Rischio suicidio

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Edoardo Giusti - Federica Bruni in collaborazione con Maurizio Pompili

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Prevenzione e trattamento integrato nelle relazioni d'aiuto

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Edoardo Giusti - Federica Bruniin collaborazione con Maurizio Pompili

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Tentare di procurarsi la morte o pensare di togliersi

la vita sono atti e fantasie che sfiorano spesso

drammaticamente le menti depresse e disperate.

Il testo consente di valutare con accuratezza

i fattori di rischio per gli utenti in terapia e di gestire

le emergenze. Risulta di estrema utilità

per i professionisti della salute mentale

per dare risposte tempestive e di prevenzione basate

sulla stima del pericolo possibile o imminente.

Euro 19,00

Edoardo Giusti,Presidente dell’ASPIC e direttore della Scuola di specializzazione inPsicoterapia Integrata autorizzata con Decreto Ministeriale. È professorea contratto presso la Scuola di specializzazione in Psicologia Clinicadell’Università degli Studi di Padova. Svolge attività di ricerca clinica edi supervisione didattica per psicoterapeuti. Autore di 90 volumi.

Federica Bruni,Psicologa e psicoterapeuta, svolge attività professionale privata aRoma. Attualmente collabora con l’I.R.C.C.S. Fondazione Santa Lucia diRoma occupandosi in particolare della riabilitazione dei disturbi cogni-tivi secondari a coma prolungato e dell’assistenza e del reinserimentofamiliare, sociale, scolastico e lavorativo dei pazienti post-comatosinonché del sostegno psicologico alle famiglie dei pazienti stessi.

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collana Psicoterapia & Counselingdiretta da Edoardo Giusti

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Centro Europeo di Ricercheper lo Studio delle Psicoterapie

Integrate e Comparate

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Edoardo Giusti - Federica Bruni in collaborazione con Maurizio Pompili

RISChIo SuICIdIoPrevenzione e trattamento integrato

nelle relazioni d’aiuto

OVERA EDIZIONI

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© 2009 SOVERA MULTIMEDIA s.r.l.Via Vincenzo Brunacci, 55/55A - 00146 ROMAwww.soveraedizioni.itemail: [email protected]

I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi.

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Sommario

Introduzione 9

Capitolo 1: Il suicidio 151.1 Definizione 151.2 Le origini ed il pensiero cristiano 161.3 Il suicidio nella letteratura e nel pensiero moderno

(brevi cenni) 181.4 Emil Durkheim e la lettura sociologica del suicidio 201.5 Alcuni dati epidemiologici 23

Capitolo 2: Fattori di rischio nella popolazione generale 272.1 Fattori di rischio e valutazione del rischio di suicidio 272.2 Fattori di rischio biopsicosociali 272.3 Fattori di rischio ambientali 272.4 Fattori di rischio socioculturali 282.5 Fattori di protezione 292.6 Patologia psichiatrica e rischio di suicidio 332.7 Fattori biologici del suicidio 35

Capitolo 3: Riconoscere e gestire il rischio di suicidio 393.1 Segnali di allarme 393.2 Come gestire il rischio di suicidio 423.3 Il rischio di suicidio nell’adolescente 483.4 Il rischio di suicidio nell’adulto 503.5 Il rischio di suicidio nell’anziano 51

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Capitolo 4: Il rischio di suicidio in psicoterapia 534.1 La psicoterapia come trattamento del rischio di suicidio 534.2 L’emergere del rischio di suicidio in psicoterapia 654.3 Psicoterapia e resilienza 684.4 Alcuni strumenti diagnostici e psicometrici 734.5 Gli errori e i rischi durante il trattamento 884.6 I fattori controtransferali 904.7 Il ruolo della supervisione 944.8 Le reazioni del terapeuta al suicidio del paziente 964.9 La psicoterapia ai sopravvissuti 100

Conclusioni 107

Bibliografia 111

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«Non ho che la mia vita che io subito metto allo sba-raglio appena si profila una qualche difficoltà. La danza allora è facile; perché il pensiero della morte è un’abile ballerina, è questo la mia compagna di ballo, ogni altro uomo è per me troppo pesante».

Sören A. Kierkegaard

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Introduzione

Quando ho iniziato questo lavoro non immaginavo quanto affa-scinante potesse essere per me l’argomento. In realtà ho potuto com-prendere profondamente alcune delle dinamiche legate al concetto di morte come scelta.

Ho imparato che la morte può essere una scelta, una via di uscita, certamente inadeguata, ma presente all’interno della vasta gamma delle possibilità umane. E come tale ha bisogno di essere ascoltata, considerata, compresa. Questo lavoro ha rappresentato per me stessa un’occasione per apprendere, studiare e acquisire strumenti preziosi per imparare ad affrontare il concetto, spesso taciuto e negato, del dolore che sottende la morte per suicidio.

Il lavoro affronta una parte del vastissimo argomento del suicidio e precisamente nasce e vuole essere contenuta nell’ambito delle re-lazioni di aiuto.

Questo impone dei precisi confini. All’interno del breve excursus iniziale che ripercorre gli impor-

tanti cambiamenti che il concetto di suicidio ha subito nel corso del-la storia del pensiero letterario e religioso, si può apprezzare come il suicidio stesso abbia incontrato ora il plauso sociale ora una netta riprovazione morale. Interessante è scoprire che accanto al suicidio vissuto come scelta squisitamente individuale e esistenziale, attra-verso Leopardi nel Dialogo di Plotino e Porfirio si fa strada l’impor-tante concetto del dolore capace di rendere la vita insopportabile dei “superstiti” al suicidio di un proprio caro.

Con il lavoro di Durkheim il suicidio entra nelle scienze sociali spostando completamente la prospettiva verso situazioni extrasog-gettive, cioè sociali.

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Attraverso l’analisi dell’autore e la sua distinzione delle tipologie di suicidio è possibile rilevare quanto la società sia sempre e forte-mente presente come causa del suicidio del singolo individuo.

