Suicidio sergio 3e

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IL SUICIDIO La scelta di morire

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IL SUICIDIO

La scelta di morire

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Il termine suicidio, dal francese

suicide (uccidere se stesso), indica

l’azione volontaria con la quale una

persona causa la propria morte.

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Nel mondo antico la morte volontaria poteva

fare capo all’impossibilità di accettare la perdita

irrimediabile della propria dignità e del proprio

onore.

A fronte di un suicidio scelto come unica via

per ristabilire la propria onorabilità nella

memoria dei vivi, si ha anche il suicidio

disonorevole, quello che invece si compie per

codardia, per sottrarsi alla propria responsabilità

individuale, atto in sé paragonabile alla fuga.

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Più alla prima che alla seconda prassi va

ricondotto il suicidio ammesso da alcune

correnti filosofiche, nelle quali, a diverso titolo,

la morte volontaria trovava una sua ragion

d’essere per affermare aspetti particolari della

libertà individuale. Anche nel cristianesimo

delle origini alcune sette nordafricane

teorizzarono (e praticarono) il suicidio come

forma particolare di martirio: uccidendosi ci si

ricongiungeva a Dio.

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Proprio per reagire a tali eccessi, sant’Agostino

e in seguito altri vescovi cristiani

condannarono il suicidio come un doppio

crimine: chi si dà la morte infrange il divieto

divino di non uccidere e nega il valore sacro

della vita. Successivamente sulla base della

riflessione filosofica e delle istanze cristiane, il

suicidio, spogliato del suo valore eroico, venne

compreso pienamente nella sua dimensione

esistenziale.

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Chi si suicida infatti non è un eroe o un folle,

indotto a quel gesto solo da circostanze

esterne. Chi si suicida è un essere umano con

una storia personale fatta di incontri, relazioni,

desideri, gioie, delusioni, esperienze che lo

hanno portato a essere ciò che è e che pesano

sulla sua scelta di abbandonare la vita. Scelta

che ha sempre un significato personale: un

lutto, un insuccesso, una difficoltà, per la

maggior parte di noi sono superabili, ma per alcuni

significano la disperazione da cui non si può uscire

se non con la morte.

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Dal punto di vista medico-psichiatrico,

numerosi dati di letteratura indicano che è

sicuramente possibile prevenire il suicidio

nella popolazione generale, riducendo

drasticamente il numero di morti, mediante

apposite campagne di informazione e

attraverso programmi e centri di aiuto e

assistenza.

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Prima ancora che sulla legittimità del

suicidio come affermazione estrema

della libertà dell’uomo, dobbiamo

chiederci se sia sempre libertà vera

quella che si esercita quando si

sceglie di morire.

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Problemi etici

Secondo il sociologo francese Emile Durkheim

ci sono tre tipi di suicidio, che sono spesso

correlati fra di loro:

Il suicidio egoistico è motivato da un eccesso di individualismo: la persona si estrania dalla società civile e si isola da ogni realtà a lei esterna. Perde progressivamente il senso del reale e non riesce più a dare il giusto valore a ciò che le accade, fino a che non gli resta altro che la triste via del suicidio. Gli unici obiettivi non vanno al di fuori di noi stessi. L’io prevale sulla vita collettiva, vi è uno smisurato sviluppo dell’ego, il legame che unisce l’uomo alla vita si allenta proprio perché il legame che lo unisce alla società si è a sua volta allentato. Può accadere, però, che l’individuo sia integrato nella società in maniera del tutto inversa al suicida egoista ma si suicida lo stesso.

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Il suicidio altruistico che è invece motivato da

un eccesso di integrazione: l’individuo si

annulla all’interno del gruppo e per la causa

comune arriva a immolarsi. Si pensi, per

esempio, ai suicidi collettivi o agli attentati

suicidi. l’individuo non ha scelta, è soggiogato

alla sua società che lo tiene troppo legato a sé,

e preme per condurlo a distruggersi. Come lo

è ad esempio il capitano di una nave il cui

codice di comportamento gli impedisce di

sopravvivere al naufragio della stessa.

