipici localismi come i milanesi piccinina e mezzana, ma soprattutto chiare differenze nell’uso di forestierismi come garage o comfort (vedi pp. 164, 166).

Non è che si voglia attribuire un valore assoluto ai dati statistici: poiché il corpo è molto piccolo, non si può sempre evitare che si trascuri qua e là una deno-minazione, o che lo stesso annuncio in due numeri venga considerato due volte in-vece di una. Tali piccole imprecisioni non hanno importanza, se ci si limita a tener conto delle differenze numeriche vistose e, soprattutto, se la statistica è considerata solo quale integrazione di altri materiali.

2.4 Scrittori

Devo questo suggerimento, come pure l’ultimo, al prof. Huber. Purtroppo, non è stato possibile l’esame esauriente entro un termine utile delle opere interes-santi dal punto di vista regionale e allo stesso tempo moderne. Le fonti (vedi p. 33) hanno la seguente ripartizione geografica:

Trieste Svevo, Corto viaggio sentimentale Quarantotti, L’onda dell’incrociatoreTreviso Comisso,Capriccio e illusioneVenezia-Padova Valeri, Fantasie venezianeTorino Pavese, Il compagnoFerrara Bassani, La passeggiata prima di sera (non regionale!)Firenze Pratolini, Cronache di poveri amanti id., Il mestiere di vagabondoRoma Moravia, Operazione PasqualinoNapoli Ortese, Il mare non bagna NapoliNapoli e Puglia Rea, SpaccanapoliLucania Scotellaro, Contadini del sudCalabria Alvaro, Gente in AspromonteCatania Brancati, Don Giovanni in Sicilia

Ma fino a che punto le parole dell’autore o dei personaggi – l’attenzione priorita-ria va ovviamente ai dialoghi – sono dati oggettivi, “langue”, o elementi stilistici indi-viduali, “parole”? Quanto è da ascrivere a una convenzione letteraria o al contrario a una iper-compensazione volgare? Tali domande inquinano questa fonte al lettore,

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per il quale l’opera considerata e la regione linguistica sono troppo poco familiari, almeno per quel che concerne le prove vere e proprie. Esempi letterari possono essere addotti quando le testimonianze orali oscillano tra lingua parlata e dialetto. Ma anche qui, del resto, le attestazioni non sono per nulla complete, perché una rappresentazione coinvolgente può far sfuggire al lettore singoli fenomeni linguistici.

A questo proposito serve citare il giudizio di Kretschmer:

Dalle fonti scritte non si può ricavare molto e nulla di sicuro. Perché si tratta qui di parole che compaiono raramente o per niente nella letteratura. Cam-bio di luogo, influssi letterari [...] Persino la lingua dei quotidiani, inserzioni, iscrizioni non è sempre una prova della lingua parlata del posto; anche qui si trovano espressioni scritte [...]Quale conferma del carattere standard di una parola tedesca possono servire attestazioni scritte: quando una parola viene usata persino nello scritto, allora si può riconoscerne l’appartenenza al parlato standard. Forniscono abbon-danti esempi i cosiddetti romanzi patriottici [...]. Anche questi esempi, tut-tavia, non hanno sempre forza probatoria, perché alcuni autori si spingono assai lontano nella mescolanza di parole di valenza locale: l’esempio estremo è sicuramente Jeremias Gotthelf. (16-18)

2.5 Informazioni

Per questo motivo mi sono state tanto più preziose le comunicazioni personali del prof. Huber, di amici italiani e di altre persone. In questo modo la raccolta provvisoria comprendeva in tutto circa 1.200 lemmi, di cui circa 200 quasi sicuri regionalismi.

3. La scelta

3.1 L’inchiesta analogica nello svizzero tedesco

Devo questa idea al prof. Huber, confidando nella parentela tra le lingue mo-derne citata a p. 60. E questo per ottenere non tanto rimandi o conferme positivi quanto piuttosto negativi. Quando certi ambiti o concetti si rivelavano come in-fruttuosi dal punto di vista regionale nella nostra lingua parlata, ci si poteva dif-ficilmente aspettare qualcosa da termini italiani non ancora attestati, al massimo poteva apparire un evidente radicamento nel dialetto o una relazione fortemente emotiva con particolari situazioni italiane (vedi marinare la scuola).

L’inchiesta fu sottoposta per iscritto a un bernese della città e a uno del con-tado, e così pure a un basilese e uno zurighese, tutte persone con formazione sco-lastica medio superiore o universitaria. Per Sciaffusa, Zurigo, Grigioni e Basilea si aggiunsero le osservazioni o la testimonianza di mia moglie. La sintesi che segue

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riporta il numero dei concetti della lingua scritta sottoposti al sondaggio e quello delle quasi certe differenze regionali dei dialetti:

famiglia 14 5 società 28 10bambini, giochi 36 16 tempo meteo, cronol. 4 2corpo, salute 30 9 teatro, cinema 5 -cibo 48 14 ristorante, caffè 16 4abbigliamento 37 11 tabacco e simili 5 1abitazione 27 8 divertimento, sport 6 -elettricità, radio, PTT 20 5 scuola 5 2lavoro, professioni 20 1 giornali, politica 2 -mercato, commercio 17 3 patria 1 1denaro e simili 8 2 città 4 1polizia, crimini 14 1 mezzi di trasporto 38 2viaggi, alberghi 7 1totale circa 400 100

Questa inchiesta assai limitata fornisce ovviamente solo informazioni parziali, indipendentemente anche dal fatto che non si possono mai trarre conclusioni sulla base di un singolo concetto dell’una lingua esteso a quello corrispondente dell’al-tra. Un numero maggiore di informatori per le diverse località svizzere avrebbe probabilmente mostrato che certi regionalismi sono possibili anche altrove, ma per contro avrebbe difficilmente messo in evidenza ulteriori differenziazioni. I ri-sultati per un certo verso negativi, nel senso di ambiti che non presentano interesse geografico, hanno confermato in pieno le mie attese. Sin dall’inizio la variazione regionale era certamente più probabile per settori tradizionali, come l’economia domestica di Kretschmer, piuttosto che per le manifestazioni del “progresso” mo-derno, vale a dire per i risultati delle nuove tecnologie come mezzi di trasporto, radio, bar e sport. Alla stessa stregua del nostro Sport, la Gazzetta dello sport viene divorata allo stesso modo in tutta Italia. E analogamente pubblicità, giornalismo, radio, cinema e televisione hanno un effetto troppo uniformante perché possano nascere in numero più consistente regionalismi del settore. Per concetti fortemen-te legati al progresso si constata come due altre variazioni siano più significative di quella geografica: per denominazioni oggettive come elicottero/autogiro, giardi-niera/giardinetta (modello d’auto) si manifestano differenze a seconda che si sia aggiornati o meno sulla terminologia tecnica più corretta o più recente; parole emotivamente più pregnanti come diva o segnorina sono fortemente soggette alla moda dal giornalismo, dagli ambienti studenteschi o militari e simili, e perciò han-no vita breve e sono differenziate regionalmente almeno per quanto riguarda le zone isolate che arrancano.

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Menarini (A, 18 sgg.) accenna a differenze geografiche proprio per certi ne-ologismi tecnici o sportivi, ad esempio calcio per futbal sarebbe impensabile nel dialetto bolognese e il forestierismo non è captato come tale.

Anche indipendentemente da simili influssi del sostrato popolare, dovrebbero però essere nati qui e là moderni regionalismi. Sarebbe interessante individuarli perché sarebbe la dimostrazione che i risultati delle forze centrifughe del parlato non sono solo conservatori ma sempre e di nuovo dirompenti. Per tali motivi si sono conservati numerosi concetti strettamente legati al progresso nel passo suc-cessivo, previsto sin dall’inizio:

3.2 L’inchiesta test

Questo passaggio serviva a selezionare un materiale troppo abbondante e nello stesso tempo a elaborare la metodologia dell’inchiesta. Dal materiale sono stati esclusi i 200 concetti ritenuti con ogni probabilità regionalismi, e così pure più di 300 senza prospettive. Le rimanenti più di 600 domande non le ho somministrate a tutti gli informatori ma le ho suddivise come segue:

Categorie geografiche o altre numero approssim. dei concetti

domande

Venezia – nord Italia 45 3

Milano – nord Italia 55 7

Torino – nord Italia 55 3

Genova – nord Italia 30 2

Firenze – Toscana 55 4

Roma 65 3

Napoli – sud Italia - Sicilia 85 6

nord – centro-sud 6 - 25 23

sinonimi, in prevalenza concetti tra-dizionali I

55 28

sinonimi idem II 90 22

forestierismi e vocaboli sostitutivi 65 18

forestierismi o neologismi 30 16

elenco per giovani (sport, tecnica ecc.) 55 8

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I primi quattro elenchi si sovrappongono. Il numero dei concetti oscilla tra le prime e le ultime interviste, siccome si sono aggiunte nuove domande proposte dagli informatori. Poiché degli elenchi regionali ne veniva preso in considerazione uno solo, per un soggetto toccavano fino a 7 elenchi con circa 350 concetti. Non sempre, tuttavia, presentavo tutti gli elenchi – come mostra l’ultima colonna – per-ché spesso gli informatori non disponevano del tempo, della sicurezza o della com-petenza necessari. Di seguito viene indicata l’origine dei 30 informatori: Provincia Treviso (2) – Venezia – prov. Trento – prov. Novara – Milano (3) – Torino – Torino (lettera) – Torre Pellice – prov. La Spezia – Reggio Em. – prov. Modena – Cesena – Genova/Firenze (lettera) – Firenze (lettera) – prov. Lucca – Massa Carrara – Pesaro – Roma – Roma/Trieste (lettera) – Roma (lettera) – prov. Teramo – Barletta – Napo-li – Napoli (lettera) – Taormina – Catania – Palermo (lettera).

I corrispondenti sono conoscenti personali o loro amici e appartengono tutti a ceti colti. Gli informatori rimanenti li ho incontrati a Zurigo e dintorni. In quale modo e con quali esperienze si è svolta l’inchiesta risulta dal contesto della stessa. Qui aggiungo solo che, per quel che concerne questi primi provvisori sondaggi, non ho potuto né dovuto essere troppo esigente in merito al luogo d’origine, all’as-senza da casa e ad altre premesse, né ho fatto domande troppo puntuali. Sei di questi informatori furono recuperati per l’inchiesta vera e propria.

3.3 Il questionario 3.3.1 Le sue dimensioni si sono ridotte con il progressivo studio del tema: dai

400 numeri iniziali si è passati a 300 e infine a meno di 250. Da un lato è stato sem-pre più evidente che per ogni luogo era necessaria, quando possibile, più di una registrazione e per le grandi città almeno 4 o 5, per evitare di perdere la stratifica-zione sociale e la fragilità individuale di questo stadio intermedio. D’altra parte ho constatato nell’inchiesta test come il tempo o la tensione mentale dei soggetti non superava di regola due ore di risposte concentrate.

3.3.2 Esclusioni. Sulla base dell’inchiesta test furono eliminati:- doppioni come colino/passino, apparentemente non differenziati dal punto

di vista geografico;- regionalismi apparentemente solo dialettali come novizza/mula (fidanzata);- oggetti troppo polisemici e/o multiformi come ravioli/agnolotti;- diverse cose meno importanti dal punto di vista scientifico o pratico, come

ventriglio/cipolla/gricile;- differenze tra Toscana e resto d’Italia in cui la scelta è in ogni caso molto

ricca.Erano da mantenere i concetti più interessanti e ricchi di spunti. Ma cosa si-

gnifica? Già dal punto di vista dell’interesse geolinguistico si può discutere se sia più utile osservare luoghi molto grandi o non piuttosto numerosi piccoli posti.

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Tuttavia prima dell’inchiesta non era possibile prevederlo. Inoltre delle grandi cit-tà in quanto probabili centri di diffusione della lingua parlata, Bologna e Genova risultano male rappresentate nell’inchiesta test e nella scelta delle domande, per-ché per la prima città non avevo individuato un informatore e per la seconda il corrispondente m’aveva piantato in asso.

Ancora più difficile risultò la definizione del valore linguistico abituale di un concetto. I sinonimi elencati sotto e) sono quelli che meglio chiariscono la que-stione della lingua. Per quel che riguarda i dialetti, le domande dovrebbero essere contenute anche nell’AIS. Invece, la sfera familiare o addirittura infantile risultava attraente in quanto territorio inesplorato e per il confronto con le proprie osserva-zioni. È di nuovo il maestro che meglio di tutti può scoprire il materiale frequente o importante per i primi contatti con l’Italia. Dal punto di vista diacronico sono interessanti sia cose o relazioni più apprezzate – come e dove sopravvivono? – sia fenomeni moderni – che tipo di nuove differenze regionali si manifestano? A fron-te di questo contrasto di interessi, la scelta definitiva dipendeva di solito da una decisione di carattere più o meno personale.

Resta da chiarire un ulteriore punto di vista. A p. 58 si è detto che l’inchiesta si occupa in genere solo di dati concreti e lascia da parte la sfera dei sentimenti e delle idee. Allo stesso modo, per chiarezza, furono consigliabili dei limiti nei confronti di realtà emotivamente pregnanti come “ubriacarsi”, “criminale”, per i quali le in-formazioni non sarebbero confrontabili a causa delle implicazioni stilistico-sociali. La variazione geolinguistica deve occuparsi di parole dello stesso livello stilistico, in genere dunque delle denominazioni più o meno oggettive di una cosa, ma anche di quelle volutamente forti dal punto di vista emotivo, come dimora degli sciocchi. Non è stato purtroppo possibile evitare che nei nostri materiali compaiano mal-grado tutto più livelli, anche se ciò non inficia il giudizio complessivo perché simili risposte sono di solito isolate.

Ovviamente, si trattava adesso ancora solo di concetti promettenti dal punto di vista geolinguistico. L’inchiesta test, alla stessa stregua di quella analogica, aveva fatto piazza pulita delle “cose” della tecnica meccanica e intellettuale: telefono, radio, sport, aviazione furono eliminati come ambiti; divertimenti, cinema, fumo, elettricità, traffico furono conservati solo in quanto resti.

Per una componente particolarmente vistosa della lingua parlata in Italia, vale dunque l’osservazione seguente:

Il linguaggio sportivo ha la prerogativa di essere unitario e di non accogliere varietà proprie di città o di regioni. Ne è cagione il sistema di campionati e la frequenza (quasi settimanale) di incontri atletici fra gli sportivi di tutta l’Italia. (R. Venturini in LN 1942, 109)

3.3.3 L’impostazione. a. Un insieme di concetti di proporzioni relativamente

modeste ha per la prospettiva onomasiologica un valore scientifico assai relativo.

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Non è stato perciò il caso di applicare il sistema concettuale Hallig/Wartburg pen-sato per confronti linguistici di ampie dimensioni. Ho invece cercato di raggrup-pare le domande tenendo conto dell’informatore, partendo dalle cose a lui più familiari per poi condurlo possibilmente senza scarti ad affrontare gli altri settori della quotidianità. Ciò corrisponde alla pratica dei rilevamenti dialettologici di Bottiglioni e Scheuermeier. Questo modo di procedere di stampo psicolinguistico potrebbe sicuramente essere migliorato nei dettagli, ma la componente soggettiva non verrebbe per questo eliminata.

b. Per cominciare, prima dei concetti ci sono diverse questioni relative alle condizioni personali dell’informatore e alla situazione linguistica nel suo luogo d’origine (pp. 41, 85). Se si pon mente che diversi lemmi, come per esempio “ordi-nazione di vino, birra, caffè” o “nomignoli regionali” si suddividono in molteplici sotto-aspetti, il questionario, con n = nome, l/d = lingua/dialetto e i concetti 1-242, conta complessivamente circa 300 domande.

3.3.4 La singola domanda. Do per scontata l’esistenza di concetti sufficiente-mente univoci che non abbisognano di una lunga giustificazione. Il rimprovero a lungo mosso all’onomasiologia di poggiare così facendo su basi insicure è stato contestato in modo convincente già da Jaberg (vedi Quadri p. 166), e anche da Wartburg (vedi Hallig, v.W.), che l’aveva sollevato nella sua tesi di dottorato. Il concetto di concetto, come il concetto di lingua parlata, è tanto difficilmente af-ferrabile dal punto di vista teorico quanto lo è facilmente da quello pratico (vedi citazione Migliorini p. 56), secondo se si considerano i margini logicamente vaghi o il nocciolo solido nella coscienza linguistica.

Un altro dilemma merita più attenzione da parte dei ricercatori: la risposta deve essere provocata da un lemma o da una definizione? Poiché per la lingua par-lata il rischio di suggestioni della lingua scritta è più evidente di quanto non lo sia per il dialetto, in un primo momento ho pensato di ottenere per mezzo di una pa-rafrasi un’informazione il più possibile spontanea e libera da influenze. Un paio di tentativi mi hanno ben presto convinto che questo metodo non funzionava. Sulla scorta della definizione emergeva soprattutto la denominazione scolastica, e questa non era certo la più corrente in quei casi, come le domande complementari prova-vano immediatamente. È chiaro che la parafrasi teorica ha un rapporto così esile e superficiale con l’uso linguistico effettivo da far nascere nel corso delle domande una sorta di clima d’esame che rimanda alla parola scritta. Inoltre le definizioni non di rado approssimative avrebbero spesso provocato equivoci e soprattutto inutili perdite di tempo. Già Giuliani aveva constatato:

[...] il legnaiolo non intende affatto le definizioni di arnesi suoi (I,152).

Citare solo la voce scritta mi sembrava pure fuori posto, addirittura pericoloso. La faticosa ricerca di sinonimi mi ha spinto a presentare subito agli informatori

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tutta la gamma delle denominazioni di un concetto a me note. La prima valeva come titolo di testa, quando non erano una breve spiegazione o una frase esempio, a dare l’indicazione necessaria:

domanda 1: anello matrimoniale - a. benedetto - fede - vera - verghetta [...]domanda 2: (testimonio a un matrimonio) testimonio - testimone - testimo-

nio dell’anello - compare d’anello compare di fede - compare - padrino [...]

domanda 7: (prendere, portare un bambino... ) in braccio - in collo [...]

I due diversi percorsi citati più sopra sono dunque stati messi in relazione ed estesi: l’informatore non prende le mosse da un pensiero astratto o da un lemma suggestivo, bensì deve indicare in una sequenza concreta la/e denominazione/i principale/i. Dornseiff ha ragione quando dice che «parlare significa fare una scelta tra sinonimi» (cit. da Quadri, 167). Certamente anche questo metodo non garantisce la completezza delle informazioni, perché quasi ogni informatore sug-geriva denominazioni a me sconosciute – di solito certo una marginale ma di tan-to in tanto anche una molto importante. Con la presentazione di molte parole si evita in genere il pericolo del condizionamento dello scritto come pure quello di un’eventuale reazione opposta, ossia la comparsa di iperprovincialismi. Questi sono in ogni caso da temere piuttosto nei rilevamenti dialettali, come mi risulta dal confronto di certi risultati dell’inchiesta con le carte dell’AIS. Nella prospettiva dell’analisi di rilevamenti della lingua parlata (cfr. C e D), approfondirò di seguito una situazione del genere.

Per il concetto ‘giacca’ la lingua scritta preferì sin dalla comparsa di questo capo d’abbigliamento nella prima metà dell’Ottocento e sino a poco tempo fa, giacchetta. Sulle carte 261 dell’AIS e 1694 dell’ALEIC questo vocabolo prevale chiaramente su giacca, giubba, marsina ecc.; nella lingua parlata, al contrario, si trova al posto o prima di giacca solo a Fiume, come pure nella fascia Bologna – Fi-renze – Lucca – Pisa – La Spezia.

Prima domanda: l’inchiesta fornisce un quadro errato? Esempi da testi mo-derni confermano tuttavia il prevalere di giacca in parecchie zone settentrionali o meridionali dell’AIS con giacchetta. In Fanf.A. c’è già nel 1877 lo schizzo della mia cartina: «Giacca [...] per Giacchetta è sgarbata voce comune nell’Alta e nella Bassa Italia: qua in Toscana non si ascolta senza disgusto».

Da ultimo le norme della lingua scritta successive al 1940 (in Pal., Capp.M. e Lazz.N. predomina giacca) permettono di concludere che le risposte dei miei informatori si staccano dalla realtà al massimo nel senso dell’evoluzione attuale.

Seconda domanda: c’è da dubitare delle informazioni dell’AIS? Effettivamen-te, secondo i vocabolari anteriori al 1930 (solo questi ci interessano), giacca do-vrebbe, diversamente dall’AIS, essere (stato) dialettale anche a Verona, Mantova, Alessandria, Genova e Napoli. A quale delle due fonti credere? Si può lasciare perdere Alessandria a favore dell’inchiesta, perché per questa città non ci sono

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rilevamenti dell’AIS, e AL 3 conferma giacca come dialettale. A favore dell’atten-dibilità dell’AIS sta il caso di Ancona: il vocabolario del 1889 riporta giacca, l’AIS giacchetta, altrettanto AN 3. Questo esempio e il fatto che dei citati testimoni di giacca, VR 1900, MN 1882 e NA 1882 nominano anche giacchetta, rendono plau-sibile la conclusione seguente: nel caso di un concetto legato alla moda, e quindi fortemente influenzato dalla lingua parlata, nei dialetti cittadini dovrebbero più che altrove convivere più o meno a lungo due denominazioni; l’AIS qui e là però ne ha evidentemente rilevato solo una. Perché proprio giacchetta? Forse dipende dall’età avanzata dell’informatore? In questo caso si potrebbe immaginare che sia stato proposto un solo lemma, giacca, e questa voce dovrebbe a prima vista garan-tire l’attendibilità delle risposte giacchetta, venendo a cadere l’effetto suggestione. Ma posso pensare anche all’eventualità di un’altra reazione: il soggetto sente giacca come voce della lingua scritta. Non potrebbe essere tentato, come informatore di un’inchiesta dialettale, di preferire tra due varianti a sua disposizione quella più legata al territorio? Allo stesso modo reagiscono fieri dialettofoni basilesi, bernesi, zurighesi nella scelta tra un neologismo e una voce tradizionale ma in via di estin-zione. Poiché alla rete dell’AIS sono dunque sfuggite talune occorrenze di giacca11, sarebbe da verificare se anche nelle inchieste dialettali non si debbano preferire le liste di sinonimi alla domanda sul lemma o che, per lo meno, si insista nella richiesta approfondita di eventuali sinonimi. Così facendo però si rinuncerebbe all’antico ideale della spontaneità. Ma già era stato il caso con Bottiglioni (secondo Kuhn, p. 109) che riteneva dannoso fermarsi alla prima risposta dei suoi informatori corsi.

Mi manca l’esperienza dei rilevamenti dialettali: ma nel corso della mia inchie-sta ho sperimentato così spesso correzioni, anche da parte di corrispondenti (nel-la richiesta di chiarimenti) con formazione linguistica o addirittura lessicografica, che il risultato, ottenuto da una scelta cosciente e dalla discussione delle diverse possibilità, mi sembra per la lingua parlata molto più autentico di quello di una cosiddetta scelta spontanea, in realtà una prima informazione isolata piuttosto ar-tificiosa. Da questo punto di vista parecchie denominazioni sono troppo spesso interconnesse e possono scambiare il loro grado di “spontaneità” a seconda delle situazioni alle quali fa riferimento la coscienza linguistica: ad esempio se si desidera una vivanda a casa o se si vuole ordinarla al ristorante, vedi uovo da bere, limonata, caffè, ecc. Vediamo quanto scrive Migliorini:

11 Per giacca/giacchetta va aggiunto che la vistosa differenza tra l’AIS e la mia inchiesta può essere riportata a carenze dell’AIS, naturalmente solo dove vocabolari dialettali la mettono in rilievo; per il resto in ciò si rispecchia piuttosto una rapida estensione di giacca nei 30 anni che separano le due inchieste. E ciò non solo nella lingua parlata, facilmente influenzabile, dei grandi centri della moda e dell’industria quali Milano, Torino, Roma, ma anche nei dialetti: infatti, senza che venisse loro richiesto, i miei informatori hanno indicato giacca come dialettale in diverse località dove l’AIS non la riporta: Trieste, Venezia, Verona, Bellinzona, Locarno, Alessandria, Forlì, Napoli.

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La geografia linguistica ha assodato che incertezze e oscillazioni (scil. nei dia-letti) si hanno per lo più soltanto ai confini fra l’area in cui si trova una forma e l’area contigua in cui se ne adopera un’altra: al contrario, la lingua può avere nel suo lessico due o più forme, due o più voci, a cui solo in qualche caso corrispondono differenze di nozioni concrete, per lo più invece semplici connotazioni affettive o sociali. (Mgl.L., p. 30 sgg.)

3.3.5 La forma esteriore. Per l’inchiesta test e quella analogica si sono usati fogli sui quali erano scritti di seguito i lemmi e i loro sinonimi che occupavano da una a due righe. La frequenza di una voce era messa in risalto da una o più sottoli-neature. Il valore sociale veniva eventualmente segnalato dai segni: x ‘più italiano’; f ‘familiare’; p ‘popolare’; v ‘volgare’.

Per l’inchiesta effettiva il sistema delle schede si è imposto, nel senso che tut-to quanto era noto doveva essere prestampato. A questo fine ho inscritto in una stampante trasversalmente 61 matrici per le 244 schede complessive nel formato cartolina postale (A6). Per ciascuna furono tirate 150 copie per un numero eleva-tissimo di rilevamenti. L’impostazione riprodotta in calce permetteva di inserire rapidamente durante l’intervista le parole scelte, con le indicazioni di frequenza a sinistra e a destra le eventuali osservazioni. Per le annotazioni mi sono servito della biro, la cui scrittura è chiara e duratura e non necessita di cancellature perditempo.

40mi pizzica (la pelle)mi fa il pizzicorinomi prudemi fa pruritomi morde... ... mi rodeCome detto, si sono aggiunti sempre nuovi sinonimi o anche differenze ono-

masiologiche (vedi questionario, pp. 91 sgg.). È stato dunque necessario aggiun-gere molto a mano per conservare per tutte le risposte lo stesso schema. A poco a poco mi sono tuttavia dovuto limitare ad aggiungere nuove denominazioni appa-rentemente circoscritte a un territorio, solo nelle serie della stessa regione o anche solo delle città vicine al luogo di ritrovamento (vedi marinare la scuola, pp. 145 sgg.). Soltanto alla fine sarebbe stato possibile riprodurre un questionario comple-to, ma anche in questo caso approssimativo, perché la lingua parlata è almeno in parte condizionata individualmente e culturalmente in continua trasformazione. Comunque, grazie ai lavori preparatori e a completamenti precoci, è stato possibile chiedere dappertutto quasi per ogni concetto le denominazioni più diffuse.

Quando c’erano le risposte di un informatore si passava a inserire nella scheda l’abbreviazione della località corrispondente. Tutto questo lavoro di inserimento e di selezione delle circa 37.000 schede vuote come pure delle altrettanto numerose schede compilate, ha richiesto molto lavoro manuale.

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4. L’inchiesta

4.1 Per la rete urbana si sono scelte due tipologie di città: quelle imprescin-dibili (sottolineate) e quelle solo auspicate. Le seconde erano da considerare in funzione della presenza o meno di informatori adeguati. Per questo motivo si è scelto Lecce come punto base per Brindisi e tutto sembra aver funzionato per il meglio. Può sorprendere il prevalere del nord Italia e della Toscana nell’elenco: la spiegazione sta nel fatto che i dialetti in queste zone sono più numerosi rispetto al resto d’Italia, per cui c’era da aspettarsi una maggiore differenziazione della lingua parlata. Comunque ho inserito in seguito luoghi non previsti, come Pescara, la pro-vincia di Siracusa e Nuoro: purtroppo le risposte per le restanti località del centro e del mezzogiorno sono state assai scarse. A illustrazione dei numerosi sforzi inutili, riporto l’opinione di una linguista calabra alla quale avevo chiesto la collaborazio-ne nella ricerca di informatori: «Perché ha intrapreso un lavoro così ingrato?» (Ma lei stessa non mi ha messo in contatto con nessun informatore disponibile!).

Veneto Fiume 2 Piemonte Novara Trieste 2 Biella Udine 2 Torino 5 Belluno Alessandria 3 Venezia 4 Liguria Genova 5 Padova 2 La Spezia 1 Vicenza Verona 3 Emilia Piacenza Trento 1 Parma 1 Bolzano 2 Reggio 3 Modena 1Lombardia Mantova 1 Bologna 4 Cremona 1 Ferrara 1 Brescia 2 Ravenna 2 Bergamo 3 Forlì 1 Como 2Ticino Lugano 2 Toscana Firenze 5 Bellinzona 2 Lucca 1 Locarno 2 Pisa 2Lombardia Milano 5 Siena 2 Lodi Arezzo 2 Pavia 2Marche Ancona 3 Lucania Matera 1 Ascoli PotenzaUmbria Perugia 2 Calabria Cosenza 1 Orvieto 1 Catanzaro 1

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Reggio 2Lazio Viterbo Roma 3 Sicilia Messina 3 Gaeta Catania 2Abruzzi L’Aquila 2 (Siracusa) 1 Teramo Agrigento Chieti 1 Palermo 2 (Pescara) 2Puglia Foggia 1 Sardegna Cagliari 2 Bari 2 (Nuoro) 2 Lecce 2 Sassari 2 Taranto 1totale 58 località 124 rilevamenti12

Perché non figurano sulla lista località più piccole che, in virtù di una posizione di frontiera, possono forse essere assai interessanti? Per questo primo rilevamento è sembrato essenziale che le domande fossero poste al maggior numero possibile di informatori in un contesto urbano simile. Già in questo modo ho avuto spesso informazioni, come quella di LOC 2 per pizzicagnolo, fruttivendolo, spaccio di vino, rivendita di sale e tabacchi, così formulate:

La città essendo piccola, l’uso più comune è quello di chiamare il negozio col nome del proprietario; la gente del luogo sa a che tipo di spaccio si allude [...] di modo che nel linguaggio parlato i nomi generici sono poco usati.

Lo stesso si è constatato per infrastrutture, molto rare in piccole località, come ballo pubblico all’aperto (dancing), cinema all’aperto. Le eccezioni, alcune inter-viste a persone di località rurali medie o piccole, si spiegano con il timore di non disporre altrimenti di nessuna informazione su quelle regioni.

Avevo in effetti il compito di studiare anche la lingua parlata della Corsica. Sin dall’inizio, tuttavia, mi sembrava improbabile che, tra il francese lingua scritta e il dialetto nella comunicazione familiare, ci potesse essere lo spazio anche per l’italia-no standard. Dei due indirizzi ottenuti con gran fatica, ho avuto una sola risposta da Bastia e per di più molto lacunosa. Il commento relativo è stato il seguente:

Le schede alle quali non ho dato risposta non ne trovavano in corso. Cioè a dire che il corso usava il francese, magari dando una desinenza all’italiana [...] Il fatto sta che, generalmente, i giovani traducono dal francese, o senza ripugnanza alcuna usano il francese mischiato al dialetto. È un fenomeno normale, non trova?

12 Vedi p. 82 e ulteriori aggiunte p. 31.

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Il prof. Bottiglioni a questo proposito m’ha scritto quanto segue:

Effettivamente, quando i Corsi intendono di elevare la loro parlata, per esem-pio in componimenti poetici estemporanei (il canto funebre, u vòceru) o me-ditati, finiscono col livellare la loro parlata sul modello dell’italiano che essi intendono e quasi sentono naturalmente. Ma nella comune conversazione si esprimono nelle loro parlate locali che hanno un fondo comune sia nel nord che nel sud dell’isola, per cui nelle varie parti di questa, anche nelle più lontane tra loro, è possibile una perfetta comprensione anche se manca quella parlata media che Lei va ricercando. Coloro che sono stati in Francia o comunque hanno imparato il francese nella scuola, adoperano questa lingua che non è naturale ai Corsi, ma che per snob si considera come propria delle classi più elevate [...] In conclusione la parlata ch’Ella può ricercare per es. tra i dialetti della Penisola, mi pare che in Corsica non esista.

Siccome i due scritti confermavano in tutto, se non nella valutazione almeno nell’esposizione, la mia ipotesi negativa di fondo, e, inoltre, quelle risposte offriva-no forme in prevalenza dialettali, ho lasciato cadere la Corsica. Questa situazione, del resto, corrisponde abbastanza a quella che Kretschmer descrive per territori tedescofoni politicamente sotto la Francia:

Nel Lussemburgo [...] si parla unicamente il dialetto francone della Mosella e il francese come lingua ufficiale e giudiziaria. Non esiste una lingua parlata tedesca [...] Non è molto diversa la situazione delle regioni come l’Alsazia-Lorena. Fino al 1870 anche qui il francese ha in genere sostituito il tedesco, mentre come lingua popolare e lingua familiare delle persone colte si usa il dialetto alsaziano. (p. 14 s.)

Non sono in grado di dire se nei 40 anni successivi all’inchiesta di Kretschmer queste regioni siano passate alla situazione corsa o se il dialetto tedesco resista al francese in modo più deciso di quanto non faccia quello italiano.

4.2 I rilevamenti

4.2.1 A p. 58 si è già segnalato che era escluso che io potessi visitare tutti i luoghi previsti o che li raggiungessi per iscritto. I rilevamenti dovevano piuttosto avvenire secondo questo piano:

- informazioni orali di italiani a Zurigo e dintorni- informazioni orali di studenti a Pisa (in particolare alla Scuola Normale Su-

periore)- informazioni scritte provenienti dalle città non – o insufficientemente – con-

siderate.I tre percorsi sono stati praticati in parte parallelamente, ma in linea di massi-

ma costituiscono tre tappe successive: a Zurigo e dintorni si è svolta l’inchiesta test

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da metà settembre a metà novembre, l’inchiesta vera e propria con 45 interviste nel dicembre 1954 e gennaio 1955; a Pisa, come pure a Firenze e a Milano, ho intervi-stato 51 persone tra fine gennaio e fine febbraio 1955; la comunicazione scritta ha prodotto 28 risposte utili nel periodo tra gennaio e agosto 1955.

Le tre modalità saranno ora illustrate di seguito, dapprima per le loro pecu-liarità esteriori e in seguito per i dubbi che il piano esposto sopra ha fatto sorgere.

4.2.2 Trovare l’Italia a Zurigo è stato il primo e, per l’inchiesta test, ineludibile compito. Potrebbe sembrare un gioco da bambini, dal momento che tra la Stazio-ne centrale, Stauffacherplatz, Bellevue e Zentral incontrare giovani italiani e italia-ne è la cosa più normale. Ma non mi andava l’idea di cercare informatori nella folla anonima delle vie cittadine. Speravo di ottenere indirizzi affidabili dalle istituzioni che all’estero mettono in relazione gli italiani tra loro e con la patria, piuttosto che riceverli da persone di buona volontà e affidabili.

Gli enti ufficiali e ufficiosi – il Consolato si occupa di circa 30.000 italiani – non hanno saputo indicare nessuna persona idonea o hanno mostrato solo scarso interesse. Rispetto alla burocrazia, hanno fatto felice eccezione la Camera di com-mercio, le agenzie della Fiat e del Lloyd Triestino, di modo che alcune porte si sono aperte.

Come ci si poteva aspettare, il contatto più fruttuoso è stato con la Chiesa valdese. In quanto piccole minoranze spesso oppresse, i gruppi evangelici in Italia formano vere e proprie famiglie; la vita sociale dei membri si svolge normalmente all’interno della comunità confessionale, in particolare anche in relazione con le manifestazioni ecclesiastiche. Il pastore Eynard e i membri della comunità o sim-patizzanti hanno interagito con me con la massima disponibilità. Qui ho trovato la maggior parte degli informatori per l’inchiesta test e anche alcuni successivi – in genere persone di una certa cultura, giovani impiegati, mogli di svizzeri, che hanno tuttavia conservato e anche trasmesso la loro lingua.

Molto disponibile si è dimostrata anche la Missione cattolica. Ma essendo di-versa la concezione di comunità ecclesiale, manca anche il tipo di coesione appena descritto. La chiesa e l’edificio annesso sontuosamente arredato, sono aperti a tutti quelli che cercano il contatto pastorale o il divertimento con i connazionali; ma di indirizzi quasi non se ne trovano. Ho dovuto quindi, sera dopo sera, cercare tra il pubblico festante dei locali del tempo libero – soprattutto domestici – gli abitanti delle mie città.

Ne ho trovati solo pochi, perché evidentemente gli italiani in Svizzera proven-gono solo in minima parte dai grossi centri e in genere solo raramente dall’Italia centro-meridionale. Secondo diverse stime i veneti costituiscono i ¾ dei 150.000 immigrati, perché a questo gruppo settentrionale, abituato a un lungo contatto con l’Austria, le condizioni di vita e di lavoro svizzere risultano familiari.

Nel quartiere generale dell’Italia di Zurigo, la Casa d’Italia, sede della scuola, di diverse associazioni e... delle piste da ballo! – speravo molto di incontrare al-

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cuni soggetti, dato che non si tratta di una struttura statale, bensì della sede della Colonia libera. Questo vantaggio non ha tuttavia prodotto alcuna intervista, ma perlomeno sono nate interessanti discussioni sulla lingua parlata e i regionalismi, come pure osservazioni etnografiche inimmaginabili fuori d’Italia.

Sono andato una sola volta alla Stazione centrale, il club ancora più anonimo degli italiani. Non ho potuto sfruttare l’informatore di Parma che si trovava tra i frequentatori del luogo, spesso alla ricerca di un lavoro, perché troppo pesanti erano i dubbi sulla sua affidabilità personale e linguistica, e tanto poco si sentiva coinvolto nell’iniziativa.