In seguito vengono affrontati i fattori di rischio presenti nella popolazione generale, distinti in fattori biopsicosociali, ambientali e socioculturali. Il comportamento suicidario è incrementato dalla presenza di fattori di rischio anche se è importante la lettura del fe-nomeno come complesso e altamente individuale. Infatti basandoci soltanto sulla conoscenza dei fattori di rischio proporremmo un al-tissimo numero di falsi positivi.

All’interno di questo capitolo vengono affrontati anche i fattori di protezione che attengono al processo di resilienza. Conoscendo le teorie e i fattori che concorrono al processo di resilienza, il clini-co può ampliare la sua valutazione del rischio tenendo conto anche dei fattori di protezione e delle risorse che la persona ha e che può incrementare.

Anche i disturbi psichiatrici rappresentano un importante fattore di rischio di suicidio. Le teorie basate sui fattori biologici del suici-dio, aprono nuove prospettive nello studio dei “fattori di rischio”.

Particolarmente utile per il clinico è la conoscenza dei segnali di allarme che permettono di riconoscere e di saper gestire un rischio di suicidio. Si tratta di alcune caratteristiche che contraddistinguo-no lo stato mentale della persona potenzialmente suicida. Una certa percentuale di suicidi può e deve essere prevenuta e a tal fine risulta utile e importante conoscere i segnali di allarme. Tra questi l’impul-sività, che indica la transitorietà dell’atto stesso e quindi sottolinea l’importanza dell’aiuto che possiamo fornire per gestire l’emergenza che risiede alla base dell’impulso suicida.

Per poter aiutare una persona in una situazione di crisi quando gli abituali stili di coping sembrano perdere ogni efficacia, davve-ro fondamentali risultano essere alcune caratteristiche del terapeuta stesso e in particolare l’inclinazione ad una disponibilità personale. Proprio a causa della grave natura di una situazione di crisi in grado di ingenerare un tentativo di suicidio, chi sceglie di farsene carico deve essere sempre rintracciabile. L’ascolto attivo ed empatico aiuta ad apportare sollievo a quel dolore mentale insopportabile.

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La poca preparazione in questo specifico campo, unita alla ine-vitabile paura provocata dal paziente a rischio di suicidio guida gli psicologi a sottrarsi alla presa in carico di questi pazienti. Il risultato è un’ulteriore difficoltà di accedere a un percorso di sostegno psico-logico per i pazienti a rischio di suicidio.

L’ingrediente base del suicidio secondo Shneidman, che ha tra-scorso la vita guidato dalla sua passione per questi studi, è il dolore mentale definito “psychache”. L’obiettivo della terapia per il pazien-te a rischio di suicidio deve essere, quindi, quello di ridurre questo tormento concentrandosi sulla radice e la fonte dello psyachache. Il suicidio non può e non deve apparire come l’unica tra le soluzioni.

Nonostante non esista una sola spiegazione per l’atto suicidario poiché ogni persona è unica, è richiesta al terapeuta una visione il più possibile obiettiva nei confronti di questo fenomeno. Compe-tenza difficile da conseguire poiché implica inevitabilmente il con-fronto con il concetto di morte. La morte per il paziente suicidario può raffigurare il guaritore poiché può e sa interrompere il dolore mentale che risulta essere umanamente insopportabile. L’individuo a rischio di suicidio, infatti, sperimenta un restringimento delle op-zioni normalmente disponibili a due.

Tra i compiti dello psicoterapeuta c’è anche quello di agevolare la consapevolezza delle emozioni e rinforzare i fattori di protezione, cioè la capacità di resilienza del paziente. Di fronte a una nuova mi-naccia o crisi la persona potrà attingere dai nuovi strumenti acquisiti e ritrovare la speranza in grado di contrastare la visione tunnel dovu-ta al crollo di ogni risorsa.

Di capitale importanza, nell’ottica della prevenzione del suicidio, risulta essere l’accurata valutazione del rischio prima di stabilire un piano di trattamento. Tra le false credenze che ruotano attorno al suicidio c’è quella che vuole che il medico non debba indagare diret-tamente e apertamente la possibile ideazione suicidaria nell’ipotesi, errata, che questo possa facilitare l’agito. Allo scopo di poter valuta-re, predire e prevenire il suicidio vengono descritti alcuni strumenti diagnostici e psicometrici. Questi strumenti risultano particolarmen-te utili come completamento di un’accurata valutazione generale del fattore di rischio di suicidio.

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Di grande utilità per il clinico che vuole occuparsi di questa pro-blematica è la conoscenza degli errori e dei rischi che il terapeuta può correre durante la psicoterapia e che non aiutano il buon esito del trattamento o addirittura possono fungere da elementi precipi-tanti.

Un’opinione condivisa è che il paziente a rischio di suicidio su-sciti nel terapeuta una forte dose di ansia poiché il trattamento di questo genere di paziente assume gli aspetti di una vera e propria sfida mettendo il clinico a confronto con i fantasmi di morte, di se-parazione e con le proprie abilità professionali. Il modo migliore di monitorare la terapia è la presa di coscienza, da parte del terapeuta, delle proprie reazioni controtransferali che progressivamente si svi-luppano nel corso della terapia sapendole accettare e gestire.

Fondamentale, in questo come anche in altri ambiti di intervento psicologico, è il ruolo della supervisione, poiché la presa in carico di pazienti a rischio di suicidio può provocare uno stress lavorativo in grado di innescare sistemi di difesa nel terapeuta. La supervisione rappresenta una fonte importante di sostegno e di contenimento del-lo stress professionale.

Poca attenzione è stata finora dedicata a un argomento che ne meriterebbe molta: le reazioni emotive del terapeuta al suicidio di un suo paziente. Questo rappresenta un vero e proprio rischio pro-fessionale poiché ha un impatto veramente alto sulla vita sia privata che professionale del terapeuta. Vengono descritti, in questo lavoro, la variegata gamma di reazioni emotive innescate da questo grave evento e i meccanismi di difesa a esse correlate. Queste reazioni, anche se umanamente comprensibili, rendono maggiormente diffi-coltoso e potenzialmente patologico il percorso di rielaborazione del lutto da parte del terapeuta.

