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PASCAL DUPONT SULLA DEFINIZIONE DI LIMITE NEGLI SPAZI ASTRATTI: (*) RIASSUNTO. - Viene esaminata un'originale impostazione di Maurice FRÉ- CHET, basata su due assiomi, del concetto di limite negli, spazi astratti, presentata la critica che P. URYSOHN, P. ALEXANDROFF e C. KURA- TOWSKI fanno a questa impostazione ed analizzata su un piano storico l'introduzione di un terzo assioma. Mediante una teoria particolare, costruita a partire dai precedenti assiomi, vien rilevata in questi tre autori la stessa manchevolezza, su un piano concettuale, che essi attri- buiscono all'impostazione del FRÉCHET. La questione viene poi esami- nata storicamente alla luce delle moderne tendenze matematiche all'astra- zione e viene con ciò stabilito fino a che punto nelle predette imposta- zioni si può parlare di « assiomatizzazione del concetto di limite» e quali problemi risultano ancora aperti. Introduzione. - La definizione classica di limite di una succes- sione di numeri reali è intimamente legata al concetto di distanza e da tale concetto, più o meno elaborato, non prescindono le clas- siche definizioni di limite di successioni di funzioni, di curve, ecc ( 1 ). Se costruiamo successioni con enti astratti, il concetto di limite sembra a priori impossibile a definirsi perchè non si vede come possa essere generalizzato il concetto di distanza. Prescindendo però da ogni contenuto intuitivo si può assiomatizzare quest'ultimo (*) Questa Nota rientra nell'ambito del Gruppo n. 25 del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Comitato per la Matematica). Un suo compendio è stato presentato dal Prof. Maurice FRÉCHET, ai Comptes Rendus de l'Académie des Sciences di Parigi, nella seduta del 23 novembre 1964. ( 1 ) Vedansi, per esempio, le nozioni di « voisinage » e di << écart » nella tesi [1] di Maurice FRÉCHET. Cfr. pure pp. 61, 172, 214, 277 di [61.

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PASCAL DUPONT

SULLA DEFINIZIONE DI LIMITE

NEGLI SPAZI ASTRATTI: (*)

RIASSUNTO. - Viene esaminata un'originale impostazione di Maurice FRÉ­CHET, basata su due assiomi, del concetto di limite negli, spazi astratti, presentata la critica che P. URYSOHN, P. ALEXANDROFF e C. KURA-TOWSKI fanno a questa impostazione ed analizzata su un piano storico l'introduzione di un terzo assioma. Mediante una teoria particolare, costruita a partire dai precedenti assiomi, vien rilevata in questi tre autori la stessa manchevolezza, su un piano concettuale, che essi attri­buiscono all'impostazione del FRÉCHET. La questione viene poi esami­nata storicamente alla luce delle moderne tendenze matematiche all'astra­zione e viene con ciò stabilito fino a che punto nelle predette imposta­zioni si può parlare di « assiomatizzazione del concetto di limite» e quali problemi risultano ancora aperti.

Introduzione. - La definizione classica di limite di una succes­sione di numeri reali è intimamente legata al concetto di distanza e da tale concetto, più o meno elaborato, non prescindono le clas­siche definizioni di limite di successioni di funzioni, di curve, ecc (1). Se costruiamo successioni con enti astratti, il concetto di limite sembra a priori impossibile a definirsi perchè non si vede come possa essere generalizzato il concetto di distanza. Prescindendo però da ogni contenuto intuitivo si può assiomatizzare quest'ultimo

(*) Questa Nota rientra nell'ambito del Gruppo n. 25 del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Comitato per la Matematica). Un suo compendio è stato presentato dal Prof. Maurice FRÉCHET, ai Comptes Rendus de l'Académie des Sciences di Parigi, nella seduta del 23 novembre 1964.

(1) Vedansi, per esempio, le nozioni di « voisinage » e di << écart » nella tesi [1] di Maurice FRÉCHET. Cfr. pure pp. 61, 172, 214, 277 di [61.

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concetto e, tramite esso, si possono dare definizioni di limiti in spazi astratti (2). Un'altra via però è stata tentata, prescindendo assolutamente da ogni nozione di distanza, e persino da ogni nozione topologica.

Nel 1906, Maurice FRÉCHET, nella sua tesi di laurea, introduce il concetto di limite, sotto forma implicita, mediante due assiomi. L'impostazione del FRÉCHET appare insoddisfacente all'URYSOHN a causa di certi inconvenienti logici in essa racchiusi. ALEXANDROFF

presenta nel 1926 una nota postuma dell'URYSOHN, nella quale la semplice aggiunta di un terzo assioma, avrebbe dovuto eliminare tutti gl'inconvenienti. In questa nota però faremo vedere come l'aggiunta del nuovo assioma non elimini affatto tutti gl'inconve­nienti possibili; anzi essa ne elimina ben pochi.

È molto strano dover constatare che FRÉCHET, URYSOHN,

ALEXANDROFF, ed in seguito KURATOWSKI, che modificò il nuovo assioma di URYSOHN, non si siano accorti della fragilità delle loro impostazioni.

Frazionando infatti l'insieme di tutte le successioni di enti astratti in cinque sottoinsiemi distinti, faremo vedere (n. 1,2) come l'impostazione del FRÉCHET sia soddisfacente soltanto per due di questi sottoinsiemi, e quelli del KURATOWSKI (n. 5) per tre.

L'introduzione del riuovo assioma viene esaminata sul piano storico (n. 3,4) e giustificata sul piano concettuale.