Ad alcuni soggetti mi hanno portato instancabili domande durante le intervi-ste alla ricerca di eventuali conoscenti. Ci furono numerose informazioni inesatte a proposito dell’origine. Spesso mi veniva indicata una città, Udine, Novara ecc., quando in realtà il luogo d’origine era un villaggio della provincia in questione. In casi del genere, rinunciare all’informatore senza offenderlo non è sempre stato fa-cile. Una volta descrissi le mie esigenze all’affittacamere di un informatore e costei si offrì come aiuto per la sua città d’origine Trento. Per fortuna venni a sapere pri-ma del rilevamento che la donna era cresciuta in un paese a 50 km dal capoluogo. Oppure in un collegio pisano si svolse il dialogo seguente tra il mio accompagnato-re e il suo compagno: «Tu sei di Pavia? – sì – di Pavia città? – sì – città città? – no».

Come spiegare tale mancanza di chiarezza? A questa domanda dedico un po’ di spazio perché serve a far luce sia sul peso particolare della lingua parlata citta-dina sia su certi concetti come ‘persona incivile, zotica’ (villano) e ‘dimora degli sciocchi’.

Giusti, nella sua critica alla tendenza centralizzatrice oltre la regione, scrive:

Si faceva sempre più evidente la necessità che attorno ai maggiori centri urba-ni i servizi pubblici delle comunicazioni, della distribuzione di acqua, energia, luce, ecc., disponessero di vasti spazi spesso eccedenti i limiti provinciali; si cercò di corrispondervi allargando qualche volta in modo eccessivo il ter-ritorio di comuni [...] Si vide così, ad esempio, Reggio di Calabria passare di colpo tra i cosiddetti grandi comuni [...] con l’aggregazione di Villa San Giovanni e di un largo tratto di territorio rurale sui pendii dell’Aspromonte con una sessantina di località [...] (p. 52)

Un ulteriore motivo è di natura essenzialmente pratica: in un’altra zona del ter-ritorio, e soprattutto all’estero, nessuno conosce il borgo o il villaggio in questione; è così del tutto naturale che si indichi come luogo d’origine il capoluogo della provin-cia. Che tuttavia l’interrogato insista su ciò, ha una sua origine più profonda: molti italiani si vergognano di non appartenere a una comunità urbana importante. Que-sto complesso d’inferiorità della popolazione rurale, molto più acuto che nel resto d’Europa, va messo in relazione con la storia d’Italia in cui i maggiori centri urbani raramente o mai hanno condiviso il loro ruolo guida con la campagna. Il notevole studio di Braunfels mette in risalto come questo monopolio politico e culturale ab-

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bia avuto nel Medioevo anche radici religiose. Un altro percorso, in un certo senso più produttivo anche se faticoso, che mi ha portato agli informatori è quello di im-portanti imprese, quali alberghi, ristoranti, mense e ospedali. I cassieri, impiegate e dirigenti mi hanno quasi tutti accolto con simpatia, addirittura con interesse per il tema, quando avevano loro stessi verificato la sua attualità nel rapporto con i propri dipendenti. Anche le richieste nelle grandi fabbriche di Zurigo e dei dintorni sono state in genere accolte sollecitamente. Ho così potuto intervistare parecchie persone serie nella baraccopoli della Brown Boveri; tra i domestici e le domestiche come pure il personale di cucina ho incontrato persone affidabili, mentre sono rimasto deluso da camerieri e cameriere per il loro atteggiamento ambizioso nei confronti della lingua. Proprio gli italiani semplici si sono con evidenza sentiti fieri di essere considerati seriamente come rappresentanti della loro lingua madre.

Ma sono giustificati questa ricerca e le interviste di italiani a Zurigo? Io stesso all’inizio nutrivo grosse perplessità per questa idea del prof. Huber, e pensavo che tali rilevamenti avessero valore al massimo per l’inchiesta test e per la verifica della metodologia. I miei dubbi sono stati in gran parte cancellati dai risultati, cioè attra-verso il confronto con le altre informazioni, in particolare quelle scritte.

A questo proposito si pensi alle circostanze seguenti: alcuni informatori era-no in Svizzera solo da settimane o mesi. Il tedesco o lo svizzero tedesco che gli altri hanno sentito e più o meno usato non poteva in alcun modo condizionare la memoria della lingua materna. Per coloro che vivono quasi esclusivamente in ambiente svizzero, la loro lingua parlata nella comunicazione con i datori di lavoro italiani può al massimo essere influenzata dalla lingua scritta (SA 2?) ma non essere alterata da altre forme regionali. Molti italiani tuttavia vivono con un parente e la maggior parte dei singles incontrano regolarmente i più stretti compaesani nei cir-coli segnalati o nel locale abituale; quasi tutti tornano ogni anno da una a quattro volte a casa per le vacanze.

Ci si immagini per analogia degli svizzeri a Roma: se, dopo un soggiorno non troppo lungo, gli si chiedesse se nel nostro tedesco standard il venditore di car-ne fresca si chiami “Schlächter, Fleischer, Metzger o Fleischhauer”, oppure se si prenda l’“Abendbrot, Abendessen, Nachtessen o Nachtmahl”13, otterremmo sicu-ramente la risposta corretta (Kretschmer 414, 63). Certamente lo standard svizzero tedesco all’estero poggia su basi più solide che non l’italiano regionale, perché è la lingua usata più regolarmente nei nostri giornali e nella letteratura. Ci si potrebbe immaginare anche un ulteriore svantaggio per l’italiano parlato a Zurigo: parecchi italiani parlano qui più spesso in lingua che non a casa, in particolare con conna-zionali di altre regioni. Tuttavia, forme di koinè sono immaginabili solo dopo anni, perché la grande maggioranza, cioè i veneti, interagiscono tra loro per lo più in dialetto, e gli immigrati da altre regioni formano di solito gruppi omogenei chiusi.

13 ‘Pasto della sera’.

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Certamente, se agli svizzeri a Roma o agli italiani a Zurigo si chiedesse la deno-minazione più corrente con una definizione, si imporrebbe di sicuro la forma sco-lastica o quella maggiormente udita, nel nostro caso dunque quella del nord-est. Tuttavia per la scelta tra parecchi sinonimi disponibili, la coscienza linguistica du-rante i primi anni dovrebbe ancora rimanere sufficientemente regionale o addirit-tura essere acuita attraverso il contrasto vissuto per la prima volta con altri italiani.

4.2.3 La ricerca dell’Italia a Pisa si è imposta a causa della Scuola Normale Superiore, una istituzione di origine napoleonica, dove si trovano, sulla base di un concorso nazionale, studenti di tutta Italia che, assieme allo studio, ricevono una intensa formazione accademica. Qui si dovevano trovare persone colte, informato-ri con interessi linguistici, originari di città altrimenti difficili da considerare.

Il segretario prof. A. Perosa mi ha fornito in anticipo tutte le informazioni necessarie e ha facilitato in tutti i modi le interviste nello splendido Palazzo dei Cavalieri. Grazie all’instancabile intermediazione dello studente zurighese dott. P. Hess, sono stato accolto con interesse da quasi tutti i normalisti e ho potuto in un tempo assai breve “visitare” 19 località. Di fronte alla Normale c’è inoltre un colle-gio per borsisti delle discipline politecniche; infine a Pisa ci sono molti collegi per studenti gestiti da religiosi. Ma anche alla mensa universitaria non si incontravano solo toscani, perché il sistema universitario italiano con molte sedi solo parzial-mente compiute, gli esami annuali e la loro estesa parificazione favorisce e facilita una mobilità studentesca a noi del tutto sconosciuta.

Nel viaggio di ritorno ho potuto intervistare a Firenze due informatori del luogo e cinque di altre città e a Milano una signora già intervistata a Zurigo per l’inchiesta test.

Poiché ho intervistato solo due pisani, due fiorentini e una milanese nelle ri-spettive città d’origine, anche in questo caso possono nascere perplessità di ogni sorta sull’attendibilità delle informazioni. Effettivamente, io stesso ho avuto talvol-ta l’impressione che nella lingua parlata d’origine ci fossero influssi stranieri; que-sto soprattutto presso persone che sono già state in contatto intenso o prolungato con il nuovo ambiente, ad esempio BS 2, SI 1, ORV, BA 1, RC 1. Avverto questo pericolo talvolta più acuto in Italia che non all’estero, perché per gli studenti si tratta da un lato soprattutto di giovani che nella scuola media hanno fortemente allentato il contatto con il sostrato dialettale, dall’altro di un contatto linguistico più intenso nell’ambiente universitario (qui soprattutto toscaneggiante). Il feno-meno della forte mobilità della gente nell’Italia d’oggi (vedi p. 89) fa sì che nelle grandi città siano ovunque presenti elementi esterni. Per gli studenti, diversi fattori esercitano pure un influsso linguistico conservativo: per risparmiare alloggiano nei collegi e in camere private con un compagno possibilmente concittadino. Più o meno ciascuna regione ha il proprio bar o caffè, un luogo d’incontro quotidiano per non poche ore. E soprattutto non si può dimenticare che l’anno universitario ufficiale italiano dura al massimo sette mesi, e che molti studenti, a causa delle lun-

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ghe vacanze di Natale, Pasqua e carnevale, trascorrono in realtà non più di quattro mesi a Pisa.

Rifacciamo il confronto con gli svizzeri all’estero, questa volta però in contesto germanofono, ad esempio Berlino. Anche qui senza dubbio alle domande di p. 78 si risponderebbe correttamente, con l’eccezione di qualcuno che voglia espli-citamente cancellare la memoria dell’uso linguistico della patria. Del resto anche Kretschmer ha interrogato studenti a Vienna e Marburgo (p. 28).

4.2.4 L’Italia per corrispondenza è il settore della ricerca che, come già accen-nato, non mi aveva per niente convinto. Sia perché dubitavo di ricevere entro un tempo ragionevole risposte a un numero elevato di domande sia anche per il com-pito non facile di spiegare per iscritto. Nell’inchiesta test è capitato che una lettera tornasse dopo otto mesi non consegnata, due informatori mi hanno fatto il bidone, e una corrispondente ha del tutto frainteso il tema. Perciò per l’inchiesta vera e propria mi sono affidato, per le informazioni prevalentemente e per la ricerca di informatori adeguati unicamente, a persone con formazione o interessi linguistici.

Per l’Italia mi è stato particolarmente prezioso l’aiuto del prof. Migliorini di Firenze, e per il Ticino del dott. E. Ghirlanda di Lugano. Delle 38 serie di doman-de spedite (come raccomandate con allegata la busta affrancata per la risposta) ho avuto la fortuna di ricevere 34 risposte. Comunque sei (vedi sotto) furono eliminate, parecchie si allontanavano considerevolmente dalle istruzioni, e nessuna funzionava in modo tale da non richiedere più o meno approfondite richieste di chiarimento.

4.2.5 Metodologia ed esperienzea. Per semplificare le cose porterò subito a termine l’esame dei rilevamenti

scritti. Dapprima il commento spedito con la serie di domande14:

Inchiesta su differenze regionali nell’italiano parlatoLa prima reazione di molti sarà: «Differenze regionali esistono soltanto nei dialetti: l’i-

taliano è lo stesso dappertutto». Ciò è esatto per la lingua scolastica e letteraria (ed ancora senza pensare agli scrittori del verismo o del neorealismo!), molto meno invece per l’italiano usato quotidianamente, correntemente, l’italiano parlato per es. fra amici, dal parrucchiere o in famiglia, e non “in punta di forchetta”. Il Vocabolario della lingua italiana di Cappuccini e Migliorini spesso non esita ad indicare delle differenze tra l’uso toscano e quello fuori di Toscana ed anche a registrare numerosi termini “regionali”. Un tale sistema e quindi la mia indagine potranno sembrare inopportuni dal punto di vista puristico, cioè nella lotta per un’unità perfetta della lingua nazionale. Si badi bene però che il prof. Migliorini è promo-tore d’un vigoroso neo-purismo e scrive a proposito di esotismi: «La conoscenza precisa del terreno della lotta è indispensabile ad ogni buona strategia».

14 In italiano nel testo.

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Prego dunque vivamente di non avere scrupoli ad indicare delle voci di origine dialetta-le o straniera come più usate di quelle letterarie se ciò corrisponde alla realtà. Lei è libero di commentarle con v = volgare, ecc. (v. sotto) e può anche, se vuole, segnalarmi il termine che Lei considera come più schiettamente italiano.

Badi anche di non ispirarsi prevalentemente al Suo uso personale, certamente più puro, più schietto: è quello medio che devo indagare. Altrimenti le Sue informazioni da preziose diventano addirittura nefaste per la mia inchiesta. Ma siccome nessuno può far astrazione dal suo ambiente e dalla sua cultura, prego di rispondere, sulle schede n o l/d, ad alcune domande quasi indiscrete. Naturalmente queste indicazioni saranno pubblicate senza il Suo nome.

Nelle schede 1-242 il concetto è precisato accanto al numero o espresso dalla prima parola della serie. Se per l’uso della Sua città ci sono lieve differenze di significato fra i vari termini, le noti per favore a destra. L’uso comune confonde però spesso dei concetti che i dizionari e i professori distinguono con cura, per es. ‘frate’ / ‘monaco’. Cancelli tutte le voci che non corrispondano affatto al concetto / titolo o che non significhino nulla nella Sua città. Aggiunga invece, occorrendo, termini o locuzioni importanti per l’uso locale.

Poi annoti la serie dei sinonimi nel modo seguente:1. mettendo – ma soltanto se lo vuole! – dietro al termine che va considerato come più

schiettamente italiano2. mettendo, laddove Le pare importante, dietro al termine: l = letterario (facoltativo) f =

soltanto familiare a = antiquato p = uso del ceto popolare g = gergo dei giovani (fac.) st = studentesco (fac) sch = scherzoso sp = spregiativo (fac) v = volgare d = soltanto dialettale

3. mettendo delle lineette orizzontali davanti alle voci usate nella Sua città secondo l’ordi-ne (approssimativo!) di frequenza. Se si tratta per es. di tre parole, fra cui ne prevale una nell’uso (parlato) medio del ceto medio, metta tre lineette davanti a questa, davanti alle altre invece 2 e 1, oppure 1 e 1 se vengono adoperate ugualmente spesso (cfr. la scheda acclusa come esempio).

Alcune richieste e le prime risposte hanno purtroppo messo in evidenza, anche se troppo tardi, che le istruzioni non chiarivano a sufficienza il rapporto tra lingua parlata e dialetto. Quando ancora possibile, o nel caso di alcune domande comple-mentari, ho completato con l’aggiunta seguente:

Italiano usuale e dialetto:nella mia indagine il dialetto normalmente non c’entra. Però termini sentiti come dialet-

tali sono forse usati anche nell’italiano parlato1. familiarmente (= f) quando il concetto quasi non esce dal cerchio della vita familiare

(giuochi, espressioni usate coi bambini, ecc.) e quindi il termine scolastico o letterario corrispondente è ignoto o riuscirebbe troppo ricercato;

2. popolarmente (= p), cioè scorrettamente; nella lingua di gente poco colta che, volendo parlare in italiano, traduce per lo più dal dialetto.Il criterio per l’ammissione di termini dialettali nell’“italiano parlato usuale” è dunque

questo: una data voce dialettale può essere adoperata o no in una frase considerata come italiana e non dialettale? – sia come errore involontario, sia come una specie di forestierismo più corrente della parola pura (cfr. garage, camion, gol, rugby, ecc.).

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Sono da segnalare come esperienze piuttosto negative:Due informatori hanno risposto alle domande nel loro dialetto, travisando così

l’obiettivo, ma in questo modo mi hanno fornito preziose attestazioni sul sostrato della lingua parlata nella loro località (vedi C II). Come già detto, Bastia è stata esclusa, poi purtroppo anche una risposta su Foggia perché le informazioni con-cernevano la lingua parlata di regioni diversissime. La serie citata a p. 53 concer-nente Cagliari è pure stata eliminata non solo per i motivi lì elencati quanto piut-tosto perché quella maestra ha segnato quasi tutti i sinonimi di colorito non sardo. Al polo opposto, una signora del nord Italia mi ha insegnato che bonne è francese e nurse inglese, e ha liquidato il 90% delle voci come dialettali o gergali, di modo che certi concetti nella sua lingua parlata non presentavano più alcuna denomina-zione! Potrebbe risultare come utile completamento a proposito della questione della lingua, chiedere in tutte le località a due maestri di scuola elementare e media di trattare le serie di vocaboli partendo dalle loro correzioni dei componimenti: cosa e perché è considerato nell’insegnamento come italiano corretto, tollerabile, inaccettabile? Così facendo l’informatrice citata avrebbe fornito una risposta più adeguata al posto del giudizio oggettivo sull’uso linguistico generale. L’esigenza di giudicare, in ogni caso, ha potuto manifestarsi in diversi modi. Avevo proposto “i = più schiettamente italiano”, in primo luogo affinché con questa collocazione il faci-le purismo gratuito, radicato in ogni italiano colto e in particolare negli insegnanti, potesse essere spazzato via aprendo così la strada a considerazioni scientifiche.

Alcuni informatori hanno segnato di seguito termini che, secondo i miei rileva-menti, non potevano in alcun modo valere nello stesso tempo per la stessa località. Da domande complementari è emerso che gli informatori, dimenticando talvolta la parola principale, avevano dichiarato valide troppe denominazioni, di sicuro per il motivo addotto da PV 2:

Può essere però che sia stata un po’ larga nell’intendere l’uso, poiché quelli [vocaboli] su cui Lei mi fa ritornare sono intesi, non usati.

L’elenco di voci solo scritte, più che la discussione orale, può avere facilmen-te confuso la frontiera tra competenza lessicale attiva e passiva. Del resto qui si apre la finestra su un’ulteriore inchiesta, importante soprattutto dal punto di vista didattico: cosa (non) viene capito dove? Kretschmer introduce così alcuni interes-santi esempi:

La geografia linguistica ha un lato positivo e uno negativo. La limitazione spaziale di una parola presuppone l’assenza fuori della sua zona di diffusione. Se con questa si intende il territorio in cui questa parola è usata nel parlato, la sua assenza può essere di diversa natura: la voce è del tutto ignota e in-comprensibile, oppure è conosciuta e capita ma non usata. Tra queste due possibilità ci sono naturalmente anche stadi intermedi. (p. 35)

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Ho potuto annotare solo spontanei «mai sentito»15, per il resto non mi sono state date altre risposte. È possibile che questo punto di vista, soprattutto nelle risposte particolarmente ampie, quali TO 5, BO 4, FO, AR 1, PE 2, ME 2, abbia influito come fonte di errori, tuttavia solo per denominazioni secondarie.

Le richieste di chiarimento sono state numerose soprattutto per osservazioni poco chiare. Malgrado il commento, in quasi tutte le risposte certe parole erano accompagnate da un trattino di frequenza, apparentemente dunque della lingua parlata, e nello stesso tempo contrassegnate da d = soltanto dialettale. Oppure c’erano combinazioni contraddittorie del tipo: d. p., f. d.

Infine, in parecchie risposte scritte si riscontra la mancata indicazione, totale o parziale, della frequenza variabile dei sinonimi (vedi l’elenco a pp. 66 sgg.). Le circa 300 domande erano certamente troppe! Anche per questo gli informatori scrupolosi meritano la massima riconoscenza.

Un aspetto positivo di questo percorso è che in genere mi ha fornito risposte più ricche di quelle avute nei rilevamenti orali. Gli informatori disponevano di più tempo che non nel corso di un’intervista per riflettere su certe domande e anche per chiedere informazioni nel loro ambiente. Alcuni hanno avviato piccole inchie-ste per proprio conto (VE 4, LOC 2, AR 2)! Le informazioni scritte contengono soprattutto anche più spiegazioni, perché i corrispondenti non erano in grado di stabilire se esse sarebbero state capite correttamente da me. È dunque capitato che alcuni commenti fossero superflui, ma anche che parecchi fossero preziosi per un singolo concetto o per la situazione linguistica globale.

Il caso ideale è sicuramente quello in cui, accanto alle testimonianze meno am-bigue, tuttavia dirette e più stringate, s’aggiunge una informazione scritta.

b. Quale luogo dei rilevamenti orali ho sempre preferito l’abitazione dell’infor-matore, in modo che la lingua rimanesse il più possibile legata all’ambiente familia-re. Ciò si è rilevato importante in particolare a Zurigo in ambienti abitativi molto italiani, poi qua e là a Pisa, Firenze o Milano. Gli studenti preferivano accogliermi nella loro casa; gli altri singles li ho incontrati di solito in un caffè, poiché parecchi fra loro non avevano tempo o non se la sentivano di venire a casa mia.

Di solito ho preferito trovarmi solo con gli informatori per evitare inutili di-strazioni. Soprattutto dopo aver vissuto un’antipatica intromissione di pubblico: i due lavoratori fiorentini volevano bere durante l’intervista dopo il pranzo il loro caffè o bicchiere di vino; diventammo così in poco tempo l’attrazione centrale di un intero gruppo di italiani della mensa. Le risposte suscitarono vivaci reazioni cri-tiche, in parte legate all’italiano scritto in parte agli italiani settentrionali, così che il più anziano, reagendo in modo esuberante, finì coll’affermare a maggior ragione

15 Per esempio PI 2: palagini ‘lentiggini’ (PI 1); TN b: gruccia (TN a); BEL 2: da Erode a Pilato (BEL 1); PD 1: cacio.

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la sua fiorentinità mentre il più giovane, invece, stancatosi della discussione, non diede certo il meglio di sé.

A Pisa mi fu assai gradita la costante presenza di un altro romanista zurighese, il dott. P. Hess, che mi aiutò con le sue domande complementari, non solo, ma for-mulò le sue critiche al mio metodo di rilevamento e portò a termine un’importante intervista (PV 1) dopo la mia partenza.

Non di rado mi sono trovato a intervistare contemporaneamente due parenti o amici dello stesso luogo. Ma in genere uno si sentiva meno competente oppure la prima risposta veniva semplicemente approvata dall’altro. A fronte degli evidenti effetti di suggestione, una simile intervista la considero unica, solo in alcuni casi mi è capitato di specificare a/b (cfr. l’elenco a p. 41). Solo le risposte di FI 1 e 2 sono state separate in seguito perché erano spesso relativamente divergenti.

Questo tipo di intervista richiede al ricercatore un’attenzione assai maggiore rispetto a un semplice colloquio: ma offre talvolta impressioni preziose su talune differenze della lingua parlata di una stessa città (vedi RO 1 a/b, elenco p. 47). Tal-volta s’arrivò quasi alla lite; ma in genere i due concittadini trovavano interessanti le proprie divergenze, addirittura divertenti e rimanevano, grazie all’informalità della situazione, del tutto allegri e non certo vittime isolate dell’intervistatore.

Nella maggior parte dei casi gli informatori seduti accanto leggevano assieme a me a bassa o ad alta voce i questionari per intero. Simile modo di fare potrebbe a prima vista sembrare sconcertante. Ma fa risparmiare molto tempo, attiva la me-moria glottomotoria e ridimensiona la diversità nei confronti delle condizioni del rilevamento scritto. Di tanto in tanto qualcuno, di fronte a una parola stampata, si meravigliava che potesse venir scritta e non solo usata nel parlato dialettale. In ogni caso la lettura in comune, invece del semplice ascolto, dovrebbe aver agito a favore della lingua scritta e della scuola. Se si vuol essere corretti, questo metodo avrebbe dovuto essere praticato in tutti i casi. Ma lo hanno impedito talvolta circostanze esterne, talvolta la carente voglia di leggere dell’intervistato (ORV, SA 2).

Quando a Pisa, grazie all’inatteso abbondante raccolto, mi vennero a mancare i questionari, adoperai qualche volta schede già usate per intervistare un informa-tore di un luogo identico o vicino. Ciò permetteva di rilevare immediatamente le differenze e di commentarle con esattezza, e non comportava se non raramente influssi significativi sulla seconda risposta, poiché gli informatori non si preoccu-pavano affatto dei segni preesistenti.

Un’intervista durava mediamente un’ora e ¾. Fiume 2 è stata con 70 minuti la più veloce: la ragazza dal nome slavo, di poche parole ed energica, aggredì let-teralmente le denominazioni della sua lingua parlata. Sono rimasto invece per più di quattro ore nel tinello di Bologna 1, perché di tanto in tanto erano tre i membri della famiglia partecipanti: l’uomo mi illustrò concretamente tutte le differenze possibili (fino a maglia e canottiera) e nel frattempo mi offrì anche il caffè.

Solo AL 1 e PE 1 hanno trovato di non avere avuto tempo sufficiente per riflet-tere. Sarebbe stato sovente vantaggioso, quando affioravano diverse denominazio-

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ni, chiarire con più calma le eventuali differenze di significato e frequenza. Ma per far questo ci sarebbero voluti maggior tempo degli intervistati e un questionario meno esteso.

Come si è proceduto a istruire gli informatori sulla lingua parlata, in altre pa-role come sono stati messi sul corretto livello linguistico? Da questo dipendeva in larga misura l’utilizzabilità delle risposte. Un’unica volta (ORV) questa introduzio-ne fu tralasciata, perché ritenevo che il prof. Migliorini, che aveva proposto l’inter-vista a suoi conoscenti, l’avesse già fatto lui. Quando, dopo una serie di risposte, cominciai ad avere dei dubbi, fu chiaro che i due avevano pensato prioritariamente al loro vernacolo. Considerando il carattere familiare della maggior parte dei con-cetti dei primi gruppi, non è stato un male che la lentezza e la scarsa energia dei due anziani abbiano escluso un ritorno all’indietro. Seguirono poi informazioni quasi esclusivamente letterarie. Alla mia domanda, su quale fosse l’italiano che ora avevano in mente risposero: «L’italiano di Siena!».

Quando concordavo un rilevamento, la maggior parte delle persone intendeva con lingua parlata il dialetto del proprio luogo d’origine. Senza correggere all’ini-zio questo errore, cominciavo sempre con le domande relative al rapporto dialetto/lingua, come si legge nella scheda riprodotta qui di seguito.

l/d Prevale la lingua o il dialetto da:- persone del ceto popolare, tra di loro:- persone del ceto popolare nei negozi:- persone del ceto popolare a parroco, dottore, maestra:- persone del ceto medio, tra di loro:- persone del ceto medio nei negozi:- persone del ceto signorile, tra di loro:- persone del ceto signorile a inferiori:- gli scolari elementari tra di loro:- la maestra agli scolari, dopo le lezioni:- i liceisti tra di loro:- differenza tra persone anziane:- differenza tra persone giovani:- altre osservazioni importanti:

Di seguito chiedevo all’informatore quale fosse il suo comportamento lingui-stico in famiglia e a scuola come pure quali fossero le altre condizioni personali (vedi l’elenco a pp. 41 sgg.). Per queste ultime facevo in modo che l’intervistato non vedesse la scheda o che io la scorressi sistematicamente. Innanzitutto cercavo di evincere l’età e il grado d’istruzione senza averne l’aria nel corso del colloquio, o rinunciavo anche a informazioni troppo precise per evitare di creare una gelida atmosfera poliziesca o da inchiesta Gallup (ad es. con SS 2).

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Poi passavo a descrivere quanto mi interessava in stretta relazione con le in-formazioni sulle abitudini linguistiche. Per esempio, se il terzo informatore per Messina, appartenente al ceto popolare, affermava di parlare in dialetto con un negoziante noto e invece in lingua con un commerciante ignoto, il parroco o il me-dico, lo invitavo a citare le parole della seconda situazione comunicativa. Oppure ancora, poiché il primo triestino aveva affermato di usare nelle lettere alla famiglia talune espressioni di origine dialettale, perché quelle letterarie suonano comiche o non vengono capite, lo incoraggiavo a chiedersi nel dubbio quale dei sinonimi fosse da scegliere per questo stile epistolare.

In questo modo il problema si poneva e si risolveva in maniera leggermente diversa in ciascuna del centinaio circa di interviste. Grosso modo si può però dire che la lingua parlata veniva individuata tanto più rapidamente e facilmente quanto più l’informatore era dialettofono esclusivo. In tal caso il nostro livello coincideva semplicemente con la lingua, vale a dire con quanto, in maniera più o meno con-sapevole, la scuola e la lettura, e in maniera inconsapevole il sostrato dialettale, costituiscono come forma linguistica dell’interessato, la sola che ha un posto ac-canto e sopra il dialetto. Spesso in questi casi c’era un’unica denominazione per concetto, e in genere, naturalmente, di derivazione dialettale. Solo quando un tale informatore conosceva più sinonimi era necessario pensare a una eventuale diffe-renza socio-stilistica. Ma in generale una tale sensibilità è assai debole: per SA 2 c’erano solo raramente un vocabolo di livello elevato e uno più familiare, altrimenti era ritenuta italiana in prevalenza la forma sentita come meno vicina al dialetto16!

Più complesso, dunque più consapevole, era trovare il giusto livello con per-sone colte. In questi casi dovevo mettere in primo piano piuttosto la possibilità di influssi dialettali sulla lingua parlata familiare o popolare, per esempio in cor-rispondenza con le istruzioni di p. 80. Parecchi, come SA 2, hanno fatto scelte consapevoli contro parole dialettali (soprattutto TO 4), altri invece come BEL 2 esprimevano simpatia per sinonimi locali. Per questo motivo nell’elenco di p. 41 riporto il modo di parlare degli informatori come pure la loro posizione nei con-fronti del dialetto, quando appariva esplicitamente negativa o positiva (ma senza una domanda diretta su questo aspetto).

Se la memoria non mi tradisce, nel gruppo dei colti le risposte più sicure ve-nivano dagli informatori di due regioni: da un lato i toscani, siccome i tre livelli in genere coincidono17, e dall’altro i sardi, poiché il loro “dialetto” diverge in modo tanto marcato dall’italiano, che la lingua parlata, come noi l’intendiamo, si stacca molto chiaramente, salvo nei concetti del tutto familiari come a rimpiattino.

Ho continuamente invitato gli informatori a tener presenti anche denomina-zioni apparentemente rare o arcaiche e, soprattutto, a non pensare esclusivamente al proprio uso linguistico. Incapaci di staccarsi dall’ideale personale erano in par-

16 Per esempio sasso invece di pietra (SA 1, NA 1-4).17 Vedi la citazione Lucca p. 50 come pure le osservazioni SI 1 e 2, lista pp. 43 sgg.

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ticolare informatori semicolti o socialmente ambiziosi: per CR e VR 1 si avverte chiaramente un’operazione di ipercompensazione linguistica18; purtroppo anche per VR 2, la cui eleganza da cameriere escludeva quasi ogni denominazione di ori-gine dialettale anche per il ceto popolare, e pagava il tributo alla città e agli strati sociali delle sue origini solo con l’espressione far berna ‘marinare la scuola’. Oppu-re, mentre la corifea della Scuola Normale soppesava con cura l’italiano triestino della grande maggioranza e lo distingueva da quello di una piccola minoranza, ho riscontrato la facoltà e volontà mnemonica oggettiva minima in AL 1, il figlio in carriera di una famiglia contadina trasferitasi in città: costui per esempio indicava soldi dapprima come dialettale perché a suo tempo il maestro ne aveva severamen-te proibito l’uso nei componimenti. Per VR 1 c’è da notare che, con il matrimonio, la signora è entrata da giovane in una famiglia benestante di Mantova. Per un uomo una simile relazione sembra contare meno: ME 3 è lavoratore e genero di un docente universitario, ma capisce solo parzialmente, da quanto lui stesso afferma, le lettere di persone colte a causa del lessico ricercato. La frequenza dell’istituto magistrale, assieme alla componente sociale, sembra aver favorito il purismo di CR pur non avendolo portato al successo. Nel caso di insegnanti e redattori bisogna fare i conti con un certo condizionamento della lingua scritta (PE 2, RC 1, vedi l’elenco).

Posso ancora arrischiare la constatazione che gli informatori anziani, grazie a una esperienza di vita più vasta, capiscono meglio il problema della lingua parlata che non i giovani, spesso ancora fortemente prigionieri della visione scolastica. Ciò vale naturalmente solo per un’uguale intelligenza linguistica: la liceale di Alessan-dria lascia trasparire in parecchie risposte l’influsso della scuola, ma, in contrasto col suo concittadino citato sopra, scrive sull’argomento molto realisticamente:

moltissimi [foglietti] sono imprecisi. Spero che, anche così, potranno darle un’idea del brutto italiano parlato in Piemonte.

In ogni caso gli informatori più anziani disponevano di solito di un lessico più ricco19. Per quel che concerne la povertà della lingua, con MI 1, il distinto studente in medicina agli esordi, poteva competere solo la piuttosto carente SA 2, mentre i due anziani orvietani, comunque anche per un interesse maggiore, vi contribuiva-no notevolmente. Oppure PI 1 ha saputo dire di più che non PI 2, FI 5 più di FI 3, ecc.

Ancora più facilmente che per l’uso di termini dialettali, il desiderio è il padre del pensiero per i forestierismi. A partire dalla campagna politico-culturale di cui si parla a p. 159, essi sono caricati d’odio e pressoché messi al bando da molte

18 Per esempio mandibola invece di mascella, ganascia.19 Per esempio nel concetto no. 39 pena del marito e simili sono propri quasi esclusivamente di informatori anziani; i giovani conoscono in genere solo scossa (elettrica).

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persone colte. Qualcuno contestò due volte che pardòn fosse di uso corrente, ma lo usò lui stesso uscendo dalla porta! Ciò può far perdere la fiducia nel metodo delle interviste. Sono quindi tanto più preziosi testi in lingua parlata, in particolare gli annunci pubblicitari.

Malgrado le evidenti lacune di alcuni intervistati, ho eliminato solo due rile-vamenti orali nei quali era troppo evidente l’insicurezza, dovuta al fatto che gli interessati avevano vissuto troppo poco tempo nella loro città rispetto a quanto si poteva immaginare all’inizio.

4.3 Il valore dell’inchiesta

Come possibili fonti di errori si sono già discussi: l’atteggiamento del ricer-catore e degli intervistati nei confronti del rapporto dialetto/lingua (pp. 52, 53); l’assenza dal luogo della maggior parte degli informatori orali (pp. 78-80); malin-tesi nelle informazioni scritte (p. 82); coscienza linguistica poco realistica di infor-matori. (p. 87)

Poiché per la maggior parte dei luoghi esistono almeno due rilevamenti, cioè un’intervista e un’informazione scritta, i pericoli citati non dovrebbero incidere eccessivamente, a patto che in sede dell’interpretazione si considerino solo luoghi chiaramente piccoli o invece piuttosto grandi. In questo contesto anche l’effetto suggestione dei questionari non del tutto eliminabile (pp. 70, 84), dovrebbe avere un peso ridotto.

Va invece ricordata un’altra imperfezione dell’inchiesta: la considerevole di-versità degli informatori. Per ottenere risposte esattamente confrontabili, per ogni località avrei dovuto intervistare persone di origine equivalente, di classi d’età si-mili e di identico livello di formazione.

Si è già più volte insistito sul fatto che differenze generazionali e sociali in-fluenzano in modo non indifferente la scelta delle denominazioni del parlato. La prima polarità si avverte spesso molto chiaramente nelle differenze tra MI 3 a/b, FI 1/2, AQ 1/2, ME 1/220; la stratificazione sociale è evidente tra BG 1/3, MI 1/2, RE 2/3, SA 1/2, ME 1/3, CT 1/221. Qualcosa di ciò si vedrà nelle analisi individuali successive. Anche la variabile sesso ha un ruolo? A parte il fatto risaputo che le trivialità compaiono prima e soprattutto tra i maschi, conosco per intanto un solo esempio: a Lecce gli scolari per marinare la scuola usano il termine dialettale, le scolare invece una parola scritta (vedi p. 148). Ma ciò fa parte dell’ambito più vasto degli usi linguistici nelle varie località, nel quale la presente trattazione del tema non può entrare.

L’elenco degli informatori mostra quanto l’inchiesta sia lontana dall’ideale di una ininterrotta omogeneità dei soggetti. Ma anche l’AIS, malgrado le condizioni

20 Per esempio in desinare/pranzo, vedi anche le liste di documentazione, in particolare per autista.21 Per esempio in pranzo/cena.

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migliori, non l’ha comunque conseguita, e i vocabolari dialettali prestano in genere un’attenzione ancora più ridotta alle differenze generazionali e sociali.

A proposito dell’affidabilità degli informatori, che dipende dal personale senti-mento linguistico, la mia scelta nei singoli casi, rispetto a quella dell’AIS, è stata più casuale; al contrario, i presenti rilevamenti si basano assai meno frequentemente su un solo informatore e più spesso, rispetto a quanto è stato possibile per i rile-vamenti dialettali, su informazioni di persone formate linguisticamente a scuola.

Tuttavia, persino con informatori del tutto omogenei, si potrebbero constata-re differenze nelle informazioni, in quanto la lingua parlata può variare non solo da luogo a luogo, da ceto a ceto, da generazione a generazione, ma pure in una stessa famiglia e, addirittura, può deviare dalla norma nello stesso individuo. Così per esempio gli informatori udinesi, altrimenti assai simili, chiamavano la gruccia ambedue attaccapanni, ma il primo anche appendiabiti e il secondo appendivestiti. A una successiva richiesta tutti e due hanno mantenuto la propria variante: il se-condo, addirittura, si meravigliava che un vocabolo tanto brutto non fosse diffuso in tutta Italia.

Sulle variazioni oggettivamente fondate nei rilevamenti della lingua parlata, scrive Kretschmer:

Insicurezza dell’uso linguistico si verifica anche quando la cosa indicata è sì conosciuta ma è più o meno rara [...] In casi simili non può svilupparsi un uso linguistico stabile. (p. 43)

Vedi sopra a p. 74, per concetti quali imbarcatoio!