Snheidman afferma che chi commette suicidio pone il proprio scheletro psicologico nell’armadio di chi gli sopravvive imponendo-gli di occuparsi di sentimenti negativi riguardanti il possibile ruolo nell’aver generato o comunque non saputo evitare il suicidio. I sur-vivors, cioè i sopravvissuti, sono coloro che hanno perso una perso-na cara per suicidio. Questa esperienza comporta un percorso di rie-laborazione del lutto complicato da alcuni sentimenti provocati dalla

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morte scelta dal proprio caro. Il dolore è molto profondo e segue un percorso per definizione non lineare, ma squisitamente soggettivo e non necessariamente progredisce verso una risoluzione. L’American Association of Suicidology riporta che negli Stati Uniti si registrano circa 31.000 suicidi ogni anno e che per ognuno di questi almeno 6 persone rimangono emotivamente colpite dall’evento. I sopravvis-suti, quindi, sono la più numerosa comunità di vittime con disturbi mentali connessi al suicidio nonché potenziali soggetti a rischio di suicidio.

Ne consegue l’importanza del sostegno psicologico dedicato ai sopravvissuti, orientato all’accettazione, che non significa compren-sione, ma semplicemente saper accettare la realtà come possibilità di risoluzione del conflitto interno provocato dai sentimenti spesso contrastanti che accompagnano un lutto per suicidio.

Il suicidio è il rimedio estremo a uno stato di dolore emotivo in-tollerabile, il crollo di ogni speranza e risorsa.

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Capitolo 1Il suicidio

1.1 Definizione

La parola “suicidio” appare tardivamente in tutte le lingue e sembra sia stata usata per la prima volta dall’abate Desfontaines nel 1737. Nonostante abbia origini latine, il termine suicidio non era affatto conosciuto nella Roma classica e neanche nei secoli succes-sivi.

Iniziò ad essere utilizzato alla metà del Seicento in Inghilterra, quando l’atteggiamento della società nei confronti di questo gesto iniziava a mutare. In francese, spagnolo, italiano e portoghese ap-parve ancora più tardi. Prima della comparsa di questo termine, per descrivere il volontario atto di porre fine alla propria vita sono state utilizzate parole come: autouccisione, autodistruzione e autostrage, che tradiscono apertamente lo stretto rapporto con l’omicidio (Au-gugliaro, 1985). Certo a nessuno è dato di conoscere chi fu il primo uomo ad uccidersi.

Oggi nel linguaggio comune per suicidio si intende l’atto con cui ci si dà la morte di propria volontà. L’Organizzazione Mondiale del-la Sanità (OMS) nel 1999 ha considerato il suicidio come un proble-ma non ascrivibile ad una sola causa o ad un preciso motivo. Sembra piuttosto derivare da una complessa interazione di fattori biologici, genetici, psicologici, sociali, culturali ed ambientali. Il suicidio è un fenomeno complesso che ha attirato, nel corso dei secoli, l’attenzio-ne di filosofi, teologi, medici, sociologi ed artisti.

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1.2 Le origini ed il pensiero cristiano

L’evoluzione della storia del pensiero ha comportato profonde tra-sformazioni nei giudizi che hanno accompagnato il gesto del suicidio. Aristotele, nell’Etica nicomachea, affronta il problema da una pro-spettiva giuridica, e considera il suicidio un atto che la legge vieta; come diretta conseguenza, chi lo commette si macchia di un’ingiusti-zia verso se stesso e verso la “polis”. Già il suo maestro Platone non ammetteva il suicidio se non per una necessità assolutamente inelut-tabile. In particolare, nella Repubblica, Platone si dichiara a favore di una medicina che aiuti i malati inguaribili a morire, perché non ritiene giusto mantenere in vita persone che non hanno un ruolo attivo nella società. Nel Fedone espone, invece, i motivi che portano la scuola pi-tagorica a proibire il suicidio: la ragione di questa proibizione deriva dal ritenere che gli dèi abbiano collocato le anime degli uomini nei corpi e di conseguenza il suicidio violerebbe il loro stesso volere. Infi-ne, sempre Platone, nelle Leggi, concepisce tale atto solo come possi-bilità di salvezza dell’animo umano, quando il comportamento di una persona è malvagio e senza alcun rimedio (HoweColt G., 1991).

Lo stoicismo è forse uno degli esempi più noti di filosofia che accetta il suicidio e, anzi, in determinate condizioni, lo descrive come un atto naturale. I filosofi stoici, infatti, considerano la filoso-fia come l’arte del corretto vivere e del morire bene sostenendo che ogni uomo deve essere libero di decidere quando porre termine alla propria vita.

Seneca, nella Lettera LXX, sostiene che morire al momento giu-sto è una dimostrazione di libertà morale, purché la scelta sia fatta razionalmente. Coerentemente con le sue affermazioni, egli ha posto fine alla propria vita con un atto volontario. Va sottolineato che, an-che nello stoicismo, il suicidio è ammesso non come fuga, ma unica-mente quando il proprio dovere è stato interamente compiuto.

Nel III sec. d.C. Plotino scrive un trattato sul tema del suicidio (Enn. I 9 [16]). Data la sua visione panteista, egli critica aspramente le posizioni dello stoicismo. La vita stessa, nel suo pensiero, è con-cepita in senso divino, quale prodotto ultimo della processione da Dio. Il suicidio provoca allora un danno all’anima, che viene espulsa

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forzatamente dal corpo ed in maniera del tutto innaturale. La vita è inoltre concepita come un percorso evolutivo che permette di elevar-si attraverso la legge che regola il ciclo delle reincarnazioni. L’idea che scaturisce da quest’ultimo concetto è che il rango che ciascuno avrà nell’aldilà corrisponda alla sua condizione al momento della morte. Il suicidio, quindi, bloccherebbe in maniera irrimediabile qualunque possibilità di progredire.