L'intera questione che, sotto certe restrizioni, può offrire ana­logie con le classiche assiomatizzazioni della geometria (HILBERT)

e dell'aritmetica (PEANO), viene inquadrata (n. 6) nella grande tendenza moderna all'astrattismo in matematica;

La nota termina con l'enunciato di due problemi tuttora aperti, e precisamente aperti dal presente studio. ,

1. - CONSIDERAZIONI PRELIMINARI ALLA

DEFINIZIONE DEL FRÉCHET.

Se consideriamo una successione al9 a2,..., an... di elementi an

di natura qualsiasi, abbiamo subito l'impressione che non sia nep-

(2) A p. 61 di [6], per esempio, il lettore potrà trovare la definizione assiomatica di «distanza», sulla quale si fonda il concetto moderno di «spazio metrico».

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pure pensabile, cioè non abbia neppure senso, parlare della sua convergenza o meno. Se, in particolare, gli elementi an sono numeri, punti, funzioni, ecc., sono note invece molteplici definizioni di limite -(8).

Ma si può intanto osservare che tutte queste definizioni soddi­sfano alla banale condizione : « Se tutti gli elementi an della succes­sione {an} sono uguali ad uno stesso elemento a, la successione è convergente al limite a ». Diremo che questa è una prima condizione, e la indicheremo in questo modo :

1) K = fi) — • • ( « » -+a).

È del tutto ovvio osservare che, anche su elementi noti, anche, per fissare le idee, su successioni di numeri reali, si potrebbero dare le più arbitrarie definizioni di convergenza ad un unico limite, avulse da ogni concetto intuitivo di limite, definizioni condizionate dalla 1), tali cioè che da esse segua la 1). Chiameremo D± una defi­nizione di questo tipo e Z)rconvergenza, la convergenza corri­spondente (4).

Un'altra condizione molto spontanea è la seguente: «Se an~> a (cioè se la successione è convergente al limite a), ogni successione parziale { ahn } (1 ^ k± < k2...) è pure convergente ad a ». Diremo che è questa una seconda condizione, e la indicheremo in questo modo:

2) (an—>a)=*(ak -->a).

Consideriamo ora una qualsiasi definizione, che chiameremo DF (F iniziale di FRÉCHET) (5), di convergenza ad un unico limite (e parleremo perciò di Z^-convergenza), tale che da essa si possano dedurre le 1) e 2) [cioè condizionata dalle 1) e 2)]. Non v'è difficoltà a capire che di tali definizioni (ad un unico limite), ve ne possono essere molteplici e che, data una definizione relativa a successioni

(") Secondo il CASSINA vi sono circa sessanta definizioni esplicite di limite (v. p. 144 di [9]).

(4) Per esempio potremmo imporre che ogni successione di numeri reali sia, se costituita da un numero a ripetuto infinite volte, Di-convergenza ad a, e non Di-conver­gente in ogni altro caso. '

(5) Con ciò non vogliamo sostenere che quanto immediatamente segue, esprima esattamente, il pensiero del FRÉCHET.

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delle quali conosciamo una definizione classica di convergenza (diciamo /)-convergenzà), potranno esserci successioni /^-convergenti ma non /^-convergenti (come vedremo fra poco) (6).

Ora noi desideriamo, prima di inquadrare la questione in un piano storico (lasciando quindi sospese l'analisi e l'interpretazione dell'impostazione di FRÉCHET), esaminare da un punto di vista logico tutte le possibili implicazioni di una definizione di limite condizionata dalle 1) e 2) [cioè dalla quale si possano dedurre le 1) e 2)].

Se una DF è stata data, domandiamoci quali possibilità di con­vergenza o meno si presentano per le successioni {an} di elementi an non precisati.

Le successioni nelle quali almeno due elementi distinti a, b (a^b) si trovano ripetute infinite volte, sono, necessariamente non convergenti (diciamo che sono non-DF-conv ergenti). Ciò è del tutto ovvio e chiameremo eccezionalissime tali succ. (ee. per bre­vità), indicando con A0 il loro insieme. Schematizziamo questo risul­tato con la notazione:

A0, ee. an non-DF-conv.

Le successioni costituite da un elemento (diciamo a, per una generica simbolica successione) ripetuto infinite volte che, in virtù della 1), sono necessariamente convergenti a quell'elemento, le chiamiamo eccezionali (e.). Indichiamo con Ax il loro insieme, e scriviamo in simboli

Ai9 e. • an—+a.

Le successioni costituite da un elemento (diciamo a) ripetuto infinite volte, ed in più da un numero finito (¥= 0) di elementi distinti da questo, possono essere, o meno, Z)F-convergenti. Ma se

(°) In altre parole, non v'è difficoltà a intendere che, per successioni di elementi del tutto arbitrari, sarà possibile dare diverse definizioni DF. Potrà anche presentarsi la possibilità che, per certe successioni costituite da enti ben precisati, si voglia confrontare una definizione classica di convergenza (diciamo D-convergenza) con una nuova parti­colare definizione DF. Ed allora, pur soddisfacendo anche la definizione di D-convergenza ad entrambe le proprietà 1), 2), potrà accadere che una stessa successione risulti ^-convergente, ma non /^convergente (cioè non convergente secondo la nuova defini­zione particolare).

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sono ^^-convergenti, sono, per la 2), necessariamente convergenti a questo elemento a. Chiamiamo quasi-eceezionali (q.e.) tali suc­cessioni ed indichiamo con A2 il loro insième. Notazione:

A2, q.e. an

/iion-DF-conv.

a.

Le successioni non ee. contenenti un elemento a ripetuto infinite volte, ed in più altri infiniti elementi, possono essere non-Z)F-conv. oppure DF-con\. [Z)F-conv. ad a in virtù della 2)]. Chiamiamo quasi-normali (q. N.) tali successioni ed indichiamo con Bx il loro insieme. Notazione:

yiion-Z)F-conv.