Dove l’uso linguistico stesso varia, dove è fluida la frontiera tra tedesco stan-dard e dialetto, naturalmente anche l’informatore non può non essere insi-curo. Quando una parola è sostituita da un’altra, subentra uno stadio, in cui diventa problematico stabilire se la vecchia forma è già da considerare arcaica o se al contrario la nuova non è ancora sentita come autoctona. Dubbi del ge-nere sono necessariamente collegati con una ricerca che abbia come oggetto la lingua in continua evoluzione. (p. 41)

Per simili sovrapposizioni le cause vanno ricercate in primo luogo nella già evocata straordinaria mobilità della popolazione. Quante volte s’è sentito dire che gli indigeni saranno presto, o già lo sono, minoranza, e non solo nei grossi centri urbani, come spiega la lettera seguente:

Per le differenze che ella riscontra tra me [AR 1] ed AR 2 non c’è da mera-vigliarsi, se si considera che la città di Arezzo ha visto negli ultimi trent’anni pressoché raddoppiata la sua popolazione, con un forte afflusso da altre re-gioni d’Italia e soprattutto dalle quattro vallate della provincia, tra le quali ed il capoluogo corre una notevole differenza linguistica. Si può dire che attual-mente la città non ha ancora un uso linguistico uniforme per la sopravvivenza

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nell’uso delle varie forme che gl’immigrati hanno portato dal luogo d’origine, uso sconosciuto o quasi dal resto degli aretini.

Di nuovo Kretschmer:

In casi simili diversi informatori si possono facilmente contraddire. Se se si volesse essere precisi, si dovrebbe addirittura organizzare una consultazione popolare e per ogni luogo andrebbe esattamente verificata la storia di ogni parola. È certo più semplice in situazioni simili provocare, attraverso una pubblicazione come questa, le necessarie correzioni e individuare così lo stato delle cose nei casi dubbi. (p. 42)

Quanti e quali fattori dirompenti! Dal momento che nel nostro caso, a dif-ferenza delle ricerche sul tedesco, anche la lingua parlata è considerata nella sua dimensione sociale, in realtà sono sempre rimasto sorpreso per come gli informatori di una città o regione concordassero22. Kretschmer indica per quali oggetti l’unità onomasiologica è particolarmente minacciata; lo stesso vale naturalmente anche per la lingua parlata, nel senso di quanto scrive Migliorini del dialetto nella citazione a p. 71: le sovrapposizioni sono tipiche delle regioni di frontiera. Una realtà che si accentua quando nel parlato, toscanismi e altri “regionalismi” possono, sulle ali della lingua scritta, creare ovunque una situazione di frontiera. A queste domande tuttavia si darà una risposta più precisa solo nella sintesi sul tema nel suo insieme.

Riassumendo: i risultati dell’inchiesta, completati dalle altre fonti, dovrebbe-ro senz’altro permettere una piuttosto ampia ancorché prudente considerazione geolinguistica dell’italiano parlato. Per formulare giudizi su aree più ridotte come pure sulle singole città, nonché per una caratterizzazione più unitaria dell’intero territorio linguistico, sono ancora necessarie molte indagini particolari. Spero che la presente ricerca, con i suoi risultati sia validi sia insufficienti, possa offrire il necessario impulso e le premesse metodologiche essenziali per farlo. Come com-mentava Giuliani cento anni or sono i suoi rilevamenti in Toscana?

Io sono e mi sento forestiere in questo sì caro paese, e tale fui sempre giudi-cato dalla parlata; ma ciò, anziché nuocere, giova a crescere autorità alle mie parole. Tutto era bianco il libro!Saranno parecchi gli abbagli a che dovetti soggiacere [...] Peraltro, in cambio di ridirmi: «Noi [...] non li abbiamo cotesti vocaboli o costrutti, qui non si usa la tale o talaltra frase», amerei piuttosto mi si rinfacciasse difetto nel com-prendere e [...] raccapezzare le cose udite. (I, 185 sgg.)

22 Si vedano le attestazioni dei dieci concetti presentati.

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c.

L’anaLiSi

1. Domande e risposte: quadro d’insieme sommario statistico e geolinguistico

1.1 Premessa

La raccolta delle informazioni è sommaria da cinque punti di vista:a. Non sono riportate tutte le denominazioni emerse, ma solo quelle chieste

ovunque e altre importanti.b. Vengono a cadere molte più sottili differenze di significato.c. Non è indicato di solito il diverso peso delle denominazioni presso i singoli

informatori, come pure il loro particolare valore socio-stilistico.d. Per illustrare solo la lingua parlata nel senso più stretto, non ho tenuto conto

di categorie come: antiquato, raro, ricercato, letterario, scritto, volgare1.e. Le indicazioni geolinguistiche sono molto concise.

Malgrado queste limitazioni, dovrebbero essere stati raggiunti gli obiettivi se-guenti:

a. La messa a disposizione di tutte le più importanti categorie lessicali per eventuali ulteriori ricerche su questi concetti.

b. La prova che esiste una lingua parlata diversa da quella scritta.c. L’elaborazione di una classifica approssimativa delle diverse denominazioni

di un concetto.d. L’indicazione di particolari frontiere geografiche o punti centrali2.

Mentre per il terzo e quarto obiettivo, la panoramica sommaria dovrebbe più che bastare per le esigenze dell’insegnamento linguistico, per la ricerca linguistica sono anche importanti proprio le indicazioni tralasciate o marginali: infatti, solo la considerazione più precisa della struttura semantica, stilistica e geografica del

1 In italiano nel testo.2 Vedi anche “Sintesi”, pp. 167 sgg.

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campo di una parola, permette di cogliere la dinamica passata e futura del concet-to. Nel capitolo 2 dell’analisi si trovano tutte le informazioni su dieci concetti3 e il tentativo di un esame più approfondito.

1.2 La resa grafica

Delle due cifre che seguono ogni lemma, la prima indica quante sono le pro-vince, la seconda quanti sono gli informatori che hanno indicato le denominazioni. Nel conteggio “federalistico” Matera equivale dunque a Milano o Firenze, mentre invece nell’altro conta solo per un quinto. Fiume vale come provincia, così pure il Ticino. Il totale delle province somma a 54, quello delle risposte a 124 – a 123 a partire dal no. 162. Nelle indicazioni geografiche si ponga mente che una presenza circoscritta non sempre significa anche predominanza. Una denominazione come vettura per automobile viene indicata con “> AR” perché non è mai stata citata più a sud; ma compare anche a nord dietro macchina, automobile e auto. Si confrontino le indicazioni sommarie e complete sui dieci concetti scelti.

Dei 242 numeri ne mancano dieci (74, 102, 105, 122, 132, 158, 162, 174, 178, 217), perché furono abbandonati all’inizio dell’inchiesta come non interessanti op-pure si rivelarono in seguito come poco chiari. Va da sé che tutte le risposte non si-nonimiche sono state qui eliminate – per quanto io mi sia accorto di tali equivoci4.

Al numero segue la relativa spiegazione e/o il lemma della lingua scritta cor-rispondente al concetto, esattamente allo stesso modo in cui stavano alla base dell’inchiesta. * significa: non richiesto ovunque.

1.3 Concetti 1-242 ordinati secondo gli ambiti

Famiglia1. ‘anello matrimoniale’: fede 54/114; vera 27/60, spec. N; anello matrimoniale

31/42; anello benedetto 4/5; verghetta 2/3, BO, AN2. ‘testimonio a un matrimonio’: testimonio 41/76; *testimone 25/58; compare

d’anello (*dell’anello) 23/32, spec. S, *compare 16/24; padrino 8/9; compare di fede (*della fede) 7/8 AN >; testimonio dell’anello 4/4

3. ‘figli’ (anche adulti): figli 54/120; figlioli 26/39, spec. Tosc.4. ‘padrino’ (*detto dal figlioccio): padrino 45/95; compare 27/46; santolo 13/21:

Veneto, Romagna, PG5. ‘figlioccio’: figlioccio 45/102; comparello (*-iello) 10/14, S; comparuccio 7/9 PG

>; compare 6/6, PE >; comparino 1/1 BA

3 Si ponga mente che non di rado la denominazione popolare in una certa regione linguisti-ca, è intesa in un’altra, per la sua rarità, piuttosto come italiana o addirittura come letteraria.

4 Vedi pp. 82 sgg.

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6. ‘giovane donna nubile’; ragazza: ragazza 53/106; *signorina 43/70 (gen. più distinta o più adulta); *figliola 10/15, spec. FI (gen. bella, povera f.); guagliona 3/5 CH > ; tosa (*tusa) 4/4 UD, VE, LOC, MI

Bambini e giochi7. (prendere, portare un bambino) ‘in braccio’: in braccio 52/108; in collo 21/32

spec. Tosc. e Umbria8. (il bambino è) ‘piagnone’: piagnucolone 38/72; un frignone 21/37 > RO; *pia-

gnucoloso 19/25; piagnone 14/22; ficoso 3/5 Tosc.9. (il bambino fa) ‘i capricci’: i capricci 53/113; le bizze 16/25 spec. Tosc.10. ‘affettuosità, carezze fatte da o a un bambino’: moine 41/72; *carezze 39/58

(spesso: senza parole); *coccole 11/14 (spec. al bambino); fichi 3/9 Tosc.; fichini 1/2 PI; daddoli 1/2 FI; ghe(n)ghe 1 AR

11. ‘bambinaia’: bambinaia 54/114; balia asciutta 20/44;*governante 9/12; nurse 7/9 (gen. ricerc. o ‘bambinaia patentata o straniera’); bonne 5/7 (idem)

12. ‘l’arnese di gomma che si dà da succhiare ai piccini, tettarella’: ciuccio (*-a) 34/62; ciuccetto 30/45; biberon (o vuol dire boccetta?) 17/25 (altrove quel-lo della boccetta); *ciucciotto 14/21; tettarella 15/19; succhiotto 11/17; tettina 9/13; succhiello 3/4 NA > RC; succetto 3/3 S; *succhietto 2/3 NA, SA; *ciuccio-lo 2/3 FIU, TS; *ciuccino 3/3 MI, FI; titino

13. ‘vuoi da bere’ (parlando a un bimbo): lo vuoi il bombo 21/22; *... la bumba 7/13 spec. BO, AN, RO; ... il mommo 4/9 FI, PI, SI

14. ‘ti sei fatto male?’ (parlando a un bimbo): ... la bua 44/87; ... bibi 11/20 N, spec. Lomb.; ... bibì 12/19 VR > RA, spec. Lomb.; *... la buba 3/6 PV, BO, RA

15. ‘viene il sonno’ (parlando a un bimbo): vengono i pisani (*arriva P., ecc.) 13/19, spec. Tosc.; *viene l’uomo della sabbia (l’omino) 2/3 Tic.; viene Pierone 1/1 FO (gen.: viene il sonno, hai sonno, è tardi, ecc.)

16. ‘i dolciumi’ (parlando a un bimbo): i dolci 31/47; *i bonboni 22/30; *il bonbon (bombò) 16/27; le chicche 9/14 spec. BO e Tosc.; *la bella cosa 8/12 S; *i chic-chi 7/9 Tosc.; i dolciumi 7/8; *il bombo 6/7 > AL

17. ‘far lo schizzinoso nel mangiare’: essere (fare il) difficile 33/55; *... lo smorfioso 31/55; ... lo schizzinoso (talv. *-ignoso) 33/51; *... lo schifiltoso 20/31; *far boc-cuccia 4/5 > RO; aver gli stomachini 2/3 FI, PI; aver gli stomacucci 1/2 PI

18. ‘cane’ (parlando a un bimbo): bubù 35/55 spec. nord-est e NA; baubau 30/49 spec. S; *bau 16/20 spec. Piem.; tetè 11/16 > NA; totò 6/7 > FI; totto 3/6 FI, SI, PG

19. ‘automobile’ (parlando a un bimbo): la (il) popò 39/64 spec. Tosc. >; tutù 20/36 > AN; pepè 9/14 spec. Tosc.; potpot 6/11 BG > AL; *popot 3/5 BS > TO; pupù 3/3; ponpon 3/3 S

20. ‘giocattolo’: giocattolo 54/112; balocco 20/33 spec. Tosc.; giocarello 5/8 spec. ORV, RO, AQ; *gioco 5/8 PV > , spec. BO

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21. ‘bambola’: bambola 45/101; pupa 30/47; pupattola 13/15 (spesso: ‘più sempli-ce’); pupazzo,-a 10/11 (altrove ‘Hampelmann o sim.); bamboccia, -o 6/8 spec. N; fantoccia, -o 3/4 > PI (gen. di stoffa); pigota 1/1 MI

22. ‘bolle di sapone’: bolle di sapone 47/105; *palloni di sapone 9/10 spec. BO e S; *palloncini, -e di s. 5/5 spec. S; bocce di s. 3/4 spec. FI

23. ‘(teatro dei) burattini’: t. dei burattini 41/87; t. delle marionette 45/81; op(e)ra dei pupi 8/16 BA > PA; * i gioppini 3/9 BG, Tic., MI; *i bucciotti 2/2 PG, ORV; magattelli 1/2 MI; castello dei b. 1/1 FO (propriamente i burattini ven-gono mossi con le mani, le marionette e i pupi invece con fili; ma si distingue raramente, il gioco cade in disuso)

24. ‘gioco di ragazzi equivalente a quello delle bocce ma con sassi’: alle piastrelle: fare, giocare a(lle) piastrelle 22/27; *bocce 7/10 TN > GE; a piastrella 8/8; alle murielle, *a muriella 2/6 GE, FI; pietre 6/6; bocce di pietra 3/3; *piastre 4/4 > RO; al sussì

25. ‘barbaglio solino [sic] prodotto con uno specchietto’, fare il luminello: a(lo) specchietto 24/31; la vecchia 12/19 N; la gibigianna 7/13 VE > TO; la spera 8/13 PD, Tosc., CS > ME; *la strega 5/6 N; il luminello 1/1 FG

26. (tirare) ‘un sasso’: un sasso 45/86 spec. Tosc.; una pietra 35/76 spec. TO e S; *una sassata 16/17; *una selciata 3/5 spec. RO

27. ‘aquilone’: aquilone 50/96; cervo volante 16/29 spec. Tic.; *cometa 17/21 GE >, spec. S; drago 4/7 FIU, TS, BO (forma romboidale); stella cometa 4/4 GE >; stella 3/3 GE >; *stella volante 3/3 Sic.; baccalà 2/3 RA, FO

28. (giocare a) ‘rincorrersi’: rincorrersi 35/55; *prendersi 22/37 spec. N; *(ac)chiapparsi(re) 20/32 spec. S; *corrersi dietro 9/10; acchiappino 6/10 spec. Tosc.; *(ac)chiapparella 5/7 PG > RO; ripiglino; rabela dial. Torre Pellice

29.5 (giocare a) ‘rimpiattino’: nascondersi 44/83 spec. N e S; rimpiattino 30/35; nascondino 17/22 spec. Tosc.; *nascondarella 7/11 spec. RO; nasconderello 8/8; rimpiatterello (*-arello) 3/4 spec. PI; ringuattarello 1/1 SI; capannascondere

30. (giocare a) ‘ladri e carabinieri’: *guardie e ladri 33/63; ladri e carabinieri 33/48; *ladri 8/9; *(s)birri e ladri 6/6; *banditi e carabinieri 4/6 spec. Sard.; *gendarmi e ladri 1/6 Tic.

Corpo e salute31. ‘bernoccolo’ (*da un colpo*): bernoccolo 45/97; bozzo (* -a) 14/18 BO, PG >

RO, S; *corno (-a, -ino) 15/17; *b(i)rignoccolo 7/10 MN > AN; *bombolone 3/6 S; ficozza 3/5 spec. RO, AQ

32. ‘stropicciarsi gli occhi’ (*dal sonno*): fregarsi 37/83 spec. N; stropicciarsi 42/69 spec. Tosc.; *strofinarsi 23/26 spec. C e S

33. ‘cieco’: cieco 54/107; orbo 23/38 spec. GE, ME

5 Vedi pp. 140 sgg.

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34. ‘guancia’: guancia 50/101; faccia 24/31 spec. S; gota 16/23 spec. Tosc.; mascella 5/7; *ganascia 4/5

35. ‘macchiette brunicce sulla pelle, spec. di giovani e di persone bionde’, lentiggi-ni: lentiggini 51/101; lenticchie 21/26 spec. RO >; crusca 9/15 spec. FI; sem(m)mola 9/11 RE > AQ; lenti 6/9; *efelidi 7/7; *pane 3/3 PD, VR, BG

36. ‘foruncolo’: foruncolo 53/106; *fruncolo 12/16 AN >; *brusco 6/11 FIU > GE; *frignolo 3/9 Tosc.; pedicello 4/6 spec. RO; fignolo

37. ‘mascella’: mascella 47/101; ganascia 26/44 spec. MI, FI, RO; *faccia 10/1138. ‘l’uva acerba, gli agrumi, talvolta anche la fame o un rumore stridente danno

ai denti una sensazione particolare’, mi si allegano i denti: mi si legano i denti 38/62; mi si allegano i denti: 20/29 GE > spec. Tosc.; l’uva ecc. lega la bocca (i denti, il palato) 18/27; mi si allappa la bocca 21/24 RA > (talvolta sensazione un po’ diversa); ... arruginiscono 1/1 PE

39. ‘dolore che si prova al gomito battendolo’, mal della suocera: scossa 48/102; scossa elettrica 35/51; *(prendere) la corrente 13/16 S; mal della (di) suocera 7/9; mal (*dolor) del vedovo 7/8; dolor (mal) del gomito 6/7; dolor di (del) ma-rito 5/6 > AN; gusto di (del) marito 3/3 > AN; *mal della vedova 2/2 TS, CO; dolor di moglie 1/1 CS; doglia di moglie

40. ‘mi pizzica (la pelle)’: prude 41/77; fa (*ho) prurito 34/64; pizzica 31/49; *gratta 9/14 spec. Tic.; *rode 8/11 GE > RC; fa il pizzicorino 3/7 spec. FI; morde 4/6 spec. Tic.

41. ‘russare’: russare 53/115; ronfare 22/36; ronfiare 6/6 GE > RC42. (la mattina) ‘mi levo’: mi alzo 53/114: mi levo 29/36 spec. Tosc.43. ‘stanco’: stanco 53/108; stracco 28/45 (spesso int.)44. ‘parotite epidemica’, gattoni: orecchioni 54/121; gattoni 7/11 GE, SP, FO e Tosc.45. (pigliare) ‘un’infreddatura’: raffreddore 54/109; costipazione 27/38 (spesso

int.); infreddatura 15/20 spec. Tosc.; catarro 11/14 spec. S; raffreddatura 3/4 S46. ‘difterite’: difterite 46/104; crup (*grup) 28/36; gruppo 13/17 spec. S (altrove

talvolta altra malattia)47. ‘pertosse’: tosse canina 40/68; t. asinina 34/62 spec. Piem. e Lig.; t. convulsa

20/32; t. convulsiva 19/17; pertosse 18/23; t. cattiva 12/16 spec. BO; *t. pagana 4/10 FIU > VE; t. cavallina 4/8 spec. FI

Cibo (vedi anche “Ristorante e simili”)48. ‘cavolo verzotto’: verza 37/68 N e S; *verzo 6/10 BG e S; (cav) verzotto 5/9 spec.

FI; *cavolella 2/2 SI, AR; (spesso: cavolo oppure sconosciuto)49. (l’insalata di) ‘cetriolo’: cetriolo 54/103; cocomero 19/34 spec. N50. ‘prezzemolo’: prezzemolo 54/112; petrosino 9/13 S; erbette 8/13 spec. AN >

CH; erborino 1/1 MI; erbucce 1/1 SI; pitursello 1/1 PE; petrosinello51. ‘fagiolini dal frutto ancora tenero e verde’: fagiolini 49/94; cornetti 16/35 PD

> FE; *tegoline 9/17 FIU > MN e FE; *fagioletti 8/11 spec. C; *fagiolini verdi 7/9; *fagiolini in erba 6/9 Tosc.

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52. ‘carciofi’: carciofi 54/117; articiochi 14/18 > SP; *cacoccioli 3/5 RC > CT53. ‘zucca’6: zucca 51/114; cocuzza (*cuc-, *cocozza) 11/17 RO > CT54. ‘castagne arrostite’: caldarroste 35/60 spec. RO; c. arrostite 30/46; *c. arrosto

15/20; *marroni arrostiti 17/18 (spesso più grandi); marroni 11/15 (spesso più grossi); bruciate 8/14 spec. Tic. e Tosc.; mondine 2/2 SP, LU

55. (*la ciliegia ha un) ‘nocciolo’: nòcciolo 43/84; osso 31/57 ecc. Tosc.; nocciòlo 17/21 ecc. Tosc.; armela 1/1 GE; gandola; *ghianda 1/4 Tic.

56. ‘pesca’: pesca 52/116; persica 11/14 PG > spec. S; *percoca (-o, pre-) 6/11 CH > SA; persico 7/9

57. (è un frutto rosso) ‘il cocomero’: anguria 31/66 spec. N e Sard.; cocomero 35/57 spec. Tosc.; mellone d’acqua 13/18 S; *mel(l)one rosso 4/5 BA > CT

58. (è un frutto giallo) ‘il melone’: melone 41/91 spec. N, C e Sard.; popone 12/19 spec. Tosc.; mel(l)lone di, da pane 11/17 PE > RC; mellone 9/9; *mel(l)lone bianco 5/8 BA > PA; mel(l)lone d’inverno 3/6 SA > PA (evt. diff.)

59. (per inavvertenza) ‘verso del (*il) vino’: rovescio 45/89; verso 26/39 spec. Tosc.; butto 13/16 spec. S; getto 8/11 spec. S; *mi s’è buttato il v. 7/10 AN >

60. ‘piccolo pane rotondo’: panino 48/101; pagnottella 20/29 (gen. più grossa e meno fine); michetta 13/25 VE > RE, spec. Tic. e MI; *rosetta (forma spec.) 14/16 > RO; sèmel(le) 4/9 FI > SI, PG; micca 4/4 N; tartina 1/1 MI

61. ‘il primo o l’ultimo pezzo del pane’, cantuccio: punta 17/21; cantuccio 9/16 spec. Tosc.; culino 13/15; *culo 10/11; *cornetto 8/11; fondo 7/9 > GE; cozzo 7/9 spec. S; cugnoletto 3/4; becchetto 2/2; scoppino

62. ‘briciole’: briciole 45/94 spec. N, Tosc., Sard.; molliche 26/39 spec. C e S; mòl-liche 4/5 MN > GE; *frègole 2/2 FIU, TS

63. ‘midolla (del pane)’: mollica 41/68 spec. BO >; mòllica 23/52 N; midolla 11/19 spec. Tosc.

64. ‘formaggio’ (soltanto termini gen. o per speci ugualmente importanti): formag-gio 53/116; cacio 18/28 spec. Tosc. e S

65. ‘uovo cotto tre minuti, *da mangiare nel guscio, col cucchiaino*’, uovo da (a) bere: à la coque 42/77; alla cocca 19/26; al latte 8/15 spec. MI; *sudato 10/12; uovo a (da) bere 6/7 (altrove ‘uovo fresco’!); bollito 6/7 spec. S; brinato 2/3 PR, RE; N.B.: spesso l’uovo è cotto meno di tre min., liquido!

66. ‘uovo al tegame’: al burro (se fatto così!) 31/66; al tegamino 28/48; *fritto 31/45 spec. S e Sard.; all’occhio (*ad, a) di bue 27/41 spec. N.est e AN; al tega-me 26/40; *affrittellato 8/11 spec. Tosc.; un occhio di bue 6/6

67. ‘prosciutto’: prosciutto 54/121; giambone 8/17 MN > RE, spec. Tic. e Piem.68. ‘affettato’, *salame, prosciutto, ecc. insieme e a fette*’: affettato 38/61; *aff.

misto 17/21; misto 11/16 spec. N; salato misto 5/11 spec. Tic.; salato (i) 6/10; misto di salumeria 1/1 VE; N.B. Non di rado, spec. al S, si usa poco!

69. ‘trippa’: trippa 53/111; busecca 11/23 N e Sard.; *trippe 5/6 TS > BZ

6 Vedi pp. 111 sgg.

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70. ‘agnello di latte macellato’: *agnello 49/90; agnellino 20/26; abbacchio 6/8 spec. RO

71. ‘piatto/carne di vitello’: vitello 54/112; *vitella 4/4; annecchia 2/4 AQ, NA72. ‘rigovernare le stoviglie’: lavare (i piatti) 52/106; *fare i piatti 19/44; rigoverna-

re 10/17 spec. Tosc.; fare la cucina 5/7 S73. ‘acquaio’: lavandino 45/93; acquaio 23/32 spec. Tosc.; secchiaio 7/11 N; *scafa

(-o) 5/6 N; versatoio 2/2 PG, PE; lavatore 1/1 RC75. (per prendere il brodo dalla pentola, dalla zuppiera, si usa il) ‘ramaiolo’: mesto-

lo (*-sc-, -a) 39/81; coppino 18/31 RO > PA; ramaiolo (*ro-) 13/23 spec. Tosc.; cucchiaione 8/9; *sgommarello (sgomarolo) 3/5 spec. RO

76. ‘mondare le patate’: pelare 40/77 spec. N; sbucciare 39/74 spec. Tosc. e S; mon-dare 13/17 spec. AR e Cal., Sic.; capare 5/10 AN, RO > PE

77. ‘che sa poco di sale’, insipido: insipido 38/73; *scipito (scìp-) 18/26; sciocco 12/19 spec. Tosc.; sciapo 10/16 spec. AN > PE; *sciapito 12/14; dolce di sale 12/13; *dolce 11/12; insulso 4/4

78. ‘troppo salato’: *salato 48/100; troppo salato 34/58; saporito 17/17 (‘legger-mente troppo’; altrove ‘salato molto, ma non troppo’); amaro di sale 5/5 spec. Tosc.; salato amaro 2/2 LU, PI

79. ‘*diventato di sapore acre’, acido: a) latte acido 50/96; *agro 4/5 N; forte 4/6 PR > SI (ma spesso: andato a male); b) vino: acido 27/48; forte (*sa di f., ha preso del f.) 24/42; *diventato aceto (so) (=int.) 18/26; agro 10/10; *ha preso dello spunto 4/6 PI >

80.7 ‘servizio da tavola’: servizio da t. 52/117; servito da t. 5/12 Tosc.81. ‘zuppiera’: zuppiera 52/109; terrina 16/26 N, AN, ORV; marmitta 7/16 spec.

Lomb.82. (il brodo o la minestra si mangia nella) ‘scodella’: piatto fondo 43/67; fondina

23/47 N; scodella 17/34 spec. Tosc. e C; piatto cupo 12/16 spec. C e S; *piatto 8/9; *piatto a zuppa 6/7 S; tondo 2/2 BS, MI; tondino

83. ‘tazza senza manico’, ciotola: scodella 39/75 spec. N; ciotola 18/30 spec. Tosc. e NA; *tazza 21/27 spec. S; tazzina 6/10 spec. Tic.

84. ‘fin di pasto’: dolce e frutta (*dolce, *frutta, *alla fr., *alle fr.) 52/105; dessert 20/44 spec. Tic., MI, TO (talv. solo nei ristoranti); sopratavola 5/5 TA > CT; fin di pasto, pospasto

85. ‘pasto della mattina’, colazione: colazione 51/107; *caffellatte 39/73; *caffè 12/16; prima colazione (a casa!) 10/12 >PE; merenda 5/7 UD > PD, BA, SA

86. ‘pasto di mezzogiorno’, desinare: pranzo (*non di festa!) 50/111; desinare 23/34 spec. VE > MI, Tosc.; colazione (*a casa!) 9/13 > NA

87. ‘pasto della sera’: cena 54/122; pranzo 7/9; desinare 6/6

7 Vedi pp. 114 sgg.

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Abbigliamento e simili88. ‘asciugamano’: asciugamano 53/119; salvietta 16/31 spec. Lomb., Tic., SI;

macramè 1/1 GE89. ‘corno’: corno 31/74; calzascarpe 33/48 spec. S e Sard.; calzante 10/18 spec.

C; calzatore 10/12 spec. S; calzatoio 9/11; cornetto 7/9; *ferro (da scarpe) 5/7; *osso (delle scarpe) 4/6 N; lingua 4/6 spec. RE

90. ‘tesa del cappello’: *falda 38/63 spec. C e S; ala 25/58 N; tesa 23/41 N e spec. Tosc.

91. ‘giubbetta di flanella o maglia che si mette sulla carne’: *a) pesante, con maniche: maglia quasi passim; camiciola 9/14 spec. Tosc.; *giubboncino 4/9 spec. Tic.; *flanella ME >; *b) leggera, evt. mezze maniche: *maglietta quasi passim; camiciola 3/7 Tosc.; giubboncino 1/4 Tic.; *flanella 2/5 ME >; *c) estiva, senza maniche: *canottiera quasi passim

92. (si appende il vestito nell’armadio alla) ‘gruccia’: attaccapanni 35/59; gruccia 19/28 spec. Tosc.; ometto 14/27 TN > AQ, spec. Lomb. e Tic.; stampella 10/16 spec. C e S; *croce 13/19 spec. Emilia e S

93. ‘orologio a braccialetto’: orologio da polso 51/113; o. da braccio 15/20 spec. GE; o. a braccio 12/15 spec. PE e NA; o. a braccialetto 5/9 spec. MI, Tic. (gen. più prezioso)

94. (il vestito è) ‘sudicio’: *a) di grado normale: sporco passim ecc. LU, PI; sudi-cio 31/43 spec. Tosc.; lordo 3/3 Sic.; lurido; *b) intensivo: lurido quasi pas-sim; zozzo (N: sozzo) 18/23 spec. Tosc. e C; lordo 12/13 GE >; sudicio 4/5 spec. N

95. (gli uomini indossano una) ‘giacca’: giacca 50/115; giacchetta 30/52 spec. Tosc.; giubba 9/9 spec. Tosc.; marsina 1/2 Tic.

96. ‘gilè’: gilè 54/120; panciotto 34/51 spec. Tosc.; sottoveste 3/4 Tosc.; corpetto 3/397. ‘berretto’: *a) gen.?: berretto 9/11; *berretta 4/5; coppola 2/2 RO, CT; *b)

‘con visiera’ (tesa ecc.): berretto 47/92; coppola 11/16 RO > ; *berretta 7/11; scoppoletta 3/3 RO > ; *c) ‘senza visiera’: basco quasi passim; berretto 20/28; *berretta 9/9; scoppola 1/2 FE; coppola 1/1 CZ

98. ‘soprabito da inverno per uomo’, pastrano: cappotto 51/100; paltò 39/92 meno nel S; paletòt 26/42 spec. N; pastrano 11/13 (e ‘militare’); *mantello 4/8 spec. Tic.

99. ‘andare senza soprabito *o senza giacca*’, in spadina: in bella vita 18/25 spec. Emilia e Tosc.; in (*a) vita 11/13; in spadina 8/12 N

100. ‘calze corte da uomo’, calzini: calzini 36/74; calze 24/39; calzetti 18/23 spec. Emilia, AN; *calze corte 11/18 spec. Tic.; *calzette 12/13; pedalini 6/10 spec. ORV > PE; *calzerotti 3/6 spec. FI, PI; peduli

101. ‘sottana di sopra’: gonna 48/105; sottana 29/56 spec. MI, Romagna, Tosc.; gonnella 11/12; veste (*-a) 7/9 spec. RO; còtola 4/5 FIU > VE

103. ‘forcina *per la treccia, larga*’: forcina 39/83; forcella 25/43 spec. Romagna; PI > RO; *ferretto 20/29 spec. S; *forchetta 7/10 N; forcinella 6/6 SI >

99

104. ‘diavoletti’: bigodini (*bigudini) 52/114; bigudì (*bigodì) 14/21 BG >, spec. Tic. e BO; diavoletti 9/9; marrozzelle 4/4 ? (C: ‘trecce arrotolate intorno agli orecchi’)

Abitazione106. (sui cartelli appesi alle case) “affittasi”: affittasi 44/92; *da (d’) affittare 29/48

spec. N; si loca (*locasi) 16/26 VE e Sic.; *si affitta 11/13 spec. S; fittasi 9/11; appigionasi 5/9 spec. Tosc,; locanda 1/1 SR; est locanda (ant. AN, RO)

107. ‘traslocare’: traslocare 37/75 (talv. solo in un’altra città); *cambiar (di) casa 38/65; *far san Martino 16/26 UD > MO, talv. solo l’11 nov.; *sgomb(e)rare 18/23 spec. Tosc.; scasare 12/17 spec. S; far san Michele 8/14 CO > RA; *fare il 4 di maggio 1/3 NA

108.8 ‘appartamento’: appartamento 47/104; quartino 15/24 S; quartiere 15/24 FIU, TN, Tosc.; *alloggio 9/15 spec. Piem.; *quarto 8/13 S

109.9 (si affitta un appartamento con) ‘tutte le comodità (moderne)’: tutte le como-dità moderne 50/95; tutti i comforts (*-ti) moderni 41/86

110. ‘pianterreno’: pianterreno 53/119; *piano (a) terra 21/26 spec. N; basso 6/8 NA > (‘interrato, gen. una stanza sola’); sottano 3/4 BA > NA, ME; terraneo 3/3 PE, NA, ME (=‘basso’?); perterra 1/1 GE

111. ‘piano* basso* immediatamente sopra il pianterreno’ (entresol): mezzanino 40/62 spec. Tosc. > ; ammezzato 18/35 spec. MI e GE; retrochassé (*rez-de-chaussée, *dietrochassé) 7/8 spec. S (=?) NB: spesso non c’è

112. ‘ripostiglio sotto il tetto’, palco morto: soffitta 47/86; solaio 31/68 spec. N; sottotetto 11/15; *granaio 7/11 spec. BO; palco morto 3/7 FI, SI, ORV (talv. sotto il soffitto d’una stanza); soppalco 3/3 RO > (cf. palco m.); tetto morto 2/3 Sic.; palco a tetto 1/1 FI; spazzacasa 1/1 Tic.; sopanta

113. ‘portiere *d’una casa*’: portinaio 50/107; portiere 28/55 spec. GE, FI > PE; casiere

114. ‘chiave (di casa)’: chiave 54/118 (talv. solo quella dell’appartamento); chiavi-no 16/24 S (gen. quella del portone)

115. (ad ogni porta c’è una) ‘maniglia’: maniglia passim; gruccia 2/3 FI e SI (*cr-)116. ‘tetto’: tetto passim; coperto 3/4 VE, TN, BO117. ‘tegola ricurva’ tegolo: tegola 40/74; coppo 26/48 > PE, spec. CO - Tic., RA,

FO, AN, PG; tegolo 6/10 spec. Tosc.; canale 6/8 spec. Sic.; doccia 2/2 MN, BO; tegolino

118. ‘tegola piatta’, embrice: tegola 40/79; *(teg.) marsigliese 13/14; embrice 9/13 spec. FI > PI, LE; tavella (*-one) 8/11 spec. N e AR; pianella 3/3 PV, AL, PR

119. ‘finestra’: finestra passim; balcone 5/7 UD, VE, PD, VR, GE (gen. > pavi-mento)

8 Vedi pp. 117 sgg.9 Vedi p. 166.

100

120. ‘persiane esterne *a due battenti*’, persiane: persiane 46/98; imposte 24/40 spec. N; gelosie 11/31 spec. Lomb. - Tic.; scuri 10/19 spec. Venezie, BO; griglie 11/17 N; balconi 2/2 PD, VR

121. ‘persiana *d’una casa* che si apre arrotolandosi su se stessa’, avvolgibile: avvolgibile 33/47; tapparella 17/28 spec. MI, N; saracinesca 23/25; *serranda 15/19 spec. SI, AN, S; rotolante 4/6 > FI; rolò (*-è) 4/6 FIU > TN; *rolàden 1/5 Tic.; cassina 3/3 Sic.

123. (nella sala da pranzo c’è) ‘la credenza’: il buffè 48/95; credenza 41/57 (altrove spesso in cucina); buffetta 1/1 CT

124. (i vestiti si mettono in un) ‘armadio’: armadio 54/121; *il guardaroba 26/39 spec. TO e GE; *armuar 23/31 (gen. con specchio); stipo 5/7 S (gen. grande); la guardaroba 5/6 spec. N; credenzone 3/3 AN, RO, PE (gen. grande); arma-rio 2/2 BO, FO; spogliatore 1/1 PE

125. ‘cassetto’: cassetto 48/107; tiretto 27/48 spec. N, S (ecc. Sic.) e Sard; *cassetta 1/5 FI; *càntera 2/3 GE, PI; *tiratore 1/2 PE

126. (accanto al letto c’è) ‘il comodino’: comodino 50/115; tavolino da notte 16/30 spec. Piem.; colonnetta 17/24 RO > ; sgabello 2/3 TS, MI; buffetto 1/1 PD

127. ‘paralume’: paralume 39/75 spec. Nordest, RO, Sard.; abat-jour 39/72 spec. Tic., TO, Romagna, FI (qui e spec. altrove spesso, anche, ‘lampada da tavo-la’); schermo 1/1 MI

128. ‘il coltrone’: imbottita 40/62; *trapunta 28/52 spec. N; coperta imbottita 23/38 spec. BA e NA; coltrone 9/16 spec. Tosc. e PG; *coltre 3/5 Sard.

129. (nel gabinetto c’è uno) ‘sciacquone’: water-clos(et) 26/41 ecc. S; water 19/35 spec. N; gabinetto (*a acqua) 22/32 spec. Tic.; cesso (*a acqua) 16/18; sciac-quone 9/16 spec. Tosc.