Se il suicidio affrontato per una causa ritenuta giusta è legittimato da alcuni filosofi antichi, la totale condanna di questo gesto è solita-mente presente nelle filosofie cristiane o che hanno subito l’influsso del cristianesimo (HoweColt G., 1991). Questo concetto, che mol-to influenza la nostra cultura occidentale e che tanta evidenza di sé mostra nell’attuale pensiero cristiano, merita una digressione storica che ne chiarisca, in parte, l’origine. I primi cristiani ostentavano una certa indifferenza verso il concetto di morte, derivata dall’indiffe-renza verso la vita stessa che veniva concepita quale luogo di pas-saggio ricco di forti tentazioni a compiere peccati. La morte, invece, apriva le porte del paradiso, della gloria eterna. Proprio quest’ultimo aspetto costituì per i primi cristiani la motivazione verso il suicidio e verso forme di martirio che assicuravano l’accesso al Regno dei Cie-li con perdono immediato di ogni peccato commesso. Questa bra-ma di martirio raggiunse spesso livelli preoccupanti, come avven-ne per i Donatisti, che furono poi dichiarati eretici dalla Chiesa. Fu Sant’Agostino, contemporaneo dei Donatisti, a sottolineare il dilem-ma logico dell’insegnamento cristiano: se il suicidio era permesso per evitare il peccato, allora diveniva la logica conseguenza per tutti coloro appena usciti dal battesimo. Questa considerazione lo spinse a frenare la corsa al suicidio-martirio non soltanto condannandolo, ma rileggendolo come peccato mortale in quanto implicante neces-sariamente l’opporsi a Dio ed alla sua volontà. Furono, quindi, le battaglie di Sant’Agostino contro il suicidio e l’uso eccessivo del martirio a capovolgere l’opinione nei confronti di questo gesto.

La riprovazione morale verso il suicidio diviene allora netta.Una conferma significativa è costituita dalla severità con cui ve-

niva condannato il suicida. Nel 533 d.C. il Concilio di Orléans negò le esequie funebri a chiunque si uccidesse mentre era sotto giudizio

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per qualche crimine commesso. Nel 562 d.C. il concilio di Praga vietava il rito funebre a tutti i suicidi, indipendentemente dalla loro posizione sociale, dai motivi e dal metodo seguito. Infine nel 693 d.C. il concilio di Toledo estese la scomunica anche a coloro che avevano soltanto tentato il suicidio.

La Chiesa aveva così risolto un problema importante che, anche se inizialmente aveva contribuito alla sua stessa origine, in seguito aveva rappresentato un grande rischio in quanto minaccia per la sua stessa sopravvivenza. Giuda Iscariota fu considerato un peccatore non tanto per il tradimento di Cristo, ma per essersi suicidato (Au-gugliaro F., 1985).

Il divieto di sepoltura religiosa, sia pure con alcune precisazioni e senza escludere eccezioni, si è mantenuto fin quasi ai nostri giorni.

1.3 Il suicidio nella letteratura e nel pensiero moderno (brevi cenni)

Dopo una condanna praticamente unanime, ricompare un’esalta-zione del suicidio a partire dal secolo XVIII, nel contesto dell’indivi-dualismo e soggettivismo illuministico, con la connessa concezione della libertà come rifiuto di ogni dipendenza da qualunque autorità e da princìpi o riferimenti religiosi. Il suicidio viene esaltato quasi come l’affermazione emblematica di questa libertà individuale. Ne è esempio il pensiero di Vittorio Alfieri, che intende il suicidio come atto non di debolezza ma di ribellione. Quando gli ostacoli della vita diventano insormontabili e l’uomo si sente sopraffatto da un destino che lo condanna inesorabilmente alla sconfitta, il gesto del suicidio è una forma di protesta contro ciò che il destino gli ha riservato.

Nella sua opera I dolori del giovani Werther (1774), Johann Wolf-gang Goethe descrive alla perfezione il contrasto tra anima raziona-le e anima sentimentale, affrontando il tema dell’infelice passione d’amore che raggiunge l’estrema sofferenza quando Werther appren-de che il suo amore è ricambiato ma non potrà essere vissuto. Questo romanzo è considerato il componimento letterario rappresentativo dello “Sturm und Drang”. Dopo la sua pubblicazione, si registra a

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partire da Lipsia una vera e propria mania per la figura letteraria di Werther da parte dei giovani tedeschi, che imitano persino l’eccen-trico modo di vestirsi del personaggio. Spesso succede anche che il dolore per amore dei giovani sfoci nel suicidio, che, dopo secoli di condanna, veniva ora stoicamente rivalutato come prova di sensibi-lità e affermazione di libertà. Goethe stesso venne a conoscenza dei drammi seguiti al suo romanzo, tanto che il 16 gennaio 1778 parte-cipò alla veglia funebre per una dama di corte che si era annegata in un fiume, a poca distanza dalla casa dello scrittore, tenendo in mano una copia del suo romanzo.

L’opera viene aspramente criticata dal clero e da molti benpen-santi, e si arriva perfino a vietare lo scritto giudicandolo immorale, nel tentativo di contenere l’ondata di suicidi che seguirono alla let-tura del romanzo.

L’opera di Goethe influenza la letteratura successiva e registra di-versi tentativi di emulazione anche in Italia, come quello compiuto da Foscolo con il suo libro Le ultime lettere di Jacopo Ortis (1799). Ugo Foscolo racconta una storia praticamente identica introducendo però il motivo politico-patriottico, tipico del Romanticismo italiano. Il protagonista delle Ultime lettere di Jacopo Ortis si suicida, atto che è insieme una liberazione e una protesta: liberazione dal dolore e pro-testa contro la natura, che ha destinato l’uomo all’eterna infelicità.