Anche le successioni costituite da elementi tutti distinti, o dove, al massimo, ogni elemento si ripete un numero finito di volte, suc­cessioni che chiameremo normali (N.), ed il cui insieme indichiamo con B2, possono essere non-Z^-conv. oppure Z^-conv., ma in questo ultimo caso possono essere conv. ad un limite arbitrario (non neces­sariamente coincidente con il limite noto a, qualora si trattasse di una successione conv. di elementi noti con un limite a, determinato da una definizione classica esplicita). Schematizziamo il risultato ottenuto così:

non- DF -conv. B2, N. an^/+a.

Osserviamo ora che le successioni parziali :

a) di ogni successione di Ax sono la successione stessa,

b) delle successioni di A2 sono una successione di Ai e successioni di A2,

e) delle successioni di Bx sono una successione di Al9 successioni di A2, di Z?i e di B2,

d) delle successioni di B2 sono successioni di B2.

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Se quindi, in base ad una DF, una successione q. N. è.DF-conv. ad a, necessariamente anche le successioni parziali appartenenti ad A2 e quelle appartenenti a B2, saranno DF-conv. ad a, cosa che si troverà inclusa nella riassuntiva schematizzazione generale che daremo fra poco (v. anche, come prò memoria, la figura).

Osserviamo ancora che se una successione di A2 o di B2 risulta (in base alla definizione) non-Z)F-conv., le successioni di Bt delle quali la data è successione parziale, necessariamente saranno non-DF-conv. La DF-conv. ad un limite e, invece, per una successione

di B2, implica che le successioni di Bl9 delle quali la data è parziale, possono essere Z^-conv. al limite e oppure non-Z^-conv. ; saranno però necessariamente non-DF -conv. quelle contenenti infinite volte un elemento d¥^c. È lecito, ad esempio, imporre che sia

lini — = 5 , ma allora la successione v n->oo n •

1,5,1/2,5,1/3, 5, 1/4,...

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potrà essere DF-cow. a 5, oppure non Z^-conv., mentre, per esem­pio, la successione

.1,2,.1/2,2,1/3,2,1/4,.2,. . .

sarà non-Z^-conv. .

Abbiamo quindi, come prò memoria, il seguente suntivo delle diverse possibilità di /^-convergenza:

rias-

A o> ee. a„ non-Z^-conv. F

Alt e. an —• a.

A2, q.e. an non-Z^-conv.; in Bi non-Z^-conv.

a

B^ q.N. an

non-DF-conv.

a< in Ai9 akn-+a

^on-Z^-conv.; in, B^ non-Z^-conv.

Bt, N. an a

\->6^aJ

. fr^c non-Z)F-conv.

| -• e ; in Bì

Dati dunque degli elementi sulla natura dei quali non facciamo ipotesi, costruite con tali elementi delle successioni {an}9 possiamo imporre che qualcuna di queste sia convergente, diciamo Z)jp-conver-gente, ed imporre quaPè il limite (unico) a. La definizione può essere del tutto arbitraria, ma dev'essere tale che da essa si possano dedurre le 1) e 2). Questa imposizione implica poi la necessaria Djrconvergenza di altre successioni oltre quelle da noi definite convergenti, nonché eventualmente la non-Z)Fconv. di altre àncora, e ciò in base allo studio fatto e sintetizzato schematicamente sopra.

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Analogamente l'imposizione di non-D^-conv. ad una succes­sione, implica la non-DF-conv. di altre successioni, sempre secondo lo studio fatto.

2. - LA DEFINIZIONE DI FRÉCHET.

1. - Nella sua tesi [1] del 1906, Maurice FRÉCHET, dopo aver affermato che il suo lavoro è il primo tentativo per stabilire siste­maticamente qualche principio del Calcolo Funzionale, spiega come sia stato necessario generalizzare la teoria degli insiemi lineari, ed osserva che la nozione di funzione continua può essere generalizzata in modo spontaneo e che ciò rende anche necessario estendere il concetto d'intorno ed il concetto di limite di una succes­sione di elementi. Ma questo gli pare impossibile, perchè si ha, l'abitudine di dare «définition speciale de la limite pour chacune des catégories d'éléments considérés jusqu'ici : points, courbes, etc. ». Ora FRÉCHET osserva come si sia potuto pervenire ad una teoria comune delle teorie dei gruppi di movimenti, di sostituzioni, di trasformazioni, soltanto astenendosi dal fornire una definizione generale nel modo di composizione, ma ricercando le condizioni comuni alle definizioni particolari e conservando quelle indipendenti dalla natura degli elementLconsiderati (7); analogamente «on a été amene à simplifier Vétude des forces, des vitesses, des rotations, etc, enlès faisant preceder d'une théorie des vecteurs»; questo punto di vista, con qualche modifica, lo si ritrova in certe definizioni descrit­tive di DRACH, BOREL, LEBESQUE, HADAMARD (p. 5 di [1]).

Alla luce di questi precedenti, il FRÉCHET, pensando alle «di-verses définitions classiques de la limite d'une suite de nombres ou d'une suite de points ou d'une suite de fonctions, etc. », osserva che tutte soddisfano a quelle condizioni che noi precedentemente abbiamo chiamato 1) e 2).

Considerata una classe (L) di elementi di natura qualsiasi, FRÉCHET suppone intanto che si sappia distinguere se due elementi della classe (L) sono distinti o no. Poi così continua ( s ) : «De plus,

C) v .p .5 di [IL (s) Riteniamo indispensabile riportare qui le precise parole del FRÉCHET perchè

nasce a questo punto del nostro lavoro, un problema d'interpretazione del pensiero stesso del FRÉCHET.