130. (la mattina la domestica deve) ‘riordinare la casa’: far (la) pulizia 39/69; *far le camere 35/57 (gen. solo da letto); far le faccende (di casa) 34/55 spec. FI > SI (spesso tutti i lavori); riordinare (la casa) 26/31; far i mestieri (di casa) 11/24 spec. Lomb. Tic. (spesso tutti i lavori); * (ri-)far le stanze 20/22; rasset-tare 14/20 spec. S

131. ‘scopa’: scopa 51/116; granata 11/17 spec. FI > SI; ramazza 6/6 (o servizio militare)

133. ‘cencio per spolverare’: straccio (per la polvere, *da spolvero, *da spolverare) 48/104; pezza (per spolverare ecc.) 24/29 spec. S; cencio 18/22 spec. Tosc.; mappina 3/4 S

134. (nel camino c’è molta) ‘fuliggine’: fuliggine 45/91; caligine 20/34 N, spec. FIU e TO; *(nero)fumo 11/14 S

135. (il gatto) ‘fa le fusa’: fa le (*la)fusa 47/98; ronfa 23/30; fa ronròn 11/21 spec. Tic. e TO; fila 12/13; ronfia 4/5; fa i canòn

136. ‘l’insetto nero e veloce che infetta le cucine e spec. gli acquai: blatta germa-nica’, piattola: scarafaggio 46/94; piattola 9/15 spec. Tosc.; blatta 8/10 S e

101

Sard.; burdocchi (*bordocco, bordò, bordone, burdigone*) 5/11 Lomb., BO; boia panatera 1/3 TO

Lavoro e mestieri137. ‘arnesi (del mestiere)’: ferri (del mestiere) 51/100; arnesi (del mestiere) 34/61

spec. Romagna-Tosc.; attrezzi 31/46; ferramenti 7/7 (gen. se di ferro)138. ‘cenciaiolo’: straccivendolo 36/73; *stracciaio 21/32 spec. N; cenciaiolo 15/20

spec. N; *cenciaio 7/12 spec. Tosc.; stracciarolo 7/10 spec. RO; *stracciaro 4/5 FO, AN > ORV; *pezzivendolo 4/4 S

139. ‘spazzino’: spazzino 50/114; scopino 8/15 spec. AN > PE; ruscarolo 1/4 BO140. ‘fabbro’: fabbro 47/106; fabbro ferraio 29/40spec. RO e Sic.; ferraio 9/10

spec. S; ferraro 6/8 spec. S141. a) (i lavori di stagno o di latta vengono eseguiti dal) ‘lattoniere’: stagnino

51/109 (N: gen. ambulante); lattoniere 25/50 spec. N (con bottega); stagna-ro 13/18 spec. RO >; stagnaio 7/7; *b) (*per gli impianti sanitari viene il*) ‘trombaio’: idraulico quasi passim?; trombaio 4/8 spec. FI; *fontaniere 4/5 BO, PG, NA, SA

142. (il falegname pialla un’) ‘asse’: tavola 46/ 88 spec. FIU > VE, LU, SI, PG >; asse 31/63 spec. N > FI (spesso più piccolo della tavola)

143. ‘arrotino’: arrotino 49/110; moletta 13/21 N; ammola-forbici 11/14 FG >144. ‘lustrascarpe’: lustrascarpe 52/117; lustrino 13/17; sciuscià 3/3 FI, AN, FG;

pulizzastivale (*-scarpe) 2/2 NA, SA145. ‘sarta’: sarta 54/123; sartora 6/7 VE > MN, AN, AQ, CH; custuriera 4/5 CZ

> CT146. (una sarta, una modista ha una) ‘apprendista’: apprendista 31/62; *ragazza

41/57; *sartina 27/30; *scolara 7/9 RE > SI; piccola 6/7 PD > PR, ecc. MI; piccinina 4/7 spec. MI; *discepola 4/6 LE > ME; bardotta 1/5 FI; piccolina 3/3 BG, MI, TO?

147. ‘lavorante sarta o modista che, senza essere provetta nel mestiere, non è più apprendista’ mezzo lavorante: lavorante 39/69; *sartina 19/21; mezzo (*a) lavorante 12/14; *mezza sarta 10/11; mezzana 6/10 N, spec. MI; mezzanella 2/2 MI, PE

148. (per cucire ci vuole l’ago e il) ‘ditale’: ditale passim, ecc. PI, SI; anello 3/9 FI > SI

Commercio e denaro149. (di farina, di zucchero si comprano) ‘250 grammi’: due etti e mezzo 45/97;

250 grammi 31/46; un quarto 27/45 FIU > BG, PV, GE-SP, AN, CH >; un quarto di chilo 14/20 UD > BZ, PV, AN, PE, NA > SS

150. ‘rivendita di sale e tabacchi’ spaccio: *tabaccaio 47/98 (gen.: persona); tabac-chino 39/78 spec. FG >, ecc. NA; tabaccheria 19/28; spaccio 17/23 FE > FO, AN, PG, PE; appalto 9/13 spec. Tosc. NB: il sale no in Tic., Sic., Sard.

102

151. *(il pane si compra al/dal) *‘panificio’: forno (*fornaio) 45/81 spec. Emilia > ORV; panetteria (*panettiere) 27/52 spec. Tic., Piem., LE, NA; panificio 23/35 spec. BA, RC; prestinaio 6/15 VR > PV; *prestino 2/5 spec. Tic.; pisto-ria (*pistore) 3/3 TS, VR, TN

152. ‘fruttivendolo’: fruttivendolo 47/101; fruttaiolo 12/15 spec. S; fruttarolo 8/12 spec. RO; frutteria

153. ‘pizzicheria’: salumeria (*iere, -aio*) 49/105; pizzicagnolo 25/36 spec. Tosc. (tal-volta più generi che nella sal.); pizzicheria 18/ 33 spec. Tosc.; salsamenteria 8/10 spec. S; posteria 3/5 CO, MI, PV; pizzicarolo 3/4 RO, CH, PE; orzarolo

154. ‘spaccio di vino’ mescita: *vinaio 17/30 spec. Tosc. e RO (talvolta solo all’in-grosso); *cantina 18/22 spec. S (spesso ‘osteria’); mescita 4/9 Tosc. (anche e talv. solo per bere) NB: spesso il nome del negoziante, e per lo più il vino si compra all’osteria (cantina, taverna, betttola, bar)

155. ‘ferma in posta’: fermo posta 53/114; ferma in posta 17/25 spec. FI e NA; posta restante 5/5

156. (mandami) ‘il denaro’: i soldi 54/121; il denaro 35/61; i quattrini 35/52; i denari (*dan-) 22/32 spec. Tic.; *la grana 17/17 (gen. stud.); la moneta 8/10 spec. S; i baiocchi 6/6 VE > RO

157. (non ho) ‘spiccioli’: spiccioli 45/92; moneta 21/49 > FI; spicci 25/40 spec. C159. ‘risparmiare’: risparmiare 51/115; sparagnare 17/20 spec. S; avanzare 8/15 N,

spec. Piem.160. ‘salvadanaio’: salvadanaio 52/117; *carosello (-iello: NA) 8/11 S; bossolo 3/4

spec. AN; dindarolo 1/3 RO

Società161. ‘Tizio e Caio’: Tizio e Caio (e Sempronio) passim; *Tizio, Filano e Martino 4/7

RC > SR; Pietro e Paolo 5/5 VR > AL; Tizio, Caio e (*san) Petronio 1/2 BO163. ‘azione goffa, grosso sproposito in società’ topica: gaffe 49/108; topica 14/22

> AR; smarrone 4/4; beccarrotto164. (non mi) ‘seccare’: seccare 48/105; scocciare 48/84 spec. C e stud. (gen. int.);

*rompere le scatole 30/34 ( > volg., intensivissimo); stonare (la testa) 14/21 spec. NA > PA (int.)

165.10 ‘battere qualcuno’: picchiare 40/91; battere 20/33 spec. LE, NA, SA; *ba-stonare ; menare 20/26 spec. PG > AQ e Calabr.; *pestare 12/17 > GE (int.)

166. (gli ha dato due) ‘schiaffi’: schiaffi 50/115; *sberle 35/70 spec. N e stud.; ceffoni 35/61 spec. FI e AR; sganassoni 6/9 spe. PG > RO (int.); paccheri 2/2 NA, SA; scoppole 18/29 spec. N e S (gen. leggera e di dietro; in questo senso più spesso: scapaccioni, evt. scappellotti)

10 Vedi pp. 136 sgg.

103

167. ‘persona incivile, zotica’ villano: villano 46/92; cafone 32/46 (inoltre al N spesso ‘pretenzioso, buffo’); bifolco 27/42 spec. N (gen. int.); contadino 27/36; zulù 18/23 (spesso int.); burino 3/4 PG > RO; cucco 2/2 VE, CO

168. ‘chiedere’ (*domandare) (un favore, l’elemosina): chiedere (*domandare) 52/116; *cercare 19/26 spec. S (talv. solo con elemosina); chiamare 3/9 spec. TO

169. ‘amico d’una ragazza, senza che sia già accolto dai genitori come futuro ge-nero’ amoroso: fidanzato 38/56 spec. Tosc. > ; moroso 24/45 spec. N; ragazzo 30/44; *bello 16/29 spec. N; *amico 12/17 (altrove ‘amante’); amoroso 9/11 spec. N; damo 2/4 FI, PI

170. ‘essere in gran dimestichezza’ come carne ed unghia: *amici per la pelle 37/77; come pane e cacio 11/13 spec. Tosc.; * (come) culo e camicia 4/6 PV > PG (altrove volg. o dial.). NB: per lo più perifrasi

171. (si dice) “buon giorno”: fino all’imbrunire 44/74 spec. N e C; fino al desinare, pranzo 26/34 spec. Tosc.; * > ore 16 9/11; * > ore 15 6/6 N; * >ore 17 6/6. Dopo: “buona sera”

172. ‘saluto a un superiore, incontrandolo’ buon giorno: buon giorno quasi passim; *riverisco 21/29 spec. N; *ossequi 14/16 spec. S; voscenza (benedica) 2/2 CT, SR; vossia (benedica) 1/2 ME; (salutiamo: Sic., ma tra pari o a un inferiore)

173. ‘saluto familiare (giovanile?) incontrandosi’ ciao: ciao 52/118; *salve 39/74 (spesso stud. e passando); *salute 30/44 spec. Tic.; addio 24/32 spec. FIU, Tosc. e PG

175. ‘signor Viola !’ (*dando del Lei, Voi*): “signor Viola/ signor Michele!” > RO quasi passim, a seconda della confidenza (ma possibilm. il titolo: “don Michele!” a un sacerdote); don Michele (donna Rosa) 16/24 S (ma gen. non a chiunque); sor (N: scior) Michele 11/14 TS, UD, FI > AQ

176. (*quando non si ha capito l’interlocutore*) ‘che cos’ha detto?’: comandi? 4/8 FIU > PD (e 3/4 TN, BZ, BG da inferiore a superiore); altrove a seconda de-gli individui: che cos’ha detto? Prego? Scusi? Come dice? Cosa dice? Come? Cosa? Che?

177. ‘scusi!’: scusi 53/119; pardòn 38/67 spec. Tic. > Piem.; pardòn scusi 7/9 MI > PE (ma v. p. 88)

179. ‘esclamazione di meraviglia’ caspita!: accidenti 41/87 meno al S; caspita 48/78; *perbacco 30/54; accipicchia 26/34; *mamma mia 27/32; *diamine 24/30; *perdinci 14/19; *corbezzoli 10/11; *capperi 9/10; *orpo 8/10 spec. nord-est; ammappete 7/10 TO > NA; ammazzelo 5/7 spec. RO; ammazzete 3/5 spec. RO; mizzica 3/4 Sic.

Tempo (meteo e crono)180. (il sole) ‘si leva’: *a) gen.? spunta 30/44; si alza 21/31; si leva 23/30; sorge

21/26 *b) (alle 7; apetto iterativo): si alza 26/29; spunta 23/28; sorge 20/23; si leva 17/19; * c) (guarda!... aspetto incoativo): spunta 38/52; sorge 16/16; si alza 7/7; si leva 5/5

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181. (è cascato, *caduto*) ‘il fulmine’: fulmine 53/118; saetta 31/43 spec. > Tosc. (talv. diff. dal fulmine)

182. ‘nebbia densa’ nebbia: nebbia (*nebbione) 53/117; caligo 4/5 TS, VE, FO ?, AN; *fumana 3/5 MN, BG, RE; bruma 4/4 spec. N

183. (è) ‘l’una’: l’una (*sono le una) passim ecc. FI 5, LU, PI, SI 1; il tocco 10/17 spec. Tosc.

184. ‘sono le 4 meno 20’: sono le 4 meno 20 54/119; mancano 20 (minuti) alle 4 40/66 poco nel S; *(sono) 20 alle 4 27/46 spec. Tosc., manca nel S

185. (è *stato* un bel) ‘dopopranzo’: pomeriggio 51/112; dopopranzo 29/43 spec. N; sera(*-ta) 11/14 spec. PI, SI, Sard.

186. ‘ora’: adesso 48/104 spec. N e C; ora 42/66 spec. Lig., Tosc., Sic.; *mo’ 11/14 spec. S

187.11 ‘doman l’altro’: dopodomani 50/114; doman(i) l’altro 26/39 spec. Romagna-Tosc.; posdomani 20/27 spec. N

188.12 (cfr. pp. XX130 segg.) ‘ieri l’altro’: l’altro ieri 46/96 spec. N e C; ier(i) l’altro 35/56 spec. VE, PD, BZ, Romagna-Tosc.; avantieri 21/33 spec. GE, S e Sard.

189.13 (rividi il mio amico) ‘l’anno passato’: l’anno scorso 51/113 spec. N e SA >; l’anno passato 39/67 spec. Tic. e S; l’altr’anno 35/59 spec. Tosc. e C.; anno 6/11 spec. Tosc. e PG.

190. ‘domenica prima di Pasqua’ D. delle Palme: Domenica delle Palme 54/119; Domenica degli olivi (dell’oliva, *-o, *ul-) 18/25 spec. N e Tosc.

191. ‘Ognissanti’: Tutti i Santi 46/93; *I Santi 42/87 spec. N; Ognissanti 23/31 spec. FI

Ristorante e simili (vedi anche “Cibo”)192. ‘panna montata’: panna montata 45/102; *panna 20/26 spec. LU >; lattemie-

le 8/18 spec. Lomb., Emilia; fiocca 1/1 TO; cao de latte193. ‘quantità di vino che si ordina’ un quarto: *a) *meno di ½ l.: quarto 51/106;

*quartino 46/75 spec. TO > PG; quinto 24/35 spec. Tic. e Puglia; *ombra (=⅛) 3/6 VE >VR *b) ½ l.: *mezzo (litro) quasi passim; *foglietta 5/8 spec. RO *c) ¾ l. > *bottiglia (7 dl > 1 l.) quasi passim; 1 litro passim; *bottiglione 26/37 (gen. 2 l., ma > 20 l.); * fiasco quasi passim (‘bottiglia panciuta impagliata da l. ¾ a 2 l.’) *d ‘misura ordinaria, ma variabile secondo i posti e i locali, però inf. a ½ l’: *bicchiere (1 > 2½ dl.) quasi passim; *bere un gotto 14/19 spec. N

194. ‘quantità di birra che si ordina *o recipienti*’: una birra quasi passim, gen. ‘bottiglietta col bicchiere della capacità equivalente (gen. ¼)’; spesso specifi-cata: *birra grande (gen. ½ l.) e *birra piccola (gen. ¼ l.), talv. spec. al N anche birra media. Molto diffuso: *il peroncino ‘bottiglietta di birra Peroni (¼ l.?)’;

11 Vedi pp. 131 sgg.12 Vedi pp. 125 sgg.13 Vedi pp. 135 sgg.

105

*bicchiere quasi passim (gen. ¼ l.); sciop(pe) 17/19 (‘bicch. alto’); tazza (*-one) 7/13 spec. Tic.; gotto 8/10 > Tosc.; *boccale 14/18 spec. MI. NB: spesso la birra non si trova alla spina (sciolta), ma solo in bottiglie piuttosto piccole, e verso S si beve poca birra!

195. ‘acquavite’: grappa Prevale quasi ovunque se ne parli, ecc. PI e Sard.; acqua-vite 19/30 spec. PI e Sard.; graspa 5/6 UD > MN; sgnapa 3/4 spec. UD > VE; (*slivoviz ‘prunella, prugnetta’ 6/7 spec. FIU > BZ)

196. ‘caffè con un po’ di latte (o di crema)’ (al ristorante: diversamente a casa?): *a) cappuccino passim (gen. al rist., bar: ‘espresso con un po’ di latte a schiu-ma’); *cappuccio 3/3 CR, BG, MI; *b) ‘miscuglio con più latte’: caffellatte passim; *latte e caffè 6/7 S; *c) ‘miscuglio con pochissimo latte’ (gen. al bar): * (c) macchiato 22/33; *(c) gocciato 2/3 TS, VR; d) c. colla (con) panna 11/12; c. crème 2/9 Tic. e MI

197. ‘caffè forte’ (forse termini div. per l’uso casalingo e al ristorante?), c. carico: a) *espresso passim? (gen. al bar con la macchina; talvolta spec. S, anche a casa, con la macchinetta per filtrare. È gen. forte); b) ‘caffè o espresso forte’: c. ristretto 37/67 (gen. bar); *c. basso 11/17 spec. Tosc. e PG (gen. bar); c. stretto 10/10 (gen. bar); *c. corto 10/10 spec. S (gen.bar; il contr. c. lungo è più usato); c. concentrato 7/7; *c. forte 44/62 (gen. a casa); c. carico 27/37 (gen. a casa); *c) ‘senza latte’: c. nero 15/19 (gen. a casa) (al bar: caffè!)

198. ‘limonata’ *a) ‘naturale, preparata all’istante’: limonata (gen. a casa); spremu-ta di limone (gen. bar, piuttosto recente); *b) ‘imbottigliata’: limonata pas-sim?; *cedrata 5/5 PD > AL

199. ‘mangiare e bere a spese altrui’: scroccare 44/91 (ma gen. anche: scroccare un regalo e sim.); *mangiare a sbafo 48/84; sbafare 32/47 spec. PG > e stud.; *mangiare a ufo 11/13 (gen. lungo periodo)

200. ‘gomma da masticare’: chewing gum (pron. più o meno all’inglese!) 39/66; gomma americana 37/58; g. da masticare 21/27; cicca americana 10/19 spec. Tic. e MI; cicca 7/14 spec. Tic. e MI; *cicles 3/8 TO, AL, BO

201. ‘(* posto d’un) ballo pubblico all’aperto’ balera: gen. nome del locale – dan-cing molto diffuso, ma in primo luogo locale chiuso; balera 10/17 N, spec. MI, arena 3/3 (insegna)

202. ‘cinema all’aperto’: cinema all’aperto quasi passim; cinema estivo 21/32; are-na 21/26 spec. RO > (talvolta solo insegna); cineparco 4/6

Scuola e chiesa203. ‘scuola materna’: *asilo 53/120; asilo infantile 41/64; giardino d’infanzia

28/39; scuola materna 11/15 (e nome ufficiale?); casa dei bambini 2/4 spec. Tic. (qui nome ufficiale?)

204. ‘brutta copia’: brutta copia 52/109; brutta 43/79; mala copia 11/17 Venezie e Romagna; (minuta 36/62 piuttosto ufficio); (prima copia 3/3 LOC, TO, AL piuttosto ufficio)

106

205.14 ‘marinare la scuola’: marinare la sc. 36/57; salare la sc. 17/18; far filone 9/14 AQ > CS; *bigiare 5/13 BG > PV; far forca 4/8 spec. FI; bruciare (la sc.) 4/6 VE, PD, BS, RA; segare (far sega) 4/6 spec. RO; bucare 3/5 TO, LU, PI; far schissa 1/3 TO; far Sicilia 2/2 ME, PA; f. campagnola 1/2 ME; f. fugarola, salinare

206. ‘parroco’: parroco 54/116; curato14/18 > PE (altrove in camp., dove non c’è parrocchia, o ‘coadiutore del p.’); parrocchiano 5/6 spec. S; pievano 2/2 VE, PD. NB spesso: prete.

207. ‘frate’ (secondo l’uso comune!): frate 46/105, spec. > PG e Sard.; monaco 31/43 spec. S (altrove talv. di clausura soltanto)

208. ‘suora’ (secondo l’uso comune!): suora 44/102 spec. N e Sard. (altrove talv. quelle degli ospedali soltanto); monaca 40/73 spec. Tosc. > , ecc. Sard. (altro-ve solo di clausura)

209. ‘messa letta, non cantata’ messa bassa: *messa quasi passim (si distingue in-vece quella cantata, per es. m. grande); messa bassa 21/39 spec. N e C; messa piana 14/19 spec. Tosc.

Stato e patria210. (mandar qualcuno) ‘da Erode a Pilato’: da Ponzio a Pilato 36/46 spec. > CO,

Tic., ORV > RO, Sic., Sard; da Erode a Pilato 28/37211. ‘*abitante della stessa città’, concittadino’: concittadino 39/94; compaesano

21/28 spec. RO >; paesano 21/28 spec. S212. ‘l’Italia settentrionale’: l’Altitalia (*l’alta Italia) 52/101; l’It. settentr. 36/82

spec. N213. ‘dimora degli sciocchi’: Cuneo 18/28 VE > ME, spec. Piem.; *Val Brembana

3/6 BS, CO, MI; *Creta 3/3; *Pompu 2/3 CA, SS; la Carnia 2/2 TS, UD; *Val di Muggio 2/2 CO, BEL; *Val d’Aosta 2/2 MI, PI; *Roccacannuccia 2/2 CH, ME; Sorso 1/2 SS; Ton; Forlì; Montalovesco; La Cava panicuccolo;

214. ‘nomignoli regionali’ a) ‘Veneziani’: *”Veneziani gran signori, padovani gran dottori, vicentini mangiagatti, veronesi tutti matti” 11/20 TS > AN, spec. VE > MI; *chiacchieroni 6/8 VE > FI; *ciacoloni 4/4 TS > FI; pantaloni 3/3 MI > GE; b) ‘Milanesi’: *spacconi 8/9 TS > AR; busecconi 4/7 > AN, spec. MI; *mangiarisotto 5/6 MN > MI; c) ‘Genovesi’: *ebrei 8/9 BS > FE; baciccini 2/2 AL, GE; d) ‘Fiorentini’: mangiafagioli 12/18 MN > RO spec. Tosc.; *“Fiorentin mangia fagioli, lecca i piatti e i tovaglioli” 8/12 (ibid.); e) ‘Romani’: romanacci 2/2 ORV, AQ; f) ‘Napoletani’: mangiamaccheroni 6/6 MN > ORV; g) ‘Siciliani’: mangiasapone 9/9 spec. N; h) ‘Sardi’: *sardegnoli 1/1 AN (e i Sardi che, sentendosi nominare spesso così, sono urtati, perché da loro è il nome dell’asinello!)

14 Vedi pp. 145 sgg.

107

215. ‘nomignolo per i meridionali’ (e dove cominciano?), terroni: a) terroni quasi passim > PG; *i Napoli 9/15 BZ-GE; b) *a NA gen., N e S!; *sotto RO 23/24 spec. N e Tosc.; *a RO 9/13 N e Sard.; talv. in Tosc. e anche sotto il Po, a seconda dell’intenzione polemica!

216. ‘nomignolo per i settentrionali’ (e dove comiciano?); polentoni: a) polentoni 34/52; mangiapolenta 22/25; b) *in Emilia 15/17 spec. SI > *in Piem. o al Po 10/12 spec. GE > ; *nel Veneto 9/12 spec. N!; *in Tosc. 5/5 PE >; *in Lomb. 5/5 BS >; * a BG 4/4 CR, BG, CO, RE; *in montagna 3/3 VR, PV, ORV

218. ‘un forestiero’; forestiero 52/115; foresto 9/14 FIU > SP; *di fuori 7/8; di fora via 2/2 MN, LOC

219. ‘nomignolo per tedesco, austriaco; *svizzero tedesco’: cruco 18/25 spec. > CO; togni(n) (*tugn-) 16/24 N; tuder 5/13 CO > TO; deutsch (*dautsch) 7/9 VE - SA; plüfer 3/7 spec. TO; *trinke(n)svein 4/5 spec. Tosc.

Città e traffico220. ‘quartiere’: rione 42/77 spec. S e Sard.; quartiere 27/53 spec. VR, Tic., RO,

NA, Sic. (e talv. uno più moderno); contrada 6/9 spec. CO, LUG, SI; *sestie-re 2/5 VE e GE; porta (spesso: abita a Porta Romana ecc., cfr. p. 122)

221. ‘nome delle strade principali’: via XY quasi passim; corso XY spec. MI, TO, GE, AN, PG, BA (altrove gen. uno, a RO due); *borgo PR, BO, PI, AR (gen. 1)

222. ‘vicolo’: vicolo 50/106; viuzza 15/21; chiasso 4/8 Tosc.; calle(tta) 2/6 FIU, VE; chiassuolo 2/5 spec. FI; carruggio 1/3 GE; contrada 2/2 PD, FO (altrove ‘strada laterale e periferica’); strettuola; *vico 9/13 AQ > CA, ma gen. topo-nimo; carrobbio

223. ‘lastricato’: lastricato, molto usato; *lastrico (per errore non domandato ovun-que, e selciato non affatto!); basolato 7/11 LE > CT

224. (dopo la pioggia c’è sempre un po’ di) ‘fango’: fango 52/116; mota 17/22 spec. Tosc.; *malta (sm-) 10714 > AN; palta 7/12 TN > TO; fanga 4/4

225. ‘fontana’: fontana quasi passim, ma talv. solo ‘f. ornamentale’; fonte 7/11 spec. Tosc.; *cannella 5/7 spec. AN (altrove gen. di metallo); *fontanella 6/7 (gen. di metallo)

226. ‘giardino del pubblico passaggio’: giardino pubblico quasi passim (gen.:vado ai giardini, giardinetti); villa 16/27 RO (topon.), S

227. ‘piccione’ (*di città): piccione 43/92; colombo 41/77 spec. nordest e TA > RC; palombo 6/6 S; palomba 2/3 PE, ME

228. ‘imbarcatoio’: pontile 26/36: imbarcadero 24/36 spec. N; ponte 12/14; im-barcatoio 6/8; debarcadero 2/6 spec. Tic. NB: gen. nei porti di mare le navi attraggono (sic!) direttamente al molo (alla banchina) e si sale attraverso una passerella mobile)

229. ‘le fogne’: fogne 42/89; fognature 43/84 (talv. la fognatura ‘sistema di tutta la città’); chiaviche 15/22 spec. BO, AN > PE

108

230. ‘accompagnamento funebre’ funerale: funerale 49/109; accompagnamento 17/21 spec. S; *trasporto 7/13 spec. FI, PI, SI; sepoltura 5/11 spec. Piem.; accompagno 7/9 spec. AN > ORV; mortorio 3/5 MI > RO

231. *poliziotti comunali* vigili urbani: vigili (urbani) 44/92 spec. N; guardie (cittadine) 41/70 spec. Umbria e S; pizzardoni 11/14 spec. AN, RO (gen. scherz.); metropolitani 8/9 (spec. grandi città e gen. per il traffico); *uscieri 1/6 Tic.; *civici 2/4 Piem.

232. ‘chi ruba in un negozio *facendo finta di guardare e di comprare’: ladro (di negozio) quasi passim; taccheggiatore, -trice 3/4 MI, RO, NA (altrove ling. giornalistico); topo di negozio 2/2

233. ‘carrozza da nolo’: carrozza 49/98; carrozzella 20/29 spec. RO >; *landò (làn-do) 6/7 N; *fiaccher(e) (fiacre) 4/7 spec. FI; brum 3/5 spec. MI; legno 4/4 FO, FI, SI, PG; botticella 1/2 RO. NB: gen. non esiste più.

234. (Il tram, il treno corre su) ‘rotaie’: binari 52/109 (spec. treno); rotaie 49/103 (gen. tram); binario 16/19 (treno); verghe 5/10 Tosc. (gen. tram)

235. (nel tram, nella corriera c’è il) ‘bigliettaio’: bigliettaio 45/78; fattorino 31/50 spec. TO, FI, ORV > (talv. solo quello che passa o della corriera); bigliettario 17/38 N

236. ‘automobile’: macchina 54/115; automobile 45/91; auto 35/76 meno al S; vet-tura 12/13 > AR

237.15 (cfr. pp. XX171 segg.) ‘autista’: autista 53/118 (spec. quello pubblico o d’un camion); chauffeur 39/81 (spec. quello privato)

238. ‘autocarro’: camion passim; autocarro 40/68 spec. N (talv. solo col rimorchio)239.16 (cfr. pp. XX177 segg.) ‘autorimessa’ (differenza quando è pubblica e quando

privata?): garage 54/122; autorimessa 38/67 (spesso solo quella pubblica)240. ‘copertone’ *d’una bicicletta*: copertone 54/114; gomma 30/47 (altrove ‘cop.

e camera d’aria insieme’); fascione 5/10 Tosc.; pneumatico (senza camera d’a-ria!) 6/6

241. (il treno, il tram percorre) ‘una galleria’: galleria 54/115; tunnel 35/62; trafo-ro 7/7 (e 3 RO: onom.)

242. ‘albergo’: albergo passim; hotel 42/78 (gen. più lussuoso); locanda 27/35 spec. nordest e S (gen. umilissimo)

1.4 Lingua parlata e lingua letteraria

Per quanto concerne il rapporto tra la lingua parlata e i dialetti si vedano le carte corrispondenti dell’AIS (vedi anche le attestazioni in B II). Sulla prossimità o distanza rispetto alla lingua scritta in generale, informa abbastanza questa sintesi, poiché riporta come prima parola la denominazione che sembra essere al primo

15 Vedi pp. 154 sgg.16 Vedi pp. 161 sgg.

109

posto in Cappuccini-Migliorini o, se necessario, in Palazzi, Cerruti-Rostagno o Melzi II. Nella scelta degli autori citati, come pure nella mia interpretazione delle loro indicazioni, la componente soggettiva è troppo marcata per permettere un confronto esatto con la classificazione di cui sopra (vedi a p. 111 il tentativo di allestire norme della lingua scritta più ampie).

Confrontabile con la mia statistica è per contro la “Italian word list from litera-ry sources” di T. M. Knease del 1931. L’autrice ha contato le parole alle pp. 5, 10, 15 ecc. di 40 opere otto- e novecentesche (Leopardi, Carducci,Verga, de Marchi, de Sanctis, Pascoli, d’Annunzio, de Amicis, Pirandello, Fucini, Deledda, Borgese, Tozzi, Panzini, Croce, Papini), per un totale di 400’000 lemmi. Li ha ordinati se-condo il numero delle opere considerate (prima cifra) e della frequenza delle pa-role (seconda cifra)17. Questa lista comprende ovviamente solo poche delle nostre prosastiche voci, o però non è chiaro se esse corrispondano esattamente ai nostri concetti (per es. bicchiere, picchiare, quartiere). Per quanto limitato sia quindi que-sto confronto, può in ogni caso metttere in evidenza la grande distanza che separa la lingua parlata da quella letteraria, poiché è proprio a questo livello quotidiano che l’influsso dei vecchi modelli è decisamente più debole rispetto a quello dei dialetti o in ogni caso di materiali di antiche lingue regionali18.

lingua letteraria lingua parlataora 40 / 614 42 / 66 adesso 22 / 99 48 / 104gota 11 / 19 16 / 23 guancia 9 / 18 50 / 101albergo 15 / 48 54 / 122 hotel - - 42 / 78berretto 13 / 17 47 / 91 coppola, ecc. - - v. no. 97denaro (dan-) 20 / 62 35 / 61 soldi - - 54 / 122 quattrini - - 35 / 52fango 4 / 4 52 /116 mota - - 17 / 22villano 9 / 21 16 / 92 cafone, bifolco, ecc. - - v. no. 167

17 L’ampliamento di Russo si fonda purtroppo su manuali americani invece che sui testi ori-ginali!

18 Vedi avantieri a p. 129.

110

2. Geografia linguistica della lingua parlata sulla base di dieci concetti considerati dal punto di vista sincronico e diacronico

2.1 Premessa

Per la scelta di dieci concetti su un insieme di oltre 250, due erano le ipotesi possibili: o focalizzare l’attenzione su un ambito molto ristretto o invece su nume-rosi concetti del tutto diversi, collegati fra loro secondo altri criteri. Dal momento che solo dieci singole indagini non permettono di trarre conclusioni su un sistema complesso come quello della lingua parlata, anche in questo caso ho preferito dare la priorità all’aspetto metodologico più che a quello materiale. La scelta ha privile-giato concetti che presentano il maggior numero possibile di relazioni fra i tre livel-li di dialetto – lingua parlata – lingua scritta, riflettono inoltre molteplici situazioni geografiche e mutamenti storici, appartengono infine a svariati ambiti e presentano un carattere stilistico diversificato: oggettivo – affettivo – infantile – politico cultu-rale. Quindi compaiono in quest’ordine e non in quello onomasiologico.

Segnalo subito i limiti seguenti: l’esigenza di cogliere le particolari tendenze della lingua parlata, in particolare il suo legame attivo e passivo con i due poli estremi del sistema, ha richiesto una riconsiderazione dei concetti già esaminati, poiché non esiste altro materiale sul tema. Ma al momento attuale posso citare solo poche situazioni analoghe per altri miei concetti a sostegno di una tesi. Altrettanto carente anche la conoscenza completa della storia linguistica italiana, che, sia dal punto di vista letterario sia dialettale, si manifesta subito anche in soli dieci concet-ti nel suo notevole spessore temporale e nell’intera estensione geografica dall’Istria fino alla Sicilia.

Per quanto concerne le fonti dell’analisi diacronica, si avverte acutamente la mancanza di rassegne precedenti incentrate sul lessico delle principali regioni linguistiche o anche solo della Toscana. Per questo motivo le conclusioni tratte dalle situazioni geolinguistiche contemporanee sono documentabili storicamente in modo così incerto da offrire spesso lo spazio per ipotesi di segno del tutto op-posto. Poiché il dizionario etimologico più vasto, il DEI, non è ancora concluso, e nel mio minuscolo settore ho addirittura constatato diversi errori, ho atttinto ancora una volta alle fonti più facilmente accessibili quali: Tomm.B., i glossari di Sella, Bosshard, Nigra e Rossi, come pure ad alcune antologie di testi: Monaci, Migliorini-Folena, Li Gotti. Le poche attestazioni raccolte in questo modo posso-no essere meglio valutate geolinguisticamente quando l’origine è indicata non solo nei lemmi dei glossari ma anche nei documenti letterari, ove ciò era possibile19, e gli autori non hanno vissuto, come è il caso del Tasso, in troppe città diverse. Al fine di mettere a confronto stadi precedenti con la lingua letteraria odierna, non basta tuttavia l’esame del numero assai casuale di vocaboli attestati nelle fonti: si

19 Con l’aiuto di Prati E., Petr-Renda e dell’Enciclopedia.

111

dovrebbe piuttosto conoscere quale sia il peso delle diverse denominazioni di un concetto in una certa epoca o regione linguistica. Ho provato a colmare le lacu-ne lessicografiche, raggruppando come norme della lingua scritta le traduzioni in italiano degli autori di vocabolari bilingui o dialettali. Ma sono consapevole delle possibili carenze anche di tali indicazioni. Per gli autori non italiani sono possibili errori e influssi delle lingue straniere, per non parlare delle ricopiature da autori antecedenti. D’altro canto, lo sguardo dall’esterno focalizza sovente particolarità sfuggite al contemporaneo italiano o troppo lontane dall’ideale linguistico per es-sere accolte in un vocabolario toscano20.

Le attestazioni lessicografiche sono complete solo a partire dal 1800 circa. In epoche anteriori l’uso parlato era infatti ignorato. Inoltre, testimonianze antiche interessano qui solo quando rimandano a situazioni geolinguistiche diverse da quelle odierne. Non ci interessa infatti constatare, per esempio, che un glossario del XIII secolo attesti un vocabolo per lo stesso luogo in cui oggi è ancora vivo il termine dialettale, perché si tratta di un dato ovvio. In ogni caso ho preferito esa-gerare nella citazione di attestazioni antiche per fornire al lettore un’impressione il più possibile chiara delle fonti a disposizione21.

2.2 Concetti

53. ZUCCA

a. Lingua parlata

a.1 Inchiesta

1 zuccaN T C FIU > ORV l’unica voce.(PE 2: it.)C S RO 1-3: a, AQ 1, AQ 2: a+, CR zucchino, PE 1: a+(it.), FG, (BA 2: it.),

LE 1-2, TA, MT, NA 1-3, NA 4: b, SA 2 zucchina, CS: b (it.), CZ, RC 1: b, RC 2: a+, ME 1: a+, ME 2: b, (CT 2: it.), pSR, PA 2

2 cocuzzaC S RO 1: b (fam. scherz. o fig.), RO 2: b (?), RO 3 cuc-: b (pop.), (AQ 1:

dial.), AQ 2: a+ (pop. spreg.); cococcia a Sulmona, PE 1: a+ (pop.), PE 2, FG: a (fam.), BA 1-2 cocozza, (LE 1-2: dial.), (TA: dial.), (MT: dial.), (NA 2 cocozza:dial.), NA 4 cocozza, nel ceto medio e colto: a, SA 1, CS: a (pop.), (CZ: dial.), RC 1: a, RC 2: a+ (grossa, rotonda che si taglia a fette e si arrostisce), ME 1: a+ (pop. cf. RC 2), ME 2 cuc-: a, ME 3, CT 1-2, (pSR e PA 2: dial.)

20 Vedi per esempio dopodomani pp. 135 sgg., segare la scuola pp. 106, 145, 146, 149-150.21 Per le abbreviazioni e i segni, vedi p. 40.