Il suicidio è altresì un tema diffuso nella letteratura dell’Ottocen-to ed è legato alla perdita delle illusioni. Giacomo Leopardi fa una distinzione su quelli che potevano essere i motivi di suicidio per le genti del passato e quelle della sua epoca. Sostiene che gli antichi si suicidavano «per eroismo per illusioni per passioni violente»; men-tre i suoi contemporanei si suicidano perché sono «stanchi e dispe-rati di questa esistenza». Il suicidio non può essere considerato un atteggiamento folle, ma al contrario la conseguenza di un logico ra-gionamento, di una fredda analisi razionale. L’ottica cambia nel Dia-logo di Plotino e Porfirio, dove il suicidio è visto come un errore, una viltà, in quanto provoca ulteriore dolore nei superstiti rendendo loro più insopportabile la vita. Infine nella poesia La quiete dopo la tempesta Leopardi condanna definitivamente il suicidio relegandolo a un gesto di codardia dinanzi all’infelicità e alla noia.

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Anche nella letteratura del Novecento il suicidio assume una par-ticolare importanza, per la crisi che attraversa questo secolo in se-guito allo sviluppo della società di massa.

Grazie alla riscoperta di autori contrari al positivismo come Ar-thur Schopenhauer, si afferma la coscienza della crisi dei valori mo-rali tradizionali. La guerra contribuisce a modificare l’immaginario collettivo.

Italo Svevo, che nella sua produzione letteraria è influenzato an-che del Decadentismo, nel suo romanzo Una vita (1892) racconta una storia che si conclude con un suicidio che permette al protagoni-sta di sottrarsi ad un mondo che sembrerebbe non meritarlo.

Al di là di ogni altra accezione, il suicidio rappresenta anche un problema filosofico, in quanto connesso agli interrogativi concer-nenti il senso stesso dell’esistere.

Nel Mito di Sisifo Albert Camus si interroga su come restituire un senso umano al vivere in un mondo assurdo, sintetizzando così il suo pensiero: «Esiste per la filosofia un solo vero problema, ed è il problema del suicidio. C’è per la filosofia una sola vera domanda alla quale la filosofia stessa deve cercare di dare una risposta. La domanda è: “La vita vale la pena di essere vissuta oppure è il caso di non viverla?”. Perché viviamo? Perché continuiamo a vivere? Per-ché non decidiamo, vista l’assurdità dell’esistenza, di smettere di vivere?».

La conclusione logica dell’assurdità dell’esistenza sembrerebbe essere proprio il suicidio (Hillman J., 1964, 1997).

1.4 Emil Durkheim e la lettura sociologica del suicidio

La configurazione del suicidio come fenomeno sociale si inizia a delineare nel secolo XIX, quando in vari Stati dell’Europa quali Francia, Inghilterra, Svezia, Prussia, si registra una chiara esplosio-ne nella diffusione di questo fenomeno.

Non sorprende, quindi, che i primi studi sistematici sul suicidio provengano proprio dai sociologi. Rimane tuttora classico lo studio di uno dei fondatori della sociologia moderna, Emil Durkheim, Le

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suicide, pubblicato nel 1897. In questo testo l’Autore propone di de-finire il suicidio come «ogni caso di morte direttamente o indiretta-mente risultante da un atto positivo o negativo compiuto dalla stessa vittima pienamente consapevole di produrre questo risultato».

Proprio attraverso il lavoro di Durkheim il suicido modifica la propria area di appartenenza uscendo dall’ambito della religione e quindi della morale, per entrare a pieno titolo in quello delle scienze sociali. Il passaggio successivo lo porterà nell’ambito delle discipli-ne psicologiche e psichiatriche. C’è uno spostamento di prospettive dall’individuo alla società.

Ancora oggi il lavoro di Durkheim si impone a chiunque intenda affrontare l’argomento del suicidio per uno studio approfondito. A questo inizio segue negli anni successivi un interesse particolare per tale comportamento umano.

Secondo Durkheim il suicidio rappresenta un fenomeno connes-so a situazioni extrasoggettive che riguardano la società, i suoi con-testi e i suoi gruppi, all’interno dei quali l’individuo è chiamato a confrontarsi quotidianamente. La religione, la famiglia, la società, la politica sono elementi importanti da osservare, secondo Durkheim, il quale riconosce a queste istituzioni un ruolo preminente rispetto ai tassi di suicidio osservati.

Secondo la legge sociologica generale formulata dall’autore stes-so, il rapporto tra il grado d’integrazione dei gruppi sociali di cui l’individuo è parte ed il suicidio varia, in maniera inversa. Lo stato d’integrazione di un aggregato sociale non fa che riflettere l’inten-sità della vita collettiva. In altre parole, quanto più un aggregato as-sume sembianze sociali divenendo un gruppo compatto e solidale, tanto più l’individuo che ne fa parte è forte e preservato dal suicidio. Come è noto Durkheim distingue sostanzialmente tre tipi di suicidio: il suicidio egoistico, il suicidio altruistico ed il suicidio anomico.

La prima tipologia di suicidio è motivata da un eccesso di indivi-dualismo: la persona si sente estranea al proprio gruppo, e lo scarto fra i suoi desideri e la loro possibilità di realizzazione nell’ambito della società diventa a poco a poco incolmabile. L’individuo, quin-di, non è integrato in maniera adeguata, bensì è costretto a fare af-fidamento esclusivamente sulle proprie risorse senza poter contare

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sull’aiuto esterno. La scomparsa della famiglia patriarcale, come anche il disgregarsi di uno Stato totalitario oppressivo, ma dere-sponsabilizzante, sono elementi che possono contribuire al vissuto di solitudine e carenza di identità.

Il suicidio altruistico rappresenta, invece, un’espressione di forte coesione sociale dove l’Io risulta interamente annullato. La persona è talmente integrata nel proprio gruppo da identificarsi pienamente con esso e con i suoi valori, che diventano la parte centrale e più preziosa del Sé. Questo tipo di suicidio si può riscontrare sia in so-cietà primitive caratterizzate da una massiccia identificazione con il gruppo, sia in società moderne dove i valori religiosi, morali e civili arrivano a contare più della propria vita.