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Il suicidio anomico, presente nelle società

moderne, sembra collegare il tasso dei suicidi

con il ciclo economico: il numero dei suicidi

aumenta nei periodi di sovrabbondanza come

in quelli di depressione economica. È tipico

della persona aggressiva. È l’uomo che ha

subito una forte perdita e non riesce ad

accettare la situazione: entra così in uno stato

acuto di esasperazione e di odio verso la causa

remota di tutto, cioè se stesso, e si suicida.

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In nessuno di questi casi risulta che chi si

suicida voglia davvero morire. È come se con

questo gesto una persona protestasse non

contro la vita, ma contro ciò che, nella vita, non

è andato come avrebbe dovuto. In molti casi il

suicidio è un messaggio: si vuol gridare al

mondo la propria rabbia, si vuol dimostrare di

che cosa si è capaci, si vuole punire, si vuole

semplicemente uscire da una situazione

insopportabile.

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Di solito la discussione etica relativa al suicidio affronta

il problema della sua liceità. Il suicidio è condannato dai

fautori dell’etica della sacralità della vita, in base al

Principio dell’indisponibilità della vita. La vita è un dono

di Dio e solo Dio può toglierla. I sostenitori dell’etica

della qualità della vita invece rivendicano la legittimità

del suicidio. Quando le condizioni di vita, sia fisiche che

psicologiche, non sono più tollerabili o desiderabili, un

uomo ha il diritto di scegliere di morire. Il suicidio

chiama in causa la libertà e l’autonomia dell’essere

umano.

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L’etica quindi si interessa del suicidio inizialmente in

relazione al problema della volontà di morire; tuttavia,

se l’atto del suicidio rimanda alla richiesta estrema di

aiuto rispetto alla propria condizione esistenziale o

sociale, il problema etico di fondo non riguarda solo

più la liceità dell’atto di togliersi la vita, ma anche la

creazione delle condizioni umane e terapeutiche per

evitare l’atto estremo, riducendo la sofferenza

dell’individuo. Si può discutere, infatti, della libertà

dell’atto, solo quando esso è compiuto in una

condizione di piena consapevolezza, e non quando è

determinato da un particolare dolore psicologico.

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Si può ancora ricordare che il problema di dare a se

stessi volontariamente la morte è stato anche un

problema filosofico di notevole importanza; più di un

sistema filosofico, dallo stoicismo classico fino

all’esistenzialismo del Novecento, lo ha introdotto come

scelta possi­bile e matura in relazione a condizioni

esterne (ad esempio di tipo politico) o interne all’individuo,

quando questo condivide in modo profondo e responsabile

un intero sistema ideale di riferimento (ideale filosofico). In

questo caso l’atto della morte volontaria risponde a una

precisa volontà ed è inteso come un atto pienamente

autonomo e riconducibile a un sistema etico che lo

riconosce come un atto lecito e dovuto alla propria dignità

personale.

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Posizione delle diverse religioniINDUISMO:

L’induismo esprime una condanna assoluta nei

confronti del suicidio. Il suicidio infatti aumenta

il karma (azioni, opere compiute) negativo

individuale, diventando un impedimento alla

liberazione finale. commettere suicidio è spesso

considerato un peccato alla stregua dell’omicidio

di un’altra persona, con la possibile eccezione

della pratica del sati. Le scritture affermano

genericamente che morire per suicidio (e per

ogni tipo di morte violenta) porta a diventare un

fantasma, destinato a vagare sulla terra fino al

momento in cui si sarebbe dovuti morire se non

ci si fosse suicidati.

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BUDDISMO:

Per il buddhismo il suicidio è un atto irrazionale.