112

a.2 Testi moderni2 “due soldi”, pNA, detto dal parroco in frase italiana

a.3 Altre attestazioni1 1883 Tosc.2 (1244 Baldaria, pVR: insulto (DEI), 1883 Tosc.: scherz. per ‘testa’ o come ‘zuc-

ca!’ (‘corbezzoli’), 1891 RO e abruzzesismo, calabresismo (Romani)

b. Dialetto

b.1 Carte AIS 1372 e ALEIC 986 I Alpi > prima di Roma, compresa Corsica e Sardegna sett. IIa pRI/margine merid. delle Marche > Sicilia IIb cusa ecc.: pUD e N-ovest Piemonte III cucurda ecc.: Sardegna, escl. il N

b.2 Altre attestazioniI TS 1889, friul. 1935 (zùcie), VE 1867, VR 1900, TN 1904 e 14, PD 1796, CO

1845, GE 1910, AN 3, Sard. 1852: logud.-sett.IIa friul. 1935 (cagòcie, cavòcie), (MN 1882 ‘testa, coc.’: scherz.), CR (1880 ‘capo,

ecc.’), (BG 1873 ‘cuc., zucca, capo’), (MI 1839 e 97 ‘testa’), (PV 1934 ‘raffred-dore, testa’), PR 1856 ‘testa’), (AN 1889 ‘nuca’), AN 1929 (più com. fig.), RO 1945 e RO 3 e dRO, RO-Marche 1768, Abr. 1893 e 1930, BA 1892, dLE, MT 1924, NA 1789 e 1873 (e Basile 1637) e 1882, CT 2, Sic. 1868 e 1914

IIb friul. 1935 (côce, côzze)III Toetto, pCN 1637 (Rossi), Sard. 1852: logud.-merid.

c. Lingua scritta

c.1 Normale è sempre zucca, salvo anche cocuzza nei casi seguenti: 1678 Kra-mer: ted. > , 1837 Gr. Diz.: ted. > , 1855 Alb.: courge > , 1858 Tomm.B.: noi più acconciamente zucca, 1868 NA, 1924 MAT, 1940 Pal.: fam.

c 2 Altre attestazioniper cocuzza Soderini ‘500 FI e Ariosto ‘500 FE (Pr.), 1608 Casas, 1644 Calep.,

1700 Cast., Salvini ca. 1700 (T.B.), 1709 Alessio‘testa’ ‘600 (DEI), BS 1817, MI1839, BG 1873, CR 1880, MN 1882: scherz.,

1887 Petr.:scherz., MI 1897, PV 1934‘caspita!’ Rin. Bracci ‘700 (T.B.)

113

d. Analisi sincronicaI dialetti d’oggi presentano un quadro chiaro: il tipo zucca domina, con l’ecce-

zione di due zone periferiche, nella metà settentrionale; cocuzza rispettivamente co-corda ecc. in maniera altrettanto chiara nella metà meridionale d’Italia e della Sarde-gna. La lingua scritta segue quasi esclusivamente il modello toscano e settentrionale.

Nell’area dialettale di zucca, perciò, la lingua parlata non presenta la ben che minima insicurezza. Delle rgioni in cui l’uso popolare e letterario divergono, Udine e la Sardegna si allineano verso l’alto; cosa e cocorda sono troppo lontani da cocuz-za, che in ogni caso appare come di livello elevato; la nobilitazione parlata dell’esi-to particolare sardo di cucurbita, impedisce la dissociazione fono-morfologica del tipo come pure la diffusione di zucca nel nord dell’isola.

Nella zona di cocuzza, per contro, la lingua parlata si appoggia saldamente al dialetto. La cosa si capisce facilmente per un concetto le cui denominazioni solo raramente si ha l’occasione di leggere o di scrivere, mentre invece si sentono spesso in bocca ai venditori della campagna, quindi in dialetto. Gioca a favore il fatto che cocuzza sia possibile nello scritto, anche se significativamente soprattutto in senso figurato con carattere affettivo, quindi come complemento stilistico della effettiva denominazione concreta zucca. La lingua parlata conserva un marcato carattere territoriale e/o provinciale nelle fasce Pescara – Bari e Cosenza – Cata-nia. D’altro canto colpisce l’orientamento linguistico standard degli informatori di Lecce, Taranto e Matera. In ogni caso vorrei limitarmi a garantire solo per la capi-tale del Salento e spiegare la sua posizione particolare con le osservazioni di LE 2 nell’intervista: a differenza delle altre città del Mezzogiorno, Lecce non ha quasi popolazione contadina e conseguentemente conosce un’intensa vita culturale. Vie-ne anche chiamata, per la sua lingua relativamente pura (l’osservazione si riferisce soprattutto alla pronuncia), “la Firenze della Puglia” – come ha confermato una signora di Bari. L’avvicinamento alla lingua scritta nei grossi centri urbani non necessita di ulteriori spiegazioni.

e. Analisi diacronicaSono naturalmente poco numerose le attestazioni antiche di questo concetto.

Legittimano tuttavia l’ipotesi, che la frontiera meridionale dialetto – lingua parlata dell’area zucca corresse già nell’alto medioevo tra Orvieto e Roma; ma che in pas-sato, prima di o assieme a, questa parola, cocuzza fosse usata anche nelle Marche e in Toscana e che nell’Italia settentrionale fosse assai più diffusa di oggi. L’origine di zucca sembra essere la pianura padana, e dunque la parola sarebbe penetrata molto presto nel toscano; grazie alla lingua scritta, dovrebbe essere entrata dap-prima nella lingua parlata e in seguito anche nei dialetti delle aree più a sud. Nel Nord il crescente influsso della koinè milanese ne ha fortemente incentivato, e lo fa tuttora, la diffusione. Forse cocuzza può conservarsi almeno quale sinonimo affettivo-metaforico o, addirittura, tornare ad espandersi assieme ad altre parole forti meridionali (vedi menare p. 136).

114

80. SERVIZIO DA TAVOLA

a. Lingua parlata

a.1 Inchiesta

I servizio da tavolaFIU > FO: l’unico termine, FI 3: a, FI 4-5: b, SI 2: b, AR 1: b, pAN - SS: l’unico termine

II servito da tavola(MI 5: lett.), FI 1-2, FI 3: b, FI 4-5: a, LU, PI 1-2, SI 1, SI 2: a, AR 1: a, AR 2 (PE 2: it.)

a.2 Testi modernipiccola pubblicità FI: 1 x servito posate, RO: 1 x servizio posate, 3 x servizio

piatti

a.3 Altre attestazioniI 1883 Tosc.: servizio (da tavola)II 1883 Tosc.: ‘muta di vivande’, 1910 Tosc. serv. di porcellana

b. DialettoI VE 1867, TN 1904, MN 1882, MI 1839 e 97, PV 1934, PR 1856, MO 1893,

BO 1869, AN 3, RO-Marche 1768 ‘muta di vivande’, dRO, BA 1892, dLE, Sic. 1868

c. Lingua scrittaNorme o attestazioni (vedi T.B.)

‘muta di vivande’ ‘servizio da tavola’ servizio servito servizio servito> 1588 Sassetti FI 1608 Crusca FI 1627 Cresp. > franc., spagn. 29 Politi Tosc. 18 Buonarroti G. FI 36 Francios. > spagn. ’600 Bartoli FE 1678 Kramer > ted. 1700 Cast. > ted. > ted.> 1712 Magalotti FI> 1742 Fagiuoli FI 1729 Fagiuoli FI 1768 dial. > RO-Marche

115

1837 Gr.Diz. ted. > ted. > 39 dial. > MI 55 Alb. franc. > franc. > 56 dial. > PR 58 Tomm.B. Tosc. Tosc Tosc.: a (sol.sing.!) 67 dial. > VE 69 dial > BO 80 dial > CR 82 dial > MN 87 Petr. (fuori d’uso) Tosc.: b Tosc.: a 92 dial. > BA 93 dial > MO 96 dial > Piem. 97 dial > MI MI 1904 dial > TN 34 dial > PV ‘posate’ 40 Pal. (NO) ‘portata’ più gen. ‘vasellame’ 53 Capp.M. fuori Tosc. di Tosc.

d. Analisi sincronicaLa situazione geolinguistica è in questo caso ancora più semplice di quella di

zucca: all’interno di servizio, che copre tutta l’Italia, la Toscana costituisce un’isola con servito. In questo contrasto è comprensibile che la norma o l’uso della lingua scritta variino considerevolmente. Il termine di gran lunga più diffuso ha un’im-portanza predominante per noi, soprattutto nella nostra prospettiva di stranieri: i vocabolari bilingui riportano solo servizio: io stesso attraverso l’insegnamento non ho conosciuto altro, e ho trovato servito, quindi il nostro stesso problema, solo negli annunci pubblicitari della Nazione.

Ma anche nella stessa Toscana la posizione dominante di servito non è inconte-stata. La notevole, forte devianza di FI 3 può certamente essere spiegata con i cin-que anni di frequentazione della mensa della Scuola Normale, però le indicazioni degli altri informatori più giovani o più colti indicano che l’isola si sta sgretolando.

e. Analisi diacronicaLa più antica attestazione non latina della nostra più importante denomina-

zione, l’inglese service, è definita da Oxford 1669 come «the furniture of the table; esp. a set of dishes and other utensils required for serving a particular mead».

Come mi è stato confermato al Museo Nazionale Svizzero, la questione in que-sta forma ampia e variegata era ignota o diffusa solo parzialmente prima del XVIII secolo, fino a quando l’industria della porcellana rese possibile la copiatura facile

116

di un modello. Gli esempi di Du Cange per “servitium mensae” (Spagna XI-XIII sec.) si riferiscono agli ambienti cortigiani o conventuali e indicano solo un coper-to limitato e meno unitario. Le fonti più interessanti per la storia onomasiologica sono dunque in questo caso gli inventari e altri documenti delle fabbriche di por-cellana. Secondo le cortesi comunicazioni del Museo internazionale delle cerami-che di Faenza (prof. G. Liverani) e del dott. L. Ginori Lisci del Patrimonio Ginori di Firenze, prima del 1700 era diffusa in Italia la denominazione credenza22 quale “terminus technicus” (accanto al più generico vasellame). In documenti di Faenza e Bologna compare nel 1712 servizio da tavola, probabilmente ripreso da modelli stranieri, se si pon mente ai primi esempi datati nelle altre lingue europee: ingle-se 1669 (Oxford), francese 1690 (Furetière), tedesco 1691 (Weigand). In questo caso si tratta di una trasposizione del significato ‘portata di un pasto’ (vedi norme, ingl. dal 1536, franc. dal XIV sec.). A Napoli-Capodimonte verso il 1750 troviamo giuoco23, nella prima vera fabbrica di porcellana d’Italia, Ginori a Doccia presso Firenze, servito. Maria Corti24 segnala questa parola in Jacopone da Todi nel 1306 col significato astratto di servizio, un “servitum” in statuti medievali come ‘servi-zio, servitù’, e attribuisce la vitalità di questa e analoghe formulazioni, da un lato alla tradizione monastica del poeta umbro, dall’altro allo stile della lingua giuridica e commerciale, come è attestato, dapprima e più a lungo, a Siena. Queste indica-zioni geografiche corrispondono già in un certo senso all’origine delle attestazioni scritte e alla situazione attuale della lingua parlata. La motivazione psicolinguistica dell’ostinata predilezione della Toscana per servito quale denominazione del con-cretum potrebbe risiedere nell’esigenza di differenziare con chiarezza e/o nella disponibilità di sfruttare coppie di parole separandole, come è del resto sovente il caso in questo ambiente linguisticamente esigente o esperto (Vedi dal mio que-stionario: cassetto/cassetta, coltre/coltrone, midollo/midolla, piattola/piattone; vedi pure appartamento/quartiere).

Nel XVIII secolo anche la ditta Ginori cominciò a usare servizio. Il momento preciso di questo cambiamento non è noto, ma va situato prima della fusione con la ditta italiana settentrionale Richard (1896). Appare così evidente, rispetto alle norme toscane, che per un concetto del genere la lingua dell’industria e del com-mercio, nel processo di adeguamento alla più ampia denominazione corrente in ambito nazionale e internazionale, precede sia l’uso popolare sia quello letterario.

22 Vedi anche le citazioni da Urbino 1501 e ’500, p. 473; de Mauri: L’amatore di maioliche e porcellane, Milano, Hoepli, 1924, 3a ed.

23 Minieri Riccio in Atti Accademia Pontaniana di Napoli, pp. 364 sgg.24 M. Corti, Contributo al lessico predantesco. Il tipo “turbato” “la perduta”, in «Arch.Glott.

Ital.», XXXVIII (1953).

117

108. APPARTAMENTO

a. Lingua parlata

a.1 Inchiesta (si affitta un - )

I appartamentoN TS 1: raro, TS 2: b, UD 1-2, VE 1-3, VE 4: a, PD 1-2, VR 1-3, TN: a+, BZ

1: a(it.), BZ 2, MN, CR, BS 1-2, BG 1, BG 2: a, BG 3, CO 1-2, LUG 1-2, BEL 1-2, LOC 1-2, MI 1-5, PV 1, PV 2: a+, TO 1, TO 2-4, TO 5: a+, AL 1: a+, AL 2: a, AL 3: a+, GE 1-4, SP, PR, RE 1-2,

RE 3: a, MO, BO 1-3, BO 4: a, FE, RA 1-2, FO: a+T FI 2: a, FI 3-4: a+, LU: neol. raro, ricerc., PI 2: b(it.), SI 2: b, AR 1: b, AR

2: a+C pAN, AN 2, AN 3: a+, (PG 2: lett.), ORV, RO 1-3S AQ 1: b(it.), AQ 2: a+, PE 1: b, (PE 2: it.), LE 2: a+ (gen.), TA, MT: a+,

NA 1: b+ (molto grande o di lusso), NA 2:a+ (più di 6 cam.), NA 4; b+ (più signorile), CS: a+, RC 1: a(it.), RC 2, ME 1, ME 2: b+, ME 3, CT 1, CT 2: b, pSR, PA 1: a+ (più di 7 vani), PA 2: a+, CA, pCA: b(it.), NU 1-2, SS 1-2

II quartiereN FIU 1-2, TS 1-2: a+, (BZ 1: a TN), BG 2 -ierino: b (‘picc. appart.’), PV 2:

b, AL 2: b+, RE 3: a+T FI 1: a, FI 2: b, FI 3-4 a+, FI 5, LU -ierino: b, PI 1, PI 2: a, SI 1, SI 2: a, AR

1: a, AR 2: a+C PG 1-2, PE 2: a

IIIa *quartoS AQ 2: a+ (volg.), (PE 2: dial.), BA 1: a+ (4,5 vani), BA 2: a+, LE 1-2: a+,

NA 1: b+, NA 2: a+(4,5 cam.), NA 3: a+ (5,6 cam.), SA 2: a, CS: a+ (piano intero, - 16 vani), ME 2: b+, CT 2: a+, PA 1: a+ (piano intero, 2 o 3 ap-part.), PA 2: a+

IIIb quartinoS (RO 1: merid.), AQ 1: a, AQ 2: a+ (fam.), CH, PE 1: a, PE 2: b (popol.),

FG, BA 1: a+ (2-3 cam.), BA 2: a+, LE 1-2: a+, MT: a+ (- 12 vani), (MI 5: a NA), NA 1: a, NA 2-3: a+ (2-3 cam.), NA 4: a, SA 1, SA 2: a+ (2 stanze + cucina), CS: a+ (divisione del quarto), CZ: b (3-4 stanze), RC 1: b, ME 2: a, CT 2: a+, PA 1-2: a+

IV *alloggio VE 4: b(it.), BZ 1: b, PV 2: a+, TO 2, TO 3: a, TO 4: a, TO 5: a+, AL 1: a+,

AL 2 b+, AL 3: a+, BO 4: b, FO: a+, ME 2: b+

118

(no: TS 2, VR 2-3, BZ 2, CR, BS 1, BG 2, CO 2, LUG 1-2, BEL 2, LOC 1-2, MI 3-5, PV 1, GE 1-2,4, BO 2, FE, FI 1-2, 5, AR 1, pAN, AQ 2, BA 2, TA, MT, NA 1,3, CT 2, pSR, PA 2, CA)

V *casa LU: a, NA 1: b+ (gen., anche 2 stanze), NA 4: b, CZ: a, CA: a (no: GE 1, NA 3, SA 2)

a.2 Testi moderni

a.2.1 Piccola pubblicitàMI: sempre appartamento, salvo: «Sanremo cerco quartierino due camere, ac-

cessori, eventualmente scambiando altro simile Trieste. Scrivere Sterlini, Dogana, Trieste».

Toscana: “occupato” senza specificazione “nuovo” o “costruendo”

appartamento (-ino) quartiere (-ino) appartamento (-ino) quartiere (-ino)

131 355 48 57

Esempio: nello stesso annuncio “Appartamenti nuovi [...] occasionissimi quar-tieri occupati” (appartamento molto spesso qualificato come signorile, lussuoso, elegante).

Roma: sempre appartamento

Napoli: (vani) appartamento appartamentino quartino quartinet-to

1 - - 2 3

- 2 2 2 5 1- 3 8 6 11 -- 4 36 2 15 -- 5 49 - 8 -- 6 31 - 2 -- 7 35 - 1più 25 - - -

“grande” 4 - - -“lusso,

signorile”31 5 1 -

senza indic. precise

54 16 22 -

totale 265 31 71 4

119

Esempi: “Cercasi urgentemente appartamento, villetta, quartino”, “Dispo-niamo appartamenti, ville, quartini, camere”, “Appartamento 12 vani diviso due quartini”, “Cercasi appartamento 5-6 doppio ingresso oppure due quartini stesso stabile”.

a.2.2 ScrittoriPratolini I: solo appartamento (-ino), vedi sotto!

a.3 Altre attestazioniappartamento 1883 Tosc. ‘più spec. de’ quartieri di case signorili’ (Rig.-Fanf.);

1910 Tosc. (Hecker: b)quartiere 1883 Tosc. vedi sopra; 1939 FI (Rebora); 1877 Tosc. vedi sotto;

1910 Tosc. (Hecker: a)quarto 1400 AQ (DEI); 1877 Fanf.-A,: I Napoletani, e qualche lezioso c

he vuol parlare in punta di forchetta, così addimandano la parte di una casa, che rettamente dicesi quartiere; 1886 Sic.: italiano ripre-so; 1891 Abruzzo e Calabria (Romani)

quartino 1877 Fanf.-A.: s’intende un istrumento musicale ma non un picco-lo quartiere, che dicesi quartierino; 1891 Abruzzo e Calabria (Ro-mani); 1906 Abruzzo e Calabria (Amicis)

b. DialettoI appartamento

MN 1882, BG 1873, CO 1845, MI 1839, PV 1934, Piem. 1896(=grande), GE 1910, PR 1856, MO 1893, BO 1869, FE 1890, NA 1888, Sic. 1868, Sard. 1852

II quartiereTS 1889 e TS 2, TN 1904 e 2 inf. TN, BO 1869, Sard. 1852 ‘alloggio’

IIIa quartoCR 1880, BS 1817, MI 1839, Abr. 1893, PE 2, dLE, NA 1882 e 88, CZ 1895, Cal. 1932, RC 1909, Sic. 1868 e 1914

IIIb quartino, - inettoMN 1827 (dim.), MI 1839, Abr. 1893, MT 1924, dLE, NA 1882 (dim.), CZ 1895 (dim.), Cal. 1932, Sic. 1868 e 1914 (dim.)

IV alloggio – Piem. 1896V casa (dizionari non consultati) AN 3, dLE - sito GE

c. Lingua scritta1. Norma

appartamento quartiere quarto, - ino1678 Kramer ted. > ted. >1700 Cast. ted. >1817 dial. > BS BS 27 dial > MN

120

39 dial > MI MI: tosc.poem.aut.pis. 45 dial > CO 52 dial > Sard. Sard. (v.E) 55 Alb. franc. > franc. > 56 dial > PR PR 58 Tomm.B. Tosc. (mai: ‘misero’) Tosc. 68 dial > Sic. Sic. Sic.: it. ripreso 69 dial > BO BO 80 dial > CR CR 82 dial > MN MN 82 dial > NA NA 87 Petr. Tosc. (‘signorile’) Tosc.: a 88 dial > NA NA 89 dial > TS 93 dial > MO (‘signorile’) MO 93 dial > Abr. Abr. 95 dial > CZ 96 dial > Piem. Piem. 97 dial > MI1904 dial > TN ! 09 dial > RC 10 dial > GE 14 dial > Sic. Sic. 24 dial > MT 34 dial > PV 40 Pal.(NO) a b 53 Capp.M. fuori di Tosc.: a Tosc.: a (v. sotto) 55 Lazz.N. ted. >

2. Altre attestazioniappartamento Serlio 1475-1552 non Tosc. (Pr.), Cieza-Cravales 1553 spagn. >

(DEI), Caro 1507-66 Marche (Viani), Vasari 1568 FI, Salviati 1540-89 FI, Borghini 1515-80: di copia di stanze o, come oggi li chiamano, app. (T.B.), Lalli ca. 1600 Umbr. (Viani, qui altre atte-stazioni coeve), 1648 Alem.: ‘di donne’, 1709 Aless., 1837 Gr. Diz.Capp.M.: In Toscana, dove s’usa quartiere per indicare un’abita-zione privata ordinaria, app. racchiude in sé l’idea di grandezza e di lusso. Non così in altre parti, e se l’abitazione è assai semplice e povera, s’adopera il vocabolo generico casa.

quartiere Giamboni > 1300 FI (Pr.), 1636 Francios. > spagn., Redi ‘600 AR e Forteguerri > 1735 PT e Fagiuoli > 1742 FI (T.B.), 1700 Cast. > spagn., Algarotti ‘700 VE (MI 1839)

121

quarto Forteguerri ’600 PT (DEI), Fagiuoli > FI e Parenti 1858 Emilia (Viani), 1858 Viani: piuttosto che ‘appartamento’ ‘parte di appar-tamento, o. app. particolare, privato’, 1877 Fanf.A: “C’è un esem-pio del ‘Ricciardetto’ (= Fagiuoli) e forse di qualche altro scrittore [...] Sta bene: ma si badi che quello è in poesia, e il poeta avrà dovuto far di necessità virtù.”

quartino Leopardi (Viani: lettera ultima, – quindi 1837 da NA!) 1887 Petr.: fuori d’uso.

d. Analisi sincronicaLa lingua scritta moderna preferisce appartamento, ma conosce anche quar-

tiere; la lingua parlata, invece, è decisamente più variegata – certo in consonanza con i dialetti – e più esattamente in una suddivisione geografica abbastanza chiara:

- appartamento si trova nell’Italia settentrionale esclusi Fiume, Trieste, Trento e Piemonte, e poi di nuovo ad Ancona e oltre Orvieto verso Roma, come pure in Sardegna;

- quartiere è usato nelle aree periferiche citate nord-orientali, ma soprattutto nelle città toscane e a Perugia;

- quarto o quartino si estende sul territorio dell’antico Regno di Napoli;- alloggio domina in Piemonte (cfr. dialetto);- casa è stata citata solo in casi isolati, ma è anche stata poco richiesta, altrimenti

è probabile che sarebbe comparsa più spesso.Merita un’attenzione particolare la domanda relativa al dove e al come parec-

chie denominazioni compaiano una accanto all’altra. Si constata immediatamente che appartamento nella sua area non è contestato, mentre invece si trova in tutte le zone rimanenti, e rappresenta quindi il tipo più vitale.

La situazione in Toscana viene illuminata soprattutto dalle cifre della piccola pubblicità e dalla citazione di Capp.M. Poiché questa l’ho considerata troppo tar-di, l’articolazione della mia statistica corrisponde solo in parte alla differenziazione ivi indicata. Le due testimonianze convergono sul fatto che il toscano parlato usa sia appartamento sia quartiere, nel senso che un’abitazione più lussuosa viene nor-malmente detta appartamento. A differenza del vocabolario, mi sembra invece che non dipenda dal numero dei vani, nella misura in cui il lusso non condiziona nello stesso tempo la grandezza; la definizione di Tomm.B. mi sembra più appropriata. Non mi sento di formulare un giudizio più sicuro, perché nell’inchiesta questa concreta differenziazione non è stata purtroppo considerata. Con il conteggio se-parato delle parole degli annunci per i nuovi appartamenti, speravo di avere mag-giori lumi sullo sviluppo di questa situazione. Lo slittamento a sfavore di quartiere sembra indicare che appartamento si stia imponendo. È sicuramente preferito – in particolare da parte degli imprenditori immobiliari e dai mediatori – in quanto come unica denominazione per un’abitazione pregiata, promette di dare all’affare maggiore prestigio; da questo punto di vista è probabile che abbia un peso il fatto

122

che appartamento è usato anche a Milano, Roma e pure in Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Si privilegia dunque l’efficacia pubblicitaria a scapito della esattezza onomasiologica (vedi p. 117).

Anche quarto non coinvolge tutta l’inchiesta, tuttavia in maniera sufficiente da poterlo inserire correttamente nel gioco delle influenze nel Mezzogiorno d’Italia. Dove quarto e quartino convivono, si diversificano di solito in funzione della gran-dezza: vedi Bari, Lecce, Napoli, Cosenza e Palermo (dialetto). In Abruzzo, invece, quarto sembra essere socialmente squalificato rispetto a quartino, forse perché in quanto non-diminutivo ha ancora meno da offrire contro appartamento importato da Roma. Napoli, Cosenza e Palermo usano addirittura tutte e tre le denominazio-ni in funzione della grandezza dell’abitazione. Palermo, e apparentemente anche Cosenza, adotta l’ordine quarto – appartamento – quartino; Napoli appartamento – quarto – quartino. Come in Toscana, è proprio della parola più singolare un carat-tere più elegante. Gli annunci pubblicitari lo confermano, ma, sorprendentemente non contengono alcun quarto. La statistica mostra che proprio qui appartamento ha conquistato il suo posto quale denominazione per abitazioni di 4-6 locali. Non solo, fa concorrenza da solo o nella forma diminutiva, addirittura a quartino. Apparta-mento guadagna terreno rispetto a quarto e quartino poiché questi due termini non possono essere nobilitati con l’aggiunta “di lusso, signorile” ecc. Perciò la lingua parlata tende a oscillare un poco nella differenziazione concreta dei tipi, tuttavia conserva ancora l’ordinamento triplice e rispecchia, con Cosenza e Palermo, quanto sia grande nel Mezzogiorno l’estensione della stratificazione sociale25. Nell’analisi diacronica si entrerà maggiormente nei dettagli per quanto concerne l’aspetto so-ciale di queste denominazioni. È tuttavia possibile formulare sin d’ora l’ipotesi che i mutamenti sociali odierni devono favorire, se non l’hanno addirittura provocata, la scomparsa di quarto – quartino constatabile nel linguaggio giornalistico.

Il rimescolamento dei confini tra gli strati sociali può avere contribuito anche in Toscana e altrove al successo di appartamento. Il punto di partenza per l’evolu-zione accennata sopra potrebbe tuttavia anche risiedere nell’ambivalenza seman-tica di cercare un quartiere (abitazione)/quartiere cittadino. Ciò produce, anche se più raramente di quanto prevedibile, un conflitto serio perché di natura onoma-siologica, in quanto nelle nostre aree con quartiere, il secondo concetto ha spesso una denominazione del tutto diversa. A Fiume, Trieste, Trento e Pisa, in parte anche a Firenze, Lucca e Arezzo rione, a Siena contrada; a Firenze e altrove, la più vicina Porta serve anche a indicare il quartiere. Nelle inserzioni pubblicitarie della “Nazione”, quartiere in questa accezione segue a grande distanza dopo espressioni come “zona, pressi, adiacenze, presso Piazza Libertà”; oppure al concetto di abi-tazione si allude unicamente tramite il contesto (anche per risparmiare!): “Affittasi signorile quadricamere”, “Affittasi 5 stanze bagno”, ecc. In ogni caso si trovano

25 A Napoli, Bari e Cosenza andrebbe aggiunto basso, l’abitazione dei poveri di un locale, di solito semi-interrato.

123

altri annunci in cui quartiere complica un po’ la comprensione veloce e quindi rivela una certa debolezza nei confronti di appartamento: “Affittasi primo piano quartiere Cure tre stanze”, “Affitto quartiere centrale tre stanze”. Non ho veri-ficato se, come per quarto, anche qui il diminutivo dimostri maggiore resistenza. L’informazione di BG 2 potrebbe farlo supporre.

e. Analisi diacronicaRispetto alla “cosa”, il concetto di abitazione, si può affermare senza esitazione

che, sia dal punto sociale che cronologico, casa rappresenta il tipo sicuramente origi-nario. Come si legge nell’Enciclopedia, nel Medioevo non c’erano case plurifamiliari e solo pochissime fino al 1650. Se oltre a ciò, la proprietà immobiliare, molto diffusa in Italia dopo la Prima guerra mondiale, fosse in uso già prima almeno in certe città, va al di là delle mie conoscenze. In ogni caso in molte altre lingue, anche se non in tutte, si trovano attestazioni, sulla base di condizioni abitative più semplici, di uno stretto rapporto tra i termini “casa”e “abitazione”. In tedesco: Behausung – Wohn-statt – Wohnung; in francese: maison (‘dimora’) – loger – logis; in spagnolo: casa – vivienda – habitación; in croato: stan (‘baita’ REW – ‘dimora’). In questo contesto sta senza dubbio il nostro piemontese, parlato e dialettale, alloggio. Nel Tomm.B. si trova anche un esempio di casa nel senso di “stanza” dal Decameron, e in frasi come le seguenti appare sempre possibile il passaggio di senso da “casa” a “abitazione”: «Scade la mia pigione e debbo trovare altra casa; Son fuor di casa» (Tomm.B.).

Accanto a casa, quale denominazione di una piccola abitazione, in tempi anti-chi doveva esserci stanza. Tomm.B. segnala la parola in Boccaccio, Firenzuola ecc. come “albergo, abitazione, alloggio”; stanza è addirittura ancora più frequente in ogni caso nel senso militare di quartiere. Nel 1595 il Dict. hexagl. traduce in ita-liano: stanza, casa, habitazione; in Alemanni 1648: abitazione, stanza, magione. Si confronti a questo proposito la citazione di Borghini (C 2, appart.), secondo la quale “copia di stanze” sarebbe stata sostituita da appartamento.

Con l’apparire degli appartamenti in affitto nasce l’esigenza di più precise de-nominazioni. Dapprima troviamo quartiere. Gli etimologisti riconducono questa formulazione al francese o per lo meno al suo modello quart – quartier : quarto – quartiere. Nel 1117 si trova quarterium (di città) in un documento di Taranto. In Giamboni (ca. 1250-1300) c’è la definizione ‘quarta parte di città, paese, casa’26.

Poiché, come già detto, la “cosa” stessa non era per niente ancora diffusa in tempi così remoti, la parola dovrebbe la sua forza vitale successiva in gran par-te al modello del quartiere militare, perché questo, corrispondentemente alla più frequente richiesta, è dapprima attestato in francese (FEW: 1543), poi più abbon-dantemente in italiano (DEI: 1602). Se questo impiego derivi da “data parte d’una caserma” (DEI) o dall’assegnazione di settori di città alla truppa (Paul), non incide

26 La parola conosceva già anche il significato più generale di “parte”, per esempio, secondo Rezasco nell’anno 1301, Napoli contava almeno 38 quartieri.

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molto sul fondo del problema perché in ambedue i casi, come già in quello di quarto, si tratta di un significato di base socialmente alquanto generico e modesto, mentre per appartamento constateremo anche in diacronia un carattere più raffi-nato. Le attestazioni orali da Fiume, Trieste, Trento ed eventualmente Bergamo, sembrano indicare che in passato quartiere era diffuso in un’area molto più vasta, in ogni caso dall’Umbria verso nord era denominazione più precisa accanto a casa o stanze. Per l’altra ipotesi esplicativa, vale a dire l’influsso tedesco, delle presenze in zone marginali del Nord-est non si sono trovati riscontri.

Quarto viene attribuito con certezza, almeno morfologicamente, all’influsso catalano-spagnolo, per quel che concerne la distribuzione geografica e la prima datazione: infatti, nella madrelingua dei signori napoletani, e in parte nel ceto dei funzionari, cuarto ricorre frequentemente sia nella lingua letteraria sia nel dialetto. A fonti analoghe dovrebbero essere ricondotte le attestazioni dialettali lombarde, anche se posteriori (1535-1714); per quanto tre soli esempi, di cui due in Cherubi-ni, possano assicurarne il carattere popolare. In questa derivazione in ogni caso ci si può chiedere come mai la Sardegna, più a lungo di Napoli sotto gli Aragonesi, non conosca quarto. Poiché la mia prima attestazione è del 1852, sono unicamente possibili supposizioni. Forse la parola, in un contesto di piccoli centri, accanto ai probabili casa/domu, non ha potuto prendere piede, o lo ha fatto in maniera debo-le, fino a partire dal 1643 con lo spagnolo e dopo il 1720 con l’italiano appartamen-to che doveva fungere da modello. Se supponiamo invece un prestito più antico e oggi perduto di quarto, non è sorprendente che qui fosse più facilmente cancellato che non nel Regno di Napoli, più esteso e culturalmente autonomo.

È evidente l’origine spagnola di appartamento, dove è attestato dal XIV secolo (Dicc.histór.) nei significati di “azione di appartarsi, luogo appartato, abitazione” (DEI), e l’ultimo riferito in particolare e soprattutto a cerchie signorili. La lingua parlata del Mezzogiorno e della Toscana ha mantenuto questo particolare carattere sociale della parola fino ad oggi. Anche il francese sembra dapprima averlo cono-sciuto quando ha ripreso la parola dall’italiano (FEW; vedi “l’appartement du roi” accanto al normale “logis” o “logement”). Forse questa componente signorile ha favorito la diffusione sempre più massiccia di appartamento alla fine dell’epoca co-munale e nel XVII secolo con la crescita demografica, accanto a quartiere, quarto, quartino. Quando si rese necessaria un’ulteriore più marcata suddivisione delle case in appartamenti, la parola si impose probabilmente anche per il significato di fondo “abitazione separata”. A ciò corrisponderebbe che questo tipo, malgrado l’Umbria, l’Abruzzo e la Campania, sia di uso esclusivo oggi a Roma, perché secon-do l’Enciclopedia proprio qui sono sorti i primi casermoni abitativi. In generale, e soprattutto nell’Italia settentrionale, tuttavia, l’affermazione di appartamento è dovuta all’influsso del francese nel XVIII e XIX secolo. Dopo che questo tipo si era affermato qui solidamente, è tornato a diffondersi in tutta Italia, sorretto dal prestigio di Versailles e Parigi. In questi ultimi tempi, inoltre, è favorito dall’ingle-se, il cui “apartment-house” comincia a diffondersi persino in tedesco.

125

Per l’italiano parlato del futuro si può supporre che appartamento soppianterà sempre più rapidamente quartiere, quarto, quartino, perché a fronte di quest’ultimi presenta notevoli vantaggi: uno culturale, il legame con Francia e Gran Bretagna, uno politico, quale termine dell’unità nazionale, uno psicologico, la signorilità. Non è da attendersi una nuova coppia denominativa con casa: questa parola complemen-tare non toscana, citata da Capp.M., suona troppo vaga. L’uniformazione geolingui-stica porterà alla cancellazione, da un lato delle testimonianze di un ordinamento sociale feudale, dall’altro di una finezza linguistica, come nel caso di servizio/servito.