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on a pudonner une définition de la limite d'une suite d'éléments de la classe (L). Nous supposons donc qu'étant choisie au hasard une suite infinie d'éléments (distincts ou non) de la classe (L), on puisse dire d'une fagon certaine si cette suite A^A2i .:.An,... a ou non une limite A (d'ailleurs iinique). Le procede qui permettra de donner la réponse (autrement dit la définition de la limite) est d'ailleurs absolument quelconque, assujetti seulement à satisfaire aux conditions suivantes: I) ... / / ) . . . », dove I) e II) sono le nostre l ) e 2 ) .

Questa impostazione la troviamo per la prima vòlta in FRÉCHET

nel 1904 (v. [2]). Su di essa FRÉCHET ritorna nel 1910, in uno studio [3] atto a stabilire un confronto degli insiemi «moins gros-sier» di quello dovuto all'introduzione della nozione di potenza.

Nel 1917, in [4], il nostro Autore, dopo aver osservato che molte proprietà degli insiemi lineari possono essere estesi agli insiemi astratti (insiemi i cui elementi sono di natura qualunque o scono­sciuta), come si può constatare nella teoria dei numeri cardinali e ordinali di G. GANTOR, ed in una certa definizione di integrale di J. RADON, osserva che per andar oltre si deve, fra l'altro, genera­lizzare la nozione di limite; introduce così nuovamente i suoi due assiomi.

In tutti questi anni il FRÉCHET non sente il bisogno di modificare la definizione implicita di limite né, per quanto ci consta, affronta mai per via diretta la questione dell'implicazione logica della sua impostazione. Motivi di disagio gli perverranno invece, quasi inci­dentalmente, in uno studio [5] del 1918 dove troviamo nuovamente la definizione implicita di limite con i due soliti assiomi.

In questa importante Nota, FRÉCHET s'accorge che le classi (L) (da lui già definite nella sua tesi del 1906), contrariamente a quanto pensava nel 1910 (9), rientrano in un tipo di classi più generali che Egli chiama (R), evidentemente in onore di F. RIESZ, che le descrive ponendosi da un punto di vista più generale di quello di FRÉCHET.

Questi, sotto la spinta dell'estensione agli insiemi astratti del maggior numero possibile di proprietà degli insiemi lineari, valuta la defini­zione di classi (L) troppo generale; ma se vuole comprendere in

(°) A p.53 di [3] troviamo: «De telles classes d'ensembles, que j'ai appelées (L), ne sont pas moins générales qu'une classe abstraite quelconque ». In questo passo, non viene ancora usata la locuzione «spazio (L) ».

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una stessa definizione il maggior numero possibile di definizioni del limite date negli insiemi di natura determinati, la definizione di (X) gli appare non sufficientemente generale.

Attraverso una definizione nuova di «voisinage» (una prima definizione venne data nel 1906 nella Tesi ed un'altra nella Nota [4] del 1918), FRÉCHET costruisce una classe (V) più generale della (R) stessa, fa vedere che ogni classe (X) è una (/?), ogni (R) è una (V), che vi sono delle (R) che non sono (L), e delle (V) che non sono (/?). Con una scelta opportuna di « voisinage » può inter­pretare una (X) data come una (V) senza modificare gli insiemi derivati (10). Si accorge così che « senza modificare gli insiemi deri­vati » in una classe (L) si può aggiungere, alle due condizioni solite [le nostre 1) e 2)], le condizioni seguenti:

a) Se an -» a, la successione ottenuta aggiungendo ad { an } un numero finito di elementi (distinti o no) converge ad a. '

b) Se un numero finito di successioni S1? S2... Sn, convergono verso a, lo stesso avviene disponendo in un'unica successione gli elementi (distinti o no) di Si, 52 . . . S„.

Proponendoci di riesaminare queste condizioni, vogliamo rife­rire inoltre che FRÉCHET ritorna ancora una volta (v. p. 164 di [6]), nel 1928, sulla sua definizione di limite.

2. - La lettura attenta delle definizióni del 1904, 1906, 1910, 1917, 1918, 1928, ci permette di affermare che la «definizione di limite» del FRÉCHET sia da interpretarsi nel seguente modo.

È dato un insieme di elementi astratti. Abbiamo per ipotesi i mezzi per stabilire se due di essi sono distinti o no. Costruiamo tutte le successioni possibili e diamo tutte le possibili definizione di con­vergenza (ad un unico limite per ogni definizione). Per esempio si potrebbe dare una di queste definizioni, scegliendo a piacere le successioni che vogliamo dichiarare convergenti, senza ovviamente

(10) Riteniamo opportuno a questo punto riportare fedelmente quanto M. FRÉCHET, con il quale abbiamo avuto uno scambio epistolare, c'invita esplicitamente a dichiarare: « M. FRÉCHET a lu avec intérèt mon mémoire, mais il n'avait introduit les espaces L que dans l'intention de montrer que la notion de limite n'est pas nécessairement associée à la notion de distance. Dans la suite, son introduction des espaces V, où les voisinages d'un point ne son assujettis à aucune restriction, lui a fourni un exemple beaucoup plus general et il ne s'est plus servi des espaces L. D'ailleurs les espaces V permettent de definir les éléments d'accumulation qui sont plus généraux que les « éléments limites ».

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curarci sé tale scelta possa; apparire artificiosa; o no; ma,; in ogni caso, la definizione dovrà essere tale che da essa possano de-dursi le 1) e 2).

Su un particolare insieme di enti, dove già conosciamo u n a particolare definizione classica di convergenza, ogni nostra singola definizione potrà coincidere o meno con quella. D'altra parte ogni singola definizione o l'insieme delle definizioni può, o forse deve, rimanere allo stato potenziale.

L'impostazione che abbiamo dato al n. 1 ci rivela, nella sua globalità, per via diretta, senza l'aiuto di teorie sugli intorni, che l'impostazione del FRÉCHET dà luogo a dei fenomeni che P, ALEXAN-

DROFF chiamerà inconvenienti logici (v. p. 78 di [7], e che noi riesamineremo al numero seguente.