Il terzo tipo di suicidio descritto da Durkheim è il suicidio ano-mico. La sua frequenza tende ad aumentare in periodi di crisi econo-mica o, inaspettatamente, in fase di estrema prosperità, a causa della mancanza di riferimenti, norme e valori socialmente condivisi. Dal punto di vista psicologico il suicidio anomico è motivato general-mente dalle delusioni e dalle frustrazioni causate dai rapporti sociali. Ci troviamo di fronte ad un tipo di suicidio differente dagli altri, per-ché differente è, appunto, il ruolo della società, la cui peculiarità sta nel disciplinare l’individuo. È il rischio che si verifica nelle socie-tà le cui rapidissime trasformazioni sono difficili da metabolizzare per i membri che ne fanno parte. Com’è possibile rilevare da questa classificazione delle tipologie di suicidio, la società è sempre ben presente come causa del suicidio stesso.

Nel primo caso, il suicidio egoistico, la società è disgregata in parte o anche nel suo insieme, lasciandosi sfuggire l’individuo, che non scorge più una ragione per rimanere in vita, in quanto l’esistenza è per lui senza oggetto e significato. Nel suicidio altruistico la socie-tà è fin troppo presente, schiaccia l’uomo, inducendolo ad uccidersi. L’unico che per i suoi aspetti si differenzia dai precedenti è il suici-dio anomico; la società in questo caso ha un ruolo peculiare come causa estrema. L’uomo ha bisogno di riferimenti e valori, di forze che lo trattengano in vita, ma la società glieli nega, lasciando che si perda nel vuoto (Augugliaro, 1985; Durkheim, 1897).

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1.5 Alcuni dati epidemiologici

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) negli ultimi cinquant’anni i tassi di suicidio sono aumentati in maniera significativa in diversi paesi a e attualmente il suicidio rappresenta una delle tre principali cause di morte tra le persone di età compresa tra i 15 e i 44 anni. Nel solo anno 2000 sono stati registrati circa un milione di suicidi e nel 2002 si sono verificati in tutto il mondo circa 877 000 morti per suicidio, che danno luogo a un tasso pari al 16 per 100 000 abitanti (Bertolote e Fleischmann, 2005). Va sottolineato che questi dati non tengono conto dei tentativi di suicidio, i quali sono da dieci a venti volte più frequenti dei suicidi riusciti.

Le differenze tra i paesi sono notevoli e i livelli di mortalità per suicidio variano anche di 10 volte tra un paese e l’altro. L’Italia si colloca fra i Paesi europei con i più bassi livelli di morti per suicidio con circa 4000 casi ogni anno. Tassi analoghi si rilevano in Spagna e Grecia, quest’ultima presentando il valore più basso in assoluto (4 suicidi anno per ogni 100 000 abitanti.) La media europea è, invece, tristemente più alta con 15-20 suicidi l’anno ogni 100 000 abitanti e, in alcuni Paesi del Nord Europa, il tasso sale fino a 25 casi l’anno.

Nei paesi dell’Europa dell’Est dagli inizi degli anni novanta, ov-vero dopo il collasso dell’Unione Sovietica si registra un aumento dei suicidi che sembra arrestarsi dopo il 2000 per iniziare a diminuire.

In Italia sui circa 4000 casi di morte per sucidio nel 2002 3000 erano persone appartenenti al genere maschile.

La distribuzione per classi di età invece rivela che sia per gli uo-mini che per le donne la mortalità per suicidio cresce con il crescere dell’età cronologica. Per le donne questo incremento risulta essere costante in tutto l’arco della vita, mentre per gli uomini subisce un incremento dopo i 65 anni di età e trova nella classe di età 85-89 anni un tasso di 50 suicidi per 100 000 anziani. Il fenomeno del suicidio assume proporzioni più rilevanti in età avanzata, ovvero in un perio-do della vita in nel quale esiste un restringimento dei legami sociali, eventuali stati di vedovanza, maggiore isolamento sociale, un peg-gioramento delle condizioni generali di salute che può comportare una riduzione dell’autonomia della persona (Pompili et al., 2008).

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Sebbene il suicidio sia più frequente in età avanzata il numero delle morti tra i giovani è andato progressivamente aumentando, L’OMS e il SUPRE (Suicide Prevention) stimano che ogni anno nel mondo siano almeno 100 000 gli adolescenti che compiono questo gesto.

Negli Stati Uniti una recente analisi condotta nell’anno 2000 ha messo in evidenza come il suicidio sia la terza causa di morte tra i giovani americani con tassi stimabili intorno agli 1.5 su 100 000 tra i ragazzi di età compresa tra i 10 e i 14 anni e 8.2 tra gli adolescenti di 15-19 anni. Il fenomeno aumenta quando consideriamo anche i gio-vani con età superiore ai 20 anni. In Europa il numero dei suicidi tra ragazzi varia ampiamente da una nazione all’altra e tenendo conto della differenza tra i sessi si può dire che i maschi commettono suici-dio più frequentemente delle femmine, con proporzioni che variano da 2:1 a 8:1, mentre le ragazze mettono in atto all’incirca il doppio dei tentativi non letali di suicidio se confrontate con i loro coetanei (Ferraris et al., 2009).

In Italia nella fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni il suicidio rappresenta la terza causa di morte dopo gli incidenti stradali e i tumori, nella fascia di età successiva, fra i 25 e i 44 anni, il suicidio resta ancora la quarta causa di morte dopo gli incidenti stradali, i tu-mori e le malattie del sistema cardiovascolare. Il suicidio nell’infan-zia e nella prima adolescenza, cioè tra gli 0 e i 14 anni è un fenome-no raro, tra il 2000 e il 2002 sono stati rilevati 35 suicidi di bambini in questa fascia di età (Pompili et al., 2008).