188. IERI L’ALTRO

a. Lingua parlata

a.1 Inchiesta

I ieri l’altro, *ier l’altroN FIU 1: b, UD 1: a+, UD 2: b, VE 1: a+, VE 2, VE 3: a+, VE 4: b, PD

1, PD 2: a+, (VR 2: it.), TN: b, BZ 1: a+, BZ 2, CR: b, BS 1: b, CO 1: raro, CO 2: a, LUG 2: b, LOC 1: raro, MI 2, MI 3: raro, MI 5: b(it.), PV 2: b+, TO 1: b, TO 3: raro, AL 2: b, SP: a+, PR: a+, RE 2-3: a+, MO: a, BO 1: a+, BO 2: a+, BO 3, BO 4: a, FE: a, RA 1-2: a+, FO: a

T FI 1: a, FI 2, FI 3-4: a, FI 5, LU, PI 1-2, SI 1, SI 2: a, AR 1, AR 2C PG 1: b, RO 1: b+, RO 2: a+S AQ 2: b, PE 2: b, CS: a, RC 1: raro, ME 2: b, CT 1: b, CT 2:b+, SS 1: b

II l’altro ieriN FIU 1: a, FIU 2, TS 1-2, UD 1: a+, UD 2: a, VE 1: a+, VE 3: a+, VE

4: a(it.), PD 2: a+, VR 1-3, TN: a, BZ 1: a+, MN, CR: a, BS 1: a+, BS 2, BG 1-3, CO 1: a, CO 2: raro, LUG 1, LUG 2: a, BEL 1-2, LOC 1: a, LOC 2, MI 1, MI 3: a, MI 4, MI 5: a, PV 1, PV 2: a, TO 1-3: a, TO 4-5, AL 1, AL 2: a, AL 3, GE 1, GE 3, SP: a+, PR:a+, RE 1, RE 2-3: a+, MO: raro, BO 1: raro, BO 2: a+, BO 4: b, FE: b, RA 1-2: a+, FO: raro

T FI 1: raro, ricerc., FI 3-4: b, SI 2: b, AR 1: bC pAN, AN 2-3, PG 1: a, PG 2, ORV, RO 1: a, RO 2: a+, RO 3S AQ 1, AQ 2: a, (PE 2: it.), CH, FG: a+, BA 2: b, ME 2: b, CT 2: a,

pSR, PA 2: a+

III avantieriN C CR: raro (it.), BS 1: a+, CO 1: raro, LUG 2: raro, MI 5: b+, PV 2: b+,

TO 2: b, GE 2, GE 4, RE 3: a+, BO 1:raro, RO 1: b+, RO 2: bS PE 1, PE 2: a, FG: a+, BA 1, BA 2: a, LE 2: b (anziani), TA, MT: a+,

(SA 1: calabr.), SA 2: a+, CS: b (pop.), CZ, RC 1: a, RC 2: a+, ME 1: b (a: pop., b: normale), ME 2: a, ME 3, CT 1: a,, CT 2: b (pop.), PA 2: a+, CA, pCA, NU 1-2, SS 1: a, SS 2

126

b. Testi moderni(non sono stati letti sistematicamente in relazione con questo concetto!)l’altro ieri: Pratolini I, p. 415 disc. dir. FI ‘l’altro giorno, poco tempo fa’

c. Altre attestazionil’altr’ieri 1883 Tosc.: Propriamente il giorno innanzi ieri, ma adoperasi più spes-

so a indicare tempo passato indeterminato. Parlando, dicesi più comu-nemente ier l’altro o l’altro giorno.

avantieri 1883 Tosc.: Ora è quasi fuor d’uso, e sarebbe affettazione il dirlo.

b. Dialetto

b.1. Carte AIS 350 e ALEIC 662I ieri l’altro: Elba, Toscana e fasce confinanti in Umbria e Marche, in

piccola parte VenetoII l’altro ieri: quasi tutta l’Italia settentrionale e centrale (Istria: l’altro

giorno); gran parte dell’Abruzzo e Campania, isolato in Sicilia e CorsicaIII avantieri: Liguria, Bonifacio, punti isolati in Marche, Umbria, Lazio;

sud Calabria, nord SiciliaIV prima di ieri: piccole zone di Marche, Abruzzo, Lazio, nord Puglia,

zone estese in Sicilia, intera Sardegna, sud CorsicaV (parole obsolete) parte del Lazio, un punto in Abruzzo, punti isolati

nord e sud Campania, tutta Lucania, sud Puglia e nord Calabria

b.2 Altre attestazioniI VE 1867, MO 1893, BO 1835 e 69, Tosc. 1853-80: 10 x, Tosc. (Rohlfs), PI 1939II TS 1889, VR 1900, MI 1897, Piem. 1896, AN 3, dRO, Abr. 1893 e 1930, NA

1873 e NA 4, Cal. 1932 (solo Casole Brugio, pCS), Sic. 1868III GE 1910, Tosc. 1853 (lettera d’una madre dei Bagni di Lucca, 1866), NA 1873,

Cal. 1932, RC 1909, Sic. 1863 e 68 e 1914 (anche: ‘altro giorno’)IV Sard. 1853 e 1930: (gi)anteris

c. Lingua scritta

c.1 Norma ieri l’altro l’altro ieri avantieri1608 Casas spagn. >1605 Hulsius ted. > ted. >1609 Victor franc. >1627 Crespin franc. >1644 Calepino (BG) lat. > spagn. >1636 Franciosini spagn. >1648 Alemanni ted. > a ted. > b

127

1678 Kramer ted. > b ted. > c ted. > a1700 Castelli ted. > a ted. > b1709 Alessio T. greco volg. > greco volg. >1835 dial > BO + dial. BO1837 Grande Diz. ted. > b ted. > a1839 dial > MI MI1852 dial > Sard. (+ dial.)1855 Alberti franc. > a franc. > b1856 dial > PR PR1858 Tomm.B. Tosc. a b (propriam. no) c1863 Crusca Tosc. a b (comunem. no)1863 dial > Sic.1867 dial > VE + dial. VE1868 dial > Sic. Sic.: b Sic. + dial. (+ dial.)1869 dial > BO + dial.1873dial > NA1880 dial > CR1882 dial > MN1887 Petr. Tosc. - (fuori d’uso) - (fuori d’uso)1889 dial > TS1893 dial > MO + dial.1893 dial > Abruzzo1895 dial > CZ1896 dial > Piem.1897 dial > MI (MI: il giorno avanti ieri)1902 dial > LU1909 dial > RC RC1910 dial > GE1914 dial > Sic.1924 dial > MT MT1930 dial. > Abruzzo1930 dial. > Sard.1939 dial. > PI + dial. (fuori di Tosc.)1940 Pal. (NO) (ieri >) a b1943 Migl.W. > ted.1953 Capp.M. (ieri >) Tosc. fuori di Tosc.1955 Lazz.N. ted. >

128

c.2 Attestazioni scritteieri l’altro Fra Giordano 1305, FI (Tomm.B.: 3 volte), Guicciardini ‘500 FI (Cru-

sca), Franciosini 1636 > spagn., Kramer 1678 > ted.: a, Castelli 1700 > ted.: a, Grande Diz. 1837 > ted., Alb. 1855 > franc. (DEI: XVII sec.!)

l’altro ieri ’200 (DEI), Jacopone 1230-1306), BO-Umbr. (Crusca), (1282 BO e ’200 PV: Monaci pp. 289, 290, 447 = giorni sono?), (Dante 1310 FI = non molti dì: Crusca), Fra Giordano 1305 FI (Crusca), Boccaccio 1353 FI (Crusca), Ariosto 1532 FE (Cr.), Grazzini ’500 FI (Cr.), Tasso - Lett. ’500 (Cr.), Buonarr. G. 1618 FI (Cr.), Alem. 1648 > ted., Castelli 1700 > , Grande D. 1837 > ted.

avant’ieri Machiavelli ‘500 FI (Viani 3 volte), Giambullari ‘500 = fior. (Tomm.B.), (Viani ’500, Guicc. FI, Bibbiena Tosc., Sanga, Ciberti, Card. Campeg-gio BO, Ridolfi 1548 FI, Varch. FI), Las Casas 1608 (=1576?) > spagn., Oudin 1640 (Prati), Alem. 1648 > ted.: b, Kramer 1678 > ted.: b, Viani 1858: nessun francesismo.

b. Analisi sincronicaLa carta dialettale d’Italia per ‘il giorno prima di ieri’ è caratterizzata, analo-

gamente a quelle della Francia meridionale, da una straordinaria frammentazione. Oltre a ciò, i concetti ‘ieri l’altro’ e ‘recentemente, da poco’ per lo più si compene-trano persino nel tipo più diffuso, l’altro ieri. La lingua scritta, in fin dei conti, non ha adottato nessuna delle due dozzine di denominazioni dialettali, bensì ha pre-ferito un tipo unico nell’area romanza, ossia semanticamente univoco, ieri l’altro. (Per casi analoghi vedi Jud). La lingua parlata si situa a metà tra la gran varietà dei dialetti e l’esclusivismo dell’italiano scritto con tre tipi; ma va tenuto presente che alcuni termini dialettali vivono ormai solo nelle campagne.

- Ieri l’altro prevale a Venezia e Padova come pure nell’area bolognese e pre-domina in Toscana. Ciò corrisponde esattamente alla situazione dialettale di fondo (è stato facile adattare l’emiliano ier di là). Come tipo scritto e univoco si trova inoltre molto diffuso nel parlato dei colti. È significativo che esso domini nella neo-italiana Bolzano.

- L’altro ieri è proprio di gran parte dell’Italia settentrionale, dell’Umbria, di Roma, Napoli e Lecce. Quasi ovunque i dialetti usano già questa denomi-nazione o l’affine l’altro giorno/dì. A Lecce l’altro ieri sostituisce una parola dialettale obsoleta e qua e là anche il terzo tipo.

- Avantieri lo troviamo a Genova, inoltre prevale sulla costa adriatica meridio-nale, in Calabria, Sicilia e in particolare in Sardegna. Rispetto al dialetto, nella capitale ligure è meno diffuso, mentre invece nel Mezzogiorno va ben oltre la sua area d’origine, sia come calco di livello alto di tipi d’altra formazione “davanti/dietro – ieri”, sia al posto di denominazioni del tutto arcaiche.

La distribuzione geografica e la stratificazione stilistica permettono di suppor-re interessanti retroscena storici.

129

e. Analisi diacronicaLo strato lessicale più antico – nudius tertius o con una qualche innovazione

die tertia – si trova ancora solo in dialetti periferici e non è presente nella lingua parlata, perché a questo tipo è andato perso l’ulteriore contesto semantico. Fu pressoché cancellato nel dialetto da più trasparenti denominazioni come “post heri, ante heri, passato heri, altera die” (v. altro giorno), come pure, con il successo maggiore, da “altero heri”. Che quest’ultimo sia più antico di ieri l’altro lo eviden-zia l’immagine cartografica: ieri l’altro è circondato da l’altro ieri, con l’eccezione di uno sfondamento dalla Toscana verso nord-est. A favore della priorità di l’altro ieri parlano anche i dialetti della Corsica e le attestazioni più antiche. L’innovazione toscana si spiega dal punto di vista morfologico certamente con la forza d’attrazio-ne della famiglia iersera, iermattina, iernotte, ieri il giorno, favorita probabilmente dallo spostamento d’accento nel gruppo aggettivo attributivo/sostantivo, avvenuto nel passaggio dal latino all’italiano. Qui sta in ogni caso la prova, che ad altro po-sposto spetta il significato più preciso. L’esigenza semantica della lingua standard per questa indicazione è palese: nel caso di servizio/servito, appartamento/quartiere abbiamo visto come il toscano cerchi o curi molto tali differenziazioni.

Per il terzo tipo, avantieri, appare chiaro, con Rohlfs 154 e con il DEI, che sia da supporre un prestito dal francese, perché il collegamento avanti + sostantivo si trova in italiano quasi esclusivamente in latinismi con ante-, quindi assai più raramente che in francese. Per avantieri nella lingua parlata e nei dialetti della Liguria, come pure per le tracce residue nell’Italia settentrionale, la spiegazione va ricercata nella prossimità geografica; per il forte radicamento in Sicilia e nella Calabria meridionale del dominio normanno. Questo tipo prevale, o si trova però sorprendentemente, oltre altri strati dialettali, nella lingua parlata di quasi tutte le città del Regno di Napoli. Ciò rinvia a una koinè, come D’Elia la suppone per l’amministrazione nel XV secolo. Il prof. Altamura lo sottolinea in una lettera con l’osservazione che i funzionari erano in maggior parte prima di tutto francesi e poi catalani. A p. 6-7 dei suoi Testi napoletani descrive anche come sia stato importante il ruolo del francese come “vulgale langue” fino nel XV secolo. Il catalano “abans d’ahir” e in seguito lo spagnolo “ante ayer” (cfr. la Sardegna!) hanno poi prolunga-to l’effetto modello di “avant-hier”. In questo modo l’avantieri del parlato conser-va la memoria di un’antica unità culturale del Mezzogiorno, che solo in parte poté estendersi fino ai dialetti. Napoli risulterebbe così un antico centro di diffusione della lingua colta, nel nostro caso comunque non quale sole italiano bensì come luna che ha trasmesso la luce delle lingue sorelle romanze e dei conquistatori.

Questa diffusione del prestito franco-catalano fu naturalmente facilitata dal carattere arcaico delle denominazioni autoctone. Come evidenziano le attestazioni dei punti 121 e 713 dell’AIS, un tempo fu così anche a Napoli. Oggi invece anche qui non si usa avantieri, bensì l’altro ieri della lingua parlata e del dialetto. Ciò sembra smentire l’ipotesi avanzata più sopra che si tratti di una parola della koinè, ma le località non siciliane o calabresi devono avere ripreso avantieri dalla capitale.

130

Il prof. Altamura, che ho interpellato sull’esistenza di eventuali antiche atte-stazioni dei due tipi, pensa per l’altro ieri a l’autrier, ricorda che nel tardo Trecento la cancelleria di Luigi di Taranto comunicava con la Francia meridionale in lin-gua provenzale. Per una datazione tanto o ancor più remota della denominazione napoletana odierna si potrebbe considerare il parallelismo dialettale, che Rohlfs riporta per la provincia di Cosenza, quindi quasi nell’area di avantieri. Che Napoli tuttavia abbia diffuso il tipo avantieri, non sarebbe ipotesi fuori posto, se si pen-sa che quest’ultimo abbia preso piede forse solo negli ambienti della corte e dei funzionari, oppure che nella lingua parlata convivessero però due denominazioni, come avviene del resto abbastanza sovente ancora oggi.

Senza attestazioni non si possono trarre conclusioni certe. A favore di una penetrazione successiva, addirittura recente, di l’altro ieri nel Mezzogiorno, l’im-magine cartografica è più utile; come pure il fatto che nel 1873 avantieri a Napoli figura ancora come dialettale, e che a Lecce continua ad essere usato nella lingua parlata da persone anziane – e più precisamente entrambi accanto a l’altro ieri. In questo caso la parola sarebbe provenuta dal Lazio o direttamente dalla lingua scrit-ta. Se dunque come nella norma di CZ 1895, in parte anche RC 1909, la denomina-zione meno frequente veniva preferita al più pregnante e preciso ieri l’altro, ciò era certo dovuto al fatto che l’altro ieri è più vicino morfologicamente all’avantieri da sostituire, e almeno in Sicilia, anche il significato è identico. Sarebbe interessante osservare se in futuro al posto di avantieri si affermerà il tipo geograficamente più forte o quello semanticamente più preciso.

Come sottolineano le norme di Sard. 1852, Sic. 1868, MT 1924, sembra che l’uso parlato di avantieri nel Mezzogiorno si appoggi anche sull’impiego letterario più antico di questa parola. È evidente che il toscano nel XVI secolo abbia tentato di risolvere il conflitto tra “l’altro ieri” e “recentemente, poco fa” con l’aiuto di avantieri; se deduciamo dalle norme, per lungo tempo ieri l’altro non era sembrato sufficientemente alto, mentre il prestito recava con sé il prestigio delle corti in-fluenzate dall’estero. (Forse è possibile individuare un barlume tardivo di questo prestigio nel fatto che in Giuliani, accanto a dieci ieri l’altro del parlato, avantieri compaia unicamente in una lettera). L’innovazione, sostenuta fra gli altri da Mac-chiavelli, soccombette tuttavia, la parola essendo stata percepita come provinciali-smo e più tardi forse – vedi la difesa di Viani – come forestierismo.

187. DOMANI L’ALTRO

a. Lingua parlata

a.1 InchiestaI doman(i) l’altro

N UD 1: a+, VE 1-2: a+, VE 3: b+, (VE 4: dial.), PD 2: b, TN: b, BZ 1-2: b, (VR 4: dial.), BS 1: b, LUG 2: b, MI 2: a+, GE 1: b, RE 3: a+, BO 1: a, BO 3-4:a+, RA 1-2: b+, FO: a

131

T FI 1-4: a, FI 5, LU, PI 1-2, SI 1-2, AR 1: a, AR 2C S pAN: b, ORV: a, RO 2: a+, PE 2: a+, NA 3: a, CS: a+, RC 1: b, CT 2:

b

II posdomaniN UD 1: a+, VE 1: a+, VE 3: a, VE 4: b (it.), PD 1b: a+ (a: mai sentito),

PD 2: raro, VR 3: b (ricerc.), TN: raro, MN, BS 1: a+, BS 2: b, BG 3: b, CO 1: b, MI 4: a+, MI 5: b, PV 2: b, TO 5: a+, AL 2: b (it.), PR: a, RE 1: a+, RE 2: b, RE 3: a+, (BO 3: ricerc.), RA 1-2: b+, FO: b+

T S FI 3: b+, AQ 2: b (lett.), PE 2: a+, LE 2: b (ant.?), (MT: ‘dopo due giorni’), CZ: b, ME 2: a+, SS 2: b

III dopodomaniN FIU 1-2, TS 1-2, UD 1: a+, VE 1-2: a+, VE 3: b+, VE 4: a, PD 1b: a+

(a: l’unica voce), PD 2: a, VR 1-2, VR 3: a, TN: a, BZ 1-2: a, CR, BS 1: a+, BS 2: a, BO 1-2, BG 3: a, CO 1: a, CO2, LUG 1-2: a, BEL 1-2, LOC 1-2, MI 1, MI 2: a+, MI 3, MI 4: a+, MI 5: a (it.), PV 1, PV 2: a, TO 1-4, TO 5: a+, AL 1, AL 2: a, AL 3, GE 1: a, GE 2-4, SP, RE 1: a+, RE 2: a, RE 3: a+, MO: b, BO 1: b, BO 2, BO 3-4: a+, FE, RA 1-2: a, FO: b

T FI 1-2: b, FI 3: b+, FI 4: b, AR 1: bC pAN: a, AN 2-3, PG 1-2, ORV, RO 1, RO 2: a+, RO 3S AQ 1, AQ 2: a, PE 1, (PE 2: it.), CH, FG, BA 1-2, LE 1, LE 2: a, TA,

MT, NA 1-2, NA 3: b, NA 4, SA 1-2, CS: a+, CZ: a, RC 1: a (it.), RC 2, ME 1, ME 2: a+, ME 3, CT 1, CT 2: a, pSR, PA 2, CA, pCA, NU 1-2, SS 1, SS 2: a

IV *passato domaniN PR: b, (RE 3: dial.), MO: a, BO 3: b (no: TS 1, VE 2, PD 1, VR 1, BZ 1, MN, CR, BS 1, MI 1, TO 2-3, GE

1-2, RE 1-2, BO 1-2, 4, FE, FI 1-2, 5, pAN, MT, NA 1-3, pSR, NU 1-2)

a.2 Testi moderniI Pratolini I, p. 247, disc.dir. FI: “domattina o domani l’altro, o quell’altro.

O forse mai.”II Comisso, p. 95, disc.dir. (il dottore)III Pratolini I, p.415, disc.dir. FI: “Dopo domani è san Giuseppe”. Pratolini

II, p. 22, disc.dir. ragazza di GE: “per dopo domani”

a.3 Altre attestazioni1883 Tosc.: domani l’altro. Dopo domani più comune in Tosc. che posdomani.Rohlfs III, p. 152: Nel toscano parlato prevalentemente domallaltro.

132

b. Dialetto

b.1 AIS carta 348 (N incompleta) e ALEIC 660I doman l’altro - Toscana e punti confinanti in Umbria e Marche, 1 P.

pBO. ElbaIIa dopodomani - isolato Veneto, Marche, Umbria, Abruzzo, Lazio, 1 P.

Calabria, Corsica; anche Elba e Versilia (ALEIC)IIb dietro domani O. Sardegna; N Sardegna (ALEIC)III posdomani. Versante alpino Istria fino Piem. orient.; parzialm. Liguria,

Marche, S Calabria, NO Sic., E Sard.IV poscrai ecc. Abruzzo merid. fino a Calabria settentr.V passatodomani ecc. parzialm. Piemonte, Emilia, Umbria, Marche, N

Calabria, Sicilia

b.2 Altre attestazioniI VE 4, BO 1835 e 69 e 1903 e BO 3, PI 1939, SI 1853 (Giul.)II TS 1889, VE 1867, PD 1, VR 1900, TN 1904, CR 1880, MI 1897, Piem. 1896,

RO, Abr. 1893, ME 3III VE 1867, BS 1, MI 1839 e 97, Abr. 1893, MT 1924, NA 1888, RC 1909, Sic.

1868 e 1914, Sard. 1852 (sett.)IV MT 1924, NA 1873, Sard. 1852 (logud.) e 1930. MI 1839 (?!), dLEV PD 1796, MN 1883, BS 1817, CR 1880, Piem. 1896, PR 1856, RE 3, MO 1896,

BO1903 e BO 3, FE 1890, RO-March. 1768

c. Lingua scritta

c.1 Norma doman(i) l’altro dopodomani posdomani1605 Hulsius ted. >1608 Casas spagn. > (spagn. > poscrai) dopo mane1608 Crusca (‘dopo domane’) posd.1609 Victor (“il giorno appo dimane”)1627 Crespin (“il giorno appo dimane”)1644 Calep. lat. >1636 Francios. spagn. >1678 Kramer ted. > ted >1700 Castelli ted. > a ted. > b1709 Alessio greco v. > greco v. >1768 dial > RO-march.

133

1796 dial > PD1817 dial > BS BS1827 dial > MN1835 dial > (BO) BO (it.) BO (it.)1837 Gr.Diz. ted. > c ted. > b ted. > a1839 dial > MI1845 dial > CO 52 dial > Sard. 55 Alberti franc. > a franc. > c franc. > b 56 dial. > PR: b PR: a PR: a 58 Tomm.B. a b b 67 dial > VE 68 dial > Sic. Sic. 69 dial > BO 80 dial > CR CR 82 dial > MN 87 Petr. a b (non com.) (pedant.) 88 dial > NA NA 89 dial > TS TS 90 dial > FE FE 93 dial > MO MO MO 93 dial > Abruzzo 96 dial > Piem. 97 dial > MI MI1900 dial > VR 03 dial > BO 04 dial > TN 09 dial > RC RC RC 14 dial > Sic. Sic. 24 dial > MT MT 30 dial > Sard. 39 dial > PI 40 Pal. (domani) a c b 53 Capp.M. (id.) a più com. lett. fuori Tosc. 54 Lazz.N. (BS?) ted. >

c.2 Altre attestazioniI doman(i) l’altro Albizzi 1399 FI (Cr.) d. e l’altro, Cecchi ’500 FI (Cr.) d., o l’al-

tro, Francios. 1636 > spagn., Kramer 1678 > ted., Cast. 1700 >

134

ted., Forteguerri 1720 PT (Cr.), Gr.Diz. 1837 > ted., Alb. 1855 > franc.: a

II dopodomani Hulsius 1605 > ted., Casas dopo mane > spagn., Francios. 1636 > spagn., Calep. 1644, Alem. 1648 > ted., Alb. 1855 > franc.: a (DEI: XIX sec.!)

III posdomani Pandolfini ’400 FI (Tomm.B.), Firenzuola ’500 FI (T.B.), Ma-chiavelli e Cecchi ’500 FI: pos(t)domattina (T.B.), Tolomei 1559, Caro ’500 Marche, Venuti 1596 > lat., Hulsius 1605 > ted., Politi 1629, Calep. 1644, Francios. 1636 > spagn., Alem. 1648 > ted., Aless. 1709 > greco v., Cast. 1700 > ted., Gr.Diz. 1837 > ted., Alb. 1855 > franc. (avv. e sost.)

d. Analisi sincronicaQui è evidente che la lingua parlata non solo è più economica dei dialetti ma

anche della lingua scritta. Quest’ultima dà almeno fuori della Toscana molto spazio accanto a doman l’altro e dopodomani a posdomani; nel parlato per contro l’ultimo vocabolo non è praticamente usato, anche dove è dominante nel dialetto. Si tratta qui evidentemente di una specie di iper-urbanismo, nel senso che per il livello su-periore come ultra-compensazione si sceglie il sinonimo che non ha riscontro nel dialetto. A un fenomeno simile rinvia Panzini per il concetto ‘entresol’:

mezzanino: voce ottima, a cui risponde esattamente la dialettale lombarda mezzanìt. Se non che i milanesi, nella erronea opinione che le parole loro dia-lettali siano discoste dall’italiano, credono dire meglio usando l’inutile parola ammezzato.

Alla stessa stregua durante l’inchiesta a proposito di figli/figlioli, nel Nord fu preferito in prevalenza il primo, malgrado il modello toscano e il proprio dialetto. Infine, giusto nelle indicazioni di tempo, c’è un ulteriore sorprendente caso: l’anno passato si usa in quasi tutti i dialetti (AIS 729); nella lingua parlata compare, accan-to ad altri resti di anno e l’altr’anno, molto staccato dietro l’anno scorso, sebbene quest’ultimo sia riportato nelle carte solo all’Elba e in tre punti della Toscana e delle Marche.

Il toscano doman l’altro prevale quasi esattamente negli stessi luoghi e negli stessi soggetti come il suo pendant ieri l’altro. Fuori di questa area, dopodomani so-stituisce invece le denominazioni dialettali, poiché corrisponde meglio a quest’ul-time, dal punto di vista morfologico e in gran parte anche da quello semantico.

e. Analisi diacronicaPartendo dai dialetti, posdomani, rispettivamente la forma non adattata al nord

poscrai, rappresenta il tipo più antico. Nel sud sopravvive, almeno in parte, lo sche-ma latino per le denominazioni delle frazioni del giorno:

135

nudius tertius – heri – hodie – cras – postcras

Con la formazione di doman l’altro sul modello di ieri l’altro il toscano mira a un nuovo, altrettanto chiaro sistema:

ieri l’altro – ieri – oggi – domani – doman l’altro

come è realizzato simmetricamente anche nelle lingue standard di Francia e Ger-mania. Allo stesso modo di ieri l’altro, la lingua scritta adotta doman l’altro con parecchia esitazione.

Dopodomani è il tipo più recente, comunque certamente più antico del XIX secolo, come indicano in generale le fonti lessicografiche. I dizionari bilingui da me consultati lo conoscono dal 1605, in parte proprio al primo posto; il dialetto del punto versiliese per l’ALEIC, dell’Elba e della Corsica mostra che quegli stranieri non si sono per niente inventato di sana pianta dopodomani e/o riprodotto nella propria lingua, anche se “après-demain, despues de mañana, übermorgen” hanno potuto avere un ruolo nella valutazione. Mi sembra che a Tomm.B. e ai collabora-tori della Crusca un dopo domani nei testi antichi non sia apparso per niente come unità lessicale (vedi la scrittura in Pratolini: A 2).

Anche se dopodomani corrisponde per l’ordine temporale a avantieri, la sua evoluzione ha conosciuto tutt’altro percorso. Da un lato non ha conquistato fino in epoca recente alcuno spazio nella lingua letteraria, poiché posdomani non è carica-to dell’ambiguità di l’altro ieri; dall’altro è stato preferito nella lingua parlata quasi ovunque fuori della Toscana a poscrai/posdomani morfo-semanticamente oscuro o insolito: quest’ultimo sopravvive unicamente nei settori del dialetto e della poesia meno legati alla chiarezza che alla tradizione.

In questo modo si contrappongono al nostro livello ancora solo due tipi: il tosca-no doman l’altro, migliore dal punto di vista della lingua scritta, e la denominazione del resto d’Italia. Poiché dopodomani non presenta gli svantaggi di l’altro ieri e avan-tieri, c’è da attendersi che doman l’altro, malgrado il legame formale con ieri l’altro, si affermerà con maggiori difficoltà di quest’ultimo; e anche nell’uso scritto dovrà cedere al concorrente di uso più esteso, e oltretutto più semplice morfologicamente.

165. BATTERE QUALCUNO

a. Lingua parlata

a.1 Inchiesta

I battereN VE 1: b, VE 2: a, VE 4: b, PD 2: a+, BZ 1: b, CO 1: a+, LUG 2: b,

LOC 1: b, MI 4: a+, MI 5: b (affine a ‘vincere’), PV 2: a+, TO 3: b, TO 5: a+, AL 1: b+, AL 2: a, RE 1:a+, MO: a+, FO: a+

136

T AR 1: a+S AQ2: b+, PE 2: a, LE 1-2: a+, NA 1-4: a+, SA 1-2: a+, ME 2: a, ME

3, SS 1-2: a+

II picchiareN FIU 1: raro, (FIU 2: ricerc.), TS 1, TS 2: a+, UD 1: a+, UD 2: b+, VE

1: a, VE 2-3, VE 4: a, PD 1-2: a+, VR 1: a+, VR 2, VR 3: a+, TN: b, BZ 1, MN: a+, CR, BS 1, BS 2: a, BG 1-2, BG 3: a, CO 1: a+, CO2, LUG 1: a+, LUG 2: a, BEL 1, BEL 2: a+, LOC 1-2: a, MI 1, MI 2: a+, MI 3, MI 4: a+, MI 5: raro (it.), PV 1-2: a+, TO 1-2, TO 3: a, TO 4, TO 5: a+, AL 1: a, AL 2: b, AL 3, GE 1, GE 3-4: a, SP: a+, PR, RE 1: a+, RE 2, RE 3: b+, BO 1, BO 2: a+, BO 3: b, BO 4, FE: a+, RA 1-2: a+, FO: a+

T FI 1-5, LU, PI 1, PI 2: a, SI 1: a, SI 2, AR 1: a+, AR 2C AN 3, PG 1: b+S AQ 2: b (lett.), (PE 2: it.), (FG: it.), BA1-2: b+, TA: a+, (gentile!), NA

1: b+, NA 2: a+ (it.), SA 2: a+, CS: a, RC 1: b, CT 1, CT 2: raro, CA, pCA, NU 1: b, NU 2: a+, SS 1-2: a+

III menare (*qn, *a qn)N PD 1: a+, (VR 2: dial.), (LUG 2: dial.), MI 2: a+, TO 5: a+, SP: a+, RE

3: a, MO: a+, BO 2: a+, (RA 1: dial.), FO: a+, (probabilmente menare qn)

T (FI 2,4: camp.)C pAN (qn), AN 2(qn): a, (AN 3a qn: dial.), PG 1: a, PG 2 (a qn), ORV

(a qn), RO 1-2 (a)qn, RO 3 (a qn)S AQ 1 (a qn): a, AQ 2: a (pop.), CH (a qn), PE 1 (a qn), (PE 2: dial.),

BA 2 (qn): a, NA 4 (qn): a+(pop.), SA 2 (qn): a+, CZ, RC 1: a, RC 2 (a qn): a

IV (*varia) *pestareN FIU 1-2: b (int.), TS 2: a+, UD 1: a+, UD 2: a, PD 2: a+ (int.), VR 3:

b (int.), BS 2: b (pop.int.), BG 3: b+ (pop.int.), LUG 1: b (int.), BEL 2: a+, LOC 1: b+, MI 5: a (fam.,pop.), PV 1: a+, AL 1: b+ (fam.), GE 3: b

(no: MI 4, TO 4, RE3, FE, RA 1-2, FI 3-5, PI 1-2, SI 1, PG 1, RO 3, AQ 1, RC 2, ME1, ME 3, pCA, NU 1-2, SS 1-2)

*bastonare (ma coi pugni): 30 volte sì (FIU 1 - SS 1), 43 volte no (VE 3 - SS 2)

*bussare: BO 2: a+, BO 3: a (no: 57 volte, tra cui: RE 3, BO 4, FE, RA 1-2)

*paliare: SA 1: a+ (giov.), SA 2: a+ (it.), (no: LE 1-2, NA 1, CZ, e altrove talv. dial.)

137

*fare una mazziata: NA 1: a+ (pop.), *cioccarle: GE 4: b+ (pop.), *tonfare: AR 1: a+ (pop.), PG 1: b (pop.) (no: AR 2, PG 2), *stonfare: AR 1: a+ (giov.)

V (sparse) *darle, *suonarle, *dar (le) botte, *dar pugniVI FO: battere, picchiare, menare, *bastonare, *bussare, *burattare, *zombare,

*suonare, *gonfiare, *cangiare, *dare quelle di Dio, *spianare le costure, *pas-sare sotto l’asso di bastoni

a.2 Testi moderniIII “Sciuscià”, disc. dir. RO; p. 29: “menar con la cinta”, 34: “t’hanno menato

forte”, 43: “m’hanno menato.” Moravia, disc. dir. Viterbese: “Menategli!” Scotellaro, racconti della madre, pMT, p. 211: “quello mena uno, esce un

altro, e, stretti chi si mena bastonate”, p. 215: “si menò addosso alla donna che doveva avere e se ne dettero bastonate.”

a.3 Altre attestazioniI 1883 Tosc. battere: ‘dar colpi, percuotere’II 1883 Tosc. picchiare: ‘dar colpi, busse a qn’, “La mamma lo ha picchiato”III Imola contado 1347 (Sella I, 3) admenare ‘bastonare’, Lettera privata siciliana

1341 (Li Gotti 114) li minaru ‘batterono, vinsero’, Tosc. 1883 “mena che ti meno”: di chi replicatamente dà delle percosse.

IV 1883 Tosc. pestare (fam.) ‘ammaccare con percosse’

b. Dialettob.1 Carte AIS 729 e ALEIC 171

I Vicino TO, centro Abruzzo, quasi tutta Campania, N Calabria, quasi tutta Corsica.

II NE Lomb., NE Piem., O Piem. e Liguria, quasi tutta Tosc. - BOIII gran parte Marche, tutta Umbria, gran parte Lazio, NO Abruzzo, gran

parte Calabria, 2 punti CorsicaIV Al N e S, particolarmente in tutta la Sicilia e Sardegna prevalgono altri

tipi come pestare, bastonare, mazzare, dare.

b.2 Altre attestazioniI TS 1889, VE 1867, Piem. 1896, LE 2, dLE, NA 1873, SA 2II BG 1873 (qn?), BS 1817 (qn?), CR 1880 (qn?), CO 1845 (qn?), MI 1839, PR

1856, MO 1893, FE 1890, dLE picchiare a mazzate, a cazzottiIII TS 1889 (‘assestare, vibrare’), (VR 1900 m. botte), VR 2, TN 1904 (‘appiccare

delle busse’), (CR 1880 m. giù), LUG 2, (MI 1839 m. giù, Piem. 1896 m. le mani), MO 1893: “dai, mena e peccia”, (BO 1903 m.le mani), RA 1, PI 1939

138

(anche a PT e RO), inf. PS, AN 1929 e AN 3, RO 1945 e dRO (a qn), Abr. 1893 e 1930, PE 2, (NA 1888 m. le mani), Cal. 1932, (Sic. 1868 m. un pugno)

IV pestare: TS 1889, VE 1847 e 67 (int.), PD 1796, VR 1900, TN 1904 pestada, MN 1882 ‘percuoter bene’, CO 1845 (int.), MI 1897 e MI 5

c. Lingua scrittac.1 È impossibile dedurre una regola dai vocabolari. Non si capisce quasi mai

se si intende davvero il nostro concetto ‘battere, ma non solo con un bastone’. Nei più antichi dizionari bilingui o in quelli dialettali non si può in genere distinguere tra ‘sconfiggere, battere, bastonare, picchiare’. Le fonti lessicografiche recenti, in-vece, riportano una quantità di sinonimi o termini affini – Pal. 28! – e troppo pochi esempi per arrivare a definire una gerarchia per il nostro registro stilistico segnato dall’emotività. La denominazione oggettiva sembra essere ‘percuotere’, che suona tuttavia troppo letteraria per l’inchiesta.

c.2 AttestazioniI battere - origine lat. (Prati E), ‘200 (DEI), Dante 1310 (T.B.), Boccaccio ’300

FI, D.hex. 1595, Victor 1609, Toscan. 1568, Crusca 1608, Aless. 1709: a, Gr.Diz. 1857: a, Alb. 1855: a, Tomm.B. 1858, Petr. 1887: b (v.II), Pal., Capp. M., Lazz.N.

II picchiare - (Fr. da Barberino ’300 FI, v. DEI =?) (‘bussare’: D.hex. 1595, Crusca 1608, Francios. 1644, Alem. 1648, Cast. 1700, Aless. 1709), (piccare ‘ferir con la picca’) Salvini ca. 1700, v. Prati E.), Gr.Diz. 1837: b, Alb. 1855: b, Tomm.B. 1858, Petr. 1887: verso persone più comune di battere, Pal., Capp.M., Lazz.N

III menare - lat. minare ‘spingere avanti gli animali da tiro con le grida e la frusta’ (DEI)

m. colpi, le mani ecc.: Boccaccio ’300 FI, Ariosto 1532 FE, Firenzuola ‘500 FI, Berni (Tomm.B.), Crusca 1608, Cresp. 1627, Politi 1629, Kramer 1728, Gr.Diz. 1837, Tomm.B. 1858, ecc.

menare - Ott.Comm.Div.Comm. ’300 FI?, (Tomm.B. -si: reciproco), Aless. 1709, Forteguerri 1700 PT (Petr.), Alb. 1855 > franc., Tomm.B. 1858, 1869 Sic. > , Petr. 1887, Pal. 1940, Capp.M. (ma in tutti i dizionari questo significato è all’ultimo posto, e appare come poco usato!)

IV pestare - (d’area italiana e romana occidentale: DEI). Significato di fondo: ‘ri-durre in polvere’ (Prati E.) – ‘calcare coi piedi’: Dante, ecc. (Tomm.B.)

‘ammaccare con percosse’: Boccaccio, Firenzuola ’500 FI, Berni 1531 (Tomm.B.), Victor 1609, Tomm.B. 1858, Petr. 1887: non com. ‘bastonare’ (esempio con cavalli), Pal. 1940: fig. e fam., Capp.M. 1953: iperbol.

I più antichi dizionari bilingui danno soprattutto percuotere, bastonare, dar busse accanto al più frequente ma ancora meno chiaro battere.

139

d. Analisi sincronica e diacronicaI motivi addotti più sopra rendono difficile il confronto tra i tre diversi livelli

linguistici. Persino all’interno delle attestazioni dialettali sono presenti non insignifi-canti divergenze tra l’AIS e i dizionari, per le quali non è possibile decidere fino a che punto rispecchino semplicemente la pluralità stilistica e onomasiologica del concetto, oppure invece permettano di constatare le reali variazioni di diffusione di veri sino-nimi. Poiché la dimensione affettiva della cosa, e conseguentemente la quantità delle possibili denominazioni, non è stata inferiore in passato a quella d’oggi, le attestazioni antiche non diversamente dall’inchiesta, offrono solo frammenti del campo lessicale. Per questo rinuncio alla separazione dei punti di vista metodologici come pure a una considerazione sistematica di natura geografica o cronologica; mi limito invece a una discussione dei vocaboli che, sulla base dell’AIS, si erano imposti come i più popolari per l’inchiesta. Come appare da A 1. VI, il nostro concetto comprende nel caso di un’unica persona colta, qui l’informatore di Forlì, non meno di 13 denominazioni.

In altre lingue sarebbe naturale trovare un’analoga varietà e interconnessio-ne. Per il tedesco Dornseiff riporta sotto “battere” una serie pressoché infinita di verbi; Kretschmer elenca nel capitolo “pestaggio e zuffa” i seguenti regionali-smi: a Berlino e dintorni “Hauerei, volg. Keilerei”, in Baviera e Austria “Rauferei” (quest’ultimo a Berlino riferito solo ai capelli).

Riporto dapprima le parole affiorate solo nel corso dell’inchiesta, e dunque richieste in modo incompleto:

- Bastonare, attestato nella lingua scritta e nel dialetto, è chiaramente più o meno usato ovunque, ma, secondo la coscienza etimologica del soggetto, li-mitato al battere col bastone.

- Pestare quale intensivo sembra in uso soprattutto lungo il versante alpino orientale in corrispondenza con le condizioni dialettali locali. Secondo le at-testazioni, tuttavia, era d’uso più antico nella scrittura letteraria e oggi ancora compare nelle scritture toscane familiari.