3. - UN ASSIOMA SUPPLEMENTARE DI URYSOHN.

Nel 1926 Paul ALEXÀNDROFF redige una Nota postuma di Paul URYSOHN [7]. In essa, esaminata la definizione di classe (•£») di FRÉCHET, l'Autore osserva subito che « Des exemples élémen-taires montrent cependant que certains inconvénients logiques ne sont pas exclus par la definition précédente des classes (L)>>. Por­tato un esempio (ma noi ne avremmo ora, per quanto costruito al n. 1, i più disparati concepibili) URYSOHN-ALEXANPROFF, con molta baldanza ( n ) , afferma che «on peut les supprimer db une facon radicale en introduisaht un nouvel axiome».

Diamo, a questo nuovo assioma, la formulazione seguente :

U) Se, data una {#n} esiste un elemento A;, tale che da qua­lunque successione parziale {xk } si possa estrarre una successione convergente al limite x, Ja..{•#„.} converge verso x (12).

È opportuno rilevare come URYSOHN formuli il nuovo assioma senza passare attraverso la nozione d'intorno, della quale s'è servito

(u) Ci sembra infatti di poter dimostrare che il nuovo assioma elimina qualche inconveniente, non tutti. Ci vuol altro!

(12) La formulazione originaria dell'URYSOHN, che si dimostra facilmente essere equivalente alla U), segue immediatamente le definizioni di «successione compatta» e di « elemento contiguo », ed è : « Se una successione compatta { xn j possiede un solo elemento contiguo, essa converge verso quest'elemento ».

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invece FRÉCHET e che lo ha portato (incidentalmente) alle propo­sizioni che abbiamo contrassegnato a) b) nel n. 2.

URYSOHN avverte a priori gl'inconvenienti logici di cui abbiamo parlato e cerca di eliminarli per via diretta.

FRÉCHET è meno sensibile o si pone sotto un'altra prospettiva. Né d'altra parte, URYSOHN, quando medita su queste cose nel 1922-1923, conosce i risultati del 1918 di FRÉCHET (cfr. nota 1, p. 78 di [7]).

Riteniamo perciò che la Nota di URYSOHN sia molto importante e non ci sembra troppo azzardato pensare che sia stata l'ispiratrice del nuovo assioma introdotto da KURATOWSKI, che esamineremo nel numero successivo.

È necessario però fermarci prima un momento a chiarire cosa vogliamo intendere con. la locuzione «inconvenienti logici» intro­dotta da URYSOHN-ALEXANDROFF. SU una successione di enti esplici­tamente definiti, possono esistere molteplici definizioni di conver­genza ad un unico limite, definizioni che ragionevolmente possono essere definite classiche. È chiaro che in tal caso il verificarsi della convergenza secondo una definizione e della non convergenza secondo un'altra, non potrà essere -riguardato come un inconveniente logico. Una successione di funzioni semplicemente (puntualmente) conver­gente in un intervallo (a, ò) può essere o meno uniformemente convergente nello stesso intervallo, e non scorgiamo in questo fatto un inconveniente logico, mentre la possibilità, denunciata da URY­

SOHN, di una definizione di convergenza (condizionata dalle 1, 2) in base alla quale la successione ò, a, a, a, ... (òv^a) risulta non con­vergente, giustamente dev'essere ritenuta un inconveniente logico. Analogamente nessun inconveniente sj può scorgere nel fatto ben noto che una successione non convergente secondo una definizione classica, sia convergente nel senso di CESARO.

Ma il significato che noi attribuiamo alla locuzione «inconve niente logico » risulterà chiaro al termine del nostro lavoro.

4. - L'ASSIOMA DI KURATOWSKI.

FRÉCHET definisce gli spazi (L) con l'ausilio degli assiomi 1) e * 2). Con l'aggiunta dell'assioma U), URYSOHN definisce gli spazi (Lt)

che chiama topologici. Questi stessi vengono chiamati spazi L* dal

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KuRATOWSKi (p .83 di [8]), che li introduce con i due assiomi 1) e 2) e con questo nuovo assioma:

K) Se xH-\-+p (la successione {xn} non converge verso p), allora {xn} contiene una successione parziale {xkn} della quale tutte le parziali non convergono verso p.

È facile dimostrare l'equivalenza delle condizioni U) e K). Per ipotesi valga infatti la U) e sia {xn} una successione non

tendente a p. Ragionando per assurdo, se non fosse soddisfatta la. K), ogni successione \xl6n} parziale della {xn} avrebbe, a sua volta,

almeno una successione parziale convergente a p ; ma ciò, in virtù della U), implicherebbe # n ->p, contro l'ipotesi.

Inversamente : sia { xn} una successione tale che da ogni {xh } si possa estrarre una successione tendente a p. Supponendo valida la K), non può essere xn—\-+p, dunque xn->p e ciò dimostra la vali­dità della 17).

L'equivalenza dimostrata ci autorizza a conservare il solo enun­ciato K) sotto la forma (con evidente significato di simboli):

3) (an —b» a) = • (esiste una ak -||-> a)

Per ciò che concerne le due proposizioni a) b) di FRÉCHET (n. 2) è facile constatare che esse sono una conseguenza della 3), ma non è vero l'inverso (13), nel senso che si può far vedere come sia possi­bile dare una definizione di convergenza condizionata dalle 1) 2) a) b), dalla quale non segua la 3). Consideriamo infatti la seguente definizione di convergenza sull'insieme delle successioni di numeri del tipo 1/iz ed eventualmente anche da zero:

I) Le successioni costituite da un elemento 1/ra, oppure dal­l'elemento 0, ripetuto infinite volte, sono convergenti a quell'ele­mento.