Chi sceglie la morte come soluzione del problema

della sofferenza è ignorante, nel senso che non sa

che il dolore si elimina staccandosi dalla vita e dai

desideri che generano sofferenza, fino al

raggiungimento del nirvana, lo stato supremo di

beatitudine. Tuttavia il suicidio è ammesso purché

non sia motivato da odio verso se stesso o gli

altri. Per il Buddismo, le azioni passate

influenzano pesantemente le esperienze presenti

dell’individuo; le azioni presenti, a loro volta,

diventano influenza per le esperienze future (la

dottrina del karma). L’azione intenzionale della

mente, del corpo o del linguaggio ha una

reazione. Tale reazione, o ripercussione, è la causa

delle condizioni e delle differenze in cui ci

imbattiamo nel mondo.

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CONFUCIANESIMO:

Nel confucianesimo antico, che sopravvive ancora oggi nel

profondo della cultura cinese, il suicidio era considerato un

atto estremo, una protesta nei confronti di una grave offesa

subita. Chi riceveva l’offesa si suicidava e il suo suicidio

procurava pubblica vergogna e di­sonore per colui che aveva

causato l’offesa.

ISLAM:

L’islam condanna il suicidio perché, come recita il Corano,”

Chiunque uccida una persona è come se avesse ucciso tutta

l’umanità, e chiunque salvi una persona è come se avesse

salvato tutta l’umanità”. Tuttavia per i fondamentalisti islamici,

morire mentre si combatte per Allah, è un gesto che procura

onore e felicità nell’aldilà. Il divieto di suicidio è stato

riscontrato anche in un hadith che dice: “Colui che commette

suicidio strozzandosi, continuerà a strozzarsi nel Fuoco

(Inferno), e chi commette suicidio pugnalandosi, continuerà a

pugnalarsi nel Fuoco.

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EBRAISMO:

L’ebraismo considera il suicidio un peccato

contro Dio. La vita è un dono di cui l’uomo

deve avere cura ed essere grato a Dio. Assistere

a un suicidio e chiedere assistenza per un

suicidio (creando complicità) è altresì vietato. Ciò

non ha impedito alla cultura ebraica di ricordare

come un fatto positivo e di alto contenuto

morale il suicidio-omicidio del Giudice Sansone,

che si leva la vita e la leva ai Filistei da cui era

stato fatto prigioniero e accecato dopo essere

stato catturato dalla sua amante Dalila, come

narrato in quel libro stesso dell'Antico

Testamento.

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CHIESA ORTODOSSA, PROTESTANTE E CATTOLICA:

Mentre la Chiesa ortodossa considera il suicidio un peccato mortale,

le Chiese protestanti non lo condannano formalmente.

Per la Chiesa cattolica il suicidio è un atto contrario alla sa­cralità

della vita e alla dignità della persona e in quanto ta­le da

condannare. È un atto che rifiuta la verità ed esprime va­lori

incapaci di esprimere la libertà.

Il suicidio viene affrontato nella parte III sezione II del Catechismo

della Chiesa cattolica ai numeri 2280-2283.

In particolare al n. 2280 si afferma: “Ciascuno è re­sponsabile della

propria vita davanti a Dio che gliel’ha donata. Egli ne rimane il

sovrano Padrone. Noi siamo tenuti a riceverla con riconoscenza e a

preservarla per il suo onore e per la salvezza delle nostre anime.

Siamo gli amministratori, non i proprietari della vita che Dio ci ha

affidato. Non ne disponiamo”.

Ma si parla anche di attenuazione della responsabilità del suicida in

presenza di gravi disturbi psichici o di an­goscia davanti a torture e

sofferenze. Interessante è la conclusione al n. 2283: “Non si deve

disperare della salvezza eterna delle persone che si sono date la

morte. Dio, attraverso le vie che solo Lui conosce, può loro

preparare l’occasione di un salutare pentimento. La Chiesa prega per

le persone che hanno attentato al­la loro vita”.

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Lavoro svolto da:

Teresa Sergio