- Battere è senza dubbio la forma più antica ma, proprio per questo, come pure per le sue numerose altre possibilità d’uso, piuttosto consunto nel valore af-fettivo e per il nostro concetto, ampiamente rimosso. I dialetti piemontese, corso e del Mezzogiorno, la lingua parlata di Napoli, Salerno e Lecce sono consevatori. Inoltre, battere serve come forma di ripiego alta nei confronti di una denominazione obsoleta all’Aquila, Pescara, Messina e Sassari. Si tratta di zone o punti al margine dell’area linguistica, casi in cui non è da escludere che qua e là il francese abbia potuto svolgere un ruolo di sostegno.

Nelle città elencate da ultimo, possiamo senz’altro ipotizzare l’influsso dell’ita-liano scritto, perché il secondo termine sostitutivo possibile, picchiare, è di data più recente di battere. E per l’appunto si mostra così più vitale che mai, estendendosi al nostro livello oltre l’area delle sue radici dialettali – la Toscana anzitutto – in quasi tutto il Nord e la Sardegna, e sostituendo in taluni luoghi del Sud una denomina-zione dialettale troppo anomala. È chiaramente più diffuso di battere nella lettera-

140

tura più recente e anche nell’uso orale assume forse una più marcata connotazione espressiva. In ogni caso, parecchie città o singoli soggetti restano legati alla parola del luogo, e precisamente di nuovo soprattutto nel Mezzogiorno.

Il problema più interessante nasce con menare. Purtroppo non è possibile indi-viduare qui le radici storiche e geografiche importanti per una soluzione. Le antiche attestazioni scritte dalla provincia di Bologna, dalla Toscana e Sicilia come pure le te-stimonianze dialettali per Verona, Trento, Lugano, Modena, Ravenna, prov. Firenze, Pistoia, Pescara spingono a supporre che il mutamento semantico, avvenuto già nel latino, abbia interessato in passato tutta l’Italia e che l’area originaria sia oggi ancora più estesa di quanto non mostri la carta dell’AIS. Ci si chiede solo se queste o almeno parte di queste più recenti attestazioni dialettali di menare non siano da ricondurre a influssi moderni della lingua parlata. La nostra inchiesta mostra che la parola, a parte la Calabria, ha la sua origine a Roma e che perciò probabilmente si è potuta diffondere da qui a partire dal 1870, attraverso il servizio militare, gli studenti, in particolare anche con giornali umoristici quali il Marc’Aurelio e con i film neorealisti. Probabilmente i due percorsi convivono: antiche tracce dialettali e nuova moda, come parola forte romano-meridionale (vedi ammappete! cafone! ecc.27). Malgrado ciò non minaccerà picchiare nella lingua parlata e soprattutto in quella scritta; si può piuttosto prevedere per quest’ultimo, almeno nelle zone di battere e in altre aree residue, un’ul-teriore diffusione. In questo modo la parola toscana più recente, con l’aiuto del Nord, si imporrebbe sulla più antica denominazione meridionale. Ma solo a livello elevato e a scapito dell’espressività in quanto termine che diventa sempre più oggettivo. Per le esigenze delle classi sociali inferiori e/o dell’espressività individuale più intensa e familiare rimane così, o, addirittura, nel nostro campo lessicale cresce lo spazio per concorrenti come menare. Proprio nel caso di un simile concetto affettivo sarebbe perciò necessario effettuare a brevi intervalli sempre nuove inchieste sull’uso parlato.

29. A RIMPIATTINOa. Lingua parlataa.1 Inchiesta: giocare a

Ia rimpiattinoN UD 1: b (it.), VE 1: a+, (VE 4: it.), PD 2: lett.), VR 1: a+, VR 3: raro,

ricerc., (TN it.), BZ 1, CR, BS 1: a+, BS 2: raro, BG 1, (BG 2: lett.), LUG 1: b (lett.), LUG 2: b, (BEL 1: it.), (LOC 2: lett.), MI 1: a+, (MI 2: it.), PV 2: raro, ricerc., TO 1: a+, TO 2: b, AL 1: a+, AL 2: b+ (it.), SP: a, RE 1, (RE 2: it.), RE 3: a+, BO 1-2: a+, BO 4: b, RA 1: a+, RA 2: a+ (it.), FO: b+

T (MI 5: a FI), (FI 2: camp.), FI 4: a+, LU: a, PI 2: a, SI 2: raro, AR 1: bC AN 3: b+ (it.), (RO 1: it.), RO 2: b+

27 P. 103, lemmi 179 e 167.

141

S AQ 2: raro, lett., PE 2: b, BA 2: raro, NA 1: raro, NA 4: raro, CS: b, RC 1: b+, ME 1: b (ricerc.), ME 2: a+ (it.), CT 1: a+ (it.), PA 2: b+, CA: a+

Ib rimpiatterello: MN: b, SI 2: b, -arello PI 1, PI 2: b

II ringuattarello: SI 2: a, (ringuattino: AR 1: dial.)

III nascondersiN FIU 1-2, TS 1-2, UD 1: a, UD 2, VE 1: a+, VE 3-4, PD 1-2: a, VR 1:

a+, VR 2, VR 3: a, TN, MN: a, BS 1: a+, BS 2: a, BG 2-3, CO 1-2, LUG 1-2: a, BEL 1-2, LOC 1-2, MI 1: a+, MI 2-5, PV 1, PV 2: a, TO 1: a+, TO 2: a, TO 3-5, AL 1: a+, AL 2: a, AL 3, GE 1: a+, GE 3-4, SP: b, PR, RE 2, RE 3: a+, MO, BO 1: a+, BO 4: raro, RA 1: a+, RA 2: a+ (pop.)

T C SI 1, (AR 1: lett.), AR2: b, AN 3: a, RO 2: b+S AQ 2: b+, (PE 2: it.), FG: a+, BA 1 -ere, BA 2 -ere: a (-ersi: it.), LE

1-2: a+, TA, MT -ere, NA 1: a, NA 2 (più -ere), NA 4: a, SA 1: b, SA 2-ere, RC 1: a, RC 2 -ere: b, ME 2: a+, CT 2, PA 1: b (it.), PA 2: a, CA -ere: a+, pCA -ere, NU 1-2 -ere, SS 1

nasconderelloBS 1 a+, FE, PE 1 -arello: a, LE 2 -arello: a+, NA 4: b, ME 1 -arello: a+, pSR, PA2: b+ - *nascondarella: PD 1 -erella: b, pAN: a+, AN 3: raro, RO 1, RO 2: a, RO 3, AQ 1: a+, AQ 2: b, PE 2 -er-: a, LE 2: a+, RC 2 -er-: a

nascondinoVE 2, PD 2: b, AL 2: b+, GE 1 -erino: a+ (bamb.), GE 2, BO 2: a+, FO: a+, FI 1-3, FI 4: a+, FI 5, LU: b, PI 2: a, AR 1-2: a, pAN: -icino: a+, AN 2, ORV, PE 1: b, FG: a+, LE 1: a+, SA 1: a, SS 2

*nascondaglia; PG 1-2 - *nascondiglio: CZ - capannascondere

IV mucciatella: CS -arella: a, (ME 1-3, pSR: dial.)

V (varia) *chichì: AQ 1: a+ (giov.), AQ 2: a, CH - *cu(c)co: BO 3 - *cucù: BO 4: a - *buè: PA1: a (pop.), PA 2: b+ (no: CT 2, ME 3) - *mamm’accua: CA: a+ (fam. giov., = sardo: ‘nascondersi’) - *urra: BZ 2 (= grido con cui si chiama quello che aspetta contando)a.2 Altre attestazioni

Ia 1883 Tosc., Ib 1910 Tosc., capannascondere: 1883 Tosc.

b. Dialettob.1 Carte AIS 142 e ALEIC 1813

I rimpiatterello: PI e costa a sud, Elba

142

II ringuattarello ecc.: SI e altri punti toscani, Corsica, Umbria O e 1 pun-to N Lazio

III ascondino: FI e AR -arella: parzialm. Marchr, Umbria, Lazio, Abruzzo, N Campania. Altre derivazioni: NO Piem., gran parte Lomb., Venezie, Emilia: parzialm. Umbria, quasi tutta Puglia.

IV mucciatella ecc.: 1 punto Marche e N Puglia, parzialm. Lucania, tutta Calabria e Sicilia escluso PA (buè)

V cùco, cucù ecc.: sporadico in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna,Toscana. Altri tipi in Piemonte, Lucania, Campania.

b.2 Altre attestazioniI rimpiattino: PT (BO 1903), VE 1916 e rimpiatterello - arpiattarola: BO 1903 -

impiattarelli: PI 1939II ringuattarello: SI 1944, Umbr. 1905III nascondersi: TS 2, BG 1, BEL 1 - ascondere: BA 1892, dLE, MT 1924, NA 4 scondariola: VE 1867 e 1916 - scondillo: GE 1910 nascondarella ecc.: AN 1929 e AN 3, Umbr. 1905, RO-Marche 1768, RO 1945

e dROIV mucciatella ecc.: Cal 1932, ME 2-3, CT 2, pSR, Sic. 1863 e 1914V buè: Sic. 1868 e PA 2 - vieniténne: NA 4 - mammacua: Sard. 1930 (campid.)

c. Lingua scrittac.1 Norma rimpiattino -erello nascondino -erello capannascondere

1768 dial. > RO-Marche1837 Gr.Diz. nascondere (ted. >) 58 Tomm.B. Tosc. 63 dial > Sic. 68 dial > Sic. e cucù Sic. 87 Petr. Tosc. Tosc. Tosc. 92 dial > BA 96 dial > Piem.1903 dial > BO e buscherella BO: -a BO 05 dial > Umbr. Umbr. Umbr. 10 dial > GE GE 14 dial > Sic. Sic. 24 dial > MT MT 29 dial > AN AN 30 dial > Sard. e nascondiglio 39 dial > PI: a PI: b 40 Pal.(NO) giuochi > giuochi >

143

44 dial > SI 53 Capp.M. Tosc. Tosc.: b fam. tosc.

c.2 Altre attestazionirimpiattino Magalotti 1637-1712 FI (Petr.), Forteguerri 1674-1735 PT

(Prati E.), 1855 Alb.capannascondere Allegri 1560-1620 FI (Prati E.), cucù: Buonarroti G. 1612 FI

(BO 1903)nasconnarello Magalotti > 1712 (Petr.)

d. Analisi sincronicaIn pratica la lingua scritta conosce in epoca recente solo a rimpiattino, in quan-

to a capannascondere denomina solo una variante del gioco, che stando ai risultati dell’inchiesta non è (più?) in uso o che, in ogni caso, dal punto di vista onomasio-logico è insignificante. Il carattere infantilmente familiare e ludico del concetto si rispecchia per contro nella varietà delle espressioni dialettali, che in ogni caso in gran parte appartengono a un verbo con il significato ‘nascondere’. Come si com-porta dunque la lingua parlata come territorio intermedio tra due estremi?

A rimpiattino, che in dialetto sembra di casa solo a Pistoia, prevale a Lucca e La Spezia ed è equiparabile ad altri tipi a Ravenna e Bolzano. Pisa è più o meno legata alla sua variante a rimpiatterello.

Dove il dialetto usa nascondersi o una derivazione, l’espressione scritta è spes-so nota come migliore italiano, e forse usata in seconda posizione, ma è in primo piano se non esiste da solo un rappresentante della famiglia dialettale. E proprio nella forma esatta corrispondente, se questa coincide con la morfologia della lin-gua standard, mentre la forma aferetica settentrionale scondaröl ecc. viene sostituita dall’infinito. Questo nascondersi, eventualmente anche nascondere, nasconderello, nascondino, rappresenta anche il rimedio quasi dappertutto dove la denominazione dialettale nella lingua scritta non compare (più). Nell’inchiesta restano fedeli alla loro espressione obsoleta solo i relativamente isolati informatori di Bologna, Chieti, Cosenza, Catanzaro, Messina, Palermo e Cagliari. Si tratta di città periferiche, per Bologna forse una prova della situazione schizzata da Devoto in questi termini:

Particolarista infine deve essere stata nell’alto medio evo anche Bologna, in-termedia fra gli sbocchi padani delle vie romee (Fidenza e Rimini). (P., p. 32)28

Poiché il meridionale mucciare, con il sardo accua, significa ‘nascondere’, ap-pare chiaro perché mai nelle aree dialettali particolari si è affermato nascondersi e non rimpiattino: nella lingua parlata si resta, almeno per quel che concerne il senso, legati al dialetto, in quanto per questo concetto l’uso letterario o scritto in genere

28 Vedi anche bussare p. 137.

144

può influenzare la coscienza linguistica solo molto debolmente, e il verbo rimpiat-tare dovrebbe essere ignoto fuori della Toscana (vedi sotto, e). Addirittura, persino SI 1, oscillante chiaramente tra il troppo locale ringuattino e i vicini rimpiatterello o nascondino, cerca rifugio in nascondersi.

Queste soluzioni del parlato nel conflitto tra uso letterario e dialettale non devono sorprendere. In altre lingue addirittura (o per lo meno) la regola per lo scritto sembra essere che la denominazione del gioco è del tutto legata all’uni-versalmente noto verbo del nascondere. Così il portoghese “as escondidas”, lo spagnolo “al escondite” (“a parejas” citato a confronto corrisponde piuttosto al a ladri e carabinieri), il francese “à cache-cache”, il romancio “a zupper”, il romeno “davatascunsele”, il tedesco “Versteck/Verstecken spielen”. Grazie a questa tra-sparenza semantica, grazie al radicamento nel verbo corrispondente, le espressioni letterarie delle lingue citate dovrebbero caratterizzare in gran parte anche la lingua parlata. In italiano, invece, l’abisso profondo tra lingua scritta e parlata indica una posizione del tutto speciale della prima. La geolinguistica permette di constatare con sorpresa che rimpiattino è attestato come popolare solo nel 1903 per Pistoia, che qui dunque per la lingua scritta la base dialettale è ancora più esile di quanto non lo fosse per il noto caso di Ognissanti, dove per lo meno Firenze rappresenta il tipo letterario. Il puro e semplice punto di vista sincronico richiede qui con ogni evidenza il completamento storico.

e. Analisi diacronicaPer chiarire il caso di rimpiattino, dobbiamo cercare di mettere in luce il suc-

cedersi delle stratificazioni geologiche delle diverse denominazioni in particolare per la Toscana. Poiché i nomi del gioco compaiono nella letteratura solo raramente e tardi, ci appoggiamo dapprima sui verbi che stanno alla base dei tipi principali.

Con riferimento al latino e alle lingue sorelle come pure alle attestazioni italia-ne, non può esistere dubbio che nascondere rappresenti in tutta Italia lo strato più antico. Per un concetto spesso marcato sentimentalmente sono accolte spesso e volentieri parole nuove, non usate, come denominazioni più forti. Così s’accompa-gnava a nascondere un mucciare, secondo il DEI «voce d’area lomb.-alpina (ed enga-dina), umbro-romanesca, scomparsa nel toscano, ma viva nel sic. e calabr. ... afr. soi mucier – gallo-latino». Nella letteratura la parola è attestata in Jacopone, Cavalca (-1342 FI), Dante, Boccaccio. Non ci interessa conoscerne l’età esatta, come pure non conta la domanda se la parola sia stata un tempo davvero popolare nel toscano, perché questi aspetti non incidono sulla questione che stiamo esaminando.

Un’età simile, se non addirittura più elevata in Italia, dovrebbe avere l’espli-citamente metaforico inguattare (DEI: incoactare ‘accovacciarsi’, cfr. quatto). Se-condo la fonte citata è effettivamente attestato solo nel XIX secolo, ma l’area ge-ografica ivi indicata (Venezie, Toscana merid., Lazio settentr., Calabria, Sicilia) fa supporre un’epoca assai più remota.

145

La famiglia di piatto “appiattato, nascosto”, un’ulteriore integrazione molto espressiva di nascondere, è certamente da considerare come il tipo più recente. L’aggettivo verbale si trova nel Novellino del Duecento, poi in testi lucchesi e pi-stoiesi del Trecento; Pulci usa piattare nel Quattrocento, Firenzuola (1543), pure fiorentino, rimpiattare; appiattare è forse la voce più antica della famiglia, perché l’usa già Dante, e i dizionari la riportano a lungo più frequentemente di rimpiatta-re. In ogni caso i rilevamenti dell’atlante (AIS 900), come pure le attestazioni lette-rarie, mostrano che da un lato rimpiattare è, da sempre o da lungo tempo, limitato all’area Toscana – Elba – Corsica, dall’altro però che era abituale anche a Firenze.

E dunque possiamo rispondere senza difficoltà alla nostra domanda. La lingua scritta ha ripreso come nome del gioco a rimpiattino, perché a Firenze, Pistoia, Lucca e Pisa esso era voce derivata da ‘nascondere’. Nel resto d’Italia questa deno-minazione mancava invece di un riferimento verbale e quindi non ha potuto sino ad oggi diventare popolare. Non solo, a Firenze a suo tempo la parola è stata di nuovo sostituita da un discendente di nascondere, e con ogni probabilità di origi-ne aretino-umbra (ma con il tipico suffisso toscano settentr. -ino), perché la vici-na città sud-orientale di Firenze dice addirittura niscosto invece di rimpiattato. In questo modo il termine letterario non viene più nutrito nemmeno dalla sua fonte originaria, e perciò nella lingua scritta in futuro dovrebbe arretrare di fronte a na-scondersi, anche se i vocabolari non ne vogliono quasi nemmeno sapere di questa denominazione.

Al contrario, i miei elenchi segnalano a nascondino, sia nella lingua scritta sia in quella parlata di diverse località quale concorrente di nascondersi. Non si presenta qui una possibilità per Firenze di confermare o riconquistare la sua posizione di capitale linguistica? Se i vocabolari e i manuali scolastici diffondessero, invece del-la forma letteraria rimpiattino, ormai quasi senza radici semantiche e geografiche, l’innovazione aretino-fiorentina nascondino, questa avrebbe grandi probabilità di diventare la parola nazionale unitaria. Sfrutterebbe infatti, oltre all’appartenenza alla famiglia lessicale panitaliana, il vantaggio morfologico rappresentato dalla for-za particolare del suffisso toscano e della lingua scritta. In questo caso linguisti e pedagoghi riprenderebbero a buon diritto e con successo il programma linguistico manzoniano.

205. MARINARE LA SCUOLA

a. Lingua parlata

a.1 Inchiesta. Chiesto ovunque: marinare la sc., salare la sc., far schiesa, f. fuga-rola, f. forca, bucare, bruciare la sc., salinare la sc., segare la lezione, f. sega a sc., f. filone, f. campagnola, f. Sicilia

146

marinare la scuola salare la scuola chiesto ovunqueFIU 1 b (it.)

FIU 2TS 1-2UD 1 a

UD 2 marinare l.s.VE 1 m. l. s., gli studiVE 2VE 3 b (it.)VE 4 b bruciare l. s.: cPD 1 bruciare -PD 2 (lett.) bruciare l. s.VR 1 bVR 2-3TN a + a +BZ 1 marinare l.s.BZ 2 b (it.)MN (raro) segare la lezioneCR marinare l. s.BS 1 a + ( it.) bruciare l. s.

(pop.)BS 2 b (it.) aBG 1 marinare l. s.BG 2 (lett.)BG 3 (it.)CO 1 marinare l. s.CO 2LUG 1 (it.)LUG 2 aBEL 1-2LOC 1-2MI 1 b (it.)MI 2 marinare l. s.MI 3 bMI 4MI 5 b (it.) b +PV 1 bPV 2 a + a +

147

altre (* = non chiesto)FIU 1 andare a Occulizze

(stud): aFIU 2 “ “ “TS 1-2 far scapolaUD 1 - andare a perdere

(raro)UD 2 - -VE 1 * *VE 2 far la manca *VE 3 a *VE 4 a *PD 1 * *PD 2 - *VR 1 far berna *VR 2-3 far berna *TN - (far blaum: no)BZ 1 - *BZ 2 - far blaum (fam.)MN * *CR - *BS 1 - *

BS 2 - (bigiare: no)BG 1 impicc. L. s.: (dial.) *BG 2 * bigiareBG 3 impiccare -CO 1 * *CO 2 * bigiareLUG 1 - bigiare (stud.)LUG 2 * bigiare (stud.)BEL 1-2 * bigiare (fam., scherz.)LOC 1-2 * bigiareMI 1 * a (giov.)MI 2 * *MI 3 * aMI 4 - bigiareMI 5 (scapolare: ric.) a (fam., pop.)PV 1 scapolare (stud.) -PV 2 b a + (stud.) tagliare la corda

148

TO 1 b far schissaTO 2 bTO 3 b (it.) a bucareTO 4TO 5 a + a + a +AL 1 marinare l. s.AL 2 a bAL 3 b

GE 1GE 2-3 marinare l. s.GE 4 a +SPPR a + ( it.)RE 1RE 2 (it.)RE 3 aMO marinare l. s.BO 1 bBO 2BO 3 (it.)BO 4 bFE bRA 1 (it.)RA 2 b + bruciare l. s.: b +FO a + a + far forca: a +FI 1 far forcaFI 2 b aFI 3-5 b aLU b + a bucare b+PI 1 b + b + bucare l.s.PI 2 b aSI 2 (lett.) b + b +AR 1 (raro) (raro) (raro)AR 2pAN b +AN 2AN 3 (it.)PG 1-2ORV f. sega

149

TO 1 * * *TO 2 * * tagliare (stud.)TO 3 * - (a BI)TO 4 * * tagliareTO 5 * * a +AL 1 * (f. fogone: no) -AL 2 * - -AL 3 f. (Carlo) Magno

(stud.)*

GE 1 f. scemi -GE 2-3 - *GE 4 - fuggire l. s. (pop.)SP inforcare l. s. -PR * f. fogone (stud.)RE 1 f. focaccia -RE 2 f. focaccia -RE 3 b -MO * *BO 1 * f. fughino (pop.)BO 2 f. fuoco f. fughinoBO 3 (ricerc.) f. fughinoBO 4 - aFE f. fuoco (f. fughino: no)RA 1 - - f. sbociaRA 2 - - aFO - a + -FI 1 - - *FI 2 - - *FI 3-5 * * *LU * * *PI 1 * *PI 2 * * *SI 2 f. salatini * *AR 1 - f. chiodo: a f. chiocchino: bAR 2 - * f. frustapAN * f. seghini f. fiascoAN 2 * f. seghino -AN 3 * f. seghini (stud.) -PG 1-2 f. salina -ORV - f. festa a s.: no)

150

RO 1 f. segaRO 2 a + a + a + f.forca: a+RO 3 far segaAQ 1 a + f.filoneAQ 2 b (lett.) (lett.)PE 1 b f.filonePE 2 (it.) b aCH f.filoneFG bBA 1 f.filoneBA 2 (it.)LE 1 b (it.)LE 2 (ricerc.) salare (le femmine

sempre!)

TA bMT b (it.) aNA 1 f.filoneNA 2 b aNA 3 f.filoneNA 4 (lett.) f.filoneSA 1 f.filoneSA 2 f.filoneCS b aCZ salare l. s.RC 1 (it.)RC 2ME 1 b f. campagnolaME 2 b + f. SiciliaME 3 f. campagnolaCT 1 marinare l. s.CT 2 a + a +pSR

PA 2 f. SiciliaCApCANU 1 b+NU 2SS 1SS 2 b

151

RO 1 * *

RO2 * *RO 3 * *AQ 1 - f. festa alla scuolaAQ 2 f. stampa (stud.) f. festaPE 1 * -PE 2 * *CH * *FG f. sale e pepe *BA 1 - *BA 2 f. ics (volante) f. leggeLE 1 nnargiare (giov.) *LE 2 nnargiare l. s. (i

maschi)TA scansare l. s.MT -NA 1 *NA 2 *NA 3 -NA 4 *SA 1 -SA 2 * (giocare l. s.: no)CS - *CZ - *RC 1 - giocare l. s. (pop.)RC 2 - giocare l. s.ME 1 caliare l. s, (pop.) *ME 2 - tagliar la corda: b +ME 3 - -CT 1 giov. *CT 2 (dial.) -pSR f. calia e semensa

(fam.)a +

PA 2 - -CA far vela -pCA far vela -NU 1 b + andar a feriaNU 2 b far feriaSS 1 - far feriaSS2 - far feria

152

b. Dialetto e altre attestazioni parlatefar scapola: TS 1889, scapolare: PV 1934, bruciare l. sc.: VE 1867, CR 1880,

BS 1817, LI (Panz.M.), mandar sul granèr del Papa la messa ecc.: VE 1867, far berna: VR 1900, impiccar sc.: BG 1873, bigiare: (CO 1845 ‘svignare’), MI 1839 e 97 e Panz.M., (tagliar la corda: PV 1934 ‘t.l.c., svignarsela’), scappare da sc.: Piem.1896, far schissa: Piem. 1896 e Panz.M., saoté la sc.: Piem. 1896, far chiodo: inf. Casal Monf., fuggire la sc.: GE 1910, far fogon: PR 1856, far fuga: MO 1893, far fughino: BO 1903, f. fughein: BO 1869, far fugarola: FE 1896 e Panz.M., far sbocia: Romagna (Panz.M.), marinare la sc.: Tosc. 1883, m. il Coro: PD 1796, far forca: FI (Panz.M), bucare: PI (ALEIC e Panz.M.), far i salatini: SI (Panz.M.), sali-nare la sc.: PG (Panz.M.), salare: RO-Marche 1768, far seghì: AN 3 e AN 1929 (+f. seghinata), far sega: dRO e RO 1945 (+ f. san sega) e Panz.M. (+ segare), far filone: NA (Panz.M.) (NA 1879: ‘fuggire per paura’), CZ 1897 (cit. Cal. 1932), nnargiare: dLE, far campagnola: ME (Panz.M.), far Sicilia: PA (Panz.M.), Sic. 1863 e 68, far luna: CA (Panz.M.), far vela: Sard. (Panz.M.), far feria: Sard. (Panz.M.)

c. Lingua scritta

c.1 Norma marinare salare bruciare o altri far forca1768 dial > RO-Marche f. un buco1796 dial > PD: scol.1817 dial > BS 37 Gr.Diz. ted. > 39 dial > MI MI (+inforcare) 55 Alb. franc. > franc.> segare franc. > + “ 56 dial > PR PR PR 58 Tomm.B. Tosc.: volg. Tosc.: Tosc. Tosc.: giov. volg. 63 dial > Sic. Sic. 67 dial > VE VE 68 dial > Sic. Sic. Sic. Sic. 69 dial > BO mancare alla sc. 73 dial > BG BG: inforcare 80 dial > CR 83 Tosc. scherz., stud. fam. Tosc. bucare giov. 87 Petr. Tosc. (2 es.) Tosc.(senza es.) Tosc. (1 es) più com. di bruciare 89 dial > TS TS: bucare 90 dial > FE FE FE 93 dial > MO MO MO MO 96 dial > Piem. Piem. Piem. Piem. 97 dial > MI MI MI

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1900 dial > VR 03 dial > BO BO f. fugarella 10 dial > GE 29 dial > AN 34 dial > PV 40 Pal. (NO) scuola > 45 dial > RO (Migl.?) RO (e Migl.?) 53 Capp.M. a b Lazz.N. ted. >

c.2 Altre attestazionimarinare Salvini ca. 1700 FI (T.B.), 1837 Gr.Diz.: volg.salare Gaudagnoli 1837 AR? (T.B.), Fusinate 1847 Veneto e Fanfani 1855

(Pr.), Viani 1858: familiare e vivacissimo.bruciare far forca: (1627 Cresp. SI: forca ‘fanciullo sviato’), G. A. Moniglia 1698

FI e Biscioni ‘700 FI (T.B.)bucare 1863 Crusca: modo basso.fuggire Caro ‘500 Marche (MI 1839), far festa: 1858 Tomm.B.

d. Analisi sincronicaLa lingua parlata in questo caso si appoggia assai poco alla norma della lingua

scritta, ma corrisponde in generale alla situazione dialettale. (A queste attestazioni sono state aggiunte, per completare il quadro, alcune altre espressioni chiaramente non del parlato che ho avuto modo di conoscere). Questo orientamento verso il “basso” non può in alcun modo sorprendere per un concetto poco compatibile con la letteratura e molto legato all’emotività giovanile. Sorprende di più invece la sovrabbondanza di denominazioni e la corrispondente frammentazione geogra-fica, che si manifesta in contrasto estremo rispetto a casi come zucca o servizio da tavola. In assoluto, la presente domanda ha prodotto la più ricca di tutte le serie di risposte. Ciò nasce in modo lampante da forti tradizioni locali e rivela come pro-prio il mondo scolastico e studentesco siano tenacemente fedeli a tale autonomia.

Sarebbe interessante sapere più esattamente se il nostro concetto si è mostrato in modo altrettanto ricco in altre lingue. In Francia – secondo la rielaborazione di Gottschalk dei dati di 16 scuole – accanto al canonico “faire l’école buissonnière” il più gettonato è “sécher la classe”; a Aix anche “faire péter le bahut, plaquer une classe”, a Marsiglia probabilmente “tailler le collège”, a Ginevra “gatter” e “faire des gattes”, a Vaud “courber une leçon”, a Neuchâtel “biffer”, a Friburgo “schwänzer”, a Liegi “faire barrette”. La lingua scritta catalana ha “fer campana” (anche dial.) e “fer rodo”; lo spagnolo “hacer novillos/corrales/rabona e faltar a la escuela”; il portoghese “fazer parede” e “gazear”; il romancio “mancantar” e simili; il romeno “a trage a fit”; l’inglese “to miss” e “to shrink”; il tedesco (die Schule) “schwänzen”, “hinter/neben die Schule gehen”. Gottschalk riporta inoltre

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dall‘ambiente scolastico “blau machen, sich drücken”, come pure, citati da stu-denti renani: “blauen Montag machen, kneifen, Mathematikfieber haben, Arbeits-fieber haben, krank sein, Platte machen, luppen, mopsen, verbremsen”.

Se si pon mente a come limitate siano le fonti della “lingua della scuola france-se”, si può supporre che un’inchiesta più puntuale nelle lingue vicine rivelerebbe una molteplicità simile a quella dell’italiano. Tuttavia, poiché talune delle denomi-nazioni elencate del francese e soprattutto del tedesco fanno pensare più a parole di moda che a veri e propri regionalismi solidamente radicati, l’italiano sembra essere per ora comunque più ricco di espressioni del nostro concetto. In ogni caso si mette in risalto per la forza dei concetti di base. Qualora si trattasse di immagini autentiche, appare particolarmente colorito il romagnolo far sboccia (bevuta tra amici) e molto poetico il sardo far vela. Suona insolito far Sicilia. Nel suo Saggio di etimologia siciliana, Palermo 1889, Gioeni scrive al proposito:

Se qui non v’è qualche metafora a me ignota, allora sicilia potrebbe essere un qui pro quo con lo spagnolo casillo (sesiglio), diminutivo volg. di cese (masch.) ‘cessazione, interruzione’.

L’etimologia interessa i miei obiettivi solo in quanto può rivelare nessi di ca-rattere storico-culturale. L’origine spagnola conferirebbe all’espressione un’età di almeno 250 anni. A parte il termine francese citato in Piemonte, quello croato a Fiume e il tedesco “Blauen machen” a Bolzano, non vedo – comunque senza inda-gini approfondite – influssi stranieri, bensì solo produzioni italiane. Anche il con-fronto delle diverse lingue scritte mostra infatti come i singoli popoli esprimano il concetto in modo autonomo. Naturalmente è comunque presente dappertutto, in qualche modo, l’idea di liberazione o fuga o rivolta, in Italia dunque ‘tagliare’, ‘an-darsene’, ‘fregare’29 ma anche ‘mettere sotto sale’ ecc. D’altronde il siciliano calia e semensa significa ‘ceci e semi di zucche arrostiti’.

Questa varietà di denominazioni di uno stato di cose di per sé uniforme e l’apparente maggiore ricchezza rispetto alle altre lingue rispecchiano una maggiore fantasia degli italiani? Si è per lo meno tentati di pensare a un rapporto emotivo particolarmente intenso della gioventù italiana con la scuola. Apparentemente in nessun’altra lingua si procede nei confronti di questa istituzione derelitta addirit-tura castigandola. Per capire correttamente questa dimensione psicologica della questione, non bastano i miei contatti con scolari e studenti italiani: citerò tuttavia una tra le numerose vivaci osservazioni udite all’università di Pisa: «Gli studenti fregano i professori alle lezioni (appunto marinando) e i professori ci fregano agli esami».

Riepiloghiamo ora la distribuzione geografica almeno delle espressioni non locali:

29 In Emilia andarsene e fregare sembrano coincidere.

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- Marinare è il più frequente, tuttavia in modo chiaro, grazie alla lingua scritta, perché manca almeno oggi una base popolare.

- Anche salare, per numero di occorrenze al secondo posto, è favorito dall’uso letterario, è tuttavia radicato in derivazioni a Siena, Perugia, eventualmente a Foggia.

- Far filone domina nel Mezzogiorno, vale a dire di nuovo il Regno di Napoli, esclusa la Sicilia.

- Della famiglia emiliana, eventualmente anche genovese, fughino-fuoco s’è già detto.

- Bruciare ricorre a Venezia, Padova, Brescia, Cremona come pure a Livorno.- Bigiare in Ticino, Como, Milano e Pavia; tagliare in Piemonte, Pavia e Sicilia;

far sega e simili nei territori dello Stato della Chiesa, con propaggine a Pesca-ra; far scappola e simili a Trieste, Milano e Pavia; giocare in Piemonte e Reggio Calabria; calia(re) in Sicilia; far Sicilia ibidem; bucare a Lucca e Pisa; far forca a Firenze e eventualmente Forlì; far feria nel nord della Sardegna.

La valutazione di questa situazione geografica va messa in relazione con la:

e. Analisi diacronicaSono già state nominate alcune unità territoriali, riprese tuttavia da un passato

certo non remoto. Perché, anche se ci moviamo prevalentemente sul terreno del dialetto, non ci si aspettano confini antichissimi come per il caso di zucca o nascon-dere. Le condizioni corrispondono piuttosto a quelle di abitazione e servizio da tavola, poiché il nostro concetto è connesso con la nascita dell’istruzione scolastica e perciò non poteva essere popolare prima del XIII-XVI secolo. Inoltre, poiché si tratta di una cosa riservata per lungo tempo ai membri delle classi alte, le deno-minazioni non devono tanto sottostare alle leggi di diffusione dei dialetti quanto piuttosto alle tendenze più discontinue e/o più difficilmente comprensibili della lingua parlata. Perciò non oso ipotizzare, sulla base della notevole dispersione di tagliare o giocare, un antico strato panitaliano, o per scapolare uno norditaliano. Simili concordanze possono risalire alla creazione spontanea della stessa immagine in parecchie località, o a un modello letterario o a un altro influsso culturale.

In questo contesto, e in genere per tutta la storia del nostro concetto, penso in primo luogo alle università. Oggi il ‘marinare’ rimanda effettivamente piuttosto alla scuola di livello inferiore; ma nel passato il peso maggiore dell’istruzione stava tuttavia molto più in alto, perché la scuola pubblica obbligatoria fu introdotta assai tardi, in certe parti d’Italia solo dopo il 1877, e la preparazione al livello superio-re avveniva spesso privatamente. Si dice anche molto spesso non marinare, salare la scuola ma la lezione (cfr. anche le altre lingue). Per l’allineamento della scuola sull’università disponiamo di ulteriori attestazioni lessicali: con studenti si intendo-no anche i liceali, con professori tutti gli insegnanti a partire dalle medie inferiori, con docenti spesso anche i maestri elementari. Completa il quadro la constatazione che la ricerca scientifica nelle università è meno praticata che al Nord, cosicché, a

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parte appunto la libertà accademica, in realtà non ci sono differenze di peso rispet-to all’attività scolastica liceale. Suppongo quindi che, per la nascita e la diffusione delle diverse denominazioni del ‘marinare’, il merito e/o il demerito principale sia degli studenti universitari.

Ci siamo chiesti dove mai abbia origine la pluralità delle espressioni italiane. In primo luogo certamente nello straordinario particolarismo linguistico che, a sua volta, ha le radici nella frammentazione politica. Tuttavia il tedesco, malgrado condizioni analoghe, non conosce apparentemente una proliferazione onomasio-logica paragonabile. Questa diversità non è forse da mettere in relazione con la nascita precoce e la forte crescita del sistema universitario in Italia rispetto agli altri paesi? Secondo l’Enciclopedia, in parte per la situazione politica evocata sopra, ma soprattutto come conseguenza dello sviluppo economico: nel XIV secolo le università erano già 13 e 18 nel 1568.

Per la diffusione e/o limitazione di un tipo lessicale, le frontiere politiche han-no naturalmente un peso notevole: così il napoletano o salernitano far filone si estende oltre il territorio massimo di tutte le denominazioni, ma non comprende, a differenza per esempio di quarto-quartino, la Sicilia perché a Messina, Palermo e più tardi anche a Catania c’era l’università. Tra questi due campi di forza, Reg-gio conserva la sua propria parola, mentre a Bari, sede universiaria più recente, troviamo invece far filone. Anche nel Nord del Regno appare evidente il ruolo di un centro culturale vicino, cioè Roma, rispetto a quello di uno discosto, Napoli: sia nella neutralizzazione, all’Aquila, sia nel superamento della frontiera politica, a Pescara, anche se forse solo dopo il 1870. Da parte sua far sega è attecchito in Ancona ma non a Perugia, città universitaria. Allo stesso modo sembra risolversi l’enigma di perché il fiorentino far forca rimanga quasi isolato, malgrado l’attesta-zione relativamente antica e il forte sostegno della lingua scritta: dal 1472 al 1923 la capitale toscana non ha avuto un’università. O dobbiamo accettare, partendo dalle indicazioni di FO e PD 1796, una ulteriore diffusione antica del tipo? Anche per bruciare balza all’occhio una affinità tra Veneto e Toscana (Livorno e Tomm.B. ecc.). Poiché però l’area settentrionale comprende le città di Cremona e Brescia, mi sembra che il focolaio di bruciare debba stare nella loro vicinanza, vale a dire nell’università di Padova frequentata anche dalla Toscana. Seguendo questo per-corso può essere diventato il termine scritto più antico, se l’età risulta sufficiente-mente convincente dall’attestazione più remota e rappresenta, in Tomm.B. e anche Rig.F., la più oggettiva delle denominazioni toscane. Attribuirei il secondo posto nella cronologia a marinare, pur tenendo presenti le altre attestazioni e norme, ma con le stesse riserve. A suo tempo, consunto nella sua carica affettiva, sarebbe stato sostituito a Siena e in Umbria (cfr. 1768) dal sinonimo salare e a Firenze da far forca. Evidentemente il centro di diffusione per l’Emilia è Bologna, la cui università avrebbe agito oltre il confine politico verso occidente, mentre il suo far fuoco, presso gli informatori di Ravenna con il vocabolo padovano, viene dopo un termine locale.