II) La successione |—1 , e naturalmente le sue parziali, è

convergente a zero.

(ia) L'affermazione di ALEXANDROFF (nota 1, p. 78¾ [7]) che la soluzione CI'URYSOHN è equivalente a quella data da FRÉCHET nel 1918, si riferisce probabilmente ad uà problema più vasto del nostro.

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III) Tutte le successioni che si ottengono dalle precedenti applicando le 2) a) b) (eventualmente più volte ed in un ordine qualunque) sono convergenti.

IV) Tutte le rimanenti non siano convergenti. La successione

1,0,1/2,1/2,0,1/4,1/4,1/4,0,1/8,1/8,1/8,1/8,0, ...

risulta così non convergente a zero; cionostante tutte le successioni parziali della sua successione parziale {1/n} sono convergenti a zero, il che dimostra che non vale la 3).

5. - CONSIDERAZIONI SUL NUOVO ASSIOMA.

Dato un insieme di elementi ben definiti sulle successioni dei quali si conosca una definizione classica di convergenza, pensiamo di dedurre da tale definizione certe condizioni 1), 2), 3)... n). Una definizione di convergenza ad un unico limite, dalla quale si possa dedurre la 1), e per altro arbitraria, magari anche artificiosa, avulsa da ogni intuizione, e che ignori le nozioni d'intorno o di distanza, non è pensabile che debba necessariamente coincidere con la definizione classica. Lo stesso dicasi per una definizione condizionata dalle 1) e 2) o. da qualsivoglia insieme parziale delle condizioni 1), 2),... n). La critica quindi che I'URYSOHN/ (n. 3) ed il KURATOWSKI (n. 4) fanno al FRÉCHET (14), può essere da noi rivolta a questi autori, non appena troviamo anche un solo esempio di convergenza condi­zionata dalle 1),2),3), che non si riveli convergente in senso classico, su un insieme di successioni di elementi noti dove esiste una defini­zione classica.

Riprendiamo le notazioni e la costruzione effettuata al n. 1, intro­ducendo il nuovo assioma 3).

Sia dunque DK (K iniziale di KURATOWSKI) una qualsiasi defi­nizione di convergenza relativa a tutte le successioni {an} di elementi astratti. Per quanto convenuto, l'ipotesi è che dalla DK si possa

k (u) A p. 84 di [8], KURATOWSKI scrive a proposito delle due condizioni che noi abbiamo chiamato 1), 2): « Ces deux conditions ne caraetérisent pas d'une fagon satis-faisante la notion de limite... ».

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dedurre :

1) (an = a) — • ( a n — a)

2) K - ^ 4 —• K,—• «) 3) (an -|-> a) = • (esiste una ak -il-* a)

Le successioni eccezionalissime (le ee. di A0) ovviamente sono non-Z^-eonv.

Le successioni eccezionali (le e. di Ai) sono tutte DK-conv. Per le q. e. v'è una novità nei confronti della BF -convergenza,

poiché ora, proprio per la 3), non può esserci non-Z^-conv., ma ovviamente si avrà an -> a.

Una successione q. N. può essere non-Z^^-conv., ma mentre qui la non-DF-conv. non aveva implicazioni, ora, in virtù della 3), vi è una novità. Sia a w - K a. Esiste allora, per la 3), una successione parziale {ak } della quale tutte le parziali sono non-Z7K-conv. ad a. Ora nella { ak } non vi può essere ripetuto infinite volte a, poiché in

tal caso una successione parziale di questa sarebbe convergente ad a ; dunque per { ah } possiamo considerare la successione N. dedotta

da {an} eliminando tutti gli a. Per ogni altra successione valgono le considerazioni fatte rela­

tivamente ad una Z)F-conv., con l'avvertenza che se una successione di B2 è DK-COUV. ad un limite e, la successione di Z?i, contenente infinite volte e, e della quale la data è una parziale, non può essere non-Z^-conv., mentre poteva essere non-Z)F-conv. Si avrà dunque il seguente specchio riassuntivo:

A0, ee. an non-Z^-conv.

At, e. an-+a

A2, q.e. an—>a

non-Z^-conv. — in B2, ak non-^-conv.

y m A2, akn + a

\ i n B%, ak -+a

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^non-D^-conv.; in Bì non-D^-conv.

Bt, N. an< ,x^àJ^^noa-DK.com.

Per dare un esempio di /^-convergenza, consideriamo l'insieme di tutte le successioni di numeri reali, per le quali valga la solita definizione classica di convergenza, diremo Z)-convergenza. Tutte le successioni N. D-convergenti a zero siano non-Z^-conv. ; con ciò, come conseguenza logica, sono non-Z^-conv. anche le corrispondenti q. N. Tutte le altre Z)-conv. siano DK-conv. allo stesso limite, e le non-Z)-conv. siano non-D^-conv. La successione, per esempio, 1 /2 ,1 /3 , . . . 1/n,... risulta così non-Z^-conv.

6 . - ASSIOMATIZZAZIONE DEL CONCETTO DI LIMITE.

Come il lettore certamente avvertirà, e come abbiamo accennato nell'introduzione, il concetto di limite negli spazi astratti, così come viene concepito da FRÉCHET, URYSOHN e KURATOWSKI, è molto lontano da quella concezione abitudinaria che lo vede indissolu­bilmente legato più ò meno esplicitamente ad un concettò di distanza. Non vogliamo qui fare Una storia del concetto di limite, per la quale rinviamo il lettore al CASSINA [9]. Anche soltanto riferendoci ad una successione {an} di costanti, vogliamo ricordare come, nel calcolo delle probabilità, se si definisce la probabilità come il limite della frequenza, la parola limite non ha il senso preciso assegnato dall'Analisi (15). Si tratta di una concezione diversa ed a tutti sono note le difficoltà che s'incontrano nel porre le basi del calcolo delle probabilità (16).