Interessanti sono anche le differenze per aree geografiche all’in-terno del territorio italiano. Nel Nord del Paese la mortalità per sui-cidio è più alta del 14% rispetto alla media nazionale, mentre nel Sud è mediamente più bassa (del 17%) (Pompili et al., 2008). Livelli particolarmente elevati di mortalità per suicidio si osservano nelle province del Nord Est e in quelle dell’arco alpino. Nel centro Italia tutte le province del Lazio e l’Aquila hanno tassi di suicidio signifi-cativamente più bassi della media nazionale (Pompili et al., 2008). Una interessante eccezione nel centro sud di Italia è rappresentata dalla Sardegna con il livelli dei sucidi maschili con tassi oltre il 75% superiori alla media nazionale, superando anche quelli che si regi-

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strano in molte province del Nord Est. Queste differenze geografiche riflettono differenze sociali, culturali ed economiche del Paese. I tas-si più bassi della media nazionale registrati nel Centro Sud potreb-bero essere il riflesso di una maggiore presenza della rete familiare e sociale con conseguente aumento dell’integrazione e del senso di appartenenza che funge da fattore protettivo. La possibilità di chie-dere e ricevere aiuto nei momenti difficili ricade positivamente sul benessere psicologico del singolo individuo. Sempre nelle regioni del Centro Sud notiamo una più bassa età per i suicidi (in media 52 anni gli uomini contro i 54 anni nel Nord e 53 anni per le donne con-tro i 58 anni nel Nord) che potrebbe essere letta nella difficoltà socio economica di questa zona che si traducono in una scarsa possibilità di impiego per i giovani (Pompili et al., 2008).

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NELLA STESSA COLLANA

Benson J., Gruppi. Organizzazione e conduzione per lo sviluppo personale e la psi-coterapia, 20001, pp. 272

Beutler L.E. - Harwood T.M., Psicoterapia prescrittiva elettiva. La scelta del trat-tamento sistematico fondata sull’evidenza, 2002, pp. 224

Bozarth J.D., La terapia centrata sulla persona. Un paradigma rivoluzionario, 2001,pp. 240

Campanella V. - Fiori M. - Santoriello D., Disturbi mentali gravi. Modellid’intervento pluralistico integrato dall’autismo alle psicosi, 2003, pp. 272

Chambon O. - Marie-Cardine M., Le basi della psicoterapia eclettica e integrata,2002, pp. 288

Clarkson P., Gestalt - Counseling, 1999 II ediz., pp. 192Clarkson P., La Relazione Psicoterapeutica integrata, 1996, pp. 392Delisle G., I disturbi della personalità, 20001, pp. 224Feltham C. - DrydenW. (a cura di E. Giusti),Dizionario di counseling, 1995, pp.320

Fontana D., Stress Counseling. Come gestire gli stati personali di tensione, 1996,pp. 160

Frisch M.B., Psicoterapia integrata della qualità della vita, 2001, pp. 352Giannella E., Palumbo M., Vigliar G., Mediazione familiare e affido condiviso.Come separarsi insieme, 2007, pp. 240

Giusti E. - Calzone T., Promozione e visibilità clinica. Motivare i pazienti ai trat-tamenti psicologici, 2006, pp. 288

Giusti E. - Carolei F., Terapie transpersonali. L’integrazione della spiritualità e dellameditazione nei trattamenti pluralistici, 2005, pp. 336

Giusti E. - Chiacchio A., Ossessioni e compulsioni. Valutazione e trattamento dellaPsicoterapia Pluralistica Integrata, 2002, pp. 176

Giusti E. - Ciotta A.,Metafore nella relazione d’aiuto e nei settori formativi, 2005,pp. 256

Giusti E. - Corte B., La terapia del per-dono, 2008, pp. 304Giusti E. - Di Fazio T., Psicoterapia integrata dello stress. Il burn-out professiona-le, 2005, pp. 256

Giusti E. - Di Francesco G., L’autoerotismo. L’alba del piacere sessuale: dall’iden-tità verso la relazione, 2006, pp. 208

Giusti E. - Di Nardo G., Silenzio e solitudine. L’integrazione della quiete nel trat-tamento terapeutico, 2006, pp. 240

Giusti E. - Frandina M., Terapia della gelosia e dell’invidia. Trattamenti psicologi-ci integrati, 2007, pp. 224

Giusti E. - Fusco L., Uomini. Psicologia e psicoterapia della maschilità, 2002, pp.464

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Chambon O. - Marie-Cardine M., Le basi della psicoterapia eclettica e integrata,2002, pp. 288

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Frisch M.B., Psicoterapia integrata della qualità della vita, 2001, pp. 352Giannella E., Palumbo M., Vigliar G., Mediazione familiare e affido condiviso.Come separarsi insieme, 2007, pp. 240

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Giusti E. - Carolei F., Terapie transpersonali. L’integrazione della spiritualità e dellameditazione nei trattamenti pluralistici, 2005, pp. 336

Giusti E. - Chiacchio A., Ossessioni e compulsioni. Valutazione e trattamento dellaPsicoterapia Pluralistica Integrata, 2002, pp. 176

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Giusti E. - Germano F., Etica del con-tatto fisico in psicoterapia e nel counseling,2003, pp. 160

Giusti E. - Germano F., Terapia della rabbia. Capire e trattare emozioni violented’ira, collera e furia, 2003, pp. 224

Giusti E. - Giordani B. Il formatore di successo, 2002, pp. 224Giusti E. - Harman R. (a cura di), La psicoterapia della Gestalt, 1996, pp. 224Giusti E. - La Fata S., Quando il mio terapeuta è un cane, 2004, pp. 448Giusti E. - Lazzari A., Psicoterapia Interpersonale Integrata, 2003, pp. 160Giusti E. - Lazzari A.,Narrazione e autosvelamento nella clinica. La rivelazione delSé reciproco nella relazione di sostegno, 2005, pp. 160

Giusti E. - Locatelli M., L’empatia integrata, 2007 (Nuova edizione), pp. 320Giusti E. - Mancinelli L., Il counseling domiciliare, 2008, pp. 160Giusti E. - Minonne G., L’interpretazione dei significati nelle varie fasi evolutivedei trattamenti psicologici, 2004, pp. 396