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Per bigiare la mia teoria della cristallizzazione funziona solo a metà, perché Milano ha l’università solo a partire dal 1923, pur avendo avuto precedentemente istituzioni di pari livello. Non è mia intenzione supporre che il suo vocabolo sia pe-netrato in Ticino dal seminario Collegio Elvetico; la sua origine può essere cercata nella città universitaria di Pavia o più semplicemente nel dialetto milanese e nel suo influsso sul lombardo comune. In linea di massima si può tuttavia ritenere che per concetti come ‘marinare’ la mobilità studentesca abbia interferito nelle restanti condizioni geografiche e storiche.

237. AUTISTA

a. Lingua parlata

a.1 Inchiesta: autista, chauffeur(Sin dall’inizio non s’è posta la domanda su un’eventuale concreta differenza

tra le due denominazioni; si è invece chiesta la pronuncia di chauffeur. L’accenta-zione non è stata chiara dappertutto, ma in questi casi l’accento tende a cadere sull’ultima sillaba. Non ho considerato il carattere del fonema [f]. La [ö] è molto vicina alla [è] se non identica! La parola in corsivo è quella di volta in volta più importante).

autista pubbl. distinzione autista privato pronuncia o in ditta non domand. FIU 1 aut., chauf. aut., chauf. sciofförFIU 2 chauf. chauf. “TS 1 aut., chauf. (franc.)TS 2 aut., chauf. aut., chauf.UD 1 aut. (chauf.) aut., chauf. saffèrUD 2 aut. aut., chauf. (franc.)VE 1 aut., chauf.VE 2 aut. chauf. saffèrVE 3 aut. aut., chauf.VE 4 aut., (chauf.) aut., chauf. scioffèrPD 1 aut., (chauf.) chauf. “PD 2 aut., chauf. aut., chauf. (franc.)VR 1 aut. aut., chauf. sciaffur (ricerc.) VR 2 aut., aut., (chauf.) (chauf.)VR 3 aut., aut., (chauf. (chauf. ricerc.) ricerc.)

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TN aut., conduc., aut., chauf. sciaffèr camionistaBZ 1 aut. aut.BZ 2 camionista aut. (ditta) MN aut.CR aut. chauf. sciafförBS 1 aut., (chauf.) aut., (chauf.)BS 2 aut., aut., (chauf.: scefför (chauf.: ant.) ant.)BG 1 aut.BG 2 aut. (div. modi)BG 3 aut. (chauf.: ant.)CO 1 aut., chauf. sciofförCO 2 aut. chauf. scefförLUG 1 aut., chauf. aut., chauf. (franc.)LUG 2 aut. chauf. sciofförBEL 1-2 chauf.LOC 1 aut. chauf.LOC 2 (aut.: lett.), (aut.: lett.), sciofför chauf. chauf. MI 1 aut., chauf. sciafförMI 2 aut., chauf. sciafförMI 3 aut. chauf. (franc.)MI 4 aut., chauf. aut., chauf.MI 5 aut., conduc., aut., chauf. scioffèr guidatorePV 1 aut. aut., chauf. sciafförPV 2 aut., chauf. aut., chauf. sciafförTO 1 aut., chauf.TO 2 aut. chauf. sofförTO 3 aut., chauf. aut., chauf. sciafförTO 4 aut. aut., chauf. sciafförTO 5 aut., chauf. aut., chauf. sciafförAL 1 aut., aut., (chauf.: ant.) (chauf.: ant.)AL 2 aut., chauf., aut., chauf. sciafföre guidatoreAL 3 aut. chauf. sofferGE 1 aut. chauf. sciafför

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GE 2 aut. chauf.GE 3 aut. aut., chauf.GE 4 aut., chauf. aut., chauf. sciafförSP aut., aut., (ch.: ant.) sciaffèr (chauf.: ant.)PR (aut.), aut. (franc.) chauf. (tassì)RE 1 aut., chauf.RE 2 aut. aut., chauf. sciafförRE 3 aut., chauf. aut., chauf. sciafförMO aut., (ch.: ant.) sefurBO 1 aut., (ch.: ant., snob)BO 2 aut., (chauf.: aut., (ch.: ant.) ant.)BO 3 chauf. (tassì) aut., chauf. sceffurBO 4 aut., chauf. aut., chauf. seffurFE aut., chauf. aut., chauf. sceffèrRA 1-2 aut., (chauf.: aut., (ch.: dial.) dial,)FO aut., chauf. aut., chauf. scioffèrFI 1 aut., chauf. aut., chauf. FI 2 aut., (ch.: aut., (chauf.: ant.) ant.), tassistaFI 3 aut., chauf. aut., chauf. sciaffèrFI 4 aut., chauf. aut., chauf.FI 5 aut., chauf. aut., chauf. scioffè(r)LU aut., chauf. aut., chauf. sciafförPI 1 (aut.: filobus), chauf. sciaffèr chauf.PI 2 aut., chauf. chauf.SI 1 aut., chauf. aut., chauf. scioffèrSI 2 aut., chauf. aut., chauf.AR 1 aut., chauf. aut., chauf. scioffèrAR 2 aut. aut.pAN aut., (ch.: ant.) aut., (ch.: ant.)AN 2 aut. aut., chauf.AN 3 aut., chauf. aut., chauf. cioffèrPG1 aut. aut.PG 2 aut., chauf.: aut., chauf.: scioffèr pop. pop ORV aut., (ch.: ant.) aut., (ch.: ant.) scioffèr

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RO 1 autistaRO 2 autista, chauf.RO 3 aut., chauf. aut. scioffèrAQ 1 aut. aut.AQ 2 aut., chauf. aut., chauf. scioffèrPE 1 aut. aut.PE 2 aut., (ch.: ant.) aut., (ch.: ant.)CH aut. aut.FG aut., chauf. aut., chauf. scioffèr (pop.) (pop.)BA 1 aut., chauf. aut., chauf. scioffèr (ant.) (ant.)BA 2 aut., chauf. aut., chauf. cioffèrLE 1 aut., chauf. aut., chauf.LE 2 aut., chauf. aut., chauf. scioffèr (ant.) (ant.)TA aut., chauf. aut., chauf.MT aut., chauf. aut., chauf. scioffèrNA 1 aut. chauf.NA 2 aut., chauf. sciaffèrNA 3 aut. chauf. scioffèrNA 4 aut., chauf. aut., chauf. sciaffèrSA 1 aut., chauf. aut., chauf. (franc.)SA 2 aut., (ch.: ant.) aut., (ch.: ant.) sciaffèrCS aut., (ch.: dial.) aut., (ch.: dial.) sciafferroCZ chauf. chauf. sciafferreRC 1 aut., (ch.: ant.) aut., (ch.: ant.)RC 2 aut., chauf. aut., chauf.ME 1 aut., (chauf.) aut., (chauf.)ME 2 aut. aut. sciafferriME 3 aut., (ch.: ant.) aut., (ch.: ant.) scioffèrCT 1 aut., chauf. scioffèrCT 2 aut., chauf. aut., chauf. sciaffèr, sciaffur (pop)pSR aut. aut., chauf. sciffèrPA 2 aut. aut.CA aut., chauf. aut., chauf. sciafferrupCA aut. aut.NU 1 aut. aut.NU 2 aut., (chauf.) aut., (chauf.)SS 1 aut., (ch.: ricerc.) aut., (ch.: ricerc.)SS 2 aut., (ch.: ant.) aut., (ch.: ant.) sciaffèr

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a.2 Testi moderniautista Quarantotti, TS; 2 volte; Pavese, TO 2 vv. (in ditta); Scotellaro, pMT,

2 vv. (in ditta)chauffeur Pratolini I, 3 vv. (l’azione si svolge negli anni Venti!)

a.3 Altre attestazioni‘aut. privato’: Tosc. 1910 1. chauffeur, 2. meccanico

b. Dialettochauffeur: Ven. sofèr, safèr (Migl.S.), AL soför (FEW), GE sciaffeur (FEW),

RA 1-2, tosc. scioffè, sciaffè (Migl.S.), PI 1939 id., còrso scioffore (Migl.S.), AN 1929 sciafore, AN 3 scioffèr, RO = tosc. (Migl.S.), dRO scioffè, dLE sciofferre, sciafferre, cal. sciafferre (Migl.S.)

c. Lingua scrittachauffeur Panz. 1905 (Prati E.)autista 16.1.1932 Comunicato dedlla “Confederazione nazionale dei sin-

dacati fascisti dei trasporti” (Migl.S), 1940 Pal., 1943 Migl.E., 1953 Capp.M., 1954 Lazz.N.

d. Analisi diacronica e sincronicaPoiché le denominazioni italiane del concetto risalgono tutte al XX secolo,

non ha gran senso insistere su una netta distinzione delle due prospettive di analisi.Dopo la comparsa dell’automobile in Italia, ai tre diversi livelli linguistici do-

minò dapprima il francese chauffeur. Per quanto concerne la sua pronuncia i miei dati sono piuttosto sommari. In particolare nelle risposte per corrispondenza o perché mi sono accorto troppo tardi che “alla francese” è informazione ambigua per una lingua che conosce solo parzialmente il fonema [ö]. (Il fatto risulta eviden-tissimo in AL 3, che in risposta alla domanda: “pronunciato?” scrive: “abbastanza bene, sofèr”). Essendo la mia attenzione nell’intervista troppo centrata sulla com-ponente lessicologica, dunque sull’importanza stilistica e sulle eventuali differen-ziazioni onomasiologiche, non ho potuto essere attento in maniera rigorosa alle finezze fonetiche, così come farebbe un ricercatore dialettale. Malgrado ciò, anche queste annotazioni imprecise gettano un po’ di luce sulla pronuncia diversificata geograficamente e l’adattamento a una parola francese.

Una [ö] compare nei sistemi fonetici della maggior parte dei dialetti dell’Italia settentrionale; di conseguenza anche nella nostra parola troviamo -ör fino a Reggio e Lucca. Quale sostituto compare di solito è, raramente u (VR, Emilia, Sicilia); non ho mai trovato o, fonema prossimo alla ö, e proprio, oggi o in passato, dei dialetti della Corsica e di Ancona.

Nemmeno la finale consonantica e tuttavia accentata della parola francese di-sturba le abitudini fonetiche settentrionali; il fatto che questo tratto fonetico si

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conservi fino nel profondo Sud mostra che la lingua parlata può completamente senz’altro deviare per considerazioni culturali sia dal sistema dialettale sia da quel-lo standard. Sulla base delle mie informazioni comunque parziali, l’adattamento si manifesta solo raramente con lo spostamento avanti dell’accento, e con l’aggiunta di una vocale finale solo a partire dalla Calabria. Del resto, secondo Kretschmer anche nella lingua parlata tedesca ci sono gradazioni regionali nella pronuncia di forestierismi, per esempio il viennese Portir invece di Portié.

Dal punto di vista lessicologico è interessante in questo come nel prossimo concetto la dimensione politico-statale. Il vecchio purismo ha trovato nuovo slan-cio nelle tendenze autarchiche del fascismo, cosicché per eliminare i forestierismi sono stati coniati molti vocaboli sostitutivi, diffusi in bollettini speciali dell’Acca-demia d’Italia. La loro parola chiave ricorda il programma manzoniano di “risciac-quare i panni in Arno”, da aggiornare con “in Tevere”. Lo Stato promosse le nuove denominazioni mettendo al bando le voci concorrenti straniere in tutte le istitu-zioni e tassando le insegne commerciali e simili. Mentre in alcuni casi queste di-sposizioni furono annullate, ad esempio per bar, per circa vent’anni ci fu un’aspra guerra contro hotel, garage, chauffeur ecc., massicciamente sostenuta dalle “contro sanzioni”, la risposta italiana alle sanzioni, decise dalla Società delle Nazioni dopo l’aggressione all’Abissinia; ma naturalmente anche sulla base della crescente ostili-tà contro Francia e Gran Bretagna, le fonti prime degli esostismi, come pure grazie all’amicizia e alleanza bellica con la Germania linguisticamente altrettanto purista. Questa emotività nei confronti dei forestierismi, concepita e promossa con tutti i mezzi a disposizione di uno Stato totalitario, rende difficile ancora oggi coglierne l’effettiva diffusione (cfr. pp. 87-88): per motivi linguistici e altri sotterranei di na-tura politico-educativa, un informatore viene fortemente tentato, forse soprattutto nei confronti di uno straniero, di descrivere la realtà linguistica secondo una sua colorazione idealizzata. Perciò i dati dell’inchiesta a favore di chauffeur rimangono piuttosto indietro rispetto alla realtà effettiva.

Su chauffeur Migliorini scrive nei suoi Saggi (1941):

Forestierismo non assimilato e non assimilabile: vi immaginate uno scioffore? Poi, perché privo di una sua famiglia...

e su autista:

Oggi nell’uso scritto non ha più, si può dire, rivali, e nell’uso orale va costan-temente progredendo sugli adattamenti popolari di chauffeur. (p. 200 sgg.)

Questo giudizio è nell’insieme confermato dall’inchiesta: chauffeur perde im-portanza dietro autista, soprattutto tra le nuove generazioni. Come spiegato nella citazione, si tratta per la seconda parola di un neologismo particolarmente ben riuscito, che si addice al vocabolario italiano molto meglio di chauffeur, isolato

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non solo semanticamente ma anche foneticamente oscillante secondo i dialetti e il livello culturale. Ma chauffeur non appare tuttavia fortemente svalutato come ci si aspetterebbe sulla base dei dizionari. Se la mia formulazione della domanda non è stata fuorviante, la parola sembra aver trovato un rifugio nell’ambito ristretto degli autisti privati e perciò suona talvolta snob anche nel significato più generale. D’altronde, anche accanto a autista sono a disposizione, nel settore principale di dipendente di una ditta o di conducente di un mezzo di trasporto pubblico, altri termini: camionista, tassista e conducente, di modo che non sono da escludere ulteriori differenziazioni. In un’epoca culturalmente molto pluralista e a un livello linguisticamente alquanto elevato, è rara la sostituzione pura e semplice di due denominazioni; piuttosto i sinonimi vengono sfruttati per affinamenti onomasio-logici.

Anche dal punto di vista geografico il successo di autista non è del tutto com-pleto. Come conferma Devoto R. la parola è nata a Roma e da qui si è diffusa. Prevale dunque chiaramente più ci si trova vicini alla capitale. Al contrario, chauf-feur continua a vivere molto vigoroso in aree periferiche come la Calabria, Istria, Milano – Bellinzona e Piemonte. Nel Nord più della posizione periferica può avere un ruolo importante il contatto con l’uso linguistico francese e tedesco. Nella Sviz-zera italiana si nota anche una certa resistenza contro un purismo politicamente sospetto, almeno nei casi come chauffeur in cui balza meno all’occhio il pericolo della germanizzazione culturale. Tipico per l’origine cronologica e i retroscena di autista, è che gli informatori di Bolzano indicano solo questa denominazione.

Riassumendo, possiamo concludere che, anche per concetti assai recenti, ci sono in certa misura regionalismi, non solo per denominazioni che, in corrispon-denza con la cosa, risalgono a antichissime basi dialettali.

239. AUTORIMESSA

a. Lingua parlata

a.1 Inchiesta(Differenza quando è privata e quando pubblica?)

pubblica (senza distinzione) privataFIU 1-2 garageTS 1 autorim., garage garageTS 2 autorim., garage garageUD 1 autorim., garage garageUD 2 garageVE 1 garage (= 1) (non ce ne sono!)VE 2 garageVE 3 autorim., garage (= 1) “

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VE 4 autorim. (it.) garage garagePD 1 autorim., garage garagePD 2 autorim., garage, garage, *rimessa *rimessaVR 1 autorim., garage garageVR 2 (“ = it., lett.) garageVR 3 (= targa) garageTN autorim., garage garage, autorim.BZ 1-2 garageMN autorim. garageCR autorim., garage garageBS 1 autorim., garageBS 2 garage autorim.BG 1 autorim., (= insegna)BG 2 autorim. garage garageBG 3 autorim., garage (spec. scritto)CO 1 autorim., garage garageCO 2 garageLUG 1 *rimessa, garageLUG 2 autorim., garage (fam.) garageBEL 1-2 garageLOC 1-2 garageMI 1 autorim., garageMI 2 garageMI 3 autorim., garage garage, autorim.MI 4 autorim., garage garageMI 5 autorim., garage (*rimessa ant.) garagePV 1-2 autorim., garage garageTO 1 autorim., garageTO 2 garageTO 3 autorim. garageTO 4 (autor.: raro) garageTO 5 autorim., garageAL 1 autorim., garageAL 2 autorim., garageAL 3 autorim., garage garage, autorim.GE 1-2 autorim. garageGE 3-4 garageSP garagePR garageRE 1 autorim. garage

165

RE 2-3 garageMO garage garage, autorim.BO 1 autorim., garageBO 2 garageBO 3 autorim., garage garageBO 4 autorim., garage garageFE garageRA 1-2 autorim., garage garageFO autorim., garage garageFI 1-4 autorim., garage garageFI 5 garageLU (scritto) garagePI 1-2 garageSI 1 garageSI 2 autorim., garage garageAR 1 autorim., garage garageAR 2 (= targa) garagepAN (= targa) garage garageAN 2 autorim., garageAN 3 garagePG 1 autorim., garage garagePG 2 autorim. garageORV garageRO 1 (scritto) garageRO 2 autorim., garage garageRO 3 autorim., garageAQ 1 scritto: autorim., garage: parlatoAQ 2 autorim., garage garage, autorim.PE 1-2 autorim. garageCH garageFG garageBA 1 garageBA 2 autorim., garage garageLE 1-2 garageTA garageMT autorim., garage garage * “autoservizio”, * “serv. auto”NA 1 (autor.: raro) garageNA 2 (scritto) garageNA 3 garage

166

NA 4 autorim., garageSA 1 garageSA 2 autor.=pop., garagio: it.CS autorim., garageCZ garageRC 1 autor.: it., garageRC 2 garageME 1 garageME 2 autorim., garage (pop.: garaci)ME 3 autorim. garageCT 1-2 autorim., garage garagepSR garagePA 2 autorim., garage garagepCA, CA garageNU 1-2 garageSS 1 autorim., garageSS 2 autorim., garage garage

c.2 Testi moderni

1. Film: solo garage. Sensualità, pTS 1 v., Don Camillo, pFE: 1 v., Onorevole, RO: 3 vv.

2. Piccola pubblicità pubblica privata autorim. garage (altri) autorim. garage (altri)MI 10 2 9 28 4 box, 1 autoboxTosc. 4 18 1 autostazione 1 88RO 13 13 1 rimessa per pullman 6 66NA 3 1 2 autostazione 1 21 30 34 17 203

3. ScrittoriPavese, a RO: rimessa (= pubblica). Pratolini, FI I e II ciascuno 1 v. garage

(l’azione si svolge negli anni Venti)

b. Dialettogarage: GE 1910, AN 1929 e AN 3, dRO per lo più privato, dLE.autorimessa: dRO: pubblica.

167

c. Lingua scrittagarage XIX sec., dal franc. garage, 1899 (DEI), Panz. 1905 ‘rimessa’ e Panz.,

AN 1929: it. dei malparlanti. 1918 ‘rimessa d’automobile’ (Prati E.), 1940 Pal. garagista, da g. voce brutta, da evitare; 1953 Capp. M.: voce franc., Autor. o rimessa.

autorimessa DEI: 1903. La voce ha largamente sostituito il francesismo gara-ge. AN 1929 dial. >, 1940 Pal.: neol., rimessa per automobili, 1955 Lazz.N. > ted. (ted. > rimessa).

d. Analisi diacronica e sincronicaAnche in questo caso ci sono differenze nella pronuncia del gallicismo, che

a Firenze per esempio suona come una parola italiana (PaMi). Autorimessa è più vecchio di autista, ma rientra nello stesso contesto politico. Per gli elementi squisi-tamente linguistici della guerra al forestierismo torno a citare Migliorini:

garage [...] è entrato in italiano come vocabolo isolato, cristallizzato: causa di debolezza che ha contribuito, insieme col suo aspetto forestiero, a metterlo in posizione d’inferiorità: il suo rivale autorimessa, dal 1923 a oggi, l’ha, se non eliminato, sostituito abbastanza largamente. (p. 202)

Qui però i miei rilevamenti corrispondono assai meno al giudizio degli ec-cellenti saggi, qualora si volesse comunque ammettere che il forestierismo abbia da allora riguadagnato terreno. In ogni caso non mi sembra molto convincente il modo con cui l’autore spiega la debolezza di garage nei confronti di autorimessa. Era certamente penetrato in Italia come termine isolato, ma poi ha trovato in gara-gista un appoggio importante, come conferma Menarini:

(garage) vive ancora qua e là in Italia, tanto più che in molti luoghi il suo deri-vato garagista, brutto ma utile, lo tiene legato a sé. (Da rimessa o autorimessa non si sono potuti formare sostantivi denominali soddisfacenti... noleggiato-re... assai usato, ma di significato più ristretto e speciale.) (1941, LN p. 115)

Anche l’aspetto forestiero30 è molto meno grave rispetto a chauffeur. Il plu-rale garagi, come per lo meno si sente a Firenze (PaMi), si inserisce persino per-fettamente nella morfologia italiana. (Per l’uso scritto l’incertezza garagi/garages dovrebbe avere un effetto inibitorio; certamente per questa ragione ho annotato leggendo le inserzioni per autorimessa: soprattutto al plurale).

Per questo concetto era prevista in tutte le schede dell’inchiesta la possibilità di una diversificazione concreta. Come si vede, il forestierismo è comunque soprat-tutto usato nella sfera privata, ma qui in modo del tutto prevalente. Anche come

30 In italiano nel testo.

168

denominazione di una ‘rimessa pubblica per automobili’, non è da meno rispetto a autorimessa e nei luoghi e/o con gli informatori che non fanno distinzioni, garage è anche più frequente.

Abbiamo già individuato due motivi che spiegano questa diversità rispetto a chauffeur: che garage sia una parola breve può avere una certa importanza in am-bienti fortemente commerciali, anche se autorimessa non è certo un mostro para-gonabile al tedesco “Kraftwagenschuppen”. (Al più succinto rimessa manca evi-dentemente la necessaria precisione per entrare con successo nella competizione) Inoltre, il riguardo per i sempre più numerosi automobilisti stranieri in circolazio-ne potrebbe contribuire a far conservare, se non addirittura a rafforzare di nuovo, la posizione di garage come termine settoriale.

Le aree geografiche particolarmente ben disposte verso i forestierismi sono le seguenti: Fiume, Como e Ticino (cfr. chauffeur; qui si aggiunge che nell’Annuario Auto-moto Ticino 1954 compare solo garage); poi però, al posto di Milano e del Piemonte, una buona parte della Toscana con Ancona, infine la maggioranza delle città meridionali e sarde. Persino Bolzano non usa autorimessa. Viceversa, questa parola non si trova sola in nessun luogo.

La statistica della piccola pubblicità conferma nelle cifre complessive la predo-minanza di garage. Nella designazione della cosa non privata il forestierismo pre-vale solo grazie alla Toscana; nelle altre città (a parte Napoli non sufficientemente considerata), cioè a Milano e Roma autorimessa si rivela di uso molto frequente. A quanto pare i garagisti inserzionisti rimangono qui più fedeli al termine, che, per esempio negli elenchi telefonici, risulta come unico nei titoli delle colonne e che di sicuro è sempre usato negli ordini dello stato o delle categorie professionali. Inve-ce i fiorentini preferiscono la lingua parlata allo stile ufficiale. Queste divergenze compaiono indirettamente anche nella colonna dei garage privati. Tuttavia non me la sentirei di trarre qui conclusioni geolinguistiche, se non si fosse evidenziata dalle inserzioni con comodità e/o comfort (per appartamenti, ecc.) una corrispondente posizione particolare di Milano. I dati ottenuti sono questi:

comodità comodo comfort -evole -atoMilano 40 31 fra cui 2Toscana 7 fra cui 1 224 fra cui 14 e 46!Roma 2 fra cui 1 94 fra cui 15Napoli 1 32 fra cui 8

Se si pensa inoltre a servizio da tavola e appartamento già discussi, come pure alla concentrazione di autocarro (al posto di camion) nel settentrione, scaturisce l’impressione, in ogni caso assai fragile, che Milano come principale centro eco-nomico del Paese (allo stesso modo Torino sostiene garage meno di chauffeur), fa propria e promuove, nello stile e per concetti del commercio, la tendenza della capitale a nazionalizzare e semplificare il lessico.

169

Per il nostro autorimessa è in ogni caso improbabile il successo di questi tenta-tivi o anche soltanto la vittoria del termine sostitutivo sul generalmente e facilmen-te accessibile garage. La glottotecnica31 neopurista dovrebbe quindi forse, invece di combattere il forestierismo, derivare dal plurale garagi, che suona del tutto re-golare, un garagio e cercare, agendo sul terreno dell’italianizzazione, di porre fine a una situazione fastidiosa.

31 In italiano nel testo.

171

d.

SinteSi

I. Nell’analisi dei singoli concetti ho cercato – o raccomando – di seguire le linee seguenti:

1. Per la spiegazione delle situazioni orali c’è da chiedersi:1.1 Le denominazioni della lingua parlata corrispondono maggiormente a

quelle dialettali o a quelle della lingua scritta?1.2 Su cosa si fonda la prossimità della lingua parlata con l’uno o l’altro livello?Nella cosa? per esempio popolare – frequente / elevato – raro?Nell’uso scritto e nella sua diversa frequenza? Importanza del concetto nella

scuola, nella corrispondenza privata, pubblicità, film, narrativa?Nel carattere stilistico del concetto? più o meno affettivo?1.3 Come e perché varia questa prossimità del dialetto o della lingua scritta tra

diverse regioni o città?Diverso peso del dialetto? Influsso diversamente significativo dei modelli to-

scani o invece di una precedente lingua standard regionale?

2. Come contributo alla storia della lingua scritta, eventualmente anche dei dialetti:

2.1. Nel passato: quali conclusioni si possono trarre dalla geolinguistica della lingua parlata su livelli precedenti della lingua standard, ed eventualmente dei dia-letti della Toscana o in altri spazi culturali?

2.2. Eventualmente per il presente: la glottotecnica dove ha motivo e/o pro-spettiva di successo, intervenendo nel conflitto tra sinonimi e soprattutto sui fore-stierismi e i neologismi?

2.3. In prospettiva futura: che specie di influssi sulla lingua scritta e i dialetti sono da aspettarsi partendo dalla lingua parlata, nei confronti di un certo quadro geolinguistico e semantico-stlistico?

II. Per l’analisi di molti concetti – il quadro d’insieme sommario offre per lo meno spunti per questo – è possibile elencare più o meno i punti di vista seguenti:

172

1. Raggruppamento delle informazioni secondo:1.1 Le caratteristiche individuali degli informatori: sesso, età, stato, cultura.1.2 Particolari condizioni culturali: abitudini linguistiche nelle diverse regioni

(più dialetto o lingua?). Cfr. Venezie / Bolzano, Ticino / Sardegna ecc.Confini statali oggi? Ticino, Corsicanel passato? Austria nel nord Italia, Spagna nel sud Italia1.3 Gruppi di cose1.4 Tipi di concetti:

- vecchi e immutabili come: figli, Italia settentrionale- mutevoli: come giacca, balera- nuovi: come automobile, gomma da masticare- indigeni: zucca e simili- signorili: servizio da tavola- letterari: seccare, pranzo- casalinghi: gruccia, bernoccolo- oggettivi: ieri l’altro- affettivi: battere, schiaffo ecc.

1.5 Tipi e forme di parole: - onomatopee: baubau, popò - forestierismi: chauffeur, garage, camion, abat-jour, gilè, buffè - neologismi: autista, macchina, gomma americana - suffissi: in particolare diminutivi: ciucciolo / ciuccino ecc. - forme come: brignoccolo, fruncolo, a nascondere1.6 Punti di vista geografici:

- Frontiere di parole spesso visibili: Po? Appennino? mare?- Aree di parole: Venezie? Ticino? Lombardia? Piemonte? Toscana? Stato

della Chiesa? Regno di Napoli? Sicilia? Sardegna?- Centri di irradiazione: Milano? Firenze? Roma?1 Napoli?

2. Chiedere con valutazione:2.1 In quali gruppi di cose, tipi di concetti e parole, si manifesta ricchezza o

povertà di lingua e perché?2.2 In quali gruppi di cose, tipi di concetti e parole, risultano chiare frontiere

linguistiche o nessuna? poche aree estese (cfr. zucca) o molte piccole (cfr. marinare la scuola)?

2.3 In quali gruppi di cose, tipi di concetti e parole, quali centri linguistici sono (stati) importanti nel passato – oggi – nel futuro?

1 Cfr. per es. la connessione con l’Abruzzo in giocattolo, marinare la scuola, prezzemolo, spaz-zino, mondare.

173

Esempi:Centro per concetti di grande interesse letterario: Toscana (villano, sarta)Centri per cose nate in una fase culturale antica: Venezia? Firenze? Roma?

Napoli? (appartamento)Centri per concetti del commercio e dell’industria: Milano eventualmente To-

rino (tapparella, comodità, autocarro)Centro per concetti interessanti dal punto di vista statale o politico per deno-

minazioni da promuovere: Roma (autista)Centri per forestierismi: tedeschismi di vecchia data nel nord-est, recenti in

Ticino; francesismi in Ticino, Piemonte eventualmente Emilia, Toscana; ispanismi (vecchi concetti) nel Mezzogiorno

Centri per concetti e parole del mondo studentesco: importanti città universi-tarie? (marinare la scuola, la grana ‘denaro’)

Centro per parole forti odierne: Roma e il Mezzogiorno?

Procedendo su percorsi di questo tipo, la ricerca geolinguistica sulla lingua parlata dovrebbe contribuire non poco a mostrare che la struttura e la storia dell’i-taliano sono sempre più da far conoscere e apprezzare per il loro eccezionale in-teresse.

175

e.

indice DEI CONCETTI ITALIANI CITATI(i numeri rinviano aLLe Pagine)

accidenti! 103accompagnamento (funebre) 108acido 97acquaio 97acquavite 105adesso 104, 109affettato 96affittasi 99agnello 97albergo 108, 109(al)legano i denti 95Altitalia 106(l’)altro ieri 104, 125-131alzarsi 95, 103amici per la pelle 103amoroso 103anello matrimoniale 92anguria 96anno passato, scorso 104, 134appartamento 99, 117-125apprendista (sarta) 101aquilone 94armadio 100arnesi (del mestiere) 101arrotino 101asciugamano 98asilo (infantile) 105asse 101

attaccapanni 98autista 108, 157-163autocarro 108, 168, 173automobile 108automobile (bambini) 93autorimessa 108, 163-169avvolgibile 100balera, ballo pubblico 74, 105bambinaia 93bambola 94battere qn. 102, 135-140(vuoi da) bere? 93bernoccolo 94berretto 98, 109bigliettaio 108bigodini 99binari 108(ordinazione di) birra 104blatta germanica 49, 100bolle di sapone 94(lo vuoi il) bombo? 93braccio (in) 70, 93briciole 96brutta copia 105(ti sei fatto la) bua? 93bubù 93buffè 100buon giorno/buona sera 103

176

(teatro dei) burattini 94caffè con latte 49, 105caffé forte 105calcio 66caldarroste 96calzini 98camiciola 98camion 81, 108, 168, 172cane (bambini) 93canottiera 98cantuccio (pane) 96cappotto 98capricci (d’un bambino) 93carciofi 95(come) carne ed unghia 103carrozza (da nolo) 108caspita! 103cassetto 100cassettone 58castagne arrostite 96cavolo verzotto 95cena 97cenciaiolo 101cencio per spolverare 100cetriolo 95che cos’ha detto? 103chewing gum 105chiave (di casa) 99chiedere un favore 103ciao! 103cieco 94cinema all’aperto 105ciotola 93ciuccio 93cocomero 96colazione 97coltrone 100(tutte le) comodità 99comodino 100concittadino 106copertone 108corno (per le scarpe) 94

credenza 100cruco 107Cuneo 106dancing 105denaro 102desinare 97diavoletti 99difficile (nel mangiare) 93difterite 95dimora degli sciocchi 68, 77, 106ditale 101dolce e frutta 97dolci(umi) (bambini) 93dolore al gomito 95domandare un favore 103doman l’altro 104, 130-136domenica delle Palme 104dopodomani 131-136dopopranzo 104elicottero 65embrice 99da Erode a Pilato 106due etti e mezzo 101fabbro 101fagiolini (verdi) 95falda 98fango 107fattorina 59fede 92ferma in posta, fermo p. 102ferri (del mestiere) 101fidanzata 67fidanzato ‘amoroso’ 103figli 92figlioccio 92fin di pasto 97finestra 99fogna 107fontana 107forcina 98forestiero 107formaggio 96

177

forno, -aio 102foruncolo 95frate 106fregarsi gli occhi 94fruttivendolo 102fuliggine 100fulmine 104funerale 108(fare le) fusa 100gaffe 102galleria 108garage 108, 162, 163-169gattoni 95giacca 70-71, 98giardinetta 65giardino pubblico 107gilè 98giocattolo 93giubbetta di maglia 98gomma da masticare 105gonna 98250 grammi 101grappa 105gruccia 98guancia 95, 109a guardie e ladri 94idraulico 101ieri l’altro 104, 125-131imbarcatoio 107infreddatura 95imbottita 100insipido 97Italia settentrionale 106a ladri e carabinieri 94ladro (di negozio) 108lastricato 107lattoniere 101lavandino 97lavare i piatti 97lavorante (sarta) 101legano i denti (si) 95lentiggini 95

levarsi 95levarsi (del sole) 103libbra 49limonata 105(fare il) luminello 94lustrascarpe 101macchina 92, 108madre 63maglia 98mal della suocera 95(ti sei fatto) male? 93maniglia 99marinare la scuola 88, 106, 145-157mascella 95melone 96(le 4) meno 20 104(nomignolo per) meridionali 107mescita 102messa (bassa) 106mestolo 97mezzanino 99mezzo lavorante 101midolla 96moine 93mollica 96mondare le patate 97a nascondersi 108, 140-145nebbia (densa) 104nipote, -ino 63nocciolo 96nomignoli regionali 106Ognissanti 104ora 104, 109orecchioni 95orologio da polso 98padre 63padrino 92palco morto 99panificio 102panino 96panna montata 104paralume 100

178

parotite epidemica 95parroco 106passino 67pastrano 98pelare le patate 97persiane 100pertosse 95pesca 96piagnone, -ucolone 93pianterreno 99alle piastrelle 94piatto fondo 97piattola 49, 100picchiare qn. 102, 136-140piccione 107pilettina 59(vengono i) pisani 93mi pizzica (la pelle) 95pizzicheria 102polentoni 107pomeriggio 104pontile 107da Ponzio a Pilato 106popò 93portiere, -inaio 99pranzo 97prezzemolo 95prosciutto 96mi prude 95(far) pulizia 100punta (del pane) 96quartiere 99, 107, 117-125quarto (di vino) 104raffreddore 95ragazza 93ramaiolo 97rana 51ravioli 67rigovernare 97a rimpiattino 86, 140-145a rincorrersi 94rione 107

riordinare la casa 100risparmiare 102rivendita di sale e tabacchi 101rotaie 108rovesciare (del vino) 96russare 95(troppo) salato 97salumeria 102salvadanaio 102sarta 101(tirare un) sasso 94scarafaggio 100schiaffo 102schizzinoso (nel mangiare) 93sciacquone 100(dimora degli) sciocchi 68, 106scodella ‘ciotola’ 97scodella ‘piatto fondo’ 97scopa 100scossa (elettrica) 95scroccare 105scuola materna 105scusi! 103seccare 102senza soprabito 98servizio da tavola 97, 114-116(nomignolo per) settentrionali 107signor Viola/Michele 103soffitta 99soldi 102sono le 4 meno 20 104(viene il) sonno 93sottana di sopra 98spaccio (di vino) 102in spadina 98spazzino 101a specchietto 94spiccioli 102sporco 98spuntare (del sole) 103stagnino 101stanco 95

179

straccio per la polvere 100straccivendolo 101stropicciarsi gli occhi 94sudicio 98suora 106tabaccaio 101taccheggiatore 108taccuino 59tavola ‘asse’ 101(nomignolo per) tedesco 107tegola (piatta, ricurva) 99terroni 107tesa (del cappello) 99testimonio (a un matrimonio) 92tettarella 93tetto 99Tizio e Caio 102topica 102tosse canina 95traslocare 99trippa 97trombaio 101Tutti i Santi 104(è l’) una 50, 104uovo da bere 71, 96uovo al tegame 96vasca (da bagno) 51ventriglio 67versare (del vino) 96verza 95vesti usate 59via xy 107vicolo 107vigili urbani 108villano 77, 103, 109vinaio 102vino (ordinazione di) 104vitello 97water-clos(et) 100zucca 96, 111-114zuppiera 97

181

CARTINA D’ITALIA E DELLA SVIZZERA ITALIANACON I PUNTI DELL’INCHIESTA

Finito di stampare nel mese di settembre 2016 presso Area Grafica 47 srls – Città di Castello (PG)