(15) Cfr. p .4 di [15]. (10) Il GEYMONAT osserva : « Le divergenze tra i maggiori studiosi, circa la natura

di questo calcolo, sono ancora oggi così profonde da far sorgere il sospetto che vi si celi qualche mistero irraggiungibile dalla mente umana » (v. p. 189 di [16]).

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Ci sia permesso, a questo proposito; di riportare testualmente le parole del GASTÉLNUOVO: «Questa definizione (s'intende dèlia probabilità come limite della frequenza) è in realtà adottata dà vari autori, ma le stesse cautele con cui viene presentata non bastano, a mio giudizio, a renderla accettabile». À nói sembra che l'unico modo per renderla accettabile dal punto di vista dell'analista, sia quello inerente al concetto di limite secondo FRÉCHET e KURA-

TOWSKI, perchè solo in tal modo viene evitata una valutazione quantitativa della tendenza al limite. Ci sembra gran merito del­l'astrattismo moderno, l'avere osato assumere la proprietà di ten­denza al limite come idea primitiva.

La concezione di limite esaminata in questa Nota, si presenta quindi come un tentativo che s'inserisce fra le tante elaborazioni di quel concetto che, affacciatosi tra il V e IV secolo a."C. nelle applicazioni matematiche nell'antica Grecia, quando vennero sco­perti gli irrazionali, introdotto più o meno esplicitamente da alcuni matematici del XVII secolo, venne approfondito e rigorosamente formulato nel XIX secolo e subì nuove profonde elaborazioni nel secolo XX, elaborazioni dalle quali il FRÉCHET, per sua esplicita ammissione, come abbiamo visto al n. 2, trasse lo spunto per la nuova concezione esaminata. Merita perciò inquadrare questa conce­zione in certe moderne tendenze in matematica.

Quando FRÉCHET, URYSOHN e KURATOWSKI non definiscono esplicitamente il limite, ma operano come abbiamo visto, dobbiamo noi pensare che essi assumano questo concetto come « concetto primitivo », definito implicitamente da due assiomi (FRÉCHET) O da tre assiomi (URYSOHN é KURATOWSKI)? È possibile fare un con­fronto fra queste impostazioni e le impostazioni assiomatiche, per esempio, della geometria di PASCH, PIERI , HILBERT O dell'aritme­tica di PEANO?

In HILBERT, per esempio, i punti, le rette ed i piani sono impli­citamente definiti dai loro assiomi, ma noi sappiamo che il contenuto intuitivo che sta dietro queste parole può essere ignorato. Infinite sono le interpretazioni possibili.

PEANO pensava con i suoi assiomi, di «caratterizzare» la suc­cessione dei numeri naturali; poco dopo B. RUSSEL fece vedere che esistono altre successioni, oltre quella dei numeri naturali, che soddisfano gli assiomi di PEANO; anzi: tutte le successioni soddi­sfano gli assiomi di PEANO. Se dalla successione dei numeri naturali deduciamo delle proprietà, assumendo queste come assiomi si

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rivela errata la presunzione che essi «caratterizzino »la~Miccessione di partenza, e SKOLEM ha dimostrato che «un gruppo finito di assiomi non riuscirà mai a caratterizzare la successione dei numeri naturali » ( 1 7 ) , cioè un gruppo finito di assiomi non può distinguere la successione dei numeri naturali da tutte le altre successioni; In altre parole «non è possibile definire i numeri (naturali) implici­tamente mediante un sistema finito d i assiomi» (18);

Ora domandiamoci : il nostro concetto di limite, nell'imposta­zione per esempio di KÙRATOWSKI, si trova nella stessa posizione logica degli enti punto, retta, piano nella geometria di HILBERT, o dell'ente « successione dei numeri naturali » nell'aritmetica di PEANO?

Limitiamoci, per fissare le idee, alle Grundlagen der Geometrie. HILBERT dice: « Pensiamo tre sistemi distinti di oggetti: chiamiamo punti gli oggetti del primo sistema..., rette gli oggetti del secondo sistema..., piani gli oggetti del terzo ». Il lettore non saprà mai cosà siano questi oggetti, che potrebbero essere « tavoli, sedie, boccali di birra » (19), oppure « amore, legge, spazzacamino » come ebbe occa­sione di scrivere HILBERT a FREGE riferendosi ai « suoi punti » (20).

Anche nella impostazióne di KÙRATOWSKI abbiamo degli oggetti, diciamo « componenti primitive », che sono gli enti astratti ; con questi, mediante « operazioni », vengono costruite le successioni, il limite delle quali è, a sua volta, il risultato di un'«operazione» sulle medesime. Non vogliamo negare che il limite possa essere interpretato come una idea primitiva, ma riteniamo sostanziale questa distinzione: le idee primitive sono costituite da: a) compo­nenti primitive, b) operazioni. Nella impostazione di KÙRATOWSKI,

anche il limite può essere concepito come un'idea primitiva, ma a condizione di riguardarlo come «operazione'»* , r •

Volendo inquadrare le esaminate impostazioni di FRÉCHET e KÙRATOWSKI del concetto di limite, nel grande movimento del­l'astrazione moderna, dell'assiomatizzazione e del formalismo, consci che dalla «molteplicità di significati estremamente ingannevoli delle parole usate dagli uomini » (21) non è esente la filosofia della

(") V. p. 147 di [10]. (18) V.p. 130 di [11]. (10) Cfr.p. 85 d i l l i ] . H V.p. 122 di [11]. (21) Come scrive LEIBNIZ negli « Elementi della ragione» (v. p. 98 di [11]).