Giusti E. - Minonne G., Ricerca scientifica e tesi di specializzazione in psicoterapia,2005, pp. 368

Giusti E. - Montanari C., Trattamenti psicologici in emergenza con EMDR per pro-fughi, rifugiati e vittime di traumi, 2000, pp. 192

Giusti E. - Montanari C., La CoPsicoterapia. Due è meglio e più di uno in efficaciaed efficienza, 2005, pp. 320

Giusti E. - Nardini M.C., Gruppi pluralistici. Guida transteorica alle terapie col-lettive integrate, 2004, pp. 304

Giusti E. - Ornelli C., Role play. Teoria e pratica nella Clinica e nella Formazione,1999, pp. 144

Giusti E. - Palomba M., L’attività psicoterapeutica. Etica ed estetica promozionaledel libero professionista, 1993, pp. 128

Giusti E. - Perfetti E., Ricerche sulla felicità. Come accrescere il benEssere psicolo-gico per una vita più soddisfacente, 2004, pp. 192

Giusti E. - Pitrone A., Essere insieme. Terapia integrata della coppia amorosa, 2004,pp. 240

Giusti E. - Pizzo M., La selezione professionale. Intervista e valutazione dellerisorse umane con il modello pluralistico integrato, 2003, pp. 208

Giusti E. - Proietti M.C., La delega direzionale, 1996, pp. 112Giusti E. - Proietti M.C., Qualità e formazione. Manuale per operatori sanitari epsicosociali, 1999, pp. 184

Giusti E. - Rapanà L., Narcisismo. Valutazione pluralistica e trattamento clinicointegrato del Disturbo Narcisistico di Personalità, 2002, pp. 176

Giusti E. - Romero R., L’accoglienza. I primi momenti di una relazione psicotera-peutica, 2005, pp. 176

Giusti E. - Sica A., L’epilogo della cura terapeutica. I colloqui conclusivi dei tratta-menti psicologici, 2005, pp. 160

Giusti E. - Surdo V., Affezione da Alzheimer. Il trattamento psicologico comple-mentare per le demenze, 2004, pp. 144

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Nella stessa collana

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Page 31: Rischio suicidio

Giusti E. - Testi A., L’Autostima. Vincere quasi sempre con le 3 A, 2006, pp. 224Giusti E. - Testi A., L’Assertività. Vincere quasi sempre con le 3 A, 2006, pp. 224Giusti E. - Testi A., L’Autoefficacia. Vincere quasi sempre con le 3 A, 2006, pp. 96Giusti E., Essere in divenendo. Integrazione pluralistica dell’identità del Sé, 2001,pp. 144

Giusti E., Autostima, psicologia della sicurezza in Sé, 20055, pp. 200Giusti E., Videoterapia. Un ausilio al Counseling e alle Arti-Terapie, 1999, pp. 176Giusti E., Tecniche immaginative. Il teatro interiore nelle relazioni d’aiuto, 2007,pp. 272

Gold J.R., Concetti chiave in psicoterapia integrata, 2000, pp. 268Goldfried M.R.,Dalla terapia cognitivo-comportamentale all’integrazione delle psi-coterapie, 2000, pp. 288

Greenberg L.S. (et al.), Manuale di psicoterapia esperienziale integrata, 2000, pp.576

Greenberg L.S. - Paivio S.C., Lavorare con le emozioni in psicoterapia integrata,2000, pp. 368

Manucci C. - Di Matteo L., Come gestire un caso clinico, 2004Murgatroyd S., Il Counseling nella relazione d’aiuto, 20001, pp. 192Perls F., Qui & ora. Psicoterapia autobiografica, 1991, pp. 256Persons J.B. - Davidson J. - Tompkins M.A., Depressione. Terapia cognitivo-com-portamentale. Componenti essenziali, 2002, pp. 288

Preston J., Psicoterapia breve integrata, 2001, pp. 256Reddy M., Il Counseling aziendale. Il Manager come Counselor, 1994, pp. 176Santostefano S., Psicoterapia integrata. Per bambini e adolescenti. Vol. I:“Metateoria pluralistica”, 2002, pp. 400

Santostefano S., Psicoterapia integrata. Per bambini e adolescenti. Vol. II:“Tecnologia applicativa”, 2003, pp. 384

Spalletta E. - Quaranta C., Counseling scolastico integrato, 2002, pp. 352

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Page 33: Rischio suicidio

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Giusti E., Montanari C., Iannazzo A., Psicodiagnosi integrata. Valutazione tran-sitiva e progressiva del processo qualitativo e degli esiti nella psicoterapia plura-listica fondata sull’evidenza obiettiva, 2006, pp. 580

Giusti E., Bonessi A., Garda V., Salute e malattia psicosomatica. Significato, dia-gnosi e cura, 2006, pp. 240

Giusti E., Germano F.., Psicoterapeuti generalisti. Competenze essenziali di base:dall’adeguatezza verso l’eccellenza, 2006, pp. 256

Giusti E., Pacifico M., Staffa T., L’intelligenza multidimensionale per le psicotera-pie innovative, 2007, pp. 400

Giusti E. - Tridici D., Smoking. Basta davvero, 2009, pp. 224Goodheart C.D. - Kazdin A.E. - Sternberg R.J., Psicoterapia a prova di evidenza.Dove la pratica e la ricerca si incontrano, in corso di stampa

Norcross J.C., Beutler L.E., Levant R.F., Salute mentale: trattamenti basati sull’e-videnza. Dibattiti e dialoghi sulle questioni fondamentali, 2006, pp. 464

Spalletta E., Germano F., MicroCounseling e MicroCoaching. Manuale operativodi strategie brevi per la motivazione al cambiamento, 2006, pp. 480

Wolfe B.E., Trattamenti integrati per disturbi d’ansia. La cura del Sé ferito, 2007,pp. 304

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