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matematica, daremo delle definizioni precìse delle parole che do­vremo usare; naturalmente tali definizioni non saranno una nostra invenzione arbitraria, ma semplicemente una precisazione è puntua­lizzazione ispirata dall'uso delle parole medesime nell'epistemologia moderna (22)/ ••'•'•,>,.<••,• -,,-,-.,-- ::••].',-:>'•:•,<. • •*;.• - ; . v .

Per brevità ci limiteremo ad adattare le definizioni al nostro lavoro, rinunciando a dare alle medesime un carattere di generalità, r • Gli enti astratti (componenti primitive), le successioni ed i limiti

(operazioni), gli assiomi 1), 2): e 3), costituiscono un « sistema », Precisamente, riferendoci sèmpre all'impostazione di KURATOWSKI,;

diciamo che al nostro « sistema (K)» è costituito da una parte morfologica e da una parte sintattica. La parte morfologica è formata daH'<< insieme / degli enti astratti », dall'« insieme S delle successioni », ad ognuna delle quali può essere, o meno, associato un (unico) nuovo ente che chiamiamo « il limite della successione ». La parte sintattica è costituita dai tre assiomi 1), 2) e 3),

Riassumendo:

Sistema. (K)

parte morfologica

parte sintattica

insieme / degli enti astratti insieme S delle successioni limiti associati a successioni

assioma 1 assioma 2 assioma 3

Definiamo « rappresentazione del sistema (K) » ciò che si ottiene conferendo un significato agli enti astratti del sistema. Nel sistema ottenuto si avrà, per esempio, un insieme / di punti, od un insieme / d i curve, ecc.. Naturalmente se, per esempio, gli enti diventano numeri, avremo un sistema nel quale le successioni di numeri saranno o menò convergenti, ma non in base alla definizione classica di CAUCHY dì limite, poiché questo nostro sistema è strutturato come il precedente nella sua parte morfologica. e sintattica e diffe­risce da quello soltanto perchè gli enti sono esplicitamente definiti.

Definiamo ora « interpretazione del sistema (K) » una «rappre­sentazione» dove la parte sintattica sia sostituita da una esplicita

(22) In particolare ci riferiremo a [12] e [13].

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definizione di limite. Il sistema costituito dall'insieme delle succes­sioni di numeri reali, associato alla definizione esplicita di limite secondo GAUCHY, costituisce perciò una « interpretazione del nostro sistema (K) ».

Finalmente definiamo il concetto di « modello » (23) come una « interpretazione nella quale le operazioni diano luogo a proposi­zioni vere ». La precedente interpretazione non costituisce perciò un modello. In essa le proposizioni affermanti la convergenza delle successioni q; N. e N. hanno corrispondenti nel «sistema (&)» proposizioni indecidibili. Con la definizione implicita di limite condizionata dalle 1), 2) e 3), non possiamo, per ogni successione q. N. e per ogni successione N., né affermare che è convergente né affermare che non è convergente. Naturalmente tali successioni perdono il carattere di mdecidibilità se, pur non esplicitando gli enti dell'insieme / , cioè mantenendoci su un piano sintattico, diamo una particolare esplicita definizione di convergenza.condizionata dai tre assiomi soliti. Naturalmente limitandoci alle banali successioni di Aq,Ai,A2 (ee., e., q. e.) si ha invece un «modello» per «ogni interpretazione di (K) ».

Se ora diciamo che « assiomatizzare una disciplina vuol dire costruire un sistema che abbia come suo modello la disciplina » (24), non possiamo affermare che in KURATOWSKI (ed a fortiori in FRÉCHET) si abbia una assiomatizzazione del concetto di limite.

In altre parole, il sistema (K), riguardato per esempio come assiomatizzazione della teoria del limite sulle successioni di numeri reali, non è semanticamente completo, pur essendo gli assiomi ovviamente coerenti ed indipendenti.

D'altra parte, anche da un punto di vista sintattico, il sistema (K) non è completo; se ci limitiamo invece alle successioni di A0, Ai, A2, otteniamo un sistema completo, ma ben poco significativo.

Parafrasando una locuzione che s'incontra nello studio dei semi­reticoli, potremo dire ancora che il concetto di limite, definito dagli assiomi di KURATOWSKI, non è un'astrazione fedele dei noti concetti classici di limite (25).

Ci sembra anche possibile stabilire un confronto ed un paralle-

(2S) Gfr. p.44 di [12] e p. 64 di [13]. (24) V.p.109 di [13]. (25) Cfr. [14] .

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lismo con quanto avvenuto per gli assiomi di PEANO, con le riserve dovute alle precedenti distinzióni di idee primitive in componenti primitive ed operazioni. Gli assiomi di KURATOWSKI, per espri­merci con una locuzione cara a SKOLEM, non caratterizzano per nulla il concetto di limite se non in casi irrisoriamente limitati. I postulati della geometria euclidea, privati del V°, non definiscono la geometria euclidea; gli assiomi di PEANO non caratterizzano la successione di numeri naturali; analogamente gli assiomi di KURA­

TOWSKI non caratterizzano il concetto di limite, ma l'insufficienza dei medesimi appare ben più grave di quella dei casi precedenti.

Dal nostro studio risulta còsi aperto un bel problema t « aggiun­gere nuovi assiomi in modo che il campo in cui il concetto di limite risulta caratterizzato, sia sempre più vasto ».

Viene anche del tutto spontaneo chiederci se pòssa esistere Uh teorema equivalente a quello di SKOLEM, teorema che quindi suo­nerebbe così: «un qualsiasi numero finito di assiomi non riuscirà mai a caratterizzare il concetto di limite nella sua accezione più completa».

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BIBLIOGRAFIA

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Diversi

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